Assomigliavi alla felicità.

di missiswolf03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima. ***
Capitolo 2: *** D'improvviso. ***
Capitolo 3: *** Io ti aspetto lo stesso ***
Capitolo 4: *** Il est temps de se retrouver ***
Capitolo 5: *** Forever, you said ***
Capitolo 6: *** Blown away in the summer breeze ***
Capitolo 7: *** A shimmering light ***
Capitolo 8: *** I'll never be her... ***
Capitolo 9: *** Questa notte è ancora nostra - Parte 1 ***



Capitolo 1
*** Prima. ***


10 Agosto 2022

 

Prima

 

- Gio, hai finito di preparare le tue cose per domani? La sveglia è all'alba, non avrai tempo per finire prima di uscire di casa!

Sbuffo, infastidita. La mamma me l'avrà chiesto minimo sette volte solo nelle ultime tre ore.

- Si, mamma, si!! Smetti di chiedermelo!!-, rispondo, visibilmente alterata.

So badare a me stessa.

E poi è una valigia più bagaglio a mano, per la miseria.

Il resto arriverà in Inghilterra con la ditta dei traslochi.

- Okay amore, scusa, sai com'è, lo stress...

Mia madre entra in camera mia senza bussare, come ormai fa da sempre. Ho smesso di dirglielo tre anni fa, era una causa persa.

- Si mamma, lo so che sei stressata per il trasloco e tutto il resto, ma non potresti sederti un attimo e farti un riposino? Stai diventando asfissiante.

Mi lancia un'occhiata truce, alla quale rispondo con un sorrisino angelico.

Sospira.

- Beh, hai ragione, penso che ci proverò... Piuttosto, hai finito di stilare le canzoni da mettere nella playlist per il volo? So bene che senza musica non dormi, ma se non ti sbrighi a consegnare la lista al babbo, dovrai riuscirci.

Rabbrividisco al pensiero di un viaggio in silenzio o, peggio, con le canzoni dell'aereo.

- Adesso ricontrollo la lista, così quando torna gliela do.

Mamma annuisce piano.

La guardo, sbattendo gli occhi e sorridendo.

Lei, ovviamente, non coglie il mio velato invito ad uscire, così sbuffo, alzando gli occhi al cielo, e le indico la porta.

- Ah! Certo tesoro, scusa. Vado a riposarmi.

Mi lascia un bacio sulla guancia ed esce dalla stanza.

Senza chiudere la porta.

Roteo gli occhi, ma mi scappa un sorriso. Sapevo che sarebbe successo. La conosco troppo bene.

Mi alzo, chiudo la porta e torno a buttarmi sul mio letto-divano.

Con la mano, cerco di arrivare al pomello del cassetto che si trova sotto di me, incorporato nella struttura.

Dopo svariati tentativi andati a vuoto, riesco finalmente ad aprirlo e, a tastoni, cerco la famosa lista.

Quando la trovo e la tiro fuori, noto con orrore che è tutta stropicciata in un angolo e che, dietro, mia sorella dodicenne Ilenia ci ha amorevolmente disegnato un prato fiorito. Con i pennarelli.

Risultato: il colore è passato davanti, rendendo pressoché illeggibile la lista per chi già faticava a decifrare la mia scrittura.

Combattuta tra il desiderio di affondare la testa nel cuscino per la disperazione e l'impulso di andare a decapitare la minore delle mie due sorelline, alla fine mi alzo e, in due passi, arrivo alla scrivania.

Mi lascio cadere in maniera molto poco aggraziata sulla sedia di plastica rosa, raccatto un foglio dal blocco accanto a me e prendo l'unica penna che mi è rimasta nel portapenne, affollato di cianfrusaglie varie.

Ovviamente, non scrive.

Sempre più convinta che oggi il mondo sia contro di me, esco da camera mia e comincio a bussare alla porta di mia sorella Cecilia.

Dopo un'eternità di attesa, mia sorella apre, stizzita, con le cuffie nelle orecchie.

- Che vuoi?

Ah, i sedicenni, sempre così bendisposti...

- Una penna che scriva.

Mia sorella esprime tutta la sua frustrazione afferrando la prima penna che trova e, per usare un eufemismo, lanciandomela amorevolmente.

Poi mi sbatte la porta in faccia.

Quanto affetto.

Però in fondo ci vogliamo bene.

Ritorno trionfante alla mia scrivania e comincio a trascrivere le canzoni.

O meglio, vorrei.

- E a voi chi vi c'ha messo in lista?-, esclamo, dopo aver trovato un paio di titoli che devo aver inserito sovrappensiero, o per fare numero. Ma cento tracce sono anche troppe per due ore di volo circa.

Faccio una piccola revisione, cancellando alcuni titoli e aggiungendone altri. Alla fine, sono contenta del risultato.

Scorro l'elenco con gli occhi, e ora che non sono più concentrata lascio che la mia mente vaghi, riportandomi ai momenti speciali che ognuna di loro ha significato per me...

E, guarda caso, il protagonista è sempre lui.

 

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Capitolo 2
*** D'improvviso. ***


D'improvviso – Lorenzo Fragola

 

19 Giugno 2020

 

La ciocca di capelli ribelli mi cade per l'ennesima volta davanti agli occhi.

Provo a spostare il ricciolo soffiando, ottenendo come unico risultato di fare un gran baccano e ottenere un'occhiataccia della prof.

Dopo averla sistemata accuratamente dietro l'orecchio, riporto l'attenzione alla verifica già completa situata sul mio banco.

Potrei consegnare, ma non mi va di essere la prima, metti caso passassi per una secchiona troppo sicura di sé davanti alla professoressa Zampieri e a tutta la classe...

No, meglio di no.

Ricontrollo quei venti esercizi per l'ennesima volta, ricalcolo pure alcune espressioni, tanto per far passare un po' di tempo.

Dopo dieci minuti, comincio a perdere le speranze, e ormai ho finito le idee per far credere alla donna dietro la cattedra che abbia creato una verifica difficilissima e che mi trovi ancora in alto mare, cosa assolutamente improbabile dato che si tratta di un ripasso.

Mi guardo intorno, ma le facce dei miei compagni non mi rassicurano affatto.

Asia, la mia migliore amica, sta facendo finta di tirare delle testate al banco.

Miriam, un'altra mia cara amica, fissa il vuoto.

I ragazzi sembrano spersi.

Uff.

Potrei aspettare ancora, ma rischio d'impazzire se continuo a fissare un foglio per altri quindici minuti.

Tiro indietro la sedia, cercando di fare meno rumore possibile, e faccio per alzarmi, quando un sussurro mi arriva all'orecchio.

Giro la testa nella direzione da cui è arrivato, e incontro due occhi neri come la pece.

- Pss, Alisi, dammi una mano.

Kilian.

Sento un impulso rabbioso crescermi dentro.

Quanto lo odio.

È arrivato in questa classe da quattro mesi e già ha combinato troppi danni.

Con quella pelle scura, i capelli neri che gli arrivano alla mascella e gli occhi da predatore, ha proprio la tipica aria da bad boy. Per non parlare poi dei vestiti extra large che porta e del suo “profumo” da strada.

Una cane randagio e rognoso.

Lo guardo torva, poi però prendo un pezzetto di carta e comincio a scrivere.

Non lo vedo, ma so che sta sorridendo, fiero di aver trovato il modo di risparmiarsi un'altra insufficienza.

“Ride bene chi ride ultimo, Kilian.”

Ripiego il bigliettino con cura, poi mi alzo, stavolta senza prestare attenzione al rumore stridente che produce sfregando sul pavimento, e mi dirigo verso la cattedra.

Durante il tragitto, sto ben attenta a passare accanto al suo banco.

Quando ci arrivo, lascio scivolare il foglietto nell'astuccio con molta nonchalance e proseguo.

Il ragazzo si affretta a prenderlo, nascondendosi dietro l'astuccio, e lo apre velocemente. Nello stesso momento, poso il mio compito davanti alla Zampieri e torno verso il mio posto.

Quando alza gli occhi e li punta nei miei, vedo la rabbia dipinta sul suo volto.

Un sorrisetto da bastarda nasce spontaneo sulla mia faccia mentre gli passo accanto.

- Dovevi studiare prima, Brjshna.-, sussurro.

Forse questo non dovevo farlo, infatti me ne pento subito dopo.

Kilian si alza di scatto, facendo voltare tutti verso di noi, e inizia a urlare.

- Dovevo studiare prima?! Ma che cazzo ne sai te, che vivi nel tuo mondo perfetto fatto di soldi e affetto?! Sei proprio una bambina di merda, cresci!

 

*

 

Mi sveglio di soprassalto, ansimante.

Ancora lui.

Ormai sono passati tre anni dal nostro ultimo incontro, in terza media.

Eppure, nonostante non ci parliamo più da allora...

Mi manca.

E tanto anche.

È vero, il nostro rapporto non è iniziato nel migliore dei modi, ma dopo...

Dopo sono cresciuta.

Siamo cresciuti insieme, in realtà.

Da metà seconda media fino al giorno del suo esame, siamo stati quasi inseparabili.

Quasi.

Già negli ultimi mesi di scuola ci stavamo allontanando, piano piano, in maniera impercettibile.

Fino a quell'ultimo saluto, che voleva sembrare un “a domani”, ma che aveva tutta l'aria di un “a mai più”.

E vabbè, mi hanno detto tutti.

No, invece.

Dopo tre anni io ancora non riesco a non pensarlo.

E la cosa che mi distrugge di più è la consapevolezza che lui, a me, non ci pensa.

- Giorgia Alisi, hai esattamente venti secondi per scendere a fare colazione!

Asia mi chiama dall'altra stanza.

Come diamine ha fatto ad alzarsi così presto? Quando ci siamo addormentate erano le sei e venti... E ora sono le nove e mezza. Bah. Super poteri.

- Arrivooooo.

Balzo giù dal letto di Emma, la sorellina della mia migliore amica, che in questo momento è in vacanza con le nostre famiglie.

E noi invece ci godiamo la meritata pace in solitudine.

Che bello avere diciassette anni.

Entrando in cucina, il profumo di cioccolato mi stuzzica l'olfatto, provocando come conseguenza il brontolio della mia pancia.

- Vedo che il tuo stomaco è sveglio!-, ridacchia la ragazza alta e magra che sta armeggiando sul bancone della cucina.

- Solo lo stomaco, tranquilla, il resto è ancora addormentato...

Ridiamo entrambe.

- Mangia va'.-, dice con voce ridente mentre mi mette davanti una fetta di torta ancora fumante e una tazza di caffèlatte.

- Grazie Pimpa.-, rispondo, dandole un bacio sulla guancia.

I soprannomi idioti che ci siamo date in quinta elementare sono rimasti invariati, ma noi siamo cambiate tantissimo da allora.

Siamo maturate, abbiamo imparato dai nostri errori, abbiamo litigato, ma alla fine siamo sempre rimaste unite. È come una terza sorella per me.

Do un morso alla delizia che ho davanti.

È buonissima. In poco tempo, non rimangono che le briciole.

Scolo la bevanda e metto la tazza a lavare, vado in bagno, mi lavo i denti e torno in camera.

Apro l'armadio, alla ricerca di qualcosa di decente da mettermi per andare a fare una sessione intensiva di shopping.

Alla fine opto per un paio di pantaloncini chiari con del merletto in fondo e una canotta verde scuro, con le mie amate sneakers nere a concludere il tutto.

Volo di nuovo in bagno, mi do una passata di mascara, un filo di rossetto color caramello, sistemo i capelli e voilà, sono pronta.

- Pimpa, muoviti, su!

Asia fa una specie di salto sulla sedia su cui è seduta, facendomi scoppiare a ridere. Si sarà pure alzata prima, ma ha pur sempre dormito poco meno di tre ore, e non è abituata alla cosa, al contrario della sottoscritta.

- Scema di una Bimba, smetti di ridere e andiamo, su, che sennò poi è tardi è c'è un traffico infinito!

- Okay... Chi arriva ultimo è un mollusco!

Ho detto che eravamo maturate? Beh, forse siamo ancora due bambine sotto sotto.

Scendiamo le scale di corsa, facendo due scalini per volta, ridendo e spintonandoci.

Adoro questi momenti.

- Prima!-, esclamo, una volta davanti alla macchina.

- Si, si, prima... Ma tanto finché non arriva la Gaia siamo bloccate all'Impruneta.

Umpf, è vero, senza di lei non andiamo da nessuna parte.

A meno che non vogliamo spingere la macchina fino a Firenze.

Diciamo che non è una mia priorità, al momento.

Mi appoggio alla vettura, e tiro fuori il cellulare.

Nove chiamate perse da un numero sconosciuto.

Corrugo la fronte, mentre fisso il numero, cercando di ricordare se qualcuno di cui non ho il numero dovesse chiamarmi.

Niente.

- Asia, conosci questo numero?

Mostro il telefono alla ragazza, che prova a digitare il suddetto sulla sua tastiera, senza alcun risultato.

Decisa a scoprire chi si sia messo a chiamarmi per ben nove volte e, soprattutto, cosa caspita voglia e come mi abbia trovata, mi decido a richiamare.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Quattro...

- Giorgia?

Quella voce.

Riattacco.

Guardo Asia con occhi sgranati, e lei mi fissa senza capire.

Allora richiamo ancora il numero, e metto il vivavoce.

Altri tre squilli.

- Gio? Sei tu?

Asia spalanca la bocca e riattacca.

Ci guardiamo, senza parole.

Il mio sguardo si sposta dalla sua faccia al cellulare.

- Che faccio?-, chiedo poi. Sono così confusa...

- Ovvio, richiami e senti cosa vuole! Sono troppo curiosa!

Vorrei ribattere ma ha ragione, e poi anch'io muoio dalla voglia di sapere cosa voglia.

Prendo un respiro profondo, poi ricompongo il numero per la terza volta.

Stavolta risponde subito, con voce stizzita.

- Allora, se è una presa per il culo non è div-

- Ciao, Kilian.

Il ragazzo si ammutolisce, mentre io trattengo il respiro.

Dall'altra parte della cornetta il silenzio si prolunga per qualche secondo, e ho quasi paura che abbia messo giù.

Magari è uno stupido scherzo. Ne sarebbe capace.

Ma dopo tre anni di silenzi?

No, deve per forza aver bisogno di qualcosa.

- Kilian Akash Xaji Brjshna, perché mi hai chiamato? E non dire che ti mancavo perché non ci credo.-, sbotto alla fine, decisa a chiudere la conversazione il prima possibile.

Sospira.

Adesso riattacca, ne sono sicura.

- Giorgia Giuseppa Giancespuglio Alisi, chiariamo un paio di cose;

primo, se perdo i numeri di telefono non è colpa mia, secondo, ovvio che mi mancavi, sei pur sempre il mio cespuglio preferito, e, terzo, devo per forza avere un buon motivo per chiamarti? Sei diventata una vip che non ha più tempo per me?

Lo dice con quella sua voce da cane bastonato che sa benissimo essere una specie di mio tallone d'Achille. E il fatto che si sia ricordato questo, oltre a tutti i miei soprannomi dell'epoca, mi fa ridacchiare.

Ecco, lo sapevo; non sono riuscita a fare la dura nemmeno per due minuti.

- Ki, ovvio che ho tempo per te, ma ti rendi conto che sono passati tre anni dall'ultima volta che ci siamo detti qualcosa?

Ripensare a tutto questo tempo mi provoca una fitta al cuore.

Se solo sapesse che non ho mai smesso di pensare a lui...

- Tre anni, che vuoi che siano, Gio... Io ancora sono fermo alle medie con la testa, perciò per me non è cambiato molto.

- Solo con la testa? Vuoi dirmi che finalmente sei riuscito a passare?-, ribatto, velenosa.

Mi ricorda troppo i nostri vecchi scambi, a colpi di battutine e frecciatine, che spesso capivamo solo noi.

- Quanta fiducia in me, eh, ti voglio bene anch'io...

E stavolta rido, rido come quella volta in cui mi scrisse la stessa cosa sul quaderno degli appunti. Risi così forte che la professoressa Degl'Innocenti smise di spiegare per guardarmi storto. Fortuna che mi adorava, fosse stato il prof. Guerra sarei stata sbattuta fuori sicuramente.

Asia mi guarda, come se fossi pazza, ma dato che conosce il soggetto sorride anche lei, forse immaginando cosa possa aver blaterato.

- Salutamelo.-, mima con le labbra.

- Asia ti saluta, Caprash.

- No, Asia! Che bomber, come se la passa?

- Chiediglielo tu stesso.-, esclamo, dando il cellulare alla mia migliore amica.

Le sue facce sono impagabili, soprattutto quando ad un certo punto urla “Brjshna, io ti giuro che ti ammazzo!”, facendo girare tutte le persone presenti nella piazza-parcheggio, mentre io quasi rotolo per terra dalle risate.

Asia vorrebbe sotterrarsi, lo capisco dalle sue gote che da rosa pallido sono diventate rosso peperone. Si affretta a salutare il ragazzo, sempre promettendogli una morte prematura, e mi restituisce il cellulare.

- Posso sapere cosa le hai detto, scemo? Dev'essere stata roba pesa...

