Hourglass - La principessa della Sabbia.

di Camila Serpents
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Miho. ***
Capitolo 2: *** 2. Presentazioni. ***
Capitolo 3: *** 3. L'alba. ***
Capitolo 4: *** 4. Batticuore. ***
Capitolo 5: *** 5. Il giardino. ***



Capitolo 1
*** 1. Miho. ***


 La principessa della Sabbia - Hourglass 

 
Una voce rovinò la sua camminata indifferente fra gli altri: quella di Nagisa Matsumoto. – Ciao sfigata. – Si mosse i capelli con le mani, portandoli dietro le spalle. – Fai proprio schifo stamattina. – Rise di gusto, mentre in sottofondo il suo gruppetto di oche idiote aggiungeva altri commenti poco carini.
Chiuse l’armadietto, poi con fare disinvolto si avviò verso la propria classe. – Io farò pure schifo stamattina, ma tu fai schifo tutti i giorni. – Un mezzo sorriso le invase il volto. Sapeva quanto le sarebbero costate quelle parole; altre botte, altre denigrazioni, altri lividi e altre scuse da dover dare al rientro in casa-famiglia. Un silenzio avvolse tutte le persone che aveva attorno. All’improvviso si sentì tirare per i capelli, cercò di liberarsi dalla presa ma era in netta minoranza, come al solito.
Quello che vide nello specchio non le piacque per niente, sapeva che tanto nulla sarebbe mai cambiato, ma soprattutto, che lei non sarebbe mai stata in grado di ribellarsi a tutte quelle persone che le facevano del male, nonostante rispondesse a tutti gli attacchi che riceveva quotidianamente.
Fra tutti gli sguardi giurò di non volerne più incrociare neanche uno.
Al suo ritorno in aula, i suoi compagni di classe, compreso il suo professore la guardarono sommessamente, quasi a non volerle rivolgere la parola per non recarle altre difficoltà. Tutti sapevano della triste fine che avevano fatto i suoi genitori qualche anno fa, quando lei aveva solo sedici anni: morti in un terribile incidente stradale, un uomo devastato dall’alcol aveva rovinato per sempre la sua vita, uccidendo i suoi genitori mentre tornavano a casa dopo aver festeggiato il loro anniversario di matrimonio.
Oggi aveva diciotto anni, ed era rimasta in comunità perché non sapeva dove andare. Triste, sola e senza un soldo in tasca. L’avevano aiutata tanto, sia gli educatori che gli assistenti sociali, le avevano fornito un supporto inimmaginabile, solo che certe ferite non si rimarginano in così poco tempo, forse neanche dopo una vita intera.
Il fischiettio provocato dallo strusciare delle sedie sul pavimento annunciò la fine di quella giornata scolastica, mentre prendeva la sua roba, fece a mente il conto dei bei regali che oggi portava via con sé: un labbro leggermente gonfio, qualche graffio e uno zigomo livido. Lasciava invece con affetto qualche ciocca di capelli e un altro pezzetto della sua dignità sul pavimento freddo e asettico del corridoio della scuola.
Lo sguardo serio e indagatore della sua tutor la fissava sospetta mentre lei si accingeva ad accendersi la sua sigaretta. – È stato ancora quel branco di ragazzette incipriate e senza cuore? – Asserì la donna in gonna e giacchetta grigia con le rifiniture rosa cipria. – Mihoko per favore rispondimi. – Finalmente la ragazza la degnò di uno sguardo, occhi dentro gli occhi.
Il fumo le uscì lentamente dalla bocca con le labbra leggermente socchiuse, mentre ancora sosteneva lo sguardo della donna di fronte a lei. – Mi domando spesso alle volte, come sarebbe stato se i miei genitori fossero rimasti in quel paesino sperduto fra le Alpi italiane... –
Il volto della sua tutor si incupì, rattristata da quella malinconia così percettibile, fitta come nebbia. – Non so darti una risposta, prevedere le possibili alternative non è per niente semplice o attendibile ma sai, io posso dirti solo una cosa: il tuo nome, Mihoko, significa ‘bellezza da proteggere’. – La ragazza la guardò impassibile, come se già sapesse la storia del suo nome. – Proteggiti. – Proferì seriamente la donna dandole le spalle. Chiuse la porta della piccola stanzetta e andò via.
 
* * *
 Lo spazio verde attorno alla casa-famiglia era immenso, un grande giardino con una piccola ma fitta boscaglia che le ricordava quando da bambina andava in vacanza dai nonni in montagna. Adorava quell’aria fresca che respirando le entrava nei polmoni, facendola sentire parte di quell’immensa vastità, il verde dei prati, delle foglie e delle chiome degli alberi, tutto così variegato e così unico.
Da sempre sentiva dentro di sé qualcosa di forte, ogni qualvolta si ritrovava a stretto contatto con la natura, sentiva una strana energia muoversi dentro il suo corpo, concentrarsi nelle mani ma senza poi realmente concretizzarsi in qualcosa di visibile.
Quel bosco era sì piccolo, ma l’affascinava. Aleggiava nell’aria un alone di mistero, come se stesse nascondendo chissà quale segreto. Amava passeggiare fra quegli alberi alti, con gli occhi, seguiva tutto il tronco fino a che non incontrava la chioma con i rami che si ergevano sempre più in alto, quasi a voler toccare il cielo.
Fra l’erba un luccichio colpì i suoi occhi, come un pezzo di vetro contro la luce del sole. Curiosa seguì quello scintillio, chinandosi per vedere meglio se fosse lì attorno. Arrivò fino alla base di un grande albero, quello dove lei aveva creato un piccolo altare in ricordo dei suoi genitori. Quando vide quell’incavo nel tronco per la prima volta, subito incominciò a portare giorno dopo giorno qualcosa per decorarlo, dalle pietre a dei fiori freschi, qualche composizione con ramoscelli e foglie, alcuni sassi particolari che poi decorava con pittura o scalfiva con gli strumenti che trovava nel laboratorio di arte all’interno della comunità. Era venuto su molto bene, attorno all’apertura aveva infilato dei fiori di vari colori, spighe, piume, nastrini e tutto ciò che poteva sembrarle coerente con lo spirito di quell’angolo di bosco di cui aveva deciso di impossessarsi. – Sarà stata una di queste pietre a riflettere la luce, dovevo capirlo subito. – Questo pensiero la divertì alquanto, disegnandole sul viso un sorriso beffardo. – Certo che alle volte sono proprio una stu…- Un vortice bianco con lamine verdi l’avvolse all’improvviso, lasciando nel punto in cui era, solo quel mazzo di fiori che aveva raccolto passeggiando.
 
