Il volto

di AngelCruelty
(/viewuser.php?uid=338305)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La maschera ***
Capitolo 2: *** La maledizione ***
Capitolo 3: *** Al proprio posto ***
Capitolo 4: *** Polvere ***
Capitolo 5: *** Porta aperta ***
Capitolo 6: *** Bacio del vero amore ***
Capitolo 7: *** Morale della favola ***



Capitolo 1
*** La maschera ***


Il volto




 
Link Audiolibro su Youtube del primo episodio: https://www.youtube.com/watch?v=SBWZ5gey8Pw&t=3s
Seguimi anche su Instagram @angelcruelty
E sulla mia pagina FB "Angel Writing spot - Marika Ciarrocchi autrice"
per sapere quando vi sono aggiornamenti, nuove storie, audiolibri, trailer e tanto altro!


 
IL VOLTO
Episodio 1: La maschera

 
La sveglia del cellulare ticchettò, segnando il mio momento preferito della giornata. Pigiai il tasto 'ok' sullo schermo e staccai il telefono della mia scrivania, ufficializzando così l'inizio della mia pausa dal lavoro, come ogni primo pomeriggio. Mi incamminai lungo il corridoio immacolato dell'ufficio legale dove passavo la maggiorparte del mio tempo. Andavo a passo spedito con un sorriso raggiante in volto; stradafacendo incontrai numerosi volti famigliari, ma non li guardai davvero. Loro mi salutarono e io ricambiai con un accenno, donne di mezza età che facevano buon viso a cattivo gioco, ragazze che seguivano consigli di moda sul mio blog, uomini di tutte le età che aspettavano solo che fossi alle loro spalle, per voltarsi e osservare il mio lato B. Conoscevo quei comportamenti e ormai vi ero più che abituata, anzi, mi rendevano orgogliosa di me stessa: ero una donna in carriera, una ragazza desiderata, e una persona acculturata. Cosa mai potevo desiderare di più? In realtà, sin dal primo giorno in quell'ufficio, ho bramato qualcosa, o meglio, qualcuno. Tra tutti coloro che mi hanno fatto la corte, solo un uomo è riuscito ad attirare la mia attenzione, quello che stavo per incontrare in una stanza d'albergo. Era un'abitudine pranzare con lui in privato, chiacchierare, sorseggiare un po' di champagne … Due ore dopo sarei tornata a lavoro, pronta a digitare sul pc contenta come non mai: il mio desiderio si era avverato. Arrivai alla solita camera e entrai utilizzando la mia copia della chiave digitale. Il mio sorriso sgargiante si trasformò in un malizioso ghigno alla vista dell'uomo che amavo: “Buongiorno, mio Scrouge.”Dissi, ammirandolo.
Era sdraiato sul letto con lo smoking ancora addosso: nonostante si fosse accomodato al meglio, l'abito non presentava la minima piega. Come sempre, tutto calcolato. Portava gli occhiali leggermente scesi sul naso, così da leggere comodamente i documenti che stringeva tra le mani. Lavoro. Lavoro. Lavoro. Stacanovista.
“Mio cigno!” Mi salutò accennando un sorriso. I suoi denti bianchi quasi rilucevano per via della luce calda dei lampadari a muro dell'hotel. Uno dei motivi per cui mi era sempre piaciuto quell'uomo era che sembrava uscito da una pubblicità, ma non si poteva determinare di quale tipo. La dentatura perfetta suggeriva quella di un dentifricio, ma la postura , l'aria colta e la maniera in cui sorseggiava dalle tazzine ti facevano scommetere su quella di una marca di caffè, o ancora, con la sua eleganza si poteva pensare ad uno spot di profumi. Amavo quando mi chiamava 'cigno', amavo ogni singolo momento passato insieme. Mi sedetti sul bordo del letto, vicino ai suoi piedi, e posi le mie dita smaltate sul plico di fogli che ci separava, spingendolo ad abbassarlo. Per la prima volta mi rivolse lo sguardo, e io ricambiai con intensità.
“Basta con questi grattacapi, rilassati adesso.” Affermai con tono melenso.
Lui si tolse gli occhiali e si massaggiò le tempie: “Mi ci vorrebbe, si.”
“Come mai?” Domandai preoccupata. Bernard non si mostrava mai stressato, anche se io percepivo che lo era.
“Ah, questa cosa del ballo. In ufficio hanno organizzato questo galà in maschera per i pezzi grossi, tutti dobbiamo andare con i nostri partner, è per beneficienza. Ma sai bene quanto mia moglie odi gli eventi mondani e tutto ciò che riguardi il mio lavoro, e mi sta rendendo la vita un inferno. Sappiamo bene che non posso andare da solo senza dare un'immagine sospetta, e dopo quella gaffe nell'ascensore non posso permettermi scivolate, Beth.” rispose lui.
Arrossii appena al ricordo dell'ascensore. Ci eravamo lasciati andare giusto per qualche attimo, ma era bastato per far notare ad un collega di Bernard che avevo una bretella del reggiseno scesa. Avevo tentato di spiegargli che non era poi una gran cosa, che quando le bretelle troppo lente possono scendere anche da sé. Inoltre, anche ammesso che l'avvocato avesse avuto dei pensieri troppo maliziosi su di me, non c'era motivo di pensare che quei pensieri riguardassero anche Bernard. Lui però era un perfezionista, e ultimamente era anche paranoico. Tutto perché non voleva intaccare la propria immagine di uomo modello facendo trapelare la notizia della nostra storia clandestina. Tutto per lei. Certo, lei era la moglie, ma come aveva detto lui quella donna non sopportava la vita mondana né il lavoro di Bernard, ma lui era il suo lavoro. Odiare quella vita equivaleva ad odiare la sua immagine, i suoi comportamenti bizzarri che sfociavano quasi nell'ossessione, la sua attitudine a confutare qualsiasi opinione avversa alla propria. Io invece lo capivo, avevo a che fare con i problemi del mestiere ogni giorno, e stavo lavorando sodo per mettere da parte i soldi per tornare a studiare legge e essere esattamente come lui, bella, perfezionista, intelligente. Già, io ero proprio il pezzo d'incastro perfetto per il suo puzzle... Così mi venne un'idea: “Porta me!” Esclamai.
Lui mi guardò come se fossi impazzita. Si, andare al ballo con una ventunenne su cui qualcuno sparlava già troppo era forse una terribile idea. Eppure mi sembrava l'unica soluzione che rendeva tutti contenti: “Pensaci. Tua moglie può starsene comodamente a casa con la governante, tanto nessuno l'ha mai vista. Hai detto tu che si è sempre rifiutata di prendere parte a queste cene, non è vero? Nessuno sa che aspetto abbia, e certo, non puoi dire che io sono tua moglie, perchè conoscono il suo nome e sanno che io sono solo una segretaria, ma se il ballo è in maschera non devono vedere il mio viso. Tutto quadra! - man mano che parlavo mi entusiasmavo sempre più. Sarebbe stato divertente partecipare ad una festa in maschera, sfilare in silenzio nascondendo un segreto solo mio e suo, sgattaiolare in qualche anfratto del locale per ottenere l'intimità che tanto bramiamo durante la vita quotidiana...
“Credi davvero che una simile scemenza possa funzionare? E se poi incontrassero mia moglie prima o poi? Non avete certo lo stesso corpo! E tutti sanno che mia moglie ha quarantacinque anni come me, tu sei solo una ventenne, sarebbe palese. Per non parlare del fatto che ormai ne ho già parlato con Serena. Le ho detto che la sua presenza è vitale, per la beneficienza, sai? Non posso mica cambiare idea così repentinamente! Sei solo una bambina.” Così dicendo si alzò in piedi e si sistemò la cravatta.
Ero abituata a sentirlo ribattere su qualsiasi cosa, persino sulla migliore temperatura dell'acqua della doccia, per cui non mi ero sentita offesa, fino all'ultima frase. Quelle parole mi colpirono nel profondo. Lui stesso mi aveva scelto per la mia sensualità da donna! Non ero di certo una bambina. Così continuai a discutere: “Non fare l'avvocato con me! Tu mi hai cercata, tu mi hai voluta, ti piace l'avventura, i sotterfugi, il rischio. Ora ti sto solo chiedendo di correre il rischio con me!” Esclamai alzandomi a mia volta.
Ma lui aveva già raccolto le sue cose e si stava dirigendo verso la porta: “Il caso è chiuso, domani andrò al ballo con Serena.” disse duramente, con tono professionale, come se il nostro legame fosse un semplice incontro di lavoro.
“Domani? Mi avevi promesso che saresti stato con me domani! Ricordi? Sono sette mesi che stiamo insieme!” gli ricordai nervosa, non poteva averlo dimenticato!
“Non siamo dei quindicenni, sopravviveremo. Domani non avrò tempo nemmeno per il pranzo.” Aveva deciso. Era un avvocato che si atteggiava a giudice. Finito di parlare mi lasciò da sola, arrabbiata più che mai. Aveva evidentemente dimenticato che in quel rapporto ero io a comandare, come in ogni relazione che avevo mai intrapreso. Scossi la testa ricadendo sul letto, e poi ebbi un'altra idea, che mi piaceva anche più della precedente. Non voleva fingere che io fossi sua moglie? Bene così, ma niente mi vietava di andare lo stesso al ballo, e se avessi dovuto sopportare di vederlo giocare alla coppia felice con Serena, lui mi avrebbe vista fare lo stesso con un altro uomo. Non mi restava che procurarmi un outfit adatto.
Non ci misi molto a trovare un vestito. La mia boutique preferita aveva l'occorrente per ogni occasione, ma ciò che reputavo più difficile era trovare la giusta maschera. Quale poteva essere abbastanza sexy, provocante ma allo stesso tempo elegante? Non ero esperta nel campo, ma conoscevo qualcuno che poteva aiutarmi. Quando entrai nel teatro, facendo ticchettare le scarpe sul parquet per recarmi dietro le quinte, alcuni attori che stavano facendo delle prove mi lanciarono delle occhiatacce minacciose. Mi diressi ugualmente verso la sala costumi e chiamai a gran voce, forse più per dispetto che per necessità: “Simòn!”
Il mio amico di liceo comparve dietro un’attaccapanni con indosso un cappello bizzarro: “Oh, Bethany! Chi si rivede! È una vita che non torni a vedere uno spettacolo, ho creato certi modelli che ti farebbero strabuzzare gli occhi ultimamente!” mi aggiornò, abbracciandomi e baciandomi le guance.
Ma io ero impaziente, non vedevo l'ora di essere pronta per 'entrare in scena':“Posso solo immaginare! Ma adesso non ho tempo, mi dispiace. Sono qui per chiederti un piccolo favore, ho bisogno di una maschera che si abbini a questo vestito.”
Così dicendo gli mostrai il selfie scattato davanti allo specchio del camerino, mentre provavo l'abito che avevo acquistato.
“Spettacolare, Beth. Credo di avere ciò che fa al caso tuo!” disse lui eccitato. Mi condusse in uno stanzino minuscolo e impolverato e tirò fuori da una scatola una maschera bianca, semplice, che copriva metà viso. La particolarità stava nei brillantini che la cospargevano e nelle piume tutte intorno. Storsi il naso. Certo, il vestito aveva sfumature bianche e celesti che si intrecciavano lungo tutto il corpo, ma non mi sembrava adatta.
“Opzione B?” domandai.
Lui ci pensò un attimo: “Okay, che ne dici di questa?” il ragazzo tirò fuori una maschera che copriva l'intero viso, di pizzo, carina ma non speciale. Prima che potessi commentare però, qualcuno chiamò il nome di Simòn.
“Arrivo!” rispose lui, consegnandomi la maschera: “Sono giorni pieni di impegni questi! Scegli tu quella che vuoi, basta che tieni fuori il naso dalla scatola blu. Quei pezzi mi servono.” Parlò, mi diede nuovamente un bacio, e poi corse via.
Io rimasi a curiosare, rovistando nelle scatole che mi aveva indicato. La polvere però iniziava a darmi fastidio, per cui feci uno starnuto. Fu così forte e improvviso che inciampai su qualcosa e riuscii a tenermi in piedi solo aggrappandomi alla porta. Ansimai appena mi ricomposi, spazzolando via con le mani la polvere che avevo raccolto sul tailleur. E poi la notai: la maschera perfetta. La curva superiore degli occhi era creata dal collo di due cigni che univano i loro becchi. Le piume delle loro ali erano rese da vere piume bianche, immacolate. Due ali sporgevano al di fuori della forma del viso, le altre due andavano a creare la forma inferiore degli occhi. La maschera arrivava fino al mento, e sotto i cigni il disegno di una cascata, quasi come fossero lacrime che scivolavano via dalle fessure degli occhi, a simboleggiare il fiume in cui vivevano quegli uccelli. Mi avvicinai per raccoglierla, ma mi accorsi che la cosa in cui ero inciampata era la scatola blu, e che la maschera era caduta proprio da quel contenitore. Simòn mi aveva chiesto di lasciar stare quelle cose … eppure, come potevo scegliere un'altra maschera quando dovevo provocare un uomo che si appellava a me chiamandomi proprio 'cigno'?
“Scusami Simòn.” dissi a bassa voce, afferrando la maschera e uscendo dal teatro. Infondo gliel'avrei riportata solo pochi giorni dopo.

