La principessa e il folletto

di losingyourmemory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima di tutto ***
Capitolo 2: *** Irene ***
Capitolo 3: *** Una mano e un amico ***



Capitolo 1
*** Prima di tutto ***


flashback
 
La giornata era limpida come uno specchio d’acqua. Il sole batteva forte sui tetti delle case di pietra e un venticello fresco muoveva le fronde degli alberi in fiore. Dopo circa due settimane di pioggia e freddo, questa giornata calda era un dono di Dio. Il piccolo Etid giocava all’ombra del grande albero mentre sua madre Lisa lo guardava teneramente.

D’un tratto la quiete del villaggio fu rotta da strane grida. La madre di Etid si girò in direzione delle urla, che provenivano dalla piazza. Sembrava proprio che stessero litigando. Etid come scosso da un fremito interiore, si precipitò fuori dal piccolo cancello in legno, seguito dalla madre che aveva riconosciuto la voce di uno dei litiganti. Arrivati in piazza, Etid, sgattaiolò lesto tra le gambe della gente, avvantaggiato dalla sua piccola statura, mentre la madre cercava di farsi largo tra la folla accorsa.

Lisa sperava con tutto il cuore di sbagliarsi ma fattasi largo tra la gente, al di là della calca, in un cerchio vuoto, a terra c’era suo marito Terin. Al di sopra di Terin si ergeva una possente figura a cavallo. Il re. Terin arrancava a fatica, cercando di rialzarsi. Lisa si portò le mani al viso urlando il suo nome. Il silenzio tra la folla e tutti gli occhi puntati su di lei, anche quelli verdi e infiammati di Terin. Lisa immobile al suo posto, emise come un gemito guardando il marito col volto pieno di sangue. Il tempo parve essersi fermato.

Etid, in quegli istanti che parevano ore, era corso da suo padre, veloce come una lepre in fuga da una volpe. Tutto cominciò a muoversi e il tempo scorreva di nuovo inesorabile. Lisa si avvicinò a Terin e a suo figlio, che aveva aiutato il padre a rimettersi in piedi. Terin le mormorò scusa e prima che Lisa potesse rispondere e dire qualcosa, la voce di Terin fece ripiombare il silenzio. Alta, forte e chiara disse al re, fermo sul suo cavallo e la spada ancora sguainata, che da quel momento in poi se ne sarebbero andati via, via per sempre. La folla, fino a quel momento muta e attonita, iniziò a gridare e ad inveire contro il re e i suoi uomini, quasi cacciandoli. L’avrebbero seguito dicevano, avrebbero seguito Terin, in qualunque posto li avrebbe guidati. Non sarebbero più rimasti lì a guardare, a subire.

Quella stessa notte, circa metà della popolazione avrebbe abbandonato le loro abitazioni per rifugiarsi altrove, lontano da quel posto che per tanti anni avevano chiamato casa, ma a cui adesso sentivano di non appartenere più.
Solo molto tempo dopo, quando il loro ricordo era del tutto svanito e nessuno più era a conoscenza della loro esistenza, si scoprì che avevano vissuto e vivevano nelle miniere. Tutti coloro che abitavano nel nuovo villaggio e lavoravano nelle miniere sapevano della loro presenza, ma si tenevano a debita distanza. Tutti sapevano dei "folletti", tranne chi abitava al castello. Tranne il re, tranne la principessa Irene.

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Capitolo 2
*** Irene ***


Quel giorno il mare era molto agitato a causa del forte vento. Le onde s’infrangevano fragorose sulla scogliera mentre Irene le osservava dalla finestra. Era ancora troppo presto per la solita passeggiata nel bosco con Lucy e le nuvole grigie e minacciose di pioggia, le suggerivano che oggi non si sarebbe proprio mossa di lì.

Erano dieci anni che la principessa abitava in quella casa. Era stata mandata a balia all’età di otto anni a causa della prematura scomparsa di sua madre e, si era così abituata a vivere in casa di Lucy, con i suoi figli e i suoi animali, che tornava poche volte al castello, solo quando c’era suo padre. Ma suo padre, re Arthur, era sempre impegnato in guerre e campagne militari e tornava raramente. Irene non sapeva cosa fare in quel castello così grande e così buio per lei, senza nessuno con cui giocare, senza nessuno con cui parlare. Per questo aveva tacitamente deciso di restare lì con la sua balia che ormai, era diventata come una seconda mamma.

L’orologio batteva il primo rintocco delle cinque e le nuvole erano diventate meno scure. Della pioggia neanche più l’odore. Irene si alzò in piedi e andò a chiamare Lucy, seguita da Turnip, il suo gatto.

«Lucy, andiamo, sono le cinque, è l’ora di uscire.»

«Ma principessa piove.»

Irene rimase in silenzio e fece segno anche a Lucy di zittirsi.

