L'arte del saper parlare.

di nouveau
(/viewuser.php?uid=1058551)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Prologo; ***
Capitolo 2: *** II - Lettura del copione (1/2) ***
Capitolo 3: *** III - Lettura del copione (2/2) ***
Capitolo 4: *** IV - Offre la casa; ***
Capitolo 5: *** V - Progenie; ***
Capitolo 6: *** VI - Andava tutto.. ***



Capitolo 1
*** I - Prologo; ***


Il sogno di Marinette di fare la doppiatrice aveva origini storiche, la accompagnava da quando Mulan salvò per la prima di innumerevoli volte la Cina davanti ai suoi occhi, protraendosi per  tutta la sua adolescenza -dopo un numero spropositato di principesse e una vasta gamma di film in generale  - e persistendo persino nella fase adulta, quando dopo anni -e anni, e anni- di scuola di recitazione e di dizione riuscì finalmente ad entrare in una sala di incisione degna di questo nome a doppiare per qualcosa che non fosse una telenovelas.
Quello per cui il suo maestro l'aveva proposta non era un provino per il solito programma di dubbio gusto a cui mancava una voce narrante che garantisse agli spettatori di capire, stavolta Jagged si era superato e le aveva trovato un possibile ingaggio di serie S, decisamente più in alto della solita C a cui era abituata e certamente più in alto della massima A ma che portava orgoglioso la T di TF1.
Se tutto fosse andato nel verso giusto -e Dio, lei davvero sperava di poter cogliere finalmente la sua occasione irripetibile- avrebbe doppiato la protagonista ( in realtà le sarebbe bastato doppiare chiunque, anche una delle insegnanti presenti in quella serie tanta era l'emozione) di una serie animata prodotta in collaborazione da così tanti studios tutti insieme e così importante che le girava la testa.
Ma, perché il ma c'era e la proverbiale sfortuna Dupain-Cheng pure, il problema era che ad assistere ai provini ci sarebbe stato il direttore del doppiaggio, il solo ed unico Gabriel Agreste, un uomo che da solo avrebbe potuto prestare la voce a tutti i personaggi di un film e garantirsi non solo il pubblico nelle sale, ma anche svariati premi dalla critica. Il signor Agreste non solo era il frutto di un albero le cui radici affondavano nel doppiaggio, ma a sua volta aveva preso a sbocciare, uscendo dall'ombra di un padre che aveva interpretato Al Pacino e ottenendo un successo che tutti, in un campo come il loro, sapevano non solo essere suo di diritto ma anche ampiamente meritato.
Oltretutto, l'ennesima complicazione a discapito della discepola di Jagged Stone era anche la presenza del suo -forse- co-protagonista, il figlio di Gabriel, Adrien.
Lo stesso Adrien con una voce tale, nemmeno si sforzava di trovare parole adatte a descriverla, da rendere le sue gambe molli come burro.
Ad avere origini storiche, comunque, era anche la cotta smisurata di Marinette per la voce dell'erede di casa Agreste, nata con un undicenne Draco Malfoy, alimentata da un affascinante Zac Efron e confermata brutalmente dall'incredibile e massacrante lavoro fatto da Adrien per Light Yagami.
A vent'anni o poco più, l'altro già vantava un curriculum chilometrico e un rispetto che in un settore ristretto ed elitario come quello del doppiaggio, dove i pesi massimi hanno la tendenza a masticare e sputare i pesci più piccoli, aveva dello straordinario. 
Ad ogni modo, l'amore della mora per la voce del doppiatore si limitava semplicemente a quello, pura e genuina adorazione per un timbro chiaro e una voce pulita che non era minimamente collegata alla questione dell'aspetto estetico seppur questo, basandosi sull'aspetto di Gabriel Agreste e quello di sua moglie Emilie, doveva essere quantomeno piacevole.
Ma l'estetica, così come il carattere o il gusto nel saper vestire, è un qualcosa che non penalizza né aiuta un doppiatore nel suo lavoro. 
Adrien Agreste sarebbe potuto essere la persona più brutta, arrogante e trascurata del mondo, alle sue orecchie -come a tutte quelle pronte a prestargli un minimo di attenzione- la sua voce sarebbe risuonata come la più dolce delle melodie.

 

***


A discapito di ogni previsione, il provino di Marinette si svolse tranquillamente.
L'ansia che le aveva attanagliato lo stomaco tutto il giorno prima e le aveva fatto perdere l'appetito mentre aspettava il proprio turno si dissolse non appena sentì il familiare peso delle cuffie sul capo, il nervosismo sparì al semplice tocco delle pagine sul leggio.
Con una sicurezza che non pensava di avere recitò le battute e solo quando il monologo di presentazione dell'eroina finì si permise di svuotare completamente i polmoni in un sospiro di sollievo.
Dall'altra parte del vetro Jagged Stone le fece un cenno affermativo che la fece ridere e, dall'alto del suo sgabello vide chiaramente gli occhi azzurri del direttore di doppiaggio posarsi su di lei.
« Possiamo concludere qui i provini, abbiamo già la nostra Ladybug. »
Lo vide sistemarsi la giacca mentre si alzava, un riflesso lucente di quella che sembrava una spilla appuntata contro la camicia candida che faceva capolino dalla giacca scura.
« Complimenti, signorina Dupain-Cheng. »
E come era comparso, Gabriel Agreste era sparito in un battito d'ali.

Nessuno le seppe dire con certezza cosa successe dopo, lei semplicemente non lo ricordava e gli altri erano troppo sorpresi dalla decisione tempestiva, ma era piuttosto sicura di aver gridato e di essere planata tra le braccia del suo insegnante, seppellendo la faccia nella t-shirt metal poco prima che questi la afferrasse per la vita e la sollevasse in alto, come suo padre Tom avrebbe fatto una volta arrivata a casa.
Del suo Chat Noir, fortunatamente, nemmeno l'ombra.






 

La verità è che sono una donna debole, che sono appassionata da sempre di doppiaggio e che ogni volta che sento un doppiatore che mi piace in un'opera (e vi prego, evitatemi di fare l'elenco e soprattutto evitatevi di stare a sentirmi, perché è infinito) mi sento più felice.
E un'altra assoluta verità è che il mondo del doppiaggio italiano è pieno di gente validissima, Pino Insegno e Francesco Pannofino re indiscussi a mio avviso, ma tra le voci giovani il peso massimo -non che i suoi colleghi siano da meno, intendiamoci, solo che non sono lui- è sicuramente il Flavione nazionale, che oltre a prestare la voce a tutti i personaggi per cui Marinette (e io) ha una crush è anche il doppiatore di Adrien. Quindi niente, si sono unite due passioni e questo prologo si è scritto praticamente da solo mentre un agghiacciante Light Yagami si spanciava nel salotto di casa mia in piena notte.
Sperando di riuscire a portare avanti una long a discapito dei miei precedenti vi saluto.
Un bacio,
                 nouveau
(che, come il titolo di questa storia,
   è uno pseudonimo provvisorio)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II - Lettura del copione (1/2) ***


