Run away from you.

di crissjb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The wait. ***
Capitolo 2: *** The beginning. ***



Capitolo 1
*** The wait. ***


Run away from you.


1. The wait.


Il sole, già alto nel cielo, mi fa capire che è troppo tardi per stare ancora a letto. Mia madre è dello stesso parere, – la sento urlare il mio nome da più di dieci minuti – ma non ho alcuna intenzione di alzarmi.

A fatica, esco un braccio da sotto le coperte per spostare la tenda della grande finestra sulla mia destra, unica fonte di luce per la mia piccola stanza da letto.

Caldo, soleggiato e silenzioso.
Così mi si presenta l'1 ottobre, della mia amata Broxbourne, un piccolo distretto della contea di Hertfordshire, Inghilterra, ed è strano a giudicare il risaputo tempo perennemente piovoso della mia nazione.
Sarà una bella giornata?
Mi convinco di ciò, scosto le coperte e mi alzo.

Il rumore acuto del campanello – seguito da mia madre, la quale, per l’ennesima volta, grida il mio nome – attira la mia attenzione.

Scendo le scale, gradino per gradino, con una calma tale da far pensare che le stessi scendendo con ai piedi un bel tacco quindici.

“C’è una lettera per te.” – mi informa, porgendomela.

Non riesco a credere a ciò che ho appena stretto tra le mie mani. Tutte le mie paure accumulate durante l’estate, dopo il diploma, svaniscono in un attimo.

Quella lettera – da lì a poco – avrebbe determinato il mio futuro, fino a quel giorno incerto.

La lettera – si può ben leggere dal mittente – proviene dall'Hertford Regional College, nel quale ho sempre sognato di andare. Avevo fatto domanda per la facoltà di Childcare & Care Suite per coronare il mio sogno di diventare un’insegnante della scuola primaria, – ho sempre amato quei piccoli mostriciattoli.

Non ho il coraggio di aprirla. Temo di leggere tra le righe: “Ci dispiace informarla che la sua domanda è stata respinta.

A salvarmi fu l’improvvisa suoneria del mio telefono. Mi s'illuminano gli occhi di speranza quando sul display compare il nome di Abigail, la mia migliore amica.

Anche lei ha fatto domanda per il mio stesso college, però scegliendo la facoltà di The Michael Morpurgo Theatre. Ha sempre aspirato a diventare un’attrice di teatro, sin da quando alle elementari vinse il premio come ‘miglior personaggio’ alla recita di fine anno.

“Abigail?” – ricevo un grido di gioia come risposta.

“Ti hanno presa, vero?” – le domando.

“Sì.” – è possibile sentire un sorriso? – “E sono più che sicura che abbiano accettato anche la tua domanda.”

“Non so...”

“Apri immediatamente quella lettera, Christina Ashton.”

Faccio come mi ordina.

Apro la linguetta della busta, ed estraggo un foglietto. Lo stendo per bene e inizio a leggere a voce alta, in modo tale che Abigail possa sentirmi.

“Carissima Signorina Christina Ashton, l'Hertford Regional College le comunica che la sua domanda d’iscrizione è stata…”
“Dì ‘accettata’, dì ‘accettata’” – spera Abigail in sottofondo.

“Accettata!”

Sbaglio, o avevo detto che questa sarebbe stata una bella giornata? Incurante dell’indossare ancora il pigiama, urlo di gioia mentre esco da casa e mi dirigo verso quella di fronte.

Quasi prevedesse la mia reazione, la mia migliore amica spalanca la porta di casa e mi stringe in un caloroso abbraccio.

“Tutto ciò che abbiamo sempre sognato, sta per avverarsi, Chris.”

“Non sai quanto sono felice di condividere con te tutto questo!”

“Stasera si festeggia.” – mi guarda con uno sguardo intimidatorio – “Ed è un ordine.”

 

***


Dopo aver festeggiato a pranzo con un bel piatto di arrosto e patate a forno della nonna, dopo aver ricevuto una bella pacca sulla spalla da mio padre con tanto di "la mia piccolina, è diventata grande", torno al mio amato letto.