- Mh, naaaah...

Se la ride sotto i baffi, il bastardo.

Quanto mi mancava...

All'improvviso, una voce familiare mi arriva alle orecchie.

- Interrompo qualcosa?

Gaia arriva, con la sua solita camminata “sciallata” e il sorrisetto che lascia intendere cosa pensa di aver interrotto.

Le mostro con amore il mio bellissimo dito medio, mentre Asia le batte il cinque.

Come diavolo mi è saltato in mente di far incontrare queste due?

Mi sono tirata la zappa sui piedi da sola.

- Cespugliolo, ci sei? Hai sentito cosa ti ho chiesto?

La voce di Kilian nell'orecchio mi spinge a riportare la mia attenzione sulla nostra conversazione.

- No, scusa Ki, mi hanno distratto. Dicevi?

- Ti ho chiesto se saresti disposta a darmi ripetizioni di letteratura. Sai, dopo la bocciatura in prima vorrei evitare di ripetere l'esperienza...

Finalmente il motivo della telefonata esce fuori. Forse dovrei sentirmi indignata, o usata, ma la verità è che non m'interessa perché ha chiamato. Mi basta poterlo avere ancora vicino.

- Ma certo! Un ripasso del programma farà bene anche a me. Quando vuoi che ci troviamo?

Il mio entusiasmo deve averlo lasciato spiazzato, perché per un momento cala il silenzio. Dura solo un attimo però, il tempo di un respiro, poi la voce roca del ragazzo mi arriva nuovamente alle orecchie.

- Okay, beh, che ne dici di giovedì? Pensavo verso le 16, in biblioteca...

Storco il naso. La biblioteca è il posto meno adatto per dare ripetizioni.

- Giovedì alle 16, andata, ma vieni alla vecchia casa dell'Asia, sai quanto casino ci sia in realtà in biblio.

- Bono, ci vediamo allora! Bella, Gio!

- Ciao, Ki...

Prima di poter aggiungere altro, il giovane ha già riattaccato.

Sospiro, ma sorridendo. Non cambierà mai.

Mi giro e mi ritrovo sotto lo sguardo inquisitore delle mie due amiche.

- Che avete? Non posso nemmeno chiacchierare con un ragazzo che subito pensate male? Siete davvero impossibili!-, sbotto, mentre le due arpie si scambiano sguardi d'intesa.

Un bel facepalm ci starebbe proprio bene, adesso.

- Sentite -, dico alla fine, - sono stanchissima. Non penso che verrò a fare shopping con voi, mi dispiace. Salutate la Marta da parte mia.

E prima che possano ribattere, mi dirigo verso la nuova casa di Asia.

Non so bene cosa mi sia preso, ma non avevo voglia di passare del tempo con altre persone dopo aver parlato con lui.

Forse voglio solo riflettere.

Entro in casa, mi butto sul letto e mi metto le cuffiette.

Riproduzione casuale.

D'improvviso di Lorenzo Fragola.

Non penso ci sia canzone più azzeccata di questa al momento.

Chiudo gli occhi, persa nella melodia dolce della canzone, e intanto rifletto.

Voglio un mondo di bene a Kilian.

Ma forse, ancora una volta, gliene voglio troppo.

E se diventassi ancora una volta dipendente da lui? Se ci ricascassi?

So bene che non è una cosa da prendere sottogamba, potrei davvero risentirne.

Come lo spiego ai miei amici? Gli avevo promesso che non l'avrei mai più frequentato.

Cazzo, che confusione.

Affondo la testa nel cuscino, indecisa se urlare o meno.

Avrei dovuto dire no.

Ma non volevo dire no.

Mi tiro su a sedere, con una consapevolezza appena nata che mi ronza in testa.

Non voglio separarmi ancora da lui.

Chi se ne frega di cosa dicono gli altri, giusto?

È quello che voglio io che importa.

E sono sicurissima di essere abbastanza grande per non cadere più ai suoi piedi.

La canzone finisce, e con lei finiscono anche i miei dubbi.

Sono pronta a riprovarci. Sono determinata a riuscirci.

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Capitolo 3
*** Io ti aspetto lo stesso ***


Per Sempre – Gionny Scandal ft. Giulia Jean

 

24 Luglio 2018

 

Un anno. È già passato un anno senza dirci una parola.

Ho iniziato una nuova scuola, ho conosciuto altre persone, ho cambiato il mio aspetto, ma niente...

Ogni volta che ti vedo per strada torno a quei giorni insieme.

Ogni volta che ti vedo salire in Cap, per poi ignorarci, è un po' come rivivere quel momento di ormai tanto tempo fa.

Dovevi solo mantenere la promessa.

Non era difficile, Ki.

Avrei fatto meglio a non rivolgerti mai più la parola.

Ma invece sono una cogliona.

Ed ora eccomi qui, seduta sul muretto della lavanderia sotto la Coop, ad osservare il tramonto che scompare dietro la collina di casa mia, mentre ogni fibra del mio corpo, del mio cuore, desidera scattare in piedi e partire alla ricerca di quel noi perduto.

Quella volta, alla fine, ho lottato.

Nonostante tu avessi commesso un reato e mi avessi mentito in faccia, io sono tornata da te.

E sono tornata non per il tuo pentimento, quello è il motivo che ha fatto riavvicinare gli altri, persino Michele, nonostante avesse paura che tu gli rubassi di nuovo il telefono.

Io sono tornata perché credevo in quel “per sempre” che mi avevi promesso.

Già, che idiota.

Una volta ho letto una frase su Internet, “I per sempre finiscono sempre”, e non ho potuto non pensare a noi, a quanto fossero vere queste parole.

Ora, mentre sfoglio il quaderno degli appunti pieno di pensieri, storie e disegni che abbiamo creato insieme, vorrei solo che le cose fossero andate in maniera diversa.

Ma va bene così.

In fondo, l'ho sempre saputo.

C'ho sperato un anno intero, ma alla fine ho capito che non tornerai. Che non torneremo.

Sospiro, alzandomi in piedi.

Con le mani, cerco di pulirmi dalla polvere che mi si è attaccata addosso e poi faccio per incamminarmi verso casa.

Poi, la sento.

Risate sguaiate provengono dalla stradina di fronte a me. Tutto nella norma, insomma.

Ma tra queste una spicca, o forse è solo il mio orecchio che la amplifica così tanto, ormai sensibilizzato alla sua voce.

Kilian.

È qui.

Una strana sensazione mi attraversa.

Dovrei proseguire per la mia strada.

Eppure, il mio cuore mi spinge ad affacciarmi sul vicolo.

Sbircio da dietro un palazzo, e quando lo vedo le ginocchia mi vacillano.

La solita sigaretta nella mano destra e una birra nella sinistra, che sbuca da sopra la spalla di una ragazza che non ho mai visto, ma che deduco essere la sua ultima conquista.

Tutt'intorno a lui, i suoi amici si divertono a calciare cose a caso, prede di non so quale strano e perverso istinto che li fa divertire rompendo cose.

Deglutisco, mentre le lacrime minacciano di cominciare a scendere lungo le mie guance.

Un guaio, ecco cos'è e cos'è sempre stato.

Eppure... Mentre lo guardo, tutto ciò che riesco a provare è un forte desiderio di guardarlo negli occhi, per tentare di scorgere ancora dietro la sua corazza.

Vorrei solo potergli chiedere perché.

Perché lui è andato avanti? Qual è il suo trucco?

Forse, lui non ha nessun per sempre a cui aggrapparsi.

Beh, a questo punto penso sia più fortunato di me, che invece ne ho uno che non vale niente.

Basta, devo andarmene.

Non serve a niente rimanere qui.

Mi stacco dal muro, e con lo stesso passo felpato con cui mi sono avvicinata, torno indietro.

Poi, un impulso strano mi fa fermare nel bel mezzo del parcheggio della Coop, rischiando di farmi investire da una macchina.

Sto impazzendo, definitivamente.

Così, ignorando il conducente che mi sta suonando il clacson e che minaccia d'investirmi, faccio dietrofront.

Entro nella stradina con passo deciso, guardando decisa davanti a me.

Subito la combriccola si zittisce.

Sento i loro occhi addosso.

Li percepisco guardare il mio vestitino alzarsi e abbassarsi, osservare i movimenti del mio seno e del fondoschiena.

Qualcuno fischia, ma io proseguo, finché non sento una mano stringermi il polso destro.

Mi volto di scatto, pronta a mollare un sonoro ceffone a chiunque abbia usato toccarmi, ma gli occhi che incontrano i miei non sono quelli di nessuno dei ragazzi che stanno fissando la scena.

Mi ritrovo persa in due meravigliosi occhi color acquamarina.

- L-Luca? Che diamine...?

Il ragazzo sorride e, senza darmi il tempo di reagire, mi stringe a sé.

Tutto il nervosismo, tutta la tristezza, ogni tensione scompare tra quelle braccia.

Ricambio, anche se devo alzarmi sulle punte per passargli le braccia dietro il collo.

La nostra stretta è così forte che quasi mi manca l'aria, ma per la prima volta dopo tanto tempo non voglio sciogliere un abbraccio.

Il momento è magico.

Poi, una voce rovina tutto.

- Prendetevi una stanza!

E il gruppo d'imbecilli comincia a ridere a ruota.

Che stolti.

Con mio grande dispiacere, mi stacco da Luca e mi volto.

Sulla mia faccia è palese quanto mi senta infastidita.

Bartek, il ragazzo che ha parlato e che conosco dalle elementari, mi guarda la scollatura.

Fantastico, prima rovina tutto e poi si comporta da pervertito.

E dire che una volta eravamo amici.

Muovo un paio di passi nella sua direzione, decisa a rifargli la faccia, quando Luca mi trattiene nuovamente per il polso, costringendomi a voltarmi verso di lui.

- Non ne vale la pena, ricordi?

Si, ricordo la promessa che ho fatto a me stessa.

Non devo perdere il controllo.

Respiro a fondo.

- Hai ragione, non ne vale la pena. Andiamo, abbiamo tanto di cui parlare...

Riprendiamo la direzione da cui sono arrivata, ma ovviamente non è così facile andarsene.

- E dai tesoro, non te ne andare... Dimmi almeno come ti chiami...

Bartek non demorde, e in un lampo ci sbarra la strada.

- Adesso però mi hai stancato.

Luca, che fino a quel momento mi era sembrato così calmo e pacifico, ha gli occhi che lampeggiano dalla rabbia.

In un gesto involontario, prendo la sua mano tra le mie e la stringo forte.

- Tranquillo, Luca, so cavarmela.

- Hai sentito la bambolina? Cavolo, com'è possibile che non sappia chi sei, piccola tigre? Se vuoi, possiamo conoscerci meglio...

Non ce la faccio più a sopportarlo.

- Bartek, lo sai benissimo chi sono, eravamo vicini di casa fino a due anni fa, cazzo!-, sbotto, stufa.

Devo averlo spiazzato, perché mi guarda a bocca aperta.

- Giorgia? Non puoi essere tu...

Merda, speravo non si ricordasse il nome.

Un rumore di vetri in frantumi mi fa voltare di scatto.

E incontro i suoi occhi.

Riesco a leggerci dentro la sorpresa della rivelazione.

La pece nera di cui sono fatti minaccia di affogarmi.

Come un bambino che è stato scoperto con le mani nel sacco, butta a terra la sigaretta e sposta il braccio, guadagnandosi un'occhiataccia della bionda.

“Sei diversa”, dice la sua espressione.

Magari non volevo farmi riconoscere.

So che mi sta studiando, in cerca della vecchia me, quella ragazzina con le sopracciglia super folte, i brufoli, i capelli riccioli che sembravano una matassa indefinita e qualche chilo di troppo...

Ma non la troverà.

Quella me se n'è andata con lui.

Vorrei urlargli contro di tutto, rinfacciargli ogni dolore, ogni lacrima...

“Mi hai abbandonata”, penso.

Come allora, sembra leggermi nel pensiero, perché stringe i pugni.

Faccio un sorriso amaro.

È sempre il solito.

Non si avvicinerà mai con tutta questa gente che lo idolatra come bad boy.

Ma io lo vedo per com'è davvero.

E, se potesse, adesso ucciderebbe Bartek.

Mi ha abbandonata, è vero.

Ma io non ho abbandonato lui.

“Io ti aspetterò sempre, Kilian”, dico in un ultimo battito di ciglia.

Poi, prima che la cosa degeneri, trascino me e Luca fuori da quella stradina sperduta in paese.

Corriamo fino ad arrivare alla parchetto sopra casa mia.

Esausta, mi lascio cadere sull'erba. Poco dopo anche il ragazzo segue il mio esempio.

Rimaniamo a fissare le nuvole mentre il nostro respiro si stabilizza.

Ho il cuore che va a mille, e non penso sia tutta colpa della corsa...

Ad un certo punto, Luca comincia a ridere dal nulla.

Giro la testa verso di lui, guardandolo stranita.

- Cos'hai da ridere?

Il giovane mi guarda a sua volta, con il suo bellissimo sorriso stampato in faccia, e si tira su a sedere.

- Pensavo che sono appena tornato da un lungo viaggio, ti ho appena rincontrata e mi hai già fatto passare un guaio... Solo tu puoi fare una cosa del genere, Gio...

Il mio stomaco fa una capovolta a sentirlo usare quel soprannome.

- Beh, sai che non mi piace annoiarmi...

Ridiamo entrambi.

Sono felice di averlo ritrovato.

- Dai, raccontami qualcosa del viaggio. Dimentichiamo la nostra disavventura.

- Va bene... Allora dove iniziare... Devi sapere che la Thailandia è fantastica, ci sono dei paesaggi mozzafiato e poi...

Luca si lancia in una descrizione dettagliata dei luoghi che ha visitato, delle persone che ha incontrato, dell'aria che ha respirato...

Racconta tutto, insomma.

Ma proprio tutto tutto.

Annuisco sorridendo, ma dopo il sesto mercato di cui parla, il mio pensiero torna a quel momento, in quel vicolo, a quegli occhi...

“Un giorno, ti giuro, non dovrai più nasconderti. Te lo prometto, Ki”.

 

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Capitolo 4
*** Il est temps de se retrouver ***


I forgive you – Maitre Gims ft. Sia

 

23 Giugno 2020

 

Sono già le 15:50.

Ancora dieci minuti per cercare di far dissolvere quest'ansia che mi porto dietro dalla telefonata di domenica scorsa.

Dieci minuti, e ci rivedremo.

Ci rivedremo davvero, non di sfuggita su un autobus, o in strada, per caso...

Abbiamo fissato un giorno, un'ora, un luogo.

Wow.

L'ultima volta, era prima che iniziasse la terza media.

Ed ora sono seduta al tavolo della vecchia casa di Asia, che i suoi genitori le lasciano usare quando vuole, e mi sto tormentando le dita con un elastico raccattato a un campo di lavoro per il Matogrosso.

Cosa dirò? Saremo imbarazzati? Mi riconoscerà stavolta?

Cavolo, non ero così insicura nemmeno per il primo appuntamento con Luca. Forse dovrei sentirmi un po' in colpa per questo.

Ma non adesso, questo non è decisamente il momento adatto.

Mi alzo dalla sedia, decisa a farmi passare l'agitazione.

Mi sposto in camera e afferro la fotocopia del programma che mi ha mandato via Whatsapp.

Non è che abbiano fatto così tanta roba di letteratura all'Artistico, o almeno, niente che noi al Classico non avessimo perlomeno già accennato gli anni scorsi.

Ho scelto di partire da Ludovico Ariosto con il suo Orlando Furioso che, per qualche oscuro motivo, nella mia testa ha sempre assunto le sembianze di Orlando Bloom.

Ecco, Orlando Bloom si che è una bella distrazione.

Quegli occhi quasi neri, così espressivi, penetranti come frecce appuntite, i capelli scuri...

Minchia, ho appena realizzato che, colore della pelle a parte, assomiglia fin troppo a Kilian.

Perfetto, ho rovinato la mia distrazione preferita e l'ansia è tornata all'attacco.

Guardo l'orologio.

15:55.

E a me che sembrava fosse passato un secolo...

No, basta, non voglio più stare in apprensione, e l'orologio non aiuta, quindi prendo una canottiera che sta in fondo al letto da chissà quanto e lo copro.

Ora va sicuramente meglio.

Afferro al volo la mia copia del libro e mi lascio cadere prona sul letto.

Comincio a sfogliare le pagine in maniera casuale, soffermandomi su pagine casuali e leggendo le note che ho segnato ai margini.

I miei occhi si bloccano su una pagina in particolare.

Col cuore in gola rivivo il momento in cui Orlando trova le iniziali di Angelica e Medoro, la sua pazzia, il suo folle dolore.

Ho sempre vissuto questa parte come un'esperienza personale, l'ho sempre sentita mia. Dopo la quinta volta che l'ho letta, ho cominciato a chiedermi se in realtà io e Orlando non fossimo la stessa persona. Lui aveva la sua bionda, e io... Io avevo Ki. Lui però aveva occhi solo per Elena...

Driiiin drin drin

Il codice. Il nostro codice. È lui.

Cacchio.

Cercando di far sparire il tremolio che mi ha assalito le mani, rispondo al citofono.