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La maledizione ***


Il volto




 
Link Audiolibro su Youtube del secondoepisodio: https://www.youtube.com/watch?v=qkiSEHervko
Seguimi anche su Instagram @angelcruelty
E sulla mia pagina FB "Angel Writing spot - Marika Ciarrocchi Autrice"
per sapere quando vi sono aggiornamenti, nuove storie, audiolibri, trailer e tanto altro!


 
IL VOLTO
Episodio 2: La maledizione
 
Ripassai per l'ennesima volta lo strato di rossetto che avevo applicato sulle mie labbra e poi lo infilai nella borsetta. Era giunto il momento, finalmente. Sorrisi alla me stessa riflessa nello specchio: solo con la giusta dose di confidenza avrei ottenuto ciò che volevo. Per cui eliminai ogni dubbio, indossai la maschera, e entrai in scena. Varcai la soglia del locale sottobraccio a Corrado, lo scapolo d'oro dell'ufficio in cui lavoravo. Mi aveva mandato messaggi piuttosto chiari sin da quando mi ero inserita in quell'ambiente e adesso mi sarebbe tornato utile. D'altronde lui aveva un invito al galà. Da buon gentiluomo mi scortò all'interno della sala in cui si teneva il buffet di beneficienza. Il posto era elegante, raffinato. Il pavimento dorato si abbinava alle enormi colonne scolpite che tenevano in piedi l'edificio. Bouquet di fiori si ergevano sui tavoli, più preponderanti dei manicaretti di cibo. Le tende bordeaux sembravano pesanti e coprivano interamente la vista dei palazzi milanesi che si estendeva al di là delle finestre. Il locale era gremito di gente, ma il mio sguardo vigile non faceva che cercare Bernard. Quando lo trovai non potei fare a meno di notare come fosse al suo agio in quell'ambiente, così galante, signorile. Sua moglie invece … la donna indossava un vestito nero, che le stava un pochino largo, accompagnato da decolté nere, pochette nera, maschera nera e fermaglio nero tra i capelli.
Sei ad un funerale, forse? Mi chiesi, con un pizzico di cattiveria.
Perché lei aveva più diritto di me di essere al suo fianco quando chiaramente odiava esservi? Si guardava attorno spaesata e sorrideva appena a coloro che salutavano suo marito, camminava sulle punte dei piedi quasi volesse scappare via alla prima occasione. Potevo darle una chance.
“Corrado, perchè non vai a prendere qualcosa da bere?” domandai al mio accompagnatore.
Lui mi accontentò sorridendomi, ricordandomi di non allontanarmi troppo da quel punto, cosìcchè potesse ritrovarmi con facilità. Io acconsentii, ma non appena si voltò mi diressi verso Bernard e la Serena. Lui stringeva una semplice maschera scura tra le dita, dando a vedere che non aveva nessuna intenzione di indossarla davvero. Sorrisi non appena si accorse che mi stavo avvicinando. Salutai entrambi, porgendo la mano alla donna e poi anche a lui, spingendolo ad un baciamano. L'uomo non sembrava affatto rilassato.
“Salve avvocato, come procede la serata?” domandai un po' civettuola.
“Bene, grazie.” rispose lui seccamente: “E a lei?”
“Potrebbe andare meglio.” dissi, sapendo che lui avrebbe colto subito l'allusione.
Mi gettò un'occhiataccia: “Si guardi intorno signorina Bianchi, sono sicuro che troverà il modo di ammazzare il tempo.”
Prima che potessi ribattere Corrado si infiltrò tra di noi: “Eccoti qua! Eri sparita, ho preso un po' di champagne” disse porgendomi un calice.
Io afferrai il bicchiere e lo mossi teatralmente mentre parlavo: “Certamente, ha completamente ragione!”
In quel momento rovesciai accidentalmente lo champagne addosso a Serena.
“Oh mio Dio, mi scusi!” urlai cercando di aiutarla, recitando la mia parte.
La donna divenne rossa in viso, per quel che si poteva capire dalla maschera che nascondeva i suoi occhi. Sembrava proprio un pesce fuor d'acqua, del tutto fuori posto. Continuavo a ripetere scuse a ruota, ma lei era già corsa in bagno. La seguii, fingendo ancora apprensione e cercando di liberarmi di Corrado. Mi voltai solo per un attimo, compiacendomi del fatto che Bernard stava effettivamente seguendo i miei passi. Una volta arrivata nel corridoio, osservai come Serena spariva all'interno della toilette e fermai la mia corsa, aspettando che Bernard mi raggiungesse.
“Eccoti qui!” la mia voce suonò maliziosa di proposito.
Il suo sguardo però era furioso. Non ci era ancora arrivato: “Cosa ti salta in mente?”
“Andiamo, non essere frettoloso. Non volevo farle un dispetto, stavo aiutando tutti e due. Chiaramente nessuno di noi si stava divertendo. Ora lei avrà una scusa per andare via, e io e te potremo osservare le pieghe che questa serata prenderà ...” così dicendo feci un delicato passo verso il mio amante, ponendo le mie dita affusolate sul suo torace saldo. Eppure lui non sembrava essere d'accordo con me. Mi schiaffeggiò la  mano per allontanarla da sé, e mi guardò arrabbiato: “Ti stai comportando da ignorante. Credevo avessi un po' di rispetto! Io e Serena torniamo a casa, adesso.” così dicendo seguì la moglie nel bagno.
Ero esterrefatta. Rispetto? Da mesi non faceva che lodare il suo cigno, e ora chiedeva rispetto per una donna che lui stesso aveva mortificato così tante volte? Il ragionamento era semplice, forse un tempo lui e Serena erano stati bene insieme, ora non più. Dunque perché piegarsi a una vita che nessuno dei due voleva? Non volevo vederli andare via insieme, così mi rigettai nel salone e corsi dritta verso il minibar.
Tornai nel mio appartamento a tarda ora. In realtà, non sapevo nemmeno che era fosse davvero. A dirla tutta, non fui proprio io a tornare. Fu Corrado a scortarmi per le scale e poi fino al mio letto, per poi salutarmi imbarazzato dopo aver provato a baciarmi, ricevendo in cambio uno schiaffo malandato. Ero completamente sbronza. Dalla mia posizione riuscivo a vedere il mio riflesso nello specchio del truccatoio. Indossavo ancora la maschera, la fissai, persa nel vuoto. Provavo una rabbia inaudita. Avevo creduto che dopo qualche bicchiere mi sarei calmata almeno un po', e invece non riuscivo a smettere di pensare a Bernard e ciò che mi aveva fatto. Mi aveva umiliata. Aveva preferito quella casalinga di sua moglie alla it girl che aveva stretto tra le braccia notte dopo notte … e poi accadde qualcosa. Qualcosa di molto strambo. Una voce sconosciuta parlò: “Ascolta bene e non dimenticare.” disse.
Scossi la testa, cercando di capire chi si fosse introdotto nel mio appartamento. Corrado era ancora lì? Eppure la voce non sembrava appartenere a lui, né a nessuno che avessi mai conosciuto. Era un tono neutro, freddo e allo stesso tempo saggio. Non era un uomo, ma nemmeno una donna. Cercai di mettermi in piedi ma mi girò subito la testa, per cui dovetti sedermi di scatto.
La voce parlò ancora: “D'ora in poi, ovunque andrai, tutti gli uomini che guarderanno il tuo volto non lo vedranno davvero.”
Mi massaggiai le tempie: la testa mi scoppiava. Alzai lo sguardo e la vidi. La maschera che stavo indossando, si stava muovendo e parlava.
“Apparirai agli occhi altrui con il volto del loro amore presente, passato o futuro. Per loro, tu sarai l'anima gemella che hanno sempre desiderato.”
Quando la maschera si pronunciò, stavolta vidi bene come le sue labbra si piegavano per emettere le parole, e fui colta dal panico. Cercai immediatamente di staccarla dal mio viso, ma non ci riuscii, era come incollata. Ancora panico.
“Per troppo tempo hai desiderato cose che non ti appartengono, ma ricorda, le cose  tornano sempre al proprio posto. E così farai tu. Sei stata maledetta.”