Sono ancora incredula. Giro e rigiro la lettera fra le mani, dandomi pizzicotti di tanto in tanto per verificare che sono sveglia e non sto sognando.

Elettrizzata all’idea di andare al college, fantastico sul come la mia vita sarebbe cambiata di lì a poco.
Nuovi amici, nuovo ambiente, nuove esperienze e perché no, possibilmente una nuova casa tutta mia. Scarto a priori l’idea di fare domanda anche per un alloggio al campus, per due motivi: 1) non riuscirei a sopportare altra ansia che solo l’attesa di una lettera sa riservarmi; 2) odio i posti affollati – svelato il mistero per cui l’invito a festeggiare la mia ammissione al college era tutt’altro che un invito – e odio il solo pensiero di condividere la mia camera con una sconosciuta.

E suvvia, diciamo la verità. Ho già pianificato la mia convivenza con una coinquilina più promettente, Abigail. Non solo perché la sua cucina è ottima, ma anche perché è l’unica persona che sopporterebbe il mio essere scontrosamente lunatico.

Piego la testa di lato, spostando lo sguardo verso l’orologio appeso sulla parete color lavanda della mia camera. Sono le 19:20. È meglio che io inizi a prepararmi.

 

***


Guardo il mio riflesso sul lungo specchio adagiato su una parete del bagno. Non avendo molta voglia di festeggiare, ho optato per una paio di jeans stretti a vita alta con uno strappo sul ginocchio destro, che lo lascia scoperto. Sopra, indosso una maglia leggera bianca, quasi trasparente che mi lascia le spalle e parte del petto scoperto, con una scollatura a barca.

Amo essere ‘acqua e sapone’, infatti, non mi sono truccata molto: giusto un filo sottile di eyeliner e un po’ di mascara. Passo il rossetto nude, proprio quando sento il clacson di una macchina. Abigail è perfettamente in orario.

Lungo il tragitto cantiamo le nostre canzoni preferite che, accuratamente, sono in un CD che ha il privilegio di portare il mio nome.

Modestia a parte, so già dove mi sta portando.

In lontananza scorgo il locale che ci ha viste per la prima volta sbronze: The Bulls.

Dopo appena tre shortini di rum, la mia testa inizia a vacillare e le mie gambe a cedere. Sorprendentemente la mia amica, qui, al mio fianco, rifiuta ogni mia offerta di compagnia.

“Devo portarti a casa sana e salva.” – mi dice, facendo spallucce.

Tutto ciò che viene dopo il quarto sorso di alcol che scorre bruciandomi la gola, è finito nel dimenticatoio. Quello che ricordo è a episodi: un attimo prima mi trovo nella macchina di Abigail con la faccia premuta sul finestrino, – sto sbavando? – un attimo dopo sono a letto con il pigiama e non riesco a dormire per il forte mal di testa. Credo che vomiterò.

L’idea mi passa via dalla mente, quando mi rendo conto che non c’è nulla da fare: Morfeo è appena venuto a prendermi e mi ha trascinato in un sonno profondo.

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice.

Ho lavorato tanto all'organizzazione di questa storia (più di un anno) e solo adesso ho trovato il coraggio di pubblicarla qui. Gradirei sapere un vostro parere al riguardo. Se vedo che piace, come esordio, continuerò a pubblicare i capitoli seguenti. Vi prometto che saranno più lunghi.

Un caloroso bacio. Cris.

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Capitolo 2
*** The beginning. ***


Run away from you.

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1. The beginning.


Il risveglio non è per niente piacevole.

Come tutte le mattine post-sbornia che si rispetti, ho ancora l’amaro retrogusto di alcol in bocca, forte mal di testa e nausea.

“Oh, sei sveglia, temevo di doverti svegliare a suon di cuscinate.”

“Buongiorno anche a te, Abigail!” – rispondo mettendo la testa sotto il cuscino.

“Se ieri sera mi avessi dato ascolto – su ciò che andremo a fare non appena ti decidi di muovere quel sedere da Dio che ti ritrovi – avresti decisamente bevuto di meno.”

“Perché cosa dobbiamo fare?”

“Ah!” – ringhia seccata – “Hai intenzione di vivere in questa casa fino a quando un poveretto, ammesso che esista, venga a salvarti?”

