Luce e ombra: Il bosco delle fate

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Noi esseri alati ***
Capitolo 2: *** I pilastri della mia vita ***
Capitolo 3: *** Altri come noi ***
Capitolo 4: *** Elementi ***
Capitolo 5: *** I dubbi di due giovani ***
Capitolo 6: *** La risposta nelle ricerche ***
Capitolo 7: *** Saggezza nascosta ***
Capitolo 8: *** Custodire e proteggere ***
Capitolo 9: *** Primi passi ***
Capitolo 10: *** Solide basi ***
Capitolo 11: *** Persa e ritrovata ***
Capitolo 12: *** Venti a mezzanotte ***
Capitolo 13: *** Difficoltà ***
Capitolo 14: *** Le viole del pensiero ***
Capitolo 15: *** Vicini e lontani ***
Capitolo 16: *** Fiducia in sè stessi ***
Capitolo 17: *** Verde di calma e speranza ***
Capitolo 18: *** La foresta e la sua quiete ***
Capitolo 19: *** Rapporti d'amore e amicizia ***
Capitolo 20: *** Voci nell'ombra ***
Capitolo 21: *** Disordine ***
Capitolo 22: *** Spirito debole ***
Capitolo 23: *** Anime unite ***
Capitolo 24: *** Verità in fondo al bosco ***
Capitolo 25: *** Il volo delle pixie ***



Capitolo 1
*** Noi esseri alati ***


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Luce e ombra: Il bosco delle fate

Capitolo I

Noi esseri alati

Tutto accadde lentamente, in una rigogliosa foresta appena fuori da un villaggio popolato da una comunità di semplici umani, tutti fermamente convinti dell’esistenza della magia, che proprio per questo hanno sempre permesso a noi di vivere serenamente. Ma chi siamo noi esattamente? La risposta è semplice. Fate, folletti e gnomi, o più in generale, creature magiche. Ormai da moltissimi anni, perfino da prima che io nascessi, gli umani liberano in cielo delle lanterne sobrie ma colorate, attribuendo sempre ad ogni colore un significato particolare e ben preciso. Ricordo bene che quando nacqui ne fu utilizzata una bianca, simbolo di vita è novità. Esatto, novità, perché questo è ciò che ero e sono stata in origine, nel giorno della mia nascita. Allora ero soltanto un essere vivente ma minuscolo, e per esistere avevo trovato rifugio nel buio della notte e nella luce che mi aveva generata. Una nuova fata che aveva appena fatto il suo ingresso nel mondo magico, ma che non aveva idea di cosa questo fosse, e quali misteri nascondesse. Ora come ora, le cose sono cambiate e ben diverse, e avendo ormai raggiunto quella che per noi è considerata l’età adulta, mi sento saggia e pronta ad affrontare la realtà. Sin da subito, la natura è sempre stata mia fedele compagna, ma lo stesso non si può dire dei miei genitori. Non li ho mai conosciuti davvero, né so chi siano, ma so per certo che se esisto, qualcuno deve forzatamente avermi dato alla luce. Ad ogni modo, e per pura fortuna, non sono sola, avendo al mio fianco una famiglia. Piccola, certo, ma pur sempre una famiglia. Una donna gentile e di buon cuore ha scelto di adottarmi poco dopo la mia nascita, e la stessa sorte è toccata a mia sorella. Proprio come me, anche lei è una fata, e nonostante ora mille ricordi del mio passato mi affollino la mente assieme a miriadi di pensieri, resto seduta sotto ad un grande albero, alzando saltuariamente lo sguardo per posarlo sul verde che mi circonda. Il vento mi accarezza i capelli scuri, facendosi sentire in ogni angolo della foresta. Sono tranquilla, e ad occhi chiusi, non sento altro che i suoni della natura. L’aria si muove costantemente spostando con dolcezza le foglie degli alberi, e la quiete è così palpabile che ogni abitante del bosco, grande o piccolo, sembra davvero volersi fermare solo per calmarsi e tirare un sospiro di sollievo. Il nostro mondo è tanto grande quanto complesso, e come pochi altri sanno è in continua espansione. L’esistenza di noi esseri magici si basa sulle stesse condizioni di quella umana, nonostante le nostre vite tendano ad essere più lunghe e pericolose delle loro. Il verde è l’ambiente perfetto per ognuno di noi, ma le insidie sanno bene come nascondersi anche in un mondo apparentemente perfetto come il nostro. Difatti, e come tutti sappiamo, esistono anche umani infidi, affatto avvezzi alla magia e che coltivano solo sentimenti puramente negativi. In altri termini, dei veri mostri. Grazie al cielo non si sono mai davvero avventurati nelle nostre terre, e non passa giorno in cui sia io che i miei superiori non preghiamo perché il tempo continui a scorrere con tranquillità. Siamo simili agli umani, eppure non li conosciamo, temendo ogni contatto con coloro che non credono in noi, reputandoci malvagie o perfino di cattivo auspicio, ignorando una realtà secondo la quale quella è in genere una caratteristica degli astri, tanto brillanti quanto capricciosi, e capaci di sconvolgere la vita di chi alzando gli occhi posa lo sguardo su un corpo celeste differente dalla saggia luna. A quanto sembra, e stando a ciò che ho potuto osservare negli anni, la tranquillità a cui siamo abituati ora non fa che vacillare. Il mio nome è Kaleia, e ora temo per l'incolumità mia e di tutti gli essere magici e alati.

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Capitolo 2
*** I pilastri della mia vita ***


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Capitolo II
 
 
I pilastri della mia vita
 
 
Ancora ferma e tranquilla, restavo seduta a rilassarmi e guardarmi intorno, sforzandomi di non pensare a nulla. Ci provavo, ma non ci riuscivo. I miei pensieri mi facevano sempre compagnia, e in questo preciso momento, potevano essere distinti in due categorie. Pensieri felici legati alla mia esistenza nella calma di questa foresta, che prontamente si mescolavano a quelli negativi, dovuti ad una singola consapevolezza che non avrei mai voluto fosse reale. Ero ormai adulta, i miei tempi di bambina erano scomparsi, e mentre il tempo scorreva lentamente, sentivo che la testa mi faceva male. La colpa non era certo mia, ma imputabile alla negatività che da tempo mi avvolgeva, negandomi spesso il buonumore. Ormai da giorni, cercavo di sorridere ed essere felice, ma per pura sfortuna si dimostrava sempre più difficile di quanto in realtà sembrasse. Come potevo mostrare gioia e felicità sapendo di non aver mai conosciuto mia madre e mio padre? Nel nostro mondo, la nascita di una nuova fata è sempre motivo di letizia, e ricordavo bene che lo era stato anche per me, nonostante non avessi mai incontrato i due esseri magici che mi avevano donato la vita tramite la loro unione e il loro amore. Quando venni al mondo, nessuno seppe nulla né di me né di mia sorella Sky. Eravamo nate a circa due anni di distanza l'una dall'altra, e data l'assenza nelle nostre vite di due figure tanto importanti a farci da guida, fummo adottate da una donna di buon cuore e dall'innata gentilezza. Eliza. Questo era il suo nome, e ad essere sincera, solo sentirlo mi infondeva sicurezza. Pensandoci, ricordo ancora il giorno in cui sentendomi piangere e notando le lacrime negli occhi di mia sorella, si era allontanata dal villaggio perché spinta dalla curiosità, prendendoci poi entrambe sotto la sua ala protettrice. Per quanto ne so, nessun umano prima di lei aveva osato avventurarsi nella nostra foresta, credendo che disturbare la nostra quiete non portasse che sfortuna o disgrazie sulla famiglia del malcapitato. Nessuno di loro lo sa, ma sin dalla notte dei tempi, questo non è mai stato il caso. Noi fate siamo spiriti buoni, e se la nostra luce splende e rischiara le tenebre delle notti più buie, è solo perché le genti credono in noi. Le più sagge dicono che qualcosa di terribile accadrebbe in caso contrario, ma per ora, essendo giovane e nel fiore degli anni, non voglio neanche pensarci. Sono un essere magico come ognuna di loro e molti altri nel nostro mondo, ma ancora adesso, specialmente dopo il mancato incontro con i miei veri genitori, abituarmi mi è difficile, e pur volendo a volte solo rintanarmi in un angolo e abbandonarmi a un pianto liberatorio, resisto. Mi sento quasi stupida a confessarlo ma, andando alla quasi disperata ricerca di conforto, capita che affidi le mie preoccupazioni al vento, e troppo stanca, mi abbandoni al sonno. Così, le ore passano, e non appena il sole torna a splendere nel cielo, il dolce canto degli uccelli provvede a svegliarmi, e rifrancata dal mio stesso riposo, assisto all'inizio di un nuovo giorno. Ora come ora, mi sento di nuovo calma e felice. La gentile aria mi accarezza i capelli e lambisce i polmoni, e in silenzio, so di non essere sola. Mia sorella è con me, e con il pensiero della nostra vera e sconosciuta madre che mi accompagna, dandomi la speranza che forse un giorno la incontrerò davvero, per ora mi sforzo di godermi ogni attimo di una felicità così passeggera, sicura che potrò sempre contare sulla mia piccola famiglia, composta da persone che ora, dopo anni, considero pilastri della mia vita.
 
 
Salve a tutti, miei lettori. Ho ricominciato a scrivere e lavorare cimentandomi in questa nuova saga circa una settimana fa, ma sapete perchè aggiorno proprio oggi? Perchè è il mio compleanno! Tutti voi regalate a me il vostro tempo ogni volta che mi leggete o che recensite, così ho in qualche modo pensato di ricambiare il favore. Che dite? Vi piace questa nuova idea in stile fantasy? Come sempre, grazie del vostro supporto, e al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 3
*** Altri come noi ***


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Capitolo III

Altri come noi

Come spesso accadeva, mi svegliavo con lentezza dal torpore in cui mi ero lasciata cadere nella notte precedente e appena trascorsa, interrompendo così il flusso dei miei sogni. Ero in piedi da poco, ma l’eco di vita sempre presente nella foresta mi colpiva, portandomi a sorridere e sperare per il meglio. Mia sorella Sky era sempre con me, e nonostante fosse più grande di me di circa due anni, sapevo bene di potermi sempre fidare di lei. Proprio per questo, insieme alla nostra madre umana Eliza, lei è la mia unica confidente. Era stata lei a prendermi in braccio e consolarmi mentre piangevo, troppo triste e spaventata da quello che era appena successo. Eravamo piccole, fragili e ingenue, nonché decisamente troppo giovani per capire, e così, di punto in bianco, eravamo rimaste sole, salvate soltanto dal buon cuore di un’umana. Sin dal giorno della nostra adozione, tutto è sempre parso andar bene, e con il passare del tempo, io e Sky abbiamo avuto modo di dormire sonni tranquilli e abituarci scoprendo con gioia di non essere le uniche creature magiche esistenti. Difatti, oltre alle fate come noi, il bosco ospita altri esseri, come ad esempio le dolci pixie, fatine più piccole di noi e capaci di emettere luce propria e di diverso colore a seconda delle loro emozioni, malferme sulle loro ali leggere e solite comportarsi da bambine, o gli gnomi, simpatici ometti alti quanto i funghi che crescono spontaneamente ai piedi degli alberi, che vantano lunghe e candide barbe unite ad una saggezza e una cordialità d’altri tempi. Oltre a loro, in mezzo a tutto questo verde vivono anche i leprecauni, esserini con gran gusto ed eleganza nel vestire, che nel camminare agitano sempre un nodoso bastone di legno adatto alle loro dimensioni. Sono piccoli, certo, ma in qualche modo anche forzuti, e non soltanto fisicamente. Molti di loro nascondono tutti i loro sudati risparmi nelle classiche pentole piene d’oro, sempre occultate alla vista di chiunque e che io stessa ho sempre e solo potuto immaginare. Sono un pò strambi e lunatici, ma a me non importa. Poche volte ho avuto occasione di vederli litigare nei rari casi in cui anche solo una moneta mancasse ai loro patrimoni, ridendo di come due o tre di loro finissero per accapigliarsi arrivando alle mani o ricorrendo ai bastoni con cui camminavano. Per quanto ne sapevo, non si facevano mai seriamente male, ma il loro carattere era a dir poco burbero, e il più delle volte mi ritrovavo a ridere delle ammaccature riportate dopo le loro quasi comiche baruffe, e lo stesso valeva per le sgualciture delle loro giacche verdi. Nonostante certe sfumature del loro modo di essere, sapevano dimostrarsi simpatici, almeno finchè il loro oro era al suo posto e non venivano provocati. Ultimi, ma non per importanza, c’erano gli elfi, creature simili agli umani per quanto riguardava la stazza, e con un’unica differenza a distinguerli da altre creature magiche, ovvero i fisici asciutti e tonici e le orecchie a punta. Inutile dire che vantassero un udito perfetto, e che proprio come le fate più sagge, conoscessero tutti i segreti del bosco proprio grazie a questa loro caratteristica. Ora come ora, il sole sta di nuovo per calare e sparire all’orizzonte per far posto alla notte, e sentendomi stanca, comprendo bene che l’unica cosa da fare è sdraiarmi e cercare di riposare, allietata dalla semplice consapevolezza di avere come compagni i miei amici animali e la moltitudine di esseri a me simili, o come la nostra madre adottiva direbbe, altri come noi. 

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Capitolo 4
*** Elementi ***


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Capitolo IV

Elementi

Era passato appena un giorno, e nel tentativo di mantenere la calma e rilassarmi, non avevo fatto altro che camminare senza alcuna fretta né sosta per tutto il bosco, fino a raggiungere il quieto laghetto che ospitava, sedendomi poi sulla riva e scoprendo anche stavolta di non essere sola. Sky era rimasta nella nostra casa sita nel cuore della foresta, mentre io, calma e tranquilla, potevo avvalermi della compagnia dei miei amici animali. Ad essere sincera, li avevo sempre amati, anche prima di scoprire le mie origini di fata e la mia appartenenza al mondo magico. Appena arrivata, avevo le dimensioni di una lucciola, e il mio esile corpicino splendeva di una luce propria e quasi intermittente, che nella fredda notte della mia nascita, comunicava agli umani e alle altre creature la mia esistenza. Ripensandoci, sorrido, e quasi come se mi leggessero nel pensiero o seguissero una sorta di strano rituale ormai lontano da qualunque memoria, conigli, volpi e scoiattoli mi si avvicinano, trovando posto al mio fianco, sul mio grembo o sulle mie spalle. La cosa non mi disturba affatto, e ogni volta, li lascio pazientemente fare, non risparmiando loro una lieve carezza sul pelo o appena sotto al muso. Felici, mi guardano e chiudono gli occhi, estasiati dal mio tocco leggero e affatto comune. Ora come ora, il tempo sta passando, e seduta a mirare l’acqua del lago davanti a me, noto che si muove lentamente. Non muovo un muscolo, ma il vento spira e parla, scostandomi dolcemente i capelli dal viso. Respirando a fondo, chiudo gli occhi per qualche attimo, poi la rivedo. La mia nascita, la mia infanzia, e tutta la felicità che provavo da piccola, prima del nefasto giorno in cui la mia vita sarebbe cambiata per sempre, facendomi incontrare con una gentile e saggia umana di nome Eliza. Le voglio bene, e non posso certo negarlo, ma dentro di me continuo a sentire che un giorno, forse in un futuro non troppo lontano, mi ricongiungerò con i veri esseri che mi hanno fatto il dono più prezioso, ovvero quello della vita. Sono felice, ma mia sorella è del mio stesso avviso, specialmente ora che i nostri tempi di bambine sono scomparsi. So bene che una parte di me avrebbe voluto restare bloccata nel tempo, ma per pura sfortuna non è stato e né mai sarà possibile, e crescendo, non ho potuto far altro che abituarmi alla realtà, imparando e scoprendo di giorno in giorno mille novità sul nostro mondo dalle fate più anziani, che da qualche tempo a questa parte, non parlano che di elementi. “Elementi. Perché questa parola?” Il mio primo pensiero nel momento in cui l’ho sentita per la prima volta, e che solo dopo aver ascoltato le loro parole e riflettuto a fondo ho potuto comprendere. Con l’ingresso nell’età adulta, ho imparato a controllare i miei poteri e a farne un uso ragionato e consapevole, ma secondo le fate anziane e altri esseri magici di gran lunga più esperti di me in materia, a ognuna di noi è sempre assegnato un elemento, sin dalla nascita. Mi ci è voluto del tempo, ma alla fine anch’io sono riuscita a scoprire, non certo senza alcuna fatica, una verità che mi apparterrà fino al giorno della mia morte. Conoscendomi, so bene di non essere speciale, ma semplicemente unica, profonda e pura quanto la natura stessa, fortunatamente mai contaminata e considerata sacra dagli umani a noi vicini. Inizialmente faticavo a capire, ma ora in quanto adulta mi sento saggia e pronta a vivere la mia vita, e spero che anche le mie compagne siano del mio stesso avviso, ovvero sicure di sé stesse, dei propri poteri e dei loro elementi.

 

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Capitolo 5
*** I dubbi di due giovani ***


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Capitolo V

I dubbi di due giovani

Silenziosa, l’acqua del lago si muoveva lentamente, ed io restavo a guardarla, quasi incantata. Con un gesto quasi automatico, mi alzai in piedi, fermandomi ad ammirare la mia immagine riflessa fra i flutti. Finalmente, anche Sky aveva deciso di seguirmi, e nonostante sembrasse completamente assorta in qualcos’altro e per nulla disposta a farmi compagnia, accennavo deboli sorrisi nel guardarla da lontano. Eravamo sorelle, un buon sangue scorreva fra di noi e all’interno delle nostre vene, ma ad ogni modo, non avremmo potuto essere più diverse. Io ho sempre vantato una chioma lunga fino alle spalle, mentre i suoi capelli, per qualche arcana ragione o scherzo di genetica o destino, sono sempre stati bianchi, tanto che di notte, illuminati dalla luce della benevola regina del cielo, la fanno assomigliare ad un fantasma. Come se non bastasse, anche i nostri caratteri divergono completamente. Difatti, e secondo le parole di chi ci ha adottate e permesso di entrare nel suo cuore, da piccola non facevo altro che mostrare gioia, vitalità e dolcezza, divertendomi a giocare con la magia e riempire l’aria del bosco di colori vivi quanto la mia immaginazione. Come c’era d’aspettarsi, nessuno me ne aveva mai fatto una colpa, ma lo stesso discorso non era certo applicabile a Sky, che durante tutta la nostra fanciullezza, era stata considerata il membro più cupo, triste e malinconico del gruppo che formavamo e formiamo ancora adesso. In tutta la foresta, nessuno riusciva mai a spiegarsi un comportamento simile per una bambina di soli otto anni, ma io, a sei, sì, e per quanto ammetterlo a volte mi dispiacesse, sembravo davvero l’unica in grado di farlo, riuscendo a capirla senza alcun problema o punta di biasimo nei suoi confronti. In fin dei conti, come potevo? Fra di noi c’era una differenza d’età di soli due anni, ma lei era sempre stata più matura di me, e aveva finito per somatizzare ogni cosa, sacrificando le sue emozioni per far fronte al presente che ora viviamo. In silenzio, si abbandona spesso ai suoi pensieri, e malgrado questo la renda in qualche modo simile a me, so che Sky è diversa, e che nascondendo dietro a una dura corazza, stia solo cercando di proteggersi dal dolore che ha provato, e che non vuole più sentire toccarle l’anima com’è successo in passato. Scuotendo la testa, mi allontano dall’acqua, e nel momento in cui i nostri sguardi si incrociano, entrambe sfoghiamo il bisogno di piangere. Sky soffre molto, ed io con lei, per motivi uguali e al contempo diversi. Ci abbracciamo, ma nessuna di noi due dice niente, finchè una sola frase non abbandona le sue labbra. “Ti voglio bene, Kaleia.” Quattro semplici parole che ascoltai senza proteste, e dopo le quali, con gli occhi ancora velati di lacrime, sorrisi. Ero felice, certo, ma dopo quello che era appena accaduto fra me e mia sorella, mille dubbi iniziarono a farsi largo nella mia mente. Nel guardare la mia immagine riflessa in uno specchio d’acqua, avevo visto i lineamenti del mio volto e il colore dei miei occhi azzurri come il cielo, e assieme a questi, le mie ali. Leggere e sempre ricoperte di una polvere sottile, splendevano al sole, ed erano la testimonianza chiave del mio vero essere. Contrariamente a me, Sky era solita tenerle nascoste, e più la guardavo, più mi sentivo strana e confusa. Credevo di aver compreso qualunque minima sfumatura dei miei poteri, eppure, dopo quel semplice abbraccio, tutte le mie certezze sembravano scomparse. Se Sky mi voleva così bene e accettava la nostra realtà, allora perché tentava di nascondere il suo essere una fata? Di cosa poteva trattarsi? Paura? Indecisione? Vergogna? Non lo sapevo, e almeno per ora sembravo non avere modo di rendermene conto. Ad essere sincera, avrei tanto voluto parlarle, ma tornando a casa, decisi di tacere e lasciarla riflettere, mentre tenendo alto lo sguardo e sperando nello splendere del sole di giorno e di ogni più piccola stella all’arrivo della notte, finii per sentirmi stanca e addormentarmi, meditando per intere ore sui timori di mia sorella e sui miei, ovvero sui dubbi di due giovani.

 

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Capitolo 6
*** La risposta nelle ricerche ***


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Capitolo VI

La risposta nelle ricerche

“Ti voglio bene.” Queste le parole che Sky mi aveva rivolto, e che tra una mia riflessione e l’altra continuavano a galleggiare nella mia testa come le nuvole in cielo, producendo un’eco costante e infinita. In piedi davanti al lago e alle sue calme acque, riflettevo, ma per pura sfortuna, sentivo di non riuscire a cavare un ragno dal buco. Lentamente, il tempo passava, e con ogni minuto che spariva dalla mia vita, avvertivo una sempre più chiara sensazione di impotenza. Erano passate soltanto poche ore, e ad occhi chiusi, non riuscivo a smettere di pensarci. Anch’io volevo bene a Sky, e in quanto sorelle, la nostra unione era così totale che definirci due piselli nati in uno stesso baccello non sarebbe stato un azzardo. Fra noi due, ero stata io la prima ad accettare quel che di vero c’era e c’è nel nostro essere, e solo ora, dopo ore trascorse a rimuginare sul reale significato di quell’abbraccio e delle sue parole, sono riuscita a capire che se per me è stato facile, lo stesso discorso non è certamente applicabile a lei.  Al solo pensiero mi rattristo, ma poi, guardandola, la capisco. È più grande di me, e dato quello che è successo, ha dovuto crescere più in fretta del normale, e una piccola parte di me crede ancora che se nulla fosse accaduto allora tutto sarebbe andato per il meglio. Dati certi pensieri, molti mi considererebbero sciocca e infantile, ma grazie al cielo non Eliza, la donna che per più d’un motivo considero mia madre. A suo dire, infatti, sono molto empatica, e questo non fa altro che deporre a mio favore, in quanto l’empatia, unita alla bontà di cuore e animo, è una qualità di molte fate a prescindere dalle loro capacità, e mentre Sky fa ancora fatica ad adattarsi all’ambiente naturale del bosco e all’utilizzo di poteri su cui non ha il completo controllo, ho preso una decisione tanto semplice quanto importante. Sono ancora giovane, eppure sento di dover fare qualcosa per aiutarla. Gli estranei e gli umani che ci conoscono non fanno altro che giudicarla, definendo i suoi comportamenti sbagliati o esagerati nonostante il suo dolore, e ad essere sincera, non sono d’accordo, né lo sarò mai. Alcuni dei mortali oltre la nostra foresta, infidi e svelti a dar voce ai loro pensieri, non hanno di lei la stessa immagine mentale che abbiamo io e le nostre care simili, ragion per cui non dovrebbero davvero permettersi di farlo. So bene di non poterlo impedire, e che nonostante mille sforzi le malelingue sul suo conto non cesseranno mai di esistere, ma nonostante tutto, un tentativo è d’obbligo. È mia sorella, e ora come ora, la voce del mio istinto mi sta parlando. Ha bisogno d’aiuto, lo vedo chiaramente, e dopo aver ascoltato i suoi sommessi lamenti per notti intere, non riesco più a sopportarli. Non perché m’infastidiscano, anzi, per la ragione diametralmente opposta e contraria. Siamo legate dal sangue, e quasi automaticamente, ogni suo problema diventa il mio. Sono stanca, troppo stanca di vederla piangere versando infinite lacrime, e nonostante ora lo sia anche fisicamente, e stia per cedere ai richiami del sonno, non vorrei davvero farlo, sacrificando le ultime energie che mi restano prima di dormire per affidare un’ultima preghiera al vento. Come c’è da aspettarsi, le mie intenzioni sono buone, ma chiudendo gli occhi, fallisco, avendo appena il tempo di tornare a casa. Mi addormento dopo poco, facendomi piccola fra le coperte del mio letto. Così, passano le ore, e riposo, ma allo stesso tempo non sono affatto tranquilla. Non riesco a spiegarmi perché, ma per la prima volta dopo tanto, un incubo mi sveglia. Non vedo nulla, attorno a me c’è il buio, e sento molte voci, accavallate e indistinte. Non capisco cosa dicano, ma ho paura, e aprendo gli occhi, torno alla realtà. Quasi istintivamente, mi poso una mano sul cuore, scoprendo che batte come impazzito. Lentamente, riesco a calmarmi, ma nonostante questo, non ho la più pallida idea di cosa sia successo. Forse sto esagerando, forse mi sto preoccupando troppo, ma Sky è troppo importante per me, e se davvero voglio aiutarla, devo smettere di dar peso alle parole della gente, e ascoltare quelle del mio cuore, secondo cui la risposta è nelle ricerche.    