E poi, silenzio. Maledetta? I miei occhi sgranati fissarono il vuoto, la tensione crebbe nel mio cuore fino a farmi esplodere in una risata. Maschere parlanti? Maledizioni? Ero davvero troppo ubriaca. Mi gettai all'indietro sul materasso e mi addormentai.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Al proprio posto ***


Il volto




 
Link Audiolibro su Youtube del terzo episodio: https://youtu.be/ZGa-ShoKPlk
Seguimi anche su Instagram @angelcruelty
E sulla mia pagina FB "Angel Writing Spot- Marika Ciarrocchi Autrice"
per sapere quando vi sono aggiornamenti, nuove storie, audiolibri, trailer e tanto altro!


 
IL VOLTO
Episodio 3: Al proprio posto 
 

L'indomani, quando mi svegliai, la prima cosa che sentii fu un mal di testa penetrante. Feci una smorfia mentre iniziavo a prendere coscienza: ricordavo il ballo, le bevute, qualcosa su una maledizione. Ero sorpresa di ricordare quella parte: i deliri da ubriaca in genere venivano cancellati dalla mia memoria. In ogni caso era stata un'allucinazione stupida: a chi dispiacerebbe essere amata da chiunque? Se poi volevamo essere precisi, io ero già amata pressocché da ogni uomo che avevo incontrato. Eccetto forse Bernard … provai una fitta al cuore e la smisi di riflettere: dovevo rimettermi in sesto. Mi alzai e preparai un caffè, cercando di fare una colazione decente. Mentre spilucchiavo dal piatto con poca determinazione il mio cellulare vibrò. Lo afferrai all'istante, sperando di trovare qualche notizia da Bernard. Si trattava però di Simòn, che mi chiedeva che fine avesse fatto la sua preziosa maschera. Mi portai una mano alla testa per la mia sbadataggine e poi andai a prenderla in camera, decisa a riportargliela subito. Purtroppo però, la maschera non c'era. Non la stavo indossando, non era sul letto, né a terra, non si trovava proprio da nessuna parte. Come glielo avrei spiegato? Resistetti all'impulso di mangiarmi le unghie e continuai a cercare, ma alla fine dovetti arrendermi. L'avevo persa. Sempre più sconsolata mi vestii e decisi di andare a teatro ugualmente, per chiedergli scusa. Mi ero comportata da vera stronza e per giunta non era servito a nulla. Stavolta entrai con la coda tra le gambe, cercando di non disturbare il lavoro dei colleghi di Simòn. Non appena entrai dietro le quinte però, la voce del mio amico risuonò gelida.
“Cosa ci fai qui?” domandò.
Non credevo potesse arrabbiarsi a quel modo, tantomeno per una semplice maschera! Non era il Simòn che conoscevo. Diressi cautamente lo sguardo verso la sua direzione e incontrai i suoi occhi. Vi notai un odio inaspettato, profondo. Congiunsi le mani a mo' di preghiera e partii con le mie scuse: “Simòn, mi dispiace davvero. Non avrei dovuto ...”
“Non avresti dovuto? Vanessa fammi il piacere!” esclamò lui. Sembrava si stesse trattenendo dall'urlarmi contro, quasi fossi una strega.
“Vanessa? Aspetta, ma cosa dici?” domandai interdetta. Vanessa era la sua ex, e non la vedevo da nessuna parte. Con chi stava parlando?
“Sarà passato anche un anno dal tuo tradimento, ma ricordo il tuo nome. Fuori di qui!” stavolta non si mise freni, gridò a piena voce. Sapevo quanto dolore gli aveva provocato quella donna, lui la amava più di qualsiasi altra cosa mentre lei … era passata di uomo in uomo, fingendo di essere fuori per lavoro durante la settimana e frequentando Simòn nel weekend. Si erano lasciati quando lui l'aveva scoperta tramite uno dei suoi tanti ragazzi. Ma quel che stava accadendo in quel momento non aveva senso.
“Simòn, sono Beth ...” dissi con voce soffocata. Il panico stava per inghiottirmi, la consapevolezza iniziava a insinuarsi nella mia mente: maledetta.
Simòn scosse la testa, si avvicinò a una sua amica e gli chiese di scortarmi fuori. Io mi feci trasportare senza dire una parola, confusa. Poteva una cosa così essere vera? Una maledizione? La maschera aveva detto: “Apparirai agli occhi altrui con il volto del loro amore presente, passato o futuro.” Dunque, intendeva letteralmente? No, era impossibile… Tuttavia in quel momento passammo vicino a una pila di scatole, tra cui una blu dalla quale spuntavano le ali da cigno della maschera che avevo rubato … Le parole che aveva sentenziato mi rimbombarono nelle orecchie: “Le cose tornano sempre al loro posto”.
Ero sconvolta. Mi nascosi in un vicolo a pensare cosa fare. Con chi avrei potuto parlare di una cosa simile? Mi avrebbero presa per pazza, o molto probabilmente lo ero! Dovevo assolutamente essere pazza per credere a una cosa del genere. Oppure il pazzo era Simòn, che mi aveva scambiata per qualcun altro. Il mal di testa della sbornia non era ancora passato, ero ancora sotto l'effetto dell’alcol? Dovevo sfogarmi con qualcuno, e l'unica persona che mi aveva sempre compresa era Bernard. Non importava cosa era accaduto tra noi la sera precedente, sicuramente mi avrebbe accolta vedendomi in quello stato. Avremmo finto che nulla fosse mai successo. Mi presentai al suo ufficio e chiesi di lui alla sua segretaria, che però non voleva lasciarmi passare.
“Le dica che si tratta di Beth!” sbottai sbattendo il tacco a terra.
“Mi dispiace, ma l'avvocato ha esplicitamente detto di non far passare nessuno quest'oggi. Sta preparando un'arringa importante.” disse lei, con la stessa sufficienza che in genere adottavo io quando parlavo con i clienti del mio capo. I miei nervi erano a fior di pelle. Dovevo vedere Bernard, cosicché lui mi rassicurasse e mi dicesse che era stato tutto un malinteso: la sera precedente, la maledizione, tutto un brutto sogno. Così decisi di saltare direttamente alle maniere forti. Mi avviai di corsa verso la porta del suo ufficio e la spalancai prima che la segretaria potesse bloccarmi.
“Questa donna non voleva lasciarmi entrare!” esordii tutto d'un fiato al suo sguardo disorientato.
Lui si alzò imbarazzato, non si aspettava certo di vedermi lì.
“Margot, la lasci passare, è mia moglie.” Disse lui, rassicurando la donna che mi aveva seguito.
Ma mentre lei se ne andava sollevata, la mia vita crollava a terra silenziosamente, senza far rumore, senza che nessuno se ne accorgesse. Mia moglie? Lui in quel momento guardava me e vedeva lei?
“Serena cara, cosa ci fai qui? Credevo che tu non volessi mai mettere piede in un edificio simile” domandò Bernard, venendo verso di me.
Ma non volevo mi toccasse. Non mentre pensava che io fossi un'altra. Ancora una volta sentii la voce della maschera nella mia testa, ma non forte e chiara come la prima volta, bensì lontana e soffice come in un ricordo antico: “Per loro, tu sarai l'anima gemella che hanno sempre desiderato”.
“Bernard …” balbettai: “Tu mi ami?”
Lui mi guardò intenerito, con un sorriso dolce che non avevo mai visto prima sul suo volto: “Certo, Serena.” disse allungando le braccia verso di me per circondarmi. Ma io non ne potevo più. Avevo creduto che quando un uomo arrivasse al punto di tradire la moglie il suo amore per lei fosse ormai sepolto, e invece … non mi vedeva. 'Alla fine, ogni cosa torna al suo posto' aveva detto la maschera, e lui era tornato da Serena. Prima che mi potesse raggiungere con il suo abbraccio iniziai a correre il più veloce possibile, lasciandolo lì a chiedersi perché mai la sua austera moglie si stesse comportando in quel modo adolescenziale. Una volta che le porte dell'ascensore si chiusero non potei che scoppiare a piangere. Ero maledetta, l'uomo che amavo non mi contraccambiava e mai avrebbe potuto farlo, perché per lui ero ormai invisibile.
Iniziai a girovagare per le strade di Milano come un'anima in pena. Cosa avrei fatto adesso? Non avevo più il mio migliore amico, né il mio amante. Non ero abituata a non ottenere ciò che volevo, immaginate cosa significasse per me perdere ciò che ritenevo mio da tempo. Mentre passeggiavo a testa bassa, all'improvviso sentii una forte stretta sul mio braccio e una voce sibilare al mio orecchio: “Cosa ci fai qui? Non ti avevo forse detto di rimanere in casa, eh?” era un uomo, ed ero abbastanza sicura di non aver mai sentito prima la sua voce. Mi voltai appena per guardarlo in volto, e i suoi occhi erano sgranati e minacciosi. Tutt'a un tratto non ero solo confusa, ero terrorizzata.
“Non so di cosa tu stia parlando!” dissi cercando di liberarmi dalla sua morsa.
Ma lui teneva il pugno ferreo sul mio braccio senza alcuna intenzione di lasciarmi andare: “Non fare la finta tonta, io stavolta ti ammazzo, hai capito? Sei qui per avvertire il tuo amichetto, eh?” continuò lui, strattonandomi.
Non esitai a chiamare aiuto. Non appena gli sguardi della gente caddero su di noi, lui mi lasciò andare e finse indifferenza. Tuttavia l'espressione sul suo volto lasciava trapelare una rabbia violenta. Non gli diedi altre occasioni, iniziai a correre forsennatamente, confusa, frustrata, impaurita. Il cuore mi batteva all'impazzata e ripresi a piangere. Quell'uomo pensava che io fossi la sua ragazza, una ragazza che in quel momento era segregata in una casa perché vittima dei suoi abusi, una ragazza che ora rischiava la vita perché lui credeva di averla vista in giro per Milano quando lui glielo aveva vietato. Scappa, scappa, scappa. Ripetevo come un mantra. Non sapevo se il suggerimento era diretto a me stessa oppure a lei.
Mi asciugai le lacrime e mi voltai, rendendomi conto che finalmente ero fuori dalla portata di quel pazzo. Ero a soli due isolati da casa, per cui mi avviai verso il palazzo di mattoni rossi rallentando il passo. Appena varcata la soglia dell'atrio, mi sentii più protetta, sollevata. Quindi sospirai iniziando a salire per le scale. Udii dei passi venire verso di me, e la tranquillità svanì di colpo. E se si fosse trattato di un uomo? E se mi avesse scambiata per sua moglie, per poi litigare con lei per via di questo equivoco? E se si fosse innamorato di me, credendomi la sua anima gemella, finendo per non incontrare mai la vera donna della sua vita ossessionandosi sulla persona sbagliata?
“Celine?” la voce delicata di un uomo risuonò per la scalinata.
Io rimasi con il capo chino, sperando di convincerlo di aver commesso un errore: “No, non mi chiamo Celine ...” sussurrai. Anche la mia voce suonava diversa nella sua mente?
“Oh mio Dio, Celine!” continuò lui, ignorando le mie parole: “Come diavolo … Tu sei morta! Ti ho visto … il tuo corpo era …” i suoi deliri rimbombarono per le strette scalinate.
E così, Celine era il suo amore passato. Ormai non potevo più nascondermi. Avevo appena fatto un altro danno, semplicemente esistendo. Mi intrufolai tra l'uomo e il muro e continuai la salita, il più veloce possibile. Arrivai davanti alla porta e armeggiai con le chiavi, mentre il tipo mi inseguiva e urlava disperato. Mi chiusi dentro a due mandate e lo ascoltai bussare ripetutamente.
“Celine, apri … sei viva, non posso crederci. Io ti perdono, qualsiasi sia la ragione per cui ti sei finta morta ti perdono, ma per favore, adesso apri la porta! Mi senti? Celine!” i suoi singhiozzi continuarono per ore e ore … Ogni giorno tornava e lasciava messaggi sdolcinati facendoli passare sotto il portone, ricolmi di scuse e amore verso la moglie morta. E io non ho potuto che assistere muta, senza potere di fronte a una magia così oscura. L'ultima volta che ho sentito la sua voce mi disse che aveva deciso di andare da uno psichiatra, perché chiunque stesse vivendo in quell'appartamento non poteva essere  la sua Celine. E se mi avesse guardata in viso ancora una volta? Cosa avrebbe fatto? Avevo rovinato la vita di quell'uomo, l'avevo mandato da uno strizzacervelli, mentre quella sbagliata, quella maledetta, ero io.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Polvere ***


