Al di là del muro

di Skrill rider
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Tempesta all'orizzonte ***
Capitolo 3: *** 2. Una nuova spedizione ***
Capitolo 4: *** 3. Verso il muro ***
Capitolo 5: *** 4. Ricordi dolorosi ***
Capitolo 6: *** 5. Giganti anomali ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La leggenda narra che al di là dell’orizzonte c’è sempre terra o mare inesplorato, perché ogni volta che una soglia viene varcata non si guarda mai con gli stessi occhi.
Il desiderio di varcare una soglia come l’orizzonte, così magnificamente grande da non poter essere appieno compresa, è insito nella natura dell’uomo. C’è chi lo considera di vitale importanza e chi invece col tempo ha saputo adattarsi a vedere sempre le medesime facce, le medesime strade, le medesime mura.

 Una cosa accomuna queste persone: non hanno mai visto abbastanza, che lo desiderino o meno.

Ma cosa ci sarà al di là delle mura? Al di là delle foreste e delle vaste pianure verdeggianti spazzate dal vento? Ci sarà un oceano? E al di là dell’oceano cosa mai potrà esistere?

Nel grande, immenso ignoto, chi si potrà mai incontrare? Esiste solo la natura assassina generatrice di mostri assetati di sangue o può esserci una terra in cui si possa vivere senza questa paura?

Tutto incomincia di notte, il momento in cui vengono concepiti i sogni.

Una nave è persa in un mare tempestoso e nero. La rotta è stata smarrita da tempo e i marinai possono solo sperare di naufragare in un luogo sufficientemente vicino alla terra.

Imperterriti ed esortati dal loro capo, continuano a remare fronteggiando le onde che minacciano di rovesciare lo scafo ad ogni impatto.
Per prevenire danni causati dal vento la grande vela rettangolare è stata ammainata. È un momento di terrore e determinazione generale a non morire, mentre la spuma marina inghiotte le urla dei rematori, stremati e intenti a fare appello a tutte le loro forze per tirarsi fuori pericolo.

Anche il capo sta remando. In una simile tempesta occorre tutta la potenza che la ciurma può disporre. Al timone è stato messo il più debole e vecchio.

 Egli siede a poppa e scandisce il tempo della remata ai suoi compagni gridando una serie di gracchianti “Oh! Oh! Oh!” A cui i marinai rispondono urlando la stessa sillaba per farsi forza durante il movimento.

Il sudore cola sulle fronti degli uomini e poco refrigerio gli porta lo stesso mare che rischia di ucciderli tutti.

Improvvisamente il vecchio timoniere annuncia a tutti la speranza di salvezza, esclamando “Terra!”

Tutti, rossi in volto ed esausti si volgono a guardare nella direzione indicata dall’uomo e scorgono tra le gocce della pioggia scrosciante una sottile scogliera nera all’orizzonte.

Esultando di gioia riprendono i remi animati da una nuova forza. Il compagno al timone ricomincia a dare il ritmo, accelerando.

La nave dal basso scafo vola sulle onde e la costa si avvicina sempre di più.

A circa un tiro d’arco dalla spiaggia un forte colpo di vento riesce quasi a sollevare l’imbarcazione, ma invece di ribaltarla, ottiene di distruggere l’albero.

A questo punto la remata raddoppia improvvisamente, poiché una nuova forza si è insinuata nel cuore degli uomini: quella data dalla paura.

Dopo pochi minuti apparentemente lunghi come un’estate sentono finalmente la chiglia sbattere contro la costa ed esultanti si lanciano fuori dallo scafo, tirando la barca in secca e poi sedendosi insieme sulla sabbia sottile imbevuta di pioggia, per riprendere fiato.

Una risata di sollievo percorre il singolare gruppo di uomini appena sbarcati.
Consapevoli che l’isola dove si sono ritrovati non è esplorata né segnata sulle mappe, si mettono subito al lavoro per radunare tutte le loro armi e le provviste in preparazione a un viaggio nell’entroterra, alla ricerca di un villaggio di indigeni dove rimediare per lo meno delle informazioni sul posto e eventualmente un pasto caldo.

Durante i preparativi tuttavia si sentono inspiegabilmente inquieti.

La tensione viene rotta quando uno del gruppo chiama gli altri al silenzio, perché ha udito degli strani rumori. Tutti prestano orecchio e avvertono delle vibrazioni nel terreno simili a quelle prodotte dalle frane, con la differenza che queste sono ritmate, come dei passi.

Il capo fiuta il pericolo e ordina a tutto l’equipaggio di correre alle armi e mettersi in formazione difensiva.

Gli uomini fanno appena in tempo ad agguantare gli elmi e gli armamenti che dalla foresta retrostante il lido compare l’orrendo volto di un essere gigantesco dalle sembianze antropomorfe.

“Che Thor ci protegga” pensa il capo sgranando gli occhi incredulo “dove siamo capitati?”

ANGOLO AUTORE

Salve, questo è il prologo della mia fiction. È la prima che scrivo ambientata nel mondo di AOT e spero che vi piaccia e continuerete a leggerla.
Mi raccomando lasciate una recensione per farmi sapere che ne pensate. Ci vediamo al prossimo capitolo.

Skrill rider

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Capitolo 2
*** 1. Tempesta all'orizzonte ***