* * *
 
Gli occhi celesti si aprirono di scatto, dando vita ad un’espressione turbata sul viso di Gaara. Percepiva del chakra vicino a sé, cosa che prima, non aveva captato.
Quando andava ad allenarsi, aveva la premura di controllare di essere sempre solo, non voleva essere interrotto prima della fine dei suoi allenamenti. L’enorme quantità di sabbia che aveva fatto espandere per la sua tecnica gli aveva segnalato d’improvviso che c’era qualcuno nei paraggi, qualcuno però che giaceva immobile poco distante da lui.
Camminò per qualche metro prima di incontrarla; era in mezzo alla sabbia, pareva dormisse. La prima cosa che saltò ai suoi occhi fu la mancanza di un copri fronte, simbolo quindi che non la riconosceva come ninja, ma di conseguenza, non sapeva neanche a che villaggio appartenesse.
Prima di fare qualsiasi cosa si curò di controllare se avesse qualche arma a vista, ma il suo vestiario era primo di tasche, indossava solo dei pantaloni neri strappati sulle ginocchia parecchio aderenti, una maglioncino rosa e una grande sciarpa nera.
Ordinò alla sabbia di ritirarsi all’interno della giara che indossava sulle spalle, sicuro del fatto che si sarebbe svegliata da lì a poco: con un gesto della mano, segnalò a qualche granello di sabbia di strusciarle fra i vestiti, provocandole un lieve solletico. Dovette aspettare davvero poco prima che la ragazza incominciò a mugolare qualche parola. – Dove sono? – proferì con voce sopita, non avendo ancora ben capito che di fronte a lei c’era un ragazzo.
Gaara le donò un piccolo sorriso, poi con delicatezza le prese le mani intente a strofinarsi gli occhi. – Stai attenta sono piene di sabbia, potresti portartela negli occhi e non è una bella sensazione. – Asserì con tono tranquillo.
I due si guardarono per alcuni secondi, lei si mise a sedere girandosi prima da una parte e poi dall’altra cercando di capire da sola dove era andata a finire, senza curarsi per un momento, del ragazzo dai capelli rossi accovacciato davanti a lei. – Sono caduta nel deserto del Sahara? – Domandò interrogativa. – Eppure, tu non mi sembri un beduino. – Fissò Gaara scrutandolo dall’alto verso il basso. Niente vestiti larghi, niente pelle abbronzata, niente cammelli. L’idea che aveva non corrispondeva a chi si trovava davanti.
- Nessun deserto e nessun beduino, sono Sabaku No Gaara del Villaggio della Sabbia. – Le porse una mano per farla alzare. – Tu chi sei? – La sabbia si era quasi del tutto diradata, sotto lo sguardo sorpreso della ragazza, che era ancora più confusa di prima.
- Io mi chiamo Mihoko, abito a Tokyo, ma i miei genitori sono italiani, infatti non ho gli occhi a mandorla. -  Disse indicandosi il viso, leggermente in imbarazzo.
Gaara cercò di capire dove fosse Tokyo, che significasse che i suoi genitori erano italiani e soprattutto, perché quelli che abitano a Tokyo avessero dovuto avere gli occhi a mandorla. Shikamaru era del Villaggio della Foglia e li aveva anche lui in quel modo. Fece spallucce e decise di approfondire l’argomento più avanti, data la strana situazione. – Ascolta, io sto tornando a casa, non vorrei sembrare malizioso ma ti suggerirei di venire con me, da qui è difficile tornare indietro se non sai la strada, una volta arrivati al villaggio sceglierai tu che fare. – Incrociò le braccia sul petto, aspettando una risposta.
- Non ho molta intenzione di rimanere qui per la verità. – Sorrise dolcemente, cercando di nascondere l’ansia e la paura che le stavano invadendo il cervello. Non aveva molte possibilità, rifletté sul fatto che era stata molto fortunata nell’incontrare qualcuno che al momento non le avesse ancora voluto fare del male. Le sembrava una persona apparentemente tranquilla, e le aveva concesso un briciolo di fiducia, vista la situazione completamente assurda in cui si era trovata.
- Attenta a dove metti i piedi Miho. – Gaara si fermò per un attimo, mostrandole con un dito uno scorpione che stava attraversando davanti a loro, diretto probabilmente nella sua tana sotto qualche pietra. – Ma che hai? – Disse dopo aver notato l’espressione di terrore negli occhi di lei. – Guarda che non ti fa nulla. – Disse sorridendo.
Mihoko seguì l’aracnide fino a che non scomparve dalla sua vista. – Ho i brividi. – Proferì seria, fissando il ragazzo esterrefatta.
- Menomale che non sei un ninja. – La voce di Gaara risultò ironica alle orecchie della ragazza che visibilmente non apprezzò il commento.
- Spero per te che tu non faccia il comico nel tuo Villaggio. – Ribatté velenosa, lasciandosi però scappare un piccolo sorriso.
Gaara non risposte, ma la guardò divertito. Stava cercando di capire da dove venisse e che cosa ci faceva lì; non era del suo mondo, ma aveva un’energia ed un chakra impressionanti. Era sicuro al cento per certo che lei era ignara di tutto ciò. Voleva andare più a fondo nella questione, sperando che lei glielo concedesse.
Una grande mura rocciosa comparve davanti ai loro occhi, si estendeva per alcuni chilometri fino a formare un enorme cerchio. Da lì a qualche minuto Gaara avrebbe avuto la sua risposta.
 

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Capitolo 2
*** 2. Presentazioni. ***