- Chi è?

Domanda stupida.

- L'arrotino.

Risposta ancor più stupida, a cui non posso che sorridere.

Scendo le scale saltellando, e in un attimo sono davanti alla porta.

Il tempo di un respiro. Apro.

Ed eccolo qui, davanti a me, con i soliti pantaloni a cavallo basso tirati al ginocchio, le scarpe rotte, la maglia da basket e i capelli legati in un codino.

Kilian.

E nonostante mi fossi ripromessa di non farlo, per un istante mi lascio annegare nei suoi occhi.

Avevo paura di come sarebbe stato rivederlo.

Avevo paura dell'espressione che gli avrei visto addosso.

Avevo paura di non riconoscerlo.

Mai avuto paure più stupide.

- Eccoti.-, dico, sorridendo.

- Eccoti.-, replica lui, ricambiandomi.

Non avrà i denti perfetti, ma il suo sorriso è il più bello del mondo.

-Vieni, dai, non vorrai passare tutto il tempo fermo sull'uscio...

-No grazie, ho già dato, ricordi?

Entrambi ridiamo ripensando a quella volta in cui l'ho tenuto fuori casa solo perché non mi aveva chiamato per dirmi che era tornato, facendomi quasi prendere un infarto.

Mi scosto e lo faccio entrare, poi chiudo la porta.

Saliamo le scale che portano in sala, gli indico dove sistemarsi e faccio per andare a prendere i libri, ma prima che possa muovermi, Kilian mi avvolge tra le sue braccia.

Mi paralizzo, preda di un mare di emozioni contrastanti.

Grosse lacrime mi salgono agli occhi e mi rigano le guance senza che io riesca a impedirlo.

Che la gente ci creda o no, io e Ki non ci siamo mai abbracciati.

Mai.

Solo una volta, ma non era esattamente un abbraccio, ecco. Voleva solamente sentire la differenza nell'abbracciare una “tavolozza” e una “montagna”.

Invece stavolta mi stringe forte a sé con tutta la sua forza, mentre affonda la sua testa nei miei capelli.

- Mi sei mancata, Gio.-, sussurra, mentre il mio cuore minaccia di esplodere. Senza più alcun indugio, ricambio la stretta, appoggiando la mia testa sulla sua spalla.

- Anche tu, Ki, non immagini quanto.

Rimaniamo così, abbracciati, in silenzio, perché tra di noi le parole non hanno mai funzionato granché. Ci parliamo nelle nostre teste, nei nostri cuori.

“Perché non ci siamo riavvicinati prima?”, chiede lui.

“Perché ci siamo allontanati?”, ribatto io.

“Siamo stati stupidi e codardi”, concludiamo insieme.

“Avevo paura di sconvolgere ancora la tua vita, di farti soffrire di nuovo”, spiega.

“Io avevo paura che tu ti vergognassi di me...”

Kilian si stacca, piano, e mi guarda negli occhi.

“Questo mai”

Sorridiamo, finalmente chiariti.

Mi sento come se il mio cuore avesse ripreso a battere solo adesso.

E questo mi spinge a sentirmi ancora più in colpa nei cofronti del mio ragazzo, ma decido che non è nemmeno questo il momento di scervellarmici su.

- Bene, e adesso...

Corro in camera e ritorno da lui in tre secondi netti, per poi far apparire “magicamente” il libro da dietro la mia schiena.

- Ta-daaaan!

Ki sbuffa e fa una smorfia di quelle da fotografare.

Mi sforzo di fare una faccia da dittatrice.

- Non si discute! Prendi posizione, soldato!

- Si, signor generale!

Si cala nella parte, assume la posizione dell'attenti e poi, marciando come un soldatino, si va a sedere. Poi, per completare il quadro, mi guarda con la sua faccina cucciolosa.

Stavolta scoppio in una risata incontrollata, seguita a ruota da lui.

Ah, Kilian Brjshna, cosa mi fai...

Ma oggi l'ho finalmente capito.

Tu non lo fai apposta. Non l'hai mai fatto apposta.

Quando mi hai fatto male... Tu non ne eri consapevole.

Perciò, Kilian Akash Xaji Brjshna, io ti perdono.

Ti perdono, adesso e per sempre.

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Capitolo 5
*** Forever, you said ***


You said you'd grow old with me – Michael Schulte

 

29 Novembre 2020

 

Da qualche giorno fa così freddo che ogni porzione di pelle scoperta è destinata a perdere la sensibilità. I meteorologi hanno annunciato che quello in arrivo potrebbe essere l'inverno più freddo del secolo.

Siamo sulla buona strada.

Con il riscaldamento della macchina acceso al massimo, io e Asia guardiamo i piccoli coni di ghiaccio che si sono formati sulla porta della casa di Sandro, uno dei nostri tutori del dopocresima, in attesa che arrivino anche gli altri.

Da quello che ho capito, oggi dovremmo andare a volantinare per la tombola dell'Immacolata, l'8 Dicembre, e già che ci siamo cercare di convincere i negozianti a darci qualche premio gratis.

Non per vantarmi, ma sono sempre stata bravissima in questo.

- Selene dov'è? Non aveva detto che sarebbe venuta a piedi da casa sua e poi saliva con noi?

Alzo le spalle.

- Sarà per strada, o avrà chiesto un passaggio a Fabian o a suo fratello.

Dopo qualche minuto, vedo una serie di macchine fermarsi nello spiazzo dell'abitazione.

Ci sono Samu, Luca, Fede, la Sara, Edo, Leo, la Totta, la Marghe, la Marti, la Giuly, l'Au e tutti gli altri. O quasi.

Di Selene, nemmeno l'ombra. Però manca anche Fabian, saranno insieme.

In mezzo agli strombazzamenti di clacson di quegli altri idioti, Luca scende dalla sua Mini rossa e si avvicina alla mia Dacia bianca. Con grande protesta di Asia abbasso il finestrino, incurante del freddo che mi sta lambendo il viso.

- Ciao amore.-, dice, avvicinando il suo viso al mio.

- Ciao...-, rispondo, annullando la distanza e facendo scontrare le nostre bocche.

Qualcuno, probabilmente Leone, fischia, ma si becca un bel dito medio da parte di entrambi, senza però separare le nostre labbra.

All'improvviso, preda di non si sa quale foga, Luca approfondisce il bacio, e le nostre lingue si scontrano. Mi tiro su, mettendomi in ginocchio sul sedile e facendo uscire il busto dal finestrino, mentre i fischi si sono trasformati in veri e propri schiamazzi.

Che stiamo facendo?

Non è da noi dare spettacolo in questa maniera, eppure c'è una specie di tensione fra i nostri due corpi che ci spinge a rimanere avvinghiati.

So benissimo cos'è.

Desiderio.

I nostri corpi si reclamano.

Ma ora non mi sembra proprio il caso, né tantomeno il luogo.

La situazione ci sta per sfuggire di mano, quando sentiamo una specie di tosse alle nostre spalle.

Ci stacchiamo di scatto, come se ci fossimo appena svegliati con una secchiata d'acqua gelida che ha spento i bollori.

Sandro ci fissa con disapprovazione, ma vedo che sta cercando di non ridere.

- Se la rianimazione è finita, possiamo anche andare.

Tutti ridono, mentre Luca si gratta la testa, imbarazzato. Dal canto mio, sento la faccia andarmi a fuoco.

Mi affretto a tornare a sedere, sforzandomi d'ignorare le occhiatine allusive di Asia. Mentre tutti gli altri mettono in moto, vedo una Dacia blu che si è appena accodata. È Fabian. Ed è solo.

Questa faccenda non mi convince, non è da lei sparire così. Comunico il fatto a Sandro, che m'invita a chiamarla.

Niente, segreteria.

- Fabian, tu l'hai sentita?

Lo spagnolo scuote la testa, segno che nemmeno lui sa dove sia la sua fidanzata.

- Sa, senti, io vado a vedere a casa sua, voi andate intanto, magari è malata...

Così tutti gli altri partono alla volta dei paesi che circondano la nostra parrocchia, San Pancrazio, mentre io entro in paese.

In tutto ciò, Asia continua a lanciarmi sguardi allusivi.

- Allora... A quando il giorno della grande P?

Le lancio un'occhiata confusa, mentre lei, senza peli sulla lingua come sempre, mi spiega.

- Il giorno della grande penetrazione, amore mio.

Con una mano ancora sul volante e gli occhi sulla strada, le tiro una cinquina sulla coscia, facendola urlare di dolore mentre io, sadica, me la rido sotto i baffi.

- Pensa a spassartela con Eugenio tu.-, ribatto poi.

- Ehi! Io non me la spasso con nessuno, lo motivo nello studio.-, dice, facendo l'offesa.

- Si, ho sentito l'altra notte come lo motivavi bene...

Ora sta a lei arrossire, mentre io rido come una pazza.

- Ehm, beh, si, ecco, insomma, un giorno eravamo a casa vecchia da soli e, insomma, per l'appunto, ecco, si...

- Tranquilla, Pimpa, se sei felice sono felice anch'io.-, la rassicuro alla fine.

Non ci sono mai stati pudori nel parlare tra noi, e non voglio ci siano da adesso, quindi decido di parlarle della mia, di situazione.

- Entrambi lo vogliamo, adesso penso sia palese. Luca l'ha capito prima, ma mi stava aspettando, ora che l'ho capito anche io... Succederà, quando ne avremo l'occasione.

La conversazione da qui in poi è il degenero, con Asia che mi racconta la sua esperienza nel dettaglio, provando a rassicurarmi e a darmi qualche consiglio, come quale intimo indossare in base al giorno della settimana. Che disagio.

Tra una chiacchiera e l'altra, arriviamo davanti casa di Selene.

Noto subito che nel garage manca la macchina di suo padre ma che c'è quella di Sox, suo fratello. Ormai tutti lo chiamano così, in pochi sanno che in realtà si chiama Socrate. Alla loro madre piaceva l'antica Grecia.

Faccio segno ad Asia di aspettarmi in macchina, e armata di coraggio mi avventuro nel glaciale freddo pre-invernale.

Minchia, ancora non è inverno e già siamo sotto zero.

Evvivaaaaa...

Con le suole delle scarpe che minacciano di scivolare sull'asfalto ghiacciato, arrivo al cancello della grande casa e citofono.

Nessuno risponde.

Conoscendo Sox e sapendo per certo quanto ci mette ad arrivare all'ingresso, aspetto un paio di minuti e citofono nuovamente.

Stavolta, dopo un attimo di esitazione che mi fa pensare sia inciampato da qualche parte, la sua voce bassa e calda mi arriva all'orecchio.

- Data la tempistica, scommetto che sei Gio...

Ridacchio.

- Ti ho svegliato, vecchia roccia? Sei tutto un biascichio...

- Zitta va', che hai interrotto il mio pisolino di bellezza, non so se riuscirò mai a perdonarti.-, sghignazza.

- Fammi entrare e basta, altrimenti ti rigo la tua adorata macchina...-, replico, con finto tono angelico.

Nominare la macchina di Sox funziona sempre.

Tempo tre secondi, e il grande cancello in ferro battuto si apre.

Faccio un cenno ad Asia, poi entro nel vialetto che, guarda un po', è completamente congelato.

Rischio quasi di cadere quando, ad un certo punto, Socrate spalanca la porta ed esce sul portico, scalzo e a maniche corte, ma con un berretto di lana in testa, ed inizia a saltare e a urlare cose a caso, e io ovviamente rido come una matta. Fortunatamente, arrivo sana e salva. Quasi, sana e salva.

Si, perché non appena metto piede sulla superficie di legno, due braccia maschili mi stritolano in un abbraccio fortissimo, poi vengo sollevata da terra e improvvisamente sto girando.

- Questo è per aver minacciato la mia macchinina adorata!-, esclama alla fine, dopo avermi finalmente rimesso giù.

Barcollo un po', ma riesco comunque a replicare sottovoce: - Il tuo ferraccio vecchio, vorrai dire.-, beccandomi una finta occhiataccia dal proprietario.

- Comunque ciao, Sox.

- Ciao Picci, scommetto che, oltre che per la mia impareggiabile bellezza, sei qui per mia sorella, ve'?

Annuisco, cercando di non far trapelare che, effettivamente, in prima media avevo avuto una cotta assurda per lui.

Cose che capitano.

- Si, ecco, senti... Sel mi ha detto che non si sentiva molto bene, ha deciso di saltare per oggi, voleva riposarsi un po'.

Annuisco. Povera Sel, non dev'essere facile per lei sopportare tutta questa situazione incasinatissima che si ritrova in casa...

La loro madre è morta pochi mesi fa, in circostanze mai del tutto chiarite.

O meglio, tutti sanno com'è andata, ma non ci sono prove.

Diciamo solo che il padre era da un po' che voleva il divorzio, precisamente da quando Sibilla, la loro figlia maggiore, è morta per uno shock anafilattico dopo una cena con la madre.

Da allora, non è mai stato un uomo molto stabile. Inoltre, ha tanti amici pericolosi...

E la povera Cassandra ci è andata di mezzo.

Adesso, il padre si porta a casa una donna diversa ogni sera, si assenta per giorni, e quando torna è sempre ubriaco, a volte pure fatto.

Tutte le responsabilità sono crollate improvvisamente sulle spalle del ragazzo che ora mi sta di fronte, che ha mollato la facoltà di Scienze Naturali, e quindi il suo sogno da ricercatore, per trovarsi un lavoro che lo aiutasse a pagare le spese della villa.

E poi c'è Selene, che non ha mai superato la morte della sorella, a cui poi si è accumulata quella della madre e quella psicologica del padre...

Un grosso magone mi assale la gola nel ripensare a tutto quello che questi due ragazzi hanno passato.

Sox probabilmente se ne accorge, perché si avvicina di nuovo a me, ma stavolta non mi stritola, mi abbraccia dolcemente.

Quante volte lo ha fatto negli ultimi anni?

È passato dal classico ragazzo irraggiugibile e perso nel suo mondo, a uno dei miei più cari amici.

E anche stavolta, è merito di Kilian.

Una volta, lui era nella sua combriccola, ma poi ha capito che non si sentiva a suo agio in mezzo a quei drogati, soprattutto ripensando alla sorellina che, a soli quattordici anni, era stata ricoverata in un centro per disintossicarsi.

Così se n'è andato, e ha provato a portare via anche Ki, perché anche lui come me si è reso conto che quel ragazzo vale molto di più, ma non ce l'ha fatta.

È stato un incontro casuale, il nostro.

E ora eccoci qui, con io che mi commuovo pensando alla loro storia, e lui che non si è mai fatto vedere a piangerci su.

Io non ne ho il diritto.

Mi scosto, piano, sorridendogli con gratitudine.

- Pensi che possa andare a salutarla? Sai, mi manca così tanto...

Anche Sox sorride.

- Si, penso di si.

Faccio un saltino di gioia, ed entro in casa.

- Ah, e, Giorgia Sofia Tamara Alisi?

La sua voce che pronuncia il mio nome completo mi spinge a voltarmi prima che riesca a raggiungere le scale. Mi guarda con aria divertita.

- Si, Socrate Guillame Burbon?

Io odio il mio nome completo, ma il suo è decisamente peggio.

Ci scambiamo un falso sguardo omicida, trattenendo le risate.

- Grazie per il bene che vuoi a mia sorella. Ne ha bisogno.-, dice infine, con dolcezza.

Sorrido.

- Così mi viene il diabete, Sox. E ora fammi andare da lei. Anzi, vai a dire a quella poverina di Asia che può anche raggiungere Sandro e gli altri se vuole, io un modo lo trovo.

- Ti do un passaggio io, Picci. Vai tranquilla.

E sparisce in direzione della mia macchina.

Che ragazzo da sposare.

Dopo aver salito le scale, giro a destra e mi ritrovo nella parte della villa che era dedicata alle ragazze.

Cammino per svariati corridoi, tutti uguali; questa casa è un labirinto per chi non la conosce. Poi, finalmente, arrivo a una porticina di legno, più consumata rispetto alle altre.

La apro e mi ritrovo in cortile.

Da quando è rimasta sola, Sel non ha più voluto dormire in casa, e si è trasferita nell'edificio annesso, dove, quando ancora potevano permetterselo, vivevano i domestici.

Di solito chiude a chiave, ma so dove sta la riserva, quindi, con le dita che rischiano di staccarsi per il freddo, infilo le mani nella pianta di limoni accanto alla porta e la afferro, poi apro.

- Sel? Ci sei? Sono passata a vedere come stavi...

La mia voce riecheggia nella stanza buia. Deduco che non sia al piano terra.

Sto per salire, ma oggi ci dev'essere un complotto per non farmi arrivare alle scale, perché mi squilla il telefono, spezzando il silenzio della sala.

Guardo lo schermo.

Kilian.

- Per quale oscuro motivo sei al telefono con me mentre dovresti essere a lezione di musica?-, rispondo, senza dargli il tempo di parlare.

- Ciao anche a te, dolcezza.-, replica, sarcastico.

- Ciao Ki...-, lo accontento ridacchiando.

- In ogni caso, sono appena uscito dalla sala prove. Il prof. ha una nuova canzone per noi, voleva che la sentissi prima della prossima lezione.