«Hai sentito? Non piove. Ha smesso.»

«E va bene, testarda di una ragazza. Anche se ci fosse stata la neve, non avrei potuto trattenerti. Vorrei sapere cosa ci trovi di tanto bello nel bosco… a me fa paura.»

«È fuori dalle mura del castello, è questo il bello. Su non fare la fifona.» Rise.

«Non ci trovo niente di divertente.» Lucy arricciò il naso e fece una smorfia. Irene l’abbracciò.

Lucy andò alla porta e prese le mantelle sull’attaccapanni mentre Irene la raggiunse con Turnip. Uscirono di casa, dalle mura del castello e si incamminarono sul sentiero. Entrarono nel bosco, fitto di vegetazione e umido per la pioggia. Si sedettero accanto al solito albero dove Lucy, Irene, Anne e Gracie avevano inciso le loro iniziali. Tutto taceva. Tutto era normale all’apparenza.

Irene se ne stava sdraiata, accarezzando il pelo grigio e morbido di Turnip che le faceva le fusa. Pensava. Pensava che in diciotto anni, non aveva mai conosciuto ciò che c’era al di là delle mura del castello.
Non era mai stata in città, non aveva amici e non aveva mai conosciuto un ragazzo. Com’è che aveva vissuto allora? Rinchiusa? Può darsi. Certo aveva imparato tutto sull’aritmetica, la musica, la letteratura… sapeva leggere, scrivere e cantare ma, c’era qualcosa che non aveva mai saputo, mai visto, mai sperimentato ed era vita vera. Avrebbe voluto soltanto andarsene, esplorare, vivere senza costrizioni, senza balie e senza muri.

Mentre era assorta in questi suoi pensieri, qualcosa dentro si mosse e si alzò. Lucy accanto a lei dormiva come un sasso e non si accorse minimamente che la principessa si stava allontanando sempre di più, sempre di più fino a scomparire tra gli alberi con Turnip.

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Capitolo 3
*** Una mano e un amico ***


«Turnip aspettami!»

Il piccolo gattino correva qui e là, esplorando e soffiando su tutto ciò che gli era estraneo. Irene lo seguiva col fiatone finché Turnip non si fermò accanto ad una strana buca.

«Finalmente, birichino di un gatto! Quasi mi fai prendere un colpo. Allora? Si può sapere cos’hai trovato?»

Turnip miagolò e si avvicinò alla buca con le zampe.

«È la tana di una talpa Turnip. Guarda, lì ce ne sono altre due.» Si avvicinarono insieme alle altre fessure nel terreno.

«Questa sembra appena scavata. Ti va se le diamo un’occhiata dentro?» Irene scrutò il suo gatto con aria di sfida. Turnip girò su sé stesso contento.

«Allora non sei così fifone.» Rise di gusto.

Turnip e Irene si sporsero e guardarono nella buca scura e profonda, quasi come se cercassero di entrarci. Era stata scavata perfettamente. Irene si stupì di quanto fosse stata brava la talpa; avrebbe voluto tanto vederla da vicino… avrebbe voluto che sbucasse fuori da un momento all’altro. Persa in questo suo desiderio, le parve di veder muoversi qualcosa in profondità, come una figura. Scosse la testa e pensò “che stupidaggine”.

«Andiamo Turnip non c’è niente. Non sperare di poter ingaggiare una lotta con la talpa oggi, non c’è nessuno in casa.» E si allontanò, convinta che il suo gatto la seguisse ma, Turnip era come pietrificato.

«Ma che c’è di tanto affascinante, non avrai mica trovato un tesoro laggiù, eh Turnip?» Tornò verso la buca e si inginocchiò, osservando di nuovo all’interno.

Irene fece appena in tempo ad alzare la testa che una mano verdastra e pelosa la afferrò per il vestito. Iniziò ad urlare e a strattonare il vestito con quanta più forza aveva, ma quella strana mano non voleva saperne di lasciarla andare. Irene cercò allora di strappare quel lembo di vestito che la mano le tirava sempre più, ma Turnip fu più veloce e con un rapido movimento mordicchiò la mano verde e maleodorante. Irene cadde a terra, ma si rialzò velocemente non appena vide che dalle buche, che aveva creduto tane di piccole talpe, sgusciavano e strisciavano fuori degli strani animali verdi, blu e neri. Inorridita, afferrò Turnip e prese a scappare urlando. Ma nessuno poteva sentirla, Lucy non poteva sentirla.