Il volto




 
Link Audiolibro su Youtube del quarto episodio:

https://www.youtube.com/watch?v=OSyJ80vg89o

Seguimi anche su Instagram @angelcruelty
E sulla mia pagina FB "Angel Writing Spot - Marika Ciarrocchi Autrice"
per sapere quando vi sono aggiornamenti, nuove storie, audiolibri, trailer e tanto altro!

IL VOLTO
Episodio 4: Polvere

 
La mia testardaggine però, non era ancora svanita. Maledetta? Che sciocchezza era mai questa? Tutti mi avrebbero amata, tutti mi avrebbero venerata. Infondo, questa nuova prospettiva non distava troppo dalla vecchia realtà. Ero già la donna più ambita ovunque andassi … Probabilmente ero solo stata sfortunata nell’incrociare proprio gli uomini più disagiati del quartiere. Mi diedi malata per qualche giorno, ma ben presto decisi di rimettermi in mercato. Dovevo superare la perdita del mio uomo, e come potevo farlo rimanendo chiusa in casa a fissare le pareti immacolate della mia camera da letto? Avrei trasformato quella maledizione in un punto di forza, così come avevo fatto con i miei difetti. Mi munii di cappuccio e raggiunsi la discoteca più vicina, un posto che avevo frequentato di tanto in tanto con le mie amiche dell’università ma che ultimamente avevo dovuto abbandonare per concentrarmi sul lavoro. era un classico locale notturno, pieno zeppo di gente, con puzza di alcol nell’atmosfera, musica penetrante a tutto volume e soprattutto tanti uomini. Bevvi un solo drink e poi mi lasciai andare nella folla, iniziando a muovermi a ritmo di musica, chiudendo gli occhi e lasciandomi trasportare. In pochi minuti mi sentii brilla, anche senza bere nemmeno un altro sorso l’aria di sudore e profumi commerciali riuscirono a inebriarmi. Mi rilassai e saltai insieme a degli sconosciuti per tutto il tempo della canzone. Ad un certo punto, sentii delle mani sul mio corpo, e per me fu del tutto normale voltarmi tranquilla verso lo sconosciuto e abbandonarmi a lui in un ballo divertente. L’avevo fatto altre volte, ballare con un tipo mai visto prima per rompere il ghiaccio e poi diventare amici, più che amici o non rivedersi mai più. Stavolta però, lui non mi incontrò davvero, ma vide il volto del suo amore. Visto che mi chiese il mio nome, immagino si trattasse dell’amore che ancora doveva venire. Continuammo a ballare, prendendoci un po’ in giro a vicenda simpaticamente: “Ma come la muovi quella gamba?”
“Almeno io la so muovere gambadilegno!”
Di tanto in tanto le danze si facevano più sexy, più ravvicinate, e mi lasciavo trasportare dal brivido del rischio, dell’ignoto. Ridevo.
Fino a che … Una mano comparve sulla spalla del mio ‘amico’ e lo strattonò allontanandolo dal mio corpo. Notai che la mano apparteneva ad un uomo, un po’ più vecchio di noi due, ma non troppo in là con l’età, biondo e alto. Non ebbi nemmeno il tempo di dire qualcosa che lanciò un pugno al mio coetaneo, talmente forte da rompergli il setto nasale. Dopodichè, mentre tutti si allontanavano e qualcuno accorreva in suo soccorso, mi guardò in cagnesco e mi rivolse una sola parola: “Troia!”
Detto ciò tentò di rifugiarsi nella folla, ma questa si divise quasi fossero le acque davanti al bastone di Mosè. Incredula, guardai il ragazzo a terra rialzarsi incespicando e massaggiarsi la mandibola. Il cuore mi batteva a mille e non sapevo cosa dire.
Il punto della situazione? Tutti ora pensavano che fossi fidanzata con un uomo manesco e che lo avevo tradito.
L’uomo in questione non avrebbe più perdonato la sua vera anima gemella.
Il ragazzo davanti ai miei occhi avrebbe incontrato la donna della sua vita credendo di averla già vista, in una situazione non troppo piacevole, e chissà se avrebbe quindi deciso di parlarle comunque, o se avrebbe lasciato perdere. Senza sapere che così avrebbe anche rinunciato al vero amore.
Venendo lì avevo corso un rischio. Sapevo che sarebbe potuto accadere, eppure mi sentii ugualmente sconvolta. Per cui corsi via disperata, ricoperta di una vergogna che non mi apparteneva. Mi rifugiai in bagno, arrossendo pensando che adesso avevo preso il posto della patetica Serena. Anche lei era corsa in bagno in preda all’imbarazzo … Solo che in quel caso lei non aveva commesso alcun errore madornale. Lei non aveva incontrato una coppia che si era chiusa, male, nella toilette per dare sfogo alla loro libido.
I due ragazzi si liberarono della stretta all’istante, guardandomi scioccati. Ma io lo ero ancora di più, e adesso? Che sarebbe successo? Lui avrebbe visto una sua ex? O il volto della sua prossima ragazza? O della donna che amava veramente nel profondo del proprio cuore? La risposta non tardò ad arrivare.
“Oh mio Dio!” Fece lui mettendosi le mani nei capelli e poi passando con lo sguardo da me alla sua ragazza: “Oddio devo essere ubriaco! Ti giuro sono ubriaco! Non l’ho fatto apposta!” fece in preda al panico.
“Che vuol dire?” domandò la ragazza, era mora, bassa ma con un corpo davvero grazioso.
“Niente, scusa … è che, mi dispiace sono fidanzato!” disse lui balbettando, sempre più confuso. Continuava a voltarsi verso di lei, e poi verso di me, senza darsi pace.
Allora capii. Quel ragazzo era innamorato della sua donna, e vedeva il suo volto riflesso nel mio. Essendo lei presente però, stava impazzendo. All’improvviso c’erano due donne uguali davanti a lui, qual era la sua ragazza? Con chi stava facendo sesso? Aveva bevuto troppo? Prima che lui potesse seriamente dare di matto scappai di nuovo, facendo dietrofront e tornando sui miei passi. Mentre mi allontanavo sentii il ragazzo che dapprima cercava di seguirmi, e poi resosi conto che la donna che amava era proprio lì con lui, ascoltai le grida iniziali della lite che avevano intrapreso.
“Chi era quella? La conoscevi? Perché le hai detto quelle cose?”
Quante domande, quanti perché. Anche io mi stavo ponendo lo stesso quesito. Perché ero andata? Perché proprio a me era stata scagliata una simile maledizione?
Rientrai nella sala da ballo e ciò che vidi mi terrorizzò a vita. A quanto pareva il tipo con cui avevo ballato si era rialzato e aveva cercato colui che l’aveva picchiato, per difendermi. O meglio, per difendere colei che pensava che io fossi. Si era scatenata una rissa sanguinolenta a cui si erano aggiunti tutti coloro che erano riusciti a intravedere il mio volto durante la serata … Quasi tutti i presenti si stavano tirando calci, pugni e persino bottiglie di vetro, provocando urla, paura, dolore. Mi unii ad un gruppo di ragazze spaventate e corsi con loro verso l’uscita. Mentre loro però si fermarono all’ingresso in attesa della polizia, le cui sirene si sentivano già in lontananza, io continuai a correre anche dopo, fino a chiudermi in casa a doppia mandata. Non mi rilassai una volta sicuro, non tirai un sospiro di sollievo. Scoppiai in un pianto a dirotto che tormentò tutta la mia nottata.
Fu in quel momento che compresi la gravità del maleficio che mi si era scagliato contro. Non sarei stata amata da tutti, sarei rimasta completamente sola. Tutt'ora lo sono, due anni dopo, rinchiusa nel mio appartamento a scrivere questa storia per degli sconosciuti, perché non ho nessun altro con cui parlare. Ho dovuto licenziarmi dal mio vecchio lavoro: non potevo tornare in un ambiente così carico di testosterone. Un canto era essere ammirata, un altro era essere l'anima gemella di tutti i presenti. Da allora ho trasformato il mio blog in un sito di tester e recensioni per marche famose, così da poter guadagnare qualcosina senza uscire di casa. Ho scoperto così che anche le mie foto apparivano agli uomini con il volto del grande amore della loro vita. Acquisto tutto online, e mi nascondo dietro la porta quando il fattorino mi porge un pacco. Non tolgo mai la catenella. Ho fatto sapere in giro che avevo una coinquilina, perché l'intestataria della posta sono sempre io, ma nessuno crederebbe a un cambiamento così radicale e repentino della mia personalità. Inizialmente speravo di risolvere la questione al più presto, per tornare a vivere la mia vecchia vita come niente fosse. Infondo, le maledizioni sono fatte per essere spezzate. Ho fatto così tante ricerche su internet: come spezzare una maledizione, maschere magiche, cigni magici, amore passato, amore presente e amore futuro. Tutto quello che ho trovato sono favole per bambini, truffatori che sperano nella stupidità del prossimo per spillargli qualche centinaia di euro, individui sbarellati che credono alle teorie complottiste. Insomma, mi sento ad un punto di non ritorno. Questa è la mia vita adesso, solitudine, cibo spazzatura, paga da miseria … sarà così per sempre? Cosa potrei mai fare contro qualcosa che non posso comprendere? Ho paura. Sono depressa. La mia identità si è sbriciolata in quella di tutte le anime gemelle di uomini che non mi appartengono, diventando un mucchio di polvere vestito di unicorni, che poi sarei io. Non la me con il tacco 12 e la borsetta firmata, non la donna in carriera che studiava e lavorava, non la donna innamorata di un uomo sposato, ma polvere in pigiama di unicorni.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Porta aperta ***