Il cielo si era fatto improvvisamente buio. La luce del sole era stata totalmente coperta da densi strati di nuvole nere e aveva preso a soffiare un vento gelido da nord.
Presto tutti furono costretti a correre in casa, poiché in pochi minuti iniziò a scrosciare una violenta pioggia che rendeva impossibile anche solo vedere davanti a sé.
Successivamente il cielo iniziò ad essere percorso da fulmini accecanti, seguiti da tuoni talmente roboanti da poter essere facilmente scambiati per i passi di un gigante enorme.
In mezzo alla fanghiglia che aveva preso il posto delle strade avanzavano cinque uomini della guarnigione delle mura, i quali non potevano sottrarsi al loro lavoro nemmeno usando un tempo simile come scusa.
Proteggendosi la testa con la giacca, camminavano speditamente verso la postazione alla quale erano stati assegnati, per dare il cambio della guardia. Sbuffavano e si lamentavano per il lerciume che si depositava sui loro stivali e l’acqua che li aveva ormai inzuppati completamente, facendoli rabbrividire a ogni folata di vento.
-Non si vedeva una tempesta simile da anni, parola mia!- sbottò uno di loro, chiamato Marcus Finnegan, scandendo le parole con energici movimenti della testa e fissando lo sguardo in quello dei compagni, che si erano voltati per sentirlo meglio. La pioggia e i tuoni infatti rendevano quasi impossibile comunicare, coprendo ogni suono.
-E nessuno se la sarebbe aspettata d’estate…- aggiunse scrutando il terreno davanti a sé la più giovane del gruppo, di nome Miranda, una ragazza appena salita di grado e assegnata a loro in sostituzione di un soldato malato.
Insieme a loro si trovava anche un uomo a cui tutti si rivolgevano chiamandolo semplicemente “Hannes”. Era il più vecchio e quello con più esperienza tra i cinque, rispettato per essere uno dei sopravvissuti allo sconvolgente attacco a Shiganshina.
Con tono scherzoso, con apparente voglia di fare del sarcasmo disse semplicemente:- Ed è arrivata così all’improvviso…un paio d’ore fa c’era un sole davvero magnifico, e ora questo.- e fece un ampio gesto col braccio destro, per invitare gli altri ad osservare ancora una volta la situazione.
Loro sapevano che dietro alle sue parole innocue si nascondeva un insegnamento che gli aveva ripetuto fino allo sfinimento: “rimanete vigili, perché il pericolo colpisce più duro quando non ce lo si aspetta.”
Per questo la piccola compagnia sprofondò in un silenzio teso, carico di domande, ma anche di determinazione.
Finalmente, dopo pochi altri minuti, arrivarono a destinazione.
Avevano il compito di dare il cambio alle guardie che sorvegliavano il lato sud della città di Trost, in cima alle mura.
Per raggiungere il montacarichi che li avrebbe portati alla postazione passarono di fianco al grande masso posto ad ostruire l’unica entrata, testimone della battaglia dell’anno precedente, durante la quale il genere umano aveva ottenuto la prima vittoria contro i giganti. 
Una volta saliti si diressero verso una tettoia che era stata montata per consentire ai soldati di ripararsi. Lì trovarono i commilitoni, felici di poter andare a riposarsi, che gli mostrarono rapidamente il quadro della situazione (compresa l’ubicazione e la qualità delle bevande alcoliche) e poi li lasciarono al loro compito.
Hannes, che rivestiva il ruolo di comandante della sua piccola squadra, ordinò loro di asciugarsi, di prendere posizione e assolutamente di non toccare gli alcolici mentre erano in servizio.
Tuttavia essi già sapevano che fosse intransigente sull’alcol durante la guardia, nonostante non vi rinunciasse negli altri momenti.
Era cambiato, dopo il grande attacco.  
Dunque i cinque si sistemarono rapidamente e attesero, sforzandosi di vedere qualcosa attraverso la cortina di pioggia.
-Se non altro è facile individuare i giganti, con questa pioggia- disse Marcus –siccome hanno una temperatura corporea alta, quando fa più freddo emanano vapore.-
-Non ne sarei così sicuro, Marcus- lo ammonì Hannes parlando lentamente e con tono grave –con una pioggia così fitta probabilmente non riusciresti nemmeno a sentire i loro passi.-
Tutti e quattro si erano voltati verso il comandante, mentre proferiva queste parole lasciando un pesante senso di inquietudine nei loro animi.
Il silenziò ripiombò sul piccolo gruppo, avvolgendolo quasi come in una cappa soffocante, e l’umidità estrema dell’aria non aiutava per niente a migliorare la situazione.
Nel frattempo, da tutt’altra parte, l’élite del Corpo di ricerca si era radunata per preparare una ricognizione nel Wall Maria, per verificare la fattibilità di un possibile recupero di quei territori. Il principale obbiettivo tuttavia era riuscire ad arrivare fino al muro più esterno e a salirci, per poi tornare indietro.
Una volta raggiunta una simile decisione venne radunato l’intero reggimento nel cortile del quartier generale, in modo che tutti i suoi membri venissero messi a parte del piano e dei motivi che avevano portato alla sua elaborazione.
Il comandante Erwin troneggiava sugli altri, fissandoli in volto senza battere ciglio. Nonostante avesse perso un braccio in uno scontro dell’anno precedente, si era ripreso molto bene dalle ferite e sebbene non fosse più idoneo a partecipare alle ricognizioni, rimaneva comunque il coordinatore delle operazioni.
-Esporrò il piano solo una volta, quindi prestate attenzione in modo che sia chiaro a tutti!- ordinò ai presenti, che si irrigidirono come per ribadire che erano sull’attenti.
-Per l’operazione di domani- esordì –dovete avere una sola cosa in mente: raggiungere il Wall Maria ad ogni costo.-
Molti impallidirono di fronte a questa frase.
Rimanendo serio e severo l’uomo si affrettò a spiegare i particolari, prima che l’attenzione data dallo spavento sfumasse: -Raggiungere le mura più esterne ci porterà preziose informazioni sul modo di agire dei giganti. Infatti potremo riuscire a stabilire se seguono o no un itinerario preciso una volta entrati nei nostri territori.- fece una pausa in modo che i soldati assimilassero le sue parole.
Riprese: -Abbiamo due opzioni in proposito ed entrambe presentano sia lati positivi che negativi. La prima è che i giganti non seguano un percorso specifico, ma semplicemente vaghino senza meta fino a quando per caso non giungono alle mura, al di là delle quali avvertono la nostra presenza e quindi cercano di varcarle. Se questa supposizione è corretta dovremmo incontrare pochi giganti sulla nostra strada, poiché cercheremo il più possibile di seguire una linea retta che vada verso sud, ossia la via più veloce e quindi la più conveniente, sia per il predatore sia per la preda.- si bloccò un’altra volta, approfittandone per schiarirsi la gola e inumidirsi le labbra.
-Se invece ne dovessimo incontrare tanti- continuò –per ridurre il numero delle vittime saremo costretti a rientrare, dovendo rinunciare all’operazione, ma constatando che seguono effettivamente il percorso più breve. Tuttavia questo non potrà che farci concludere che purtroppo sentono la presenza umana anche da grande distanza e quindi hanno la facoltà di individuare il percorso più corto per giungere alla loro fonte di cibo.-
Si prese un altro momento per osservare gli sguardi attoniti degli uomini e delle donne che probabilmente l’indomani sarebbero andati incontro alla morte e sentì salirgli un groppo alla gola, che ricacciò giù immediatamente in nome del suo rigore.
-So che non è la prima volta che rischiate la vita in un’operazione come questa- disse allora –ma tenete a mente il numero di persone valorose che si sono sacrificate prima di voi, per permettere a voi un giorno di essere qui e di essere figli liberi di questa terra. Combattete anche voi per questo, per quelli che prenderanno il vostro posto. Le informazioni in questa guerra sono di vitale importanza e capire il modo di muoversi di quei mostri ci consentirà di sapere come evitare il più possibile di incontrarli. Questo sarà un ulteriore passo verso la riconquista del Wall Maria, essenziale per scoprire il segreto dei giganti, celato tra le macerie di Shiganshina.  Non so quando tempo ci vorrà, ma non penso che nel grande Corpo di ricerca ci sia spazio per chi ha intenzione di arrendersi. Mi aspetto che ognuno di voi dia il meglio di sé domani, come avete sempre fatto.- concluso questo discorso, non avendo più il braccio destro, si portò il pugno sinistro al petto, nella parte destra, e pronunciò il saluto “Offrite il vostro cuore!”
Si levò un coro che rispose con la stessa frase e il gesto di battersi il pugno destro sul cuore, gesto che il comandante purtroppo non poteva più eseguire correttamente.
Erwin sentì che, nonostante la paura, i suoi uomini erano ancora motivati e se ne sentì orgoglioso.
Al ritorno verso i dormitori, tre giovani cadetti indugiarono all’entrata.
Illuminati solo dalla luce delle due lanterne poste sugli stipiti della porta, stavano parlando della missione.
Uno di loro era alto e magro, con due grandi occhi verdi carichi di determinazione e una voce che trasudava odio.
L’altro era più basso, coi capelli biondi a caschetto e apparentemente il più debole tra loro. Tuttavia nel suo sguardo docile si percepiva la consapevolezza di una mente brillante.
Infine era presente anche una ragazza dai capelli corvini, occhi quasi inespressivi e una voce calma a tal punto da lasciar intendere la facilità con cui avrebbe saputo uccidere chiunque.
I loro nomi erano rispettivamente Eren Jaeger, Armin Arlert e Mikasa Ackermann.
ANGOLO AUTORE
Salve a tutti,
eccomi qui pronto col primo capitolo della mia prima fiction su Attack on titan. Spero che, se lo state già facendo, continuerete a leggere la storia e vi devo ringraziare per la vostra pazienza.
Detto ciò vi invito a lasciare una recensione per dirmi cosa ne pensate, cosa migliorereste ecc.
Sono aperto ai vostri consigli. In più ricevere una recensione mi farebbe molto piacere anche personalmente, in quanto mi gratificherebbe sapere che il mio lavoro viene apprezzato, o comunque preso in considerazione.
Spero che la storia vi stia incuriosendo. Ci vediamo al prossimo capitolo!
Skrill rider

