La maledizione del bosco

di P h o e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Caccia alle streghe ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Amicizia stregata ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Una decisione imminente ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: Al tuo fianco ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Caccia alle streghe ***


La maledizione del bosco
Capitolo I: caccia alle streghe







 
Sul limitare di un bosco, dove le credenze popolari erano ormai un culto e la neve attecchiva per quasi tutto il periodo dell'anno, vi era un piccolo villaggio la cui modesta popolazione superava a malapena i duecento abitanti. Non confinavano con castelli o lussuose città, il terriccio che lo ricopriva non aveva nulla a che fare con i ciottoli che tappezzavano il terreno di una città.
Le case di pietra erano disposte circolarmente attorno ad un enorme pozzo al centro del villaggio e le fiaccole seguivano i sentieri per illuminare le notti più buie, era un'epoca dove la paura regnava e le credenze erano all'ordine del giorno.
Caccia alle streghe, ecco di cosa si occupavano gli abitanti. Vi era un credo comune su cui erano d'accordo tutti: il bosco con cui confinava il loro villaggio era il nascondiglio delle streghe e l'avvento di stranieri non era ben visto, soprattutto se coloro che mettevano piede al villaggio erano donne.
Vorrei potervi rassicurare che quest'argomento non mi riguarda, ma non è così.
Nonostante questo fenomeno che si verificava sempre più frequentemente, la vita trascorreva calma e le giornate abitudinarie volavano. Vivevo in una discreta abitazione di pietra che si ergeva dinanzi alla piazza principale, gli abitanti erano cordiali, alcuni si affacciavano addirittura ai davanzali delle finestre per augurare buona giornata. Nessuno sembrava avere segreti e i volti erano sempre gli stessi da che ne ho memoria. 
Sembrerebbe una bella favola, in fin dei conti avevo tutto quello che potessi desiderare: una casa, una famiglia e presto sarei anche diventata zia, mia sorella aspettava un bambino e il pancione cresceva a dismisura. Ma si sa che non può essere sempre tutto rose e fiori.
Quella mattina d'inverno in cui il villaggio si ricopriva di un candido manto bianco, tornai con il solito secchio d'acqua tra le mani. Era stata una notte burrascosa, ma quel giorno il cielo era limpido. Il gelo accompagnò la porta e dal mantello si poteva udire il tintinnio delle gocce che cadevano al suolo.
«Sono a casa» proclamai, senza ricevere risposta alcuna. 
Era insolito entrare e non sentire nessun rumore. Durante la giornata papà si occupava di costruire, riparare ed eventualmente inventare nuovi apparecchi che ci consentivano di condurre una vita più agiata, aveva appreso il mestiere di fabbro dal nonno, ma era un vero e proprio genio, un inventore. Mamma invece era sempre indaffarata con le faccende domestiche e grazie alle sue abili mani dalla cucina proveniva sempre un profumo delizioso di pane dolce e crostate ai vari gusti fruttati. 
Ma quella mattina la casa sembrava deserta. Posai il secchio di acqua all'entrata e mi mossi indisturbata, avvicinandomi al tavolo per arraffare una mela rossa alquanto invitante. 
Non avevo la più pallida idea di cosa fosse successo e se al tempo lo avessi saputo, probabilmente non sarei mai uscita per andare a prendere l'acqua.
Le risposte alle mie domande giunsero quando qualcuno varcò la soglia della cucina con passo felpato, sussultai per lo spavento e mi girai, appiattendomi contro il tavolo.
«Fine, ti ho spaventata?» domandò tuttavia cordiale. Era Bright, il marito di mia sorella, nonché il padre del futuro nascituro. 
Bright era sempre stato un ragazzo gentile dall'animo nobile, trattava mia sorella come una vera principessa e da come si comportava sembrava che avesse ricevuto un'educazione da vero signore. Ma quella mattina aveva il volto pallido e le guance scavate, come se avesse appena visto un fantasma.
«Bright, mi hai spaventata, che succede?» domandai, posando la mela mangiucchiata e avvicinandomi piano.
Lo vidi esitare, le labbra erano ridotte ad una linea sottile e nel suo sguardo si leggeva angoscia. Iniziai sul serio a preoccuparmi e lo fissai apprensiva per incoraggiarlo a parlare. Mille domande vorticavano nella mia testa, frullandola, ma le risposte non tardarono ad arrivare. 
«Si tratta di Elsa, è stata male...» parlò con un filo di voce, mentre il mio sguardo fisso non lasciava trasparire nulla di buono, «Non si sveglia da qualche ora, Tolouse e Rein l'hanno portata dal medico, ma le condizioni non sono buone»
Rimasi pietrificata dalle sue parole, il gelo da fuori sembrava essersi insinuato tra i muri e sotto le mie vesti, poiché rabbrividì agghiacciata. Come poteva essere successo? Mai che nostra madre avesse mostrato segni di debolezza o rallentamento, era sempre stata una roccia, la donna che tutti meriterebbero al proprio fianco e non poteva realmente essere sul ciglio tra la vita e la morte.
Bright mosse qualche passo avanti nel tentativo di confortarmi, ma prima che potesse avvicinarsi scattai all'indietro, seguita dai suoi richiami. Spalancai la porta e mi precipitai fuori per raggiungere la capanna del medico. 
Correvo col fiato corto e le lacrime che colavano come pioggia dagli occhi vermigli. Qualcosa si era improvvisamente spezzato nella bellezza di quella quotidianità che tanto amavo, cosa sarebbe accaduto da lì in avanti? Vorrei aver avuto più risposte in quel momento, ma tutto avviene per una ragione.
E anche sbattere contro qualcuno, nella confusione del momento, avvenne per una precisa ragione. I miei pensieri si arrestarono e barcollando appena indietro, ripresi l'equilibrio. 
«Fine» riconobbi subito quella voce, erano anni che conoscevo quel tono serio e pacato. 
Avevo dimenticato di menzionare la persona che forse più di tutte desideravo al mio fianco in quel momento di inquietudine. Il suo nome era Shade, lo conoscevo da così tanti anni da aver smesso di contarli e per anticipare i pensieri di tutti, non vi era alcun sentimento nel mezzo, da parte sua almeno. Era capitato nel corso degli anni e senza che potessi impedirlo, il suo magnetismo, la sua calma come se tutto andasse sempre bene e la sua capacità di risultare misterioso perfino agli occhi di chi lo conosceva da anni era quasi innaturale, ma lo apprezzavo. Non era di molte parole, eppure con lui ero sempre riuscita a confidare i miei più profondi segreti e lui mi ascoltava sempre.
Avrei tanto desiderato averlo al mio fianco per essere incoraggiata, ma in quel momento di sconforto ogni azione dettata dal mio cervello era completamente sconnessa dal corpo, per questo serrai le labbra fissandolo disperatamente per qualche secondo, in cui lui parve assumere un'espressione diversa dal solito, più preoccupata, ma lo superai senza aggiungere altro. 