Il volto




 
Link Audiolibro su Youtube del 5 episodio:

https://youtu.be/-wGOX9VR2Ng

Seguimi anche su Instagram @angelcruelty
E sulla mia pagina FB "Angel Writing Spot- Marika Ciarrocchi Autrice"
per sapere quando vi sono aggiornamenti, nuove storie, audiolibri, trailer e tanto altro!

IL VOLTO
Episodio 5: Porta aperta
 

Salvo il file valutando se sia il caso di postarlo online. Qualcuno sulla rete avrà avuto un'esperienza simile? Qualcuno che ha davvero vissuto un episodio sovrannaturale e non uno squilibrato? Sospiro e guardo fuori dalla finestra, ma non vedo molto, perché ora vivo con le tapparelle costantemente abbassate. Bell'affare, per una che ama la luce e gli open space. Suona il campanello e mi reco nell'immediato alla porta. Ho una fame da lupi e la mia cena è finalmente qui. Attuo il mio rito: chiedo chi è alla porta, la apro senza spalancarla, infilo la mano aspettando che mi si porga il pacco, ringrazio e pago. Mentre protendo il braccio per consegnargli i soldi, uno spicciolo cade sul pavimento. Atterra e rotola, rientrando nell'appartamento. Mi chino a prenderlo, cercando di non allungarmi troppo verso il fascio di luce proveniente dal corridoio esterno. Raggiungo la monetina e sussulto, perché un'altra mano l'ha raggiunta, una mano che ora è sulla mia. Alzo lo sguardo per un solo attimo e incrocio lo sguardo del fattorino, per niente agitato. Non è lui quello consapevole del disastro che puo' avvenire per un semplice errore come questo! Sto per lanciare la monetina fuori da casa per poi richiudermi dentro, ma lui parla: “Bethany! Cosa ti è capitato?”

Rimango impietrita. Bethany? Conosce il mio nome? Quando l'ho incontrato prima? Se mi chiede cosa è successo deve per forza notare la differenza con la me di un tempo, per cui devo conoscerlo, giusto? Ma soprattutto, se mi conosce … mi riconosce? Sta vedendo me? La vera me? È mai possibile? C'è un'unica spiegazione: la sua anima gemella, il suo amore passato, è una ragazza che ha il mio stesso nome. Caso chiuso. E ora, chiudi quella porta! Mi dico assertivamente. E lo faccio, ma sento ancora la sua voce: “Mi scusi, sono stato inadeguato, non sono affari miei.” Se ne va così, con queste parole garbate ma flebili.

Tutti gli uomini sotto l'effetto del maleficio finora hanno dato di matto. Ma lui no. Lui è rimasto calmo e persino civile. Mi costringo a non pensarci e mi godo la mia cena. Eppure, quando vado a dormire, la mia mente torna al suo sguardo.

Il trillo del campanello interrompe il mio sogno e spalanco gli occhi. Scuoto la testa e non mi lamento. Sono sorpresa, assonnata e anche un po' interdetta. Non viene mai nessuno a trovarmi. Non posso vedere uomini e ho sempre avuto poche amiche donna. All'inizio di questa disavventura non ho saputo spiegare loro che la festaiola Bethany era diventata un'eremita, così ho semplicemente ridotto al minimo i rapporti con l'esterno troncando ogni relazione affettiva. Ma allora, di chi si tratta? Mi alzo e vado dritta verso lo spioncino, dove noto nuovamente quegli occhi gentili, caldi. È il ragazzo delle consegne, si sta guardando le scarpe nell'attesa. Sono incerta, per cui indietreggio, inciampando su un peluche che ormai abita sul pavimento da tempo. Riesco a mantenere l'equilibrio, ma ormai ho provocato troppo trambusto per fingere di essere fuori casa.

“Bethany?” mi chiama il ragazzo.

Io sto già immaginando i peggiori scenari possibili e mi incolpo mentalmente della sbadataggine che ho sviluppato nel vivere in casa come un'ameba.

“Si?” chiedo incerta.

Magari ha solo una consegna da fare …

“Sono Michael, ci siamo visti ieri, ti ho consegnato un pacco, ricordi? Mi dispiace se sono inopportuno, non dovrebbero essere affari miei, ma ... sono preoccupato per te. Voglio dire, lei!” Si corresse repentino: “Devo darti del lei?” si concesse una risata nervosa.

Due anni fa l'avrei trovato penoso, ma in quel momento ero solo curiosa. Non succede niente di diverso da così tanto tempo che ogni piccola modifica alla routine è diventata sacra.

“Ecco, non ci conosciamo davvero.” continua lui.

Ah. Penso io, sorpresa e ancor più interessata alle sue parole.

“Però ti ho osservata. Oh mio Dio, sembro uno stalker. No, ricomincio. Facendo questo lavoro osservo molta gente … si, va meglio. Bene, tu sei una di queste persone che ho avuto modo di osservare e ho compreso il tuo modo di essere. Sei serena, solare, leader ...” si prende una pausa.

Mi piace come pensa questo tipo.

Riprende:“Poi non ti ho più vista, eri come sparita nel nulla. Mi hanno detto che eri sempre in giro ma che potevo recapitare la posta alla tua coinquilina. E poi ieri scopro che la tua coinquilina sei tu, sei sempre stata tu … Ho visto come ti piaceva metterti in mostra, ora hai paura persino di far vedere la tua mano. Un tempo avevi sempre le unghia smaltate, i capelli piastrati, ora hai le dita tutte mangiucchiate. Ripeto che non sono affari miei, ma cosa è successo di così grave da averti trasformato nel guscio della persona che eri?”