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Capitolo 3
*** 2. Una nuova spedizione ***


-Eren.- chiamò una voce lontana.
Il ragazzo non capiva da dove provenisse.
Si guardò intorno alla ricerca di Mikasa, poiché era sicuro che la voce fosse la sua, ma per quanto si sforzasse di scrutare in mezzo alla fitta vegetazione non vedeva nessuno.
-Eren.- sentì di nuovo.
Dai rami dei rovi e degli abeti che lo circondavano iniziò a filtrare una forte luce.
Il giovane soldato si mosse lentamente in quella direzione, col fiato sospeso.
Scostò le foglie che gli impedivano una visuale completa e rimase abbagliato per qualche secondo.
Quando i suoi occhi si furono riabituati si rese conto di stare fissando un gigante. E non uno qualsiasi. Il gigante sorridente che anni prima aveva fatto un sol boccone di sua madre era in piedi a pochi metri da lui e lo fissava coi suoi occhi inespressivi.
“No!” pensò il ragazzo “tu dovresti essere morto!”
Pensò di darsi alla fuga, ma un attimo prima che il mostro si avventasse su di lui venne scosso da un’altra voce.
-SVEGLIATI IDIOTA!- tuonò Jean Kirschtein ribaltando il materasso di Eren e facendolo rotolare sul pavimento con un’espressione disorientata sul volto.
Sollevò il busto e si guardò intorno, apparentemente riconoscendo a fatica le facce dei suoi amici, già in divisa e piuttosto seccati per aver perso tanto tempo per svegliarlo.
Quando iniziò a riprendere conoscenza si accorse di stare ansimando e sudando freddo.
Mikasa gli si fece subito vicino, inginocchiandosi e premendogli il palmo della mano destra contro la fronte.
-Non hai la febbre.- disse poi, rialzandosi –avrai solo avuto un incubo.-
Poi gli offrì la mano per aiutarlo a tirarsi in piedi. Lui l’afferrò e si ritrovò sulle sue gambe quasi senza accorgersene.
-Eren, sei in ritardo!- si affrettò a ricordargli Armin –La spedizione parte tra cinque minuti!-
-Cosa?!- esclamò l’amico sgranando gli occhi e fiondandosi a vestirsi, rimproverato da Jean: -Già, stupido! E noi preferiremmo non beccarci una punizione per colpa tua!-
Sicuramente se ci fosse stato più tempo i due si sarebbero presi a parolacce e forse a botte, ma ebbero entrambi il buon senso di lasciar perdere e concentrarsi su quanto avrebbero dovuto fare durante la giornata.
Mentre scendevano le scale e raggiungevano le scuderie in silenzio ognuno di loro ripassava mentalmente la sua posizione all’interno della formazione e tutti gli ordini che erano stati loro affidati personalmente affinché la missione riuscisse al meglio.
Una direttiva in particolare li metteva sotto pressione: quella secondo la quale fosse assolutamente vietato fermarsi per aiutare eventuali compagni in difficoltà.
La paura di perdere di nuovo un amico era leggibile sul volto di ciascuno.
Ciononostante cercarono di distrarsi concentrandosi sulla preparazione delle selle e delle briglie per i loro cavalli.
Armin tentò anche di alleggerire la tensione ricordando a voce alta di quando Shadis gli aveva raccomandato di tenere a mente che non fosse importante essere civili o soldati. Ognuno sceglie come reagire di fronte al pericolo a seconda di ciò che è più importante per lui.
Ciò parve riaccendere un barlume di speranza negli occhi dei giovani membri del Corpo di ricerca.
-Se voi doveste essere in pericolo…- mormorò Connie Springer –io non vi lascerei mai morire senza fare niente.-
-Tuttavia è un ordine del capitano- ribattè Jean –e non è sbagliato: vuole solo che il numero di perdite sia minimo.-
-E sentiamo…- lo provocò di nuovo il piccoletto rasato –per te cosa sarebbe più importante? Il successo della missione o non avere la vita dei tuoi amici sulla coscienza?-
A questa domanda, l’altro non seppe subito cosa rispondere.
Gli tornò alla mente la morte di Marco Bodt e tutte le cose brutte che aveva urlato contro chiunque per delle idiozie.
Guardò tutti i presenti in volto e i suoi occhi indugiarono su Mikasa, la quale gli rivolse uno sguardo truce quando se ne accorse.
Lui arrossì, ma fece finta di nulla. Poi si raccapezzò e riuscì a formulare una risposta che gli sembrò convincente: -Il mio obbiettivo e il vostro sono gli stessi.-
La questione si concluse in questo modo.


Successivamente si avviarono a cavallo verso le mura che circondavano il distretto di Trost, dove era stato allestito un complesso sistema di montacarichi per permettere a tutto lo squadrone di varcarle e poter quindi proseguire lungo una linea retta verso sud, in direzione di Shiganshina e del Wall Maria.
Prima di salire sull’elevatore che li avrebbe portati al punto di ritrovo, Eren fu preso in disparte dalla sua sorella adottiva dai capelli corvini, la quale lo pregò: -Eren, io sarò nelle prime linee con i superiori, ma se tu avessi bisogno…- si tirò fuori dal taschino un fischietto dalla forma cilindrica sottile e allungata e glielo porse –soffia qui dentro. Quando sentirò il fischio sarò nelle retrovie per aiutarti in men che non si dica.-
Il ragazzo non lo prese subito. Prima le chiese: -Dove lo hai preso?-
-Me l’ha regalato il capitano Levi.- rispose lei fissando l’oggetto nel suo palmo –ha detto che io avrei saputo come usarlo…e ora so cosa intendesse. Me l’ha donato perché io lo passassi a te, perché ti potessi proteggere.-
Di fronte a queste parole lui si sentì infastidito come al solito e ribattè: -Mikasa, vuoi capirlo che tu non sei la mia guardia del corpo?! La tua abilità può essere utile a molte altre persone…-
Lei non lo lasciò finire: -Non mi importa e lo sai bene. Io per te troverò sempre il modo di esserci.-
I suoi occhi erano carichi di fredda determinazione, ma anche di suppliche che non trovarono modo di essere espresse a parole.
-Mikasa, io…- tentò di dire Eren.
Venne di nuovo bloccato dalla ragazza, che per la prima volta in sua presenza mostrò una nota di rancore nel tono della voce: -Sarebbe gentile da parte tua per lo meno un minimo di riconoscenza, ma sai bene che non è questo il punto per me, giusto?- chiese.
Questa reazione lo spiazzò. Rimase a fissarla quasi in preda al panico, senza ben sapere cosa dire.
Poi mormorò semplicemente: -Sì, lo so.-
Lei, che aveva distolto lo sguardo, ristabilì il contatto visivo e annuì dicendo: -Bene.- e mettendo il fischietto nella mano dell’amico.
Poi girò i tacchi e fece per andarsene, ma non si mosse. Si voltò di nuovo e gli parlò con un tono più calmo, tornando la Mikasa che Eren aveva sempre conosciuto.
-Eren.- mormorò. Sembrava che gli volesse dire molto, ma aggiunse semplicemente:  –Non morire.-
Lui si sentì sollevato da questa raccomandazione e le sorrise annuendo.
A questo punto si divisero, dirigendosi ognuno al posto che gli era stato assegnato.
 