 
Buonasera a tutti, miei lettori. Mi dispiace di avervi fatto attendere così tanto per un aggiornamento relativamente semplice, non era mia intenzione, ma non ho davvero potuto fare altrimenti. Nonostante tutto, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che abbiate passato una felice Pasqua e un'altrettanto serena Pasquetta. Alla prossima, e grazie ad ognuno di voi, Emmastory :)

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Capitolo 7
*** Saggezza nascosta ***


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Capitolo VII

Saggezza nascosta

Dopo l’alba di un nuovo giorno, mi ero svegliata stanca e madida di sudore. Nella nostra piccola casa, Sky ed io dormivamo in camere separate, e durante la notte appena trascorsa, avevo fatto fatica a dormire. Ero riuscita ad addormentarmi, ma per pura sfortuna, solo per poco. L’incubo che avevo avuto non mi tormentava più, e da quando era scomparso dalla mia mente, lo stesso era accaduto anche ai miei sogni. Sin da piccola, non avevo fatto altro che addormentarmi con il sorriso sulle labbra, sicura che il mondo onirico mi avrebbe accolta a braccia aperte, facendomi respirare e distendere i nervi una volta sveglia, ma ora non accadeva più. Sky era mia sorella, eravamo legate, e sin dal giorno in cui lei aveva iniziato a soffrire, a me era successa la stessa e identica cosa. Non eravamo gemelle, ma data la profondità del nostro legame, molti umani a noi vicini non avevano fatto altro che pensarlo. Nessuna di noi due li biasimava, e anzi, sia io che lei ridevamo ogni volta. Vedendoci così felici, le persone tendevano a sorridere e lasciar cadere l’argomento, e se altre insistevano, la nostra madre adottiva Eliza era sempre pronta a intervenire. “Non sono gemelle.” Diceva, accennando poi i sorrisi dolci che nei miei tempi di bambina avevo imparato ad amare. Ormai da qualche tempo, questi ricordi continuano ad affollarmi la mente, ma nonostante la loro presenza, non riesco ad esserne felice, o almeno non completamente. Incolpare mia sorella è l’ultimo dei miei pensieri, poiché non è certo colpa sua se accettare il suo essere e il nostro mondo le viene più difficile. A questo vasto mondo, ognuno è diverso, e mentre il  tempo scorre, penso. Oggi il sole non splende, e una debole pioggia bagna il nostro bosco. Sono in piedi fra l’erba, ho le ali bagnate, e riesco a malapena a mostrarle. La polvere magica che le ricopre luccica, e come c’è d’aspettarsi in un momento del genere, ho un gran mal di testa. Non sono in forma, non riesco a pensare, e mi sembra che il cuore batta più lentamente. Il tempo sta scorrendo, e lenta, la pioggia cade. Ora come ora, mi viene anche da piangere, e prima che riesca ad accorgermene, comincio. Notandomi, uno scoiattolo si avvicina per farmi compagnia, e arrampicandosi sulla mia spalla, cerca di asciugarmi le lacrime. È soltanto un animaletto, ed è ovvio che non ci  riesca, ma il solo fatto che ci provi fa spuntare sulle mie labbra un leggero sorriso. Ho gli occhi ancora velati dalle lacrime, ma ora quasi non m’importa. Non sono sola, e in breve, anche Sky mi si avvicina. È triste quanto e forse più di me, ma nonostante tutto, sta cercando di confortarmi. Spostando lo sguardo dall’orizzonte al suo viso, la guardo negli occhi, ed è allora che una scena già vissuta si ripete, come in un deja vu. Ci abbracciamo ancora, e stringendola a me, la sento sussurrarmi qualcosa all’orecchio. “Abbiamo bisogno di risposte, ora.” Ascoltandola, non so che cosa dire, e annuendo, mi ritrovo d’accordo con lei. Ha ragione, ed è vero. Fino a pochi giorni fa, anch’io avevo pensato di iniziare a fare delle ricerche, ma non ottenendo risultati, ero rimasta ferma. Ferma a pensare, riposare e cercare di riflettere, sviluppando la sensazione di camminare costantemente in tondo, non vedendo altro che le mie impronte nella neve, in questo caso tanto fresca quanto falsa e metaforica. Erano passati anni, anni che avevo trascorso nella mia innocenza di bambina e nella mia ingenuità di ragazza, qualità destinata a permanere nel mio animo ma comunque lentamente rimpiazzata dal buon senso, che ora, risvegliato ancora una volta dalle parole di mia sorella, mi aveva aiutato ad aprire gli occhi e fare un passo in avanti verso la completa risoluzione dell’enigma che da giorni albergava nella mente di entrambe. Così, con l’arrivo della notte, ci decidemmo. Attraversando il bosco, giungemmo insieme nella sua parte più buia, scoprendo fra un misto di alberi e rovi, una casa che definire diroccata era un complimento. La completa assenza di luce la rendeva ancora più tetra e cupa di quanto già non fosse, ma facendomi coraggio, bussai, e afferrando il pomello della porta, spinsi. La porta si aprì cigolando, e nel buio, una figura scelse di parlarmi. “Ti aspettavo, giovane Kaleia.” Disse, con voce così bassa da risultare inquietante. “Aspettarmi? Per… per cosa?” azzardai, paralizzata da un improvvisa paura. “La lasci stare!” proruppe mia sorella, frapponendosi fra me e quella sorta di ombra al solo scopo di proteggermi. “Non le ho fatto nulla, cara Sky.” Rispose quella voce, divenendo un basso mormorio difficile da identificare. A quelle parole, lei si ritrasse, spaventata. “Come…. Come sa i nostri nomi?” chiese, faticando a parlare poiché paralizzata dal terrore. “Siete qui per un motivo, giusto?” replicò la strana figura, ignorando il nostro comune interrogativo. “S-Sì.” ebbi a malapena il coraggio di rispondere, sentendo il sangue gelarmisi nelle vene. “Fa un passo avanti, e forse potrò aiutarti.” Mi disse semplicemente, facendo quasi suonare quella frase come un ordine. Deglutendo sonoramente, obbedii, e in quel momento, la luce inondò la stanza. Chiudendo gli occhi per un attimo, mi protessi da quell’improvviso bagliore, ma solo riaprendoli, capii di avere davanti una donna. Alta e slanciata, aveva un’aria severa e sicura di sé, e malgrado non riuscissi davvero a parlare in sua presenza, alzai lo sguardo per incrociare il suo, scoprendo con orrore  e stupore insieme che era parzialmente priva della vista. Vedeva da un solo occhio, ma nonostante questo, riusciva a muoversi agevolmente. Sfilando davanti a Sky e me, andò a sedersi, prendendo posto su una malconcia poltrona e avvicinandosi a sé quella che capii essere una sfera di cristallo. “Ditemi.” Sussurrò la donna, abbassando il tono di voce ma mantenendolo serio e udibile. “Ci servono risposte, signora…” tentò di rispondere Sky, bloccandosi non appena si rese conto di non conoscere la sua identità. “Vaughn. Zaria Vaughn.” Rispose per lei, posando le mani sul tavolo dove la sfera giaceva tranquilla. “Ora, mie care… che cosa intendete esattamente?” chiese, andando alla ricerca di dettagli specifici. “Noi… noi non… non conosciamo le nostre origini.” Spiegai, balbettando con incertezza. “Capisco.” Fu la risposta della donna, secca e lapidaria. “Siediti, prego.” Aggiunse poi, indicandomi con il dito. Annuendo lentamente, obbedii senza proteste, accomodandomi a gambe incrociate proprio di fronte a lei, dalla parte opposta di quel tavolaccio in legno duro. “Bene, ora svuota la mente.” Continuò, osando farsi più vicina per prendermi le mani. Seppur rabbrividendo al suo freddo tocco, la lasciai fare, e anche se solo per un secondo, mi parve di vedere la mia intera vita scorrermi davanti agli occhi. Mi rividi bambina in compagnia di mia sorella, e per la prima volta, di altre due figure. Più alte e grandi di noi, ma mai lontane. Ad essere sincera, non saprei dire se quello vissuto in quegli attimi fu un viaggio mistico, un sogno, una visione o una rivelazione di qualche tipo, l’unica cosa certa era che doveva essermi successo qualcosa, poiché non appena li riaprii, ebbi la forza di sussurrare un’unica parola. “Mamma.” Sì, mamma. Inconsciamente, chiamai il nome della donna che ci aveva donato la vita, poi non vidi più nulla. “Ora tutto ha un senso, giovane Kaleia.” Disse la signora Vaughn, guardandomi fissamente negli occhi azzurri come preziosi zaffiri e ripetendo quello strano epiteto. “Che cosa?” biascicai, confusa e priva di forze. “Ora capisco perché tu e tua sorella soffrite tanto. Siete…” iniziò a dire, lasciando però quella frase in sospeso. “Cosa? Siamo cosa, signora, la prego.” Supplicai, improvvisamente ansiosa e desiderosa di ottenere una qualunque risposta. “In parte umane.” Tre parole, un gran significato, e un colpo che arrivò lesto, sferzandomi l’animo come mai prima. Incredula, provai a rimettermi in piedi, e nonostante barcollassi nel tentativo di farlo, subito dopo ricominciai a riflettere. Conoscendo me stessa e la mia appartenenza al mondo magico in quanto fata, sapevo bene che l’empatia verso i più deboli era una nostra caratteristica innata e peculiare, ma dopo quella sorta di divinazione, come diceva la donna, tutto aveva un senso. Preoccupandomi per Sky, mi ero interrogata a lungo sul da farsi, e ora eccolo. Ecco il perché della nostra sofferenza. Non a causa del nostro forte legame, né delle nostre caratteristiche, ma bensì delle nostre origini, che avevamo appena scoperto essere parzialmente umane. Non sapendo cosa dire né pensare, tornammo entrambe al sicuro nella foresta dopo un saluto e un rispettoso inchino, e una volta a casa, felice di aver risolto questo complicato enigma, ma sicura che molti altri si sarebbero presto palesati a noi dinanzi, ebbi fisso in mente il pensiero di quell’improvviso sogno ad occhi aperti unito a quella che mia sorella ed io potevamo solo definire saggezza nascosta.   

 

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Capitolo 8
*** Custodire e proteggere ***


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Capitolo VIII

Custodire e proteggere

Ancora una volta, ero fuori casa. Con la schiena appoggiata contro il tronco di un albero, ascoltavo il dolce sibilo del vento, unito al suono di una debole pioggia che cadeva lentamente. Poco lontana da me, Sky teneva una mano sull’erba, per niente infastidita dagli steli che credevo le pungessero la pelle. Aveva smesso di piangere, sorrideva appena, ed era calma. Semplicemente calma. Alzando lo sguardo, lo fissò per un attimo sul dorato sole di quel pomeriggio appena iniziato, poi sorrise ancora, stavolta con più decisione. “Quindi è così che è andata…” osservò, pensosa. “In parte umane. L’avresti mai detto?” finii per lei, mentre un sorriso mi increspava le labbra e i nostri sguardi si incrociavano. “Sinceramente? Sì.” Rispose lei, guardandomi negli occhi con l’aria di chi la sa lunga. “Cosa? Come mai?” non potei evitare di chiedere, curiosa. “Sarà anche caratteristico di tutte noi, ma tu sei buona, Kaleia.” Mi rispose, seria e sincera. “Grazie.” Soffiai al suo indirizzo, sentendo una nuova speranza sul suo futuro nascermi nel cuore. Forse esageravo, forse sbagliavo, o forse era ancora presto per dirle, ma avevo fiducia in lei, e qualcosa, forse una sorta di sesto senso, prese a parlarmi proprio allora, facendomi sentire che per Sky c’era speranza. Dopo un periodo di dolore e sofferenza, aveva avuto la possibilità di conoscere meglio le nostre radici, e a dirla tutta, ero orgogliosa di lei. Eravamo sorelle, le volevo bene, e vederla lì con me, seduta sull’erba, con il viso rilassato e non più tirato da un’ansia che solo io ero capace di notare, mi rendeva felice. A poco a poco, il tempo continuava a muoversi come l’acqua del lago di fronte a noi, e trovando un sassolino fra l’erba, lo lanciai in acqua, guardandola incresparsi per un solo attimo, tornando poi alla sua stabilità originaria. Scivolando nel silenzio, non dissi più nulla, e nello spazio di un momento, il mio amico scoiattolo tornò a farmi visita, arrampicandosi sulla mia spalla come era solito fare. Notandolo, spostai lo sguardo dall’acqua al suo muso, poi lo accarezzai. “Ciao, Bucky.” Dissi, quasi in un sussurro. “Gli hai dato un  nome? A quel topo? Non posso crederci!” commentò Sky nel sentirmi, alzando gli occhi al cielo e ridendo divertita. “È mio amico, che male c’è?” replicai, avvicinandomi per assestarle un pugno sul braccio, scherzando e non facendole alcun male. “D’accordo, d’accordo, scusa, regina dei roditori.” Rispose lei, alzando le mani in segno di resa e scoppiando in una risata divertita. “Sky! Smettila!” sbottai, lasciandomi comunque coinvolgere e unendomi alla sua ilarità. In quel momento, risi come una bambina, e godendomi quel raro momento di felicità sotto il caldo sole, sentii il mio piccolo amico squittire. Guardandolo, lo vidi scendere dalla mia spalla e zampettare nel verde, e senza muovere un muscolo, non lo disturbai. Non era agitato, ma sembrava incuriosito da qualcosa. Confusa, feci saettare lo sguardo in più direzioni, poi la vidi. Una ghianda. Quel dolce animaletto aveva trovato una ghianda, e a quanto sembrava, non aveva alcuna intenzione di lasciarsela sfuggire. Agile e abile com’era sempre stato, tentava in tutti i modi di sollevarla, ma questa, bagnata di rugiada mattutina, continuava a scivolargli via dalle zampe. Più svelta di lui, mossi la mano fino ad afferrarla, poi gliela porsi. “Cercavi questa, piccolino?” chiesi, parlandogli in tono gentile. Quasi volendo darmi una risposta, il piccoletto sollevò le zampe, e squittendo, strofinò il muso contro la mia guancia, solleticandomela con i baffetti. Un gesto che trovai tenero e adatto ad un cucciolo come lui, e che per un pò mi fece di nuovo ridere. Non trattenendo quindi una piccola risata, gli accarezzai e scompigliai il pelo, affondando le dita nella sua morbidezza striata di bianco. A quella vista, Sky non si scompose, ma non credendo ai suoi occhi, li alzò ancora, buttando la testa all’indietro. “Santo cielo, non potevi prendere un cane o un gatto, come gli umani?” chiese, esasperata da tutta quella dolcezza. Ignorandola, non dissi nulla, e continuando a coccolare il mio amico peloso, ascoltando i suoi versetti e lasciandolo giocare con le mie dita. Concentrato, Bucky cercava di capire perché non riuscisse ad afferrarle con le zampe, e fra un tentativo e l’altro, cadde rovinosamente, rotolando fra l’erba e battendo la testolina. “Ecco, ben ti sta, topo pulcioso.” Disse, quasi godendo nel vederlo rimettersi in piedi e strofinarsi la parte offesa con le zampine. “Non esagerare! Ha il pelo più pulito che abbia mai visto!” replicai, difendendo il mio amichetto. “Come vuoi.” Disse semplicemente lei, tenendo alto lo sguardo e fissandolo su una nuvola di passaggio. “Non poteva.” Disse poi una voce alle nostre spalle, sorprendendoci. Quasi istintivamente, mi voltai, scoprendo che si trattava di nostra madre, o almeno della persona che ormai giudicavamo tale. “Fare cosa?” chiesi, confusa e stranita. “Scegliere qualcosa di diverso. Sembra strano, ma anche questo è parte della vostra natura, o almeno di quella di tua sorella, Sky.” Rispose, rivolgendosi a lei e spezzando una lancia in mio favore. Ascoltandola, non disse nulla, ma all’improvviso, il suo sguardo cambiò, perdendosi nel vuoto. “Un attimo. Se Kaleia ha la natura, io cos’ho?” chiese, interrogandosi sui suoi poteri e su sé stessa. “Io non lo so né posso saperlo, cara. L’unica a poterlo scoprire davvero sei tu.” Replicò nostra madre, seria ma tranquilla. “E come?” continuò Sky, sempre più confusa. “Sta tranquilla e non sforzarti, accadrà con il tempo.” La rassicurò lei, avvicinandosi per scostarle una candida ciocca dal viso. “Fino ad allora, ragazze, non sarete sole.” Aggiunse, ottenendo di nuovo la nostra attenzione. “Che significa?” azzardai a chiedere, avendo dati i nostri trascorsi quasi paura della risposta. “Presto vi saranno affiancati dei protettori, semplice.” Mi disse, mantenendo la sua solita tranquillità e guardandomi negli occhi, così che il marrone dei suoi si fondesse con l’azzurro dei miei. Fidandomi, mi ridussi al silenzio, e poco prima che se ne andasse, mi avvicinai per abbracciarla. Non c’era un motivo specifico, ma per qualche strana ragione, sentii il bisogno di farlo. Sorridendo debolmente, lei mi lasciò fare, e quando il pomeriggio si tramutò in sera e dovette rincasare, la seguii. Andando a letto, tenni aperta la porta della mia stanza, sicura che Sky mi avrebbe raggiunta a breve, e prima di dormire, mi fermai a pensare. Ad essere sincera, non sapevo cosa sarebbe accaduto con l’arrivo di una figura di quel calibro nella mia vita, ma stando alla serietà di mia madre, decisi di fidarmi e attendere le novità che il nuovo giorno avrebbe portato, avendo come una certezza un concetto elementare, ovvero il loro dovere di custodire e proteggere.   

 

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Capitolo 9
*** Primi passi ***


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Capitolo IX

Primi passi

Sveglia ormai da ore, mi rilassavo, di nuovo sdraiata fra l’erba e con la sola compagnia del mio amico Bucky. La bella stagione ci garantisce un sole caldo e rassicurante, simile in questo all’abbraccio di un amico, come quello in quella mia madre Eliza mi ha stretto appena ieri. Leggere nuvole bianche stazionano nel cielo, muovendosi saltuariamente e con lentezza esasperante. I raggi dell’astro re del cielo mi solleticano il viso, e infastidita, mi scopro costretta a mettermi seduta. Fa caldo, troppo caldo, e quasi dandomi ragione, d’accordo con il mio pensiero, Bucky si allontana, andando a bagnarsi le zampette nel lago vicino. Sorridendo a quella vista, non posso negare di trovarlo tenero e adorabile, e mentre il tempo scorre, avverto una sorta di presenza alle mie spalle. Più confusa che incuriosita, mi volto subito, ma dietro di me sembra non esserci nessuno. Stringendomi nelle spalle, mi convinco di essermi sbagliata, ma appena qualche attimo più tardi, la stessa sensazione. Mi volto di nuovo, ma ancora niente. “Sky, se è uno dei tuoi scherzi…” l’avviso, sicura che si stia nascondendo per cercare di spaventarmi. Ad ogni modo, con me c’è solo Bucky, perciò da parte di mia sorella nessuna risposta. Tornando a concentrarmi sui miei pensieri e su un filo d’erba che pare agitarsi secondo il mio volere, esibendosi in una piccola danza, sorrido, ma per la terza volta, la consapevolezza di avere un paio d’occhi addosso mi distrae. “Sky, smettila!” sbotto, scocciata. Per mia sfortuna, nessuno risponde neanche stavolta, e solo dopo altri attimi di silenzio, mi accorgo che la colpa non è davvero sua. Non capisco perché, ma inizio a spaventarmi. Sono completamente sola, e il mio amico scoiattolo è così silenzioso da risultare quasi assente, così, con il corpo e la voce che tremano, mi alzo in piedi, muovendo qualche indeciso passo in avanti. “Chi… chi sei?” azzardo, incerta e dubbiosa. In quel momento, qualcosa, o per meglio dire, qualcuno, si fa vivo emergendo dal bosco poco distante. “Scusa, non volevo spaventarti.” Dice, avanzando verso di me con aria tranquilla. “Come? Ma cosa… che ci fai qui? E soprattutto, chi sei?” non posso fare a meno di chiedere, confusa sia dal troppo sole che dall’intera situazione. “Perdonami, mi chiamo Christopher, e tu devi essere Kaleia, giusto?” si presenta, sorridendo e tendendo la mano perché gliela stringa. “Sì, sono io. Piacere.” Risposi appena un attimo dopo, ricambiando quella stretta con una vena di riluttanza nei movimenti. “Il piacere è mio, e scusa ancora, ma sembravi impegnata, preferivo non disturbare.” Continuò lui, tenendomi la mano per semplici secondi prima di lasciarla andare. “Conosci già il mio nome, vedo.” Osservai, inspiegabilmente incuriosita. “Tua madre Eliza mi ha detto tutto di te.” Spiegò, mantenendo la calma e sorridendo ancora. Improvvisamente imbarazzata, abbassai lo sguardo fino a fissarlo sul terreno, e sentendo uno strano rossore imporporarmi le guance. Mi conosco bene, e so che succedeva sempre quando da piccola finivo per provare disagio per qualunque cosa, che si trattasse di un mio errore, di una parola di troppo o anche di una nuova conoscenza. Non importava, e nonostante me ne vergognassi, non avevo modo di evitarlo, e succedeva sempre. “Che c’è? Ti vergogni?” mi chiese, divertito dal mio essere così infantile. Non sapendo cosa dire, non proferii parola, e fu solo alzando ancora lo sguardo che lo notai davvero. Il biondo dei suoi capelli mi colpì subito. Scuro ma non troppo, e in questo simile al grano di un’estate che presto ci avrebbe raggiunti. Poco dopo, fu la volta dei suoi occhi, verdi come gli smeraldi che potevo solo ammirare nei gioielli umani o la speranza che tentavo di tener viva in ogni occasione. “N-No, io... Christopher, hai detto?” balbettai, facendomi pena da sola. “Sì, Kaleia, e c’è una cosa che dovresti sapere di me.” Rispose, prendendomi la mano e camminando al mio fianco fino ad un albero poco distante. Lentamente, sollevò la propria, e toccando il tronco, mi invitò silenziosamente a fare lo stesso. Annuendo, feci come mi era stato chiesto, e con sguardo attento, mi assicurai di non farmi male. Di lì a poco, accadde qualcosa. Senza che me ne accorgessi, né che potessi spiegarlo, fra l’erba ai miei piedi spuntarono dei fiori, e su quel tronco, la casa del piccolo Bucky, una chiazza di muschio. “Come ti senti?” mi chiese Christopher, curioso e stranamente divertito da quel risultato. “Bene.” Ebbi la sola forza di rispondere, non avendo altre parole per spiegare cosa davvero sentissi in quel momento. Ero calma, distesa e felice, e per qualche strana ragione, il contatto con quell’albero mi aveva resa felice. Così, con il sole nel cielo e una sorta di nuova linfa vitale nel corpo, per un solo attimo non sentii nulla, e la mia temporanea sordità venne sostituita da una sensazione di quiete e pace. Sorridendo ancora, Christopher mi lasciò la mano, e quando il muschio non scomparve e i nuovi fiori rimasero al loro posto, ovvero ancorati al suolo, imparai una lezione che identificai come verità. Mia madre aveva avuto ragione, e avevo appena conosciuto colui che da ora in poi mi avrebbe aiutata, dandomi modo di esplorare con più sicurezza il già conosciuto mondo della magia, facendo scomparire i miei dubbi e la mia goffaggine e tendendo una mano amica mentre toccavo con mano la natura stessa, muovendo i primi passi verso la realtà che fino ad allora mi aveva silenziosamente circondata.