Così timido, e allo stesso tempo così diretto. Ora ricordo: lui non è altro che il solito ragazzo delle consegne. Niente di più ovvio. Ecco dove mi ha già vista, e dove io ho visto lui. È quel tipo di persona invisibile, che saluti di sfuggita solo per cortesia, che non guardi mai davvero in faccia, che incontri quasi tutti i giorni, ma non conosci mai veramente. O almeno ho dato per scontato che tutti si comportassero così di fronte a queste figure abitudinarie. Ma forse mi sbaglio, perché lui mi vede. Lui mi saluta pronunciando il mio nome e non anonimamente; mi guarda negli occhi e scruta persino i dettagli del mio aspetto; capisce e conosce la vera me. Lo sento sbuffare e calciare piano la porta, annoiato, imbarazzato, arrabbiato con sé stesso: “Parlo con una porta chiusa. Perdona il disturbo, penserai che sono solo un ficcanaso.” Dice.

Sento le sue parole sempre più lontane, come se ormai stesse parlando con sé stesso, e non più con me.

Prima che vada via, apro la porta. La apro sul serio, spalancandola per la prima volta dopo tanto tempo.

“Vuoi entrare?” lo invito.

Lui è già per le scale, ma si volta subito, stupito dalla mia iniziativa. Non c'è da biasimarlo, sono stupita anche io. Ma dal riflesso della mia immagine nei suoi occhi capisco che lui sta guardando proprio me.

Lo faccio accomodare nel mio stretto cucinino, dove possiamo appoggiarci al tavolo per sorseggiare un caffè. Arrossisco nel mostrargli la mia quotidianità, perché non riflette nemmeno in parte chi sono davvero. Un tempo ero perfezionista, catalogavo i vestiti nell'armadio in base a marca e colore, lucidavo con cura i mobili per essere sempre al meglio. Insomma, ero praticamente affetta da un disturbo ossessivo compulsivo. Ma a cosa serviva pulire e tenere in ordine se nessuno poteva ammirare il tuo lavoro? Adesso però, mi vergognavo di mostrare questa nuova me. Il guscio della persona che ero. Iniziamo a chiacchierare, e forse per la prima volta nella mia vita, non ho voglia di parlare di me stessa. Voglio scoprire qualcosa su di lui, cosa fa nel tempo libero? È figlio unico? Ha delle aspirazioni nella vita? Che lavoro vorrebbe fare per far decollare la sua carriera? In sintesi le risposte sono queste: gioca a calcetto, è figlio unico, la sua unica ispirazione nella vita è continuare a vedere sorridere le persone che gli aprono la porta. Non so che pensare. La mia prima reazione sarebbe quella di stimolarlo a cercare di più. Perché vivere la propria vita intrappolato in un ruolo anonimo e poco ambizioso, come quello del postino? Ma mentre me ne parla non posso fare a meno di sorridere e soprattutto, invidiarlo. Lui può andare là fuori e venire pagato per guidare tra le strade affollate, stare in mezzo alla folla e poi suonare al campanello di qualcuno. Talvolta le vecchiette gli offrono il caffè. Altre volte va di corsa, scappa da una parte all'altra come una scheggia e torna a casa con i piedi distrutti, guarda un po' di tv e sa che ha dato tutto sé stesso nell'arco di quelle otto ore. Mi manca il sentirmi impegnata, oberata da impegni difficili da portare avanti ma utili e necessari. Sapere di fare la differenza in un modo o nell'altro. Ho sempre tenuto molto al mio blog, ma adesso, senza la vera me ad abitarlo, è come se fosse tutto falso. Scrivo ancora di tacchi alti e make up, ma non indosso né l'uno né l'altro. Sono solo una bugiarda. Man mano che racconta mi rendo conto di quanto sia speciale questo ragazzo. Lui non vede solo me, lui vede tutti. Gli piace davvero quello che fa, e non solo perché gli permette di uscire e stare in mezzo alla gente. A lui non serve la folla, lui parla con i singoli clienti, li conosce. Io non lo facevo mai a lavoro: un cliente è un cliente, fallo felice e tutti saremo felici. Fine. In qualche modo lui è diverso.

La giornata passa in fretta, Michael mi lascia sola, e io inizio a pensare. Lui mi vede, non immagina un'ipotetica anima gemella sul mio viso, quindi la maledizione potrebbe essersi dissolta con il tempo. Non voglio rischiare di passare la mia vita rinchiusa in casa senza una vera motivazione. Domani mi avventurerò verso un esperimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Bacio del vero amore ***


Il volto




 

Link Audiolibro su Youtube del - episodio:

https://www.youtube.com/watch?v=3dfMG2RpyXA

Seguimi anche su Instagram @angelcruelty

E sulla mia pagina FB "Angel Writing Spot - "

per sapere quando vi sono aggiornamenti, nuove storie, audiolibri, trailer e tanto altro!


IL VOLTO

Episodio 6: Bacio del vero amore

Mi concio come la peggiore clochard di tutti i tempi, con un bel cappuccio a coprirmi il viso, e vado a trovare Simòn. Niente da fare, ricomincia a blaterare di una certa Vanessa. Stavolta però è più tranquillo. Sono contenta per lui, vuol dire che sta voltando pagina, al contrario di me. Io sono evidentemente ancora nello stesso capitolo. Ma se la maledizione esiste ancora, come mai Michael riesce a vedermi? Lui deve essere la chiave per uscire da questo inferno. Per la prima volta da quando ho indossato quella maschera, ho una speranza. Prima di uscire dal teatro, decido di cercarla. Mi intrufolo nel backstage e arrivo alla stanza dove l'ho trovata la prima volta. Nessun segno della scatola blu. Passo in rassegna con lo sguardo le scatole in bella vista, ma sento che sto perdendo tempo. Scuoto la testa e decido di tornare a casa al più presto. Passo davanti a un truccatoio, e per una frazione di secondo mi sembra di vedere uno scintillio nello specchio. Torno subito indietro e guardo il mio riflesso: sto indossando la maschera. Mi tocco il viso ma non sento la plastica, né le piume. Le mie dita atterrano sulla mia pelle morbida. Eppure, nel riflesso la vedo: è lì. La maschera che mi ha resa una reclusa. Aspetto che parli, ma non lo fa. Non ha niente da dire, la sua sentenza grava già su di me. Apparire su quello specchio è soltanto un modo per ribadirlo.

Sul palco, qualcuno intona un canto: "Nella vita tutti indossiamo delle maschere, più a lungo le portiamo, più diventa difficile sbarazzarsene"

Non sai quanto! Penso io. Faccio la linguaccia alla maschera e mi rimetto il cappuccio.

La mattina successiva decido di mettere in tiro la casa, infondo non posso invitare di nuovo Michael in un posto così malconcio. Mentre sto lavorando, mi accorgo di qualcosa: un foglietto bianco sotto la porta.

Stamattina sono al lavoro, non volevo svegliarti quindi non ho suonato. Se per te va bene, stasera ti porto il tuo cibo preferito: pizza! - Michael.

Conosce il mio cibo preferito. Certo, la pizza è un 'piatto preferito' scontato. E certo, lui mi ha consegnato cibo così tante volte che potrebbe aver tirato a indovinare tra le cose che ordino più spesso ... ma questo piccolo gesto mi fa sorridere. Non mi ha inviato un sms come chiunque altro; è entrato in silenzio nel mio palazzo e ha scritto un bigliettino con una penna che evidentemente sta per abbandonarlo, perché ha lasciato un segno sbiadito sulla carta su cui lui ha dovuto ripassare ancora e ancora, e poi l'ha fatto passare sotto la mia porta. Non avrei mai immaginato una simile attenzione verso di me, nonostante la mia popolarità nessuno aveva mai fatto qualcosa di tanto carino. Nessun mazzo di rose valeva tanto se consegnato dalla persona sbagliata.

Mi metto il rossetto guardandomi allo specchio. È tanto che non mi trucco, ma sono ancora piuttosto brava. Chiudo la mia pochette e mi metto al pc, per fingermi indaffarata per quando Michael sarà qui. Non mi fa attendere molto, e vado ad aprirgli raggiante, affrettandomi a farlo entrare per evitare di incrociare qualche condomino.

"Wow, sei ... diversa." il ragazzo appare sorpreso di vedermi così imbellettata, e va dritto a poggiare le pizze sul tavolo: "È per le cose che ti ho detto? Non volevo mandarti un messaggio sbagliato, tu vai bene così come sei" mi dice.

Ma io cerco subito di far decadere l'argomento, sono elettrizzata al pensiero di poter tornare ad essere la persona che ero un tempo:"Si, lo so, tranquillo. È come dici tu ... io sono questa! Mi sono un po' ... lasciata andare negli ultimi tempi." ammetto.

"Capisco ..." dice lui, incerto. So che vorrebbe chiedermi cosa è davvero successo, ma sin dall'altro giorno gli ho accennato che si tratta di un fatto così drammatico che preferisco non parlarne, quindi si trattiene.

"Siediti pure, possiamo stare qui per cena e poi guardare la tv" propongo.

E così facciamo. Ore dopo siamo ancora lì a parlare, e soprattutto ridiamo. Non rido così da quelli che paiono secoli. Decidiamo di metterci sul divano a commentare i programmi di cucina con ironia. Lui loda la sua stessa battuta e questo mi diverte. D'istinto gli sposto il ciuffo di capelli dall'altro lato del volto, in modo da poterlo guardare meglio. Lui smette di guardare lo schermo e ricambia. È carino: com'è possibile che non l'abbia notato prima? Non faccio che chiedermelo da quando ho conosciuto il suo nome.