Annuisco, anche se so benissimo che non può vedermi.

- Fammi sentire.-, acconsento, mentre nel frattempo comincio a salire le fatidiche scale.

Al quinto gradino, una musica dolce e malinconica comincia a diffondersi dall'apparecchio. Non la conosco, ma è molto nel mio stile, e la tonalità mi sembra buona.

Già dalle note della strumentale intuisco che dev'essere una canzone molto triste.

Mi sforzo di memorizzarla, e intanto, essendo arrivata davanti alla porta della camera da letto, busso.

Una soave voce maschile mi arriva in un sussurro all'orecchio, ed è come se mi avesse preso il cuore in mano.

Completamente avvolta dalla melodia, busso nuovamente, e nuovamente nessuno apre, così decido di farmi avanti io.

Sox mi ha detto che voleva dormire, mi dispiacerebbe svegliarla.

Spingo leggermente la maniglia, giusto per avere un piccolo spiraglio da cui sbirciare nella stanza.

Ma sul letto non c'è nessuno, e un forte alito di vento arriva a solleticarmi il naso dalla finestra aperta.

Preda di un panico che mi assale pian piano, spalanco di colpo la porta.

Niente.

La stanza è completamente vuota.

Il telefono mi cade dalle mani tremanti, sbattendo contro la moquette grigia.

L'urto attiva il vivavoce, e la canzone esplode nella camera.

Con un bagliore di speranza ancora acceso nel cuore, corro a guardare in bagno, casomai fosse lì, ma ovviamente lei non c'è.

Il suo sangue, però, si.

Piccole gocce rosse colorano la bianca ceramica del bordo del lavandino, dove l'acqua non è riuscita a pulire, mentre sulle mattonelle del pavimento giace una lametta abbandonata.

- No...-, sussurro, terrorizzata, col cuore che va a mille e la testa che gira.

Sorreggendomi alle pareti riesco a tornare in camera.

<Forever, you said...>

Mi lascio cadere sul materasso, dando le spalle a quella finestra dalla quale non ho il coraggio di guardare giù.

<But I can't be sober, I cannot sleep, you've got yu peace now, but what about me?>

Con orrore, i miei occhi seguono quel sentiero rosso che prima non avevo notato e che, guarda caso, si ferma giusto giusto davanti al cornicione basso dove lei amava sedersi ad osservare la notte.

<...Didn't say goodbye, now I'm frozen in time, gettin' colder, colder...>

Non riesco a realizzare quello che è successo. Non voglio realizzarlo.

Lei è viva.

Lei dev'essere viva.

Lei è ancora qui.

Dolce menzogna...

<One last word, one last moment to ask you why you left me here behind...>

Preda di non so quale masochismo, mi avvicino all'infisso.

Poi, guardo giù.

Ed eccola lì.

<...You said you'd grow old with me...>

Il suo letto di morte è l'asfalto ghiacciato macchiato del suo sangue.

I lunghi capelli biondi le coprono il volto.

Eccola qui.

La mia Selene.

Le mie tempie pulsano come se qualcuno le stesse prendendo a martellate.

Reprimo un forte conato di vomito, mentre un'improvvisa vertigine mi costringe ad allontanarmi.

Peccato che le mie gambe non collaborino, così mi accascio a terra, senza possibilità di movimento.

Selene.

Selene.

Selene.

Selene...

Selene è morta.

Un istinto incontrollabile mi spinge ad urlare, ed è un urlo così forte e straziante che penso mi stiano sanguinando i polmoni.

La melodia s'interrompe, lasciando il posto alla voce alquanto allarmata di Kilian.

- Gio? Gio, che hai?

Non riesco a muovermi, non riesco a parlare.

Singhiozzi incontrollati mi squassano il petto, mentre grosse lacrime scendono a fiotti sulle mie guance, congelandosi contro il vento freddo.

-Aspettami. Ti raggiungo, ovunque tu sia.-, e riattacca.

Rimango lì, ferma a fissare il vuoto, con le lacrime che mi impediscono di vedere alcunchè e il respiro corto interrotto dai singhiozzi.

Selene non c'è più.

È tutto quello che riesco a pensare, mentre il freddo coi suoi spilli lambisce ogni porzione di pelle scoperta.

Non m'importa.

Non lo sento.

Pensieri velenosi cominciano ad intossicarmi la mente.

È colpa mia.

Non sono arrivata in tempo.

Non ho capito che stava male.

Non ero qui.

Non l'ho amata abbastanza.

Sicuramente l'ho trascurata.

È colpa mia.

Ad un certo punto, non saprei identificare quanto dopo la scoperta, sento le chiavi che girano nella toppa al piano di sotto, seguite da passi che risuonano pesanti come piombo su per le scale, in una corsa disperata all'inseguimento di una speranza.

Due figure appaiono sulla porta, e anche se non vedo le loro facce, e non ho idea di come mi abbia trovato, so per certo che sono Kilian e Socrate.

- No.-, esclama il più grande, tentando di soffocare il nodo che ha in gola.

Vorrei poter negare, dire che va tutto bene, ma quando provo ad aprire bocca i singhiozzi aumentano, e le lacrime riprendono a scendere.

Sento un tonfo, un corpo che si butta a terra esattamente come ho già fatto io, e poi tanti piccoli botti, come se stesse prendendo a pugni qualcosa.

L'urlo selvaggio di Socrate mi fa sussultare.

Kilian mi si avvicina e mi s'inginocchia davanti, poi mi asciuga le lacrime con le sue dita.

Incontro i suoi occhi scuri, contorti in una smorfia di dolore.

- K-Kil-lian...-, soffio fuori, con la voce rotta dal dolore.

- L-lei n-non c'è p-più...

Prima che possa dire altro, mi posa l'indice contro la bocca, invitandomi a tacere una verità che è già troppo crudele, poi mi aiuta ad alzarmi.

- Devo avvertire le autorità. Tu... Tu pensa a lui.-, sussurra con voce roca, indicandomi la sagoma del fratello di Selene rannicchiato a terra.

Annuisco, combattendo contro le lacrime mentre il giovane esce dalla stanza, e mi siedo accanto a Socrate.

Tiene le gambe raccolte al petto, la testa affondata tra le ginocchia.

Con le mani si tappa le orecchie, e la pressione è così forte che ho paura si schiacci la testa.

Tutto il suo corpo è attraversato da spasmi, ma singhiozza piano, sottovoce.

Appoggio lentamente le mani sulle sue, e cerco di allentare la morsa ferrea con cui si stringe il cranio, riuscendoci.

Le braccia gli ricadono molli contro i fianchi.

Con delicatezza, gli sollevo la testa.

Quando i suoi occhi arrossati e gonfi incontrano i miei, la tentazione di scoppiare nuovamente a piangere è così forte che devo mordermi la guancia per non farlo.

- Gio...

La sua voce è così flebile che devo avvicinarmi per sentirla.

- Si?-, sussurro, riuscendo a mantenere un tono di voce fermo.

- Mi era rimasta solo lei...

Non so che dire.

Sull'orlo di cedere finalmente al pianto, lo abbraccio con slancio.

- Lo so, Socrate, lo so.

Il ragazzo ricambia la stretta, preda di un'ulteriore scarica di singhiozzi.

Quando Kilian torna, scuro in volto, lo trascino di forza nell'abbraccio.

Il dolore che si è insediato tra noi non può essere curato con una stretta, però almeno sappiamo di non essere soli.

- Ci sono io, Sox, e ti giuro che sono tornato per restare. Non ti abbandonerò mai più, te lo prometto.-, sussurra Ki, la voce che viene meno sul finire della frase, poi mi guarda, gli occhi arrossati, e non posso fare a meno di pensare che quelle parole siano riferite anche a me.

E poi rimaniamo così, stretti nella nostra bolla di dolore, nel vano tentativo di dimenticare e curarci le ferite.

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Capitolo 6
*** Blown away in the summer breeze ***


On my own – Ross Lynch

 

10 Luglio 2022

 

Le ultime tracce della brezza marina mi accarezzano dolcemente la pelle abbronzata, invitandomi a restare ancora, a non partire, a non tornare a casa.

Forse potrei rimanere qui per sempre.

Ma mentre sistemo i bagagli miei e dei miei amici in macchina, scuoto la testa, con un sorriso amaro che ormai ha il sapore della rassegnazione.

Non posso abbandonare così tutto e tutti.

Non posso nascondermi.

Guardo quel gruppo, quella famiglia, che si gode gli ultimi momenti sulla spiaggia. La mia migliore amica, il suo ragazzo, Ana, Lucio, Ricky, Elisa, il ragazzo che amo... e poi, il ragazzo che ama me.

Guardo Luca, con il suo metro e novanta, i suoi occhi azzurri che sembrano sorridere mentre chiacchiera con i ragazzi sorseggiando la sua birra.

E poi guardo Kilian, la pelle scura che riluce sotto il sole, i capelli lunghi e scuri ancora umidi, il fisico asciutto, il sorriso luminoso...

Non ce la faccio a guardare quei due negli occhi, non mentre continuo a mentirgli spudoratamente.

Ma non ho alternative.

- Gio!! Alza quella radio, tanto non c'è un'anima in giro!-, urla dal nulla Eugenio, mentre abbraccia Asia. Che carini, mi fanno sorridere ogni volta.

Obbedisco, mettendola a un volume tale che potrebbero arrestarci per disturbo della quiete pubblica, se solo non fossimo praticamente isolati su questo angolo di spiaggia. Per l'ultimo giorno abbiamo deciso di spostarci completamente, lontano da tutta quella massa di turisti che ogni anno affollano Bibione.

Diciamo che dopo gli avvenimenti dell'altra sera, ho insistito parecchio.

Improvvisamente, una mano mi si posa sulla spalla e mi fa sobbalzare. Mentre ripasso mentalmente le tecniche di difesa personale che ho imparato al corso, la voce bassa di Diego mi arriva all'orecchio.

- C'hai lo spavento facile, Gio?

Mi giro, tirandogli un pugnetto sul petto e lanciandogli “lo sguardo”, l'occhiataccia da capobranco.

- Ehi, voglio solo parlare, Alpha, calma.-, scherza, ridendo.

- Parlare non è un reato, Dado.

Sorride, contagiandomi.

Uno schiamazzo improvviso ci spinge a voltarci verso quei pazzi scatenati dei nostri amici, in tempo per vedere Ana che, bagnata fradicia, placca, letteralmente, suo cugino Lucio, per poi rovesciargli addosso la sua bottiglia di birra, mentre tutti ridono e sfottono amorevolmente il ragazzo.

- Che gabbia di matti che siamo.-, afferma ridendo il mio amico.

- Già...-, concordo, senza riuscire a non lanciare uno sguardo furtivo verso Kilian.

Non dev'essere poi così furtivo, perché Diego se ne esce con un sussurro: - Non riesci a non guardarlo, vero?

Colta in flagrante, cerco di sviare la sua attenzione.

- Luca? È così bello...

- Non mentire, non a me Giorgia.-, ordina con voce dura.

Mi zittisco, abbassando lo sguardo. Se ci fosse stato qualcun'altro davanti a me, avrei portato avanti la farsa, ma Diego mi conosce dall'asilo.

Un silenzio carico d'attesa s'insinua tra noi.

E adesso, solo per i nostri cari ascoltatori, una canzone che forse pochi di voi conosceranno, ma che personalmente trovo di aaaaltissimo livello. On my own, del nostro biondissimo Ross Lynch...”

Adoro questa canzone. Sin da quando era semplicemente la colonna sonora di Teen Beach Movie 2, l'ho sempre amata. Ora che quest'artista ha avuto il suo nuovo boom e la passano ovunque, non posso non essere felice.

- Gio! Ross! È Ross!-, strilla Asia, liberandosi dalla stretta del ragazzo e cominciando a ballare.

La guardo, e mi lascio scappare un sorriso, finché la voce del mio interlocutore non rientra di nuovo nel mio campo uditivo.

- Glielo dirai mai?-, e non ho bisogno di chiedere perché già so di che parla.

- Non posso.-, sussurro, cupa.

- Gli spezzerai il cuore!-, esclama, lievemente alterato.

- Farà più male se glielo dico.-, soffio, a denti stretti.

- Oh, davvero, Giorgia? Ti stai seriamente nascondendo dietro questa scusa del cazzo?

È incazzato nero, nonostante si sforzi di mantenere un tono di voce basso.

Abbasso la testa, non so che fare.

Ha ragione.

- Dado, ti giuro che non volevo innamorarmene, non di nuovo...-, tento di giustificarmi, ottenendo solo di farlo ridacchiare aspramente.

- Credi che il problema siano i tuoi sentimenti?-, sbotta, trapassandomi con i suoi occhi di ghiaccio.

Ancora una volta, non so che dire, così il ragazzo continua.

- Ho capito mesi fa che non ricambiavi più mio fratello, anche se lui giustificava il raffreddamento del vostro rapporto con la tensione per la maturità, essendoci già passato. È così ingenuo, Gio. Non lo capisce.

- Provo ancora qualcosa per Luca, Diego...

Una sua occhiataccia mi spinge a tacere.

- Ma non lo ami, vero?

Apro la bocca, cercando da qualche parte la forza per smentirlo, ma non la trovo e le parole mi muoiono in gola.

Scuote la testa.

- Lo sapevo.-, sussurra.

Mi si avvicina, e per un momento ho paura che mi prenderà a schiaffi.

- So cos'hai fatto, Giorgia. Ma non lo dirò a mio fratello, e non ti giudicherò. Ti voglio troppo bene, e anche se non condivido il tuo modo di agire, non sono nessuno per sputtanarti agli occhi di chi ti ama. Però ti prego, Gio, non farlo soffrire. Non se lo merita.-, mi sussurra all'orecchio.

Poi, silenzioso com'è arrivato, se ne va, raggiungendo gli altri, e io lo seguo con lo sguardo, una miriade di pensieri che mi affollano la testa.

Credevo che nessuno sapesse, ero stata così brava a non far sospettare nulla a nessuno, e invece...

Diego è sempre un passo avanti a me.

Diego ha sempre ragione.

<It almost feels like it was just a dream,

all this memories of you... and me...>

La voce dolce di Ross chiude la canzone, portandosi via, come sempre, un pezzo di cuore, ma lasciandomi sola coi miei fantasmi.

Dovrei parlare a Luca di quello che è successo?

La base del nostro rapporto era la sincerità.

Quando abbiamo innalzato queste barriere?

Forse non si arrabbierà. Forse capirà, e si risolverà tutto.

Dopotutto, non è colpa mia.

Ma allora che bisogno c'è di dirglielo?

Non deve saperlo per forza.

Si, ho deciso.

Domani mattina andrò a confessarmi, tanto per non tenere per me questo fardello.

Ma non è colpa mia.

Eppure, mentre Luca viene verso di me, porgendomi una birra fresca, non riesco in alcun modo a scacciare quella sensazione di disagio che mi stringe la gola.

Non è colpa mia.

Gli sorrido, mentre prendo la bottiglia e bevo un sorso generoso, forse sperando di strozzarmi sul momento.

Non succede.

Gli sorrido, - Grazie, amore -, e lo bacio.

La falsità delle mie parole mi colpisce il cuore come una frusta avvelenata.

Approfondisco il bacio, mordendogli il labbro inferiore.

Poi, sulle sue labbra, soffio:

- Ti voglio, adesso.

Luca allontana leggermente la testa, solo per guardarmi negli occhi.

Mi sforzo di fare un'espressione abbastanza coinvolta, e devo riuscirci, perché Luca, gli occhi già fiammeggianti di desiderio, lancia uno sguardo veloce alle sue spalle, e poi torna a fissarmi.

- Adesso? Qui?

Annuisco.

- Si.

No.

- Qui e adesso.-, concludo, indicando una grotta poco più in là, abbastanza lontana dalla spiaggia.

Luca si volta verso gli altri.

- Raga, io e Gio andiamo a “dare un'occhiata” alla grotta.-, urla agli altri, calcando bene la parte dell' “andare a dare un'occhiata” e ottenendo qualche fischio di risposta.

In tutto ciò, io tengo la testa abbassata, ostentando un imbarazzo che in realtà serve ad evitare lo sguardo penetrante di Diego che mi sento addosso.

Poi, Luca mi tira a sé, la mano sul mio sedere, e mi porta verso quell'insenatura rocciosa, mentre il rimorso mi divora completamente da dentro.

Sono una bugiarda.

Sono un'imbrogliona.

Sono una fuggiasca.

Cerco di giustificarmi in ogni modo, ma la verità è che voglio salvarmi la pelle.

Sto solo cercando di sopravvivere.

E ho intenzione di farlo, qualunque sia il prezzo da pagare.

Anche a costo di essere infelice.

 

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Capitolo 7
*** A shimmering light ***


Hotel California – Eagles

 

31 Gennaio 2017

 

- Buongiorno ragazzi, eccomi, scusate il ritardo.

Marco Guerra, professore di musica della sezione B delle medie di Impruneta entra tutto trafelato in classe, le chiavi attaccate alla cintola che tintinnano ad ogni minimo movimento e un pacco di CD sottobraccio.