Eren raggiunse il capitano Levi e la sua squadra nelle retrovie, dove avrebbero potuto avere più protezione, ma allo stesso tempo più libertà di movimento nel caso le cose si fossero messe male.
Non appena fu a portata di voce gli chiese, fissandolo in volto col suo sguardo senza vita: -Ohi Eren. La tua amica ti ha consegnato quello che doveva?-
-Sissignore- fu la riposta.
-Bene.- sentenziò il superiore –Allora è davvero in gamba come pensavo…- poi si girò verso il ragazzo e aggiunse: -…ma io lo sono di più.-
-Signore- chiese allora il giovane –quindi è stato lei a dire a Mikasa di darmi il fischietto?-
-Di quale fischietto stai parlando?- rispose il capitano lasciando il suo sottoposto interdetto.
Poi, quando si fu goduto appieno la sua faccia sbigottita riprese: -Scherzavo. Le ho dato un fischietto senza darle particolari motivazioni, se non che l’avevo vista battersi in modo ammirevole, in particolare per te.-
Sentire questo provocò in Eren un senso di impotenza mista a imbarazzo e gratitudine verso la sua amica, che rischiava così tanto per lui.
Doveva essere arrossito, perché Levi si voltò a guardarlo e abbozzò un sorrisetto malizioso, mimando con le labbra la parola “patetico”.
Poi si girò di nuovo verso l’orizzonte e concluse dicendo: -Le ho detto di usarlo come meglio credeva, perché sapevo che l’avrebbe consegnato a te. Può sembrare un raggiro, ma visti gli insuccessi delle ultime spedizioni avrai bisogno di una protezione speciale nel caso ti trovassi di nuovo nei guai e io fossi impegnato altrove. Lei è perfetta per questo incarico.-
-E perché non gliel’ha affidato come incarico e basta?- chiese di nuovo Eren –Lei è il capitano, poteva semplicemente ordinarglielo…-
-Sì è vero- lo interruppe Levi –ma lei agisce molto meglio se viene lasciata libera di avere iniziativa.-
-Ma non pensa ai rischi a cui la espone?- Fu l’ultima domanda del ragazzo, che venne immediatamente zittito da un occhiataccia del suo superiore e dalla sua risposta: -Penso che qui né io né tantomeno Erwin abbiamo mai agito senza pensare. Tu sei una delle nostre priorità e francamente penso che Mikasa avrà molti meno problemi di te. Ora taci, stiamo per partire.-
 
ANGOLO AUTORE
Ai pochi che leggono la mia storia vorrei solo dire: grazie! Spero che ora che sono comparsi i personaggi principali vi stia iniziando a interessare di più la mia fiction.
Mi raccomando lasciate una bella recensione per aiutarmi a migliorare!
Alla prossima!
Skrill rider

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Capitolo 4
*** 3. Verso il muro ***


L’atmosfera calma e silenziosa fu squarciata dall’urlo del comandante Hanji Zoe, che aveva preso il posto di Erwin alla testa delle spedizioni del Corpo di ricerca.
-AVANTI!- gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, spronando il suo cavallo e lanciandosi al galoppo seguita dai soldati.
La squadra era composta da una trentina di uomini e tre carri per il trasporto degli equipaggiamenti di riserva.
Armin si trovava insieme a Connie e Sasha Blouse nell’avanguardia del lato destro della formazione, mentre Mikasa seguiva la prima linea sul lato sinistro e Jean era in posizione centrale di scorta al convoglio.
Eren invece cavalcava al fianco del capitano Levi e altri tre soldati scelti nelle retrovie, con l’ordine preciso di staccarsi dalla formazione o di aumentare la velocità per assumere una posizione più interna a seconda delle necessità e della comparsa di fumogeni rossi o neri.
La marcia proseguì incredibilmente stabile per almeno cinquanta chilometri. Per assicurarsi una traiettoria senza dubbio rettilinea costeggiarono il canale di passaggio utilizzato dai battelli, che probabilmente avrebbe costituito un’ulteriore linea difensiva per il fianco sinistro.
Una volta superata tale distanza tuttavia, dall’avanguardia del lato destro si levarono i primi fumogeni rossi e i conseguenti di colore verde, che imponevano di mantenere la direzione.
-Hanji è assolutamente folle…- commentò Levi tra i denti, scrutando l’orizzonte con uno sguardo quasi di disprezzo.
Il pensiero di Eren corse ai suoi amici che dovevano essere entrati in contatto coi giganti e sperò con tutte le sue forze che stessero bene.
Tuttavia, mentre si ripeteva tra sè queste cose dalle retrovie di destra vennero lanciati dei fumogeni neri, che indicavano la presenza di titani dal comportamento anomalo.
-Qualcuno dica a quella pazza che dobbiamo allontanarci dal fiume per avere più libertà di movimento!- ordinò irritato il capitano.
Neanche a farlo apposta dopo pochi secondi dalla posizione di comando vennero lanciati fumogeni verdi che indicavano di piegare leggermente a ovest.
La formazione dunque si mosse verso il campo aperto.
Per altri dieci chilometri non si incontrarono problemi, ma poi improvvisamente si levarono dal fianco sinistro cinque segnali rossi.
La risposta immediata di Hanji fu un ulteriore ordine di correzione della rotta verso occidente.
-Continuiamo così!- esclamò la donna con un folle sorriso sulle labbra, segno che i suoi neuroni erano nel pieno dell’elaborazione di un piano.
-Vi spiego ora cosa faremo- disse rivolgendosi ai soldati che la affiancavano –indubbiamente i giganti che abbiamo incontrato fin ora sono troppo distanti l’uno dall’altro per stabilire se si muovano secondo un itinerario comune, ma sono tutti a una distanza ravvicinata da noi, dunque bisogna supporre che loro non ci stiano inseguendo, ma siamo noi ad essergli capitati in mezzo ai piedi. Per questo motivo ora ci allontaneremo dalla rotta!-
-Comandante Hanji, che state dicendo?- domandò un soldato che non riusciva a comprendere il motivo di una decisione del genere così all’improvviso.
-Facile!- fu la risposta –dobbiamo verificare se i giganti hanno una coscienza che li spinga a seguire il tragitto più breve possibile per arrivare al Wall Rose, cioè il sentiero che costeggia il canale. Dunque se noi ci allontaniamo e non ne troviamo più neanche uno, ciò significa che questa teoria è esatta. In caso contrario avremo la prova che non sono in grado di percepire la presenza umana sulle lunghe distanze e allora sarà un vero spasso cercare di capire quanto bisogna stare lontano da un gigante perché non riesca a sentirla!-
Queste congetture le uscirono dalla bocca talmente velocemente che non fu semplice capirle tutte, ma nessuno osò mettere in dubbio l’autorità del comandante, né la sua mente brillante.
Dunque la donna, ridendo forte estrasse un fumogeno verde e lo sparò di nuovo verso ovest.
La formazione si spostò nella direzione indicata e dopo non molto tempo partì un segnalatore nero da destra.
Questo riempì Hanji di gioia e la fece esultare: -Lo sapevo!- per poi abbandonarsi a una risata fragorosa.
 