Il fuoco all'interno della stanza scricchiolava creando lievi filamenti aranciati all'interno del camino, gli unici rumori che si potevano udire erano quelli e la neve fuori che cadeva dal ramo più basso, mischiandosi al terreno sottostante. Le fiaccole illuminavano parzialmente il viso di mia madre, rendendolo ancora più pallido di quanto già non fosse, non sembrava nemmeno che respirasse, da quanto serena era la sua espressione. 
Il religioso silenzio che aleggiava nella stanza si aggiungeva all'atmosfera cupa. Tutta la famiglia era accerchiata attorno al capezzale di una donna che aveva taciuto il suo malessere interiore ed aveva avuto così tanta premura nei loro confronti. 
«Da quanto lo sapeva?» domandai forse più a me stessa che a chiunque altro. 
«Fine, lo sai che non è» incalzò mia sorella, alle mie spalle, appoggiando una mano sulla mia schiena. 
«Come abbiamo potuto non accorgercene?» continuai infuriata con chiunque avesse deciso di giocare uno scherzo del genere ad una delle famiglie più felici di quel villaggio. Non volevo e non potevo credere che stesse succedendo a noi.
«Vostra madre era una donna altruista e forte» disse mio padre, con tono affranto, «Ha sempre pensato prima al nostro bene che a sé stessa e forse è per questo motivo che non ha voluto parlarne con nessuno»
La fissai: Era così bella, eppure così malata, con il viso scarno e più pallido del solito. Pensai che quel malore l'avrebbe consumata fino alla morte.
Non poteva succedere, doveva esserci una soluzione. Mi alzai di scatto, infilando il mantello e imboccando la strada per l'uscita. Incrociai il medico che stava rientrando con delle erbe curative tra le mani, non aveva una bella cera e questo intese chiaramente quanto fosse grave la situazione.
«Dove vai?» chiese Rein, seguendomi sull'uscio della porta con uno scialle avvolto attorno alle spalle.
«A cercare qualcuno che possa aiutarmi» risposi.
«Ma chi altro può aiutarci?»
Ci pensai bene prima di rispondere e fissai un punto indefinito sul corrimano di legno che accompagnava i gradini, «Non ne ho idea, una strega credo».