Ogni singola persona che avevano incontrato li aveva salutati, se non con la parola, con un sorriso. Non capiva se era un’usanza tipica di quel villaggio oppure era accompagnata da un personaggio in vista di quel luogo.
D
opo che ebbero oltrepassato i controlli alla dogana, Gaara le chiese cosa avesse voluto fare, anche se per lei la risposa era più che ovvia: sarebbe rimasta con lui, almeno per capire cosa era successo, per farsi aiutare e riuscire a venire a capo di quella situazione.  Il ragazzo aveva accolto la sua scelta in modo mite, senza mostrarsi affatto infastidito, pareva la stesse studiando con gli occhi ogni singolo centimetro di pelle, incuriosito, come se di fronte a lui ci fosse stato un personaggio completamente diverso dall’ordinario.
- Vieni Miho. – Il tono di voce che aveva era capace di attrarla come un magnete; possedeva un timbro assolutamente particolare, era incapace di descriverlo.
La fece entrare per prima per poi sorpassarla, conducendola nell’atrio del palazzo dove abitava con Temari e Kankuro. Un odore di cioccolato invadeva l’aria, probabilmente la sorella stava preparando un dolce come suo solito, aveva sempre le mani in pasta.
- È casa tua? – Disse carinamente, senza cercare di essere invadente. Era un palazzo lussuoso, molto grande, le pareti color ocra rendevano l’ambiente più caldo ed accogliente, c’erano diversi quadri appesi su ogni parete. Un lampadario enorme dominava tutta quella che era la sala da pranzo, al di sotto, un grande tavolo in legno laccato molto scuro, quasi nero, con sei sedie della stessa fattura. Nel mezzo campeggiava una clessidra che al posto della sabbia, al suo interno, pareva contenere una polvere scintillante. – Ma è meravigliosa. – Gli occhi della ragazza erano estasiati.
- È un’oggetto molto particolare, il colore della polvere cambia a seconda della stagione. Come vedi ora ha un colore molto più simile a quello della sabbia perché siamo in estate; diviene blu di inverno, rosa in primavera e arancione d’autunno. – Disse Gaara senza troppi giri di parole, soffermandosi molto di più sulla sua espressione degli occhi e del viso. – Sembra che tu non abbia mai visto il mondo Miho. Non ti conosco per niente, ma mi dai quest’impressione. – Sperò vivamente di non offenderla con una simile affermazione. La ragazza non fece in tempo a rispondere, nonostante trovasse la domanda un ottimo spunto per incominciare a conoscersi e a trovare una soluzione al problema, poiché una voce femminile interruppe il loro dialogo. - Gaara abbiamo ospiti e non mi dici niente? – Il tono di Temari era abbastanza spazientito. – Piacere bellezza, io sono Temari, la sorella maggiore di Gaara. – Disse tranquilla. – Non ce l’ho con te sia chiaro. – Puntualizzò la bionda con serenità. Indossava un grembiule bianco con del pizzo e in mano aveva un mestolo sporco di impasto.
Il viso di Gaara non cambiò espressione nonostante fosse stato ripreso, rimase immutato. – Lei è Miho, l’ho trovata pochi attimi prima di ordinare un funerale del deserto alla mia sabbia. Per fortuna ho percepito il suo chakra e non le è successo nulla. – Il ragazzo le fece cenno di seguirlo verso la cucina dove la sorella era rientrata per levare dal forno il dolce che aveva preparato.
- Ti chiami proprio Miho? – Una voce maschile proveniente dal balcone catturò la sua attenzione.
- In verità il mio nome intero è Mihoko. – Portò una mano alla testa, spostando i lunghi capelli neri da una spalla sull’altra.
- Ma fatemi capire oggi è la fiera della maleducazione? - Temari affacciandosi al balcone con fare assassino richiamò il proprietario della voce che aveva fatto la domanda poco prima. – Fila dentro e vieni a presentarti, scostumato. -  La sorella di Gaara con il dorso della mano poggiato sulla fronte aspettò che il ragazzo fuori al balcone rientrasse per dargli una sonora pacca dietro la schiena, provocando in lui un sobbalzo.
- Tu sei fuori di testa Tem, magari ti cascano queste mani. – Il giovane aveva sul volto delle strisce viola che gli attraversavano gli occhi. – Sono Kankuro piacere, fratello di Gaara e di questa squilibrata. – Indicando con il pollice verso le sue spalle, la ragazza che lo aveva colpito.
La sua presentazione destò un momento di ilarità fra i tre che si accomodarono al tavolo dove poco prima Temari aveva impiattato un dolce dall’aspetto delizioso. La ragazza si era premurata di mettere davanti ad ognuno un piattino di porcellana con una forchetta, un tovagliolo ed un bicchiere. Kankuro si occupò di portare dal frigo alcune bibite fra cui acqua, succo di pera e the alla pesca.
- Bene, ora che siamo tutti comodi e con una bella fetta di torta al cioccolata davanti, siamo tutti pronti per ascoltare la tua storia Mihoko. – Temari le regalò un bellissimo sorriso.
Per la verità si sentiva abbastanza a suo agio, notava una certa coesione fra i tre e questo la fece pensare molto, infondo era una sensazione che lei non aveva mai provato. - Premetto che mi sento un po’ spaesata in quanto non so come sono finita qui, e vi ringrazio per l’ospitalità, soprattutto grazie a te Gaara per avermi salvata ed esserti fatto carico della mia persona. – Posò dei brevi sguardi su ognuno di loro, poi continuò. – Mi trovavo a fare una passeggiata nel bosco che si trova vicino alla comunità dove sono ospite da tre anni ormai. Sono lì perché non ho più i miei genitori e nessuno poteva prendersi cura di me, così mi hanno affidata allo stato. In poche parole, sono figlia di nessuno. – Notò negli occhi dei suoi interlocutori una velata tristezza negli occhi. – Ho forse detto qualcosa che non va? – Domandò preoccupata.
I ragazzi aspettarono qualche minuto prima di risponderle, non volevano far precipitare la situazione già delicata di per sé.
- Anche noi siamo orfani, di entrambi i genitori. -Fu Gaara a rispondere, diretto e schietto, senza troppi peli sulla lingua. Mihoko si voltò verso il ragazzo, incontrando i suoi occhi azzurri, le si formò in volto un’espressione dispiaciuta, si sentiva inopportuna. Fece per scusarsi per la domanda ma il ragazzo la fermò. – Continua pure, non preoccuparti Miho. –
Quando la chiamava in quel modo le pareva di sentire come una carezza gentile sul viso, era come avere un dolce bacio sulla fronte, tutti gesti d’affetto e dolcezza estrema. Non sapeva perché la chiamava con quel diminutivo, sapeva solo che nessuno l’aveva chiamata mai diversamente da: Mihoko, sfigata e barbona. – Sono stata attratta da un luccichio, come quando la luce colpisce uno specchio, per cercare da dove provenisse sono arrivata davanti all’altare che ho costruito dentro un tronco dell’albero più grande del bosco. Pochi minuti dopo, sono stata avvolta da qualcosa come una folata di vento e poi il resto lo sapete. – Concluse il suo racconto addentando un pezzo di torta.
- Quindi tu non appartieni alla nostra realtà. – Affermò Kankuro con fermezza, scrutandola con lo sguardo. – Immagino tu abbia caldo vero? – Aveva notato che era leggermente arrossata sulle guance e che la fronte era imperlata da qualche goccia di sudore.