Il gigante era balzato fuori all’improvviso da una foresta vicina. Era senz’altro un anomalo, visto che trascinava i piedi camminando con le ginocchia storte e agitava con degli scatti simili a convulsioni le spalle.
Armin lo vide in tempo per lanciare il fumogeno nero, ma venne sbalzato di sella dal cavallo, che si era imbizzarrito per lo spavento ed era corso via.
-Lo recupero io!- gridò Sasha lanciandosi all’inseguimento dell’animale e intimandogli inutilmente di tornare indietro  –Vieni qui bestiaccia! Se non ti fermi ti acchiappo e ti cucino!-
-Ma perché cado sempre di sella?!- urlò invece il ragazzo biondo iniziando a correre a perdifiato massaggiandosi le natiche per il dolore.
-Non temere Armin!- esclamò Connie –Ci penso io al gigante!- scagliandosi sul mostro utilizzando il dispositivo per il movimento tridimensionale, ma andando a schiantarsi rovinosamente contro la sua tempia.
-Aiuto Armin!- gridò allora, quando venne afferrato dall’enorme mano di quella creatura ripugnante.
-Connie! Ma che combini?!- Rispose l’amico attivando l’attrezzatura 3D a sua volta e recidendo con un taglio netto la porzione di nuca che costituiva il punto debole del gigante.
“Ce l’ho fatta” pensò, stupito di sé stesso “ho ucciso un gigante con un colpo perfetto”
Una volta a terra venne investito dai ringraziamenti di Connie, palesemente sconvolto per essere stato così vicino alla morte.
-Figurati- disse semplicemente Armin col suo solito tono umile –non so nemmeno io come ho fatto.-
-L’importante è che ci sei riuscito.- gli ricordò l’altro –Ora fatti coraggio: appena Sasha tornerà con i cavalli dovremo rimetterci in marcia.
 
-Mancano solo quaranta chilometri al Wall Maria!- comunicò Hanji –Resistete! Riesco a vederlo in lontananza!-
Le truppe, udendo queste parole si sentirono rinvigorite e rinfrancate, ma non si concessero di abbassare la guardia. Ormai il sole era alto nel cielo e quindi i giganti potevano trarre più energia dall’ambiente, risultando più attivi.
-Comandante!- chiamò Mikasa –Manca almeno un’ora per giungere alle mura e i cavalli sono visibilmente stanchi, visto che hanno mantenuto questa andatura per tre ore consecutive.-
-Stai dicendo che dovremmo fermarci a riposare, Mikasa?- domandò l’interpellata.
-Sì, almeno per qualche minuto.- fu la convinta risposta della ragazza –Se dovessimo incontrare altri giganti non riusciremmo a sfuggirgli con dei cavalli stanchi.-
Hanji guardò con aria assente davanti a sé, scrutando l’orizzonte. Poi annuì e borbottò: -Hai ragione. Mi sono lasciata prendere troppo dall’obbiettivo.-
Detto ciò alzò la mano destra in aria e gridò: -FERMI!-
Colti di sorpresa, i soldati tirarono bruscamente le briglie per frenare e molti vennero sbalzati dalla sella, tra i nitriti spaventati degli animali.
-Scendete tutti da cavallo e rifocillatevi.- ordinò la caposquadra -Manca un’ora alla meta e voglio che siate tutti in forma ottimale per quest’ultimo tratto. Avete quindici minuti di pausa.-
Tale direttiva fu accolta da molti sospiri di sollievo.
Una volta stiracchiate le membra intorpidite dalla lunga cavalcata, tutti i componenti del reggimento nutrirono le proprie cavalcature e poi si sedettero nei primi posti all’ombra che riuscirono a trovare, per sottrarsi alla calura.
La terra era ancora zuppa d’acqua in seguito alla pioggia del giorno precedente, quindi molti si tolsero il mantello e lo stesero sull’erba per adagiarvisi sopra.
I giovani cadetti si erano riuniti tutti sotto lo stesso albero. Armin non ricordava il nome di quel tipo di pianta, ma sapeva che un tempo lo conosceva. Ormai non era più neanche sicuro di riconoscere che un prato fosse fatto di tanti piccoli arbusti e fiori vivi. Gli sembrava tutto immobile e morente, mentre il caldo vento spazzava la prateria e il sole bruciava la terra.
“Sei solo stanco” pensò “dovresti stenderti un attimo e riposarti” e così fece. Si sdraiò e chiuse gli occhi, ma li riaprì all’istante. La tensione era troppa per dormire.
Connie e Sasha nel frattempo si erano seduti vicini e strappavano i piccoli e indifesi steli della vegetazione circostante, senza neanche avere coscienza di quello che stavano facendo. Nei loro occhi c’era il vuoto. Erano persi nell’oscurità della paura.
Jean si guardava intorno con aria irritata. Era preoccupato dall’eventuale arrivo dei giganti e stava costantemente in guardia. Al tempo stesso cercava di reprimere la sua frustrazione perché anche quel giorno aveva visto morire dei compagni, seppur pochi. Il suo brutto vizio di contemplare i possibili modi in cui avrebbe potuto morire lo stava divorando dall’interno. Come se non bastasse odiava Eren, sentiva di odiarlo sempre di più. Tuttavia più ci pensava più comprendeva che il suo odio verso di lui non era altro che invidia. Gelosia nei confronti di uno stupido che tuttavia stava riuscendo nel suo scopo. Gelosia nei confronti di un idiota che nonostante i suoi continui fallimenti, costati decine di vite, veniva ancora aiutato. Ma soprattutto gelosia nei confronti di un ragazzo che, nonostante le continue zuffe, si sentiva di poter chiamare amico.
Rivolse lo sguardo verso di lui e notò che Mikasa gli si era messa a sedere vicino.
“Ma certo…” pensò “ecco un altro motivo per cui essere geloso di Eren”
I due stavano parlando di chissà cosa, non riusciva a sentirli. Nelle sue orecchie risuonava solo il suono del vento tra l’erba e della sua paura.
-Eren.- disse Mikasa per richiamare l’attenzione dell’amico –Sei molto stanco?-
-Solo un po’indolenzito.- rispose lui stiracchiandosi –Tu invece?-
Lei lo fissò per qualche secondo, poi abbassò gli occhi e mormorò: -Sto bene.-
Non stava mentendo, lo si percepiva dal tono della voce. Sembrava però che stesse omettendo qualcosa.
La sua testa era un turbinio di emozioni. Odiava quando doveva separarsi da Eren a causa di una missione. La faceva sentire strana e nonostante riuscisse a concentrarsi benissimo sul suo obbiettivo, in forma latente sentiva sempre il ricordo del suo amico fare capolino. Ogni volta si ritrovava ad ammettere a sé stessa che combatteva solo per lui, solo per uscirne viva e poterlo rivedere. Avrebbe voluto molto fargli capire quanto tenesse a lui, ma il modo migliore che trovava era proteggerlo e continuare ad abbassare lo sguardo, affondando il viso nella sciarpa da lui donatale, grazie alla quale lo sentiva sempre vicino.
Eren sentiva che c’era qualcosa che Mikasa gli aveva sempre tenuto nascosto, ma lui non aveva la forza di chiederlo. Sapeva di essere molto determinato, ma anche che la sua forza non avrebbe mai eguagliato quella della sua amica. Se lei si portava un peso nel cuore, lui avrebbe avuto la forza di sopportarlo a sua volta, se lei gliel’avesse rivelato?
 