 
 
Nota autrice: 
Ebbene finalmente sono tornata su questo fandom, devo ammettere che di recente ho letto un libro che mi ha aiutato a creare questa storia, anche se alcuni tratti possono essere somiglianti, sarà completamente diversa, sperando ovviamente di suscitare l'interesse di tutti. 
Ci tengo a specificare che questa storia, se non si fosse capito, è ambientata nel 1400. Ho voluto iniziare diversamente dal solito, ovvero che Fine e Shade si conoscono già e anche da molto tempo, quasi da quando sono bambini. Spero vivamente di non deludervi! 

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Amicizia stregata ***


La maledizione del bosco
Capitolo II: amicizia stregata







 
L'aria gelida soffiava impetuosa, costringendo gli abitanti a stringersi nei pesanti mantelli di lana. Uno spiffero, che si distinse tra gli altri, fece scintillare gli spuntoni di ghiaccio formati durante il corso dell'inverno sui tetti delle abitazioni. Gli abitati evitavano di camminarci sotto per ridurre il rischio e altri facevano attenzione a non mettere i piedi sulle lastre di ghiaccio. 
Camminavo a passo spedito verso la bottega dello speziale, avevo bisogno di risposte e forse in uno spaccio che vendeva erbe medicinali e infusi, avrei trovato le risposte che cercavo. Spinsi la pesante porta di legno e mi scrollai di dosso la neve dai capelli. Conoscevo la ragazza a cui apparteneva quella bottega, o che se non altro le sarebbe appartenuta presto. 
La piccola campanella disposta sopra la porta suonò non appena varcai la soglia, l'aria profumava di mille odori diversi, speziati e floreali, non c'era una vera e propria definizione a quell'aroma miscelato.
Dal bancone spuntò improvvisamente un groviglio di ciuffi acquamarina che incorniciavano perfettamente un viso tondo e raggiante, Sophie possedeva quell'aria innocente che la contraddistingueva ancora da tutte le ragazze del paese, rivolgeva sempre i suoi sorrisi più luminosi a chiunque. 
«Fine!» esclamò infatti, scrollandosi dal viso una foglia che le era rimasta appiccicata, probabilmente si trattava di Eucalipto, «Come posso aiutarti?»
Sophie non era la vera proprietaria della bottega di medicinali, infusi e balsami lenitivi, sua madre gestiva lo spaccio e lei dava una mano quando poteva, ci sapeva fare nonostante la giovane età.
Mi affacciai al bancone, evitando prontamente di avvicinarmi troppo al calderone bollente che fumava e lei mi imitò, quel gesto mi ricordò quando io e Rein in tenerà età le confidavamo le nostre malefatte, ma la questione era molto più problematica e complessa.
«Si tratta di mia madre» sussurrai, nel caso ci fosse qualcuno nella bottega, «Ho bisogno di aiuto, non so a chi altri rivolgermi, siete ciò che di più vicino c'è ad una...»
Coraggio Fine, dillo.
«...Ad una strega» terminai, constatando che l'espressione di Sophie si era raggelata. 
Si scostò appena dal bancone e mi guardò come per capire le mie intenzioni, come se non mi conoscesse più e fossi stata ai suoi occhi una completa estranea. Strinsi le mani sul bancone e abbassai lo sguardo colpevole: Ciò che le stavo chiedendo andava contro ogni legge di quel villaggio.
Parlare di stregoneria era considerato un tabù, il terrore era così diffuso nel villaggio che al solo pronunciare quella parola gli abitanti cambiavano argomento per paura di essere accusati di praticare stregoneria e venir torturati. 
«Di che stai parlando? Non starai insinuando che qui prepariam» scattò subito Sophie, accigliata.
«Non intendevo dire quello, ho solo bisogno di sapere se voi avete mai venduto erbe ad una strega o qualcosa del genere» mi corressi subito, alzando lo sguardo disperato sull'amica, l'unico indizio da cui potevo cominciare me lo avrebbe potuto fornire solo lei, «Ti prego, mia madre è molto malata».
Sophie mi guardò compassionevole e alla fine sospirò, estraendo un pezzo di pergamena ingiallita e tagliuzzata male e intinse la piuma nell'inchiostro, iniziando a tracciare lettere lungo la carta. Pensai che in altri casi non avrebbe mai acconsentito a fornire tali informazioni, ma doveva essere stata riconoscente a mia madre per il dono di saper leggere e scrivere.
Mia madre non aveva mai sopportato le differenze sessiste che vigevano come legge all'interno del villaggio, si era sempre impegnata ad amare la propria famiglia, ma al tempo stesso di venir rispettata indipendentemente dal genere. E grazie alla sua tenacia aveva creato un progetto che forniva istruzione alle bambine che non potevano frequentare la scuola, insegnando loro a leggere e a scrivere.
Era un'ideale di donna che io ammiravo e che consideravo già avanti rispetto ai tempi di marcia di tutti gli altri. 
Nessuno era mai venuto a saperlo, il Borgomastro sicuramente non avrebbe mai approvato, ma finché veniva mantenuto segreto, non si correvano pericoli. E tra le bambine che vi parteciparono quando ancora avevamo poco più di sei anni vi era proprio Sophie.
Quando mi consegnò il biglietto con le informazioni, lo ripiegai e lo infilai nella tasca della gonna. Le dovevo molto, la ringraziai ripetutamente e corsi fuori. 
Il vento gelido mi travolse come un carro trainato dai cavalli, ma non ci badai troppo: Ero contenta perché avevo qualcosa con cui cominciare, avevo un indizio e potevo cimentarmi in qualcosa di nuovo e ottenere almeno dei risultati, non ero intenzionata a piangermi addosso mentre mia madre lentamente ci lasciava.
Immersa in quei pensieri, il mio scarponcino si impigliò inavvertitamente in un ramo basso e io ruzzolai rovinosamente a terra, con la faccia nella neve. 
Se le missioni dovevano iniziare con un primo passo, pensai che quello fu il peggior primo passo della storia. 
Fortunatamente una voce soave e una mano affusolata si posò sulla mia spalla, cautamente. Alzai lo sguardo e riconobbi subito la figura avvolta in un lungo mantello blu impreziosito sul fondo da complicati intrecci di passamaneria dorata. 
«Fine, tutto a posto?» domandò cortesemente. Non era altri che la madre di Shade, i suoi occhi erano così simili e così diversi a quelli del figlio, che adottavano lo stesso colore, ma al contempo quelli della madre erano dolci e cristallini, invece quelli di Shade erano duri e misteriosi.
Mi rialzai grazie al suo aiuto e scrollai via la neve dal mantello.
«Sì, sto bene...» risposi, tastandomi la tasca per capire se avessi ancora con me il biglietto.
Lei sembrò notarlo e sorrise, «Dovresti fare più attenzione, sai?»
E quella frase mi fece rabbrividire, il tono che aveva usato sembrava facesse riferimento ad una cosa soltanto: Il biglietto. I suoi occhi blu come la notte erano corsi subito alla mia tasca anteriore e con un'occhiata d'intesa mi fece capire di quante cose fosse al corrente.
«Posso offrirti una tazza di tè?» chiese cortesemente e io, stuzzicata dalla curiosità, accettai di buon grado.