La domanda la prese alla sprovvista, non voleva essere di ulteriore disturbo. Cercò di rispondere ma Temari la prese in contropiede.  – Diamine, solo ora mi sono accorta che hai dei vestiti invernali indosso. – La sua voce era assai dispiaciuta, interiormente si stava maledicendo per non essersene accorta prima. – I ragazzi sicuramente ci scuseranno se ci assentiamo una mezz’oretta. – Disse tranquilla alzandosi dalla sedia e prendendo la nuova arrivata per un polso. Salirono l’ampia scalinata che conduceva al piano superiore, passo dopo passo si sentiva osservata, voltandosi incontrò lo sguardo di Gaara, a cui lei rispose con un sorriso, che le venne contraccambiato.
- Ehi Gaara. – Kankuro aveva notevolmente abbassato la voce. – Sembra piacerti. – Disse senza alcun timore.
- Trovo abbia qualcosa di nascosto, da quando ho percepito il suo chakra la prima volta stamattina, subito mi è rimasto impresso. Ha qualche potere nascosto e di sicuro non ne è a conoscenza. – Asserì il ninja senza indugio, sorseggiando un bicchiere di succo alla pera.
- Che intenzioni hai fratello? – domandò curioso. Gaara da poco aveva incominciato a instaurare relazioni interpersonali, alla Foglia aveva molti amici, anche grazie alla buona influenza di Naruto. Alla Sabbia ancora dovevano scongelarsi dalle vecchie idee e dai pensieri orribili sul conto del ragazzo.
- Resterà qui in una delle camere degli ospiti, chiaramente se vorrà. Altrimenti cercheremo di aiutarla per tornare nel suo mondo. In caso voglia restare, le parlerò di questa cosa che ho notato e cercherò di andare a fondo. Magari incominciandosi ad allenare, potremmo scoprire curiose potenzialità. – Posò con delicatezza il bicchiere, aspettandosi una risposta dal fratello.
Era una ragazza sola al mondo, l’aveva vista strabiliarsi per un particolare così effimero, nei suoi grandi occhi neri aveva visto una luce che prima d’ora mai aveva intravisto. Si stupì per quell’incredibile senso di protezione che aveva provato poche ore prima quando l’aveva trovata in mezzo alla sabbia. La verità era che si riconosceva in lei, desiderava ardentemente che avesse un appiglio, qualcuno su cui contare. Gli occhi parlavano, glielo aveva insegnato Naruto, la prima persona che non aveva mai avuto paura di lui, ma che con coraggio, con la forza interiore che aveva, con la conoscenza del dolore, gli divenne amico.
Questa sarà la tua stanza per stanotte, e se vorrai, per tutto il tempo che desideri rimanere. La porta era in legno come quello del tavolo del piano inferiore, una camera spaziosa e ben arredata si propose davanti agli occhi di Mihoko che guardava tutto con incredulità. – È spettacolare. – Disse con estrema naturalezza. – Non ho mai visto niente di così bello. Non so come ringraziarvi. –
Temari la guardò serena, quella ragazza era una perfetta sconosciuta, ma se Gaara l’aveva fatta entrare in casa loro significava che davvero erano fuori da qualsiasi pericolo. Non aveva un corpo allenato; era magra, con dei lunghi capelli neri che le scendevano mossi fino alla fine della schiena. I suoi occhi erano dello stesso colore della sua capigliatura incorniciati da delle lunghe e folte ciglia scure. Studiandole il viso aveva notato dei lievi gonfiori e dei lividi ormai giallastri, segno che non erano recenti.
- Cosa combinavi nel tuo mondo? – Buttò quella frase un po’ a casaccio, pensò che potesse interpretarla a suo piacimento, mentre passava a farle vedere il suo bagno personale.
La ragazza rimase meravigliata vedendo l’arredamento tutto in stile marino. Il lampadario era composto da conchiglie iridescenti che scendevano per una decina di centimetri, formando una composizione stupenda. Ci mise un po’ a rispondere alla domanda della padrona di casa. – Vado a scuola, frequento l’ultimo anno di liceo. – Gli occhi le si incupirono. – Posso fumare? – Chiese cercando di non far trapelare troppi ricordi alla mente.
La bionda la guardò per qualche secondo, poi fece cenno positivo con la testa. Si spostarono nel piccolo balcone della camera e si sedettero su delle sedie bianche con dei cuori sul poggia schiena. Temari le passò un posacenere che non era alto che un guscio di una conchiglia.
- Ho sempre studiato molto a scuola, ma con i compagni è sempre stato un disastro. – Asserì seria.  – Mi hanno sempre provocata, picchiata e derisa. Io naturalmente ho sempre cercato di tenergli testa e di proteggermi, ma è difficile quando sei una contro dieci e più persone. – Concluse prendendo l’accendino e accendo la sua sigaretta. Fuoriuscì una nuvoletta di fumo dalle sue labbra carnose, l’odore arrivò alle narici di Temari che notò quanto fosse diverso da quello delle sigarette di Shikamaru. La ragazza perse lo sguardo verso il giardino sottostante, facendo un tiro dopo l’altro.
- Nessuno ha mai fatto niente per te? – Domando la donna della sabbia, incrociando di nuovo gli occhi della sua interlocutrice, che li scostò poco dopo.
- I miei tutor e tutte le persone che mi assistevano in casa-famiglia sono più volte andati sia dai professori che dal preside, ma risultava che fossi io troppo permalosa, o in cerca d’attenzione per via del mio passato. Dicevano che inventavo di proposito queste storie per essere considerata, mi accusavano di avere carenze affettive. – Ciccò con indifferenza nel posacenere. – Sono loro i miei veri carnefici, non chi fisicamente mi metteva le mani addosso o mi insultava. – Fece una pausa, poi riprese. – Fin quando ci sono stati i miei genitori erano solo qualche parola cretina o qualche pallina di carta tirata nei capelli durante le lezioni. Se la facevano sotto perché i miei genitori erano avvocati e avrebbero passato dei guai seri se mi avessero fatto qualcosa di più grave. – Mihoko spense la sigaretta premendo insistentemente il filtro nel guscio della conchiglia.
Temari la guardò in silenzio, sconvolta dalla cattiveria umana che mai smetteva di colpirla nel profondo. Prese la mano di Mihoko e la portò dentro la camera con l’obiettivo di distrarla. – Ora ti riempio la vasca con un po’ d’acqua calda e molto bagnoschiuma. – La sua voce entusiasta contaminò anche quella della ragazza che quasi a disagio per la troppa premura non sapeva assolutamente che dire. – Questa è l’asciugamano grande per il corpo, questa invece per i capelli. – Il tessuto morbido e profumato le ricordò vagamente quello che sua nonna usava per profumare i cassetti, le fece piacere ritrovare quel ricordo in quel momento.
- Bene bellezza, scegli il bagnoschiuma fra quelli sulla mensola, immergiti e rilassati. Io ti lascio dei vestiti sul letto e poi ci vediamo di sotto appena hai fatto. – La bionda le fece un cenno con la mano e scomparve dalla stanza. Mihoko ricambiò sorridendo il saluto, sentì che nonostante tutti i ringraziamenti non si sarebbe mai sdebitata abbastanza.
Immersa nell’acqua saponata rifletté su quanto si sentiva a casa in quel momento, nonostante non conoscesse nessuno di loro, nonostante fossero dei completi sconosciuti. Un sorriso beffardo le invase il volto, pensando a quanto la vita alle volte potesse essere assurda, imprevedibile. Chiuse gli occhi con un ultimo pensiero per la testa; la tristezza e l’insoddisfazione forse la stavano lasciando per far posto alla gioia e alla felicità.