Passati quindici minuti, la caposquadra Hanji si rialzò in piedi e, riscuotendo tutti dal torpore, ordinò di rimettersi in marcia.
 
ANGOLO AUTORE
Salve a tutti! Vorrei ringraziare davvero molto la prima persona ad aver recensito la mia storia. Ha significato molto per me e mi ha spinto ad andare avanti.
Perciò eccomi qui con il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto.
Mi raccomando recensite e…alla prossima!
 
Skrill rider  

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Capitolo 5
*** 4. Ricordi dolorosi ***


-Qualcosa non mi convince.- borbottò il capitano Levi non appena furono giunti al distretto di Shiganshina, dopo un’altra ora e mezza passata al galoppo, durante la quale avevano incontrato solo tre giganti.
-Perché non c’è nemmeno un gigante?- domandò Eren, perplesso a sua volta.
-È esattamente quello che mi sto chiedendo anch’io, moccioso- gli rispose il suo superiore gelandolo con lo sguardo –a quest’ora ne avremmo già dovuti incontrare moltissimi, visto che siamo vicini all’unica breccia da cui possono entrare.-
Anche Hanji pareva indecisa sul da farsi, ma procedette a dare ordini per evitare che le truppe si deconcentrassero.
Stese una mappa della città per terra e si accucciò per studiarla, mentre gli altri soldati di grado alto le si fecero intorno per aspettare le sue direttive.
Rimase in quella posizione per qualche lungo secondo, poi si alzò in piedi e disse ai suoi colleghi: -Propongo di dividerci in sei squadre da cinque persone l’una. Ciascuna dovrà avere almeno un comandante che le guiderà nei punti strategici che ora indicherò, per poter coprire tutta l’area nel minor tempo possibile.-
Detto questo tracciò sulla pianta sei cerchi per stabilire la zona d’azione di ogni gruppo.
-Mi sembra una buona idea.- commentò Levi –Sarà opportuno controllare attentamente. Non mi convince per niente questa calma.-
Dunque si procedette ad assegnare a sei comandanti i quattro uomini che avrebbero dovuto guidare.
A Hanji spettò un gruppo dove erano presenti Armin, Sasha, Historia e Jean. Il capitano Ackermann invece insistette perché alla sua squadra venisse assegnato Jaeger, in modo tale da poterlo controllare. Inoltre scelse anche Connie e Mikasa, che reputò fossero una scorta più che sufficiente. Aveva intenzione di contare sulla sua forza esclusivamente per uccidere Eren nel caso avesse perso il controllo a seguito di un’eventuale trasformazione. Prese Connie per utilizzarlo se si fosse rivelato necessario comunicare con gli altri. Sarebbe stato un ottimo messaggero, grazie alla sua velocità.
In quanto a Mikasa, la volle nella sua squadra semplicemente per sfruttare il suo attaccamento verso Eren a vantaggio dell’operazione.
Una volta costituite le sei squadre dunque ebbe inizio la perquisizione della città alla ricerca di eventuali pericoli nascosti.
Si avviarono a piedi, ma muniti del dispositivo per il movimento tridimensionale, con l’ordine di usarlo solo in caso di emergenza.
Levi, con la sua scorta si avviò verso il lato orientale del distretto, precisamente a metà tra il muro meridionale e quello settentrionale. Giunti sul posto presero la via principale e la seguirono, dividendosi ogni volta che incappavano in un vicolo secondario.
-Questo posto sembra puzzare ancora di cadaveri…- borbottò Eren, intento a controllare il retrobottega della taverna chiamata “Gola di Maria”. Non capiva quale fosse il senso di una perquisizione così meticolosa. L’unica spiegazione a cui riusciva a pensare era che probabilmente i superiori si aspettassero di incontrare un nemico che non fosse per forza un gigante.
I suoi pensieri vennero interrotti da un urlo spaventato che proveniva dall’esterno. Si affrettò a correre in soccorso del suo compagno in pericolo, ma quando giunse sul posto si accorse che Connie si era semplicemente impaurito dopo aver visto una testa umana mezza putrefatta a pochi centimetri dalla sua faccia.
-Ecco il primo segno dell’invasione di sei anni fa…- disse Levi glaciale.
Alla mente di Eren e Mikasa tornarono tutti i ricordi di quel giorno. Dalla comparsa dell’enorme testa senza pelle del gigante colossale, ai mille detriti piovuti sulle case e sulle persone. Anche sull’unica che avrebbero desiderato non venisse distrutta.
Non si guardarono in faccia per controllare se stessero pensando alla stessa cosa. Non ne sentirono il bisogno. Sapevano che era così.
Lo spaventoso ricordo e l’orrenda sensazione di vedere la propria casa demolita da un enorme masso era ancora vivo nei loro cuori. Non aveva alcuna ragione di essere colpita, la loro casa, eppure così era avvenuto. In pochi secondi un singolo gigante aveva spazzato via tutto ciò che avevano, lasciandoli da soli a raccontarsi di essere ancora una famiglia.
Il ribrezzo per aver visto la loro madre, inerme nella mano di un mostro, venire spezzata a metà e poi divorata e l’immagine terribile della pioggia di sangue che bagnò il terreno subito dopo, era ancora nitida davanti ai loro occhi da bambini disperati.
Erano quasi sicuri di riuscire ancora a sentire il rumore delle vertebre fratturate dalla torsione del corpo della donna che fino a pochi minuti prima avevano chiamato “mamma”.
Mikasa abbassò lo sguardo fino a che i capelli non le coprirono gli occhi e iniziò a rigirarsi tra le dita le estremità della sua sciarpa per il nervosismo. Erano ricordi che non avrebbe mai più voluto rievocare, ma sapeva che una volta arrivata a Shiganshina sarebbero riaffiorati.
Lo stesso valeva per Eren, che invece si stava tormentando la nuca, grattandosi furiosamente tra i capelli, come se avesse i pidocchi. Una battaglia infuriava in lui, diviso tra l’odio e il rimpianto.
Levi notò i loro sguardi persi nel vuoto e li riscosse ordinandogli di passare oltre. Non voleva che si deconcentrassero, anche se conosceva bene il dolore dato dalla perdita di una persona cara. Le azioni militari erano l’ultima circostanza in cui farsi prendere da sentimentalismi.
Per spingerli a superare la situazione offrì a entrambi qualche sorso d’acqua.
Si sentirono subito meglio, refrigerati un poco dal liquido fresco che gli scendeva nello stomaco, cancellando la secchezza e i groppi in gola dovuti alla tristezza. Tuttavia essa continuò a inumidire gli occhi dei due per il resto della durata della missione.
 