La parola d'ordine di ogni buon doppiaggio è una sola: caffè.
I tempi possono essere serrati, i ritmi frenetici, ma lì, tra gli ingranaggi invisibili all'occhio umano delle macchinette quel liquido scuro scorre indisturbato, presentandosi fulmineo alle evocazioni di persone stanche, con la gola secca e che vorrebbero solo farsi una sana dormita.
Il doppiatore prima di essere la realizzazione di un sogno e di una passione è un lavoro e i lavori spesso comprendono turni con orari non proprio piacevoli, qualcosa che pur essendo un Agreste -riusciva quasi a sentirlo, quel piccolo trademark posto proprio accanto al suo cognome, come un codice a barre postogli alla nascita sotto un piede o sulla nuca- di certo non poteva evitarsi.
E fu quindi con un sospiro di sollievo che Adrien prese il bicchierino di plastica dal distributore, inspirando l'aroma della bevanda prima di accingersi a rimescolarla per liberarsi dello zucchero posato sul fondo, sollevando il capo dal proprio tesoro solo quando una mano familiare non colpì amichevolmente -e forse troppo forte- la sua schiena, facendolo sobbalzare.
« Buongiorno, amico! »
Un lamento inarticolato e un paio d'occhi spauriti furono la risposta al saluto. 
Alle sette del mattino, allegro e pimpante come pochi al mondo nella sua solita tenuta portafortuna -una maglietta comprata su Tee Tee con il design di un occhio per richiamare la buona fortuna, a detta di sua madre, e l'inseparabile cappello da baseball rosso- Nino Lahiffe per poco non rischiò di far volare di mano ad un Asterix particolarmente assonnato la sua pozione magica, di schizzare di caffè una povera camicia e, ultimo ma non meno importante, di indispettire un esemplare di Gabriel Agreste a pochi minuti dalla primissima lettura di un copione.
« Nino!! »  sbottò sottovoce Adrien, riacquistando velocemente la parola e una postura dritta, battendo al nuovo arrivato un pugno contro le nocche prima di bere il caffè in un colpo solo, ben conscio di quanto fosse inutile anche solo offrire all'altro  un piccolo sorso.
Da bravo marocchino avrebbe trovato più di suo gusto un bicchiere di tè alla menta e lui, che di pomeriggi passati a berne da Nino ne aveva passati tanti lo capiva perfettamente.
Da dietro le lenti e la spessa montatura scura, comunque, il moro gli rivolse uno sguardo, captando con gli occhi ambrati i muscoli tesi e i segnali di allerta e di pericolo che il corpo del doppiatore lanciava in cerca di aiuto, premurandosi di avvolgergli le spalle in quello che per entrambi ormai era un rito.
Adrien cercava spesso di evitare impieghi che lo obbligassero a lavorare in presenza -ma soprattutto con- suo padre, colpa della lunga esperienza vissuta sotto la sua supervisione con la parentesi Harry Potter e il decennio in cui Gabriel -a cui, sia chiaro, il figlio voleva un bene dell'anima- in sala di registrazione si trasformava in un despota e schiacciava il più giovane degli Agreste con la sua esperienza, la sua tecnica affinata nel tempo e finiva con il distruggerlo definitivamente con la subdola tattica dell'orgoglio di famiglia da mantenere alto. 
Adrien, se possibile, in quel frangente odiava suo padre o, semplicemente, odiava come il genitore non vedesse in lui nient'altro che un cavallo vincente, un purosangue già sellato e pronto ad attraversare il traguardo, non tenesse a lui per quello che era innegabilmente:suo figlio
La mano calda dell'amico gli lasciò tra i capelli una carezza che ebbe il potere di scompigliarglieli leggermente e riportarlo al presente, posando poi sulla sua spalla un'altra pacca. 
« Ora entra e spacca tutto. »
Senza poterci fare niente rise, rizzandosi rinvigorito prima di entrare nella sala riunioni.

La parola magica di Adrien per un doppiaggio era una sola: Nino.

***

Se il provino era andato bene allora poteva calmarsi, poteva evitarsi la tachicardia, la sudorazione eccessiva, il torturarsi le mani al di sotto del grande  tavolo su cui poggiavano i copioni del pilot, no? 
No? 
No.
Se possibile, Marinette era anche più nervosa della settimana precedente.
Se possibile, Marinette sentiva ogni cellula del corpo percepire e reagire ad ogni spostamento d'aria, un'energia che non capiva e per questo trovava affascinante, una sensazione che la sovraccaricava ma allo stesso tempo le toglieva le forze.
E una paura folle che non provava dall'inizio del liceo, il terrore di dire/fare la cosa sbagliata e bollarsi per sempre come la nuova recluta socialmente imbarazzante ma discreta nel suo lavoro.
Guardando la sedia vuota accanto alla propria sentì la mancanza di Alya, dell'adorabile e petulante giornalista boccalarga che le riempiva la testa di chiacchiere e le rimetteva la terra sotto i piedi quando era sul punto di sentirsela mancare.
Deglutì, tornando a spiare distrattamente la pila ordinata di fogli, ogni plico posto al posto giusto, e poi il profilo severo ed altero di Gabriel Agreste che, benché i capelli brizzolati e l'età -un'informazione che non si era risparmiata, rileggendo ossessivamente la sua pagina personale di Wikipedia- vantava ancora una bellezza e un fascino che aveva il potere di gelarle il sangue, alla stregua di un grande predatore:meraviglioso ed agghiacciante, letale.
Con un sospiro si dedicò a sistemare la bretella della borsetta che si era portata dietro per l'ennesima volta, facendosela scivolare tra le mani e finire per terra con un clangore metallico quando una voce fin troppo familiare -paradossale come una voce a lei così nota, i cui effetti le erano così catastrofici, appartenesse a uno sconosciuto- salutò con un allegro -e meraviglioso, come qualsiasi cosa dicesse- « Salve a tutti! »
Marinette, china sulla propria borsa, non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo dal pavimento, di rimettersi dritta sulla sedia che prese a sembrarle scomoda come un letto di spine, non le riusciva nemmeno di respirare decentemente.
Avvertiva semplicemente tutti salutarsi con tranquillità intorno a lei mentre le sue mani non volevano saperne di afferrare l'oggetto caduto da terra, tremante come un piccolo chihuahua emozionato per un ospite.
Una mano -non sua- però si premurò di raccogliere la piccola tracolla per porgerla alla proprietaria i cui occhi erano puntati ostinatamente sul pavimento.
« È tua? »
Marinette, ti ha appena fatto una domanda! Rispondi, santo cielo!
Incapace di parlare o in generale fare qualsiasi cosa, la ragazza annui appena, vedendo di sottecchi cinque dita affusolate poggiarle la borsa davanti prima di prendere posto.
Accanto a lei.
Le venne naturale spiare di soppiatto il ragazzo che le si era seduto affianco, sentendo qualcosa in lontananza rompersi, un distinto -ed estremamente scenico- rumore di cocci rotti, dei pneumatici grattare la strada in una frenata brusca e un fischio distante, come quello di una teiera. 
Un vaso, una cornice con una foto, una cristalleria, tutto e niente si ruppe in mille pezzi. 
Non importava cosa, semplicemente era rotto. 
Adrien Agreste sarebbe potuto essere la persona più brutta, arrogante e trascurata del mondo, alle sue orecchie -come a tutte quelle pronte a prestargli un minimo di attenzione- la sua voce sarebbe risuonata come la più dolce delle melodie.
Sì. Certo. Sicuramente. 

Peccato che Adrien Agreste fosse anche bellissimo.