Lo scalpitare degli zoccoli delle pecore al di fuori dell'abitazione si sovrapponeva allo scricchiolio del fuoco nel caminetto. L'aria calda che produceva il fuoco mi riscaldò le ossa ormai congelate, insieme al tepore del tè che Maria aveva preparato appositamente per entrambe.
La casa di Shade era più grande della mia, sebbene vivessero solo in tre: L'ampio ingresso era sorretto da delle travi così elaborate che forse solo quelle valevano una fortuna, dai muri partivano una serie di fiaccole a muro che si estendevano fino alla cucina, di fronte. 
Diversamente dalla casa in cui abitavo io, nella casa di Shade una volta salite le scale non vi era solo un soppalco, ma un vero e proprio piano, di cui poche case potevano vantarne il privilegio. I divani erano rivestiti dalla lana di pecora per riscaldare durante l'inverno e il camino occupava gran parte del muro, risalendo fino al soffitto.
Il bollitore di rame era stato portato in cucina con un centrino ricamato. Vedevo il mio riflesso stravolto attraverso il bollitore: Avevo un aspetto orribile per colpa dell'ansia. 
Sorseggiai amaramente il tè caldo e cercai di non guardare più la mia immagine riflessa. 
Speriamo che Shade non entri in casa proprio adesso, mi ritrovai a pensare egoisticamente in un momento del genere.
«Ho saputo di Elsa» esordì Maria con rammarico.
Non dissi nulla, mi limitai a serrare le labbra e a scrollare le spalle consapevole del fatto che in qualche modo il dolore ci accumunava, ma non potei frenarmi dal pensare che il dispiacere di quelli al di fuori della mia famiglia veniva esternato per dimostrare finta empatia per generalità che forse nemmeno comprendevano, forse si sentivano meglio così. Detestavo la pietà, ma quella donna era così dolce che per un attimo la mia collera si placò.
Un dubbio mi ronzava nella testa: Maria sapeva del biglietto e del nome che vi era stato scritto sopra?
Lo estrassi velocemente senza perdermi in troppi giri di parole e glielo mostrai. La vidi imperturbabile, come se già ne fosse a conoscenza e che anzi, mi fosse grata di averlo tirato fuori.
«Chi è Grace?» domandai impaziente, mostrando chiaramente il foglio di pergamena ingiallito.
Lei posò la tazza e si alzò, girando per la stanza in modo enigmatico. 
«Eravamo grandi amiche» rispose inaspettatamente, come se stesse per iniziare a raccontare una storia, «Vivevamo nello stesso villaggio, eravamo amiche d'infanzia, proprio come te e Shade»
Notai il suo sguardo rabbuiarsi e le dita lunghe stringersi nello scialle, «Poi, in età da marito, mentre io sognavo una famiglia e una casa, lei mi confessò di non sentirsi più parte del villaggio e che voleva praticare il suo mestiere nei meandri del bosco»
«Stregoneria» commentai, incapace di trattenermi. Quella precisazione però non fece altro che rabbuiare la donna dinanzi a me. 
«Se ne andò, mentre io restai qui per costruire la mia vita» continuò come se non avesse udito quello che avevo detto, «Passarono cinque anni e alla fine tornò, non mi sembrava vero, al tempo Shade era appena nato e quando la ospitai in casa lei rivelò ogni segreto, ero indignata»
Potevo solo immaginare: un argomento che se fatto uscire allo scoperto portava direttamente al rogo, doveva essere esiliato per ridurre ogni rischio.
Maria guardava fuori dalla finestra, oltre la coltre di nebbia che si era alzata insieme al tramonto del sole. Pensai che fosse bellissima, nonostante l'età, eppure così addolorata per quello che aveva passato.
«Al tempo avevo paura, con Shade ancora neonato, e la cacciai senza ripensamenti» terminò, passando silenziosamente un dito sotto l'occhio per asciugare i rimasugli di lacrime, «Se avessi saputo che non tutta la magia era cattiva...»
La guardai confusa: La stegoneria era un peccato vietato dalla chiesa, profanava Dio e sporcava l'anima fino a renderla impura. Era questa l'unica magia che conoscevo.
Ma poi, dal riflesso del vetro mi parve di scorgere il sorriso di Maria: Un sorriso comprensivo e paziente.
«Lei era una strega bianca» confessò.