Dall’altra parte della città anche la squadra di Hanji mostrava segni di irrequietezza. Armin guardava fisso davanti a sé, quasi sordo a qualsiasi rumore, dal lieve soffio del vento alle sporadiche raccomandazioni della caposquadra. La sua mente era tornata ai suoi amici, coi quali sei anni prima aveva dovuto vivere la tragedia. Si chiese se loro avessero trovato qualcosa o se, come lui non riuscissero neanche a concentrarsi.
Tuttavia giunse alla conclusione che entrambi erano forti abbastanza da tenere la situazione sotto controllo e si impose di fare altrettanto.
-Ehi, ho trovato qualcosa qui!- chiamò Historia da dietro un masso che aveva demolito un’abitazione.
Armin venne scosso dai suoi pensieri e si rese conto di trovarsi di fronte alla vecchia casa di Eren, distrutta.
-Che cosa c’è Historia?- domandò Hanji voltandosi verso la ragazza, la quale rispose indicando un punto sotto le macerie: -Mi sembra che ci sia un passaggio sotterraneo qui sotto.-
-Arlert…- chiamò poi la donna, notando lo sguardo perso del giovane –è questa?-
-Sì.- fu la risposta –la casa è questa.-
-Molto bene. Due di noi aspetteranno qui in attesa che tutte le squadre abbiano confermato che la loro zona d’azione è pulita con un segnalatore verde.- ordinò la caposquadra -Gli altri tre continueranno il giro. Quando tutti e sei i nostri gruppi avranno dato il via libera, fate in modo che tutti localizzino la casa lanciando un razzo giallo.-
-Sissignore.- risposero all’unisono i ragazzi.
Si decise che sarebbero stati Armin e Historia di guardia alla casa, mentre Hanji, Jean e Sasha avrebbero portato avanti la perquisizione.
 
Trascorse un’altra mezz’ora che parve essere un’eternità, poi si intravidero i primi fumogeni verdi alzarsi nell’aria.
“Non sono quelli del gruppo di Eren” pensò il ragazzo, scrutando le scie che si innalzavano dai quartieri a sud di Shiganshina.
-Stranamente non è ancora stato avvistato nessun gigante.- mormorò Historia, attirando l’attenzione del compagno di guardia, che tuttavia non rispose.
Nella sua testa invece infuriava una tempesta di ragionamenti e domande sulla curiosa situazione in cui si trovavano.
-Armin.- disse ancora Historia, guardandolo dritto in volto –ti senti bene? Hai la faccia di uno a cui sta per esplodere il cervello.-
Lui ricambiò lo sguardo, studiando attentamente la sua interlocutrice. La trovava molto carina come sempre e probabilmente in un’occasione qualsiasi si sarebbe voltato da un’altra parte per l’imbarazzo di essere da solo con lei. Ciononostante non ci riusciva. Qualcosa era cambiato in lei, sia nell’atteggiamento, sia nella luce che aveva negli occhi, perfino nel modo di esprimersi. Per certi versi ricordava Ymir.
Armin non poteva fare a meno di avvertire questo mutamento.
-Sto bene.- rispose –Sono solo un po’in pensiero.-
-Per Eren e Mikasa?- chiese lei.
-Non solo.- mormorò corrugando la fronte –Tutta questa operazione ha qualcosa di strano. Non so perché, ma ho come la sensazione che qualcuno ci stia tendendo una trappola.-
Historia non fece in tempo a ribattere, poiché in quell’istante vennero lanciati i restanti quattro fumogeni verdi dalle altre squadre.
Il ragazzo si alzò in piedi e caricò il lancia razzi con un segnalatore giallo.
-Comunico la nostra posizione.- annunciò.
Poi fece fuoco e una scia gialla comparve danzante nel vento al di sopra di lui.
 
ANGOLO AUTORE
 
Salve a tutti,
perdonate l’assenza, sono stato un paio di settimane in montagna, ma ora eccomi qui con un nuovo capitolo, che spero vi piacerà.
Fatemi sapere le vostre impressioni con una recensione. Sono sempre aperto alle critiche costruttive (e anche ai complimenti ovviamente ;).
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Capitolo 6
*** 5. Giganti anomali ***


-Un fumogeno giallo!- esclamò Eren puntando il dito nella direzione da cui si era innalzato il segnalatore.

-A quanto pare hanno trovato l’obbiettivo.- sentenziò il capitano Levi –Hanji aveva dato a ciascun caposquadra l’ordine di lanciare un razzo giallo per segnalare un eventuale punto di ritrovo.-

-Ma signore- intervenne Connie –non avrebbero potuto indicarci Eren e Mikasa dove si trovasse la loro casa?-

-Certo che sì.- rispose il suo superiore.

-Ma allora perché…- tentò di chiedere il ragazzo.

-Questioni di coordinamento.- fu la risposta –Dovevamo prima controllare il distretto e il fumogeno doveva servire semplicemente a segnalare la posizione alle squadre dove non erano presenti Eren, Mikasa e Armin. In questo modo il luogo preciso sarebbe stato individuabile da tutti nel minor tempo possibile.-

Detto questo Levi li scrutò in faccia severo, come per assicurarsi che le sue parole fossero state comprese fino in fondo, poi diede l’ordine di dirigersi sul luogo dell’obbiettivo servendosi del movimento tridimensionale.

Subito si ritrovarono a volteggiare sopra la città, saltando tra i tetti nel vento ancora fresco a causa delle pesanti piogge dei giorni precedenti.

Eren e Mikasa, vedendo in lontananza le macerie della loro vecchia abitazione che si avvicinavano sempre di più, a una velocità quasi spaventosa, sentirono letteralmente i loro cuori, che ormai credevano temprati dalla crudeltà che si erano trovati ad affrontare, perdere un battito.

Mai avrebbero dimenticato quelle immagini. Quei suoni terribili di carne e ossa maciullati. Gli odori, il sangue e la polvere. Infine, il sale delle lacrime e la paura.

In quel momento più che mai si ritrovarono a vivere di nuovo quei ricordi.

Si rivolsero uno sguardo colmo di angoscia e si accorsero di starsi supplicando a vicenda perché l’uno sostenesse l’altro.

Allora lui decise di sorriderle, accendendo nei suoi occhi una luce che facesse percepire alla ragazza il suo appoggio. Lei parve afferrare e ricambiò.