Ho superato le 1000 parole e scritto un secondo capitolo, la mia giornata si è conclusa bene.
Inoltre ho preferito glissare tutta la parte descrittiva di Adrien -non perché tutti lo conosciamo bene, anche se la tentazione c'era tutta- perché mi sembra giusto introdurli l'un l'altro almeno un pochino prima che Marinette inizi seriamente ad esaminarlo ciocca per ciocca e fargli le radiografie.
Per lo stesso motivo ho evitato di riferirmi ai capelli biondi di lui o a gli occhi azzurri di lei: c'è tempo.
Prendendo come un buon segno questi due capitoli usciti tanto vicini vi saluto.
Un bacio,

                 nouveau
(che, come il titolo di questa storia,
   è uno pseudonimo provvisorio)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III - Lettura del copione (2/2) ***


A differenza di quello che si sarebbe potuta immaginare -se solo non si fosse impuntata di attribuire al ragazzo un'esistenza eterea ed impalpabile come quella di una divinità- Adrien aveva ben poco di ciò che papà Agreste sembrava mostrare con orgoglio.
Certo, erano entrambi biondi, alti e bellissimi, ma diversi.
Gabriel vestiva in modo formale ed elegante, adatto all'argento che si poteva intravedere tra i suoi capelli chiari, quasi gli avessero cucito addosso  un completo alla nascita che con il tempo e con le occasioni si era piegato al suo volere, sacrificando spesso i pantaloni dal taglio classico per un paio di jeans in onore della comodità, cosa che però non sembrava privarlo dell'aria distinta e ricercata che rilasciava nella stanza, impregnando pareti, tavolo, sedie e soprattutto i polmoni di tutti quelli che gli stavano intorno.
Suo figlio, tuttavia, seppur avesse ereditato dal genitore il fisico slanciato e il naso perfetto doveva aver preso di più dal lato materno, persino nel modo di vestire, dato che contrariamente al padre indossava una maglietta di cotone leggero e un giubbotto di pelle di cui si era liberato appena arrivato . 
La sua voce preferita quel giorno venne finalmente associata ad un volto e, pur andando contro i suoi principi, Marinette si diede della stupida per non aver fatto prima una cosa del genere, per non aver ceduto alla vocina tentatrice -che assurdamente  somigliava a quella di Alya- e a tutte le volte che, arrivate all'argomento, la migliore amica le suggeriva di cercare una foto del ragazzo.
Probabilmente non lo aveva mai fatto per non sentirsi superficiale o forse non voleva avere una delusione nello scoprire che la voce che tanto amava apparteneva ad un viso che non le provocava gli stessi brividi.
Rischio superfluo pensò nel deglutire di nuovo e sollevare finalmente il capo dalla scomoda, scomodissima posizione in cui era rimasta nell'ultimo quarto d'ora, china a fissarsi le mani intrecciate in grembo.
I capelli biondi di Adrien a differenza di quelli di suo padre -trattenuti da quella che con ogni probabilità era cera- erano lasciati liberi in una pettinatura giovanile e sbarazzina, un doppio taglio dove le ciocche più lunghe cadevano disordinate -un disordine sicuramente ben costruito considerando quanto bello risultasse- e accarezzavano con la fine delle lunghezze la nuca e le altre parti del capo, lasciate più corte in un rasato che al solo sguardo le sembrava morbido come velluto.
Completamente privo di barba, la ragazza ebbe la possibilità di spiare un mento delicato, diverso da quello di suo padre ma non per questo meno mascolino e le labbra, strette in una linea rigida che cercava di trattenere una risata causata da qualcosa di molto divertente sul suo cellulare.
Ma la stoccata definitiva al cuore della doppiatrice, comunque, arrivò quando gli occhi dell'altro si alzarono dal display luminoso per spostarsi nei suoi, catapultandola in un verde chiaro che niente aveva a che vedere con l'azzurro ghiaccio di suo padre o qualsiasi altro colore avesse mai visto nell'arco della sua vita.
Probabilmente era stato creato apposta per lui dalla Pantone, l'ingrediente mancante al mix che avrebbe deliberatamente fatto crollare Marinette Dupain-Cheng e l'avrebbe resa molle come un budino, incapace di intendere e volere. Figuriamoci di dare voce alla protagonista.
Un sopracciglio biondo si inarcò e il capo si inclinò quanto basta a scoprire leggermente un orecchio, dove due anellini luccicavano sulla cartilagine.
Quel piccolo dettaglio le mandò il sangue alla testa. 
« Qualcosa non va? »  
Nel panico, Marinette prese aria, provando a contare almeno fino a cinque prima di fare un danno irreparabile che le avrebbe fatto giocare la possibilità di un'amicizia -un fidanzamento, una convivenza e per finire un matrimonio- con il biondo.
« M-Mi piacciono molto i gatti!! Anche quelli maleducati!! » 
Quasi gli gridò in risposta, il desiderio cocente di seppellire il viso tra i capelli scuri e il volto spruzzato di lentiggini che reagiva all'imbarazzo facendole assumere il colore della maglietta che aveva indossato quel giorno. 
Rosso, come ogni capo indossato in Cina in vista dei lieti eventi.
Dal viso di Adrien sparì l'espressione curiosa -passando ad una vagamente confusa- per un attimo, il tempo di voltare il suo iPhone e vederne la cover -presa poco tempo prima e con grande approvazione da parte di Nino- il cui soggetto era un micio bianco con entrambi i medi alzati. 
Poi, come se una sconosciuta non gli avesse gridato contro, si aprì in un sorriso e rise.
Marinette riuscì per miracolo a non manifestare apertamente l'effetto che la risata ebbe su di lei.
AAAAAAAAAA 
Più o meno.

« Speriamo ti piacciano anche quelli spavaldi, allora. A quanto ho capito questo personaggio farà spesso la corte a Ladybug. »
AAAAAAAAAAAA
Una risatina stupida le lasciò le labbra prima di qualsiasi frase coerente, anticipando per fortuna anche il puoi farmi la corte quando vuoi che avrebbe aggiunto se con l'arrivo di Thomas Astruc il gruppo non avesse iniziato a passarsi tra di loro i copioni.