“Può darsi.”

“Peccato che tu non sia Raperonzolo.” – ridacchia.

“Mi sto alzando, va bene?”

***

Un’ora più tardi, mi ritrovo accanto a lei dentro la sua macchina dirette chissà dove – non mi ha mica detto, di preciso, cosa ha intenzione di fare.

Poco dopo accosta sulla sinistra davanti ad un grande palazzo. Sembra un condominio costruito da un certo architetto miliardario: spruzza eleganza e classe da tutte le finestre.

“Ho letto su internet che qui vivono molti studenti dei college vicini e ci sono ancora degli appartamenti liberi, ti piacerebbe vivere qui?”

“Stai scherzando? Non possiamo mica permetterci tutto questo lusso, Abigail.”

Guardo affascinata l’ammasso di mattoni decorati, cornicioni alle finestre con tanto di statue in pietra sui balconi. Di fronte a me vi è un portone abnorme in legno smaltato nero e vetri colorati. Al di la di esso vi sono due rampe di scale divise a centro da un busto in marmo – probabilmente raffigura il costruttore dell’edificio a cinque piani. Sarebbe un sogno vivere qui.

Sono così sovrappensiero che non ascolto ciò che Abigail ha appena detto.

“Come, scusa?”

“Ho detto” – alza gli occhi al cielo – “I nostri genitori si sono offerti di pagare metà ciascuno l’affitto dell’appartamento.”

Sto per dire qualcosa, ma mi blocca all’istante.

“E se stai per dire ‘Abigail, dobbiamo pagare anche la retta del college’, ti dico che abbiamo tutte le capacità per avere la borsa di studio e con attività extrascolastiche riusciremo a pagarla.”

“Mi hai convinto” – abbasso la testa in segno di assenso – “Andiamo a vedere il nostro futuro appartamento.”

Saliamo quattro rampe di scale e, in corrispondenza del secondo piano proseguiamo verso un lungo corridoio. Abigail cammina a passo svelto davanti a me. Quando si ferma di colpo, vado a sbattere contro la sua schiena.

“Stai attenta!” – mi ammonisce. “Eccolo, è questo.”

Apre una porta in legno marrone chiaro con sopra il numero ‘202’. Una grande porta-finestra che da su un ampio balcone illumina la stanza e un divano al centro con televisore sulla parete ci danno il benvenuto. Sulla sinistra, divisa dal quel che è l’ingresso – ma in se, il salotto – c’è una spaziosa cucina con i mobili bianchi e un'isola al centro con il piano cottura e un ottimo posto per due per mangiare. Sulla destra si aprono 3 porte. Al centro – in corrispondenza della seconda porta – vi è l’unico bagno dell’appartamento, mentre le altre due stanze laterali sono due camere completamente identiche: un letto a una piazza e mezzo al centro, con lenzuola rigorosamente bianche, una scrivania sulla destra, un modesto armadio difronte al letto e una finestra sulla sinistra – sembra proprio la camera di casa mia.

“È perfetta.” – afferma sognante Abigail.

“Come hai fatto a trovare questo paradiso? Quasi quasi potrei farci un pensierino.”

“Devi, perché i miei hanno già firmato il contratto di affitto.”

Cosa? Senza dirmi niente ha fatto tutto?
Vedendo la mia faccia perplessa, Abigail mi rassicura.

“Sapevo già che ti sarebbe piaciuta.” – ammicca un sorriso.

“Quindi, questa è casa nostra?”

Annuisce.

“Prepara le valigie stasera, domani si trasloca.”

Dopo aver parlato con il capo portinaio mettendoci d’accordo per il giorno dopo alle quattro del pomeriggio, Abigail mi trascina nel bar difronte per bere un frappè.

Non riesco a realizzare tutto quello che è accaduto in due soli giorni: la lettera di ammissione al college accettata e una nuova casa tutta per me – e per Abigail, ovvio.