 

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Capitolo 10
*** Solide basi ***


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Capitolo X

Solide basi

Era ormai arrivata la sera, e  per qualche strana ragione, non riuscivo a smettere di pensare a Christopher e a quello che era successo al suo fianco. Mi aveva semplicemente preso la mano, e poi avevo assistito a quella specie di magia. Sapevo bene che faceva tutto parte dei miei poteri, e ricordavo di aver sorriso, ma ancora non riuscivo a spiegarmi nulla. Ero in casa, e nervosa, continuavo a guardare la mia immagine riflessa nello specchio, litigando con i miei stessi capelli. Lisci ma indomabili, non volevano saperne di stare a posto. Conoscendomi, sapevo di non essere una di quelle ragazze fissate con l’apparenza e l’aspetto fisico, ma era in occasioni come queste che la mia parte umana sembrava manifestarsi, facendomi assumere i loro stessi comportamenti e le medesime abitudini. “Tutto bene, Kaleia?” chiede mia madre, facendo il suo ingresso nel salotto e cogliendomi di sorpresa. “Sì, grazie, ma ieri…” provai a rispondere, incerta se dirle o meno della piccola scoperta che avevo fatto su me stessa e sulle mie capacità. “Avete iniziato?” continuò, ponendomi una seconda domanda alla quale non seppi rispondere. “Iniziato cosa?” indagai, rispondendo alla sua domanda con un’altra. “L’addestramento.” Rispose lei, con una calma che non potei evitare di definire mostruosa. Non sapendo cosa dire, mantenni il silenzio, e tornando a guardare la mia immagine riflessa nello specchio, mi concentrai di nuovo sui miei capelli, finalmente docili sulle mie spalle. “Sì.” Dissi soltanto, insicura ma certa di non mentire. “Bene.” Replicò lei, sorridendo debolmente. In quel momento, il sorriso di mia madre comparve nello specchio, e imitandola, mi sentii più calma, quasi come mi ero sentita appena poche ore prima. “Sai dove si trovi?” chiesi a quel punto, curiosa e stranamente desiderosa di rivederlo. “Ti sta aspettando.” Disse Sky, comparendo anche lei all’improvviso e facendo le veci di nostra madre. Non ne ero sicura, ma la conosceva, e soltanto guardandola potei giurare che nel tono della sua voce ci fosse una punta di ironia. Affatto divertente, e pungente come un cespuglio di rovi. Cercava di scherzare, ma non ero dell’umore né in vena di ascoltarla, e a dirla tutta, non lo ero quasi mai. Annuendo, varcai la porta di casa, e camminando fra l’erba, respirai a fondo. Ero nel bosco, in mezzo al verde, nel mio elemento. Non sapevo perché, ma ogni volta che avevo l’occasione di uscire di casa e raggiungerlo mi sentivo benissimo. Forse era tutto collegato alla natura dei miei poteri, ma adoravo passare le giornate fuori, con il sole a scaldarmi la pelle, il vento a lambirmi i polmoni e l’acqua a farmi da specchio, bagnandomi i piedi quando decidevo di camminarci dentro. Sorridendo, feci saettare lo sguardo in più direzioni, sempre più felice e con il cuore che in quel momento vantava la stessa leggerezza di una piuma. Da sopra un albero, uno squittio conosciuto e caratteristico. Era Bucky. “Ciao, piccolino!” Salutai, mostrandogli la mano e ridacchiando nel notare che teneva fra le zampe l’ennesima ghianda, mangiucchiandola com’era solito fare e divertendomi con la sua ghiottoneria. Un attimo scomparve come nebbia o polvere nel vento, e scostandomi i capelli dalle spalle, lo guardai balzare da un ramo all’altro fino a scendere dall’albero, per poi iniziare una nuova risalita, dalla mia caviglia fino alla mia spalla. Lasciandolo fare, avvertii uno strano solletico,  e scuotendo la testa, scacciai un piccolo insetto dal mio campo visivo. Voltando, fissai lo sguardo verso un punto immaginario e lontano, notando solo allora, un viso amico. “Christopher!” chiamai, correndogli incontro. “Kaleia!” rispose lui, imitandomi finchè non mi raggiunse. Non appena fui abbastanza vicina da toccarlo, lo strinsi in un abbraccio, e sentendosi il benvenuto, lui non mosse foglia a riguardo. Ancora sulla mia spalla, Bucky squittì di nuovo, sollevando una zampina come per salutare. Alla sua vista, Christopher sorrise, poi mi guardò negli occhi. “Cos’è, hai trovato un amico?” chiese, scherzando. “In realtà è stato lui a trovare me.” Spiegai, sorridendo a mia volta al solo ricordo del nostro primo incontro vicino al lago. “È un bene, sai? Nessuno dovrebbe mai stare da solo.” Osservò in risposta, facendosi improvvisamente serio. “Dici davvero?” azzardai, dubbiosa. “Certo. C’è più sicurezza nei numeri, ricordalo.” Mi rispose, fornendomi con quelle parole un consiglio che avrei sicuramente seguito. Sorridendo ancora, fissai per un attimo lo sguardo sul prato intorno a noi, e muovendo una mano, feci danzare dei fili d’erba. “Te la cavi bene.” Commentò Christopher, leggermente impressionato dalle mie capacità. “Dì, pensi di poter ripetere quello che hai fatto ieri?” mi chiese poi, volendo sincerarsi di ciò che aveva visto accadere appena un giorno prima. “Abbiamo.” Lo corressi gentilmente, troppo timida e modesta per prendermi tutto il merito di quella piccola impresa. “No, Kaleia. Io non ho fatto niente, hai usato i tuoi poteri da sola.” Spiegò lui, sincero e fiducioso. A quelle parole, un nuovo sorriso mi increspò le labbra, e un lieve rossore mi imporporò le guance. Mantenendo il silenzio, alzai lo sguardo, poi lo vidi prendermi per mano. “Dai, andiamo.” Disse soltanto, riaccompagnandomi ad un albero vicino, che io riconobbi come la casa del mio amico goloso di noci e nocciole. “Riprovaci.” Mi pregò, indietreggiando di qualche passo per darmi spazio e campo libero. Annuendo, decisi di concentrarmi e fare un tentativo, ma nel momento in cui la mia mano toccò il duro tronco di quell’albero, il canto di un uccello mi distrasse, e una spina mi entrò nel palmo, ferendomi. Chiudendo gli occhi, tentai di ignorare il dolore, ma quando una fitta mi attraversò le dita, dovetti farmi forza per non lamentarmi, ottenendo a magia ultimata un risultato diverso. Riacquistando la capacità di vedere, non vidi muschio e fiori, ma una radice coperta di spine che si muoveva elegante e minacciosa al tempo stesso. “Scusa.” Sussurrai, vergognandomi e stringendo il pugno per non mostrare la ferita. “Non scusarti, ti sei lasciata prendere dalle emozioni, e loro hanno collaborato. Devi stare attenta, può essere pericoloso.” Mi rispose semplicemente, con il viso rilassato e libero da qualunque segno di rabbia o fastidio. Tranquillizzata dalla sua reazione, tirai un sospiro di sollievo, e controllandomi per un attimo la mano ferita, scoprii una specie di strana incisione sul mio polso. Aveva l’aspetto di un tatuaggio, ed era a forma di foglia. Confusa, guardai Christopher, e quando si avvicinò per prendermi la mano e controllare a sua volta, rimase calmo, assumendo un’espressione a dir poco soddisfatta. “I tuoi poteri stanno crescendo.” Disse soltanto, provando orgoglio per la sua stessa allieva. Felice di saperlo, lo strinsi in un abbraccio delicato e pieno di dolcezza, vedendolo ricambiare senza esitazione. Non appena ci staccammo, il mio addestramento riprese andando avanti fino a sera, e non appena la luna spuntò in cielo, prendendo il posto del sole nella loro solita diarchia, fu per me ora di tornare a casa e riposare fino al giorno seguente. Mi addormentai poco dopo essermi sdraiata a letto, sicura di aver appreso nuove informazioni su me stessa. A quanto sembrava, le emozioni potevano influenzarmi e avere effetti sui miei poteri portandomi a compiere gesti azzardati, ma oltre a questo, c’era anche qualcosa di positivo. Stavo ancora imparando, ma grazie a Christopher acquistavo di giorno in giorno solide basi.

 

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Capitolo 11
*** Persa e ritrovata ***


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Capitolo XI

Persa e ritrovata

Era già mattina, e il sole mi aveva salutato presto. Stiracchiandomi come una gatta,  indugiai per qualche minuto nella calda trappola delle mie coperte, e drizzandomi a sedere sul letto, guardai fuori dalla finestra. Il cielo era azzurro, ma nell’aria c’era uno strano odore. L’odore della pioggia. Doveva essere caduta durante la notte, e stando a quello che vedevo, non poteva certo trattarsi di qualche goccia. Ancora stanca, non soffocai uno sbadiglio, e dopo una doccia sotto un accogliente getto d’acqua calda che mi scivolò lentamente sulla pelle fin quasi ad assopirmi un’altra volta, sostituii il pigiama con una veste lunga, comoda e leggera, poi uscii. Come ogni giorno, mi ritrovai fra gli alberi, l’erba e la natura, ovvero il mio elemento. Fino ad allora non avevo fatto altro che ascoltare semplici teorie a riguardo, eppure ora scoprivo che era tutto vero, e che il mondo naturale sembrava sempre diverso dopo una giornata di pioggia. L’aria era più fresca, il caldo più sopportabile, le foglie più tenere e gli steli d’erba quasi luccicanti. Felice e rilassata, inspirai a fondo, lasciando che la gentile aria mi accarezzasse e lambisse i polmoni, e chiudendo gli occhi per un attimo, sentii qualcosa. Avrei riconosciuto quel suono fra mille, e non appena questo raggiunse le mie orecchie, sorrisi. “Bucky!” chiamai, contenta di vederlo. Rispondendo al mio richiamo, il piccolo roditore mi corse incontro, zampettando così veloce da inciampare e cadere, rotolando rovinosamente per terra. Lo conoscevo da poco, ma ormai ero abituata alle sue stranezze e ad ognuna delle sue abitudini, inclusi il voltarsi per lisciarsi il pelo della lunga coda quando era nervoso o agitato, o l’ormai classico gesto di portare sempre con sé una piccola ghianda che in realtà non mangiava mai, custodendola come un portafortuna. Di fronte al suo piccolo incidente, risi di gusto, e afferrandolo per il collo così da non fargli male, lasciai che avvicinasse le zampette rosa al mio viso, solleticandomelo per qualche istante anche con i baffi. “In piedi di buon’ora, sorellina?” chiese Sky, raggiungendomi poco dopo e sbadigliando assonnata, per poi strofinarsi gli occhi cisposi e schermirli dal sole con un braccio. “Come ogni mattina, cara.” Risposi, tranquilla. “Forse un pò troppo, stavolta, Christopher non è neanche arrivato.” Osservò, dando vita a un secondo sbadiglio che non si curò di nascondere. A sentire il suo nome, mi illuminai, e scattando sull’attenti, divenni rigida come un’asse di legno. Non volendo far del male a Bucky, lo rimisi al suo posto fra l’erba, e non capendo, il piccolo prese a guardarsi intorno, spaesato. “Tranquillo, è un amico.” Gli dissi, abbassandomi al suo livello e parlandogli come ero solita fare, con lo stesso tono pacato di sempre. Rinfrancato da quelle parole, il mio amico roditore squittì lievemente, e voltandosi, tornò alle sue solite mansioni, rincorrendosi la coda come un cagnolino e saltando da un ramo all’altro di uno dei tanti alberi attorno a noi. Poco dopo, qualcos’altro mi colse di sorpresa. Senza un motivo apparente, il polso iniziò a farmi male, e guardandolo, non notai alcuna ferita, solo uno strano bagliore. Stringendomi nelle spalle, non seppi cosa dire né pensare, e tornando a guardare dritto davanti a me, scorsi una figura. Inizialmente, non seppi distinguere se si trattasse di un animale o di una persona, e quando questa fu più vicina, ne fui sicura. Era Christopher. Sorridendo, lo salutai con la mano, e venendomi incontro, mi  strinse in un abbraccio così delicato e forte al tempo stesso da poter essere definito fraterno. Colta alla sprovvista, quasi non reagii, ma meri secondi dopo, fu il mio corpo a farlo per me, e in un gesto quasi automatico, mi lasciai accogliere fra le sue braccia. “Come sta la mia allieva?” chiese, rompendo per primo il ghiaccio fra di noi. “Bene, grazie, solo un leggero dolore alla mano.” Risposi, non riuscendo a nascondergli la verità. “Fammi vedere.” Pregò, facendosi improvvisamente serio e preoccupato. Annuendo, gli mostrai la mano, e prendendomela con delicatezza, si concentrò sul mio polso. “Soltanto il tuo segno, nulla di cui preoccuparsi.” Disse poi, avendo con quelle parole il potere di sciogliere le mie insicurezze. “Segno?” finii per fargli eco, non confusa ma incuriosita. “Sì, segno. Tanti lo chiamano marchio, ma io detesto quella parola. Ogni fata ne ha uno, tu hai scoperto il tuo.” Replicò, spiegandosi come un maestro di fronte a un’attenta scolara. “Come mai? Non è lo stesso?” azzardò allora Sky, resa indolente e irritabile dal sonno di cui ancora non riusciva a liberarsi. “Sì, ma non per me. I secondi appartengono alle bestie.” Disse lui in risposta, indurendo la voce e lo sguardo. A quella reazione, Sky si ammutolì, alzando anche le mani in segno di resa. Guardandola, cercai di farle capire il suo errore, e il modo in cui  avesse sbagliato, e scambiandosi con me una veloce occhiata d’intesa, lei si allontanò, andando a sedersi sotto all’albero su cui Bucky giocava. Con qualche schiocco di dita, lo invitò ad avvicinarsi, poi iniziò a prendersi gioco di lui, tenendo fra le dita la sua preziosa ghianda, e impedendogli di prenderla tenendola troppo in alto per le sue capacità. Sapevo bene che fosse un abile saltatore, e anche Sky ne era al corrente, ma a quanto sembrava, si divertiva a tormentarlo in quel modo, avendo trovato nel farlo un vero e proprio passatempo. Non contenta, gli tirò leggermente la coda, e quando il povero piccolo emise un verso di disappunto, lei si fermò, seccata dai suoi continui lamenti. “Eccoti il tuo giocattolo.” Disse, lanciandolo fra l’erba con fare annoiato. “Stupido roditore.” Sibilò poi al suo indirizzo, pungente e senza modi. “Ti ho sentito, sai?” le feci notare, irritata dal suo comportamento. “E allora? Il topo è tuo, io posso avere tutte le opinioni del mondo.” Rispose lei, arrivando ad ignorarmi per fermarsi a sospirare fissando il cielo. Oltremodo seccata dal suo essere così indolente, le diedi le spalle, domandandomi per l’ennesima volta come alle volte potesse essere così fastidiosa. In cuor mio, le volevo bene, e mi era sempre concesso sperare, ragion per cui, volli credere che in lei ci fosse ancora una sola stilla di bontà. In fin dei conti, era pur sempre mia sorella, e nonostante sapesse essere egocentrica e fredda come il ghiaccio, io conoscevo la verità, e sapevo tutto della sua corazza, che un giorno qualcuno sarebbe sicuramente riuscito a scalfire. Offeso e spaventato, Bucky mi raggiunse quasi piagnucolando a zampe vuote, facendomi capire che non riusciva più a ritrovare la sua ghianda. A quella vista, Christopher sorrise, poi mi indicò una quercia. “Quella. Prova a staccarla.” Disse, puntando il dito verso il ramo che ne ospitava una, grande abbastanza da essere raccolta. Lentamente, alzai una mano, e protendendola in avanti, la richiusi. Nel tentativo di concentrarmi, feci lo stesso con gli occhi, e quando li riaprii, non vidi altro che uno scoiattolo felice. “Visto? Non è stato difficile, giusto?” chiese a quel punto Christopher, con un sorriso sul volto e l’orgoglio nel cuore. “No.” Biascicai, accompagnando quella parola con un cenno di dissenso del capo. “Sei sempre più brava.” Commentò poco dopo, tornado a stringermi la mano. Diventando improvvisamente rossa in viso, abbassai lo sguardo, avendo il piacere di sentirlo ridere. Di lì a poco, tornai a guardarlo, e nel momento in cui i nostri occhi s’incontrarono, notai che il cielo aveva cambiato colore, e che il mattino era ormai prossimo a sfumare in pomeriggio. La magia a cui avevo dato vita era stata semplice, ma nonostante tutto, mi sentivo inspiegabilmente stanca. “Vuoi riposarti?” azzardò a quel punto Christopher, preoccupandosi ancora. “Sì, con una passeggiata. Ti va?” proposi, propendendo per quattro passi nella vastità del bosco in cui vivevamo. “Certo. Sky? Tu vieni con noi?” rispose subito lui, avendo comunque cura di includere mia sorella. “Perché no? Arrivo subito.” Disse lei, con un dolce sorriso a ingentilirle volto e animo. Seguendolo, lasciai che mi indicasse la strada, e non volendo star solo, anche Bucky si unì a noi, godendosi il viaggio stando comodamente seduto sulla mia spalla. Silenziosa, Sky non disse nulla, e fra un passo e l’altro, non sentii altro che il leggero sibilo del vento unito allo scricchiolio dei rami che si spezzavano sotto ai miei piedi, tranquilla come mai ero stata. Così, i minuti passarono scorrendo lenti, e all’improvviso, in un angolo al riparo dal sole, notai qualcosa, o per meglio dire, qualcuno. Spinta dalla curiosità, feci qualche passo in direzione del piccolo corpo che avevo notato, scoprendo solo allora che si trattava di una pixie. Rannicchiata su un mucchietto di foglie che sembrava farle da giaciglio, piangeva. Mossa a compassione dalla sua vista in quello stato, provai a parlarle. “Come ti chiami?” chiesi, parlando in tono dolce e gentile. “L-Lucy, e… e tu?” rispose la fatina, riuscendo a calmarsi e voltandosi a guardarmi con i suoi splendidi occhioni scuri ancora velati dalle lacrime. “Kaleia.” Dissi, tendendole la mano perché me la stringesse. “Dì, sei sola, piccola?” azzardai, sperando ardentemente che la risposta fosse negativa. Ad essere sincera, non avevo idea di quanti anni avesse, ma a giudicare dal viso tondo e paffuto e dagli occhietti splendenti, uniti a quel pianto così pieno d’innocenza, ipotizzai che avesse all’incirca sei anni. “Sì, sono tutta sola. Mi sono persa, e ora non ho più una mamma e un papà.” Ammise, piagnucolando e avvicinandosi a me alla ricerca di protezione. Lasciandola fare, non mossi foglia a riguardo, e stringendola delicatamente, le accarezzai i capelli. “Su, non piangere, li ritroverai, te lo prometto.” La rassicurai, donandole un sorriso fra una carezza e l’altra. “Ti credo, ma… fino ad allora… posso restare con te?” sussurrò, sciogliendomi il cuore con il solo uso dello sguardo. “Certo.” Fui veloce a rispondere, lasciandomi vincere da un istinto che non credevo di possedere. Annuendo lentamente, la piccola mi si strinse addosso, e sollevandola, la tenni in braccio. “Per te è un problema?” chiesi a Christopher, incerta e dubbiosa. “Affatto.” Replicò subito lui, sorridendo debolmente. Ricambiando quel sorriso, mi sistemai la bambina fra le braccia, e vedendola scalciare, la lasciai andare, abbassandomi fino a vedere i suoi piedini toccare terra. “Qui mi sento a casa.” Disse, facendo un piccolo giro su sé stessa e indicando una serie di alberi, l’erba e ciò che rimaneva del tronco di un albero. “Anch’io, tesoro, e se vuoi, possiamo farti compagnia.” Risposi, sorridendole ancora e indicandole Christopher con un gesto della mano. Camminando lentamente, la fatina gli si avvicinò, poi gli tese la mano. “Piacere.” Biascicò, dolcissima. “Piacere mio, piccolina.” Disse subito lui, tranquillo e quasi paterno. “Per favore, non andate.” Ci pregò poi, volendo solo giocare. “Non lo faremo.” Provai a rassicurarla, sfiorandole una guancia con dolcezza. In quel momento, il viso della bimba si illuminò, e il suo sorriso si allargò nel momento in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Bucky. “Posso giocarci?” chiese, timida. Annuendo, le permisi di accarezzarlo, e intuendo le sue intenzioni, il mio amico abbandonò la mia spalla, iniziando una goffa corsa e invitando la bambina a seguirlo. Ridendo, la piccola si divertì come pochi, e al calar della sera, andò a sedersi per riposare, prendendosi qualche secondo per tornare a respirare normalmente. Di lì a poco, il pomeriggio si tramutò in sera, e poco prima che il sonno avesse la meglio su di lei, la bambina mi guardò, azzardando una domanda. “Kaleia?” mi chiamò, sempre incerta nella parola come nei suoi passi. “Dimmi, Lucy.” Risposi a bassa voce, stanca ma felice. “Un giorno tu e il signor Christopher sarete come mamma e papà? Innamorati?” chiese, parlandomi con tutta l’innocenza che la sua età comportava. “Non lo so.” Ebbi appena la forza di replicare, poco prima che un soffio di vento mi sfiorasse i capelli. In quel preciso istante, alzai lo sguardo, e la vista di una bianca lanterna mi rincuorò. Quel colore indicava novità, e forse la novità era rappresentata proprio da Lucy, piccola pixie persa e ritrovata.   

 

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Capitolo 12
*** Venti a mezzanotte ***


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Capitolo XII

Venti a mezzanotte

Il giorno non era ancora arrivato, e con la notte, la luna regnava ancora in cielo. Christopher non mi aveva lasciata da sola, e rannicchiata in posizione fetale su quel che rimaneva del tronco dell’albero che mi aveva mostrato, dormiva. Colta dal freddo notturno, mi ero svegliata da poco, maledicendomi per non aver portato con me almeno una giacca per coprirmi. Non avevo una coperta, ma poco importava. La natura era il mio elemento, e ad essere sincera mi sentivo a mio agio in mezzo al verde, nonostante le temperature troppo basse non fossero decisamente nelle mie corde. Ad ogni modo, ci volle qualche minuto perché i miei occhi si abituassero all’oscurità, e quando accadde, ne approfittai per guardarmi intorno. Scosso dai miei movimenti improvvisi, Bucky quasi perse l’equilibrio cadendo dall’alto della mia spalla, ma aggrappandosi con le unghiette, si tenne in piedi. Spostando lo sguardo, notai che non ero l’unica in piedi a quell’ora della notte, ma che anche Sky era sveglia, e per qualche arcana ragione, fissava il cielo, la luna e le stelle. Alzandomi in piedi, provai a farmi più vicina e le sfiorai il braccio, lei quasi si ritrasse, come infastidita. “Dimmi che non l’ho visto solo io.” Pregò, con un tono di voce così calmo da risultare surreale. “Visto cosa?” chiesi, confusa e stranita. “L’uccello.” Rispose lei, non muovendo gli occhi azzurri e uguali ai miei di un solo millimetro. A quella parola, non seppi cosa replicare, e guardandola con aria perplessa, alzai lo sguardo, puntandolo nella stessa direzione in cui guardava. Ancora confusa, aguzzai la vista, ma oltre ad alcune nuvole e al pallore della regina della notte, non vidi nulla. Tornando a guardare mia sorella, feci spallucce, e solo allora, un suono mi distrasse. Improvvisamente, avvertii il sibilo del vento, reso più forte e minaccioso dal battito d’ali di un merlo. Sì, un merlo. Maestoso e dalle piume nere, che non ricordavo di aver mai visto prima. Il becco giallo non stonava affatto con il resto del piumaggio, ed io ne rimasi incantata. Volando silenzioso, non emetteva un fiato, e fra noi due, mia sorella era perfino più sorpresa di me. Non proferendo parola, fece un solo gesto con la mano, e vantando movenze simili a quelle di un automa, lo richiamò a sé. Notandola, il merlo le obbedì ciecamente, e lei sorrise, felice e soddisfatta, nel momento in cui le brune zampe del volatile le si posarono sulla spalla. Fra i due non ci fu altro che un semplice gioco di sguardi, e un secondo debole sorriso che le spuntò in volto non appena si guardarono negli occhi. Così, oro e azzurro si fusero, e senza fiato né parole, restai muta. Quasi ignorandomi, Sky si concentrò sul volatile dalle piume color pece, accarezzandolo e non mostrando alcuna paura di venir ferita dal suo becco. Sapevo bene che la vista no mi ingannava, eppure non riuscivo a crederci. Sky, la sorella che credevo chiusa e schiva, finalmente era riuscita ad aprirsi al nostro mondo come avevo sempre desiderato, e malgrado la persona per noi più importante non stesse assistendo a quello spettacolo di tetra oscurità e soffusa luce sia vera che metaforica, mi convinsi che un giorno o l’altro anche lei l’avrebbe scoperto. Avendo assistito all’intera scena, Christopher si alzò in piedi, avvicinandosi per sussurrarmi qualcosa all’orecchio. “Ce l’ha fatta. Finalmente ce l’ha fatta.” Disse, sinceramente orgoglioso di lei. Felice, sorrisi a mia volta, e quando si decise a guardarmi, mi apparve come una persona nuova e diversa, che quasi non riconoscevo. Stupita, fui vicina a strofinarmi gli occhi per l’incredulità, e sopprimendo quella sorta di bisogno, vidi anche qualcos’altro. Un segno. Differente dal mio recava la forma di stilizzata di un moto d’aria, e brillava, come aveva fatto la foglia sul mio polso, di luce propria. Così, fra luce, penombra e moti di coraggio sotto gli occhi di quella così pallida sovrana, capii. Sky era entrata nel suo elemento, solo grazie ai venti che ci avevano spirato attorno qualche attimo prima della mezzanotte.