 

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Capitolo 3
*** 3. L'alba. ***


 

 Il vento fresco e delicato, classico delle sere d’estate, le sfiorò la pelle che leggermente rabbrividì, si accomodò su una delle sedie in balcone e accese una sigaretta, fissando la luna brillare imponente nel cielo. Fece scivolare una mano fra i lunghi capelli neri, godendosi l’aria frizzante della notte; spesso le capitava di svegliarsi a quell’ora senza un motivo ben preciso, sapeva solo che il suo corpo si destava dal sonno e chiedeva di muoversi.
Non sarebbe mancata a nessuno, questo pensiero le martellava in testa insistentemente, diventando una terribile ed estenuante paranoia.  – L’importante è esserne consapevoli. – Mormorò rassegnata fissando la sigaretta mentre il vento ne divorava lentamente la cartina.
- Di cosa Miho? – Un’unica voce la chiamava in quel modo, una voce che apparteneva ad una persona sola: Gaara.
La ragazza sobbalzò girandosi verso destra, dal balcone accanto il ragazzo fissava la città di Suna che si ergeva bella e silente sotto i loro occhi.
– Da quanto sei lì? – Disse timidamente, in prenda alla paura di aver fatto la figura della pazza schizofrenica.
Solo in quel momento Gaara si voltò verso di lei, incrociando il suo sguardo. – Da quando ho sentito l’odore della tua sigaretta invadere la mia stanza, ho pensato fossi sveglia e quindi sono uscito a verificare che stessi bene. – Proferì quelle parole con estrema semplicità, nonostante non risultasse mai smielato mentre le pronunciava. – Di cosa sei consapevole Miho? – La incalzò tranquillo mentre spostò il suo sguardo nuovamente verso il panorama.
- Ho l’assoluta certezza di non mancare a nessuno. – Asserì seria, cercando di non darci troppo peso. – I miei genitori erano entrambi figli unici, non ho né zii né cugini, i miei nonni ormai sono più di là che di qua, amici non ne ho e in comunità se un ragazzo prende e va via non indagano più di tanto, lo prendono come un allontanamento volontario. – Buttò via il fumo dalla bocca lasciandolo uscire piano dalle labbra. – Quello che mi fa più pensare è che sono quasi quattro giorni che sono qui e mi sento come se fosse davvero il mio posto, nessuno mi conosce, nessuno sa chi sono e non sono marchiata da nessuna etichetta. Mi sento libera di poter ricominciare, magari posso trovarmi un lavoro e poi andare via, non voglio darvi ulteriori fastidi. – La cenere cadde su un altro mucchietto grigio a cui Mihoko cercò di dare una forma con la propria sigaretta. – Se vuoi puoi anche venire a sederti vicino a me, magari due insonni messi insieme possono farsi compagnia. – Sorrise, anche se non sapeva il motivo per il quale aveva avanzato una proposta simile.
In un attimo il ragazzo dal suo balcone scomparve per poi materializzarsi sulla sedia accanto a quella della ragazza che lo fissava sbalordita. – Ma che cazzo. – Esclamò perplessa, fissando il ragazzo che con le braccia conserte, stava seduto tranquillamente.
- Miho, hai capito che sono un ninja? -  Disse ironico, come volendola prendere in giro.
- Sì Gaara, lo sono che tu e i tuoi fratelli, come la maggior parte delle persone nel vostro mondo lo sono. Ma è sempre assurdo vedere certe cose quando sei stata abituata a tutt’altro. – Le sue labbra si inarcarono in una smorfia saccente, adorava quel velo di ironia che si creava ogni volta che parlavano, quasi a volersi punzecchiare con un certo gusto. – Insomma, che ci fai sveglio a quest’ora della notte? – Scrutando il suo profilo notò, al di sotto dei suoi capelli rossi un simbolo sul lato della fronte, sembrava essere un ideogramma giapponese. – Hai un tatuaggio? – Chiese curiosa.
Gaara istintivamente con i polpastrelli sfiorò quella che a tutti gli effetti era stata la sua prima ed unica ferita. – Questo è il ricordo di quello che sono stato per tanto tempo, me lo sono autoinflitto con la sabbia, quando ero ancora un bambino; significa amore, volevo ricordarmi di amare solo me stesso. -  Girandosi, non si stupì di trovare Mihoko con un’espressione interrogativa in viso. – Hai ragione, non conosci la mia storia, detto così effettivamente non ha molto senso. – Si lasciò qualche attimo per godersi una folata di vento che scompigliò i capelli di entrambi, fissandosi in particolare a guardare quei ricci neri morbidi che dondolavano cullati dal vento. – Dentro di me è stato nascosto il primo di nove cercoteri: il tasso mono coda della sabbia, chiamato Shukaku. È stato rinchiuso in me alla nascita per volere di mio padre, mia madre morì e come ultimo desiderio chiese alla sabbia di proteggermi. È per questo che la sabbia fa parte di me. – Prese una pausa, vedendo il volto della ragazza completamente assorto nel suo racconto. – Ho passato tantissimi anni della mia vita a cercare amore, ma tutti avevano paura di me, di quello che dentro di me era stato rinchiuso. Per tutti ero un mostro da evitare, così, lo sono diventato per davvero. – Gaara fissava i palmi delle sue mani, cercando di non ricordare tutti i corpi che aveva straziato solamente stringendo lentamente i pugni. – Uccidevo per sentirmi vivo, per dare un senso a quella vita di solitudine e di tristezza, uccidevo per dare un senso a quei giorni che scorrevano inesorabili come una condanna a morte. – I suoi occhi non trapelavano nessun tipo di emozione, parlava come se stesse raccontando della vita di qualcun altro. – È per questo che ho difficoltà a dormire, da piccolo non lo facevo mai. – Sentiva lo sguardo della ragazza non distogliersi neanche un secondo da lui. Era una sensazione strana, parlare con qualcuno in modo così profondo, qualcuno che non sappia chi sei, che non conosca altre verità se non la tua.
Adesso Mihoko capiva del perché era stato così premuroso nei suoi riguardi, così attento ai suoi sentimenti. Capiva ancora di più il motivo per il quale Temari e Kankuro le stavano così vicini e si prendevano cura di lei. In questi giorni aveva scoperto un sacco di cose molto affascinanti; Kankuro era un marionettista ed utilizzava tre marionette per il combattimento comandandole tramite dei fili sottilissimi di chakra: Kuroari imprigionava gli avversari, Karasu ripiena di armi di ogni tipo come aghi, arpioni e lame avvelenate era predisposta all’attacco, ed infine Sanshuo che era progettata per la difesa, essendo molto resistente.
Temari, invece, utilizzava per il combattimento un ventaglio gigante, con tre astri viola equamente distanziati. Durante il combattimento scoprendone uno alla volta, aumentava la potenza dei suoi attacchi. La sua abilità concerne l’utilizzo a suo favore dell’elemento del vento.
Tutti e tre conoscevano il dolore, la tristezza e la desolazione di sentirsi privati di una base solida su cui affondare le radici della propria esistenza, senza una rotta, dispersi in un oceano immenso di sacrifici e lotte continue per vivere. Si assomigliavano, sapevano cosa voleva dire fare di tutto per rimanere a galla, nonostante il peso della vita.
- Ehi Miho. – Gaara si alzò dalla sedia avvicinandosi alla ringhiera, voltandosi poi verso la ragazza. – Vieni qui. – Le fece cennò di alzarsi, offrendole la mano.
- Dove vuoi andare? – Chiese incuriosita, leggendo negli occhi di lui la voglia di lasciare il palazzo. Gli strinse la mano, guardandolo negli occhi. – Mi sto fidando di te, non farmi pentire. – Disse sorridendo, non sapendo cosa aspettarsi.
I due rimasero a guardarsi per qualche minuto, poi però la ragazza cedette a quello sguardo così profondo, imbarazzata da così tanta sicurezza. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di quello che stava accadendo che si ritrovò nelle braccia di Gaara. Emise un piccolo strillo, essendo stata sollevata da terra all’improvviso. – Ma sei impazzito? – Rise portando le mani sul viso. – Non vorrai mica… - Non riuscì a terminare la frase che in pochi secondi Gaara posò un piede sulla ringhiera e con uno slancio furono in aria. Istintivamente la ragazza strinse le braccia attorno al collo del ragazzo e infossò il viso fra il suo collo e la clavicola, sentendo per la prima volta dei nuovi brividi, non erano né di paura né di freddo, ma di adrenalina.
La città si ergeva imponente sotto di loro, silenziosa e accarezzata dal vento caldo tipico della zona. Ogni tanto Gaara si fermava su qualche ramo o su qualche sporgenza per riprendere velocità e sfrecciare in alto, guardandola sorridere mentre gli occhi le brillavano di una luce nuova. – Ma è meraviglioso, sembra di toccare le nuvole e sfiorare le stelle. – Nonostante il tono basso era evidente l’entusiasmo che trapelava dalle sue espressioni del viso. Dopo lo spavento iniziale non aveva smesso di sorridere.
- Adesso ti faccio vedere qualcosa di ancor più bello. – Gaara si voltò a guardarla, i suoi occhi estasiati la dicevano lunga sulle emozioni che stava provando in quel momento, sembrava una bambina che vedeva per la prima volta il mondo stupendosi di qualsiasi dettaglio. – Eccoci qua. – Disse lasciandola scendere dolcemente dalle sue braccia. – Siamo nel punto più alto della città, qui non solo si vede tutto il villaggio, ma anche un’altra cosa, molto più particolare. – Proseguì facendola girare, indicando poi l’orizzonte.
Il cielo dal blu della notte diveniva di un azzurro chiaro, il Sole stava per spodestare la luna accompagnata dalle sue stelle, un color rosa tendente al rosso invadeva il colore omogeneo della notte che ormai stava per soccombere a quel tripudio di sfumature calde, creando un’atmosfera mozzafiato.
Mihoko fissava il tutto priva di parole, non riusciva a dire niente, qualsiasi concetto avesse voluto esprimere sarebbe stato irrisorio rispetto allo spettacolo che aveva di fronte. Si limitò a sorridere, incredula di quello che stava vivendo in quel momento. Le casa a Suna erano tutte basse, non c’era nessun impiccio a rovinare una vista simile. Era assolutamente diverso dall’idea di alba che aveva lei in mente, nel suo mondo non erano così ricche di colori, ma soprattutto, nel suo mondo, non l’aveva mai condivisa con nessuno un’esperienza simile.
- Gaara. – Disse voltandosi verso di lui. – Voglio chiederti una cosa, a cui tu potrai rispondere come meglio credi, non devi sentirti obbligato. – Continuò seria, aspettando qualche minuto prima di continuare, in cerca delle parole giuste da dire. – Io vorrei provare ad allenarmi per diventare un ninja. – Pronunciò quelle parole tutte d’un soffio, abbassando lo sguardo, per paura di una reazione scomposta da parte del ragazzo.
Gaara fece qualche passo verso di lei, con le braccia conserte e il vento che gli scombinava i capelli. La analizzò da testa a piedi, consapevole già delle potenzialità nascoste dentro di lei. Le labbra si unirono in un lieve sorriso, mostrando approvazione. – Da domani cominci ad allenarti. – Proferì secco. – Sappi che la via del ninja è difficile, variegata fra conoscenze e abilità fisiche. Anche solo per fare quello che ho fatto io prima con te, richiede una grande forza e concentrazione. – Asserì tranquillo. – Un’ultima cosa. – Fece una pausa fissando la ragazza a pochi centimetri da lui. Con un dito le sfiorò una guancia e la invitò ad alzare lo sguardo. – Siamo già a domani. -

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Capitolo 4
*** 4. Batticuore. ***