Sono entusiasta e felice, ma allo stesso tempo ansiosa e preoccupata. Non sono mai andata a vivere da sola, non ho mai avuto piena responsabilità di un appartamento e della mia vita. È tutto nuovo per me. Ho paura di non essere pronta e abbastanza matura per affrontare l’inizio della nuova esperienza al college. Palesemente la mia faccia sta trasmettendo queste emozioni e pensieri all’esterno. Per rendermene conto è necessaria la mano di Abigail sulla mia spalla per farmi distogliere lo sguardo dal vuoto e ritornare sul pianeta terra.

“Cosa c’è che non va?”

“Nulla di importante, sto bene.”

“La tua faccia dice il contrario, sai?”

La guardo per un po’ rimanendo in silenzio. So che è disposta ad ascoltarmi tanto quanto so che quello che sto per dire è stupido.

“Ho paura, Abigail, di non esserne all’altezza.”

“Pensi che io lo sia?” – si ferma, so che non aspetta una mia risposta. – “Pensi che io sia nata pronta a tutto? Pensi che per me sarà facile lasciare la mia casa e la mia famiglia? Non lo sarà, per niente. Anche per me questa è una situazione nuova, ma non mi faccio alcuna paranoia perché so di non essere sola in tutto ciò. Ho te con me. Andrà tutto bene.”

Le sorrido senza proferire parola, perché ha pienamente ragione.

Arrivata a casa corro ad abbracciare mia madre, che come al solito è in cucina. Mi mancherà cercarli lì. Lei capisce subito e ricambia l’abbraccio.

“Sono fiera di te, ricordalo sempre.”

“Grazie mamma.” – annuisco – “mi aiuti a preparare gli scatoloni?”

***

“Una cosa è sicura” – si lamentò Abigail. – “Il trasloco non fa per me.”

“Niente fa per te, tesoro, sei una scansafatiche.” – sentenziò sua madre.

Erano le 16 di una calda domenica e la casa era un vero delirio. C’erano scatoloni ovunque: in cucina, nel salone, nelle due camere da letto e persino in bagno. Saremo riuscite a terminare i lavoro entro sera?

Grazie all’aiuto delle nostre mamme, qualche ora dopo, quasi tutto era al suo posto: la dispensa era piena, le pentole e le padelle erano nel ripiano in basso accanto al forno e i piatti e i bicchieri erano nel ripiano di sopra; tutti i dvd con i nostri film preferiti erano nel mobile che teneva la tv; i nostri armadi era stracolmi di vestiti, i nostri libri nelle mensole. Mancava ‘dividere’ il bagno. Quello si che sarebbe stato un problema.

“Secondo me non riuscirete a trovare un compromesso.” – dichiarò mia madre – “soprattutto perché è uno solo.”

“Stai tranquilla mamma, anche a costo di creare una tabella degli orari, andremo d’amore e d’accordo.”

“Lo spero per voi.” – questa invece, era la mamma di Abigail.

Una volta congedate le mamme, io e Abigail c’abbracciamo sorridenti e soddisfatte del nostro lavoro. L’appartamento era finalmente pronto. Dopo aver cenato con una bella pizza che ci facemmo portare a domicilio, io andai nella mia camera e Abigail nella sua.

‘Domani inizia la tua nuova vita’, disse la voce della mia coscienza. E non ero affatto pronta. Imposto la sveglia alle 6:30, sperando di riuscire ad alzarmi così presto. Avevo la prima lezione del mio primo anno di università alle 8 in punto.

Nonostante fossimo nella stessa scuola, io e Abigail non avevamo nessuna materia in comune e, ovviamente, orari diversi, dal momento che frequentavamo due corsi di laurea diversi. Non solo iniziavo il tutto con l’ansia della ‘prima volta’, ma anche sola.

***

Credo che i primi giorni in qualsiasi ‘grado’ di scuola siano uguali: accoglienza, presentazione dei professori e integrazione nelle classi. La terza di queste cose mi mise in soggezione. Non sono mai stata una ragazza spudoratamente sfacciata, anzi, totalmente il contrario, però avevo ormai 19 anni, non potevo comportarmi da ragazzina incosciente. Armata del mio sorriso migliore e di tanta buona volontà entrai nella mia aula e tutti si girarono verso di me. Alcuni già spettegolavano. Dopo aver deciso di sedermi in fondo, ultima fila, dove avevo la possibilità di vedere tutto e tutti, a metà lezione, vidi arrivare nel mio posto un foglietto accartocciato. Mi guardo intorno: tutti avevano gli occhi fissi sul professore. Apro il bigliettino:

“Benvenuta al college, sembri simpatica. Sono alla tua sinistra. –Megan.”