 

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Capitolo 13
*** Difficoltà ***


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Capitolo XIII

Difficoltà

Un’altra settimana aveva fatto il suo corso, e mentre i giorni continuavano a passare, non facevo altro che osservare Sky, notando in lei cambiamenti sempre più importanti. Anche se da poco, un fiero merlo era entrato nella sua vita, migliorandola lentamente. Ispirandosi al suo colore, l’aveva chiamato Midnight, scoprendo che fra calma e silenzio alternava eleganti voli fra gli alberi a lunghi periodi di riposo sulla sua spalla, usando gli artigli per mantenere l’equilibrio e facendo comunque attenzione a non farle male. In pochi giorni, lei e quel merlo si erano legati molto, formando una splendida amicizia che era sbocciata come un fiore in primavera. Quando non passava il tempo a volare e librarsi nel cielo, era solito stazionare nel nido posto sopra la quercia preferita di Bucky, o cacciava staccando bacche da piccoli arbusti, mangiandole poi intere e lasciando quasi che gli si sciogliessero nel becco. Una sorte simile toccava ad alcuni piccoli animali che alla sua vista fuggivano terrorizzati, sicuri di aver incontrato il nero angelo della morte. Conoscendolo, sapevo bene che ognuno di questi comportamenti faceva parte della sua natura, ma ad ogni modo, e nonostante fosse un predatore nato, Midnight non aveva mai torto un pelo al mio amico. Ad essere sincera, la cosa mi rallegrava, e la stessa cosa succedeva ogni volta che vedevo il primo solcare il cielo e tenere lo sguardo fisso sul secondo, che intanto correva e squittiva come divertito. Con il tempo, avevo capito che era tutto un loro modo di giocare, e che gli strilli che il volatile lanciava all’indirizzo del mio piccolo roditore potevano essere paragonati alle urla dei bambini intenti a rincorrersi nel villaggio poco distante dal nostro bosco. Non uscivo quasi mai dalla foresta, eppure a volte ci pensavo, e un sorriso prendeva forma sul mio volto. Pallido eppur fiero, il sole splendeva ancora, e mentre stavo tranquillamente seduta sotto a quell’ormai famosa quercia, Bucky si divertiva a rosicchiare la sua ennesima ghianda, facendo saettare lo sguardo in ogni direzione e scrutando l’orizzonte. Più calma di lui, Lucy mi svolazzava intorno come un’adorabile mosca, e fra un battito delle piccole ali e l’altro, si arrendeva. “Non ce la faccio.” Ripeteva ogni volta che i suoi piedini toccavano un mucchio di foglie preparato da Christopher per pura precauzione. Era piccola, stava ancora imparando, e nessuno di noi due avrebbe mai voluto vederla farsi male. “È tutta la mattina che provi, forse sei stanca. Fa una pausa.” Le consigliai, sorridendole debolmente. Annuendo, la fatina mi si sedette accanto, e poco dopo, il suo sguardo si posò su Midnight. Il nero non era certo il suo colore preferito, e a giudicare dal suo vestitino, preferiva il viola, ma nonostante questo, la vista di quel volatile la sbalordiva. Aveva soltanto sei anni, e avendo provato sensazioni identiche alla sua età, molto prima di conoscere il mio elemento, non mi azzardavo a biasimarla. “Posso toccarlo?” mi chiese con voce flebile, puntando il dito nella sua direzione. “Meglio di no, piccola. A Sky non piace che qualcuno disturbi il suo merlo.” Spiegai, sicura che quell’infantile desiderio avrebbe spezzato la quiete che il volatile si godeva dall’alto del suo nido. “È suo? Va bene, non lo tocco. Dov’è Bucky?” rispose lei, spostando l’attenzione dal merlo al dolce scoiattolo con cui aveva fatto amicizia. Non avendo la più pallida idea di dove fosse, mi guardai intorno, scoprendo solo allora che era sceso dal suo albero dopo aver mangiato, e che ora riposava tranquillo sul mucchio di foglie dove la bimba era atterrata. “Dorme, lasciamolo riposare, d’accordo?” dissi a quel punto, nonostante rovinare la sua felicità fosse sempre stato l’ultimo dei miei desideri. “D’accordo.” Mi fece eco lei, abbassando lo sguardo e stringendosi le ginocchia al petto. A quella vista, fui mossa a compassione, e provando istintivamente pena per lei, mi avvicinai. Nel farlo, le scostai una ciocca di capelli dal viso, avendo quindi modo di notare che aveva gli occhi rossi e stava per iniziare a piangere. “Lucy! Tesoro, che succede?” chiesi, coinvolgendo mutamente anche Christopher. Rispondendo a quella sorta di richiamo, anche lui le fu accanto, e solo allora, la piccola prese a sfogarsi. “Mi manca la mamma, non volo perché mi manca la mamma.” Disse, dando inizio ad un triste lamento che non interruppi ma cercai di ascoltare. In quel momento, avrei voluto agire, ma pensando, compresi che sentire le sue ragioni era la mossa migliore. “Che vuoi dire?” le chiese Christopher, leggendomi nella mente e riuscendo in qualche modo a precedermi. “Mamma dice sempre che dobbiamo restare unite, ma mi sono persa, e ora non trovo né lei né Lune.” Rispose la bimba, mentre le lacrime le rigavano il volto e il suo viso si arrossava sempre di più. A quell’ultima parola, mi bloccai. Di chi stava parlando? Ricordava forse una delle altre fatine che erano con lei? Si riferiva forse ad un’amica? Non potevo saperlo, e volendo solo vederci chiaro, glielo chiesi. “Lune?” azzardai, facendole eco e sperando di non intristirla ancora. “La mia sorellina.” Disse soltanto, per poi fissare lo sguardo sul terreno e rifiutare di guardarci. Senza dire una parola, ascoltai la sua risposta, e quella sua rivelazione mi colpì come nulla al mondo, forse anche di più del giorno in cui scoprii le mie vere origini. “Mi dispiace tanto, io non lo sapevo! Mi perdoni, piccolina?” pregai, porgendole le mie sincere scuse e aspettando che si calmasse. Avvicinandosi, Christopher mi passò un fazzoletto, ed io glielo diedi, così che finalmente potesse asciugarsi le lacrime e impedire che le bagnassero ancora il viso. “Sì, in fondo non è colpa tua. Voglio solo rivederla.” Disse poco dopo, esprimendo con quelle ultime parole un desiderio che io non le avrei certo negato. Mantenendo il silenzio, mi feci ancora più vicina, e accarezzandole la guancia arrossata, lasciai che si stringesse a me. Intanto, Bucky si era svegliato, e dopo il mattino, era arrivato il pomeriggio. Con la sua solita agilità, si accucciò sul grembo della bambina per farsi accarezzare, formando un perfetto cerchio sul suo vestito color prugna. Sorridendo, la piccola gli sfiorò il pelo con le dita, e quando finalmente si calmò, mi alzai da terra, seguendo Christopher fino al lago. Dandomi la mano, si fermò a scrutare l’orizzonte, e lanciando un sasso, restò a guardare quello specchio d’acqua rompersi come vetro. Con il pensiero fisso su  Lucy, non dissi nulla, ma per qualche strana ragione, il tocco della sua mano sulla mia mi provocò uno strano dolore. Pur senza spostarla, strinsi i denti e chiusi gli occhi, e per pura sfortuna, lui parve notarlo. “S-Scusami.” Biascicò, improvvisamente imbarazzato. “No, non fa niente.” Fui veloce a rispondere, sicura che probabilmente avesse solo esercitato una presa troppo forte. Sollevato dalle mie parole, Christopher sorrise, e restando fermo a contemplare l’orizzonte e non più il mio viso, alzò per un attimo lo sguardo verso il cielo. Uno stormo di uccelli volava alto, e oltre a loro, noi eravamo le uniche anime presenti. “Sei stata buona con lei.” Disse poi, riferendosi al comportamento che avevo mostrato nei confronti di Lucy. “Grazie.” Soffiai, sentendo un lieve rossore imporporarmi le guance. “Dico sul serio, starà bene con te.” Continuò, sicuro di sé stesso e del suo pensiero. “Anche tu hai fatto la tua parte.” Gli feci notare, voltandomi per un attimo verso la bambina, che giocando, ora era tornata ad esercitarsi sul volo. “Tu hai fatto molto di più, Kaleia.” Replicò lui, affatto convinto di aver avuto un ruolo in quella situazione. In quel preciso istante, e senza rendermene conto, risi. Per qualche strana ragione, la sua caparbietà mi divertiva, e fra una risata e l’altra, non lo vidi muovere qualche passo verso di me. Sentendosi forse più sicuro, mi prese le mani, e stranamente, non avvertii più quel dolore. Forse la sua stretta era stata davvero troppo forte, e ora tutto era tornato normale. Guardandolo negli occhi verdi come l’erba attorno a noi, mi avvicinai a mia volta, e poco prima che potessi davvero sfiorarlo, una dolce voce chiamò il mio nome. “Kaleia! Guarda! Guarda cosa so fare! Ora ci riesco!” gridava, felice e non più triste come poco prima. Era Lucy, che finalmente tranquilla, volteggiava nel cielo descrivendo cerchi e spirali, lasciandosi dietro scie di sottile polvere magica. Così piccola da risultare quasi invisibile, questa lasciava le sue ali facendole brillare assieme alla luce del sole, e guardandola, fui felice per lei. Soltanto pochi attimi prima non faceva che piangere, e ora rideva, divertita dalle sue stesse capacità. Ore dopo, con l’arrivo della notte, tornò a riposare fra le foglie, e prima che potessi ritirarmi in casa con Sky, la bimba tirò leggermente un lembo della mia veste. “Kaleia, stasera… posso dormire con te?” riuscendo a sciogliermi il cuore con quella semplice richiesta. “Certo, vieni.” Risposi, tendendole la mano e permettendole di accomodarsi sulle mie ginocchia. Annuendo, la piccola obbedì, e scalciando leggermente, andò alla ricerca di una posizione comoda. Assumendo quella fetale, posò la testolina sul mio petto, e sentendo il cuore battere con più forza, la guardai. Era ancora piccola, e proprio come me, in qualche modo era anche sola al mondo. Certo, avevo Sky al mio fianco, e lo stesso valeva per Eliza, nostra madre adottiva, ma lo stesso discorso non era applicabile ai nostri veri genitori, che avevo visto per un solo attimo, in un breve scorcio della mia stessa memoria, grazie alla rivelazione di quella che entrambe conoscevamo come signora Vaughn. Ero ancora giovane, e forse era presto per dirlo, ma più la guardavo, e più desideravo stringere fra le braccia un tenero scricciolo come lei, che fosse mio da amare e crescere nonostante il mio vero essere, i sentimenti che iniziavo a provare e mille altre difficoltà che vi sentivo legate. Quando finalmente si addormentò, scivolai nel sonno anch’io, pensando solo alla gioia e non più alla avversità.

 

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Capitolo 14
*** Le viole del pensiero ***


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Capitolo XIV

Le viole del pensiero

Dopo altre tre settimane, un mese intero era scomparso, e di nuovo sdraiata fra erba e fiori, con mille odori a entrarmi nel naso e altrettanti steli ad accarezzarmi la pelle, pensavo. Ormai erano passati ben trenta giorni, e pur potendo distrarmi e godere della compagnia di Sky, Christopher e Bucky, un singolo pensiero si rifiutava di abbandonare la mia mente e lasciarmi in pace. Lucy. L’avevo trovata nel bosco per puro caso, e ora stava con me. Ad essere sincera, ero felice di averla incontrata, anche se casualmente. Io non avevo mai conosciuto i miei veri genitori, ma lei era stata separata dai suoi, e nonostante potesse sembrare una follia, volevo aiutarla. C’era  solo un problema. Non sapevo come muovermi. Pensandoci, osservavo il lento moto dell’acqua silente, imitando senza volerlo i comportamenti di Christopher. Più di una volta l’avevo visto lanciare sassi nel lago, specialmente quando sentiva di dover prendere una decisione importante, e malgrado non facessi la stessa cosa, preservando la purezza dell’acqua e limitandomi a muoverne alcuni tramite la magia, cercavo di rilassarmi. Ero sola, e con i soli suoni della natura come miei compagni, mi voltai. Fu quindi questione di un attimo, e i miei occhi incontrarono i suoi. Verdi come l’erba che avevo intorno, riuscivano sempre ad attrarmi, e non persero quel potere nel momento in cui mi accorsi di un particolare. Christopher stava vicino a Lucy, e giocando, le teneva compagnia. Ridendo, la guardava volare, e prendendola in braccio, le faceva fare mille giravolte su sé stessa. Divertita, la piccola non faceva che ridere, arrivando vicina smettere di respirare. Era bello vederli insieme, sentire le loro risate in lontananza e vedere il sorriso della piccola Lucy. Aveva appena sei anni, ed essendosi persa da poco, ero certa che avesse già vissuto momenti del genere, ma anche sicura che vivere una sorta di deja vu di questo calibro non le avrebbe fatto del male. Lentamente, il tempo passava, e di attimo in attimo, notavo che la fatina sembrava emettere una luce tutta sua. Seppur lontana, riuscivo a vederla chiaramente. Era color dell’oro, e la faceva sembrare più bella, dolce e tenera di quanto già non fosse. A quella sola vista, sorrisi, e sollevando una mano, cercai di salutarli. Da tutt’altra parte del bosco, non riuscirono a vedermi, e muovendo qualche incerto passo verso di loro, vidi la bambina sussurrare qualcosa all’orecchio  di Christopher. Lasciandola andare, lui le sorrise, per poi scivolare nel silenzio e guardarla dirigersi verso uno specifico punto dell’immensa macchia di verde che ci circondava. Accucciandosi fra i fili d’erba per qualche attimo, strappò alcuni fiori dal loro letto di terra, e spostando lo sguardo dal terreno al mio viso, mi chiamò per nome. Rispondendo a quella sorta di richiamo, fissai i suoi occhi marroni, vedendola corrermi incontro. Ferma e immobile come una statua, attesi che fosse abbastanza vicina, poi l’abbracciai. La tenni stretta a me solo per qualche secondo, e quando il nostro abbraccio si sciolse come neve al sole, lei mi mostrò il mazzo di fiori che aveva colto. Erano viole, dello stesso colore del suo vestitino. “Lucy, tesoro… grazie.” Biascicai, lasciandomi vincere dalle emozioni e stringendo i gambi fra le dita. Appena un attimo dopo, chiusi gli occhi e li annusai, inalandone il dolce profumo. “Ti piacciono? Sono per te.” Mi disse, incrociando i piedini nell’azzardare quella domanda. “Certo che mi piacciono, ma… perché me li hai presi?” risposi, sorpresa da quel gesto e spinta da una genuina curiosità. “Perché i fiori sono un simbolo di amicizia, e tu sei mia amica. Ti voglio bene, sai?” replicò la piccola, mentre la fioca luce che emetteva cambiava colore, passando dall’oro al rosso acceso. A quanto sembrava, provava vergogna nel confessarmi quella piccola verità, ma stringendo ancora i fiori, provai a rassicurarla. Con un solo gesto della mano libera, la invitai ad avvicinarsi, e non appena ci abbracciammo ancora, le rigirai quella che per lei era stata una difficile confessione. “Ti voglio bene anch’io, Lucy.” Dissi soltanto, per poi sfiorarle la guancia con le labbra e lasciare che si allontanasse per tornare a giocare. Sempre vispo e attento, Bucky la osservava dall’alto della sua quercia, scendendone con un solo balzo e offrendosi come compagno di giochi. Quasi inciampando in una buca mal coperta dall’erba, la bimba perse l’equilibrio, ma nonostante tutto si rialzò, pronta all’ennesimo inseguimento o ad una nuova partita di nascondino. Quelli erano solo due dei loro passatempi preferiti, e quando sceglievano il secondo, si poteva dire che Bucky giocasse in casa. Lucy era tanto piccola quanto scaltra, ma lui lo era ancora di più, tanto da risultare introvabile perfino per me. Mantenendo il silenzio, pensai alle mille e mille volte in cui credevo di averlo perso, salvo poi ritrovarlo in quel solito tronco cavo che era la sua tana prima dell’attuale quercia. Non avendo ancora incontrato Midnight e formato un legame con un animale, Sky mi prendeva in giro, e a quel solo ricordo, risi. A volte, perdermi nei ricordi equivaleva per me a trovare un rifugio, stare tranquilla e riuscire a riflettere su me stessa. Lenta e inesorabile, la notte stava per scendere, e assieme al buio, la luna e le sue compagne stelle. L’aria e il vasto cielo non erano il mio elemento, ma ad essere sincera, la notte mi piaceva molto. Era sempre calma e silenziosa, e oltre che buia, anche piena di mistero. La quiete era spesso disturbata dal sibilare del vento o dal bubolare dei gufi, ma la cosa non mi toccava minimamente. Alzando lo sguardo, mirai il cielo per un attimo, e alla vista della potente regina del cielo, compresi che era troppo tardi per restare fuori casa. Così, salutai Lucy con un cenno della mano, e non cedendo alle sue richieste di giocare ancora con me solo per non vedermi andar via, raggiunsi a passi lenti la porta di casa. Decisa, afferrai la maniglia, e proprio in quel momento, la mia mano tremò. Non era mai successo prima, e protetto dal velo dell’oscurità, qualcuno rimaneva in piedi alle mie spalle. “Christopher, sei.. sei tu?” azzardai, incerta e improvvisamente spaventata. Per tutta risposta, la figura annuì, e avvicinandosi, mi prese la mano. “Devi vedere una cosa.” Mi disse, guidandomi nel buio e prestando attenzione ai suoi passi e ai miei finchè non arrivammo in un luogo a me sconosciuto. Una radura in cui non ero mai stata, e un’altura dalla cui sommità poteva scorgersi il villaggio degli umani a noi fedeli, da quell’altezza piccoli come nere e operose formiche. Divertita da quella vista, mi lasciai sfuggire una piccola risata, e Christopher parve notarlo, ma qualcosa mi diceva che no, non aveva finito. “Guarda.” Disse infatti, puntando il dito davanti a sé. Obbedendo, seguii la sua indicazione, e sedendomi in terra a gambe incrociate, lo vidi imitarmi. Di lì a poco, non vidi che mille piccole luci. Stavolta non si trattava di fate, pixie o esseri a noi simili, ma di semplici lucciole. A quanto sembrava, gli umani avevano questa specie di tradizione, e quella era la sera in cui la celebravano per mantenerla viva. Splendendo come piccoli astri, gli insetti si muovevano a ritmo gli uni con gli altri, formando cerchi e figure nella notte. Ero attonita. Non avevo mai visto qualcosa di simile prima d’ora, ed ero felice che fosse successo. Incantata, non riuscivo a staccare gli occhi da quello spettacolo, e nel silenzio, non mi resi conto che la mano di Christopher aveva sovrastato la mia. In quel momento, la mano mi bruciava e faceva male, ma ero troppo emozionata per pensarci. Per qualche strana ragione, anche il mio segno doleva ed emetteva una stranissima luce, ma distogliendo lo sguardo, scelsi di non badarci. Per pura sfortuna, il mio stratagemma parve non funzionare, e nell’istante in cui spostai la mano, anche Christopher si ritrasse. Dal mio canto, avevo il cuore a mille, e la causa delle mie emozioni non era da imputarsi allo spettacolo naturale che avevo davanti ai miei occhi, ma proprio a  lui, a quel ragazzo che avevo conosciuto per caso, e che fino a quel momento mi aveva guidata nella scoperta dei miei poteri. Guardandomi, non diceva una parola, e proprio come lui, avevo la lingua impastata. Avrei voluto calmarmi, ma il mio cuore si rifiutava di obbedire. Non sapendo cosa fare, sussurrai il suo nome, e in quel preciso istante, lui fece lo stesso con me. “Christopher.” “Kaleia.” Due nomi che ripetemmo all’unisono come gemelli, e che appena  un attimo dopo, mi fecero tossire, profondamente imbarazzata. In quel preciso istante, lui mi sorrise, e sciogliendomi come candida neve al caldo sole, non vidi più nulla, dimenticando tutto. Niente più luci, niente più piccoli insetti, nulla. Solo il battito del mio cuore e le mie labbra incollate alle sue per un tempo che non riuscimmo a definire, e allo scadere del quale, ci rialzammo da terra. Mi riaccompagnò a casa con il favore del suo orientamento nonostante l’oscurità che ci avvolgeva, e quando finalmente riuscii a calmarmi, non dimenticai di mettere i fiori ricevuti da Lucy in un vaso d’acqua fresca, così che il tempo non avrebbe permesso loro di appassire, o almeno non subito, come invece accadeva alle piante brutalmente strappate al loro nido di nuda terra e forti radici. Poco prima di dormire, tenni accesa una luce sul mio comodino, e osservandole meglio, capii che erano viole del pensiero. Non ero un’esperta di botanica, ma sapevo che il vero significato di quei fiori era incerto. Alcuni, come ad esempio la piccola Lucy, dicevano che erano un simbolo di amicizia, mentre altri, stando a semplici voci che avevo sentito circolare, fosse collegato in qualche modo all’amore. Non lo sapevo, né ne avevo la certezza, ma ad ogni modo, sdraiandomi finalmente sotto a una coperta, mi addormentai pensando all’importanza dei legami che avevo creato attorno a me, tutti forse spiegati da bianche lanterne di novità e aulenti fiori conosciuti proprio come viole del pensiero.

 

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Capitolo 15
*** Vicini e lontani ***


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Capitolo XV

Vicini e lontani

Due giorni. Quarantotto ore e aveva ricominciato a piovere. Si trattava di semplice acqua, che contrariamente a tutte le altre volte, non aveva nulla di rinvigorente. In genere, le piante non facevano che gioire della sua presenza, che giungendo dal cielo arrivava fino alla terra, ma ora questo sembrava non accadere. Difatti, ora non era più leggera come una piuma, ma pesante come un macigno, e cadeva abbattendosi sul suolo con velocità inaudita. Chiusa in casa, guardavo fuori dalla finestra, posando la mano sul vetro e sentendolo tremare. Al sicuro come me, Bucky aveva cercato rifugio nel suo solito tronco cavo, e Midnight era appostato nel suo nido, mentre Lucy era entrata in casa con me. “Credi che pioverà ancora? Così non vedrai il signor Christopher!” mi chiese, per poi alzare la voce e lamentarsi sapendo che non avrei potuto incontrare quell’ora così sfuggente ragazzo. “In parte è meglio, non voglio vedere nessuno.” Risposi, non voltandomi a guardarla e tenendo lo sguardo fisso sul vetro della finestra e sul paesaggio flagellato dalle intemperie. A quelle parole, la piccola sgranò gli occhi, e alzandosi dal mio letto, dove stava seduta a far dondolare le gambe, si fece più vicina. Quando lo fu abbastanza da toccarmi, mi sfiorò la mano. “Ti ha fatto male?” chiese poi, facendo scivolare le dita sul mio segno a forma di foglia. Stranamente, quella domanda mi fece sobbalzare. Aveva appena sei anni, eppure sembrava aver già capito cosa fosse accaduto e come mi sentissi. Non avevo dimenticato ciò che mi aveva chiesto poco dopo il suo ritrovamento nella foresta in quella buia notte, e certamente non l’aveva fatto neanche lei. “Un giorno tu e il signor Christopher sarete come mamma e papà? Innamorati?” queste le parole che aveva pronunciato, avvalendosi di una tenerezza che mi aveva letteralmente disarmata. Sulle prime, non avevo saputo cosa rispondere, scegliendo di rimanere vaga e rifugiarmi nell’incertezza, ma ora, incredibilmente, conoscevo la verità, e lei, senza volerlo, l’aveva scoperta da sola. Io stessa stentavo a crederci, ma dopo lunghi giorni passati al suo fianco ad allenarmi e conoscere la vastità dei miei poteri di fata, avevo finito per scoprire cosa fosse l’amore, e solo grazie a lui. Erano passati soltanto due giorni, e nonostante tutto non pensavo ad altro. Il ricordo del nostro primo e fuggevole bacio nel bel mezzo della notte era ancora impresso nella mia mente, e ormai vi dimorava stabilmente, come un chiodo fisso. Chiudendo gli occhi, cercavo di svuotare la mente, ma era tutto inutile. Pur non volendo, rivedevo ogni volta quella scena come in un film. Il buio, il silenzio, le lucciole e poi noi. Nient’altro. Distraendomi in ogni modo possibile, cercavo di pensare ad altro, ma anche di sera, quel bellissimo ricordo mi seguiva anche in sogno. Anche questo, sempre statico, uguale e perfetto, come le pagine del proprio libro preferito, che anche se riletto più e più volte, suscita nel lettore le stesse e identiche emozioni ogni volta. Era strano a dirsi, ma per me era proprio così. Mi rilassavo al mattino, leggevo nel pomeriggio e mi addormentavo alla sera, e ogni volta che la luna e le stelle prendevano il posto del sole, rieccole. Le sensazioni provate quella notte. Il mio cuore che batteva, il corpo che fremeva non tardando a rispondere, e la morbidezza delle labbra di Christopher sulle mie per quelli che mi apparvero come lunghi e magnifici minuti, sotto a un cielo illuminato dalle lucciole e punteggiato di stelle. Era stato bellissimo, e non potevo né volevo negarlo. Scuotendo la testa, tornai alla realtà, e con la manina di Lucy a sfiorare di nuovo la mia, risposi. “No, tesoro, il… il contrario.” Dissi, balbettando leggermente e tardando a completare quella frase. “Allora lo ami?” continuò, azzardando ancora e sperando di non spingersi troppo oltre. Scivolando nel silenzio, mi lasciai prendere la mano dalle emozioni, e stringendo la sua, posai quella libero sul vetro della finestra. Fuori la pioggia non smetteva di scrosciare, e affidando a quella forte stretta la mia risposta, non riuscii ad impedire che una lacrima mi solcasse il volto. Per quanto ne sapevo, era una semplice goccia d’acqua simile alla pioggia, sfuggita al mio occhio al ricordo di quell’ormai famosa notte. Non vedevo Christopher da allora, e ad essere sincera, speravo davvero che si fermasse a pensare e tornasse indietro. In cuor mio sapevo di amarlo, e avendo paura di azzardare e fare il primo passo, aspettavo. Aprendo la porta di casa, ne uscii senza una parola, e mentre le intemperie non sembravano cessare, piangevo silenziosamente, con gli occhi bagnati e rivolti verso il sentiero che avevamo percorso alla volta di quella radura, non riuscendo a credere a quanto fossimo vicini e al tempo stesso anche lontani.