Stava correndo a perdifiato, cercando invano di non inciampare e di non impigliarsi nei rovi. Cadde tre volte ma tre volte si rialzò, con le lacrime agli occhi e più disperata di prima. Quegli strani esseri le stavano alle calcagna e Irene non riusciva a guadagnare neanche dieci metri di vantaggio. Era quasi stremata dal tanto correre, saltare e schivare, le sembrava quasi di perdere i sensi quando arrivò in uno spazio senza cespugli e alberi. Si lasciò cadere a terra con un tonfo, la faccia arrossata, gli occhi gonfi e le gambe graffiate dai rovi. Le creature sotterranee la stavano raggiungendo, doveva continuare a correre a scappare pensava, ma il suo corpo l’aveva abbandonata. Turnip le leccò le guance. Erano lì, l’avevano accerchiata. Chiuse gli occhi, sperando che finisse presto. In lontananza, sentì qualcuno che cantava. Timorosa aprì gli occhi. Le bestie erano come impazzite, urlavano, correvano e con le zampe cercavano di coprirsi le orecchie. Stavano scappando mentre chi cantava la canzone era sempre più vicino. Sempre più vicino. Irene chiuse di nuovo gli occhi.

«Ti senti bene?» Era la voce di un ragazzo.

«S-si. Almeno credo.»

«A me sembra di sì.» Abbozzò un sorriso e le tese una mano. Irene la afferrò.

«Mi sono solo spaventata. Beh, molto a dire la verità.»

«Non dovresti esserlo. Hanno paura della luce e odiano la musica, specie le canzoni in rima. Per questo vado in giro per il bosco con una lanterna intonando canzoni. I folletti e i loro animali non mi hanno mai spaventato.» Mostrò una certa fierezza. Irene era stranita.

«Un folletto? E che cos’è?»

«Tutti al villaggio conoscono i folletti e i loro animali, tranne quelli che abitano al castell… Abiti al castello non è così?»

«Si.» rispose timida.

«E non sai come tornare a casa, giusto?» Il tono era un po’ divertito.

«Giusto. Non ridere di me però.» Arrossì e sbuffò.

«Ci mancherebbe. Andiamo, seguimi, ti riporto al castello.» S’incamminarono tra la boscaglia, seguiti da Turnip.

«I folletti non sono così crudeli… se sai come trattarli.» Esordì il ragazzo.

«Ma sono orribili!»

«Beh hai ragione, non è che siano così attraenti. Però, non saresti dovuta fuggire. Hanno fiutato la tua paura e ti hanno rincorsa. Avresti dovuto affrontarli cantando a squarciagola, anche se cantare laggiù non funziona.»

«Laggiù dove?»

«Sottoterra, nelle miniere, è lì che vivono. Non ti hanno insegnato proprio niente lì al castello vero?»

«Mi hanno insegnato a leggere, a scrivere, l’aritmetica e cose così ma niente sui folletti.»

«Si, l’aritmetica.» Rise. «Almeno sarai in grado di contarli.» Rise di nuovo. Irene lo guardò offesa, poi sorrise.

Erano sul vialetto che entrava nelle mura del castello quando sentirono una voce chiamare il nome di Irene. Era Lucy.

«Oh santo cielo, è Lucy. Dio, sarà preoccupatissima. Vieni Turnip, andiamo.» Fece tre passi e poi si fermò, si girò indietro a guardare il ragazzo.

«Allora io vado. Il mio dovere l’ho fatto, sei a casa. Ci vediamo… mh… ehm…»

«Irene.»

«Giusto. Ci vediamo Irene.» Si voltò per andarsene.

«Aspetta.» Irene si avvicinò al ragazzo. «Mi piacerebbe ringraziarti con… uhm… si, un bacio. Con un bacio.»

«Un bacio?» La guardò negli occhi azzurri. Gli sembrava di vedere il suo riflesso.

Irene si fece più avanti e chiuse gli occhi. Il ragazzo fece lo stesso. Il tempo scorreva lento mentre le loro labbra stavano per toccarsi. Erano a meno di tre centimetri l’una dall’altra, quando Lucy chiamò di nuovo, più forte, il suo nome. Il ragazzo si allontanò, Irene anche. Si guardarono imbarazzati, rossi in viso.

«Principessa Irene! Ma dove siete?» La voce di Lucy risuonava nella calma della sera.

«Principessa?» Disse sorpreso. «Non mi avevi detto di essere una principessa!»

«Ma tu non me l’hai mica chiesto» Sorrise un po’ ammiccando. Lui la guardò divertito, poi imbarazzato.

«O-ora devo andare, a casa mi staranno cercando.» Se ne andò. Irene lo guardava allontanarsi.

«Aspetta, non mi hai neppure detto come ti chiami!» Gli urlò dietro. Il ragazzo si bloccò sul viale. Prima di girarsi, sorrideva.

«Mi chiamo Riccardo, ma tutti mi chiamano Curdie.» Sparì oltre la siepe.

La voce di Lucy continuava chiamando il nome di Irene, ma lei se ne stava appoggiata al muro del castello, con l’aria un po’ trasognata.

«Curdie.» Sospirò.

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