L'aroma del té offerto dalla donna si era rivelato soporifero, la salvia aveva lavorato bene sulla stanchezza che mi portavo dalla sera precedente. La notte passata a rimuginare era rimasta insoluta e ora ne pagavo il prezzo. 
Non mi ero nemmeno resa conto di essere caduta in un profondo sonno, tra un racconto e l'altro di Maria ero riuscita a racimolare abbastanza informazioni che mi sarebbero certamente tornate utili. 
Ero consapevole del fatto di dovermi svegliare, ma la lana che ricopriva il divano era così accogliente che non ci fu possibilità per la mia coscienza di svegliarmi, oltretutto il calore che emava il caminetto mi costringeva a soccombere nei miei stessi sensi di colpa.
Nel delirio del sonno, avvertì due braccia forti avvolgere il mio corpo per trasportarlo in un posto più confortevole. Non compresi se fosse un sogno o effettivamente la realtà, ero in dormiveglia e l'unica prova certa che ebbi fu quando aprì lentamente gli occhi e strinsi la mano sul petto solido di qualcuno che non poteva di certo appartenere a Maria. 
Inalai gelosamente il suo profumo di cuoio e muschio e strofinai inconsapevole la guancia sul suo petto. 
Shade...







 

 
Nota autrice: 
Ed eccomi con il secondo capitolo bello fresco appena sfornato!
So di andare a rilento, ma voglio spiegare ogni capitolo in modo dettagliato e ovviamente mi sono permessa di lasciare una scenda redmoon alla fine, perché in questa storia ne vedrete tanta ;)
Spero vi sia piaciuto, alla prossima! 
P h o e