 

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Capitolo 16
*** Fiducia in sè stessi ***


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Capitolo XVI

Fiducia in sè stessi

Cessata la pioggia, assistevo al ritorno del sole. Svegliandosi dal suo lieto riposo dietro nubi e monti, ora lasciava che i suoi raggi splendessero, asciugando piccole gocce di rugiada, che luccicando sulle foglie di alcune piante, faceva sembrare che piangessero, e che di conseguenza il sole stesso cercasse di confortarle. Ancora in casa, restavo seduta sul letto, e spostando lo sguardo, lo fissai sul vaso contenente le viole di Lucy. Le avevo tenute al sicuro nell’acqua fresca perché non appassissero, e avvicinandomi, ne accarezzai i petali. Pensosa, quasi non notai che la giornata appena iniziata appariva perfetta. Il sole era tornato nel cielo, il caldo era piacevole, ma io non ero felice. Quei due maledetti giorni erano diventati tre. Erano pochi, e lo sapevo bene, ma non importava. Ero troppo triste per provare a sorridere  e pensare con positività, tanto che neanche il solito e buffo comportamento di Bucky riusciva a risollevarmi. Usando i piccoli artigli, non aveva fatto altro che pregarmi di entrare in casa attraverso la mia finestra, e benchè inizialmente non avessi alcuna voglia di vederlo, alla fine cambiai idea, e aprendola, realizzai il suo desiderio. Così, felice come un bambino nel giorno di Natale, saltò giù dal davanzale, e non appena fu a terra, iniziò a correre in cerchio e squittire contento. A quella vista, risi di gusto, e poco dopo, sentii un suono. A quanto sembrava, non ero più sola, e qualcuno stava bussando alla mia porta. Non volendo essere disturbata, l’avevo chiusa a chiave in un impeto di tristezza, e decidendomi a farla girare ancora nella serratura, la riaprii. Una volta fatto, scoprii che si trattava di Sky. “Che ti succede?” chiese, confusa e preoccupata. Conoscendola, sapevo che riusciva ad essere dura come una roccia e morbida come una coperta, e guardandola negli occhi per un solo attimo, fui mutamente felice che quel lato di lei stesse affiorando. Stando ai miei ricordi, aveva iniziato ad abbassare le sue metaforiche armi nel momento in cui Midnight era entrato nella sua vita, standole sempre accanto e permettendole di acquistare maggior sicurezza. Pensandoci, provavo orgoglio per entrambi. Lei era mia sorella, le volevo bene, e nonostante lo stesso Midnight potesse apparire agli occhi di altri come un semplice merlo, per me e lei non era così. Difatti, non era un volatile qualunque, ma le apparteneva ed era sotto la sua responsabilità. A volte, mi fermavo a pensare, e senza un motivo apparente, finivo per sorridere, certa che quella consapevolezza la rendesse più calma di quanto non fosse mai stata. Ad ogni modo, scuotendo la testa tornai ad essere me stessa, e solo allora, decisi di rispondere. Poco prima di farlo, accennai un sorriso, poi finalmente parlai. “Non vedo più Christopher.” Dissi soltanto, per poi scivolare nel silenzio e non poter evitare di pensare a lui. “Cosa? E da quando?” continuò Sky, sorpresa. “Tre giorni.” Risposi, ancora triste e sconsolata. Intanto, accucciato sul mio letto, Bucky aveva presa a sonnecchiare, forse già spompato da tutto quel correre per la stanza. “Assurdo. Eliza lo sa?” chiese a quel punto, sempre più sconvolta. In quel momento, avrei tanto voluto rispondere, ma avevo la bocca secca e la lingua impastata. Non avevo fatto parola della cosa con nessuno, e come solo ora capivo, costituiva un problema. Avrei dovuto farlo, certo, ma come avrei spiegato che il mio allenamento si era interrotto e concluso con un bacio? Non potevo, e pentita, abbassai lo sguardo in segno di profonda vergogna. Di lì a poco, il silenzio riempì la stanza, e mangiando la foglia, Sky mi afferrò il polso. Senza alcuna grazia, mi trascinò fuori casa, andando subito alla ricerca di nostra madre. Pur correndo fra l’erba, non la trovammo da nessuna parte, e quando credemmo di aver perso di vista anche lei, eccola. Seduta sulla riva del lago, faceva compagnia a Lucy tenendola in braccio e spiegandole cosa fossero le vere bellezze della natura, riportando l’esempio dei fiori che mi aveva regalato e di una colorata farfalla impegnata a svolazzarle intorno. Curiosa, ascoltava senza dire una parola e guardandola quasi in adorazione, ma notandomi, la piccola sorrise, e sfuggendo dalle braccia della donna che ancora non conosceva perfettamente, si rifugiò fra le mie. “Kaleia, il signor Christopher è tornato, vero?” mi chiese, tanto incerta quanto triste. A quella domanda, nostra madre scattò sull’attenti, balzando in piedi come una molla. “Aspettate, tornato? Che significa?” quasi urlò, provando spavento e stupore insieme. “Non lo vedo dall’ultima volta che mi ha allenata.” Confessai, liberando grazie alla mia voce una mezza verità. “Hai provato a cercarlo?” indagò poi, calmandosi istantaneamente e attendendo una mia risposta. “No.” Replicai semplicemente, con la mestizia nella voce e nel cuore. “Allora andiamo.” Dichiarò lei, decisa. Annuendo lentamente scelsi di seguirla, e appena pochi attimi dopo, ci ritrovammo nel cuore della foresta. Preoccupata, chiamai il suo nome più e più volte, ma da parte sua nessuna risposta. Ad ogni tentativo, sentivo di avere le lacrime agli occhi. “Perché se n’era andato? Dov’era? E soprattutto, stava bene?” queste le domande che mi ponevo parlando con me stessa, andando alla ricerca delle rispettive risposte nei meandri della mia mente. Pur provandoci, giunsi ad una conclusione. Non ne sapevo nulla, e sembravo essere destinata a rimanerne all’oscuro. Fra un passo e l’altro, sentivo gli steli d’erba piegarsi sotto i miei piedi, e il rumore dei miei passi non mi disturbava affatto. Inizialmente non avevo voluto crederci, ma solo ora scoprivo che la situazione era critica, e se lo era per mia madre e mia sorella, lo era ancora di più per me. Battendo, il mio cuore mi parlava, e dando mutamente ragione a Lucy, decisi finalmente di dargli ascolto. Gli attimi scorrevano trasformandosi in minuti, e quando anche i minuti cessarono d’esistere diventando ore, il buio si preparò a calare, soppiantando la luce del giorno e facendo scemare le mie speranze di ritrovarlo. Attorno a noi solo il silenzio rotto dal suono dei nostri passi, poi qualcos’altro. Uno squittio a dir poco caratteristico, che avrei riconosciuto fra mille. Bucky. In ansia e pena per me in quanto sua padrona, mi aveva seguita, e continuando a squittire disperato, sperava che mi fermassi per permettergli di raggiungermi. Arrestando il mio cammino, gli mostrai la mano aperta,e  lasciando che si avvicinasse, lo sollevai da terra. Finalmente tranquillo, il piccolo smise di lamentarsi, e non appena le nostre ricerche ripresero, sentii una strana stretta al cuore. Le mie emozioni parlavano chiaro, e ad essere sincera, non sapevo cos’avrei fatto se non fossi riuscita a ritrovarlo. Lento e inesorabile, il tempo scorreva, e quando la luce solare scomparve, mi fermai. Non ero stanca, bensì emotivamente a pezzi. Senza più muovere un passo, fissai lo sguardo su un punto all’orizzonte, e nella boscaglia, non vidi niente. Il nulla più totale. Sospirando mestamente, feci per sedermi ai piedi di un grosso albero lì vicino, ma Sky mi fermò. “Che fai? Ti arrendi? Non l’hai fatto per me, e non lo farai di certo per lui.” Mi disse, tentando di spronarmi a continuare. “Ma non hai visto? È sparito mi ha abbandonata, non lo troveremo mai!” piagnucolai in risposta, completamente priva di fede e forza di volontà. “Ti sbagli, lui ti ama. Ti ama! Non è cattivo!” continuò un’altra voce al mio fianco, che per un attimo non riconobbi ma scoprii essere quella di Lucy. Sì, Lucy. Una semplice e piccola pixie, estremamente dolce, sensibile e matura per la sua età. Sempre al mio fianco, aveva avuto modo di conoscere Christopher personalmente fra un gioco e l’altro, ma tenera o meno, ora aveva ragione. Sentendomi pervasa da una forza che non credevo di possedere, afferrai la mano di Sky per rialzarmi da terra, con la bambina accanto e Bucky sempre al sicuro sulla mia spalla. In quanto fido alleato di Sky, Midnight perlustrava i cieli, e nonostante le nostre ricerche sembrassero infruttuose, io non volevo arrendermi, non ora che avevamo iniziato. Ormai si era fatto buio, ma ciò non significava che potessi né volessi riposare. Lentamente, il mio cammino si era trasformato in una corsa, ed era come se improvvisamente sapessi dove andare. Lentamente, il tempo continuò a scorrere, e all’improvviso, nel buio, sentii qualcosa. Un verso a me non nuovo, e simile al latrato delle bestie che gli umani tenevano come compagni, guardie o cacciatori. Aguzzando la vista, mi resi conto di non avere davanti un cane, ma una volpe. Un giovane esemplare maschio, dal pelo rossiccio e con le zampe nere. Correndo trafelato, mi si avvicinò, e annusando alternativamente l’aria e il terreno, guaiva come spaventato. Muovendo qualche passo nella sua direzione, mi inginocchiai per calmarlo, e fu allora che lo vidi. Aveva qualcosa in bocca, e notando il palmo della mia mano aperta, l’aprì, rivelando un biglietto che dispiegai senza esitare. “Mi dispiace, Kaleia, perdonami.” Diceva, riassumendo in quattro sole parole un grande, grandissimo dolore. Stringendo in mano quel pezzo di carta, sentii di avere le lacrime agli occhi, e asciugandoli, mi imposi di riprendermi. Quando ci riuscii, sentii di nuovo quella sorta di latrato, vedendo quel selvaggio animale guardare sia me che il sentiero che avevamo di fronte, come per invitarmi a seguirlo. Annuendo, scelsi di camminare al suo fianco, seguendo i suoi movimenti e le impronte che lasciava. Veloce, la volpe si muoveva senza sosta, e dopo vari minuti passati a correre, si fermò. Confusa, spostai lo sguardo dal suo muso all’oscuro orizzonte, e in quel momento, le lacrime ruppero gli argini dei miei occhi, iniziando a sgorgare e fuggirne senza alcun controllo. Felice come mai ero stata, corsi senza una meta apparente, scorgendo finalmente il mio vero obiettivo. Christopher. Non sapevo perché fosse scappato da me, ma qualunque fosse, la vera ragione aveva perso d’importanza. L’avevo ritrovato, e ora quella era l’unica cosa a contare davvero. Abbandonandomi fra le sue braccia, scoppiai in un pianto dirotto, e accarezzandomi i capelli come se fossi stata una cucciola, lui fu in grado di calmarmi. “Perché, Christopher? Perché l’hai fatto? Dimmelo!” pregai fra le lacrime, tremando come la foglia che sembravo aver tatuata sul polso. “Ho sbagliato, Kaleia. Non avrei voluto, ma ho sbagliato. Mi dispiace, tesoro, davvero.” Rispose, scusandosi con il cuore e sperando nel mio perdono. “Cosa… cos’hai detto?” biascicai, confusa e sorpresa da quella dolce parola. Non degnandomi di una risposta, Christopher mi coprì le labbra con le sue, dando inizio ad un bacio che non rifiutai ma assaporai interamente, beandomi della sua dolcezza e di ogni attimo che mi tenne legata a lui. “Ti ho chiamata tesoro, perchè questo è quello che sei. “Ti amo, e non m’importa cosa ne pensano gli altri.” Rispose poi, non appena ci staccammo. “Gli altri?” azzardai, confusa. “Te lo spiegherò più avanti, per ora sono solo felice che Red ti abbia portata da me.” Disse soltanto, ignorando i miei dubbi e stringendomi in un delicato abbraccio che trovai il posto perfetto in cui abitare. In quel momento, il tempo che tanto avevo odiato aveva smesso di scorrere, e la presenza dei miei compagni di viaggio non vantava più la sua importanza. Ci avevano visti baciarci, ma data la situazione, non volli pensarci. Ero giovane, felice e innamorata, e ora che Christopher ed io eravamo di nuovo insieme, potevo finalmente dirmi tranquilla e non più sola. Ci amavamo, e ora sapevo che entrambi potevamo fidarci l’uno dell’altra, e avere in questo metaforico viaggio alla scoperta dell’ancora ignoto mondo della magia, quella che esseri umani e magici chiamavano fiducia in sé stessi.

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Capitolo 17
*** Verde di calma e speranza ***


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Capitolo XVII

Verde di calma e speranza

Il tempo scorreva come l’acqua del piccolo lago in cui ero abituata a specchiarmi, e con il caldo che aveva smesso di tediarci, permettendo ad una fresca brezza di spirare fra gli alberi, sedevo tranquilla. Christopher era tornato, eravamo insieme, e cosa più importante, aveva promesso di non lasciarmi mai più. L’aveva fatto nel giorno della nostra riunione pochi giorni prima, e da allora, non facevo altro che pensarci. Ora come ora, il vento soffia, e lui mi tiene la mano. Attento, fa sempre in modo di non sfiorare il  mio marchio, o come preferisce chiamarlo, segno. Durante la sua assenza dal bosco, aveva intervallato ai miei pianti e al mio dolore alcune caute ricerche su me stessa, tutte fatte tramite uno strano libro trovato per caso nel piccolo scaffale di legno posto nel salotto di casa. Cercando di scacciare il malumore, mi ero seduta a leggere, ed è così che l’avevo scoperto. A quanto sembrava, fra una fata e un protettore non poteva esistere alcun tipo di relazione che andasse oltre quella di un maestro e un’allieva, ma nonostante i neri caratteri impressi in quelle bianche pagine, mi conoscevo, e c’era qualcosa, un sesto senso o una voce nella mia testa, che mi parlava costantemente, ricordandomi di Christopher e dei nostri trascorsi ogni volta che rileggevo quelle parole e cercavo di dimenticarlo. I miei tentativi erano innumerevoli, e come c’era da aspettarsi, vani. Esatto, vani. Mi ero innamorata di lui dopo la notte passata ad ammirare lo spettacolo offerto dalle lucciole, e dopo il bacio che non aveva unito soltanto le nostre labbra, ma anche i nostri cuori. Molti dicono che l’amore si conosca più di una volta nell’arco della vita, ma da semplice ragazza poco più che ventenne, non sono d’accordo. Io amo Christopher, lui ama me, e mentre i minuti si susseguono, scorrendo lenti e sembrando ore, continuo ad essere sicura di me stessa e dei miei sentimenti. Scuotendo la testa, mi libero in fretta dal pensiero di quanto scritto in quel maledetto libro, che non tocco da giorni e del quale evito anche la copertina. È stupido, forse anche folle, ma il nero è un colore che sin da bambina ho sempre odiato, in quanto sempre portatore di malaugurio e cattive notizie. Ad essere sincera, non so come che sia finito fra i miei, ma per ora non importa. Il mattino sta sfumando nel pomeriggio, ed entrambi seduti sulla riva del lago, Christopher ed io abbiamo ancora le mani intrecciate l’una nell’altra. Insieme, come vorrei che fosse in ogni giorno della mia vita con lui. Il sole è ancora alto, e tenendo alto lo sguardo, non vedo Midnight. Come sempre, Bucky mi fa compagnia standomi accanto, ma rendendosi conto della situazione, non osa mettere una zampa in fallo e rovinare il mio momento con il ragazzo che amo. Affamato, sgranocchia la sua solita ghianda, ma sicuro che abbia bisogno di silenzio, mastica lentamente, e non solo per gustarsi al meglio quella piccola delizia. Lo trovo adorabile, e a quel solo pensiero, sorrido. In risposta, Christopher mi stringe la mano, e non appena la sua stretta si fa più forte, il mio cuore perde. Un secondo di esitazione mi impedisce di capire cosa sia successo, e poi, con lo spezzarsi di quella magia, eccolo. Di nuovo quel dolore, che a dirla tutta credevo di aver visto scomparire dopo la nascita del nostro amore. “Christopher…” lo chiamo, volendo solo fargli capire che mi sta facendo male. “Colpa mia, scusa.” È veloce a rispondere, oltre che imbarazzato. Annuendo, lascio cadere l’argomento facendomi più vicina, e ben presto, il mio udito è allietato dal suono della calma e timida acqua che scorre. Poco dopo, il pensiero di Midnight mi torna alla mente. Alcuni attimi scompaiono quindi dalla mia vita, e voltandomi, scopro di non essere l’unica preoccupata per quel volatile dalle piume color catrame. Difatti, anche Sky scruta il cielo, ma di lui neanche l’ombra. Non sappiamo dove sia, né che fine possa aver fatto, e nello spazio di un momento, Sky passa da preoccupata a fiduciosa. “Tornerà.” Dice soltanto, fidandosi di lui come del suo elemento. Sorridendo, spero che abbia ragione. Io e quel merlo non siamo poi così affiatati, certo, ma questo non significa che la sua così improvvisa sparizione non mi preoccupi. Lentamente, il pomeriggio prosegue, e prima che riesca ad accorgermene, sul mio polso spunta un altro segno. È scuro, duole, e in totale onestà, non ho la minima idea di come possa essermelo procurato. Non l’avevo mai visto prima, e scuotendo ancora la testa per tornare alla realtà, lo nascondo. Grazie al cielo, la manica della mia veste è abbastanza lunga, ma nonostante tutto, anche questo mio sforzo si rivela vano. Fa male, e stringendo i denti, attiro senza volerlo l’attenzione di Christopher. “Fammi vedere.” Mi prega, volendo solo esaminare quella ferita nella speranza che non sia grave. Piena di vergogna, minimizzo, ma senza successo. “Kaleia, fammi vedere, sul serio.” Ripete, apparendo ai miei occhi più serio. Arrendendomi, scelgo di annuire, e scoprendo il polso, mostro quel livido. Un’ecchimosi all’apparenza normale, ma che sapevo nascondere origini magiche e forse oscure. A quella vista, Christopher quasi sgrana gli occhi, e appena un attimo dopo, mi lascia la mano. “Red, vieni.” Ordina, chiamando a sé la volpe con il solo uso dello sguardo. Cieco di fronte al suo stesso padrone, l’animale obbedì, e avvicinandosi, annusò la mia ferita, arrivando anche a leccarla. Sorpresa, rabbrividii a quel contatto, sobbalzando quando lo sentii ringhiare. “Che… cosa succede?” biascicai, spaventata da quella reazione. “Sa che non sono stato io.” Rispose subito lui, rassicurandomi. Confusa, lo guardai senza capire, e allontanandosi da noi, la volpe fissò lo sguardo su un punto lontano e reso più oscuro e tetro dalla mancata presenza di luce fra le fronde degli alberi. “Che gli prende?” chiesi, spiazzata e affatto abituata ai suoi comportamenti. Stringendosi nelle spalle, Christopher non seppe cosa dire, e riportandomi alla calma, mi fece avvicinare all’acqua, bagnandomi il polso. “Va meglio ora?” chiese poi, sinceramente preoccupata. Con le guance in fiamme e il cuore in tumulto, mi limitai ad annuire, scoprendo ben presto di essere diventata rossa come il tramonto che intanto ci aveva raggiunti, calando sul bosco e facendo in qualche modo risaltare il colore dei suoi occhi. “S-sì.” Ebbi la sola forza dire, con le gambe che tremavano e quasi mi impedivano di stare in piedi. “Bene.” Rispose soltanto, felice di sapermi tranquilla e al sicuro. Chiudendo gli occhi, non vidi che oscurità attorno a me, e quando li riaprii, mi lasciai in un abbraccio caldo e rassicurante, mio porto sicuro per i giorni a venire. Così, il tempo continuò a muoversi, e quando la luna prese il suo posto nel cielo con l’arrivo della notte, mi addormentai senza volerlo fra le sue braccia, svegliandomi brevemente nel sentire il peso di una coperta e la presenza di un altro piccolo corpo accanto al mio. Aprendo solo un occhio, scoprii che si trattava di Lucy. La giornata mia e di Christopher era stata pressochè priva d’eventi, ma lei aveva passato tutta la mattina a giocare senza fermarsi, coinvolgendo anche Bucky nelle sue avventure di bambina. Conoscendola, sapevo che non andava oltre l’ombra che avevo appena visto, chiamandola semplicemente buio, ma ciò non la fermava dall’esplorare i limiti a lei conosciuti della foresta dove vivevamo. Frattanto, dubbi, dolore e lacrime mi avevano debilitata, e cadendo preda del sonno sotto quella coperta, non desiderai altro che vivere e concentrare il mio pensiero e i miei pensiero su un colore diverso dal cupo nero. Quasi per istinto scelsi il verde, poiché mi ricordava e infondeva al mio giovane animo un misto di calma e speranza.