Ci alziamo in piedi, come consuetudine ogni volta che arriva il prof dell'ora successiva e l'altro va via.

Solitamente siamo felici se un prof. ritarda, ma in questo caso, accidenti a lui, ci ha lasciati per dieci minuti con l'arpia di francese, la temutissima professoressa Marra, metà siciliana e metà albanese.

Inutile specificare che in questo breve lasso di tempo è riuscita ad interrogare altre quattro persone sul dialogo a memoria.

Mentre la “boss” esce, il professore si sistema sulla cattedra, tirando fuori un mucchio di libri dalla vechia borsa di pelle che ha malamente scaricato sull'altrettanto vecchia sedia che il ministero ci ha dato in dotazione una cosa come quarant'anni fa. Cerca dei fogli, la fronte imperlata di sudore, sposta le cose, appoggia i CD, riapre la borsa, rimette via i libri, estrae con furia il registro, ma è quello sbagliato, lo ributta in quel pozzo con le bretelle e ne prende un altro...

In tutto questo, la classe si è alzata, ha cambiato i posti, ha avviato uno scambio di merende e sta aprendo un banco di scommesse su quanto urlerà il prefessore non appena avrà finito la sua dose quotidiana di spostamenti affannati e psicopatici.

- Secondo me, oggi non s'incazza.-, biascica Rebecca, appoggiata con la schiena al muro mentre tiene le gambe su quelle di Lucio, il suo attuale fidanzato. Sono ben quattro giorni che stanno insieme, un record per la mora dagli occhi grigi.

- Io scommetto che invece diventa una bestia.-, rilancia Kilian dalla mia sinistra, scarabocchiando il banco con i miei pennarelli a vernice acrilica.

Lo fulmino, e lui risponde con una faccina angelica, continuando il suo lavoro.

- Credo che abbia subito qualche trauma infantile.-, mormoro io, osservandolo di sottecchi. Si sta ancora cimentando nella sua attività frenetica.

- Macchè trauma infantile, quello è un pazzo e basta.-, sussurra Asia dal banco dietro, mentre Miriam ridacchia sottovoce.

- Sono piuttosto certo che potrei accendermi una sigaretta e non se ne accorgerebbe.

Kilian, finita l'opera d'arte che i bidelli non cancelleranno, se ne esce dal nulla con questa sfida.

- Oh no, tu non lo farai.-, intimo, seria.

- E se invece lo facessi, Cepugliolo?-, ribatte, con un sorrisino di sfida, avvicinando il suo viso al mio.

Avvampo, ma riesco comunque a tirargli uno schiaffo sul braccio.

- Non lo farai, Capra.-, concludo, e lui ride, facendomi sorridere.

Non l'avrebbe fatto comunque. Sa quanto io odi il fumo.

- Ragazzi, insomma, vi pare questo il modo di comportarvi mentre io lavoro per voi... NON È RISPETTOSO NEI CONFRONTI DI NOI INSEGNANTI, TORNATE IMMEDIATAMENTE AI VOSTRI POSTI!

La voce del Guerra, prima bassa e insicura, esplode in un crescendo che, come sempre, ci distrugge i timpani.

Alzando gli occhi al cielo, Ki si tira in piedi con un colpo di bacino, e va a posizionarsi nel banco che si trova esattamente davanti la cattedra.

Poi, con un'esagerata dose di sicurezza che gli pompa nel cervello, esclama;

- Profe, andiamo a suonare o rimaniamo ancora chiusi in questo schifo di stanza?

Non sono sicura che al professore interessi il tono con cui lo dice, o tantomeno il linguaggio che sceglie di usare; il suo pupillo ha parlato.

- Certo, Kilian, oggi suoniamo.

La classe sospira e si lamenta, fatta eccezione per quelli che, invece che cantare, dovranno suonare la base; loro si che sono felici. Tanto sono sempre i soliti. Anche se siamo la sezione musicale, solo i migliori chitarristi e pianisti suonano, dei violinisti o dei flautisti come me non se ne fa nulla.

Tranne Antonio, che però essendo suo nipote acquisito non fa testo. Potrebbe suonare anche il corno inglese, e comunque starebbe sempre in orchestra.

E poi ci sono io, che mi vergogno un sacco a cantare in pubblico, e perciò faccio sempre finta.

Tra le proteste e le acclamazioni, usciamo dalla classe e andiamo in sala musica. Tanto per non farci mancare nulla, ovviamente non c'è il riscaldamento.

Ci posizioniamo sulle scomode sedie di plastica, anch'esse risalenti al paleolitico, e io mi sistemo il più lontano possibile dalla postazione dei chitarristi, dove puntualmente si sistema il professore.

Ma mentre io mi sono già mentalmente preparata a un'ora di playback, Kilian avanza la proposta che sicuramente mi rovinerà la vita.

- Profe, facciamo che io mi metto dall'altra parte della sala con Fabio, così sentiamo se il suono si distribuisce meglio, che dice?

Non sia mai che quell'uomo rifiuti una sua proposta.

E così, per mia immensa sfortuna, il marocchino si viene a sedere proprio accanto a me, affiancato da Fab, il chitarrista migliore di tutta la scuola.

Quel ragazzo è un talento innato.

Anche Kilian non se la cava malaccio.

Ma adesso, mentre avvicina la bocca al mio orecchio, vorrei solo spaccargli lo strumento in testa.

- Vediamo se riesco finalmente a sentire la tua voce.-, sussurra.

Lo guardo male, ma un grosso groppo mi è salito alla gola.

Deglutisco, sperando di riuscire a cancellarlo.

L'ultima volta che ho cantato in pubblico avevo nove anni e il timbro di un corvo spennato, o almeno io l'ho sempre definito tale.

- Ragazzi, come vi avevo detto a dicembre, da questo quadrimestre riprenderemo con le prove di Hotel California. Dati i precedenti, mi auguro che abbiate studiato il testo e, soprattutto,-, e sottolinea “soprattutto” guardandoci bieco, - i tempi e la pronuncia.

La classe annuisce, anche se tutti mentono. Prepariamoci a sentire la cacofonia peggiore di tutti i secoli.

Io, invece, so la canzone a memoria, dato che mio babbo me la faceva sentire da prima ancora che nascessi.

- Cominciamo. E uno, due, tre, quattro...

La musica parte, e come sempre mi lascio avvolgere dalla sua dolcezza.

Le dita di Fabio, lunghe e affusolate, sembrano accarezzare il suo strumento, mentre il tocco di Kilian è molto più deciso e potente. Si fondono alla perfezione.

Purtroppo, quando toccherebbe alle voci, nessuno attacca, rovinando la magia e facendo gonfiare una vena sul collo del professore, che, molto gentilmente, invita Paolo, il rockettaro di turno, a farci sentire dove dobbiamo entrare.

Ripartiamo.

Stavolta entriamo, ma tutti sbagliano i tempi, persino Paolo, e il professore, rassegnato, lascia correre.

Determinata a non far uscire un suono dalle mie corde vocali, muovo la bocca, e il mio playback è così convincente che sbaglio anch'io. Mi sento morire dentro. Non sarebbe così difficile, se si concentrassero sulla musica, ma tanto il prof. preferisce concentrarsi sulla base...

- Non ti sento, usignolo.-, bisbiglia il ragazzo, cercando di rimanere concentrato e non perdere il ritmo, cosa alquanto difficile con questi cantanti.

- Non mi sentirai, Slash.-, replico, sottovoce.

Nello stesso istante, a Fabio salta una corda, ponendo fine al supplizio delle mie orecchie.

- Ah si, riccio?

Il tono di sfida con cui lo dice presagisce guai.

- Profe! Ma se facessimo una versione differente?

Il professore, che stava pregando tutti i santi in attesa di un miracolo, s'illumina in volto come un bambino davanti alle caramelle, o come Asia davanti a un pacchetto di Goleador.

- Cosa proponi, Brjshna?

Il suo tono è volutamente dubbioso, ma i suoi occhi lasciano trasparire tutta la speranza che ripone in questa proposta.

- Mettiamo un solista, e agli altri facciamo fare il coro del ritornello.

Mi si gela il sangue nelle vene, mentre mi volto a guardarlo, il terrore negli occhi.

L'occhiolino che mi lascia non mi tranquillizza affatto.

- E sentiamo, chi dovrebbe essere il nostro uomo?

Il fatto che dica uomo e non donna mi da un sacco di fastidio. Sembra dare per scontato che nessuna ragazza sia all'altezza del compito.

- In realtà, pensavo più ad una femmina...-, replica, guardandomi.

Subito, l'uomo diventa più scettico, mentre tutte le altre ragazze della classe provano a sparire dentro alle loro felpe. Io, invece, penso che morirò.

- Ah, bene, e chi proponi?

Ora muoio.

Ora muoio.

Ora muoio.

- Mah, pensavo a Giorgia...

Sospiro di sollievo malcelato delle mie compagne, sguardo interrogativo da parte dei miei compagni, Asia che esulta silenziosamente e io che, in tutto ciò, non sono ancora morta.

Il professore sposta lo sguardo su di me, forse notandomi per al prima volta dopo tre anni di medie.

- Alisi, te la senti?

No, no che non me la sento, perdinci.

- Si, certo che se la sente, e poi è bravissima.-, risponde il ragazzo per me.

Il professore, che nemmeno stavolta trova la forza, o la voglia, di contraddirlo, va a prendere un microfono, mentre la mia gola è improvvisamente secchissima.

- Tu non mi hai mai sentita cantare, sembro un corvo morente!-, sibilo, nera di rabbia.

- Sentire per credere. E poi, se davvero dovesse essere così, almeno sarà divertente.

Ancora quell'occhiolino, accompagnato dal suo sorrisetto sghembo.

Sono sul punto di strappargli l'occhio, ma il Guerra è appena rientrato, perciò non ho altra scelta se non fare un grande respiro e rassegnarmi alla mia figuraccia.

Finisce di sistemare l'arnese, poi alza lo sguardo, posando gli occhi su di me e fissandomi con insistenza.

Adesso dovrei alzarmi.

Titubante, mi tiro su, e, appoggiandomi alle sedie, raggiungo l'aggeggio, a testa bassa.

La alzo solo quando sento una sedia posarsi alla mia destra.

Kilian, armato di chitarra, mi rivolge un sorriso d'incoraggiamento.

- Canta come se ci fossi solo tu, come se fossi a casa da sola, come se il resto del mondo non esistesse.

Il solito consiglio trito e ritrito.

Però al momento è l'unica cosa che posso provare.

Così chiudo gli occhi.

E, improvvisamente, non vedo più le facce familiari dei miei compagni, o lo sguardo incerto del professore. Vedo le pareti familiari di camera mia, lo specchio dell'armadio, il letto sommerso di cuscini, la vecchia scrivania di legno di quercia.

La musica che si diffonde leggera non è prodotta dai miei amici, ma si diffonde dal mio stereo / reperto storico.

Poco prima che arrivi il momento dell'attacco, prendo quanta più aria possibile.

Poi, presa da un'emozione nuova, canto.

Non so che suono abbia la mia voce, ma canto.

Controllo l'intonazione, come avevo imparato a fare a sette anni, quando ancora speravo di diventare una cantante famosa, imitando la mia omonima Giorgia e le canzoncine stupide di Rai Yoyo.

Arrivo al ritornello, dove dovrebbe partire il coro, e ho paura di sentire ancora quell'orribile insieme di voci scoordinate.

E invece no.

Apro gli occhi, e il primo volto che vedo, dritto davanti a me, è quello di Asia, che, con gli occhi lucidi e un sorriso grandissimo che le illumina il viso, canta, perfettamente a tempo.

Mi seguono.

Il professore, per la prima volta da quando facciamo lezione, tiene gli occhi chiusi, ascoltando e basta, senza lasciar trapelare alcuna emozione.

Continuo a cantare, fino a che arrivo al mio punto preferito della canzone, quando la musica si abbassa e tutto assume un'atmosfera più intima, risalendo sul finale.

Riduco la mia voce, quasi in un sussurro, per poi esplodere con un graffiato che mai avevo fatto.

Concludo, e parte l'assolo di chitarra di Fabio.

Il prof. ha ancora gli occhi chiusi.

Kilian si aggiunge, e insieme danno vita a una melodia bellissima.

La canzone si spegne con un accordo.

Solo allora, l'uomo apre gli occhi.

E sorride.

- Giorgia, dove diavolo sei stata per tutto questo tempo?-, esclama, visibilmente felice ed esaltato.

Lo guardo, perplessa.

Ho cantato bene?

Giro la testa, e quando incontro gli occhi impenetrabili di Kilian sento la terra mancarmi sotto i piedi.

La bocca leggermente socchiusa, mi guarda come se mi vedesse per la prima volta.

Abbozza un sorriso, e nello sguardo gli vedo lo stesso orgoglio che aveva la mia allenatrice quando vinsi la mia prima ed ultima gara.

Senza riuscire a trattenermi, anche le mie labbra si piegano all'insù, mentre abbasso lo sguardo. Sento che le guance mi vanno a fuoco.

- Beh, non importa, questa versione spacca, riproviamola.-, esclama, tornando il solito.

Mentre mi riposiziono davanti al microfono, con la coda dell'occhio vedo che Kilian non ha smesso di guardarmi, così mi giro di nuovo verso di lui, sussurrando per evitare che ci sentano.

- Quindi? Il corvo ti ha mangiato la lingua?-, scherzo.

- Macchè, è passato un usignolo e mi ha stregato.-, dice lui, e sotto la vena di sarcasmo leggo un complimento sincero.

Dopodichè canto di nuovo, e di nuovo, e di nuovo...

Quando la campanella suona, sento che le mie corde vocali stanno implorando pietà.

Uscendo dall'aula musica, tutti i miei compagni fanno a turni per venirsi a congratulare, Asia mi abbraccia, e tutte le altre ragazze, sollevate, festeggiano il fatto di non dover più sorbirsi i suoi urli.

Poi, arriva Kilian, e mi tira da parte.

Gli altri entrano in classe, il professore se ne va, e la prof. Tamburello, prima di entrare, si ferma davanti a Kilian, guardandolo con aria divertita.

- Cerchi di convertire Giorgia al lato oscuro?-, scherza.

- Profe, lei è già nel lato oscuro.-, sottolinea lui.

- Il lato di quelli che studiano!-, aggiunge, beccandosi un finto sguardo di avvertimento dalla donna.

- Le prometto che cercherò di farlo studiare, ma non le prometto niente.-, replico io, alzando gli occhi al cielo con aria esasperata, ma con un sorrisetto dipinto in faccia

- Bene, bene, ma per studiare dovete entrare in classe...-, conclude la donna, celando dietro una battutina il velato ordine a seguirla.

- Un minuto, profe, la prego.-, supplica il giovane, facendo, per l'occasione, la faccia da cucciolo bastonato.

Nessuno resiste alla sua faccia da cucciolo bastonato.

Cerco di soffocare l'attacco di risa che mi sta assalendo.

- Okay, un minuto, ma venerdì ti aspetto al'interrogazione di geografia.-, baratta lei, allontanandosi per andare a cominciare la lezione.

- Si, va bene, grazie prof...!

Poi, appena si chiude la porta alle spalle, finisce la frase.

- Non ha mica specificato quale venerdì.

Tira indietro la testa, sorridendo come un ebete e mettendo in evidenza il doppiomento, classica faccia che fa quando vuole calcare la sua furbizia.

Scuoto la testa, ormai abituata alle sue scappatoie.

A volte, è davvero geniale, va ammesso.

- Che mi devi dire, Akash?-, chiedo, mentre il tempo scorre.

- Solo che hai una voce fantastica. Devi assolutissimamente prendere lezioni, e quando diventi famosa voglio che il mio merito venga riconosciuto.-, proclama, battendosi un pugno sul cuore e assumendo un'espressione fiera.

Inutile dire che gli scoppio a ridere in faccia.

Matteo, il nostro amico bidello che in questo momento sta spazzando nell'atrio, alza lo sguardo, allarmato da tanto rumore.

Mi tappo la bocca, ma comunque continuo a ridere.

Ki mi guarda, aspettando che finisca.

Quando finalmente torno a respirare normalmente, se ne esce con un: - Guarda che sono serio.

- Ki, come dovrei fare a prendere lezioni? Costano, e poi significherebbe aggiungere un altro impegno settimanale, e dovrebbero portarmi...-, comincio l'elenco dei contro della sua proposta.

- Tutte scuse, sono sicuro che riusciresti a gestirla benissimo.-, mi zittisce.

- E non era un'idea. Tu prenderai lezioni, te lo giuro.-, conclude.

Per evidenziare il fatto che la discussione è chiusa, mi prende per il polso e mi trascina in classe.

Ovviamente Michele, il mio compagno di banco, si è messo accanto a Emilia, la compagna di banco di Ki, perciò il ragazzo, come sempre, va a sedersi accanto a me, salutando la prof.

- 'Giorno profe, quanto tempo, eh?

- Fai il bravo, Brjshna, non farmi fare la cattiva.-, lo ammonisce bonariamente lei, mentre anch'io prendo posto.

Appena la donna comincia la spiegazione, quello mi prende l'astuccio, preparandosi a cominciare una nuova opera, mentre io, riuscendo ad accaparrarmi il lapis, apro il quaderno degli appunti.