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Una decisione imminente ***


La maledizione del bosco
Capitolo III: Una decisione imminente







 
I deboli raggi di un sole invernale trapassarono le inferriate accuratamente elaborate della stanza, illuminando anche gli angoli più remoti. Da fuori entrava il canto degli uccellini sui rami di cipressi innevati e una lieve brezza che consentiva il cambio d'aria.
Non mi svegliai con l'odore attempato della lana di pecora che ricordavo sotto il naso, bensì sotto lenzuola che profumavano di freschezza, un profumo familiare ma che non riuscivo a riconoscere.
Mi voltai di lato, la bocca impastata dalle ore trascorse a dormire che, considerando lo stordimento, dovevano essere state parecchie. E mi guardai attorno: Ci vollero un paio di minuti per identificare il luogo in cui giacevo. 
Poi tutto si fece chiaro: Sophie, la pergamena ingiallita e Grace, la storia di Maria e Grace. Riordinai tutte le idee che seppur fossero poche, quanto meno avevo qualcosa da cui partire. Maria non era stata in grado di fornirmi la posizione della capanna di Grace, perfino lei ne era allo scuro, e l'idea di avventurarmi in un bosco infestato non era confortante, ma l'immagine di mia madre debolmente in vita continuava a insistere nella mia testa.
Mi alzai, sistemando alla buona i capelli arruffati e indossai scarponcini e mantello. Mentre percorrevo le scale scricchiolanti sperai di poter ringraziare Maria per avermi adagiata su un letto comodo e avermi ospitata per la notte, ero stata così scortese a lasciarmi andare al sonno in quel modo e speravo di rimediare.
«Maria?» mi affacciai alla cucina vuota, controllando in ogni angolo, la casa era completamente deserta, «Milky? Shade...»
Niente, dovevano essersi tutti assentati per svolgere le loro commissioni, Shade in particolare considerando che il suo mestiere lo tratteneva lontano da casa per quasi tutto il giorno. Da quando aveva iniziato — circa otto anni prima — le nostre occasioni di trascorrere il tempo libero insieme erano calate notevolmente. 
Shade era sempre stato diverso da tutti i ragazzi del villaggio: Molti di loro ancora facevano baldoria alla locanda o commettevano bravate disturbando i contadini nei campi, lui invece era sempre rimasto in disparte, riservato e misterioso. Nel corso degli anni aveva perso il padre e quell'accaduto lo aveva reso uomo prematuramente, solo all'età di quattordic'anni aveva già un mestiere — l'unico di cui avesse delle basi solide grazie al padre — e che, coltivandolo nel tempo, ne era diventato un vero professionista.
Era come se il dolore lo avesse trasformato, diversamente da Bright che poteva vantare di una notevole fortuna da parte della sua famiglia, Shade con il duro lavoro aveva sorretto economicamente Maria e Milky, la sorella minore. Ma ancora all'età di ventidue anni qualcosa in lui era oscuro. 
Era come se trattenesse ancora i rimasugli di un'infanzia rubata dal destino, ormai divenuti cenere. Quell'aspetto lo rendeva ombroso e distaccato.
Lasciai scivolare la mano sulla maniglia, sommersa nei ricordi e scossi il capo maledicendomi per essermi persa in frivolezze, quando mia madre ancora giaceva malata a letto.
Imboccai l'uscita, ma qualcuno vestito in abiti scuri mi anticipò sul tempo.
«Shade!» esclamai sorpresa, indietreggiando per lasciarlo passare.
Stava rientrando proprio adesso, dalla bisaccia spuntavano le orecchie di qualche animale che non riuscì a identificare. I suoi occhi mi scrutarono per qualche secondo, come se tra i due fossi io quella misteriosa e poi mi superò accennando un misero saluto.
Nella mia testa era balenata un'idea geniale dalla sua comparsa, richiusi subito la porta e lo seguì in cucina. Spuntai dallo stipite un po' nervosa, sapevo di non doverlo essere, ma più trascorrevano gli anni più Shade diventava terribilmente magnetico per me. 
Aveva posato su una sedia il mantello che raggiungeva di lunghezza a malapena il suo polso e cadeva solo da un lato del corpo, i pantaloni erano rovinati e la camicia sgualcita dall'ultima battuta di caccia. Ma la sua figura avvolta nel nero era ugualmente destabilizzante. 
«Hai mai visto una casa di streghe?» chiesi incapace di guardarlo.
Per un attimo Shade interruppe quello che stava facendo e voltò il capo verso di me, ora che l'aveva tirato fuori dalla bisaccia, riuscivo a riconoscere il pelo candido di un coniglietto morto.
«Credi a queste cose?» ribattè in tono di scherno. 
Rimasi basita, tutto mi aspettavo tranne quella reazione, infatti le sue labbra si curvarono in un sorrisetto divertito.
«Come sarebbe?» mi accigliai.
«Da quando lavoro nel bosco non mi sono mai imbattuto in niente di tutto questo» chiarì in modo arrogante, liquidando l'argomento con un gesto sbrigativo della mano, «Sono solo storielle»
Aprì la bocca per dire qualcosa, sentendomi abbastanza temeraria da argomentare su qualcosa che probabilmente lui sapeva meglio di me. Tornò a fare ciò che stava facendo prima con indifferenza e girai attorno al tavolo, sporgendomi perché guardasse me e non l'animale.
«Solo perché non hai mai visto niente non significa che siano storielle!» continuai imperterrita «Padre Omendo dice che—»
A quel punto si voltò spazientito: «Padre Omendo cosa ne può sapere di ciò che è vero e non? Lo hai mai visto mettere il naso fuori dalla sua chiesa?»
«E' un parroco» ribattei freddamente, lasciando intendere che ne sapeva più di lui.
Quella risposta scatenò una risatina canzonatoria da parte sua, irritandomi a tal punto che lo fissai  stizzita e a grandi falcate ripercorsi la strada per l'uscita.
«Grazie per l'aiuto» ironizzai, sbattendo la porta. 