Buonasera, miei cari lettori. Sono tornata dopo quattro giorni con un nuovo capitolo della prima parte della saga della nostra cara fata Kaleia, e mi duole dirlo, ma probabilmente sarà l'ultimo per un periodo. Forse lo intuite dalla mia età, ma sono una maturanda, e in quanto tale, sento di dover dedicare tempo allo studio, specialmente in quest'ultimo periodo. Farò del mio meglio per continuare ad aggiornare con costanza, e pur non promettendo nulla, vi ringrazio comunque delle vostre recensioni e di tutto il vostro supporto. Significa molto per me, non dimenticatelo, e alla prossima,


Emmastory :)

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Capitolo 18
*** La foresta e la sua quiete ***


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Capitolo XVIII
 
La foresta e la sua quiete
 
Era di nuovo scesa la notte, e approfittando di una breve tregua concessami dal caldo, riposavo. Le coperte quasi non mi servivano più, tanto che le avevo cambiate, adoperandone ora di incredibilmente leggere, morbide sulla pelle e simili a piume. Non dormivo, ma guardando il bianco soffitto della mia camera, riflettevo. Entrando dalla finestra aperta, Bucky aveva scelto di dormirmi accanto, e nonostante le lamentele di mia sorella a riguardo, non avevo fatto altro che ignorarla, lasciandola parlare e discorrere praticamente da sola. In fin dei conti, se a lei era concesso tenere un nero merlo su un trespolo di fianco al suo letto, non vedevo perchè io non potessi tenere un dolce scoiattolo fra le coperte del mio, peraltro mai rovinate da artigli o incidenti di sorta. Ancora sveglia, mi fermai a guardare la luna, che immobile nel cielo, sembrava brillare e sorridere al tempo stesso, arrivando quasi a parlarmi. "Va tutto bene, non preoccuparti." Sembra dire, mentre mi sporgo e siedo per arrivare ad un bicchier d'acqua ancora pieno e posto sul comodino poco distante. Lentamente, ne bevo qualche sorso senza un fiato, e preoccupandosi, il mio piccolo amico mi salta in braccio, squittendo debolmente. "Buono, Bucky, avevo solo sete, ne vuoi anche tu?" lo rassicurai, passandogli le dita sul pelo e azzardando quella domanda. Con un debole squittio, il piccolo roditore parve annuire, e riempiendo alla svelta un piattino lasciato per terra con l'acqua rimasta nel mio bicchiere, lo vidi saltellare per il pavimento della stanza fino ad arrivare a dissetarsi. Guardandolo, nostra madre Eliza non faceva che sorridere, scherzando sulla sua dolcezza e prendendosi bonariamente gioco delle sue ridotte dimensioni. "Dovresti tenerlo in una gabbietta." Diceva, non sapendo di esagerare e sentendosi comunque ben lungi dal darlo. "Stai scherzando? Non è un criceto!" rispondevo ogni volta, fingendo di arrabbiarmi e tenendo un finto broncio solo per pochi secondi, che al loro scadere tornava infatti ad essere un sorriso e poi una fragorosa risata. Allietata e divertita da quei pensieri, sorrisi debolmente, e tenendo lo sguardo fisso sul tappeto della mia stanza, vidi il mio peloso amico zampettarmi incontro, per poi raggiungere le mie coperte e cercare di arrampicarsi, come se stesse scalando un albero o un'alta montagna. Abile com'era, non ci metteva mai molto, ma la stanchezza stava davvero avendo la meglio su di lui, ragion per cui, seppur già di nuovo sdraiata, mi sporsi ancora, pronta ad aiutarlo. Fu quindi questione di un attimo, e non appena si ritrovò di nuovo fra le mie coperte, l'animaletto si sentì davvero in cima al mondo. Ridendo di gusto nel vederlo così felice, non nascosi una piccola risata, e provando a posare la testa sul cuscino, entrai in contatto con qualcosa di piccolo e duro, l'esatto contrario del mio candido guanciale. "Bucky! Dovevi proprio nasconderla qui la tua ghianda?" dissi, rimproverandolo con aria bonaria e abbozzando un ennesimo sorriso prima di accomodarmi sul materasso. Per tutta risposta, il mio amichetto storse il muso da me, e accucciandosi ai piedi del mio letto, portò con sè quella sorta di reliquia, lasciando stavolta dello spazio davanti a sè per poterla custodire. Addormentandomi, ormai stanca di seguire le sue adorabili buffonate e i suoi comici spettacoli, mi ritrovai in una profonda dimensione onirica, non avendo modo di uscire per ore intere. Ad occhi chiusi, non sognai che la foresta, e una sorta di piccola luce intermittente nel suo angolo più buio. Quello stesso sogno mi fece compagnia per tutta la notte, e al risveglio, confusa più che mai, non riuscii a dargli uno straccio di senso. Mascherando la stanchezza con uno sbadiglio, mi strinsi nelle spalle e stiracchiai come una gatta, convincendomi che non fosse stato altro che un sogno e nulla più. Ormai sveglia, mentre il sole regnava nel cielo salutando noi sudditi con la cordialità di un sovrano o un uomo d'altri tempi, mi affrettai a vestirmi, poi corsi fuori, fra la radiosa luce di quell'astro così potente e il rassicurante verde che mi ricordava il mio elemento e il ragazzo che amavo. Camminando fra l'erba, spezzai senza volerlo qualche ramo sotto la suola delle scarpe, ma non badandoci, andai subito alla ricerca di Christopher. Guardandomi attorno, non vidi di lui neanche l'ombra, ma in compenso, sia Red che Lucy entrarono nel mio campo visivo. "Buongiorno, Kaleia!" quasi urlò la piccola, correndomi incontro e rischiando di inciampare nella coperta che ci aveva tenute al caldo alcune notti prima. "Ciao, Lucy! In piedi molto presto, come mai?" azzardai, dando vita a quella semplice domanda e non dimenticando un luminoso sorriso. "Ti ho sentita arrivare, Red si è svegliato subito." Rispose la bambina, con gli occhi che brillavano di felicità mentre mi abbracciava, facendosi più vicina. "Però! Siamo affettuose, oggi, vero, piccina?" chiesi, colpita ma affatto disturbata da quello slancio affettivo. "E non solo lei, amore." Disse una voce alle mie spalle, cogliendomi impreparata. Rispondendo alla sorta di richiamo dettato dall'ultima parola, mi voltai, e non appena vidi Christopher, mi staccai dalla bambina solo per abbandonarmi fra le sue braccia e posare le labbra sulle sue. Non stavamo insieme da molto, ed era vero, ma concedendomi anche meri attimi per pensare, capivo subito di non essermi innamorata solo di lui, ma anche dei suoi comportamenti nei suoi confronti e di ogni sfumatura del suo carattere. Adoravo il modo che aveva di coccolarmi e prendersi cura di me, quasi come se oltre che un'allieva e una fidanzata, fossi anche una bambina, proprio come la stessa Lucy, così imbarazzata da essere costretta a coprirsi gli occhietti con le manine. "Dovete proprio?" azzardò poi, non riuscendo a spiegarsi quel nostro comportamento. "Vedi, piccola, baciarsi è tipico delle persone che si amano, perciò credo di sì. Mi sbaglio, Christopher?" spiegai, per poi sorridere divertita e porre quella semplice domanda al mio fidanzato. "Non ti sbagli, Kaleia. Risponde lui, stando al mio gioco e pronunciando il mio nome, ma non mancando di picchiettarmi il naso con il dito in modo giocoso. Sentendomi tornare bambina, rido per l'ennesima volta, e nel momento in cui le nostre labbra si sfiorano di nuovo, anche Red, intento a osservarci, entrambi, nasconde il muso fra le zampe. Silenziosa, guardavo i nostri amici provare vergogna per noi, e troppo concentrata sullo spettacolo che la natura offriva nella giornata odierna, riempiendo l'aria di profumi e l'erba di colori, non riuscivo a capire il perchè. Lucy era ancora piccola, certo, e forse Red cercava di farci capire che lasciandoci prendere la mano dai sentimenti, esageravamo. Abbassandomi fino a toccarmi i piedi, mi slacciai i sandali fino ad aprirli, e levandoli entrambi con gesti abili e veloci, provai l'improvviso impulso di correre, coinvolgendo anche Christopher nel modo che avevo di divertirmi. Strano e forse infantile, certo, ma pur sempre un divertimento. "Ti prendo!" ripeteva, sicuro di riuscire a raggiungermi. "Non ti credo!" ero svelta a rispondere, accelerando il passo e impedendogli di riuscire nell'impresa. Ben presto, anche Lucy si accodò a noi, e lasciando alla bambina qualche attimo di tempo per recuperare terreno, mi trattenni dal provare a usare la magia, salvo poi scagliarla sulla radice di un albero a me vicino, allungandola finchè non riuscii a far inciampare il mio ragazzo, vedendolo cadere fra l'erba senza un graffio. Difatti, e sorprendentemente fra lacrime di riso, si rialzò quasi subito, spazzolandosi alla meglio i pantaloni per ripulirli dai fili d'erba rimasti appiccicati. Una volta in piedi, mi prese la mano, stringendola con delicatezza e amore insieme. A quel semplice tocco, finii per avvampare, e guardandolo negli occhi, ebbi la gioia e la fortuna di vederlo sorridere. "Ti sei fatto male?" non potei evitare di chiedere, preoccupata. "No, sto bene, tranquilla." Mi rispose, avvicinandosi e stringendomi a sè per rassicurarmi. Lasciandolo fare, mi sentii la benvenuta in quell'abbraccio, e sentendolo accarezzarmi la schiena, provai una già conosciuta sensazione di pace. Era strano a dirsi, ma Christopher era fatto così, e malgrado fosse un umano, aveva sempre questa sorta di potere su di me. Fra le sue braccia mi sentivo al sicuro, e a volte la sua sola presenza mi faceva da scudo nei momenti in cui le mie giovnani membra erano piene di dubbi. Mi aveva insegnato a usare e controllare i miei poteri sin dall'inizio, e sapere che mi amava era una grande, grandissima rassicurazione. Lucy non era nostra figlia, ma insieme, giocavamo sempre con lei, tenendole compagnia quando si sentiva sola, e mentre Bucky e Red facevano lo stesso e il tempo scorreva, non riuscivo a smettere di pensare a una cosa. Sin da quando l'avevo conosciuta, era sempre stato bello averla intorno, vederla felice e sentire la sua dolce e gioiosa risata mentre correva nel bosco e viveva le mille avventure che la sua giovanissima mente le permetteva di immaginare. Il tempo scorreva lento come al solito, e quando ero sola, seduta nella mia stanza o nel salotto di casa, lasciavo che il mio sguardo si posasse sui fiori che lei stessa mi aveva regalato, e appena attimi dopo, dedicavo minuti, se non ore intere, a riflettere su una questione tanto importante quanto delicata. Stavamo insieme da poco, e Christopher non ne aveva idea, ma le mie erano già chiare, e un giorno avrei voluto provare la gioia di diventare madre. Il solo pensiero mi riempiva gli occhi di stelle, e quasi piangendo, affidavo alla mia fantasia un ancora lontano avvenire, che un giorno avrei visto dispiegarsi di fronte a me come un amichevole biglietto o un'antica pergamena. In quanto ancora giovane, sapevo poco o nulla del mio futuro, ma quella semplice consapevolezza mi dava la forza di continuare, così da vedere un giorno i miei sogni realizzarsi. Dopo il mio giocare infantile, il mattino si era trasformato in pomeriggio, e attendendo la notte e le novità che portava assieme a mille consigli, restavo calma e tranquilla, godendomi la foresta e la sua quiete.   

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Capitolo 19
*** Rapporti d'amore e amicizia ***


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Capitolo XIX
 
Rapporti d'amore e amicizia
 
Pieno tramonto, sguardo fermo e calma piatta. L'imbrunire era arrivato, e la sera si stava avvicinando. Come se certi gesti facessero parte di un vecchio e dimenticato rituale, sedevo con Christopher sulla riva dell'ormai famoso laghetto nel nostro bosco, con i simpatici Red e Bucky a farci compagnia. La luce solare era meno forte, ma nonostante tutto non era ancora buio, e come noi, Lucy non dormiva. Sdraiata fra l'erba, guardava il cielo farsi sempre più scuro, e indicando un punto imprecisato, in cui una grigia nuvola di passaggio sembrava salutarla, sospirò, serena. Distraendomi per un attimo, guardai in quella direzione, scoprendo che quella nuvola recava in qualche modo l'immagine di una fatina piccola quanto lei. Divertita da quella sola vista, sorrisi, e tornando a guardare Christopher, lasciai che posasse le sue labbra sulle mie. Ai due animali il nostro amore quasi non importava, e ora la bambina non stava guardando, ragion per cui, abbandonando l'insicurezza nel gentil vento che soffiava, e le mie mani in quelle di lui, lo lasciai fare senza esitazione, godendomi il calore dell'abbraccio in cui mi strinse durante quel dolce contatto. Non appena ci staccammo, mi persi nei suoi occhi, e stringendogli ancora la mano, fui felice di sapere che in tutto quel tempo non era mai stato la causa del dolore che provavo. Quell'unico e piccolo livido albergava ancora sul mio polso proprio come il mio segno, e malgrado non avessi la minima idea di cosa lo causasse veramente, almeno ora potevo escludere Christopher da un'ipotetica lista di sospettati. Ad essere sincera, avrei preferito che la nuvola osservata da Lucy fosse bianca e non grigia, ma a quanto sembrava, questo non poteva accadere, almeno non ora che la luce era scomparsa. "Kaleia?" mi chiamò lui, ridestandomi dalla profondità dei miei pensieri. "Sì?" risposi, scuotendo la testa e tornando alla realtà. "Guarda." Mi pregò, tenendo bassa la voce e lieve la presa sulla mia mano. Seguendo il suo sguardo, finii per posarlo su Lucy, placidamente addormentata fra mille fili d'erba. Lentamente, Red si avvicinò a lei, e sdraiandosi al suo fianco, si assicurò che non prendesse freddo. A quella vista, una singola lacrima mi rigò il volto, e notando la mia tristezza, Christopher reagì subito, asciugandola con il pollice. "Tesoro... sta bene, non preoccuparti." Disse poi, abbracciandomi ancora e aiutandomi ad alzarmi. Annuendo lentamente, afferrai la sua mano, e rimettendomi in piedi, decisi che era ora di andare. Non era ancora notte, ma data l'assenza di luce, anche il calore del sole era scomparso. Iniziavo ad avere freddo, e sempre tenendomi la mano, Christopher iniziò a camminare al mio fianco. "Vai via?" chiese, evidentemente triste a quella sola idea. "Devo, ma esiste domani." Risposi, sorridendo debolmente e avendo cura di rassicurarlo. "Non è vero, non lo sai." Replicò lui, ai miei occhi inspiegabilmente enigmatico. Non sapendo cosa dire, mi bloccai, e guardandolo, trovai di nuovo rifugio fra le sue braccia. Aveva ragione. Tendevo sempre ad essere ottimista, ma aveva ragione. Fino ad ora, nella foresta tutto pareva andar bene, ma ricordando la presenza nel mondo degli umani di mortali non convinti della nostra esistenza, la mia luce avrebbe potuto spegnersi, e allora non ci saremmo più rivisti. Giovane com'ero, non osavo pensarci, e mentre il tempo scorreva, presi la mia decisione. "Se... se vuoi... puoi farmi compagnia." Azzardai, provando vergogna e imbarazzo insieme, ma sentendo il mio cuore battere per lui. Volendo essere sincera con me stessa, non so perchè avanzai quella proposta, forse ricordando il singolo incubo avuto ormai tempo addietro, o forse a causa della consapevolezza che mi aveva appena instillato, ma una cosa era certa. Non volevo perderlo, nè ora nè mai. "Certo." Rispose soltanto, sorridendomi e attirandomi a sè per un altro bacio, preludio del mio ritorno a casa. Sorridendo felice, mi preparai a varcare la soglia di casa con lui, e poco prima di farlo, sentii il debole uggiolio di Red. Voltandomi verso di lui, vidi che Lucy si stava svegliando, e notandola strofinarsi un occhietto con il pugno chiuso, non mossi foglia. "Non mi lasci da sola, vero?" piagnucolò, non avendo alcuna intenzione di restare fuori al freddo. "Cosa? Lucy, no! Vieni qui!" fui svelta a rispondere, restando a guardarla corrermi incontro e accogliendola fra le mie braccia. "Grazie." Continuò poi, in un dolce sussurro che mi sciolse il cuore. Lasciandomi stringere, l'accolsi in casa, seguita dal piccolo Bucky, che nel tempo era diventato l'animaletto di entrambe. Contrariamente a lui, Red decise di restare fuori, evidentemente abituato alla natura e non alle mura di una casa. Senza dire nulla, annuii mostrandogli un sorriso, e quasi vedendolo reciprocare, richiusi la porta. Una volta fatto, guardai fuori dalla finestra, notando che ormai la notte era scesa. Per tutti e tre era ora di dormire, e sdraiandomi fra le coperte, lasciai che la piccola Lucy si sdraiasse con me, mentre Christopher parve accontentarsi di una branda preparata sul momento. Quasi non notandoci, Sky non disse nulla, addormentandosi nell'esatto istante in cui la sua testa incontrò il suo bianco e morbido guanciale. Lasciando accesa la mia lampada, liberai uno sbadiglio, e chiudendo gli occhi, inspirai a fondo. Quella notte, mi sentii tranquilla, calma e circondata dalla forza di rapporti d'amore e amicizia. La dolcezza di una bambina, gli squittii e i versetti di un tenero scoiattolo e il grande amore del ragazzo di cui ero profondamente innamorata.

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Capitolo 20
*** Voci nell'ombra ***


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Capitolo XX
 
Voci nell'ombra
 
Aprendo lentamente gli occhi, assistevo con stupore e meraviglia allo spettacolo offerto con gentilezza dall'alba di ogni mattina, e strofinandoli, mi guardai attorno. Con mia grande sorpresa, scoprii parte del mio letto già vuota, e lo stesso accadde con la branda che avevo preparato. Confusa, mi alzai dal letto a mia volta, e camminando lentamente, attraversai il corridoio. "Christopher?" chiamai, incerta e dubbiosa. Scivolando poi nel silenzio, lasciai passare alcuni secondi, ma da parte sua, nessuna risposta. "Christopher! Dove sei?" chiamai ancora, lasciandomi assalire da dubbi e preoccupazioni inutili. "Kaleia, che hai da urlare? Siamo tutti qui!" rispose una voce femminile, che arrivando dritta dalla cucina, riuscì a tranquillizzarmi. Tirando un sospiro di sollievo, la raggiunsi, e non appena vi misi piede, non seppi cosa dire. A quanto sembrava, tutti mi avevano aspettata per la colazione, e Lucy, quasi arrivando ad una buffa e affatto aspra lite con Sky, aveva lottato con le unghiette e i dentini per assicurarsi un posto accanto a me. "Dai, non mangi?" mi chiese, indicando il posto ancora vuoto accanto a lei e il pasto già in tavola. Semplici frittelle e nulla più, che ricordavo di aver mangiato da piccola, e che ora ero felice di gustare di nuovo. Non appena mi sedetti e misi mano alle posate, Christopher, seduto di fronte a me, sorrise, scambiandosi con me anche un'occhiata d'intesa. Mantenendo il silenzio, incrociai il suo sguardo senza capire, ma quando anche Sky mi guardò, completando il tutto con un'alzata di occhi al cielo, mi sentii una stupida. Era strano, ma perfino mia madre sembrava aver capito ogni cosa, e fra noi ero l'unica a non capire. Fingendo indifferenza realmente non provata, mandai giù un boccone, poi sorrisi a Christopher. L'avevo capito con leggero ritardo, ma si era alzato per prepararmi la colazione. Un gesto tanto gentile quanto dolce, del quale lo ringraziai mangiando con gusto. Finita la colazione, mi alzai dalla sedia, e decisa a uscire di casa, ne guadagnai la porta, con Christopher, Lucy e Bucky al seguito. Felice, non feci altro che correre per la foresta tenendo la mano di Christopher, per poi inciampare e rotolare fra l'erba, proprio come era successo a lui tempo prima. "Stavolta non è colpa della tua magia, vero?" mi chiese, scherzando e ridendo di quel mio lato adorabilmente infantile. "No, ma come sai che ero stata io?" risposi, azzardando poi quella domanda. "Chi altri farebbe spuntare una radice solo per vedermi con il viso a terra?" replicò lui, non trattenendo un'altra risata e torreggiando su di me nell'aiutarmi a rimettermi in piedi. "Non lo so." Dissi soltanto, mostrando l'ennesimo sorriso di quella giornata e facendomi forza per non restare in ginocchio. "Tu, mia piccola sciocca." Replicò a quel punto lui, stringendomi un delicato e veloce abbraccio che ebbe fine con un bacio leggere quanto il battito d'ali di farfalla. Sorridendo nel bacio, lo accettai senza proteste, e quando ci staccammo, un suono mi distrasse. Red stava abbaiando, e correva verso di noi senza fermarsi, come se qualcosa lo stesse spaventando. Non appena fu più vicino, ci rendemmo conto di sbagliarci entrambi, poichè era solo felice di rivedere il suo padrone. "Su, buono, Red, basta." Gli disse lui, accarezzandogli la testa e uno specifico punto dietro l'orecchio. Obbedendo, la volpe si calmò quasi all'istante, e tirando fuori la lingua, cercò di raffreddare il corpo accaldato. Provando quasi pena per lui, feci un gesto con la mano, lo invitai a seguirmi. "Bevi, bello." Dissi a bassa voce, fermandomi a guardarlo dissetarsi e sentendomi sollevata. Non avevo compiuto chissà che gesto, una vera e propria cosa da nulla, ma in qualche modo, dentro di me sentivo di non poter evitare di farlo. Forse si trattava del mio elemento intento a parlarmi, o della mia parte umana impegnata a fare lo stesso, ma per il momento, non importava. Come ogni mattino, anche quello si trasformò in pomeriggio, e vicina a Christopher, a osservare il luccichio dell'acqua del lago sotto un tramonto che era un misto di rosso, rosa e viola, ascoltai il fruscio del vento dietro le spalle e delle sue dita fra i miei capelli. Mi accarezzava come se fossi una cucciola o la volpe che aveva per compagno, e a me andava più che bene. Come ormai sapevo, ero completamente innamorata di lui, e con le urla di Lucy che rideva e giocava, lamentandosi di che razza di ladro Bucky fosse, soltanto perchè le aveva rubato qualche bacca che aveva per merenda, non dicevo niente, assaporando ogni momento prima che svanisse come il quasi spento giorno a noi dinanzi. Non appena le tenebre ebbero la meglio sulla luce nel ripetitivo gioco astrale della realtà, tornammo di nuovo a casa, ma stavolta, Red non ebbe voglia di star solo. Accolto in casa da mia madre, si addormentò sul tappeto, accanto a lei e ad un caminetto spento. Quasi troppo felice per dormire, non presi sonno, e seppur avvolta da leggere coperte, guardai fuori dalla finestra. Inizialmente non vidi nulla di strano, ma poi, eccolo. Un rumore strano e mai sentito, un ticchettio sul vetro che mi fece paura. Il sole era calato, certo, ma ero sicura che non si trattasse di pioggia, e guardando meglio, rividi finalmente Midnight. Era scomparso dalla vista di mia sorella ormai da qualche tempo, e nonostante fossi felice di rivederlo, ora ero anche atterrita, spaventata e incapace di muovermi. Serio e minaccioso, picchiettava gli artigli contro il vetro, sbattendo le ali ed emettendo un verso a dir poco minaccioso. In quel momento, mille domande si fecero largo nella mia mente. Perchè si comportava in quel modo? Perchè era tornato a quest'ora della notte e non di giorno? Cosa voleva da me? Troppo spaventata per scoprirlo, non mi mossi, tirando le coperte così da ripararmin dal freddo che ad un tratto avevo cominciato a sentire. Ore dopo, stremata dalla lunga giornata e dalle mie stesse paure, mi addormentai, ma i miei sogni non durarono molto. Non saprei spiegare perchè, ma durante tutta quella notte non vidi che ombre annidate nella mia mente, sentendo voci estranee e quasi eteree. "Allontanati." "Scappa." "Fuggi." "Salvati." Queste le frasi che ripetevano, e che svegliandomi di soprassalto e allarmando sia Christopher che il mio povero scoiattolino, sperai fossero solo parte di un orribile incubo fatto di volti senza identità e voci nascoste nell'ombra. 
 
 
 
Salve a tutti, miei lettori. Incredibilmente, e aiutata dall'ispirazione a dir poco improvvisa, sono riuscita a pubblicare ben due capitoli di questa storia, anche con la maturità che incombe. Ormai manca poco, e anche se non so quando riuscirò a tornare e pubblicare di nuovo, sappiate che farò del mio meglio. Al prossimo capitolo, e grazie del vostro supporto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 21
*** Disordine ***