Tempo dieci minuti che sento picchiettarmi il dito sul braccio.

Lo guardo, sfiancata.

- Vorrei seguire la lezione...-, sbotto piano.

- Balle.-, mi liquida lui, e sa che ha ragione.

- Piuttosto, guarda qua: ta-dan!

Sposto lo sguardo sulla superficie di legno, e, con mio stupore, noto che i vecchi graffiti e scarabocchi sono stati cancellati e sostituiti con un unico, grande disegno: un piccolo usignolo verde che canta al microfono, illuminato da un'aura luminosa che spazza via delle ombre scure. Accanto a lui, più piccola, c'è una capretta che suona la chitarra.

Sono estasiata.

In dieci minuti, lui ha fatto questo.

Io ho a malapena scritto due righe.

- Wow, è davvero... davvero bellissimo...-, esclamo, senza fare caso all'elevato tono di voce che uso.

- Si, Alisi, anch'io penso che il trattato di pace stipulato dopo la Seconda Guerra Mondiale sia bellissimo, ma non lo esprimo certo a voce alta durante una spiegazione...-, mi avverte con ironia, perfettamente consapevole che non era riferito all'argomento della lezione di storia.

- Si, mi scusi, professoressa...

Abbasso la testa, rossa per l'imbarazzo, mentre da sotto il banco tiro un calcio alla gamba del ragazzo, che se la ride sotto i baffi.

Soffoca un'esclamazione di dolore.

Torno a concentrarmi sugli appunti, arraffando un evidenziatore verde e sottolineando informazioni a caso.

Nonostante questo, niente m'impedisce di sentire la voce bassa di Kilian, nel bel mezzo della lezione, mormorare una promessa:

- Un giorno quel disegno sarà realtà, Gio, e io sarò al tuo fianco per vederti splendere, te lo giuro.

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Capitolo 8
*** I'll never be her... ***


I hate you, I love you – Gnash ft. Olivia O'Brien

 

30 Novembre 2016

 

Quella maledetta consapevolezza era arrivata come un fulmine a ciel sereno.

Me lo ricordo benissimo.

Io ero lì, ferma, sdraiata sul letto, e stavo sfogliando il libro di storia, non certo per ripassare, giusto perché mi era venuta voglia di rileggere le scritte fatte a margine, sui paragrafi, intorno alle immagini...

I disegni che col tempo si erano accumulati, le frasi delle canzoni, le citazioni rubate ai film...

Riuscivo a ricordare ogni momento in cui le avevo scritte, armata di lapis, per non imbrattare il libro d'inchiostro.

Con gli occhi scorrevo le parole, canticchiando una canzone sentita forse in radio, o in autobus, o nella pizzeria napoletana vicino casa.

Poi, come per gioco, avevo iniziato a cercare un collegamento fra quello che avevo scritto e quello che avevo vissuto.

E mi ero resa conto, spaventandomi, che ogni singola lettera era riconducibile a lui.

Ogni. Fottuta. Lettera.

Quel libro pareva un ritratto di Kilian.

Quel libro pareva il riflesso delle emozioni che mi faceva provare, e a cui non sapevo dare un nome.

Era piombato sulla mia testa così forte che questa aveva iniziato a girarmi.

Io ero persa dietro a lui.

Io ero persa senza di lui.

Io ero persa.

Io lo amavo.

Io lo amo.

Avevo rifiutato quel sentimento in maniera così insistente da illudermi che non esistesse.

Anche quella volta ci avevo provato.

E non ce l'avevo fatta.

Adesso vorrei solo non essermene mai resa conto.

Era così bello non esserne consapevole.

Invece ora devo convivere con le conseguenze di questa emozione.

Sto ferma qui, in un angolo della stanza, stringendo tra le dita, tremanti per il riscaldamento troppo basso in questo glaciale pomeriggio di Novembre, il flauto traverso appena accordato.

E invece lui è al centro della sala prove, seduto al pianoforte, e le sue dita scure cullano i tasti come una mamma fa con suo figlio.

Non conosco la melodia che sta suonando.

Conosco però la ragazza per cui la sta suonando.

Elena Baldini, la seconda pianista più brava di tutta la scuola nonostante sia solo in seconda media.

Kilian non guarda il piano. Kilian guarda lei.

Guarda i suoi occhi azzurri da cerbiatto.

I suoi lunghi capelli neri, lucenti come nelle pubblicità della Pantene.

La pelle chiara, come illuminata dalla luna.

Sembra fatta apposta per lui.

Due opposti che più opposti la natura non poteva crearli.

Nonostante questo, i loro caratteri vanno a nozze.

Le loro abitudini, anche.

Scoprirli a farsi una sigaretta nel bagno dei professori non è stato molto divertente.

Spero fosse solo una sigaretta, anche se ho i miei dubbi.

In questa settimana, ho cercato di trovarle almeno una caratteristica incompatibile con Kilian, senza successo.

Persino i loro corpi sembrano stati creati ad incastro.

Almeno, non è una di quelle ragazze che va col primo che passa.

Non voglio che gli spezzi il cuore come lui ha inconsapevolmente fatto con me.

Non voglio nemmeno dover rinunciare alla nostra amicizia per colpa del mio stupido cuore.

Non c'è bisogno che lo sappia, dopotutto.

Certo, ogni volta che mi parlerà di lei, io morirò un po' dentro.

E quando, uscendo da scuola, correrà da lei invece che accompagnarmi alla fermata del bus, sarà come ricevere venti pugnalate alla schiena.

Oppure, mentre io sarò li ad aspettare una risposta ai miei messaggi, e lui starà scrivendo a lei, i miei occhi s'inumidiranno, e forse piangerò.

Ma non voglio perderlo.

Non per una cosa così trascurabile come una cottarella adolescenziale.

La musica finisce, e lei, con occhi adoranti, lo abbraccia di slancio, e lui la stringe forte a sé, sfruttando l'assenza dei professori causa pausa pranzo.

Qualcuno mi si siede a fianco.

Non faccio caso a chi è, sono troppo occupata a imprimermi masochisticamente la scena in mente.

So che la rivedrò ogni volta che la mia mente correrà a lui.

- Fa male, vero?

Giro di scatto la testa, incontrando gli occhi scuri e la pelle abbronzata di Riccardo.

- Non so di cosa parli.-, mi affretto a rispondere, distogliendo lo sguardo e stringendo ancora di più lo strumento tra le mani.

- Guarda qua, Giorgia sa dire le bugie, chi l'avrebbe mai detto.-, ironizza, facendo increspare le mie labbra in un lieve sorriso, che si spegne subito dopo, quando l'urletto di Elena riempie la stanza.

Non ho bisogno di guardare per sapere che dev'essersela caricata in spalla a mo' di sacco di patate.

Lo faceva sempre con me.

- Vuoi parlarne?

Ricky ha addolcito il tono.

Quel ragazzo deve sapere esattamente come ci si sente.

Ana, una della III A, gli ha detto di no penso almeno sei volte.

Quella è una tale snob, non accetta le avanches di nessuo...

Non penso che potremmo mai essere amiche.

E poi, Riccardo non è di certo brutto.

Deve solo curarsi di più.

Però ha un cuore d'oro.

Sorrido, amaramente, e scuoto la testa, anche se sono sul punto di piangere.

Cosa che non può assolutamente accadere.

Cosa racconto dopo al mauritiano?

Già, che sciocca.

Sarebbe troppo preso dalla sua ragazza per accorgersene.

Ricky annuisce, lanciando un'occhiata veloce alla coppietta felice.

- Prima o poi si accorgerà che non è la ragazza per lui. Vedrai.-, sussurra.

Poi, silenzioso come quando si è seduto, se ne va, portandosi dietro la borsa di stoffa contenente una quantità indicibile di spartiti, ordinatamente divisi fra quelli di scuola e quelli del conservatorio.

Eh già.

Solo Riccardo Baldini è in grado di suonare meglio di sua cugina.

Lo osservo camminare con passo sicuro, finchè non sparisce dietro la porta dell'auditorium, quindi riporto involontariamente l'attenzione alla love-story del momento.

Tempismo sbagliato.

Le loro bocche sono così incollate che non si capisce dove finisce una e inizia l'altra.

Giuro che potrei vomitare.

- Kilian! Ti pare il momento d'importunare la signorina Baldini? Queste cose si fanno a casetta propria, nelle vostre camerette, possibilmente con le luci spente e le porte chiuse.

Il professor Monchi, grandissimo chitarrista e bambino mai cresciuto, interrompe scherzando la respirazione bocca a bocca.

- Seguiremo il consiglio, profe.-, replica lui, affermazione seguita da uno scambio di occhiolini tra i due.

Sono di nuovo sul punto di sboccare.

Elena risponde con una faccia sdegnata e uno schiaffetto poco convinto, ma sotto i baffetti inesistenti nasconde un sorrisino.

Sto rivalutando il suo tasso di troiaggine.

- Bene, ragazzi, dimostrazioni della Croce Rossa a parte, sono già le due e mezza, quindi filate ai vostri posti e facciamo funzionare quest'orchestra.-, ordina, battendo le mani.

Non ci posizioniamo mai velocemente, tranne quando è lui ad ordinarcelo.

Tutti adorano il Monchi.

Mi siedo al mio solito posto, sono uno dei primi flauti del complesso, e aspetto che Cristina e Cosimo, i gemelli, mi raggiungano.

Mentre attendo, però, un braccio mi si avvolge intorno al collo, tirandomi indietro la testa.

- Ciao, Cespugliolo.

Odio quando Kilian si annuncia così.

Con le mani, provo a spostare il suo braccio, senza successo.

Se volesse, potrebbe strangolarmi con un niente.

Fortunatamente, non vuole.

- Ciao, Capra, puoi non uccidermi?

Molla la presa e si lascia cadere al posto di Cosimo.

- Hai visto? Ho conquistato la prima base!-, esulta, alludendo al bacio di prima.

Sorrido in maniera falsissima, annuendo.

Peccato che non sia stupido.

Il suo entusiasmo si spegne subito. Mi osserva, alla ricerca del motivo di questo mio comportamento insolito.

Sposto lo sguardo sulla parete dietro di lui, ma con la mano mi afferra e mi sposta la testa cercando di farmi incrociare i suoi occhi indagatori.

- Mi spieghi che hai?-, chiede alla fine, esasperato, lasciandomi la mascella.

Ahia.

- Non ho niente, Kilian!-, sbotto io, con un tono di voce un po' troppo alto perché la mia affermazione possa essere presa sul serio.

Si rabbuia.

- Davvero? Ora sei anche tu una di quelle che risponde sempre “niente”?-, chiede, velenoso.

- Magari non ho davvero niente?-, risputo allora, con voce stufa.

- Okay, se la metti così, ti lascio con il tuo “niente”. Forse puoi parlare con lui, d'ora in poi.

Si alza così violentemente che la sedia si rovescia, ma io non ho intenzione di raccoglierla, e tantomeno lui.

Mi sistemo sulla mia, ripassando il pezzo, fredda come una statua, ma le mie dita si muovono a caso, e gli occhi non leggono le note del pentagramma che hanno davanti.

Ho detto che non lascerò che la mia cotta mi influenzi, e poi mi comporto così?

Dove stracazzo ho lasciato la coerenza?

Non ho tempo di pensarci.

La professoressa di pianoforte si mette davanti a noi, e da subito l'attacco per la prima canzone.

Non suono, non bene.

Le note sono fioche e strozzate.

Chiara mi copre, suona più forte, così ad un certo punto smetto proprio di provarci e muovo solo le dita.

Non sento il suo sguardo su di me.

E forse, questa è la cosa che fa più male.

La consapevolezza di non essere più il centro dei suoi pensieri.

 

 

*

 

31 Ottobre 2020

 

Accidenti a quando ho deciso di dar retta a quelle due imbecilli.

Come ho fatto a farmi trascinare a questa festa da Asia e Ana?

Capisco la rossa, che doveva assolutissimamente andarci, sperando di “incontrare casualmente” Ricky e tentare di riconquistarlo.

Il vero mistero è come abbia convinto Asia.

Credevo che dopo la “pausa di riflessione” con Eugenio, impostale dai genitori, non volesse più uscire...

Vabbè, in ogni caso io non dovevo venire.

Lo sapevo che ci sarebbe stato lui.

E, cosa più importante, che ci sarebbe stata lei.

Kilian negava, ma era palese quanto ancora fosse cotto di Elena.

Ogni qual volta la mora passava, per mano a Bartek, lui guardava l'ex amico con occhi di brace.

Una versione un po' meno demoniaca di Caronte, ecco come l'aveva definito Lucio.

Lo sguardo che ha adesso non è per niente rabbioso, anche se le fiamme negli occhi le ha comunque, ma per l'irrefrenabile desiderio di averla tutta per lui.

È incredibile, riesce ad essere bella anche con il trucco da Sposa Cadavere.

Io, invece, col mio squallido costume da spogliarellista zombie, che i miei genitori non avrebbero mai e poi mai approvato, motivo per cui mi sono cambiata nel bagno del bar del cugino di Riccardo, nonché fratello della bella Baldini, nonostante abbia attirato parecchi sguardi che Luca ha prontamente ricambiato, minaccioso, non sono degna nemmeno di pettinarle i capelli.

Sono ancora più lucenti dell'ultima volta.

Io e Elisa abbiamo iniziato a pensare che sia una parrucca.

In ogni caso, non si può negare che abbia fascino.

Come mai Bartek l'abbia mollata rimarrà per sempre un segreto, ma tra di noi si vocifera che abbia trovato qualcuno da amare per davvero, e non solo fisicamente.

Sono pronta a scommettere che quel qualcuno risponda al nome di Rebecca Guglielmelli.

Dopo le medie abbiamo perso i rapporti, data anche la strada che si era scelta nella vita, ma non posso che essere felice per lei.

Nonostante tutte le relazioni che avuto, chiunque le abbia voluto almeno un po' bene sa che ha sempre e solo desiderato lui, l'unico che l'abbia mai capita veramente, oltre quella maschera da cattiva ragazza che nascondeva tutte le sue paure e fragilità.

Anche Elena ha calato la maschera.

Credevo che fosse una brava ragazza, conoscendo anche i suoi genitori e l'educazione che da generazioni viene impartita nelle famiglia Baldini. Riccardo ne è un perfetto esempio.

Lei, invece, dev'essere la cosiddetta “pecora nera”.

Da quando sono arrivata, cioè una ventina di minuti fa, ha già ballato con una decina di ragazzi diversi, anche se chiamare ballo quello strusciamento di culo contro gli organi riproduttivi maschili e quei palpeggiamenti abbastanza espliciti è davvero un'offesa.

Mettiamola così: almeno la ragazza non nasconde la sua evidente voglia di trovarsi un toy-boy per stasera.

E io ho una paura fottuta che mi blocca la gola che la sua preda possa essere Kilian.

Mi ero autoconvinta che il mio “amore” per lui fosse sparito.

Ed è così.

Quel sentimento morboso di quasi cinque anni fa è scomparso, non soffro più di quella forma di attaccamento malata, troppo simile alla Sindrome di Stoccolma per poter essere definita amore.

Con Luca credevo di aver finalmente compreso cosa questa parola volesse dire.

Ma non è così.

Con lui mi sento protetta, amata, sicura...

Ma il mio cuore non accelera ogni volta che mi abbraccia.

Il mio respiro non si fa corto quando raggiungiamo un'eccessiva vicinanza.

I nostri corpi si desiderano, i nostri baci sono pieni di puro affetto, le sue mani sanno di casa...

Eppure, non c'è quel di più che definisce un amore.

Pensavo fosse solo una fase, pensavo fosse solo una montatura del mio cervello, pensavo di essere riuscita a non cedere ancora al suo incantesimo.

Asia, invece, si è accorta subito che io amavo lui.

Dal istante in cui ha richiamato, ormai qualche mese fa.

Dice che mi brillano gli occhi anche solo se qualcuno lo nomina, e che i sorrisi che mi fa fare Kilian, Luca se li può solo sognare.

È ovvio che la mia migliore amica dai capelli multicolore fa il tifo per il ragazzo di colore.

Non ha mai avuto troppa simpatia per il mio attuale fidanzato.

In effetti, a volte è un po' pesante, e spesso lui non se ne rende conto.

Pazienza.

Non posso farci molto.

Ho capito chi amo, ma non voglio rovinare tutto.

Le nostre vite funzionano bene così.

Lui è felice.

Io sono felice.

Più o meno.

A parte quando i suoi occhi la guardano come la sta guardando adesso, mangiandosela viva.

Con non so quale autocontrollo, riesco a non schiacciare il bicchiere di plastica contenente un qualcosa di alcolico, preferendo scolarmelo tutto d'un fiato.

Mi brucia la gola, ma almeno annebbia un po' quel fastidioso groppo che mi ha attanagliato dentro.

Mi impongo forzatamente di girare la testa da un'altra parte.

Luca è scomparso a cercare il bagno, disperso nel labirinto di stanze di questa grande casa.

Non so neppure chi sia il proprietario.

Andiamo bene.