***
La storia era interessante, specie per qualcuno come Adrien che nel poco tempo libero che aveva a disposizione si sciacquava il cervello con ore ed ore di Crunchyroll, Netflix e Twitch.
In breve, due esserini magici provenienti dal Tibet davano la possibilità a due ragazzi di proteggere Parigi da un super cattivo, Papillon, che come loro aveva dei poteri speciali.
Bridgette -interpretata dalla ragazza amante dei felini al suo fianco- possedeva quelli della creazione e della fortuna, Félix -biondo come lui, ma decisamente più tetro- quelli della distruzione e della sfortuna.
Ora capisco il perché di quell'espressione mogia si disse, seguendo con lo sguardo il direttore a capo del progetto in tutta la sua stazza gesticolare a mezz'aria mentre spiegava la figura eclettica dell'antagonista: suo padre.
Freddo, distaccato, severo e iperprotettivo, tanto da farlo studiare in casa.
Ironico che per  quante somiglianze ci fossero tra i due a spiccare fossero proprio le piccole differenze.
Gabriel Agreste era innegabilmente freddo e distaccato, certo. Pretendeva dal figlio professionalità, forse fino a stremarlo, ma di certo non lo aveva mai iscritto a scherma, cinese e pianoforte.
Era protettivo quanto basta e preoccupato per le sorti di suo figlio non più o meno di un qualsiasi genitore consapevole di vivere in una grossa capitale europea. 
Al liceo si ostinava ad accompagnarlo in macchina, ma per il resto aveva un comportamento normale.
Era il lutto quello che proprio non sapeva gestire, ma personalmente non si sentiva di giudicarlo. Dalla morte di sua madre erano passati cinque anni, eppure anche per lui ogni giorno sembrava il primo e allo stesso tempo l'ultimo di un decennio passato senza vederla. 
Emilie Agreste si era lasciata un vuoto incolmabile alle spalle, stroncata da una malattia improvvisa quanto beffarda, e Gabriel si era ritrovato dopo venticinque anni di matrimonio e altri quattro di fidanzamento senza l'amore della sua vita, a dover badare ad un adolescente con il cuore a pezzi. 
Ed aveva fatto il possibile, il meglio che ci si potesse aspettare da un carattere chiuso quanto il suo, spesso mettendo il bene del figlio davanti al proprio e, in tutta onestà, Adrien gli era riconoscente. 
Gabriel Agreste provava ad essere un buon padre, solo che a volte lo trattava come un bambino o lo istigava, conscio del suo potenziale, finendo quasi con ucciderlo per la mole di lavoro.
Papillon, invece, provare ad uccidere suo figlio e basta.
Nel sentirsi nominare proprio dal protagonista dei suoi pensieri interruppe le sue riflessioni.
« Come prego? »  chiese, confuso.
Un sospiro lasciò le labbra del padre, tuttavia non vi furono richiami di sorta e per questo lo ringraziò con un sorriso imbarazzato.
« Stavo dicendo... »  continuò l'altro, voltando una pagina del fascicolo tra le sue dita, arrivando a quella dedicata al character design del suo personaggio.
  « Chat Noir subisce un cambio di personalità poco dopo la sua trasformazione »  un leggero picchiettare sulla carta spostò l'attenzione di tutti dalla figura rigida in abiti civili a quella sogghignante in latex nero. 
Fu il turno di Thomas di parlare. 
« Indossata la maschera è più allegro e disinvolto, fa molte battute e spesso finisce con il dirne anche nel momento meno opportuno »
Un sorriso sbarazzino prese posto sulle labbra del biondo e la ragazza che aveva accanto percepì chiaramente il viso imporporarsi, colpita -ma soprattutto ammaliata- dalla sicurezza che l'altro sembrava avere. 
« Sono sicuro di potercela fare, non è la prima volta che mi trovo a fare un personaggio così.. Mh.. »
« Bipolare?» si azzardò a suggerire qualcuno dall'altro capo del tavolo prima che una gomma da masticare scoppiasse con un sonoro pop, i bei capelli biondi di colei che aveva parlato raccolti in una coda ed abbelliti da un paio di occhiali da sole griffati ben lontani dagli affilati occhi cerulei. 
« Non intendevo questo, Chloé. » rispose piccato -ma con una traccia di riso nella voce che non passò inosservata a Marinette- il ragazzo. 
Si fece coraggio. 
« .. Represso? » chiese, optando per continuare a spiegarsi meglio prima di essere fraintesa da tutto il tavolo, un cast stellare che le aveva puntato addosso un occhio di bue. Lo sguardo della doppiatrice della sua nemesi che sembrava pesarle addosso e bruciarle la pelle.
« M-Mi spiego meglio... 
Lui è un modello e crescere in un ambiente come quello deve essere opprimente.. È normale che si senta libero solo quando nessuno può riconoscerlo e può frenarlo.. » 
Il silenzio cadde e per lunghi, lunghissimi attimi tutto ciò che arrivò alle orecchie della ragazza non fu altro che il ronzio dell motorino che puliva l'acquario nel piccolo angolo della sala riunioni. 
Come era nella sua natura, Marinette quindi temette il peggio e, presa dal panico, iniziò a farfugliare frasi incomprensibili. 
Tuttavia, le mani di Adrien -dell'amore della sua vita precisava qualcuno da un angolo recondito del suo cervello- si mossero entusiaste a supporto della sua voce. 
« Esatto, esatto!! Represso!! È questo che intendevo, Chloé! »
La bionda sbuffò e Marinette Dupain-Cheng, la fortunata, fortunatissima Marinette Dupain-Cheng ad un passo dal collasso, ebbe il piacere di ascoltare una frase che mai si sarebbe sognata di sentirsi rivolgere in generale, ben che meno da lui
Voltandosi nella sua direzione, Adrien le sorrise allegro.
« Sarà bello lavorare con te. »
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
Poi tutto divenne buio. 




La verità è questa,
qualche giorno fa hanno  annunciato BNHA in italiano (curato dalla Dynit, qualità assicurata) e trasmesso sulla Mediaset, quindi diciamo che sono tornata con un aggiornamento -che si spera sia buono abbastanza e non mi ammazzi completamente l'entusiasmo per la storia- e con la domanda di rito: chi doppia chi? 
Questo lo potrò -potremo, in realtà. Ti vedo, kiiro- sapere solo a fine Riminicomix, dove verrà trasmesso in anteprima il primissimo episodio della serie.
Su Facebook attualmente si sta facendo il toto dei doppiatori immancabili/must have di ogni shonen trasmesso in Italia che si rispetti e giuro, giuro, che se mi escludono uno dei capi saldi (AHEM AHEM Davide Garbolino AHEM AHEM Simone D'Andrea AHEM AHEM) la prenderò molto male.

Probabilmente lo guarderò comunque, ma che sono una persona debole si era capito.

 

Cooomunque! 
Ho scelto di riprendere i nomi della versione 2D perché sì, alcuni attori/doppiatori sono tagliati e perfetti per certi ruoli, ma nel caso di omonimia c'è qualcosa di sospetto.
(e inquietante)

ORA, passiamo alla parte divertente: Adrien.
Uno ci prova pure a saltare o ad evitare per il momento la parte descrittiva ma insomma, Adrien è Adrien e va sempre descritto, specie quando ha venti anni suonati, è cresciuto e ha la possibilità di scegliersi i vestiti -e il taglio di capelli- da solo.
Inizialmente ho cercato di basarmi molto sulla sua immagine corrente,  poi ho ceduto e mi sono fatta un giro su Tumblr per cercare un design che soddisfacesse a pieno le mie necessità e ho scoperto che Adrien con il rasato è un Adrien che voglio nella mia vita.
In particolar modo mi sono rifatta a quello disegnato da Gittana: 
https://78.media.tumblr.com/39a7308b9d7043586238ef5eca2087d2/tumblr_oei4zpul8A1tjyt7ho1_500.jpg

Lo so, è un sacco bello. 
E infatti con questa visione -e il consiglio spassionato di girarvi tutto il suo tumblr- che vi lascio!
Un bacio,
                      nouveau
(che, come il titolo di questa storia,
è uno pseudonimo provvisorio)

 

 

P.S.
Dedicherò tempo pure alla mia bambina preziosa, lo giuro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV - Offre la casa; ***