Il loro capitano li teneva d’occhio senza farsi notare. Si sentì positivamente sorpreso dalla loro reazione al dolore. Non doveva assolutamente avvenire che i suoi uomini perdessero la testa.

Giunsero a destinazione in poco tempo e Connie ricevette l’ordine di unirsi alle retrovie, che avrebbero formato un anello difensivo attorno all’area.

Hanji li attendeva impaziente. Lei sarebbe scesa nella stanza sotterranea insieme a Eren e Levi.

Mikasa si sarebbe aggiunta alla squadra di Armin come ultima linea di difesa intorno al sito della ricerca. Il loro compito principale era di fornire appoggio immediato in caso di pericolo, per permettere ai tre nel sotterraneo di uscire e mettersi in salvo.

Una volta presa posizione da tutte le unità di pattuglia, tra cui ve n’era anche una che avrebbe sorvegliato la situazione esterna alle mura, ebbe inizio l’operazione.

Innanzitutto si procedette alla rimozione delle macerie, che ebbe luogo grazie all’utilizzo di funi, reti e cavalli. Durante il processo furono rinvenute anche delle ossa consumate dal tempo, che vennero accuratamente occultate a Eren e Mikasa.

In pochi minuti riuscirono a creare un passaggio sufficientemente largo perché il ragazzo e i due ufficiali vi passassero.

Così avvenne, ma una volta che si furono trovati davanti all’ingresso trovarono la porta socchiusa. Rimasero per pochi istanti a fissare il chiavistello, che aveva ceduto senza neanche che la chiave venisse infilata al suo interno. Bastò una leggera spinta e furono dentro.

Accesero una torcia per vedere meglio e rimasero con gli occhi sbarrati per lo sconcerto.

La stanza era completamente vuota.

-Com’è possibile? – mormorò Eren con voce rotta –Com’è possibile?!- urlò subito dopo.

Venne assalito tutt’a un tratto dal peso della situazione. Non potè fare a meno di pensare all’immenso dispendio di vite e di risorse che era stato compiuto fino a quel giorno, con la speranza di giungere ad una risposta, solo per non trovare nulla.

Levi recuperò il senno all’istante e gli mise una mano sulla spalla, chiamandolo alla realtà: -Eren! Non è il momento di perdere la testa. Cerchiamo indizi per capire cosa sia successo qua dentro. –

Detto ciò iniziò a passare una mano sulle pareti, finchè non trovò quello che cercava.

-Qui. – disse, soffermandosi su una parte del muro – qui prima c’era qualcosa, che poi è stato rimosso. Lo si capisce perché non c’è traccia di polvere in questa zona. –

Hanji fece scorrere il dito nel punto indicato e dovette convenire che al tatto era percepibile una notevole differenza.

-Ma chi potrebbe essere stato? – domandò toccandosi il mento pensosamente –mi viene da pensare a qualche contrabbandiere, ma escluderei questa opzione. –

-Potrebbe trattarsi di qualche fanatico del culto delle mura? – ipotizzò Levi – magari qualcuno desideroso di proteggerne i segreti, ora che noi sappiamo troppo. –

-Anche questa pista mi sembra piuttosto azzardata- non nascose la caposquadra – tuttavia mi sembra più plausibile. –

Finito di dire ciò le cadde l’occhio su una piccola pergamena sporca, che era stata abbandonata sul pavimento.

Si chinò per raccoglierla e la esaminò insieme ai suoi due compagni, che si erano accucciati di fianco a lei. Non era altro che il frammento di una mappa, che mostrava strane terre mai viste da nessuno di loro.

-Che cos’è questa roba scura che circonda la terra ferma? – chiese il capitano alludendo alla raffigurazione dell’oceano.

Eren, memore dei racconti letti sul libro che Armin gli aveva mostrato in gioventù, lo capì subito ed esclamò: -È il mare! –

Hanji e Levi gli rivolsero un’occhiata interdetta ed il ragazzo spiegò: -So che un tempo veniva chiamata “mare” un’immensa distesa d’acqua salata che circonda tutta la terra asciutta. –

I due si guardarono negli occhi e poi fissarono nuovamente la mappa.

-Quindi, se è come dici…- mormorò la donna –questa potrebbe essere parte della la nostra terra…-

Non potè dire altro, perché improvvisamente venne dato l’allarme. A quanto pareva erano stati avvistati dei giganti nelle vicinanze.

 Mikasa si precipitò a chiamarli fuori dal sotterraneo e subito ne uscirono per raggiungere la scorta sulle mura per chiedere aggiornamenti. Lì vennero informati della presenza di undici giganti dal comportamento estremamente anomalo.

Hanji a sentire queste parole si elettrizzò come non mai e corse sul luogo dell’avvisamento per vedere di persona. Quello che si trovò davanti la sconvolse non poco e lo stesso valse per i suoi compagni.

Gli anomali erano diversi da qualsiasi altro titano avessero mai visto. La loro altezza era estremamene ridotta: a malapena raggiungevano i tre metri.

Ma il dato più sconcertante era che indossavano abiti e impugnavano armi di notevole fattura, seppur primitive.

-Razza di imbecilli! - strillò la caposquadra delusa – questi non sono giganti, sono esseri umani! -

 Sui volti di tutti si dipinse un’espressione a metà tra l’attonimento e il sollievo.

Le vedette cercarono di scusarsi balbettando un: -Ma sono enormi! – al quale fu ribattuto con un verso di stizza.

Tuttavia, nonostante si trattasse di uomini, era necessario verificare che non rappresentassero una minaccia, pertanto i superiori si diressero nella loro direzione per accoglierli.

Quando gli intrusi si accorsero dei militari, si misero in guardia e uno di loro, che sembrava avere all’incirca cinquant’anni si fece avanti. Probabilmente si trattava del capo.

Erano già all’interno del Wall Maria, quindi l’incontro ebbe luogo all’interno delle mura.

Hanji si avvicinò all’uomo e gettò le armi per far capire che non aveva cattive intenzioni, ma ciò non servì a far rilassare quei viaggiatori, che da vicino sembravano ancora più grossi.

-Salve. –esordì la donna –vi trovate all’interno delle mura del distretto di Shiganshina. Potreste dirci chi siete e cosa vi porta qui? –

Quelli per tutta risposta si guardarono l’uno con l’altro, borbottando cose incomprensibili.
Hanji dedusse che non parlassero la loro stessa lingua e la cosa la affascinò moltissimo.

Dunque il capo si rivolse al membro più anziano della loro compagnia e gli disse queste parole: -Uxi, getur þú talað tungumálið sitt? -
A questo punto il vecchio si fece avanti dicendo: -Já, certo io conosco loro lingua. – e rivolgendo ai soldati un sorriso sdentato accompagnato da una risata gracchiante. Nei suoi occhi si leggeva una calma infinita.
-Io sono Uxi Ymirson. – si presentò –piacere mio. –

 

ANGOLO AUTORE

 

Uff, c’è voluto un po’, ma finalmente i miei adorati vichinghi sono entrati in contatto coi personaggi principali. E ora che altro capiterà? Per scoprirlo…vi aspetto al prossimo capitolo!
Skrill rider

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