Dopo aver vagato per un po' con gli occhi, fissando per un paio di minuti buoni una lampada a lava e rischiando di accecarmi, finalmente vedo qualcosa che mi fa sciogliere: Ana abbracciata a Riccardo, la testa contro il suo petto, mentre ballano un lento con musica dance in sottofondo.

Sono così belli insieme.

E almeno loro sono felici.

Dopo anni, il bel pianista è riuscito a far breccia nel cuore di ghiaccio della bella croata.

Una bella fetta di merito va a Lucio, che l'ha costretta a smettere di allontanare tutti e rivelarsi per la ragazza fantastica che è in realtà.

Ovvio che i problemi non le mancano, in primis con sé stessa e con la sua insicurezza, fatto che ha portato al loro temporaneo allontanamento.

Ma quei due si salvano a vicenda.

Lui la rassicura, la spinge a volare alto, oltre i suoi limiti.

Lei scaccia via tutta la pressione che la famiglia Baldini esercita sul ragazzo, ceracndo di forzarlo in tutti i modi a seguire la tradizione e diventare architetto.

È così che mi immagino una coppia: un forte bisogno dell'altro, non perché è necessario, ma perché lo vogliamo nella nostra vita.

Mamma mi ha detto che quando ci s'innamora, tutto il resto del mondo potrebbe scomparire, ma non importerebbe.

Mi rattristo di nuovo. Io voglio bene al mio fidanzato, ma...

Ma se dovessi scegliere fra lui e Kilian, non sono così sicura che farei la scelta eticamente giusta.

- Amore, eccoti, questa casa è enorme per la miseria, ho avuto paura di non riuscire a tornare più da te...

Il suo corpo contro la mia schiena, le sue labbra umide a solleticarmi il collo, le sue mani forti e calde sulla mia vita...

Tutto ad un tratto, il suo tocco è così estraneo che mi fa sussultare.

Meno male che ho svuotato il mio bicchiere.

- Amore? Sei ubriaca? Sono io, tesoro.

Combatto contro quell'istinto che mi urla di allontanarlo, scappare, correre a rinchiudermi in casa e buttare la chiave.

Sono preda dell'alcol, mi ripeto.

Domattina mi sveglierò con un gran malditesta, e sarà tutto perfettamente finto come prima.

Mi giro, un sorriso di plastica forzato in faccia.

- Scusa, amore, pensavo fossi qualche ubriacone che si era confuso... Non ho i sensi molto funzionanti, chissà cosa c'era in quel bicchiere...

Ridacchio in un modo così isterico che un paio di persone si voltano a guardarmi storto.

- Si, lo vedo...-, Luca mi squadra, pensieroso, poi mi afferra la mano.

- Meglio se ti riporto a casa, non ti fa bene stare qui...

Comincia a trascinarmi verso la porta, districandosi fra persone alticce e mezze nude.

Mi sento in trance.

Ha ragione.

Non mi fa bene stare qui.

Ha ragione.

Ma non me ne frega assolutamente un cazzo.

Freno improvvisamente, cominciando a divincolarmi per sfuggire alla sua presa ferrea.

Il ragazzo si gira, stupito.

- Giorgia, si può sapere che cosa stracazzo staresti facendo?

- Lasciami, lasciami! Non voglio andare via! Non voglio tornare a casa!

Sembro impazzita.

- Non fare la bambina, devi solo salire in macchina...-, prova a sussurrare, accarezzandomi la guancia.

Rabbrividisco, e, persa ogni traccia di lucidità, gli mordo la mano.

- Ahia! Stupida! Che cazzo fai, eh?

Luca urla di dolore, lasciando finalmente il mio polso.

Mi ritraggo come un riccio spaventato.

I suoi occhi lanciano lampi, e le luci colorate che illuminano flebilmente la stanza contribuiscono a rendere ancor più terrificante il suo viso.

Si avvicina, e alza la mano, in maniera minacciosa.

Oddio, adesso mi mena.

Chiudo gli occhi, ma non succede niente.

Sento invece la sua voce urlare, superando persino il volume della musica.

- Fra, che cazzo fai?

Quando dischiudo le palpebre, Ricky sta trattenendo Luca, mentre Lucio mi fa da scudo col corpo.

Sento una mano che prende la mia, stritolandola.

Un'Ana terrificata osserva la scena, l'arto le trema, i suoi già celesti occhi sembrano trasparenti.

- Non faranno a botte, vero?-, bisbiglia, preoccupatissima.

In risposta, aumento la stretta.

Non devo essere molto rassicurante.

- Penso che non sia il caso che resti ancora, Luca.-, dichiara il barbuto, a denti stretti.

La musica si è interrotta, tutti osservano i due senza fiatare.

- Dai ragazzi, davvero pensate che la volessi picchiare? Non lo farei mai!-, si difende lui, cercando di liberarsi.

Non ci riesce.

- Andiamo, Gio, diglielo che non ti volevo fare niente, stavo solo cercando di riportarla a casa...

Mi fissa, supplicandomi con gli occhi di aiutarlo.

Apro la bocca, ma esce solo un suono strozzato, come se non avessi la forza di pronunciare quelle semplici parole.

So bene che non mi avrebbe fatto del male, ma la lucidità è andata a puttane, per cui...

Il suo sguardo s'indurisce.

- Ah, al diavolo! Fammi passare!

La scena sembra al rallentatore. Con una violenza mai vistagli prima, spinge Riccardo lontano da sé, facendolo cadere a terra. Ana urla, si precipita su di lui, Lucio si prepara a bloccare la furia, io comincio a recitare il rosario nella mia testa.

E forse qualcuno ascolta le mie preghiere.

Un terzo ragazzo s'insinua davanti al mio ragazzo e, con una mossa alquanto strana, lo immobilizza.

- Direi che è il momento di tornare a casa, Luca.

Diego tiene fermo il ragazzo, che ha smesso di fare resistenza.

Mi guarda, con sguardo ferito.

Poi si alza, piano, scrollandosi di dosso le mai del fratello, e senza dire altro se ne va, non voltandosi nemmeno per controllare la situazione.

Diego mi fa un cenno, un sorriso amaro, e lo raggiunge.

La porta sbatte.

Il rumore mi riporta alla realtà.

Cosa diamine ho appena fatto?

Ana stringe così forte Riccardo che sembrano una cosa sola.

Lucio cerca in tutti i modi di allontanare le persone, invitando il dj a rimettere la musica.

Elisa e Asia, che nel frattempo sono riuscite a farsi strada tra la gente, cercano di distrarmi, ma io rimango inerme a fissare un punto imprecisato davanti a me.

- Gio? Gio?

Una voce tra le altre mi arriva nitida alle orecchie.

- Kilian...-, mormoro, e la mia voce trema.

- Gio, Gio, sono qui...

Sento il suo petto contro il mio prima ancora di riuscire a vederlo.

- Che infarti mi fai prendere? Sono vecchio, io...

Scherza, tenta di risollevarmi il morale, ma ottiene solo l'effetto contrario.

Comincio a singhiozzare contro la sua spalla, aggrapandomi con forza alla sua maglia.

Quando lui mi ha preso fra le sue braccia, non ho sussultato.

Cosa mi succede?

Mi sono fatta condizionare da un po' di alcol mixato con il casino che ho nel cuore.

Ho mandato tutto a quel paese.

Ho rovinato tutto.

Non può essere.

Devo risistemare le cose.

- Kilian, lasciami, ho sbagliato, devo andare da lui.-, esclamo, allontanandolo.

Faccio per andarmene, ma lui mi trattiene per il polso.

Non posso fare a meno di notare come il suo tocco sia molto più gentile.

- Gio, sei pazza? Non puoi andare da lui, non adesso.

Quanto vorrei ascoltarlo.

Ma devo risolvere la cosa, devo scusarmi, devo farmi perdonare.

- Ki, non capisci, non posso restare qui.-, soffio, tirando via la mano.

Non prova a riprenderla.

Leggo sul suo viso che non sa cosa fare, che non sa come leggermi dentro.

Il muro, questa volta, è troppo imponente anche per lui.

- Cos'hai, Giorgia?

Non posso dirgli la verità.

Non questa.

Potrei dire qualunque altra cosa.

O quasi.

Stavolta, però, non sbaglierò.

So qual è la cosa giusta da fare.

Deglutisco.

- Niente.

Boom.

Ecco, l'ho detto.

Non si torna indietro.

Subito vedo i suoi occhi oscurarsi, e come due buchi neri trascinano via ogni speranza.

- Niente?-, ringhia.

Abbasso la testa, per impedirgli di vedere le lacrime che hanno cominciato a scendere copiose.

- Allora la metti così. Niente.

Sto per cominciare a singhiozzare di nuovo, come una bambina dell'asilo, esattamente come mi ha chiamato Luca.

- Avevamo promesso che non ci sarebbe più stato un “niente”. O sbaglio?

Allora se lo ricorda.

Forse non è vero che non ero più il suo primo pensiero.

Il mio, lui lo era di sicuro.

Rimango in silenzio, rischiando di farmi sanguinare il labbro tanto lo mordo.

- 'Fanculo, Alisi.

Va via anche lui.

Mi spezzo dentro.

Non so come riesca a non crollare a terra.

Forse è merito delle mani gentili di Asia e Elisa, che prendono le mie.

Incrocio gli occhi della mia migliore amica.

- Andiamo a casa, che dici?-, sussurra.

Annuisco, piano.

- Si. Andiamo a casa.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Questa notte è ancora nostra - Parte 1 ***


Notte prima degli esami – Antonello Venditti

 

17 Giugno 2022

 

- Raga io mi sparo, ve lo giuro.

Elisa schiaffa la testa sul libro di filosofia, urlando contro la carta in maniera isterica.

- Mi aggrego, vado a cercare una pistola. -, sbuffa Lucio, chiudendo con uno scatto il quaderno degli appunti di letteratura.

È il 17 Giugno.

L'ultimo giorno che precede la nostra prima prova.

Siamo chiusi in casa di Asia e Eugenio da, più o meno, sette ore.

SETTE. CAZZO. DI. ORE.

Dire che siamo sull'orlo di una crisi isterica è riduttivo.

Molto riduttivo.

- Amore, ti prego, dimmi che esiste un modo per passare senza studiare. -, mugugna la mia migliore amica, con la sua nuova e appariscente tinta viola, andando a sedersi sulle gambe del fidanzato e strusciando la testa sul suo collo.

- Mmmh, fammi pensare... No. -, sorride lui, dandole un buffetto sulla guancia e un lieve bacio.

Che carini, la coppia più sdolcinata d'Italia.

E vabbè, gli vogliamo bene così.

- Ragazzi, scherzi a parte, se non stacco la testa per un po', esplodo. -, dichiara Kilian, lasciandosi cadere sulla poltrona dell'accogliente open space che collega salottino e cucina.

- Basta che non stacchi la testa dall'esame, altrimenti te la stacco io, letteralmente.

Lo fulmino con lo sguardo e, stranamente, risponde col suo solito sorrisetto e con quel maledetto occhiolino.

Dannato Brjshna, se non passa con almeno 75 lo trucido.

- Va bene, stacchiamo. Che ne dite di un gioco? -, propone Ana, stiracchiandosi sulla sedia.

- Che hai in mente, Rossa? -, la interroga Diego, sbucando solo ora dalle decine di fogli sparsi sul tavolo.

- Boh, qualcosa di infantile, per fare i bambini ancora un'ultima volta, prima di “crescere”...

- Wow, che discorsi maturi e smielati... -, commenta Riccardo, beccandosi una linguaccia dalla sua ragazza e facendo ridacchiare tutti.

- Dai, scemo, hai capito. -, risponde la bella croata, ridendo.

- Facciamo “Obbligo o Verità”! -, esclama con un po' troppa foga Elisa, battendo le mani.

- Siiiiii -, salta su Asia, aggregandosi all'esultanza della morettina, sedendosi sul morbido tappeto bianco e invitandoci a seguire il suo esempio.

Io e gli altri ci guardiamo, un po' incerti; dovremmo studiare, altrimenti domani potremmo essere impreparati...

Ma poi, forse preda di una folle voglia di rimanere bambina, mi alzo e raggiungo le mie amiche, che strillano di felicità come quando avevamo tredici anni e molti meno problemi.

Ana mi segue subito.

Le rivolgo un sorriso d'intesa, e insieme ci voltiamo verso Kilian, Riccardo, Lucio e Diego.

- Come cinque anni fa. -, mormoro, e non è una supplica o un ordine. È un invito, “venite a giocare un'ultima volta, non dimentichiamo”.

E, come prevedevo, nessuno rifiuta.

Eccoci qua, gli stessi ragazzi di terza media, ognuno con nuove storia, nuove paure, nuovi amori.

Nessuno di noi c'avrebbe scommesso un centesimo su questa folle amicizia, e invece eccoci qua.

Asia ha trovato il coraggio di vivere la sua vita, senza influenze da parte dei suoi genitori, ed Eugenio anche.

Riccardo si è iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, come aveva sempre sognato, scegliendo la sua felicità.

Lucio sta cercando di ottenere tutti i permessi per risollevare la panineria dove passavamo i nostri pomeriggi a sette anni.

Diego ha finalmente trovato il coraggio di fare coming out, e adesso ha in progetto di tentare l'ingresso alla Scala.

Ana ha smesso di fingere di essere qualcuno di molto diverso da lei, esorcizzando la sua paura di non essere accettata.

Elisa ha infine compreso che non ha importanza quello che quel bastardo le ha fatto, lei non si nasconderà dietro un muro per una colpa non sua.

Kilian è arrivato alla fine del liceo, e grazie alla scuola paritaria ci è riuscito in tempi normali, trovando anche un posto da apprendista nell'officina locale.

E poi ci sono io. Cos'è successo a Giorgia?

Giorgia non ha più voglia di cercare scuse, Giorgia ha imparato che lei vale, Giorgia ha scelto di provare a sfondare nel mondo della musica, iscrivendosi comunque alla facoltà di Ingegneria Meccanica. Giorgia ha rinunciato al suo vero amore, e ora sta bene. Giorgia è amata. Giorgia è cresciuta.

- Allora, chi comincia? -, esordisce il padrone di casa, sfrergandosi le mani e sfoderando un sorrisetto beffardo.

- Comincio io! -, impone la sua donna, non accettando obiezioni.

- Mmmmh, vediamo... -, esclama poi, stringendo gli occhi e guardandoci uno per uno, in cerca di ispirazione.

- Lucio. -, sceglie poi, - obbligo o verità?

Il ragazzo sbuffa: - Perché proprio io?

Ma lei lo guarda sbattendo angelicamente le ciglia, segno che non cambierà il suo bersaglio.

- Verità. -, decide allora il campano.

Il ghigno che nasce spontaneo sulla faccia della mia bff non promette sconti.

- Hai mai detto una bugia a qualcuno dei presenti? Se si, quale? -, sibila lei.

Un coro di “Ooooh” riempie la stanza, mentre il poveretto sbianca.

- Lucio, vogliamo la verità, forza. -, lo esorta la cugina, mettendolo più o meno nella stessa situazione in cui l'aveva messa lui per farla uscire allo scoperto con Ricky.

- E va bene, lo confesso, ho mentito a tutti... -, svela dunque il giovane.

Silenzio.

Tutti aspettano di sentire su cosa ci ha mentito.

Prende un bel respiro.

- Non è vero che tifo Fiorentina, in realtà sono fedele al mio Napoli. E adoro Gigi D'Alessio. E la pizza di Ana è terribile. -, sputa fuori, tutto d'un fiato.

Un altro attimo di silenzio.

Poi, tutti scoppiano a ridere così forte che il poveretto fa un salto.

- Tesoro mio, mi dispiace ma questo lo sapevamo già, una volta abbiamo frugato tra le tue cose nel portaoggetti dell'auto e ci abbiamo trovato tutti i CD di Gigi e la sciarpa del Napoli. -, rivela quindi Asia, facendogli tirare un sospiro di sollievo.

- Ti è andata bene, Esposito. -, lo informa Eugenio, ma lo sguardo assassino di Ana lo fa ricredere.

- Scusa, la mia pizza farebbe schifo? -, ripete, con voce minacciosa.

- No, amore, scherzava, tranquilla... -, la calma il bel Baldini, ma appena questa si gira, tranquillizata, mima a Lucio un bel “ti capisco, fratello”. Sforzarsi di rimanere seri è un'impresa da titani.

- Bene, ora che ci siamo chiariti, tocca a me.

Lucio distoglie l'attenzione dalla sua confessione, puntando Diego.

- Pronto, Dado?-, lo avvisa lui.

- Obbligo, non voglio domande che potrebbero mettere a rischio la mia reputazione di “signore”. -, scherza il biondo.

- Tranquillo, nessuno crede ancora che tu abbia una reputazione. -, lo rassicura Elisa.

- Ha ragione la dottorina, perciò, io ti obbligo...

La serata vola via, e in un baleno è già ora di cena.

Ordinare pizza d'asporto era la scelta migliore.

Ma noi abbiamo un napoletano in combriccola.

- No, ragazzi, va bene tutto ma non la pizza di quel ristorante. Cucino io! -, si erge a paladino della cucina lui.

Poco convinti, lo lasciamo cominciare ad armeggiare con farina e acqua, riprendendo le nostre posizioni.