« Vediamo se ho capito bene. »
Le dita dalle unghie smaltate di rosso si strinsero intorno alla radice del naso della giovane, mentre questa prendeva posto su uno dei pochi spazi della chaise longue non occupati dal corpo apparentemente esanime di Marinette.
« Hai partecipato al tuo primo table-read serio, circondata da professionisti, in presenza di uno degli autori della serie, di Gabriel Doppiodall'eradeidinosauri-» 
Un uggiolio simile a quello di un cucciolo ferito la interruppe, ma Alya Césaire, degna del suo nome, non batté ciglio e riprese da dove si era interrotta.
« e suo figlio, Adrien Vocedeigiovaniduemiladiciotto Agreste»
Un altro mugolio lugubre, ma la castana decise di ignorare anche quello ed alzare la voce, forzando un'irritazione che non aveva davvero e che aveva tirato fuori principalmente per coprire un principio di risata dato che ormai, dopo più di dieci anni di amicizia, trovava la sfortuna di Marinette e gli aneddoti da questa derivati esilaranti. 
« lo stesso Adrien con cui mi hai foderato i timpani per annilo stesso Adrien per cui hai guardato una stagione di Shingeki no Kyojin in una nottata, quell'Adrien » 
Alya fece una breve pausa, conscia della ritmicità che un racconto giallo dovrebbe naturalmente possedere per attrarre un possibile lettore ma soprattutto di come avrebbe reagito la migliore amica che, come da programma, emise l'ennesimo lamento disperato. 
« E al minimo complimento da parte sua che fai? Svieni? » benché l'altra non potesse vederla, l'aspirante giornalista scosse leggermente il capo con un sospiro paziente, accarezzando piano le spalle che si ostinava a rivolgerle, sperando probabilmente di essere inghiottita dai cuscini.
« Marinette, Marinette. Pensavo di averti cresciuta meglio di così-- » sbuffò ridacchiando piano, sdraiandosi accanto a lei quando adocchiò i capelli neri muoversi e un paio di occhi azzurri spiare nella sua direzione.
Le si affiancò, un sorriso amichevole e benevolente sul viso sulla creola sebbene ci fosse un luccichio negli occhi nocciola screziati di verde.
« Vedrai che capiranno, alla fine è il tuo primo incarico importante e l'emozione gioca brutti scherzi. »
Un sospiro di sollievo lasciò finalmente le labbra di Marinette che, nonostante tutto, rimase comunque con la stessa espressione afflitta con cui l'aveva trovata l'altra.
Intuendo la necessità di doverla distrarre, Alya strinse leggermente gli occhi, sorridendo e mostrando la solita espressione furba da volpe che anticipava una delle sue domande scomode.
« Detto questo... Lui com'è? »
Il rumore bianco tipico di un vecchio televisore fu l'unico suono che Marinette sentì nel cercare di formulare una risposta che potesse soddisfare la curiosità ingorda dell'amica.
Poi si sbloccò, formulando l'unico pensiero coerente venutole in mente nel cercare di descrivere Adrien con un sospiro.
«È un sogno. »

Venti minuti e cinque ricerche dopo, con l'instagram del doppiatore a portata di mano, Alya non poté che concordare.

***

Era risaputo che Adrien avesse una passione per i dolci, preferenza che lo aveva messo spesso in difficoltà da più piccolo -e non smetteva di farlo nemmeno da adulto- quando era difficile resistere alla tentazione di una merendina solo perché il cioccolato impasta la bocca e non bisogna mangiarlo prima di un turno.
E a sapere della debolezza del biondo, al di sopra di chiunque, era la signora Amina, la mamma di Nino.
Come se avesse preso a cuore la missione -non così segreta- di fargli mettere un po' di carne sulle ossa, infatti, la donna non mancava di far trovare al figlio e al suo ospite una varietà sempre diversa di dolci che andavano da quelli classici originari del Marocco fatte dalle sue manine sante alle specialità parigine, queste il più delle volte comprate in una delle bulangerie più famose, quella..
«Dupain-Cheng!! Come la pasticceria, Nino!! » esclamò, facendo quasi strozzare il padrone di casa con il boccone di tarte tatin. Con le lacrime agli occhi e la faccia blu l'altro tossì e si portò una mano alla bocca e una al petto, calmandosi solo dopo qualche sorso dell'acqua che il responsabile di tale spavento si premurò di versargli.
« Ma che ti è preso?! » sbottò Nino, spostandosi gli occhiali e asciugandosi con la mano l'angolo di un occhio.
Adrien prese lo zaino che si era portato dietro per contenere il materiale raccolto quella mattina, rovistandovi dentro fino a quando non trovò l'elenco delle candidate per il ruolo della protagonista, sfuggito al plico di suo padre qualche giorno prima.
Lesse i vari nomi e si staccò con espressione trionfante quando nella colonna della seconda pagina lesse chiaramente il nome della collega. 
Lo indicò all'amico che, dal canto suo, era ancora confuso.
Adrien sembrava emanare stelline.
« La ragazza che si è sentita male è la figlia di un pasticcere, Nino! Di due pasticceri!! Ecco perché il suo cognome mi era familiare!! » 
Il moro roteò lo sguardo per poi ridere.
« Non dirmelo. Stai pensando di sposarla solo per passare la vita a casa dei suoi e ad ingozzarti? » 
Il doppiatore si alzò dal divano di casa Lahiffe, stiracchiandosi e ficcando le mani in tasca per recuperare ciò che stava cercando ovvero le chiavi della macchina, il tutto teatralmente imbronciato.
« Non lo farei mai. » 
Forse.
Le agitò appena davanti agli occhi dell'amico, producendo un tintinnio, e con il capo fece cenno alla porta. 
« Ma vorrei vedere come sta adesso. »
Infilando la felpa e calcandosi sulla testa il berretto -rigorosamente vietato in casa e perseguibile con un man rovescio piuttosto potente della matrona- Nino sorrise. Alzò la voce affinché la donna nella stanza accanto lo sentisse.
« Mamma, io esco. Accompagno Adrien a farsi venire una carie. » 
Il biondo mutò completamente espressione, stringendo le labbra per evitare che una risata troppo violenta gli uscisse dalla bocca e limitandola così ad un risolino.
Colpi la spalla dell'altro con un pugno debole e scherzoso.
« Scemo. »

***

Nino lo aveva infastidito per tutto il tempo, investendolo di domande riguardanti la ragazza dal momento in cui avevano preso posto nell'abitacolo della macchina e si erano sistemati la cintura di sicurezza -una misura di sicurezza di per sé obbligatoria, ma che nel regolamento ferreo di Gabriel Agreste era inevitabilmente scritta in rosso e cerchiata sei volte, un obbligo da rispettare per ottenere la sua amata Mercedes Benz- a quando erano arrivati all'angolo occupato dalla pasticceria.
A quel punto Adrien si era fermato, facendo sbattere Nino contro la sua schiena, voltandosi e piantando saldamente i piedi nel marciapiede.
« Ti avverto » iniziò cauto e a bassa voce, circospetto quanto bastava intorno a quello che era il territorio della ragazza « mi sembra simpatica, ma non la conosco bene quindi non fare il cretino e non dire cose strane o-- » 
Nino sbuffò, sollevando una mano e muovendola come se questa fosse il becco di una papera.
« o tuo padre mi fulminerà con lo sguardo tutte le volte che verrò a casa vostra, il tuo unico mezzo di trasloco saranno i piedi e, ah già, giusto, probabilmente non farai una vacanza prima del duemilaventiquattro. » 
L'amico gli scoccò un'occhiata scocciata, sbuffando.
« Scemo. » 
Sorpassandolo, il moro gli fece un occhiolino.
« È la seconda volta che me lo dici oggi. »
Fece per rispondergli, ma sfortunatamente il capello rosso era già sparito nel locale, costringendolo a seguirlo.
Guidato dall'odore familiare di dolce, un aroma che sentiva sulla lingua come un sapore vero e proprio, si mosse piano, respirando a pieno il profumo del pane appena sfornato, di croissant ancora caldi e, più di qualunque altra cosa, quello dei biscotti ancora fumanti che aveva fiutato dall'ingresso. 
Ripresosi dall'estasi zuccherina si affrettò a cercare Nino, trovandolo appoggiato al bancone e intento a parlare con una signora piccola e dalle forme morbide che ci si poteva aspettare dalla moglie di un pasticcere, i cui capelli neri e i lineamenti eleganti significavano una sola cosa: era la madre di lei. 
« Come le dicevo, il mio amico era molto preoccupato e ha pensato bene di venire a vedere come sta. »
La più bassa annui, regalando loro un sorriso dolce quanto una qualsiasi delle paste esposte nelle vetrine e che scaldò il cuore del biondo. 
« È molto gentile da parte vostra »
Pulendosi le mani contro il grembiule rosa, la donna si abbassò a prendere da una delle ceste colorate due enormi cookies che porse ai ragazzi, spingendoli tra le loro dita quando questi fecero per ritirarsi, imbarazzati, e trascinandoseli poi nel salotto di casa. 
« Io vado a chiamare le ragazze, voi mangiate pure. » ammiccò ad entrambi « Offre la casa. »
E mentre i due mangiavano felici, Sabine quasi non causò un infarto alla figlia.