"Mi piaci" mi dice.

Io sorrido: "Da quanto?" gli domando.

Lo so già. Lui mi osserva da tanto, aspettava questo momento da più tempo di me.

"Abbastanza" arrossisce.

Non pensavo, ma i ragazzi sono attraenti quando arrossiscono. Non posso aspettare, voglio essere libera. Mi avvicino con il corpo, poi sempre di più, con il viso. Siamo a pochissimi centimetri di distanza, inizio a sentire il suo respiro fondersi con il mio. È tanto che non sento il calore di una persona al mio fianco ... questa sensazione mi è mancata più di quanto immaginassi. Ci baciamo. All'inizio sono impacciata, come se si trattasse del mio primo bacio, mi avventuro cauta. Ma poi sento l'autostima crescere in me e mi faccio più coraggiosa, più avventata. Lui è dolce, ma allo stesso tempo mi fa capire che mi vuole. Ma ad un certo punto si ferma. Sospira.

"Si sta facendo tardi ..." dice con voce trasognata.

Vorrei che rimanesse, ma ora che l'ho baciato sento qualcosa di ancor più impellente. Ho cercato su internet così tante volte le parole 'come rompere un maleficio' da sapere come va a finire nelle favole: il bacio del vero amore spezzerà l'incantesimo, e vivranno tutti felici e contenti. Ho bisogno di uscire. Accarezzo il suo viso delicatamente e gli sorrido, immergendomi ancora un po' in quello sguardo: "Va bene ..." sussurro, lasciando che la mia mano scivoli via dalla sua guancia. Lo accompagno alla porta, e quando la chiudo alle mie spalle non sto nella pelle. Voglio solo indossare un cappotto e buttarmi nelle strade caotiche di Milano. Corro a prendere le chiavi, le afferro, e poi le lascio cadere a terra atterrita. Nel riflesso allo specchio non sono sola: c'è la maschera. Scuoto la testa impaurita: "No! Tu non dovresti essere qui!" gli urlo. Non mi importa dei vicini, non mi importa più di nulla. La maschera mi fissa con i suoi occhi vacui, me ne accorgo: mi sta giudicando. Nemmeno ora ha bisogno di parlare fisicamente, perché lo sento già, l'eco delle parole che pronunciò due anni fa: sei maledetta. Scoppio a piangere, stanca, e non so cos'altro fare. Torno a non avere speranze, a non vedere soluzioni. E stavolta un'altra consapevolezza mi schiaccia: perderò anche Michael. Non potrò spiegargli perché non posso uscire di casa, come mai convivono queste due personalità antitetiche in me. Non potrò essere sincera con lui. Singhiozzo ancora, e mi reco verso il pc. Butto giù il seguito della mia storia, sperando di riuscire a sfogarmi in questo modo. Ma quando ho finito sento ancora un vuoto dentro. D'impulso carico il testo online. Sono disperata.

Non so cosa mi aspettassi di trovare una volta pubblicato quel post. Ho ricevuto qualche like, qualche commento positivo, qualche 'critica costruttiva' sul mio modo di scrivere. Voglio urlare. Non mi importa di tutto ciò, non mi importa di niente. Quando suona il campanello l'impulso è di dire a Michael di non tornare mai più, cambiare corriere, cambiare appartamento, cambiare qualcosa! Ma stranamente, non è Michael. È un uomo, e ha un aspetto terribile. Di primo impulso mi spavento, il suo volto è grottescamente deformato, sembra gravemente ustionato. Cerco di respirare con calma. Deve andare via, subito. Non emetto suoni.

"Bethany, so che sei lì dentro. Ho letto la tua storia, posso aiutarti."

Cosa? Forse, sto sognando. Eppure quel volto così orripilante ... ma no, non può essere. Sicuramente c'è un'altra spiegazione logica: si tratta di un editore e vuole vendermi un contratto. Che assurdità. Gli editori non lavorano così, non ti piombano in casa dopo un semplice racconto online. Ma allora ... cerco di non pensare alle possibili conseguenze e apro la porta. Lui si affretta ad entrare, come se conoscesse i rischi che corro con quel solo gesto. Ed è così, mi dico. Si ferma a guardarmi, per qualche istante non facciamo che fissarci. Io cerco di non fare smorfie nel notare come la sua pelle sia sul punto di diventare marcia, mentre lui sbatte le palpebre come se fosse piombato in un sogno da cui cerca di svegliarsi.

"Ciao, perdonami. Assomigli molto ad una persona di mia conoscenza ..." ridacchia.

Io non rido, sono troppo seria. La tensione dentro di me è alle stelle. Cosa avrá mai da offrirmi?

"Immagino tu voglia che vada dritta al dunque, comprensibile. Anche io ero come te una volta." constata l'uomo grattandosi un orecchio. Si accomoda sul mio divano senza chiedere il permesso: "Bene allora! Il mio nome è Lucio Demara, e sono un chirurgo plastico. So che stai pensando: ironia della sorte, eh? È esattamente quel che è. Ma prego, siediti, non vorrai startene lì impalata?" mi dice.

"Siamo in casa mia" gli faccio notare.

"Allora sai parlare, iniziavo a preoccuparmi. Dicevo, sono un chirurgo. Un giorno vado a questa festa, trovo un gruppo di ragazze che ballano con delle maschere, una di loro mi lancia la sua. La indosso per fare il cretino e puff, non riesco a toglierla. Fingo di essere al mio agio e vado in bagno e questa parla. Mi dice che sarei diventato un reietto, un abominio, e non sarei mai più stato lo stesso. Carina, eh? Pensavo di essere impazzito, ma poi mi rendo conto che è tutto vero. Sono diventato questo." dice indicandosi la faccia. Io mi arrendo e decido di sedermi, ma mi tengo lontana. Il cuore mi batte all'impazzata e sono curiosa. Da una parte la sua storia mi intriga, ma lui ha ancora quell'aspetto ... non vorrà mica dire che non c'è speranza di rimediare?

Lui procede: "Ho dovuto bruciare la mia casa per rendere credibile il cambiamento improvviso, ho finto di essermi bruciato. Volevo farla pagare a chi mi aveva reso così orrendo, così ho iniziato a cercare. Per prima cosa ho rintracciato la ballerina che mi aveva lanciato la maschera. Si trattava di una strega."

"Che cosa?" domando. Okay, questo è pazzo. Perché l'ho fatto entrare?

"Pensavi che queste mascherine parlassero da sé?" risponde indispettito: "Insomma, qualcuno deve pur averle create, no? Qualcuno le ha stregate, per far sì che, indossate dalla persona giusta, possano emettere sentenze personalizzate."

La mia mente rifiuta di crederci sul serio, ma riesco a comprendere il suo ragionamento. Cerco di stare al gioco: "Ma è indecente!" esclamo.

"Lo pensavo anche io, sì. Ma con la strega, ho trovato anche tutti coloro che hanno spezzato la loro maledizione. Non siamo i soli, io e te. Mi hanno fatto riflettere. Loro erano tutti così felici, così umani. E io cos'ero? Un uomo che prendeva in giro le sue pazienti perché brutte, e si prendeva il merito quando diventavano belle. Ero superficiale, ero attratto dall'aspetto esteriore e non mi fermavo a pensare a ciò che c'era dentro le persone. Questo perché non pensavo mai a cosa io avessi dentro, mi trascuravo a tal punto da pensare che la mondanità e il lavoro potessero sostituire il contatto umano. Così sono cambiato, e questo avrebbe spezzato la maledizione, se solo io non avessi chiesto a Fatìma, la strega in questione, di farmi rimanere così." Lucio sembra assorto nei suoi ricordi, ma io lo desto con la mia sfrontatezza: "Perché mai?"

"Perché quando ero me stesso, ero una persona orribile. Da quando ho questo aspetto la mia vita è cambiata, in meglio. Sono affezionato all'idea di questo mostriciattolo" sogghignò.

Io scuoto la testa: "Ma ... tutto questo cosa vorrebbe dire? Devo cambiare chi sono?"

"Non devi cambiare la tua essenza, devi cambiare atteggiamento. Hai baciato il tuo piccioncino per spezzare la maledizione, e non perché l'amavi. Non basta che sia lui ad amare te e non basta che siate anime gemelle ... cosa fin troppo sdolcinata per i miei gusti, se lo vuoi sapere. Tutta la tua storia è stata impostata in maniera troppo smielata." si accorge di stare divagando così riprende il discorso: "Devi lasciare da parte l'egoismo, devi godere delle piccole cose della vita, devi aprirti al prossimo al prossimo. E così avrai sì, spezzato la maledizione, ma soprattutto avrai trovato la chiave per la felicità, per l'equilibrio. Credimi, Fatìma ci ha fatto un favore." conclude.

Forse ha ragione, forse no, ma sono a disagio. Quando ho baciato Michael non ho mai inquadrato la cosa da quel punto di vista. Non mi sono mai fermata per pensare ad altre prospettive, e probabilmente questo è stato il mio errore. I cambiamenti di cui parla Lucio possono sembrare scontati per una storia a lieto fine, ma non sono così facili da intraprendere come appare. Parliamo ancora un poco, mi racconta che ora lui e Fatìma sono buoni amici e lui aiuta le persone come me, che non riescono a trovare da sole una soluzione alla maledizione. Io d'altronde, non posso che provare rancore verso quella donna. Mi ha rovinato la vita e mi ha lasciata sola con un fardello misterioso ... un giorno riuscirò a perdonarla come ha fatto Lucio? Non credo di volerla mai incontrare di persona, se impazzissi e la aggredissi? Mi ritroverei in un corpo da rana? Il pensiero di essere al cospetto di una strega mi spaventa, per ora voglio solo tornare a vivere. L'uomo decide di andare via, e io lo saluto ringraziandolo. Mi sento inquieta, perché non so da dove cominciare a essere meno egoista. Persino stando da sola non ho pensato ad altro che a me stessa, a come rompere il maleficio e tornare alla mia vecchia vita da arrogante. Come si fa a vivere felici?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Morale della favola ***


Il volto




 
Link Audiolibro su Youtube del settimo episodio:

https://youtu.be/kdzd7hhKr3Y

Seguimi anche su Instagram @angelcruelty

E sulla mia pagina FB "Angel Writing Spot - Marika Ciarrocchi Autrice"


per sapere quando vi sono aggiornamenti, nuove storie, audiolibri, trailer e tanto altro!