Percorsi come una furia la strada verso casa, decisa a non lasciarmi scoraggiare dalle sue parole. Mia madre aveva bisogno di supporto e se nessuno al villaggio poteva darmelo, lo avrei cercato da sola. Ad un tratto mi accorsi che niente sembrava spaventarmi di più della morte di mia madre, perfino la Foresta sembrava insignificante se paragonata al prezzo della perdita che avrei dovuto pagare se non avessi agito.
Era come se fossi stata colpita da una corrente di coraggio improvvisa che non mi caratterizzava, tra le due era sempre stata Rein la più temeraria. 
Trascinai i piedi sul porticato di casa e scrollai via la neve dagli scarponcini. Perfino da fuori la casa non aveva più lo stesso aspetto, era come se si fosse spenta insieme a mia madre. Nel villaggio eravamo tra le famiglie più felici e quelli che passeggiavano di fronte spesso venivano contagiati dall'aura di gioia che circondava la nostra casa. 
Ma adesso le tende — un tempo legate — erano tirate per coprire l'interno e le ombre dei fiori oltre le tende erano chiaramente appassite. Le ortensie di cui Rein si prendeva cura erano state abbandonate per dare la priorità a ciò che era realmente importante in quel momento. 
Abbassai lo sguardo aprendo la porta, il profumo delle crostate ai mirtilli che io e mia sorella coglievamo nel bosco era svanito completamente e dal soppalco si sentiva soltanto il pianto soffocato di Rein.
E fu proprio alla luce di tutto quello che decisi che l'indomani sarei partita.







 
 
Nota autrice: 
Non so nemmeno cosa mi sia preso per aggiornare in modo così repentino, ma sono contenta di proseguire poi vedo che molti hanno aperto questa storia e sono soddisfatta!
Spero che piaccia e be', come sempre ci vediamo nel prossimo capitolo!
Baci, P h o e.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV: Al tuo fianco ***