Al piano di sopra, infatti, Marinette quasi non rischiò di ammazzarsi.
Elettrizzata dalla notizia di poter finalmente incontrare dal vivo la kriptonite della sua migliore amica -niente film, niente interviste, niente instagram- Alya era saltata giù dalla chaise lounge, venendo placcata da una ragazza esile che però aveva dimostrato di avere la forza di un energumeno nel prenderla e inchiodare al pavimento.
« Non possiamo scendere!! » sibilò la mora, tappando la bocca all'amica prima che questa potesse replicare.
« Finirò per fare una figuraccia e sarà orribile!! Penserà che sono una persona strana e non vorrà lavorare con me!! »
Furba, Alya leccò il palmo della ragazza per liberarsi, facendola squittire sorpresa.
« Marinette, io ti voglio bene ma a volte sei impossibile. »
A fatica, riuscì a mettersi seduta benché il peso dell'amica sul corpo.
« In più, se adesso tu non scendessi gli daresti modo di pensare che sei davvero una persona strana. »
Riconoscendo la verità nelle parole della ragazza, Marinette si rimise in piedi e tese una mano che venne prontamente raccolta da quella più scura di Alya.
Dandole una spintarella con la spalla, la ragazza scoccò alla sua timida, timida amica uno sguardo rassicurante.
« Tranquilla, ci sono io con te. »

***

Adrien e Nino inizialmente furono quasi costretti a sedersi sul divano, entrambi presi a rosicchiare il proprio biscotto come due esemplari inediti di criceto in un episodio di Hamtaro ma, quando sentirono dei passi, la testolina bionda di Adrien e quella non più coperta di rosso di Nino si voltarono all'unisono, avendo modo di avere la prova inoppugnabile di quanto diversa potesse essere una donna dall'altra.
La prima era un'amazzone, camminava con una fierezza che avrebbero potuto attribuire solo ad Athena o a Diana Prince, con una sicurezza che traspariva dall'aspetto estetico -l'eyeliner affilato, il caschetto mosso e dall'ombré ramato, il rossetto brillante che risaltava sulla carnagione scura- e dal modo in cui portava alto il mento.
La seconda, graziosa nei movimenti e quasi come se volesse nascondersi dietro la ragazza, non indossava più la maglietta rossa di quella mattina, aveva optato per una tenuta casalinga che ne esaltava le forme longilinee, una felpa rosa che si sposava alla perfezione con la chioma scura. Titubante come una ninfa, le guance tradivano un tenue imbarazzo che le colorava anche il naso -un naso carinissimo decorato da tante piccole lentiggini- e faceva risaltare i suoi occhi, azzurri e limpidi, contornato da lunghe ciglia.
Accortosi dello stato catatonico del suo amico -la mano con il biscotto quasi penzolava senza vita e gli occhi erano fissi sulle due, come quelli dello spettatore di un miracolo- Adrien decise di muoversi, aprendo la mano dell'altro e aggiungendo al biscotto già presente il proprio prima di alzarsi e raggiungerle.
« Ciao! » proruppe, avvicinandole di un passo e resistendo all'analisi che l'amica senza nome della collega si stava impegnando a fare « Come stai? Ti senti meglio adesso? »
Si voltò verso la ragazza dai capelli corti, porgendole la mano.
« Io sono Adrien, comunque. Quello laggiù invece è Nino. »
Dall'altra parte Alya batté le ciglia dietro le lenti dalla montatura scura, rivolgendogli uno sguardo divertito che gli fece intuire che lei sapesse esattamente chi era -e che trovasse tutta la gamma di espressioni dell'amico esilaranti- prima di afferrargli la mano e scuoterla leggermente.
« Alya. »
Con la complicata intenzione di non ignorare platealmente l'altra ragazza, il biondo riuscì finalmente a rivolgersi alla la doppiatrice mentre l'amica con passo misurato raggiungeva una statua molto verosimile di Nino Lahiffe.
La vide sedersi, poggiarsi comoda contro i cuscini soffici ed accennare con il mento alle cuffie che cingevano il collo dell'amico, permettendo a questi di scongelarsi in un secondo e ad iniziare un discorso concitato sulle varie caratteristiche tecniche dei dispositivi.
Rassicurato dal vederlo più sciolto, Adrien tornò con lo sguardo sulla ragazza che aveva di fronte.
« Stamattina non avevi una bella cera, ma adesso sembri aver preso colore. »
Combattendo la sua natura, quella che le stava suggerendo di sorridere ed annuire come un pinguini di Madagascar, Marinette deglutì.
Senza un cellulare a farle da filtro e l'altro in una delle pose divertenti che aveva postato sul suo Instagram le era tutto più difficile. 
« A-Assolutamente! Sì, sì! Sto molto meglio, m-molto meglio!! Stamattina ero solo.. mh.. molto nervosa, ecco!! Ho dimenticato persino di fare colazione, ahaha!  »
Inconsapevole del treno di pensieri che sfrecciava -e a tratti deragliava dai binari minacciando di schiantarsi contro altre locomotive- nella mente della ragazza, Adrien le sorrise e le posò morbidamente la mano sulla spalla.
Le si avvicinò di un passo, tanto da darle modo di vedere le pagliuzze dorate immerse nel verde delle sue iridi.
«  È perfettamente normale esserlo, ma ricordati che hai fatto un provino per ottenere la parte e che tra moltissime ragazze sei stata scelta proprio tu. Perché hai talento, Marinette. »  
La mora, che aveva già esaurito la sua scorta di ossigeno dopo aver straparlato, ebbe la tentazione di portarsi una mano al petto per fermare la cosa impazzita che sentiva agitarsi nella cassa toracica, ma ascoltò il suo buon senso e si limitò a sfoderare un sorriso forse fin troppo entusiasta e a trattenere le lacrime di commozione che parole tanto gentili le avevano provocato.
Era capace, era talentuosa e piena di sorprese proprio come le aveva sempre detto il suo maestro Jagged Stone, solo che a volte se ne dimenticava.
Posò una mano su quella del biondo.
« Grazie mille. »
 In una accurata rappresentazione del suo personaggio, il ragazzo le fece l'occhiolino.
 « Non c'è di che, principessa. » 
Tentatissima dall'ennesima reazione poco contenuta dietro l'angolo Marinette fece per socchiudere le labbra, tuttavia un rigo in particolare del copione le tornò alla mente e combattere quell'istinto fu decisamente più complicato, quindi si lasciò andare.
Allungò una mano in direzione del volto dell'altro, lasciando con la punta dell'indice un colpetto sulla punta del suo naso.
« Stai al tuo posto, micetto. »   

 

Dal divano Nino ed Alya, benché si fossero appena conosciuti, annuirono complici.
Quei due sarebbero finiti sicuramente insieme e loro avrebbero dovuto aiutato il destino.