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Capitolo XXI

Disordine

Faticando a dormire dopo quegli strani incubi, non riuscivo più ad addormentarmi, e sdraiata nel letto, riflettevo. Era ancora notte, la pallida luna stavolta era muta, e pur guardandola e osservando il suo regale bagliore, la scoprivo muta. Non mi parlava più, ed era come se avesse smesso di rassicurarmi. Per pura fortuna, anche Midnight aveva smesso di colpire con gli artigli il vetro della mia finestra, ma solo perché Sky gli aveva permesso di entrare in casa richiamandolo a sé. Ora era nella sua stanza, ma quasi non smetteva di lanciare grida strazianti. Le carezze di Sky lo aiutavano, così come qualche solido boccone, ma poi, a pasto ultimato, ricominciava. Stanca e ancora scossa, lo ignoravo, ma ben presto, mia sorella non ne potè più. “Non puoi semplicemente vedere cosa vuole?” sbottò, scocciata. “No! Il tuo merlo mi ha quasi ammazzata!” replicai a muso duro, non volendo avere nulla a che fare con un volatile che sembrava essersi avvicinato ad attentare alla mia vita. Non era vero, ed esageravo, ma non potevo certo negare di aver avuto paura. Quell’insistente ticchettio e quello sguardo sinistro avevano svegliato anche Christopher, e ricordo che aprendo la finestra lo aveva cacciato via a viva forza, agitando le mani per farlo allontanare. Stando ai miei ricordi, c’era riuscito, e dopo essere corso ai ripari nella stanza di mia sorella, aveva dato inizio a quei lamenti, che dopo ore, non avevano ancora avuto fine. Così, i minuti si susseguirono diventando ore, e dopo ben due, anch’io mi arresi a quella rumorosa evidenza. “Va bene, fallo entrare.” Concesse, sempre più stanca e con i nervi a pezzi. Dall’altra parte della porta, mia sorella rimase in silenzio, e abbassando la maniglia, permise al volatile di fare il suo ingresso nella mia stanza. Incerta su come reagire, non mossi un muscolo, specialmente quando lo vidi avvicinarsi. Curioso, mi svolazzava intorno sembrando più mosca che merlo, e i suoi occhi scuri mi scrutavano con sospetto, quasi come se non mi riconoscesse o non mi avesse mai visto prima. Rimanendo ferma e inerme, lo lasciavo fare, seguendo il muto consiglio di mia sorella di non muovermi. Sempre più vicino, il merlo mi sfiorò la pelle con il becco, come alla silente ricerca di qualcosa, e poi, scoperto il suo obiettivo, me lo piantò nel braccio, ferendomi. Colpita, mi ritrassi bruscamente, e ferita non solo nel fisico, indietreggiai. “Ma l’hai visto? Qual è il suo problema?” ringhiai, sentendo le guance bruciare e un fiume di lacrime inumidirmi gli occhi. Guardandomi, Sky non parve degnarmi di una risposta, e solo poco dopo, si decise a parlare. “L’ha fatto per una ragione.” Disse soltanto, non lasciandomi in testa nulla di dissimile dai dubbi. “Che significa?” azzardai, faticando a parlare, ma non certo per la stanchezza, in qualche modo svanita a causa del dolore che ora provavo, e che aveva sostituito ogni altra sensazione. “Lo capirai, o forse potrà spiegartelo il tuo fidanzato.” Sibilò poi nel guardarmi, acida. Confusa come e più di prima, la guardai senza capire, e nell’esatto momento in cui richiamò il suo fedele uccello per poi sparire dalla mia vista, Christopher fece il suo ingresso sulla scena. “Che è stato? Ti ho sentita urlare, e anche Red si è preoccupato.” Mi chiese, avvicinandosi seguito da quell’ormai conosciuta volpe, che calma come sempre, si sedette al mio fianco, attendendo nuovi ordini. “È stata Sky. Non ho idea del perché, ma Midnight mi ha beccata.” Spiegai, ancora dolorante e con la ferita in prossimità del polso che mostrava alcune piccole gocce scarlatte. Ero stata fortunata, e quel taglio non era profondo, ma ora una cosa era certa. Il giallo becco di quel merlo non era da sottovalutare. Appuntito come pochi, poteva fare davvero male, e ora che lo avevo sperimentato sulla mia stessa e bianca pelle, potevo confermarlo. “E come se non bastasse, Midnight è scappato di nuovo. Imparerà mai?” osservò lui, spostando lo sguardo dal mio viso al pavimento della stanza, dove ora giaceva una singola piuma nera. Avvicinandomi, la esaminai, e in un solo istante, capii che era sua. Era di nuovo volato via dalla mia finestra, e tentando di ignorarlo, attesi il mattino solo per provare ad allenarmi insieme a Christopher e concentrarmi su altro, ma pur senza volerlo, fallii. Per qualche strana e a me ignota ragione, non riuscivo a concentrarmi, la testa mi faceva malissimo, e il naso mi sanguinava. Conoscendomi, sapevo di non soffrire di epistassi, e svenendo, ebbi appena il tempo di sentire la mia testa, resa leggera dalla perdita di sangue, colpire l’ora pungente erba, piena di fiori ma anche di insidie. Rimasi incosciente per un tempo che con fui capace di definire, e non appena rinvenni, mi ritrovai a ripetere lentamente tutte le parole sentite nel mio strano sogno. Senza volerlo, le scandivo sottovoce, sperando che Christopher non riuscisse a sentirmi. Ci volle del tempo prima che recuperassi la lucidità, e quando accadde, mi sentii così debole da non riuscire ad alzarmi. Ferma e immobile come prima, agevolai Christopher nel sollevarmi le gambe, e lasciai che Red mi leccasse il viso. Volendo aiutare, anche Bucky mi aveva portato delle bacche trovate in una buca scavata nel terreno, probabilmente la tana di un altro animale. Forse un coniglio, forse un tasso, ma comunque qualcosa di piccolo. Con la vista ancora annebbiata, non distinguevo nessuna impronta, e sedendomi sotto alla quercia del mio amico roditore, posai la schiena contro il tronco di quell’albero, incrociando le gambe e mangiando qualche altro frutto di bosco ricevuto in dono anche da Red. “Kaleia, amore, stai meglio?” non potè evitare di chiedermi, con una sottile ma percepibile vena di preoccupazione. “Sì, sì, non… non preoccuparti.” Ebbi la forza di rispondere, biascicando le parole ma sforzandomi di esprimermi correttamente. “Grazie al cielo!” lo sentii sussurrare, lasciando che le mie labbra si dischiudessero in un sorriso. Senza dire altro, si avvicinò per abbracciarmi, e lesti, Red e Bucky fecero lo stesso. Muovendo qualche passo nella mia direzione, il primo mi leccò la mano ripulendola dal sangue proveniente dalla ferita, e il secondo si arrampicò sulla mia spalla, sfiorandomi il collo con dolcezza. “Ho avuto tanta paura.” Disse poi una tremante Lucy, che dopo il mio mancamento aveva perso il sorriso e la voglia di giocare. “Tranquilla, piccola, ora sta bene.” La rassicurò il mio lui, sorridendole e osando accarezzarle la testolina. “Ne è sicuro, signor Christopher?” azzardò la bimba, ancora in pena e in pensiero per me. “Sicuro, ora vai, torna a giocare, ti raggiungeremo.” Le rispose, sorridendo ancora. Titubando impacciata, la bambina si sentì impedita, e quasi inciampando nei suoi stessi piedi, si allontanò. Completamente sola, si ritrovò a ingannare il tempo con un fiore, strappando ogni volta un petalo e recitando una specie di formula. “Sta bene, non sta bene. Sta bene, non sta bene.” Ripeteva, quasi tentando la fortuna attraverso quel fiore. Osservandola da lontano, non seppi cosa dire, e nonostante la distanza che ci separava, notai un particolare. La sua luce. Non vantava più il color dell’ora, ma al contrario era azzurra come i miei occhi. Silenziosa come i gufi che nidificavano sui tetti delle case, tenni  per me i miei pensieri, ma dopo poco, non resistetti oltre. “Christopher?” chiamai, con un filo di voce. “Sì?” rispose subito lui, voltandosi verso di me al solo scopo di guardarmi negli occhi.” Ti amo.” Dissi in un sussurro, fallendo nel tenere a freno la lingua e rischiando di venir meno un’altra volta. “Ti amo anch’io, tesoro.” Sussurrò a sua volta, stringendomi a sé come a voler evitare di perdermi e non lasciarmi mai andare. Colpita e commossa dal suo gesto, fui vicina a piangere, e solo allora, la sua voce raggiunse di nuovo le mie orecchie. “Odio dirlo, odio anche solo pensarci, ma è probabile che ci abbiano scoperti.” Confessò, parlando come se custodisse quella sorta di segreto ormai da anni. “Cosa?” indagai, cambiando subito espressione e passando da calma ad attonita. “Gli altri.” Rispose appena, per poi deporre un bacio sulla mia fronte e accarezzarmi dolcemente le braccia. Fu quindi questione di attimi, e una sola frase abbandonò le sue labbra. “Ora non pensarci, chiudi gli occhi e non pensare a tutto questo disordine.”





Buonasera a tutti, miei lettori. Non mi sembra vero, non credevo di farcela, eppure eccomi, ad aggiornare per tempo con questo ventunesimo capitolo nonostante gli impegni da studentessa ormai alla fine del suo ciclo di studi superiori. Ho fatto del mio meglio e cercato di aggiungere un alone di mistero, perciò spero che vi piaccia. Grazie ad ognuno di voi, ma in special modo a chi ormai già sa, e alla prossima,


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Capitolo 22
*** Spirito debole ***


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Capitolo XXII

Spirito debole

Confortata dalle parole del mio Christopher, ero riuscita a dormire serenamente anche dopo essere svenuta e aver perso sangue dal naso, e riaprendo gli occhi, mi ritrovai di nuovo sotto la stessa coperta che mi aveva protetto dal freddo tempo prima. Non volendo che mi ammalassi, doveva avermela adagiata sul corpo non appena ero scivolata nell’incoscienza, periodo durante il quale, sprofondando e perdendomi in un sonno senza sogni, vedevo tutto nero. Sveglia da poco e ancora disorientata, notavo che attorno a me era tutto grigio. Bianco e nero mescolati, davano al mio mondo un’atmosfera cupa e a dir poco indecifrabile, o almeno la diedero per qualche secondo, fin quando, strofinandomi gli occhi, tornai a scrutare il mondo circostante e a vedere i colori. Un singolo attimo scomparve quindi dalla mia vita, e restando in silenzio, posai gli occhi sull’orizzonte. Il sole era sorto da poco, e nonostante la dormita a dir poco rigenerante, mi sentivo ancora stanca, confusa e con la testa leggera, quasi vuota. Era strano, e mentre il tempo scorreva, cercavo di smettere di pensarci. Scuotendo il capo, sforzai un sorriso, e non appena l’azzurro dei miei occhi si fuse con il marrone di quelli di Red, sul mio volto ne spuntò uno vero e luminoso. Felice, gli accarezzai la testa, e lentamente, scesi con le dita fin sotto al mento bianco, in netto contrasto con il rosso del resto del pelo e il nero delle zampe. “Buongiorno, Red.” Salutai, dolce e tranquilla, ma soprattutto non più disturbata da quell’orribile mal di testa. Con un debole uggiolio, la volpe ricambiò il mio saluto, e avvicinandosi, provò a leccarmi il viso. Lasciandolo fare, diedi sfogo a una piccola risata, e rimettendomi in piedi, mi guardai intorno,  e mettendo un piede in fallo, per poco non inciampai. Notandomi, Red si fece avanti per aiutarmi, e poco dopo, non appena ritrovai l’equilibrio, mi incamminai verso la quercia di Bucky. Alta e forte, era ormai diventato il suo luogo preferito in cui giocare e riposarsi quando la luce spariva, e raggiungendola, ne sfiorai il tronco. Aiutato dal fine udito di roditore, il mio amico peloso non tardò a sentirmi arrivare, e balzando di ramo in ramo, ben presto mi fu accanto. Conoscendolo, sapevo che adorava rosicchiare le sue amate ghiande, e pur sicura che non fosse ingrassato, trovavo il suo peso sulla mia spalla a dir poco insopportabile. Con un gesto della mano, lo invitai a lasciarmi da sola, e quando fatti altri passi incontrai Lucy, mi fermai a parlarle. “Buongiorno anche a te, piccolina.” Dissi, sorridendole e sfiorandole una guancia con il dorso della mano. “Kaleia! Ciao! Stai bene, la mia margherita aveva ragione!” rispose, abbracciandomi e stringendomi a sé con tutto l’amore di cui una bambina era capace. “Margherita? Che vuoi dire?” chiesi, confusa e stranita dalle sue parole. “Sì, quando sei stata male ho usato una margherita, e l’ultimo petalo diceva che saresti stata bene.” Spiegò, tenera e ingenua come sempre. Mossa a compassione dalla sua innata dolcezza, risi con lei, vedendo le sue guance passare da un pallido bianco latte al rosso delle fragole che era abituata a mangiare assieme ad altri frutti per merenda. A quanto sembrava, il mio ridere l’aveva in qualche modo imbarazzata. Volendo solo distrarla, presi a farle il solletico fino a sentirla ridere a crepapelle, e dandole del tempo per respirare, spostai lo sguardo altrove. In quel momento, incrociai lo sguardo di Christopher, che visibilmente sollevato, mi corse subito incontro per abbracciarmi. “Kaleia! Amore, stai meglio!” esclamò, felice come mai era stato. Senza dire nulla, mi crogiolai in quell’abbraccio, e lasciando che avvicinasse le labbra alle mie, gli concessi un bacio. Era passato appena un giorno, ma l’incidente mi aveva impedito di stargli accanto come avrei voluto, ragion per cui ora non desideravo altro che recuperare il tempo perduto. Si trattava di appena poche ore, e lo sapevo bene, ma data la lezione che mi aveva impartito sulla dubbia esistenza del domani, ero arrivata a prendere una decisione. Da ora in poi non avrei fatto altro che prendere in mano la mia vita e viverla per quella che era, nonostante i dubbi, le domande e le sfide che conteneva. Finalmente calma, riuscii a distrarmi e a non pensare a nulla oltre che a quel bacio, dopo la cui fine, mi limitai a guardare il mio fidanzato negli occhi. Era felice come e forse più di me, e tenendomi la mano, ne accarezzava il dorso con il pollice. Silenziosa e tranquilla, gli permettevo di farlo, sentendo le guance scaldarsi e non notando il lieve rossore che le aveva imporporate. Ad essere sincera, non sapevo quale parte di me agisse nella maggioranza dei casi, se quella umana o quella fatata, ma pensandoci, avevo deciso che era un dettaglio insignificante, e che proprio per questo, non  mi importava. Così, con il dorato re del cielo a farci compagnia, mirai il cielo per minuti interi, indicando a Lucy ognuna delle figure che scorgevo nelle nuvole di passaggio, candide come la sua pelle e il suo animo di bimba. Insieme, ne vedemmo di molteplici, e nonostante fossero così compatte da non avere delle forme vere  e proprie, io l’assecondavo. Lei ipotizzava, e giocando con lei annuivo. Grazie alla sua ingenuità di bambina, non vide altro che fiori, uccelli e animali del bosco volare nel cielo grazie alla libertà di cui disponevano, e nonostante fossi sempre sul punto di scoppiare a ridere a quella sola idea, stavo bene attenta a non farmi vedere da lei, sicura che avrebbe provato imbarazzo o rabbia nei miei confronti. Dopo un pomeriggio passato a giocare rincorrendo le farfalle che fuggivano da lei, fu costretta a fermarsi, sedersi e respirare. Oltre al nascondino e alla classica acchiapparella, il volo era uno dei suoi giochi preferiti, e ora che non riusciva, non faceva che lamentarsi. “Voglio volare.” Ripeteva, triste e amareggiata, nonché di nuovo avvolta da quella luce azzurra, ora indice di quella così cupa emozione. Ascoltando i suoi lamenti, Christopher si voltò a guardarmi, e stringendomi la mano, mi infuse sicurezza. “Su, provaci. Stai diventando forte, dovresti riuscirci.” Mi disse, per poi scivolare nel silenzio e aspettare che operassi la mia magia. Stringendomi nelle spalle, annuii lentamente, e assieme ad alcuni fili d’erba, sollevai anche la piccola Lucy, facendola volteggiare a pochi metri da terra con ogni movimento delle mie dita. Orgoglioso, Christopher non proferì parola, ma una seconda stretta della mia mano, stavolta più forte della prima, fu per me chiaro indice della sua felicità. Innamorata, lo conoscevo meglio di me stessa, e nonostante sapessi che non era solito esternare le sue emozioni in maniera vistosa, ciò non significava che le imbottigliasse o tenesse dentro, e pensandoci, mi sentivo orgogliosa di lui, proprio come gli accadeva quando pensava a me e ai miei poteri. Lentamente, il tempo continuò a muoversi, e senza averne abbastanza da rendermene conto, scoprii che quei momenti di dolce felicità erano destinati ad avere vita breve. Non ero pessimista, ma una dose di puro realismo mi permise di abbandonare la fantasia e guardare in faccia la realtà. Improvvisamente, sentii di nuovo la testa dolere come mai prima una specie di scampanellio esplodervi dentro, e qualunque voce o suono a me intorno giungermi ovattato. Non sentii più la risata di Lucy, lo squittio di Bucky, o i latrati di un giocoso Red impegnato a dare la caccia a un povero e spaventato coniglio. Niente. Il nulla più totale, o per meglio dire, solo lontani echi che sembravano appartenere ad un’altra realtà diversa da quella in cui vivevo. Stremata, crollai a terra, e con un sommesso lamento, finii fra l’erba. Perdendo l’equilibrio, incontrai il terreno con un tonfo, e poco prima di svenire ancora, ebbi appena il tempo di vedere del sangue e sentirne il sapore in bocca, così come lo sguardo di Christopher su di me. Preoccupato, mi aveva raggiunta, e pur sentendolo chiamare il mio nome, non ebbi tempo né modo di rispondere. Il mio risveglio aveva rallegrato gli amici che mi ero fatta nel bosco, ma per pura sfortuna non era durato poi molto, e perdendo la capacità di vedere, sentire e muovermi, scivolai di nuovo nell’incoscienza. Era successo per la seconda volta, e benchè durante la prima non avessi sentito nulla, ora non provavo che paura, sentendo il mio cuore battere, il sangue scorrere e una parte nascosta e recondita di me gridare aiuto. Per pura sfortuna, nessuno poteva sentirmi, e così, rannicchiata in un’istintiva posizione fetale, temetti per me stessa. Era trascorso appena un giorno da quando Christopher mi aveva parlato di pericoli e disordine, e a quando sembrava, anche Sky aveva ragione. Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo, e benchè lei fosse sicura che avrei trovato in Christopher le risposte che cercavo, nei suoi occhi e nel suo animo non avevo visto che terrore. Terrore alimentato dalla mia vista in quelle pietose condizioni. Con il sole in cielo, tutto sembrava andar bene, ma per qualche strana ragione, ora scoprivo di non aver controllo su me stessa, sul mio presente e sul mio spirito debole.


Buonasera a tutti, miei lettori, ad ognuno di voi. Forse lo sapete, o forse no, ma quale modo migliore di festeggiare la conclusione degli scritti della mia maturità se non con un nuovo capitolo? Altri mille, ma dato il mio amore per la scrittura, stavolta ho scelto questo. Come si vede, non è il più felice nonostante qualche momento di tenerezza, e attendendo i vostri pareri, spero solo che vi sia piaciuto. Grazie sin d'ora di tutto il supporto che mostrate, e al prossimo capitolo,

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Capitolo 23
*** Anime unite ***


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Capitolo XXIII

Anime unite

Le ore passavano, e per pura fortuna non ero sola. Avevo avuto un altro svenimento, e pur giacendo su un letto di foglie ed erba, sapevo di poter contare sull’aiuto dei miei amici. Erano lì quando la vista e le forze mi avevano abbandonata, e lentamente, mentre il sangue non faceva altro che riscaldarmi il corpo viaggiando al suo interno, mi riprendevo. Ci volle qualche tempo prima che riaprissi gli occhi e riuscissi a guardarmi attorno a dovere, ma quando finalmente ci riuscii, la prima cosa che sentii fu un sospiro di sollievo, poi una voce maschile. “C-Christopher?” azzardai, ancora confusa dalla perdita di sangue e coscienza messe insieme. “Kaleia! Santo cielo, mi dispiace, non avrei dovuto chiederti di usare i tuoi poteri, come ti senti?” non potè evitare di chiedermi, sorpreso e sollevato dal rivedermi sveglia e vigile accanto a lui. “Bene, credo, grazie.” Biascicai, parlando a voce così bassa da risultare quasi inudibile. Rinfrancato dalle mie parole, Christopher accennò un sorriso di pura gratitudine, e appena un attimo dopo, un’altra voce attirò l’attenzione di entrambi. “È colpa mia.” Diceva, scivolando nel silenzio dopo quelle tre parole. Voltandomi, scoprii che si trattava di Lucy. Preoccupata, si era avvicinata per controllarmi, e tristissima, brillava ancora di quella debole luce azzurra, che fra un passo verso di noi e l’altro si faceva sempre più forte. “Piccola, no! Non è assolutamente così! Perché dici questo?” le chiesi, facendo uno sforzo per alzarmi da terra e andarle incontro. “Perché è vero. Se… se non ti avessi chiesto di giocare, ora tu…” continuò la bambina, piagnucolando e snocciolando ognuna delle sue ragioni, frutto di pensieri nati solo dalla sua semplice logica. “Lucy, no. Ora basta. Se Kaleia dice che non è colpa tua, allora puoi crederle. È tua amica, puoi fidarti.” Le disse allora lui, avvicinandosi a sua volta e sperando di aiutarla mantenendo intatta la fragilità dei suoi sentimenti. “Ma signor Christopher, io…” balbettò in risposta, ormai prossima ad un pianto che sapevo desiderasse solo liberare. “Non chiamarmi signore, va bene? Anch’io sono tuo amico, come lei.” Aggiunse lui poco dopo, rassicurandola e facendo uso di una calma a dir poco innaturale. “Davvero?” azzardò la bimba, con gli occhi lucidi a causa delle lacrime che ora avevano smesso di sgorgare e rigarle il volto. Da quel momento in poi, secondi di silenzio, e al loro scadere, una voce alle nostre spalle. “Ha ragione.” Disse, cogliendoci  di sorpresa. Confusa, guardai in quella direzione, e ad occhi sgranati, credetti che la vista m’ingannasse. Anche se solo per un attimo, fui vicina a strofinarmi gli occhi per l’incredulità, e non riuscendo ad astenermi dal farlo, scoprii che la scena che avevo davanti corrispondeva alla realtà e non ad un sogno. “Sky!” chiamai, felicissima. “Sei tornata!” gridai poco dopo, ancora in preda a quella strana euforia. “Sì, e ti voglio bene.” Mi rispose, camminando verso di me e avvicinandosi lentamente. Di lì a poco, il silenzio avvolse di nuovo l’intera foresta, e l’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo. Emozionata, Lucy finì per piangere e versare qualche lacrima, ma il colore della sua luce non indicava che felicità. “Non è una bugia, giusto?” chiese, avvalendosi ancora una volta della tenerezza che la caratterizzava. In attesa di una risposta, volse lo sguardo verso Christopher con fare speranzoso, e attendendo ancora, nascose due dita dietro la schiena, incrociandole. “Giusto.” Le fece eco lui, dischiudendo le labbra in un sorriso e facendole segno di avvicinarsi. Obbedendo a quella sorta di ordine, la bambina mosse qualche passo nella sua direzione, azzardando anche qualche altrettanto goffo battito d’ali. Di nuovo in piedi e al fianco di Christopher, restavo muta e immobile a guardare quella scena, e non appena la sua mano sfiorò quella della bambina, sentii il cuore mancare un battito. Non riuscivo a crederci. Sapevo che era un ragazzo dolce, ma ero anche convinta che ognuno avesse dei limiti, e ora, complice quella così schiacciante evidenza, avevo modo di capire che la sua particolarità era proprio quella. Riuscire a sorprendermi in ogni occasione. Notando lo stato in cui versavo, si voltò a guardarmi, e proprio allora, mi sfiorò la guancia. Per tutta risposta, questa iniziò a bruciare, e per la prima volta dopo quel periodo tanto difficile per quel che riguardava la mia salute, sentii le gambe deboli, ma non certo per quella causa. Quel semplice gesto mi aveva emozionata, e a quanto sembrava, quello era uno dei tanti modi in cui non mi accorgevo di dimostrarlo. Il mio lato umano tendeva a prendere il sopravvento, ed era vero, ma non badandoci, e guardando negli occhi il mio Christopher, mi scambiai con lui uno sguardo d’intesa. L’amore che provavamo l’uno per l’altra era visibile anche nei nostri occhi, e pensandoci, non facevo altro che ignorare i giudizi che il nostro rapporto aveva e avrebbe sicuramente continuato a scatenare. Ora stavo meglio, ero in forze e in piedi, pronta a combattere assieme a colui che amavo e alla mia quasi scomparsa sorella una battaglia che avrebbe gravato sulle spalle e sul cuore di tutti noi. Due sole fate, una pixie e un protettore, e in altre parole, quattro anime unite.