La maledizione del bosco
Capitolo IV: Al tuo fianco







 
Il chiarore delle prime luci del giorno contrastava la fitta coltre di nebbia invernale. Il villaggio era addormentato e tra le strade regnava un silenzio così religioso che lo scrosciare dei passi sulla neve risultava rumoroso.  
A quell'ora nessun mercante era ancora all'opera e sapevo di aver accuratamente scelto quel momento per mettere piede fuori casa, evitando così di sollevare inutili chiacchiere. Una ragazza sola che attraversa il selciato innevato verso i confini del villaggio, non era decisamente quello che desideravo fosse sulla bocca di tutti, ma con grande rammarico mi ero fatta coraggio ed ero partita.
Rivedevo ancora nella mia memoria il viso rilassato di Rein che dormiva al capezzale di nostra madre. Non l'avevo neppure svegliata, avevo preso con me una bisaccia, del cibo a sufficienza per il viaggio e una mappa trovata tra le pagine di uno dei libri impolverati di papà.
La mappa segnava a grandi linee i sentieri del bosco e in qualche modo mi faceva sentire al sicuro. Le preoccupazioni erano un bagaglio incorporato appeso alle mie spalle, non facevo altro che chiedermi come mi sarei sentita se avessi compiuto un viaggio tanto lungo e pericoloso per poi tornare e trovare cattive notizie. 
Quel tipo di pensieri tuttavia non mi avevano scoraggiata abbastanza da mollare. 
E così mi trovavo dinanzi all'imponente porta ad arco che confinava con il bosco e che costituiva una sorta di barriera tra il pericolo e la salvezza. Pochi potevano vantarsi di averla oltrepassata.
Per un momento, guardandomi indietro, nella mia mente comparve l'immagine di Shade. Lui era uno dei pochi che si avventuravano nel bosco quotidianamente e non potei trattenermi dall'ammettere che mi sarei sentita al sicuro con lui al mio fianco.
Ma lui non credeva a queste storielle, pensai.
Un attimo dopo il mio lungo mantello ondeggiava tra le alte fronde del bosco, il freddo sembrava ancora più pungente e riuscivo a distinguere i corvi che gracchiavano appollaiati sugli alberi. Sentivo i loro occhi accusatori addosso, come se fossi inopportuna nel loro territorio e il pensiero che avrei potuto incontrare animali più temibili mi fece accapponare la pelle.
Imboccai un ripido sentiero, segnato sulla mappa, incespicando nella neve e aggrappandomi ai rovi per non cadere rovinosamente. Il silenzio era agghiacciante e iniziai a guardarmi attorno ogni dieci passi, le impronte segnavano precisamente la strada che avevo percorso, ma era come se da un momento all'altro avessi potuto scorgere due impronte in più. 
Mi strinsi nel mantello, accellerando il passo e, senza rendermene conto, in pochi secondi stavo già correndo. L'aria fastidiosa mi costrinse a socchiudere gli occhi, i quali già lacrimavano per il freddo. Crosh, crosh, il rumore degli scarponcini sulla neve immacolata. Avevo paura ed era come se sentissi la presenza sconosciuta ad un soffio dalle mie spalle, pronto ad afferrarmi. 
Non osai voltarmi, continuai a correre con un groppo di angoscia in gola, finché una radice di cipresso non mi tagliò la strada.
Era finita, pensai ruzzolando vorticosamente a terra e girandomi subito per incontrare il volto della figura che mi stava inseguendo. 
«Sei incorreggibile» commentò lui con aria rassegnata, allungando la mano nella mia direzione.
Strabuzzai gli occhi, incapace di crederci: Era Shade!
Lo fissai come se fosse una figura mitologica manifestatasi sotto il mio naso e accettai il suo aiuto, scrollando di dosso la neve dalla cappa che portavo. Era avvolto in un pesante mantello che gli copriva parte del corpo fino al polso e attorno alla cinta era legata la sua inseparabile frusta con cui andava a caccia.
I suoi occhi mi scrutavano severamente, come se non si fosse aspettato che sarei stata così avventata.
«Che cosa ci fai qui?» domandai, indietreggiando di un passo quando lui avanzò verso di me. 
I suoi occhi erano impenetrabili e l'espressione sul suo volto non ammetteva repliche o spiegazioni di alcun genere. 
«Non sono stato abbastanza chiaro?» esordì minacciosamente.
Intorno a noi tutto si era fatto improvvisamente muto, la brezza gelida era sparita e il frusciare delle foglie era cessato. Ne pestai una mentre continuavo a indietreggiare, poi ad un tratto piantai i piedi a terra per fronteggiarlo. Non avevo di certo paura di lui.
«Sono qui per mia madre» dichiarai senza timore.
«E credi che inoltrarti in un bosco che non conosci e pieno di pericoli l'aiuterebbe?» domandò a quel punto Shade, retoricamente.
Non potrei rispondere a quella domanda, perché parte di me conosceva già la risposta. Ma non era stata proprio la determinazione a spingermi fino a quel punto? Vedere mia sorella con il viso scarno per la stanchezza e le ore piccole, addormentata al capezzale di mia madre: quello mi aveva spinto a intraprendere questo viaggio.
Alzai gli occhi sui suoi, fino a quel momento timorosi di incontrare la disapprovazione sul suo volto.
«E cosa dovrei fare, mh?» sibilai come se quella domanda potesse perdersi nel silenzio.
Shade non rispose, la sua espressione era imperturbabile. Sembrava quasi che da un momento all'altro avrebbe potuto ammonire la storia di mia madre solo per il fatto che la vita andava presa così, come l'aveva presa lui quando aveva perso suo padre. 
Ma non lo disse, sospirò profondamente e alzò il capo. 
«E dove credi di andare per trovare quello che cerchi?»
«Non lo so, sto cercando una strega bianca ma non conosco il bosco» ammisi, estraendo la mappa dalla bisaccia per poterla aprire, ma prima che potessi esaminarla ancora una volta Shade ci poggiò una mano sopra e l'accartocciò.
«Metti via questa roba, ti porto da qualcuno che conosce ogni angolo del bosco» concluse, incamminandosi nella direzione opposta a quella che avevo preso io.
Fissai la sua figura di spalle che imboccava il sentiero di pini e il dubbio che sapesse della mia partenza si insinuò nella mia testa: Shade mi aveva seguito apposta per assicurarsi che non mi capitasse niente di spiacevole? O era solo una casualità?
Seguì il suo passo per stargli dietro e lo sentì sbuffare.
«Smettila di sorridere o torno indietro» mi avvertì. 





 


 
Nota autrice: 
Scusate il ritardo, anche se di qualche giorno in più rispetto alla tabella di marcia, ma ho cominciato a lavorare in un posto nuovo e tra una cosa e la stanchezza mi è riuscito difficile aggiornare, ma cercherò di essere puntuale.
In questo capitolo ho svelato chi accompagnerà Fine nel suo viaggio, grazie per quelli che hanno recensito, risponderò a tutti.
Un bacione! P h o e

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