 

 

 

Il re-watch n°4 di Death Note prosegue imperterrito, ho rivisto per l'ennesima volta One Punch Man e questa storia va?? in una direzione qualunque ma nel dubbio va??
Diciamo che ci sto provando, dai.

Coooooomunque, 
hanno annunciato parte dei doppiatori di Boku No Hero Academia e ragà, raaaagà, io non so niente né dell'anime e né del manga, ho aspettato nella speranza di guardarlo senza essere esposta a una pioggia di spoiler fitta come quella dei primi tempi MA Aizawa doppiato da Gianluca Iacono mi ammazza
È un personaggio con un'espressione così esausta che a saperlo doppiato da Vegeta mi sento male. Male, vi dico.
Di Flavio nemmeno l'ombra, tuttavia c'è quel mostro sacro di Lorenzo Scattorin (Sanji di One Piece, per intenderci) e CLAUDIO MONETA, IL CLAUDIONE NAZIONALE. IL NUOVO GOKU E IL MAGICO, MAGICO KAKASHI HATAKE. CLAUDIO MONETA.
PIANGO.

Ora, torniamo alla storia: i dialoghi di Marinette sono difficili da scrivere.
Non sono capace di scriverne di carini e ammiro con tutte le mie forze chi riesce a formulare balbettamenti degni di un qualsiasi campione di anagrammi.
Ebbene, non è il mio campo e si capisce. Diciamo che ce li facciamo bastare e siamo tutti contenti, insomma.
Tornando alla trama, ultimamente ho riguardato l'episodio Animan e ho trovato tenerissimo il modo in cui Nino si blocca con Marinette. Tuttavia, per quanto carino, il Nino della storia ha una ventina d'anni, è cresciuto e rimane bloccato davanti alle belle ragazze per poco tempo.
Ed è qui che entra in gioco Alya, il Jolly di Miraculous che scioglie le matasse con la sua parlantina e riesce a mettere tutti a proprio agio.
La DJWifi è adorabile e mi piacerebbe darle uno spazio importante, quindi quale modo migliore se non quello di far interpretar loro (come nel canon) le fate madrine di Marinette ed Adrien?
Esatto, nessuno.

Sperando in una nuova e fulminea ispirazione io vi saluto.
Un bacio,
nouveau
(che, come il titolo di questa storia,
è uno pseudonimo provvisorio)


P.S.
Altra cosa che trovo adorabile nel canon è il modo in cui Adrien viene rappresentato come persona amante del contatto fisico, il fatto che ricerchi sempre la vicinanza degli amici, e il fatto che benché si tratti solo di un'amica -sì, certo- lui sia sempre pronto ad elargire il  tocco confortante delle sue mani di fata.
Immagino sia inevitabile con un padre come il suo, ma trovandolo un dettaglio carino ho deciso di lasciarlo anche in questa storia, dove Gabriel ha un po' più di coscienza ed è presente nella vita del figlio.
Nel suo modo distante, ma è presente.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V - Progenie; ***


Lavorare nel settore del doppiaggio finiva inevitabilmente con il formare legami e creare amicizie basate sulla frequenza con cui due persone potevano vedersi o i progetti in comune, Marinette aveva avuto modo di appurarlo mentre aspettando che il turno della signorina Sancoeur finisse aveva adocchiato Max e Kim -colleghi conosciuti per caso ad un provino finito male- avviarsi insieme al bistrot poco distante e parlare fitti di film prossimi all'uscita. 
Un'altra cosa che aveva avuto modo di capire, oltretutto, era che il doppiaggio serio aveva standard - e tempi, soprattutto- completamente diversi da quelli a cui era stata abituata dai suoi lavori precedenti. 
Certo, indubbiamente era grata a tutti coloro che le avevano offerto la possibilità di imparare direttamente sul campo e mai si sarebbe permessa di sputare veleno su uno dei suoi precedenti impieghi, tuttavia l'ottica con cui si era scontrata iniziando ad incidere per la ZAG le aveva chiuso alle spalle le porte della gavetta giovanile e dei doppiaggi scrausi registrati in tre sedute per introdurla definitivamente al mondo professionale degli adulti in cui sapeva a che ora sarebbe entrata in sala ma non quando ne sarebbe uscita. 
Quindi, per quanto ne sapeva, ai quaranta minuti che mancavano all'uscita della collega se ne sarebbero potuti aggiungere altri sessanta, tutto stava alle direttive del direttore. 
Al pensiero dell'accuratezza e meticolosità capillare di Gabriel Agreste, Marinette sospirò preparandosi all'idea di una vecchiaia trascorsa fuori alle porte di una sala di doppiaggio, oltretutto lontana dalla sua famiglia e da Adrien che, nemmeno a dirlo, era impegnato dall'altra parte dell'edificio a fare chissà cosa. 
Avrebbe venduto l'anima al diavolo per sapere cosa ma, conscia del regolamento non scritto che vigeva tra committenza e azienda, sapeva quanto compromettente sarebbe stato parlare liberamente e diffondere anticipazioni su un nuovo progetto in corso. 
Sconfitta da quelle certezze -e corrosa da quella curiosità bruciante- lasciò che il capo le scivolasse in avanti e un nuovo sospiro le varcasse le labbra, sconsolata anche dalla momentanea irreperibilità di Alya, impegnata a fare ricerche per un articolo di cui non aveva voluto anticipare nemmeno un piccolo dettaglio. 
Una figura poco distante e piuttosto familiare interruppe le lugubri elucubrazioni, permettendo alla ragazza di alzare il braccio in tempo e assicurarsi che Nino -sordo al mondo a causa delle sue fidate cuffie- la vedesse e la raggiungesse per scambiare con lei i classici due baci di cortesia. 
Prima di dire qualsiasi cosa ebbe la premura di fermare la musica -il cui volume era altissimo- evitando così di parlare a voce troppo alta ed interrompere quindi la quiete che li accerchiava. 
« Heylà! Aspetti di incidere? »
Con un piccolo movimento del capo Marinette diede cenno di conferma. 
« Manca più di mezz'ora, ma stamattina temevo di fare ritardo e quindi mi sono anticipata. Tu che ci fai qui, invece? »
Con la segreta speranza di un turno di Adrien prossimo alla fine la doppiatrice trattenne a fatica un sorriso entusiasta, sorriso che poi non ebbe motivo di nascere nel sentire la vera ragione che legava l'amico della sua sbandata a quell'azienda.
Nin -ora che glielo aveva detto Marinette riusciva a dedurlo con un semplice sguardo- era un fonico e questo spiegava più che esaustivamente il suo ronzare perennemente intorno alle sale e la sua estraneità all'orecchio della mora.
Non poteva conoscere la sua voce, per quanto indiscutibilmente piacevole questa fosse, proprio perché non doppiava.
« A cosa stai lavorando adesso? » le venne spontaneo chiedere, dato che ormai aveva avuto accesso a un'informazione e tanto valeva chiaccherare per quel tempo che restava loro. 
Oltretutto aveva avuto modo di appurare durante la loro visita frettolosa a casa sua quanto Nino fosse un tipo alla mano e quanto fosse piacevole parlarci, scambiarci quattro chiacchiere avrebbe giovato sicuramente a distendere il clima di tensione elettrica che si poteva respirare nella hall.
« Stiamo montando la terza di Shingeki no Kyojin, l'incisione è terminata qualche settimana fa e adesso tocca a noi della post produzione fare la magia. »
Nel sentire il nome dell'opera Marinette si espresse in un sonoro e teatrale gasp che lo fece sorridere divertito.
« Non mi puoi dire niente, vero? »
L'espressione sornione che vide apparire sul viso dell'altro bastò come risposta: nemmeno per sogno.
Lo vide togliersi gli occhiali e pulirli con la pezza apposita, rimettendoli poi al loro posto dopo essersi guardato intorno con l'aria circospetta di chi è pronto a raccontare qualche indiscrezione in anteprima. Fece per parlare ma poi tornò a chiudere la bocca a e a stringersi nelle spalle, facendo emettere alla ragazza un lamento frustrato.
Tutti sembravano tenerle segreto qualcosa, quel giorno.
Quel piccolo suono, comunque, bastò a convincere l'altro a farle una piccola concezione.
« Diciamo solo che un paio di volte ho dovuto fermarmi, uscire a prendere un po' d'aria e poi ricominciare a montare. »
Da seduta la ragazza si ritrovò quasi in piedi, tesa in avanti sotto un paio di occhi abbastanza confusi dalla sua espressione allarmata. 
« Dimmi solo che Jean non muore!»
Jean Kirschtein, il personaggio a cui si era avvicinata per motivi personali -l'ennesimo grande doppiato da Adrien che le aveva conquistato il cuore- ma che poi si era ritrovata ad adorare, trovando nel design attraente e nel carattere schietto ed onesto uno dei suoi preferiti assieme ad Armin.
Jean, lo stesso Jean del poster affisso sulla parete di camera sua e per cui avrebbe pianto lacrime amare in caso di morte.
« Non siamo arrivati nemmeno a metà stagione in realtà e quindi non so dirti ancora, ma non penso che Isayama si priverebbe così del suo preferito. »
Rilassando i muscoli, Marinette tornò a diventare parte integrante del divanetto su cui si era arenata quasi due ore prima, inarcando le labbra in un sorriso quando vide il ragazzo scavare nella tracolla che gli cingeva le spalle e tirare fuori da questo quello che lei intuì essere il suo cellulare.
Intravide addirittura un leggero rossore colorargli le gote, un imbarazzo che comprendeva e che le faceva tenerezza, che si era portata dietro per tutta la vita e che non ebbe il cuore di commentare.
« Visto che sei qui e devi aspettare ti andrebbe di darmi un parere su una cosa che ho composto a tempo perso? »
Gli occhi azzurri di lei brillarono di entusiasmo, felice che l'altro avesse trovato il coraggio di esporre una propria creazione.
« Scherzi? Sarebbe meraviglioso. »