IL VOLTO

Episodio 7: Morale della favola

 


Sono passate un paio d'ore dal mio incontro con Lucio, e continuo a pensare e ripensare alle sue parole senza via d'uscita. Vengo salvata da queste laceranti riflessioni da qualcuno che bussa alla porta. Vado a vedere di chi si tratta. Fino a pochi giorni fa non avrei creduto possibile un via vai simile in casa mia, non con la maledizione ancora attaccata alla mia pelle. Ora però, non sono spaventata, né tantomeno sorpresa. Esistono le streghe e una di loro mi ha lanciato un maleficio! Cos'altro può essere più sconvolgente? Guardo dall'occhiello, ma non vedo nessuno, così decido di aprire. Mi mancano i monelli che bussano e scappano! Anche se effettivamente non c'è nessuno nel corridoio, capisco subito chi è stato a bussare. A terra c'è una scatola di un famoso gioco di società. È stato Michael a lasciarlo qui, perché ieri sera ne abbiamo parlato e io mi sono vantata di quanto sia brava nei giochi di strategia nello specifico. Mi chino a raccogliere la scatola e mi rintano nel mio antro per aprirla. Dentro, oltre alle componenti del gioco, c'è un altro biglietto che dice: 'Stasera mi renderò conto se hai davvero fiuto per gli affari o parli semplicemente troppo! Ordino dal giapponese da asporto.” Sorrido al biglietto e lo stringo al petto. Chiudo gli occhi e pregusto la serata. Sospiro e ripongo il biglietto nel cassetto dove ho lasciato il precedente. Qualcosa mi dice che presto quel tiretto diventerà stracolmo, e la cosa mi fa sentire stranamente leggera. Cerco di non pensare a nient'altro che a questo, e intanto mi distraggo con il lavoro. La sera arriva in fretta, e sento l'odore delle spezie giapponesi ancor prima di aprire la porta. Non so bene se baciarlo o meno appena lo vedo, ma lui decide per me, si sporge e pone delicatamente le sue labbra sulle mie. È solo una frazione di secondo, mi manca un battito, e poi entra come se nulla fosse. Ormai conosce l'ambiente, infondo. Il fatto che questo ragazzo sta diventando parte della mia quotidianità mi rilassa e al tempo stesso mi spaventa. Iniziamo subito una partita e di tanto in tanto apriamo una scatolina di cibo e stuzzichiamo golosi. È tutto così semplice, così normale, che non oso sbattere le palpebre. Potrei svegliarmi come da un sogno … anche questa sera ci baciamo, un po' più intensamente e un po' più a lungo. Quando lo accompagno alla porta lo guardo andare via. So che non dovrei, che non posso rischiare di mostrarmi, ma è un gesto che mi viene spontaneo. Non credo di averlo mai fatto prima. Un tempo mi sarei detta: Smettila di adularlo e comportati come se non ti interessasse! Non deve vederti mentre gli muori dietro! Ma adesso queste cose non mi interessano, non mi importa se lui capisce quanto sia importante per me. Anzi, voglio che lo sappia, e voglio che torni domani proprio perché sa quanto ci tengo. Forse un cambiamento nella mia personalità è già cominciato senza che me ne accorgessi. Per tutta la serata, per la prima volta, non ho pensato alla maledizione. L'ho dimenticata. Eravamo solo io e lui. Quindi Lucio aveva ragione, posso farcela: posso essere felice con Michael. Ma quando saprò che sono innamorata? Quando saprò che la maledizione sarà veramente sparita per sempre? Quando potremo essere una coppia che esce nel mondo esterno senza problemi?

I giorni passano, io e Michael ci vediamo quasi tutti i giorni. Lui cerca di non chiedermi di uscire, ma so che vorrebbe. Mi parla di luoghi che ha visto, luoghi che mi piacerebbero, luoghi da visitare in coppia, ma io non posso concedergli né l'uscita, né tantomeno la verità. Mi sento in gabbia più di prima, ma in un certo senso non mi importa. Quando lui è qui non mi importa del resto del mondo, dei luoghi, degli svaghi, delle cucine particolari. Mi godo il momento e basta. Spero che lo stia facendo anche lui.

Ormai ho imparato l'orario di lavoro di Michael. Il bigliettino compare intorno alle undici di mattina, tutti i giorni, esclusi i festivi. Va a consegnare qualcosa nel palazzo, oppure in posti vicini, e fa una deviazione solo per scrivermi una barzelletta che non fa ridere, o un'anticipazione della serata che ci aspetta, o anche una dedica più o meno romantica. Non si sbilancia mai troppo, probabilmente perché nemmeno io lo faccio. Dopo il nostro primo bacio ho paura di fare una mossa verso di lui. Temo di non farla per le giuste motivazioni, come quella volta. Ho buone intenzioni adesso, voglio essere certa di andare nella direzione giusta prima di dire o fare qualsiasi cosa. Prima che il biglietto compaia ho imparato a guardare fuori dalla finestra. Quasi tutte le volte ora incrocio il suo sguardo appena prima di vederlo sparire nella palazzina. Oggi sta ritardando, quindi sono indecisa se tornare a lavoro o continuare a guardare fuori, in attesa. Magari oggi non ha niente da consegnare nella zona, oppure è malato e non ha avuto il tempo di mettermi al corrente della cosa. Ma interrompo le mie considerazioni perché è qui. Lo vedo attraversare la strada con la visiera del berretto che gli copre il volto. Alza lo sguardo verso la mia finestra e mi sorride. Io ricambio, ma dura soltanto un istante. Una macchina che non rispetta il limite di velocità arriva spedita verso di lui e per un'istante la mia vista si annebbia. Il mio cuore smette di battere e tutto intorno a me si ferma. Sta per essere investito, sta per essere investito! Il suo sguardo è ancora rivolto verso il mio, per cui non si accorge del pericolo, ma il mio volto deve avergli dato qualche indizio perché anche lui inizia ad apparire preoccupato. Succede tutto molto in fretta. La macchina inchioda provocando un forte stridore delle ruote sull'asfalto, Michael si sposta in avanti con un balzo, sembra avere le molle sotto i piedi. Qualche guidatore spazientito suona il clacson mentre i passanti si voltano verso l'accaduto. Non resisto. Non posso rimanere a guardare. Lui è lì, a terra: la macchina lo ha colpito? Non sono riuscita a vedere davvero. Perché non si alza? È per via dell'impatto, oppure … scatto via, spalanco la porta di casa e non mi curo di chiuderla, mi lancio per le scale e mi tuffo nelle strade. Sono senza cappuccio, senza occhiali da sole, senza travestimenti né maschere ma non mi importa. Che mi vedano, che mi rapiscano, picchino, insultino, che si innamorino di me: devo vederlo. Devo assicurarmi che sia tutto intero. Finalmente ho capito: ho passato la mia vita a cercare l'approvazione altrui rendendomi perfetta, sexy, intelligente, civettuola … sapevo che in quel modo avrei potuto ottenere qualsiasi cosa, e nulla mi è mai bastato. Ho sempre desiderato di più, ero sempre tesa verso qualcos'altro o qualcun altro, mi innamoravo di uomini impegnati e rubavo il lavoro alle segretarie in età più avanzata; se qualcuno riceveva complimenti dovevo fare anch'io qualcosa per essere lusingata altrettanto, se non di più. Ma non ho bisogno di piacere a tutti e non ho bisogno delle cose degli altri: ciò di cui ho bisogno è sempre stato davanti ai miei occhi, suonava alla mia porta e io gliela chiudevo in faccia. Ora non più. Lo vedo, si sta rialzando con le sue sole forze. Si mette in piedi. È un po' sporco e gli vedo qualche graffio ma sta bene. Grazie a Dio sta bene! Mi sorride impacciato e io butto fuori un respiro di sollievo. Mi getto tra le sue braccia e lui barcolla, preso alla sprovvista. Subito dopo però mi stringe a sé: anche lui ha avuto paura. L'uomo che l'ha quasi ammazzato non scende nemmeno dall'auto, anzi, ci urla di spostarci dalla strada. Mi volto verso di lui senza riflettere sulle conseguenze e gli faccio una pernacchia. Lui però non spalanca gli occhi, non pensa che io sia sua moglie, o la sua anima gemella defunta, né vede in me il suo prototipo di donna. Nemmeno mi guarda quando Michael mi trascina verso il marciapiede, va per la sua strada. Non dò perso all'accaduto in realtà, perché sono concentrata a controllare ogni centimetro del corpo di Michael.

“Ti fa male qualcosa? Sei ferito? Hai sbattuto la testa?” gli chiedo a raffica.

Lui mi assicura che sta bene ma io insisto che salga da me per medicarsi un taglio sulla mano. Cede, e mentre ci avviamo verso casa incrociamo l'uomo che abita al piano superiore, quello con la moglie morta. Mi saluta con educazione ma non va in escandescenza. Allora è fatta. Non bastava trovare l'anima gemella, né innamorarsi: dovevo comprendere la morale della favola e farla mia. Non ho più rivisto la maschera che mi ha maledetto, né ho mai conosciuto la strega che l'ha incantata, ma grazie a loro ho scoperto la magia: alla fine anche io ho trovato il mio posto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3778465