 

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Capitolo 24
*** Verità in fondo al bosco ***


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Capitolo XXIV

Verità in fondo al bosco

Tornata in casa, gioivo mutamente di essermi ripresa, sicura che quegli strani svenimenti non mi avrebbero più disturbata. Seduta nel salotto di casa, guardavo dritto di fronte a me, concentrata sul piccolo vaso di vetro in cui tenevo le viole ricevute in dono da Lucy tempo prima. Nonostante lo scorrere del tempo, i petali vantano ancora il loro vero colore, e sembrava davvero che fossero stati appena raccolti. Calma e tranquilla, ne accarezzai qualcuno, e non appena uno dei petali si scontrò con vitreo fondo di quel vaso, il mio viso divenne una maschera di tristezza. Forse sbagliavo, e forse dirlo era un’esagerazione, ma a dispetto di ogni apparenza, quei fiori dovevano aver sofferto almeno tanto quanto me. Abbandonandomi ad un cupo sospiro,  ritirai la mano, e senza dire nulla, provai ad alzarmi. Per una volta, le mie gambe non cedettero, e fatti pochi passi, fui distratta da un suono. Era Bucky, che fermo oltre la mia finestra, grattava e squittiva. Probabilmente voleva che lo seguissi, e annuendo lentamente, guadagnai la porta di casa. Di punto in bianco, il mio umore cambiò in fretta, e di nuovo felice, non riuscii a credere ai miei occhi. Seduta sulla riva del lago, Sky osservava la calma delle acque, e voltandosi, mi invitò a raggiungerla. Muovendomi verso di lei, realizzai il suo desiderio, e non appena mi sedetti, lei mi sfiorò la mano. “Scusami.” Quella fu la sua prima frase, che ascoltai senza proferire parola. Confusa, non seppi cosa dire, e dopo alcuni secondi passati a pensare, fu allora che capii. Era scomparsa dal bosco per qualche tempo, e con il suo ritorno, portava con sé delle scuse riguardanti i nostri precedenti dissapori. Ricordavo ancora il dolore delle ferite procuratemi da Midnight, per cui ora lei non provava che pentimento. Pur riflettendo, non riuscivo a dare un senso a quelle strane ferite, ma ora c’era la possibilità di trovarvi una soluzione. “Perché l’hai fatto?” chiesi allora, conservando la segreta speranza di mettere insieme ognuna delle vitree tessere di quel mosaico.”Mi dispiace, mi dispiace davvero, ma se l’ho fatto è stato per ferire te come tu ferivi me.” Rispose, avendo con quelle parole lo strano potere di aprirmi gli occhi e confondermi allo stesso tempo. Sbalordita, la guardai senza capire. “Ferirti?” Sky, io non ho mai…”biascicai, con un filo di voce. “Lo, so e devi perdonarmi, ma ero… ero gelosa, ecco.” Continuò, mentre la voce le si spezzava come l’ala di un uccellino ferito. “Gelosa?” le feci eco io, ancora incredula. “Sì, vederti con Christopher, così innamorati, così complici, sempre insieme… è stato difficile.” Spiegò, guardandomi con occhi dolenti a causa di un pianto a cui avrebbe solo voluto dare inizio. A quelle parole, mi avvicinai, e sfiorandole una spalla, la abbracciai. “Sky, io… non so cosa dire, dispiace anche a me.” Le dissi in un sussurro, accarezzandole la schiena e scivolando poi nel silenzio. Senza dire altro, rimasi al suo fianco in segno di rispetto, e una volta in piedi, l’aiutai a rialzarsi. “Allora? Pace fatta?” mi chiese, cercando il mio perdono. “Pace fatta.” La rassicurai, sorridendo e abbracciandola ancora in quel mattino dorato e splendente. Quel contatto ci tenne unite per altri lunghi secondi, allo scadere dei quali, ci staccammo ancora. Tornando a guardarla, notai nei suoi occhi un luccichio di puro dolore. Aveva cercato di scusarsi, aveva ottenuto le mie scuse, ma nonostante tutto, non riusciva a smettere di pensarci né a concentrarsi su altro. Ad essere sincera, la capivo, e restandole accanto, le tenevo una mano ferma sulla spalla. Non dicevo nulla, ma ero con lei, e lo stesso valeva per Midnight. Al suo posto nel suo nido di paglia e rami, la guardava fissamente, e in quello sguardo non vedevo che complicità. Poco dopo, anche Bucky le andò vicino, e ignorando quello che credevo essere odio nei suoi confronti, lei lo lasciò fare. “Ci sono.” Voleva farle capire, prendendo posto sulla spalla che le sfioravo e accennando quello che reputai un sorriso. Un messaggio che anch’io tentavo di trasmetterle, e che nel pomeriggio, parve finalmente avere effetto su di lui. Preoccupata, anche Lucy la invitò a giocare, e vedendola accettare, provai sollievo e orgoglio per lei. Dati i nostri trascorsi e le nostre origini, sapevo che era stata costretta come me a far fronte a una situazione più grande di lei, e non biasimandola, facevo quanto in mio potere per aiutarla. Essere fata o umana ora non contava, e l’unica cosa a farlo ora era la sua metaforica lotta contro sé stessa e la realtà a cui nonostante le mie supposizioni pareva non essersi abituata. In quel momento, la vicinanza di ognuno di noi era di grande se non vitale importanza per lei, e quando Christopher, vedendomi così abbattuta a causa sua cercò di baciarmi e risollevarmi il morale, io lo respinsi. Non avevo smesso di amarlo dalla sera alla mattina, certo, ma scambiarmi effusioni con lui in quel momento così delicato giungeva ai miei occhi come una mancanza di rispetto. Come potevo abbandonarmi all’amore e alla dolcezza mentre mia sorella soffriva a quel modo? Avrei voluto, e mentre le circostanze me ne toglievano la forza, passai quel pomeriggio a spremermi le meningi e tentare di aiutarla, sfogliando ancora una volta le pagine dello stranissimo libro trovato da poco nella libreria di casa. Dopo aver scoperto che un rapporto come quello che mi legava al mio Christopher era vietato, non lo avevo più aperto, ma sicura che contenesse altre informazioni sul mondo delle fate, mi ero decisa a rileggerlo. Nel farlo, scoprii di sbagliarmi. speravo di trovare risposte, cosa che peraltro era già accaduta, ma fallendo, lo riposi nello scaffale. “Maledetto libro.” Sibilai al suo indirizzo, non curandomi di sentirlo cadere con un tonfo appena attimi dopo. Stressata, tornai nel bosco, e incatenando di nuovo il mio sguardo a quello di Christopher, mi lasciai stringere. A quanto sembrava, Sky non era l’unica ad aver bisogno di conforto, e al contrario, ora non desideravo altro. “Amore, stai sudando.” Mi disse, guardandomi con aria preoccupata. “Sì, scusa, è solo che… che Sky…” provai a dirgli, bloccandomi senza volerlo e diventando una statua di puro ghiaccio. “Sta male, lo so.” Rispose lui, mangiando la foglia e precedendomi con la su solita maestria. Non sapevo come ci riuscisse, ma era come se a volte riuscisse a leggermi nel pensiero. “Come lo sai?” azzardai a chiedere, confusa. “Si nota molto, e poi, guarda su in cielo.” Disse soltanto, come se leggere le emozioni e i comportamenti umani fosse la cosa più facile del mondo. Seppur stranita da quelle parole, feci ciò che mi era stato chiesto, e sollevando lo sguardo, notai una miriade di nuvole grigie e pesanti spaziare nel cielo appena sopra di noi. Affatto contento, anche Midnight si agitava nel suo nido, e mantenendo il silenzio, mi strinsi ancora al mio lui. “Sai cosa fare?” sussurrai, volgendo un ennesimo sguardo alla mia povera sorella, ancora straziata da problemi che sembravano aver fatto ritorno. “Tocca chiedere a Zaria Vaughn. Forse saprà anche cosa fare con i tuoi lividi.” Mi disse lui di rimando, fornendomi un utile consiglio e apparendo ai miei occhi stressato, frustrato nel sapere di non potermi aiutare direttamente. Rinfrancata da quelle parole, dischiusi le labbra in un leggero sorriso, ed ergendomi sulle punte, non chiesi che un bacio. Innamorato, lui realizzò il mio desiderio, e non appena ci staccammo, guardai di nuovo il cielo. Le nuvole c’erano ancora, e nell’aria si diffondeva odore di pioggia. Presto sarebbe caduta, e qualcosa mi diceva che il tempo atmosferico non era mai stato così capriccioso. Triste e sola, Sky aveva smesso di divertirsi con Lucy, e non dando peso alla presenza di Red, non si mosse da dov’era, scrutando il sempre più scuro orizzonte. Lentamente, i minuti scorrevano diventando ore, e ben presto, il buio calò sul bosco. Pronta, strinsi ancora la mano di Christopher, e avvicinandomi a Sky, mi preparai a dirle la verità. “Devi venire con me. C’è qualcuno che può aiutarti.” Le dissi, avendo cura di non insospettirla. “La vecchia strega?” rispose lei, rifiutandosi di voltarsi e staccare gli occhi dal panorama. “Sì.” Mi limitai a risponderle, invitandola a seguirmi. Senza dire nulla, lei iniziò a camminare al mio fianco, e dopo un cammino che ci parve interminabile, eccola. La stessa casa diroccata e nascosta nel buio del bosco e della sua parte più fitta, in cui viveva colei che Sky considerava una strega. Per quanto ne sapevo, la signora Vaughn non era che un’umana dedita alla magia, e fingendomi sorda a quella considerazione, bussai a quella porta. Come mi aspettavo, la risposta non tardò ad arrivare, e mettendo cautamente piede in quella casa, non dovetti presentarmi, e lo stesso valse per Sky. La donna ci conosceva già entrambe, ma guardando negli occhi Christopher, non potè fare a meno di interrogarsi. “Chi hai portato con te, cara?” azzardò, curiosa e non malevola. Colta alla sprovvista, non ebbi la forza di rispondere, e tentando di proteggermi, Christopher si frappose fra me e lei. “Il suo protettore, signora.” Fu veloce a risponderle, presentandosi e tendendole la mano perché gliela stringesse. “Piacere mio, ragazzo.” Disse la donna, afferrando la sua mano con le dita scheletriche e mostrando un debole sorriso, felice di fare la sua conoscenza. “Il tuo nome?” chiese poi, scivolando nel silenzio in attesa di una sua risposta. “Christopher.” Rispose subito lui, avendo cura di non scattare sulla difensiva, comportamento che, ne ero sicura, non avrebbe certo deposto a suo favore. “Abbiamo bisogno di aiuto.” Tagliai corto io, mettendo fine ai convenevoli e sperando che fosse in grado di dissipare i miei dubbi. A quelle parole, la signora Vaughn mi guardò  con aria interrogativa, e prendendo coraggio, parlai ancora. “Si tratta di mia sorella.” Chiarii, restando calma e mostrandomi seria. “Capisco.” Replicò la donna, volgendo lo sguardo su Sky stessa. “Vieni avanti.” La pregò, restando a guardarla e attendendo che si avvicinasse. Obbedendo, mia sorella non mosse foglia a riguardo, e sedendosi con lei, non disse altro. Con un solo gesto, la signora Vaughn le prese entrambe le mani, e guardandola, la pregò di concentrarsi e guardare nella sua sfera di cristallo. Annuendo, Sky posò lo sguardo su quello strano oggetto, e in quel momento una strana nebbia si palesò al suo interno. Poco lontana, seguii quella scena in assoluto silenzio, e solo allora notai che quella sembrava una sorta di tempesta. Un parallelismo a dir poco azzeccato con il suo stato d’animo attuale, che nessuno di noi sembrava essere capace di decifrare. Conoscendola, sapevo che Sky era un vero enigma, e più il tempo passava, più me ne convincevo. “Che significa tutto questo?” chiese, confusa e leggermente stizzita. “So bene come ti senti, fata del vento. Non ti conosci ancora bene, e un giorno, quando questo accadrà, non sarai più sola.” Spiegò a quel punto la donna, facendo uso dei suoi strani poteri e tentando di predire il suo futuro. In quanto essere magico, anch’io credevo nella magia, e nonostante non avessi modo di dire lo stesso di Sky, decisi di fidarmi del mio istinto, e quella sera, guardando la luna e le stelle, ne scorsi una più lucente delle altre. Riflettendo, ipotizzai che fosse una stella cadente, ma guardando meglio, con Christopher sempre al mio fianco, scoprii che non lo era, ma che al contrario poteva nascondere un altro significato. Al momento lo ignoravo, ma non importava. Durante il viaggio di ritorno a casa, Sky non aveva fatto altro che accarezzare Midnight e apparire molto più calma, e lasciandomi vincere dal sonno, quella notte dormii come una bambina, felice di averla aiutata e di aver trovato le risposte che tanto bramavo proprio in fondo al bosco.

 
 

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Capitolo 25
*** Il volo delle pixie ***


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Capitolo XXV

Il volo delle pixie

Passarono le ore, e dopo aver vinto una battaglia contro la notte, il giorno si presentò puntuale come sempre, e il sole mi disturbò la vista fino a svegliarmi. Inspiegabilmente felice e di buon umore, rimasi seduta sul letto ad occhi chiusi, con indosso solo la mia veste da notte e un sorriso sulle labbra. La finestra era aperta, e inspirando a pieni polmoni, lasciai uscire l’aria attraverso la bocca. Sveglio come me, Bucky uscì dal suo nascondiglio sotto le mie coperte, e sempre accompagnato dalla sua onnipresente ghianda, ne prese un morso, sporcandosi i baffetti e squittendo, pieno di contentezza. Afferrandolo per il collo con appena due dita, lo abbracciai e tenni stretto a me, e senza alcuna protesta, il mio animaletto mi lasciò fare. Eravamo ormai amici di lunga data, e nonostante fossi sentimentalmente legata a Christopher, che intanto dormiva ancora come un vero e proprio ghiro, lui sembrava non poter evitare di reclamare il mio amore e le mie attenzioni, proprio come un bambino geloso. Trovandolo semplicemente adorabile, ridevo spesso, ogni volta che cercava di farsi preferire da me allo stesso Christopher. Ai suoi occhi, ero la sua padrona, e nessuno avrebbe mai potuto farmi del male. Ad essere sincera, amavo entrambi allo stesso modo, e nonostante il tipo di amore che provassi per il mio lui fosse di natura diversa, ciò non cambiava le cose. Ormai in piedi, non esitai a prepararmi la colazione, e non mettendo sotto i denti che qualche biscotto accompagnato con del caldo latte, fui felice di affrontare una giornata tutta nuova. La luce solare splendeva con forza, e dando ad ogni abitante del bosco una speranza di vita tramite i suoi raggi, mi aiutava a restare positiva, qualità che secondo colui che consideravo mio fidanzato e protettore non avevo mai perso. A volte mi fermavo a pensarci, giungendo sempre alla stessa conclusione. Il mio Christopher mi amava per quella che ero. Ingenua, un pò sciocca e forse infantile, ma sempre io, e a lui andava bene così. In molti, esseri magici o meno, nel vedermi direbbero certamente che sono abituata a vivere fantasie prive di un fondamento, ma io stessa non sarei d’accordo. So di essere me stessa e di conoscere le mie verità, ragion per cui credo che vivere la mia vita con un minimo appetito per ciò che sono i miei sogni e i miei desideri non sia certo un male. Amandomi, Christopher è dalla mia parte, e mentre stamattina il vento è molto più leggero, noto che anche quelle minacciose nuvole sono scomparse. L’atmosfera si è calmata, e anche Sky. Attende ancora di conoscere al meglio i suoi poteri e conoscere il suo protettore, e ad essere sincera, anch’io. Ho avuto la fortuna di conoscere Christopher, e spero con tutto il cuore che sia felice e che sia baciata come me da una sorte perfino migliore della mia. Fra noi  non c’è mai stata alcuna rivalità, e sperando ardentemente che ciò non accada mai, ho già dimenticato la nostra precedente incomprensione. Mi aveva fatto del  male lasciandosi controllare dalle emozioni, e fidandomi di lei, l’avevo perdonata. Sempre seduta fra l’erba, era in compagnia di Lucy, che ronzandole attorno come un adorabile insetto, ripeteva costantemente la stessa e identica frase. “Sai che oggi è un giorno speciale?” diceva, saltellandole e giocando con gli spruzzi della sua stessa e colorata magia. “E che succederebbe?” chiese lei, arrendendosi alla sua insistenza e aspettando una risposta che l’avrebbe presto distratta dai suoi pensieri. “Non posso ancora dirtelo. È importante, e sto aspettando Kaleia. L’hai vista?” rispose la piccola, per poi porle quella domanda iniziando a preoccuparsi per me. “No.” Rispose soltanto lei, riducendosi al silenzio mentre guardava l’orizzonte con aria pensosa e quasi annoiata. “E Midnight? Midnight l’ha vista da lassù in cielo?” continuò la bambina, non arrendendosi di fronte a una risposta così misera. “Mi dispiace, non l’ho vista.” Replicò mia sorella a denti stretti, ignorandola e dandole le spalle. “Sei cattiva, non come lei.” Protestò quella povera pixie, voltandosi a sua volta e spargendo senza volerlo una sottile scia di polvere magica. Notando quel suo goffo trotterellare, sollevai un braccio perché potesse vedermi, e quando accadde, la piccola trasformò la camminata in corsa, venendomi incontro e sforzandosi di volare. Riuscendoci appena, per poco non cadde, e salutandola, la presi in braccio. “Ma allora sei qui!” disse, felice di vedermi e con gli occhi che brillavano come fossero stati pieni di stelle. “Certo che ci sono! Credevi che ti avrei lasciata?” risposi, ridacchiando divertita a quella sola idea, che aveva preso posto senza sforzo nella sua mente semplice. “Tu no, ma Sky sì. È stata cattiva con me.” Replicò lei, delusa e ferita dal suo comportamento nei suoi confronti. A sentire quelle parole, ebbi una sorta di tuffo al cuore, e volendo rassicurarla, intervenni subito. “Tesoro, sono sicura che non voleva, vieni con me.” Dissi infatti, abbozzando un sorriso e guidandola verso lo spiazzo d’erba che precedeva il lago, unico posto in cui l’avevo vista giocare in sicurezza. Una volta arrivate, usai i miei poteri per sollevarla da terra e aiutarla nel volo, e quando anche Bucky si unì al gioco, feci la stessa cosa, sollevando anche lui  e permettendogli di toccare vette mai viste. Era solo un gioco, ma di fronte alle sue giocose risate, Sky s’intenerì. “Questa piccolina doveva parlarti.” Mi disse, dolce e tranquilla. “Davvero?” chiesi, chiudendo la mano a pugno e rimettendola a terra assieme al mio amico scoiattolo, che, spaventato, ebbe qualche difficoltà a rimettersi in piedi sulle zampe. “Dimmi, Lucy.” Concessi, sedendomi in terra con lei e lasciando che mi si sedesse in grembo. “Sai che oggi è un giorno speciale?” iniziò allora lei, ripetendosi forse per l’ennesima volta e premendo sui nervi della mia povera sorella, costretta ad ascoltare quella nenia fino al mio arrivo. “Perché? Che succede oggi?” azzardai, sinceramente curiosa. “Christopher non te l’ha detto? Ci saranno tutte le mie amiche! Finalmente!” rispose a quel punto la bimba, felice e sorridente come mai l’avevo vista. Stringendomi nelle spalle, mi limitai a guardarla aspettando che aggiungesse altro, e solo allora, sia Christopher che mia madre fecero il loro ingresso sulla scena. “Parli del volo di voi pixie, piccolina?” le chiese il primo, abbassandosi al suo livello e sorridendo nel toccarle una spalla. “Sì! Lo aspetto da tanto!” replicò la bambina, entusiasta al solo pensiero. “Sarà bellissimo, vedrai.” Le disse la seconda,  regalandole a sua volta un sorriso e nutrendo le sue giovani speranze. “È stasera, non vedo l’ora.” Ammise poco dopo la piccola, non stando già nella pelle per quella ricorrenza tanto importante. Lasciandola in compagnia di Red e Bucky, Christopher ed io la guardammo giocare e divertirsi in lontananza, e seppur concentrandomi su di lui, non dimenticai di controllarla di tanto in tanto, scoprendo ogni volta che il mio scoiattolo e la volpe del mio ragazzo erano ottime balie per una bambina. Innamorata, lo abbracciai lasciando che mi tenesse stretta, e intrecciando le mani dietro al suo collo, presi l’iniziativa per dare inizio ad un bacio dolce, caldo e tenero. Ce n’eravamo dati a decine, avevo letteralmente perso il conto, ma non importava. In fin dei conti, perché contare gli attimi con lui se potevo godermeli? Lasciandomi fare, Christopher ricambiò quel bacio con altrettanta tenerezza, e stringendogli le mani, non osai sottrarmi al suo amore. Quando dopo poco ci staccammo, mi sdraiai fra l’erba, e tenendogli la mano, lo vidi imitarmi e guardare assieme a me i colori del tramonto. Una scena che osservavo ogni giorno, e della quale non mi sarei mai stancata. Senza accorgermene, rimasi in quella posizione per un’ora intera, e mentre Christopher mi accarezzava le spalle e i capelli, voltandosi solo per baciarmi ancora sul naso infinite volte, Lucy continuava a ridere divertita, non volendo saperne di smettere di giocare e correre fra l’erba, spensierata com’era solita essere. Piccolo e agile, Bucky saltellava ovunque per il suo divertimento, e più veloce del minuscolo amico, Red spariva dalla vista di entrambi solo per lasciarsi inseguire, abbaiando per convincere la sua compagna di giochi. Non osando interferire, noi due la guardavamo, e perfino quando cadde inciampando in una stupida roccia, Red e Bucky furono lì per lei. Uno le andò vicino per leccarle la piccola ferita alla gamba, l’altro spinse quella roccia fino a farla cadere nel lago. Gli ci volle del tempo, e anche se goffamente, alla fine ci riuscì. A quella scena, sorrisi, e fiera di lui, sussurrai un complimento che non potè sentire. “Bel lavoro, Bucky, bravo.” Dissi soltanto, potendo giurare di averlo visto voltarsi a guardarmi proprio in quel momento. Sorpresa, sbattei gli occhi, e poco dopo, con l’imbrunire, vidi Lucy correrci incontro, in lacrime. “Kaleia! Christopher! Aiutatemi!” gridò, tenendosi con una mano un lembo del vestitino viola. “Lucy! Amore, che succede?” chiesi, rimettendomi in piedi e andando ad abbracciarla. “Il mio vestito! Le mie amiche non possono vedermi così…” si lamentò, mostrando con aria mesta la macchia di fango ed erba che albergava sulla stoffa leggera. A quella vista, provai istintivamente pena per lei, e prendendole la mano, la condussi in casa. La macchia non era certo un problema irrisolvibile, ma quell’evento doveva essere importante, e volendo solo aiutarla, l’affidai a mia madre. “Signora Eliza, mi può aiutare?” chiese, tenera come al solito. “Certo, piccola, vieni, il tuo vestitino tornerà come nuovo.” La rassicurò lei, accompagnandola nel bagno di casa e mostrandole il luogo in cui in genere faceva il bucato. Meticolosamente e rigorosamente a mano, e una volta fatto incredibilmente morbido sulla pelle oltre che pulito. Prima di aiutarla a toglierlo, però, prese da una pila di indumenti qualcosa di vecchio, tenendolo con delicatezza. “Intanto puoi mettere questo, sai farlo da sola?” le disse poi, mostrandole una delle mie vecchie camicie da notte, di quando avevo all’incirca sei anni come lei. Colta dall’imbarazzo, la bambina annuì arrossendo, e avvicinandosi a me, andò alla ricerca di conforto e protezione. “Vieni, Lucy. Ti accompagno nella mia stanza.” Fui veloce a dirle, sbloccando la situazione e salvandola da ulteriore vergogna. Annuendo ancora, la piccola mi seguì in silenzio, e intuendo di dover stare in disparte, Christopher rimase ad aspettarmi in salotto. Una volta fatto, tornai da lui, e a sera ormai fatta, Lucy non attese che di poter riavere il suo vestito. Non appena fu pronto e asciutto, mia madre si offrì di aiutarla a infilarlo, e una volta pronta, la bambina prese a scalpitare per uscire di casa, decisa a celebrare con le sue simili quella così importante ricorrenza. Accompagnandola, le tenni la mano per tutto il tempo, e tenendo alto lo sguardo, mi aspettai di vedere altre pixie a lei simili, ma per minuti interi, nulla. Poi, quando la luna si decise a spuntare, eccole. Mille e mille altre fatine volavano tutte insieme, senza mai perdersi di vista, sempre vicine e mai separate. Aguzzando la vista, mi parve di vederle tenersi tutte per mano, ognuna con una propria compagna di volo. Seppur pronta, Lucy non sorrideva, né sembrava intenzionata a spiccare il volo. Triste e sola, se ne stava seduta per terra con le ginocchia al petto e lo sguardo verso il cielo, con aria pensosa. “Lucy, cos’hai? Non aspettavi altro!” dissi, cercando di intervenire e convincerla ad andare. “Non c’è nessuno per me, io non ci vado da sola.” Spiegò, per nulla pronta a intraprendere quella sorta di viaggio con le sue sole ali. “Dici davvero?” chiesi, abbassandomi al suo livello per accarezzarle una guancia arrossata da un nuovo pianto unito a quello precedente. “Sì, vedi? Non c’è nessuno, tutte hanno un’amica.” Rispose subito lei, sconsolata. Di nuovo in pena per lei, guardai in alto, e Christopher fece lo stesso, ma io non vidi nulla. Poco dopo, vantando un occhio più attento e critico del mio, proprio Christopher si accorse di qualcosa. “Kaleia, guarda.” Mi pregò, invitandomi a volgere lo sguardo nella sua stessa direzione. “Cosa?” azzardai, confusa e stranita. “Là in alto.” Mi indicò, puntando il dito verso una coppia di fatine in particolare. Seguendo la sua indicazione, aguzzai ancora la vista, e fu allora che le vidi. Più grandi delle altre, mi sembravano adulte, e volando vicine, sembravano alla ricerca di qualcosa. In quel momento, animata da un’intuizione, mi scambiai con Christopher uno sguardo d’intesa, poi tornai a guardare Lucy. “Ne sei sicura, piccola? Guarda meglio.” Dissi, incoraggiandola ad alzare di nuovo gli occhi. Obbedendo a quella sorta di ordine, la bambina tornò a osservare le stelle, e sobbalzando, si sentì mancare. “Mamma, papà!” gridò, levandosi subito le scarpine e sbattendo le ali per iniziare a volare. Incantata da quella scena, non potei impedire che una lacrima mi solcasse il viso, e pur provando a ricacciarle indietro, notai che molte altre la seguirono, non potendo fare assoluta mentente nulla. In altre parole, piansi in silenzio, e nel momento in cui un ennesimo bacio tenne me e il mio Christopher uniti in quella notte tanto magica, io fui felice, e non sentendo nel cuore altro che amore e pace, fui sicura di aver compiuto un’altra buona azione, e di aver visto una piccola fata unirsi a tante altre e alla sua vera famiglia grazie ad una vera e propria tradizione. Ero anch’io un essere magico, e il mio mondo era il mio regno, ma nonostante tutto, non ne conoscevo ancora ogni usanza. Ad ogni modo, ora ne avevo scoperto un’altra, e lasciando che i miei pensieri si sciogliessero nel vento come i miei capelli, ricordai la danza delle lucciole e lo sbocciare del mio amore con Christopher, e durante quel tanto sospirato bacio, che avrei voluto veder durare per sempre, un altro miracolo oltre alla purezza dei nostri sentimenti, ovvero il ritorno di una dolce bambina al fianco dei suoi genitori, durante un viaggio d’amicizia e fortuna da tanti conosciuto come volo delle pixie.


Buonasera, miei cari lettori. Siamo vicini a mezzanotte, ma la storia e la sua conclusione non potevano aspettare. Si conclude qui la prima parte di questa saga a tema fantasy, con la fata Kaleia, il suo Christopher, la piccola Lucy e tanti altri. Vi aspettavate il ritorno della bimba dai suoi genitori? Ad ogni modo, grazie a chi ha letto questa storia fin qui, e alla prossima parte, che dovrebbe essere online nel giro di cinque giorni. Il condizionale è d'obbligo, ma intanto ancora grazie a tutti, e a presto,

Emmastory :)

 

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