- Buongiorno! – La voce di Temari arrivò forte e chiara alle orecchie di Mihoko, che ancora assonnata, sbadigliò cercando di non far affiorare la sua stanchezza, avendo dormito solo qualche ora.
La tavola del salone era strapiena di cibo per poter fare qualsiasi tipo di colazione, sia dolce che salata. La ragazza ebbe davvero difficoltà a decidere che cosa scegliere, ma si orientò sul salato, ne andava particolarmente ghiotta e non riusciva a resistervi. – Ma cucini sempre così tanto Tem? – Non riusciva a capacitarsi a quale orario indegno si svegliasse la mattina per preparare tutto.
- Tesoro, ho un fidanzato che ha come migliore amico un ninja che mangia come dieci persone, se quando vengono a trovarci cucinassi poco quel poverino morirebbe di fame e a noi non rimarrebbe nulla! – Disse addentando una fetta di pane bianco tostato con della marmellata. – Noto invece che anche tu fai sempre la stessa colazione: spremuta d’arancia, due uova e del prosciutto crudo. – Il suo sguardo fu catturato da una figura sulla cima delle scale. – Ah, buongiorno fratellino! – Sorrise dolcemente mentre lo seguiva camminare verso di loro.
- Buongiorno a tutte e due. – Gaara si accomodò sulla sedia di fronte a Mihoko, guardandola con discrezione. – Sei ancora in pigiama? – Domandò curioso.
La ragazza lo guardò perplessa, abbassò lo sguardo fissando i suoi indumenti, per poi rialzare la testa. – A quanto pare… - Sapeva che oggi si sarebbe dovuta allenare per la prima volta, ma non conosceva le modalità. Timidamente guardò il ragazzo negli occhi, cercando di resistergli più di quanto non avesse fatto la sera precedente.
- Temari posso chiederti se puoi prestare a Miho degli abiti per allenarsi? – Chiese tranquillamente, continuando a fissare la ragazza negli occhi. La sorella ebbe un attimo di esitazione, non capiva il perché di quella richiesta.
- Mi stai dicendo che la vuoi far allenare? – Il suo sguardo era assolutamente stupito, non si aspettava di certo che fosse Gaara a farsene carico. Constatò che il fratello non smetteva mai di stupirla, faceva passi avanti, sempre più numerosi e positivi. – Ne ho davvero tante, gliene lascio un paio sul letto. – La ragazza si alzò portando con sé la sua tazza di tè.
- Sono stata bene ieri. – Disse Mihoko rompendo il silenzio. – Grazie per aver accettato di seguirmi nel mio addestramento. – Continuò sorridendo, sorseggiando la sua spremuta. – Raggiungo Temari, fra poco torno e cominciamo! – Disse entusiasta passando dietro la sedia di Gaara, sfiorandogli con una mano le spalle mentre raggiungeva le scale.
Il ragazzo non disse nulla, riuscì solo a sorriderle, guardandola salire verso le camere.
Non riusciva a capire che cos’era quella sensazione ambigua che sentiva invadergli il corpo. Eppure, erano solo delle dita che lo avevano percorso da spalla a spalla per qualche secondo, tuttavia sentiva una certa empatia, un qualcosa che lo collegava a quella ragazza dai capelli neri. Si sentiva attratto da quel sorriso dolce, da quegli occhi grandi e neri come le loro esistenze, dalle loro vite così simili, così dannatamente imperfette ed ingiuste, ma tra di loro sembrano riuscire ad avere un loro stabile equilibrio, capendosi anche quando era il silenzio a parlare. C’era qualcosa di strano tra loro, qualcosa a cui Gaara non riusciva ancora a dare un nome.
 
* * *
 - Te ne mancano altre dieci Miho, forza! – Il ragazzo era in piedi accanto a lei, con le braccia conserte, mentre la osservava fare le flessioni. – Ricordati che prima di qualsiasi altra cosa un vero ninja deve essere ben allenato ed in salute. Una volta imparato questo si passa alle arti magiche. – La scrutò severo, mentre era al suo quinto piegamento. – Le tue braccia tremano troppo, tieni rigide le gambe, non piegare le ginocchia. – Disse con assoluta calma appena la ragazza fu alla sua decima flessione.
Il volto di Mihoko era imperlato di sudore, rossa in viso per il caldo e per gli sforzi. Erano quasi due ore che si stava allenando e sentiva come se le gambe si fossero dissociate dal suo corpo, come se non le appartenessero più. Con un enorme sforzo si rimise in piedi di fronte a Gaara, che era visibilmente più alto di lei. Strinse lo chignon ormai arruffato, alzò la testa incrociando i suoi occhi.
- Sempre a testa alta, brava. – Continuò a scrutarle il viso e poi le iridi, ormai era allo stremo delle forze e si vedeva. – Vai a darti una ripulita che ormai è ora di pranzo, per oggi va più che bene. – Incontrò sulle labbra di lei un sorriso soddisfatto classico di chi viene elogiato e poi mandato a riposare dopo una grande fatica.
- Grazie maestro. – Pronunciò con fermezza quelle due parole, assolutamente convinta di ciò che stava dicendo. Un’espressione sorpresa spuntò sul viso del ragazzo, destabilizzato da quell’affermazione.
- Non chiamarmi così Miho. – Era abbastanza convinto, nonostante fosse ormai un jonin, di non dover essere chiamato a quel modo, non si sentiva in quel momento di ricoprire quella carica così importante.
- Quando ci dedichiamo all’allenamento sei il mio maestro, tutto il resto del tempo, sei Gaara. – Disse con schiettezza, avvicinandosi al ragazzo. – Vado a lavarmi che puzzo come un caprone. – Rise, destando anche in Gaara un sorriso.
Il momento del pranzo trascorse tranquillo, destando domande e curiosità da parte di Temari e Kankuro che non facevano altro che chiedere come si era trovata e se era stato come se lo aspettava.
Gaara aveva avuto la tendenza ad essere freddo durante l’allenamento, ma le lasciava sempre un piccolo spazio per prendere fiato, la guardava dall’alto in basso osservando ogni suo movimento. Quando non riusciva a rialzarsi immediatamente o durante un esercizio crollava per la troppa stanchezza lui la fissava solamente, raramente pronunciava qualche parola, sia di conforto sia d’esortazione. Lui la guardava e basta, sentiva addosso quei due occhi azzurri seguire ogni sua azione, osservando ogni sua espressione, ogni sua più piccola debolezza. La studiava in continuazione, anche se non capiva su cosa stesse prendendo appunti.
Era stato molto duro, e dovette ammettere a sé stessa che non se lo aspettava di certo così il suo primo allenamento, immaginava che sarebbe stato un crescere ed invece erano partiti col botto: flessioni, addominali, arrampicata, corsa, scatti, piegamenti, riscaldamento, e in particolare, esercizi di arti marziali.
- Ragazzi miei, vi comunico che venerdì partiamo e andiamo tutti a Konoha! – Esclamò felice Temari, mentre sparecchiava la tavola assieme a Mihoko. – Sabato è il compleanno di Shikamaru e ovviamente siamo stati tutti invitati. – Disse mentre zampettava verso la cucina con i piatti in mano. – Chiaramente sei invitata anche tu dolcezza. – Punzecchiò la ragazza su una guancia, lasciandole intendere che non poteva rifiutare.
Chissà dove era quel villaggio, avrebbe fatto un viaggio per la prima volta, e mancavano solo un paio di giorni alla data della partenza e questo la metteva leggermente in ansia.
- Allora credo che dovremmo andare a comprarci tutti quanti qualcosa. – L’affermazione di Kankuro destò l’attenzione di tutti i presenti. – È un’occasione importante, dobbiamo far vedere che noi della Sabbia siamo i più fighi della terra! – Esclamò divertito.
I ragazzi risero di gusto, commentando con qualche battutina l’affermazione del marionettista che non faceva altro che ridere.
A Mihoko, per la prima volta, facevano male la bocca e la pancia per le risate aveva quasi le lacrime agli occhi per quanto si stesse divertendo in modo così genuino. Si sentiva accettata, voluta bene e accolta in modo assolutamente unico e familiare. Spesso le faceva strano quando Temari le chiedeva un abbraccio o la chiamava con dei dolci nomignoli, e quando Kankuro le chiedeva un aiuto per aggiustare qualche sua nuova marionetta o le proponeva di provare qualche sua nuova polvere per il suo trucco da battaglia.
La parola d’ordine era condividere, e lei in casa-famiglia aveva dovuto dimenticare cosa significasse quel termine nonostante fosse un mantra per quest’ultima. Spesso le capitava di dare una sigaretta a qualcuno di loro e poi, quando ne chiedeva una lei, non le veniva data con la scusa di averne solo una, quando poi avevano un pacchetto intero in tasca. Un esempio stupido, ma rilevante per chi ha poche cose da condividere.
Sistemarono insieme la cucina e la tavola in sala da pranzo dove avevano consumato il pasto in modo da ottenere il miglior risultato nel minor tempo: Kankuro e Temari si erano occupati della cucina mentre Mihoko e Gaara del salone.
- Vado a prendere la clessidra! – Esclamò la ragazza che fece uno scatto in avanti per aggiudicarsela per prima. – L’ho pre… - Non ebbe neanche il tempo di afferrarla che qualcosa le strinse le caviglie alzandola lievemente da terra, trascinandola indietro. Si voltò e vide Gaara, poco più lontano da lei con un piccolo sorriso beffardo disegnato sulla faccia. – Sei scorretto! – Urlò dimenandosi mentre la sabbia le era già arrivata a metà coscia.
Con un semplice gesto delle dita il ragazzo ordinò alla sua sabbia di avvicinarla ancora un po’, a qualche centimetro da lui.
- Aspetta che mi libero da questa morsa e ti faccio nero! – Il suo sguardo assunse un’espressione di sfida.
Il ragazzo alzò un sopracciglio, quasi curioso di quello che sarebbe stata capace di combinare. – Io potrei decidere anche di portarti in giro per tutto il villaggio in questo modo Miho. – La sabbia l’ergeva più alta rispetto al suo viso, e Gaara per parlarle era costretto ad alzare la testa. – Magari mi fai nero come i tuoi occhi. – Con un gesto delicato del pollice, accarezzò la guancia morbida della ragazza che abbassò timidamente lo sguardo, sorridendo.
- Ma guarda quei due… Gaara molla subito Mihoko! – Strillò Temari con tono preoccupato.
Gli occhi azzurri di lui rimasero ancora per qualche secondo a guardare quelli neri di lei, che dopo quella piccola carezza stava cercando una via di fuga, nonostante quel piccolo gioco la divertisse molto. Sentì per pochi secondi mancare la presa della sabbia, che fu sostituita immediatamente da quella delle braccia di Gaara.
- Me la pagherai paraculo della Sabbia. – Gli sussurrò a qualche centimetro dalla faccia, dandogli un piccolo pugno sul petto.
Due sorrisi di sfida spuntarono sui loro volti, accorgendosi solo dopo che Kankuro e la sorella li stavano ancora osservando dallo stipite della porta della cucina.
Sovvenne solo allora, nella mente di Mihoko, quello che poteva essere successo nella sua gabbia toracica in quei momenti, mentre Gaara le carezzava il viso guardandola in quel modo, a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro: le era improvvisamente aumentato il battito cardiaco, aveva assistito, per la prima volta, al suo primo batticuore.