Grata che qualcuno avesse fatto il primo passo con me, mi giro istantaneamente verso sinistra e mi sorprendo a trovare una ragazza semplice, capelli lunghi lisci e castani, occhi azzurri e labbra carnose rigorosamente rosse. Al guardarla meglio, potrei dire che ha la mia stessa età e sicuramente anche per lei sarà il primo giorno.

Quando il professore ci congedò, decretando la fine del mio primo giorno, mi avvicino alla mia compagna di corso per presentarmi.

“Piacere Christina Ashton.” – le dissi porgendole la mano.

“Piacere mio, sono Megan Davison.” – rispose lei, stringendo la mia mano.
“Aspirante maestra anche tu?” – mi domandò.

“Oh sì, spero non sia difficile diventarlo.”

“Spero di no. Alloggi al campus?” – ero felice che fosse lei a tener viva la conversazione, odio la mia timidezza.

“No, ho un appartamento a pochi metri da qui, lo condivido con una mia amica.” – feci una pausa – “Tu?”

“Io sono riuscita a trovare posto qui al campus con l’aiuto del mio ragazzo.”

“Mm, capisco.”

Dopo un breve silenzio di imbarazzo evidente, Megan salvò ancora una volta la conversazione.

“Vedo che sei una ragazza di poche parole.” – e rise.

“Sono abbastanza timida, non si nota?”

“Oh, non me ne ero accorta per niente.” – scherzò con me.

Una ragazza davvero simpatica.
Fece per andarsene augurandomi una buona giornata e proponendomi di sederci insieme da lì fino alla laurea. Dopo aver riso insieme, felice, accettai la proposta e ci salutammo.

Una volta entrata a casa sento il dolce profumo di crostata all’albicocca. Mi dirigo in cucina e trovo Abigail intenta a ricoprire la base con la marmellata. Mi siedo in una delle sedie accanto alla penisola e rubo un cucchiaio di albicocche.

“Com’è andato il primo giorno?” – domando ad Abigail.

Non avessi mai posto quella domanda.
Abigail mi incantò con il suo lungo monologo dettagliato sul suo primo giorno di college.
Una volta arrivata nel teatro della scuola, si era seduta in prima fila – la solita star – e aveva attentamente ascoltato la presentazione del prof di teatro – a suo dire un ‘gran figo’. Dopodiché quest’ultimo aveva invitato ad uno ad uno i suoi alunni ad inscenare una parte del loro personaggio preferito passando poi alla presentazione. Lei – non avevo dubbi – aveva interpretato Giulietta di Romeo e Giulietta di Shakespeare. Subito dopo di lei, è salito sul palco un certo Jayden – un altro ragazzo figo – e aveva interpretato la parte maschile della sua scena precedentemente recitata.

“Amore a prima vista.” – afferma sognante.

“Sei la solita rubacuori, quanto ti invidio.”

“Una volta finita la lezione, mi si è avvicinato e mi ha chiesto di pranzare insieme, ma, dal momento che se non cucino io qui…”

“Stai dicendo che è colpa mia se hai rifiutato il pranzo?” – rispondo, facendo un finto broncio.

Rise. “No, sono dell’idea che gli uomini devono aspettarci. Non puoi dargliela vinta subito, altrimenti capiscono che hai già abboccato all’amo.” – fa l’occhiolino.

“E tu non avevi già abboccato?” – Ero perplessa.

“Sì, ma lui non lo sa. Non è ancora arrivato il momento.”

Tutto sommato ad entrambe era andato bene. Dopo aver pulito la cucina, mi butto a letto esausta, non tanto fisicamente quanto mentalmente. L’ansia e la preoccupazione della mattina erano scemate via via col passare della giornata. Adesso sono pronta e carica per quello che mi aspetterà da qui a dieci anni.

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