- Non voglio studiare ancora, sento che potrei recitare il libro a memoria. -, annuncia Riccardo, dando voce ai pensieri di tutti i presenti.

- Bisca clandestina di rubamazzo? -, suggerisce Diego, ma non siamo molto convinti, l'ultima volta ha stravinto e si è preso tutti i nostri già pochi soldi.

- Gioco della bottiglia? -, rilancia Ana, ma Riccardo le lancia un'occhiataccia e la rossa si affretta a giustificarsi con un bel “scherzavo”.

- Dai raga, non è possibile che in otto non troviamo un'idea, va a finire che Lucio finisce di cucinare prima che noi ci decidiamo. -, sbotta la padrona di casa.

Ha ragione, ma qui nessuno ha uno straccio di suggerimento...

Passano pochi secondi, che durano un'infinità, e in questo enorme lasso di tempo ci limitiamo a scambiarci sguardi privi di vita.

Fino a che, dal nulla, suona il campanello, e ci desta dal nostro intorpidimento.

Asia sembra confusa, Eugenio le fa segno di rimanere lì, e poi scende le scale e va ad aprire.

Nemmeno a dirlo, tutti ci fiondiamo alla ringhiera per sbirciare.

Guarda dallo spioncino, e sembra rilassarsi.

Piano piano apre e vedo una figura familiare prendere forma davanti ai miei occhi.

Non appena l'uscio è spalancato, certe ormai che è chi pensavamo, partono quattro urletti femminili, e si scatena la maratona di “chiscendeprimavince”.

Indovinate un po'? Ho vinto io.

Si può dire che salto in collo alla povera vittima, che intanto ha cominciato ad urlare con noi.

- Miri!!!

Asia si aggiunge all'abbraccio con la forza distruttiva di un carrarmato, seguita dalle due ragazze.

Miriam sembra sull'orlo delle lacrime, di gioia questa volta.

- La mia meccanica preferita! -, tuba Diego alle nostre spalle.

Lasciamo la bionda libera di respirare, e di salutare il suo più caro amico.

- Il mio ballerino adorato!

Si stringono così forte che ho paura si fracassino le costole a vicenda.

- Ehi, Mimi, sai una cosa? -, esclama poi lui, sciogliendo l'intreccio di braccia.

- Cosa, Digo? -, ribatte lei, ed è subito un tuffo nel passato.

- Sei stata la mia unica ragazza. -, rimarca lui.

- E tu il mio unico ragazzo. -, ribatte lei.

Devono dirlo ogni volta che s'incontrano. Ogni volta.

Ma fa sempre ridere.

L'atmosfera è nuovamente colma di risa e affetto, con quella punta di ansia per domani che non ci abbandonerà mai.

A turno, tutti salutano la nuova arrivata. Scende persino Lucio, ma solo un attimo, poi se ne riscappa al pianno di sopra urlando che non può abbandonare il suo bambino, Impastino.

Sempre più certa che in questo paese ci sia qualcosa che rende tutti anormali, invito il resto del gruppo a seguire il pizzaiolo e tornare di sopra.

- Vieni, Miri, ti faccio fare il giro della casa! -, esclama piena di entusiasmo Asia, afferrandola per il polso e portandola nelle varie stanze, come una vera e propria guida turistica.

La guida turistica più svelta della storia.

- E questo è il salotto. -, conclude dopo neanche un minuto, con aria fiera per ciò che è riuscita a costruire insieme ad Eugenio in questo buco di abitazione.

Il merito va loro riconosciuto, con pochi fondi sono riusciti a trasformarla nella loro casa dei sogni, anche se c'è ancora molto da fare.

- Sei davvero fantastica. -, ammette anche la biondina.

Poi ci riaccomodiamo negli stessi posti di prima, ma il ritorno di Miriam ci ha dato una nuova energia.

- Allora, nuovo look a parte, come va? Sei tornata per restare? -, apre la conversazione Ana, alludendo prima ai capelli a spazzola e poi al suo improvviso ritorno.

- Diciamo di si. I miei non mi riprenderanno mai in casa, figuriamoci, una lesbica sotto il loro stesso tetto... -, ironizza lei, anche se la situazione è in realtà molto triste.

- Però qualche giorno fa sono andata dal meccanico, sperando di farmi assumere. Giorgio ha ascoltato il mio curriculum, anche se probabilmente lo sapeva già a memoria, e poi ha detto che sono in prova. Enea mi ha assicurato che mette in prova solo chi ha intenzione di far lavorare, perciò adesso cercherò un monolocale dove appoggiarmi in attesa di potermi permettere una casa. L'intenzione c'è, ecco. -, racconta con una scrollata di spalle.

La cosa bella di Miriam è che non smette mai di sorridere. Per tutto il tempo, ha sempre mantenuto il sorriso con cui si è presentata alla porta. Ammiro la forza di questa donna, non dev'essere facile doversene andare dal proprio paese perché ripudiati dai propri genitori a soli sedici anni, e tutto per un diverso orientamento sessuale. Pensare che sono anche atei, e io che sono cattolica non mi sono mai fatta un problema della cosa.

È proprio vero che il mondo adesso va al contrario.

- Però così non vale, tu non hai l'esame domani! Hai interrotto i nostri buoni propositi di sostenerli tutti insieme! -, sbotta Ricky, fingendosi indignato.

- Eh già, brutta strega che ha abbandonato la scuola a sedici anni.-, gli da corda Diego, facendo il broncio.

- E mi hai battuto sul tempo, hai lasciato prima che potessi farlo io, mi ritengo offeso. -, si aggrega anche Kilian.

Miriam li guarda, e cerca con tutta la sua anima di non scoppiare a ridere come un'ebete, ma è pressoché inutile con quei tre.

- Mi dispiace, la vocazione per la meccanica mi ha strappato dalle braccia del liceo linguistico. -, si giustifica, con il suo solito sarcasmo.

Come abbiamo fatto senza di lei?

- In ogni caso, dato che è la vostra serata pre-esame, cosa stavate facendo prima che arrivassi io?

Scende l'imbarazzo sulle nostre teste, mentre blateriamo qualche “ehm”, cercando qualche cosa di intelligente da dire.

Sgrana gli occhioni verdi.

- Non ditemi che non stavate facendo niente! -, strilla, assordandoci.

Nessuno risponde, Elisa ridacchia nervosamente mentre l'ultima arrivata sospira.

- Meno male che ci sono io... -, osserva a questo punto lei e, sotto otto paia di occhi indagatori, prende il suo zainetto di pelle e lo apre, estraendone una scatola non troppo grande.

- Quello che cosa sarebbe? -, la interpella Kilian, dato che lei non sembra volercelo rivelare.

- Basta che tu non abbia introdotto una bomba in casa mia, poi può essere quello che vuoi...-, commenta Eugenio, scherzando solo fino ad un certo punto.

- Tranquillo, papà, non ti farò saltare in aria.-, afferma in risposta, aprendo la scatoletta.

C'è un disco, e sopra qualcuno ci ha scritto con un pennarello verde “Progetto Vita”.

Siamo più confusi di prima.

- Hai un lettore DVD? -, chiede alla signora della casa.

Questa annuisce, e indica l'apparecchio, il quale si confonde perfettamente con lo scomparto del mobile nero su cui è stato messo.

Miriam si alza, armeggia coi telecomandi, riesce ad accendere la televisione e poi inserisce il disco.

-Ragazzi, è quasi pront-

Lucio arriva ma viene subito zittito, e lo invitiamo a sedersi con noi.

La scritta “Progetto Vita” appare su uno sfondo multicolore, mentre dalle casse si inizia a diffondere una musica fin troppo familiare.

Sono le nostre voci.

La schermata scompare, rivelando dei bambini di tre/quattro anni che cantano “Alouette, gentille alouette”.

Riconosco il filmato.

Eravamo all'asilo.

Eccoci, ci vedo.

Vedo Asia, quando i suoi capelli erano ancora castani e non aveva piercing, mentre balla con me un valzer che, a riguardarlo adesso, dovrebbe essere illegale in tutto il mondo, vedo Riccardo senza barba mentre gioca a lanciare macchinine, vedo Lucio che piange in un angolo perché Miriam gli ha rubato le pentole finte, vedo Elisa che pettina una bambola, anche se forse le stacca più capelli di quelli che raccoglie in una coda tutta storta, vedo Diego che impiastriccia il pongo sul tavolo e Ana che batte le mani senza alcun motivo vero.

Mentre i frame si alternano, una voce comincia a parlare sopra alle immagini.

Il tempo è passato veloce come una macchina di Formula 1 che cerca di accaparrarsi la pole. Sembra ieri che eravamo bambini e giocavamo nella terra al parco, litigando su quale torta di fango fosse la più bella. Nemmeno a farlo apposta, alla fine vinceva sempre Lucio.”

Le foto al parco, tutti pieni di terra e lividi, segni ineluttabili di grandi avventure, fanno riempire gli occhi di lacrime e la testa di ricordi.

E poi c'era Giorgia, che già a sei anni costruiva acquedotti, anche se un po' grezzi, e tutti la chiamavano Trilli perché era una specie di tuttofare, mentre con Elisa era una guerra continua per l'amicizia di Asia. Io stavo sempre nel mezzo, e Ana ci guardava dalla classe accanto, chiedendosi se fosse il caso di approcciare con noi esseri alquanto bizzarri.”

L'inquadratura di Ana, senza tatuaggi e con i capelli a caschetto, è qualcosa di epico. Ha il terrore negli occhi.

Ridiamo tutti, e poi, quando la telecamera fa uno zoom sull'albero dietro di lei e vediamo Riccardo che la spia da lontano, rischiamo quasi di soffocare. Era pazzo di lei già più di dieci anni fa.

Poi, con un cambio repentino di musica, appare la nostra recita di natale delle elementari. Che buffi, tutti vestiti di rosso e con le corna da renna.

Mancano solo Kilian e Eugenio, ancora eravamo troppo piccoli per conoscerli.

Me la ricordo questa cosa, avevano unito tutte e due le sezioni per fare una sorta di coro vero e proprio.

C'è Diego che, invece di cantare, si scaccola, in prima fila, mentre dietro Lucio e Riccardo ridacchiano e si tolgono le corna a vicenda.

Io e Asia ci teniamo per mano, Elisa fa il broncio, Ana, tanto per cambiare, ha il terrore negli occhi, e Miriam che tiene con le mani i leggins rossi un po' troppo grandi per lei.

Stiamo “cantando” una di quelle canzoncine che in teoria dovrebbero essere facili da imparare.

Rivedere tutto questo, rivederlo adesso, e rendersi conto che sono già passati tredici anni... Mi vengono i brividi solo a pensarci, eppure è così.

Sullo schermo si susseguono vecchie immagini dimenticate, brevi video, qualche disegno, lettera o creazione di quegli anni ormai lontani...

Asia mi stringe la mano, ed è come se fossimo di nuovo lì, in piedi davanti alle nostre famiglie.

Vedo i nostri volti cambiare man mano che si prosegue con gli anni, qualcuno diventa più alto, a qualcuno spuntano i primi brufoli, e alle ragazze iniziano a vedersi i primi accenni di femminilità.

Poi appare Kilian.

È la foto di prima media, quella con tutte le sezioni, quando ancora non era in classe nostra, quando ancora eravamo due perfetti sconosciuti.

Mi manca il respiro. Erano “quegli anni”. Ancora adesso fa male.

Appaiono i primi selfie, i primi video col cellulare, le prime coppie...

In una foto rubata vediamo di nuovo Riccardo fissare Ana, sul bus, mentre lei lo ignora bellamente. Non riusciamo a trattenerci e scoppiamo a ridere come farebbero dei bambini, come avrebbero sicuramente fatto quei bambini.

In un attimo rivivo tutte le medie, tutte le avventure, tutte le sventure, tutti quegli attimi... Non sento nemmeno la voce narrante di Miriam tanto sono coinvolta.

Quasi piango quando, comparsa sulla televisione una foto di me e Ki che ci abbracciamo davanti alla scuola, il ragazzo si china e mi lascia un bacio sulla guancia, per poi portare la sua mano sulla mia guancia e cominciare a muovere il pollice in maniera carezzevole. Subito la afferro, delicatamente, e rimaniamo così a contemplare la nostra crescita.

Le medie volano, concluse dalle bellissime foto degli esami, ed ecco le superiori.

...ma eccoci arrivati alle tanto temute scuole superiori... Le difficoltà sono iniziate qui. Qualcuno è sparito per un po', qualcun'altro è arrivato, qualcuno ha trovato il suo posto e qualcuno ha sofferto...”

Adesso non ci sono più foto di Kilian.

Lo sento stringere forte le mie dita, segno che sta ancora male per essersene andato così.

“Sei tornato, però”, cerco di trasmettergli.

A risollevare i nostri animi ci pensa Asia, non appena vede la prima foto di Eugenio, lanciando un urletto isterico.

Il bel moro sta appoggiato al muro della stazione, intento a smanettare col cellulare.

Come dimenticare il giorno in cui l'ho scattata, sotto insistenti pressioni della mia migliore amica... Chi poteva immaginare dove sarebbero finiti.

Anche Luca comincia a farsi vedere nelle foto, ma io non riesco a essere euforica come Asia, anzi, ringrazio l'assenza di luce che non mi costringe a sforzarmi di sorridere.

Le cose sono cambiate fra noi, ormai da tempo.

Forse dovrei lasciarlo.

Forse dovrei decidermi a lasciare il nido dove sono stata rintanata fino ad ora.

Forse, ora che Elena sembra scomparsa nel nulla, dovrei farmi avanti io.

Forse, queste dita sottili e conosciute, potrebbero divenire la mia nuova casa.

Giro piano la testa verso Kilian, e nella penombra della stanza riesco a scorgere uno luccichio nelle sue iridi scure, rivolte verso quella macchina del tempo che ci sta riproponendo tutto il nostro vissuto insieme.

Kilian piange.

Non singhiozza, non tira su col naso, non si asciuga la faccia.

Lascia che le lacrime seguano il loro corso, se le fa scivolare addosso come fossero semplice acqua, non l'espressione di tutto quel dolore che, malgrado tenti di smentire, è ancora presente nel suo cuore, appuntito come mille spilli.

E gli fa male.

E lui piange.

Piange di nascosto come se avesse paura di disturbare.

Come fa ad essere bellissimo anche quando piange?

Deve rendersi conto che lo sto scrutando, dal momento che si gira anche lui.

Mi guarda.

Sorride, fra le lacrime.

Sorrido anch'io, e con una carezza le spazzo via, risoluta a far sparire questo suo malessere per sempre.

Mi tira a sé, e lascia la mia mano solo per passarmi un braccio dietro le spalle, riprendendola poi con l'altra.

Mi accoccolo contro di lui, e giuro che potrei restare così per sempre.

...e tutto questo ci porta qui, in questa stanza, in quella che per molti sarà solo l'ennesima sera di giugno ma che, per noi, rappresenta un nuovo traguardo. Ma non pensate che sia finita qui, oh, no di certo! Abbiamo percorso tanta strada insieme, ma il nostro last lap è ancora molto lontano... E, anche se queste sono solo le semplici parole di una semplice meccanica, io spero vivamente di continuare a correre con voi. Perché, in fondo, questo Progetto chiamato Vita è più bello se affrontato in compagnia.”

Una sequenza veloce di brevi riprese conclude il video, accompagnata da una musica in crescendo, fino a che un'ultima immagine, quell'ultima immagine, compare sullo schermo, mostrando noi, questi noi, quelli che siamo diventati, esattamente sei mesi e diciotto giorni fa, a Capodanno.

La goccia che fa traboccare il Nilo, altro che vaso.

Penso di non aver visto così tante lacrime nemmeno quando al cinema andai a vedere “Io prima di te” con Neri e Gaia.

Le luci ricompaiono per magia, svelando ragazze con gi occhi rossi e il mascara colato, e ragazzi con gli occhi lucidi che cercano di resistere al flusso di sentimenti.

Quello che segue è l'abbraccio di gruppo più bello che io abbia mai dato.

Restiamo stretti così, l'uno all'altra, senza distinzioni di sesso, etnia, età, colore dei capelli, orientamento sessuale e tutte quelle cose che il mondo ha trasformato in capri espiatori per il loro odio represso; siamo solo dieci quasi adulti che si vogliono bene e non vogliono crescere, non vogliono entrare nel mondo dei grandi, anche se già ci sono dentro da un pezzo.

- Vi voglio bene ragazzi.-, mugugna Elisa, spiaccicata contro il corpo di qualcuno, e un coro di affetto si leva da questo intreccio di amore che si stringe ancora di più.

Se dovessi dare una dimostrazione del concetto di equilibrio, non saprei esprimerlo in maniera migliore.

Di sorpresa, poi, Lucio si stacca di colpo, sfregandosi gli occhi e battendo le mani.

- Bene, e ora... Si mangia!

- EEEEEEH!

Andiamo in cucina e troviamo un profumino e una visione meravigliosi ad accoglierci.

Apparecchiamo, ridendo, scherzando e spintonandoci.

Poi ci mettiamo a tavola.

L'allegria ci accompagna per tutta la cena.

 

 

 

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