 

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Capitolo 5
*** 5. Il giardino. ***


Konoha era molto più grande rispetto a Suna, non solo per quanto concerneva il clima ma anche la fauna e la flora erano nettamente diverse. Erano arrivati nel primo pomeriggio a casa Nara e aveva conosciuto sia Shikamaru che i suoi genitori, assieme ad alcuni componenti del clan come zii e nonni.
La stanza in cui alloggiava era molto rustica, arredamenti in legno, un bel letto grande con delle morbide coperte in pizzo dove al capezzale campeggiava un busto imbalsamato di un cervo con delle grosse e robuste corna. La finestra affacciava sul meraviglioso parco di proprietà della famiglia da generazioni. Anche lì aveva il suo piccolo bagno privato, questa cosa non le dispiaceva affatto, anzi, le sembrava un’usanza davvero intelligente.
La festa era programmata per le 20.30 e visto che mancavano poche ore all’evento decise di immergersi nella vasca per essere il più presentabile e carina possibile visto che avrebbe conosciuto un sacco di gente nuova, ma soprattutto, sarebbe stata un’occasione per mostrarsi in un modo diverso davanti a Gaara.
Quest’ultimo pensiero suonò come un campanello dall’allarme al cuore della ragazza che immediatamente lo percepì, da un momento all’altro, andare un po’ più veloce.
Perché ci stava pensando? O meglio, perché pensando a Gaara le batteva forte il cuore e le si formava un sorriso ebete sulla faccia? Si stava forse rimbecillendo? Perché effettivamente si sentiva una cretina di serie a.
Immerse il suo corpo nell’acqua tiepida in cui aveva aggiunto del bagnoschiuma alla vaniglia, un aroma quest’ultimo, che aveva sempre amato sia per la cosmesi, sia per il gelato.
- Mani nelle mani soltanto noi, baby fai piano… che poi ci scopre qualcuno ma quanto ti amo…* - Canticchiò mentre si spazzolava i capelli prima di uscire dalla vasca. – Però avrei spaccato il mondo con te vicino… E ti scriverei sotto casa tipo sono qui…*- Continuò la canzone mentre si avvolgeva nell’asciugamano, guardandosi allo specchio. I capelli neri le scendevano bagnati lungo la schiena, il viso era leggermente arrossato per colpa dei vapori. Incominciò ad asciugarsi le braccia, poi il petto e infine le gambe, proseguendo poi per il resto del corpo, tamponando leggermente il viso per non stressarlo ulteriormente.
Percepiva una strana sensazione aleggiare nell’aria, si sentiva emozionata ma allo stesso tempo, un tepore che non aveva mai percepito prima, faceva capolino dentro di lei, un qualcosa di assolutamente nuovo e inconsueto. Incominciò a pensare che stava viaggiando troppo con la testa, che si faceva troppi film mentali. Probabilmente se l’avessero candidata al premio oscar l’avrebbe anche vinto.
Il vestito che aveva comperato era in oro rosa, aveva la gonna in tulle molto vaporosa, la parte superiore, era composta dal corpetto con uno scollo a cuore molto profondo e stretto. Per i piedi, aveva scelto delle scarpe gioiello d’orate in abbinato con la pochette del medesimo colore. Quando erano usciti per fare acquisti, Gaara era andato con Kankuro e lei con Temari. Avevano deciso che avrebbero conosciuto le loro scelte solo la sera della festa.
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio, soffermandosi sui più piccoli dettagli: i fianchi morbidi, le ciglia lunghe e folte, lo sguardo sereno. Le sembrava quasi una stupidaggine, ma erano particolari a cui lei non aveva mai badato, aveva sempre pensato a tante cose che non avevano mai come fulcro lei come essere umano, come persona, come oggetto della sua felicità. 
- Mihoko vieni che dobbiamo truccarci! Ti sei vestita? – Sentì Temari urlare dalla stanza accanto – Dai che sono le 20.15 e siamo in super ritardo! – Esclamò ansiosa.
Velocemente uscì dalla porta e si recò dall’amica che indosso aveva un meraviglioso vestito lungo argentato, contaminato da micro paillettes del medesimo colore che a contatto con la luce creavano mille iridescenze. Il punto forte dell’abito era lo spacco che scendeva da sotto il fianco destro fino ai piedi. La ragazza aveva sciolto i capelli abbandonando per una sera la sua solita capigliatura, lasciandoli cadere lungo le spalle.
Un’altra ragazza era seduta davanti a Temari intenta a farsi sistemare i capelli. L’aveva colpita per il colore particolare degli occhi: il perimetro dell’iride era di un lilla molto chiaro, mentre l’interno era bianco.
- Mihoko lei è Hinata, la fidanzata di Naruto, che conoscerai fra poco. – Disse sorridente. – Hinata, lei è Mihoko. – Concluse continuando a piastrare i capelli alla ragazza.
- Piacere di conoscerti, sei molto carina! – Asserì l’amica di Temari, stringendole la mano.
- Ino esci da quel bagno che è arrivata Mihoko! – Ancora una volta la fidanzata di Shikamaru urlò, stavolta, rivolta alla porta della toilette.
Si ritrovò davanti, dopo qualche minuto, una ragazza alta, con dei lunghi e folti capelli biondi e due occhi azzurri che le dominavano il viso. – È arrivata la fidanzata di Gaara! È un piacere conoscerti tesoro! – La ragazza si chinò leggermente salutandola con due baci con tanto di schiocco.
Per un attimo Mihoko si trovò completamente spaesata ed imbarazzata, temeva di aver capito male, ma in verità lei ci sentiva benissimo. Pensò a quell’affermazione, e un piccolo sorriso comparve sulle sue labbra.
- In verità non sono la sua fidanzata, stiamo instaurando un rapporto d’amicizia e…- Non fece in tempo a finire che subito la bionda la interruppe.
- Dai si sa che è solo un preambolo quello dell’amicizia, fra di voi sicuramente è nato qualcosa di più! – Disse con fare malizioso mentre finiva di mettere il mascara. – Vieni che ti presto i trucchi. – Le fece un occhiolino e Mihoko si avviò con lei, cercando di non dare troppo peso a quelle affermazioni. Sapeva di non essere la fidanzata di nessuno, non c’erano i presupposti per sentirsi tale: nessun bacio, nessun ‘ti amo’, nessuna dichiarazione, nessuna effusione. Niente di niente, fatta eccezione per i loro sguardi, quella carezza, quelle piccole attenzioni e il suo soprannome, Miho.

 * * *

- Che seccatura. – Shikamaru sospirò, fissando assieme al suo gruppo di amici le scale, aspettando la propria fidanzata e le sue amiche. – Possibile mai che sono le nove e ancora devono finire di prepararsi? – Sbuffò afferrando un tramezzino dal tavolo del buffet.
- Di cosa ti stupisci conosci bene mia sorella, sai com’è quando si presentano certe occasioni. – Asserì Gaara, incrociando le braccia sul petto.
Era pensieroso, in tensione. Forse era solo curioso di vederla, ma la curiosità non si tramuta in nervosismo se non vedi subito quello per cui stai aspettando. Aveva chiacchierato con Naruto del più e del meno, si erano raccontati tante cose visto che era un mese che non si vedevano, avevano toccato l’argomento ‘Mihoko’, e secondo Naruto, lui provava un interesse per la ragazza, anche se non era lampante. Aveva cercato di negare, ma alla fine due più due fa quattro a casa di chiunque.
- Gaara c’è una signorina che aspetta che tu la prenda e la porti fuori in giardino per la festa. – Disse Kankuro, fissando il fratello mentre usciva a braccetto con Ino dalla sala da pranzo.
Era uscito all’aperto, non si era minimamente accorto che poco dopo le ragazze erano scese. Si maledì interiormente per la disattenzione, si passò una mano fra i capelli e rientrò.
Naruto era accanto al buffet con Hinata, Temari limonava con Shikamaru in un angolo, Rock Lee e Sai giocavano alla morra cinese per decidere chi avrebbe avuto diritto ad un ballo con Ino, che però era già chissà dove con Kankuro mentre Neji e Ten-Ten li guardavano divertiti sorseggiando un cocktail.
Tra un saluto e l’altro la cercò ovunque con gli occhi, poi, decise di uscire dalla seconda porta della sala, di fronte a quella da cui era entrato che dava sulla parte di dietro della casa. L’odore di tabacco gli fece capire che l’intuizione che aveva avuto era stata giusta, lei era lì.
La prima cosa che notò era la gonna e a seguire il corpetto pieno di brillantini, aveva accentuato i boccoli sulle punte dei capelli, che le scendevano lisci attorno alla sua figura.
Con una mano ordinò alla sabbia di fuoriuscire e di avvolgere il corpo della ragazza, che appena sentita la stretta, sobbalzò spaventata.
- Tana per Miho. – Un sorriso beffardo gli invase il viso, che si tramutò in breve tempo in una risata vedendo l’espressione imbruttita di lei.
- Gaara! – Strillò, cercando di soffocare una risata. – Mi hai fatto prendere un colpo dannazione! – Continuò inveendo contro di lui, dimenando le braccia in aria.
Con un’altra protesi di sabbia le sfilò la sigaretta dalla bocca, ponendola poi fra le sue labbra.
- Grazie. – Asserì, continuando a guardarla.
- Se volevi una sigaretta bastava chiederlo come una persona normale. – Disse sarcastica. – Ma aspetta un momento... Da quando fumi? – Domandò turbata.
Il ragazzo ordinò alla sabbia di lasciare Mihoko, facendole comparire davanti delle piccole scalette formate anch’esse da granelli dorati di sabbia.
- Ogni tanto mi faccio qualche tiro con Kankuro e Shikamaru. – Le fece un occhiolino, poi le porse la mano.
Mihoko era divertita da quel comportamento, infondo a lei piaceva che le tenesse testa, che la prendesse alla sprovvista, cercando di essere divertente ma senza esagerare. Era sempre accorto nell’accertarsi di non infastidirla.
Gli strinse la mano, notando che la camicia nera che indossava aveva i primi tre bottoni non allacciati, il colore gli donava molto, sia per via della carnagione molto chiara, sia per il rosso dei suoi capelli. L’aveva inserita all’interno di un pantalone color ocra chiaro, leggermente attillato. Le scarpe che aveva scelto erano nere, stile classico.
In quella prima settimana di convivenza non aveva mai avuto modo di capire come fosse fatto il suo fisico, portava sempre dei vestiti molto larghi, tipici del Villaggio della Sabbia, che nascondevano alcuni lineamenti scolpiti del suo corpo.
Istintivamente avvolse le dita attorno a quelle di Gaara mentre scendeva i gradini, fino ad arrivare all’ultimo, poggiando l’altra mano sulla spalla del ragazzo che la fissava divertito mentre metteva di nuovi i piedi sull’erba.
Tra i due ci fu un momento di esitazione, per qualche istante si guardarono intensamente con un’aria di sfida che si tramutò poi in dolcezza.
Le mani di Gaara si posarono con delicatezza attorno al suo viso, d’istinto Mihoko chiuse gli occhi lasciandosi trasportare, senza voler pensare a cosa fosse giusto o sbagliato, se fosse troppo presto o troppo tardi. Sentiva bruciare dentro di lei un ardore, una sensazione che non riusciva a controllare; infilò le mani fra i capelli di lui, continuando a baciare quelle labbra così morbide e calde. Si soffermò nel trattenere per un po’ il labbro inferiore fra le sue, mordicchiandolo leggermente. Venne avvolta in un abbraccio mozzafiato, pelle contro pelle, si sentiva come incatenata in quel momento che desiderava non finisse mai, ipotizzò che anche per lui valeva la stessa cosa, in quanto non accennava a smettere o a distaccarsi da lei, dalle sue labbra e dal suo corpo.
- Ah, siete qui! – Strillò Ino, che evidentemente, spinta dalla sua voglia morbosa di scoop, li aveva cercati da tutte le parti. – Temari sono qui! – Continuò facendo cenno all’amica di raggiungerla.
Solo allora, dopo aver guardato per bene il viso di Gaara, Mihoko si accorse di averlo reso come un clown sfatto dopo uno spettacolo. La tinta labbra rossa si era praticamente plasmata attorno alla bocca di lui, e di certo una pettegola osservatrice come Ino non si sarebbe mai fatta scappare un dettaglio simile.
Prima ancora che la ragazza potesse accorgersene, Gaara abbracciò Mihoko da dietro, smaterializzandosi insieme a lei davanti agli occhi increduli della bionda.


- Ti porto dove vuoi, per me ci siamo soltanto noi. - *




NB: *  Sono delle strofe di una canzone di Astol, si chiama 'Soltanto noi'. 
 

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