E meraviglioso lo era stato sul serio, perché Nino oltre ad essere un fonico e un fotografo capace era anche un bravissimo dj, fino a quando l'idillio non si era interrotto con un bip che si sovrappose alla canzone in riproduzione e una notifica sui volti di Adrien e del proprietario del telefono, entrambi sorridenti e stretti in un abbraccio nella foto usata come lockscreen. 
Marinette, che non voleva risultare indiscreta, distolse lo sguardo dallo schermo mentre il ragazzo si apprestava a leggere il contenuto del messaggio e  si limitò a guardare il viso dell'altro con curiosità, sorridendo in riflesso all'espressione entusiasta che si palesò poco dopo.
Il telefono tornò a sparire nella tasca dei jeans e per un attimo, uno soltanto, la mora vide le sopracciglia di lui aggrottarsi per un dubbio di cui non era a conoscenza prima di distendersi in un'espressione serena. 
Sicuro, Nino si risistemò la bretella della borsa sulla spalla  e calcò il cappello in un gesto che la mora intuì essere quasi un riflesso automatico piuttosto che un abitudine consolidata nel tempo.

« Ho un'idea migliore. »


***

Adrien era nato un venerdì d'Ottobre, in un giorno in cui Parigi era spazzolata dal vento, la pioggia inondava le strade e l'autunno si annunciava fiero.
Era nato velocemente, come se avesse fretta di uscire dal ventre materno per esplorare il mondo, e sin da subito aveva dimostrato di avere ereditato i polmoni dei suoi genitori; aveva pianto e scalciato fino a quando l'infermiera non lo aveva affidato alla madre, calmandosi immediatamente nel sentire il profumo di Emilie e la consistenza setosa dei suoi capelli biondi sfiorargli una manina paffuta mentre le labbra vellutate si posavano sulla piccola fronte.
Aveva aperto gli occhi -verdissimi come quelli di lei- ed aveva arricciato leggermente il naso per la luce artificiale della stanza d'ospedale prima di battere le palpebre confuso e guardarsi intorno.
E Gabriel lo sapeva, sapeva che i neonati non vedono chiaramente, che la loro vista è offuscata per i primi mesi e non capiscono cosa hanno davanti, ma quando aveva preso in braccio per la prima volta suo figlio e questi gli aveva sorriso niente l'aveva fermato dal piangere.
Aveva pianto sommessamente, stringendosi nelle spalle e  rilasciando di getto  lo stress che aveva accumulato durante le lunghe ore di travaglio, deponendo gli occhiali da vista che si erano inevitabilmente macchiati sul piccolo stipetto accanto al letto. 
Aveva accarezzato il bambino con il terrore di fargli male, passandogli un pollice su una guancia piena e lo aveva trovato piccolo tra le sue mani grandi, una briciola forte quanto basta da tenere il collo dritto da solo quando lo aveva appoggiato alla spalla per stringerlo tra le braccia con delicatezza. 
Ed era stato fortunato nel creare una famiglia felice con la donna che più amava al mondo, era stato benedetto da una divinità a lui sconosciuta per aver avuto una vita così felice. 
Solo che la vita, così come la felicità stessa ed ogni sentimento, è momentanea, è inafferrabile e soprattutto: è imprevedibile. 
Emilie era sempre stata forte, sana come un pesce, una donna attiva che praticava sport ogni volta che aveva del tempo a disposizione e che tutte le domeniche mattine li trascinava fuori dal letto per andare al Bosco di Vincennes, per respirare aria pulita e passare del tempo insieme diceva ogni volta prima di scalciare via le scarpe e correre per il prato a piedi nudi, seguita dai piedi scalpitanti di Adrien.
Era l'essenza della vita stessa e Gabriel, lo stesso Gabriel Agreste che si era sempre limitato a godere del calore del suo sole personale tutto si sarebbe aspettato, ma non un tramonto.
Non il buio, non il gelo, non l'asfissia che gli aveva serrato la gola ed contratto i polmoni quando dall'ospedale avevano telefonato per comunicargli la notizia.
Gabriel Agreste, figlio di Gerarde Agreste, che durante la propria carriera aveva sempre avuto un piano B in caso di fallimento, si era trovato impreparato al dolore più grande che avesse mai provato.
E faceva male firmare i documenti al posto suo, parlare con gli addetti delle pompe funebri per un funerale che ancora gli suonava assurdo, girare per casa e sentir pian piano consolidarsi la consapevolezza che non l'avrebbe più rivista, che non l'avrebbe più accompagnata per negozi, che non avrebbe più assistito a quelle brevi e divertenti sfilate improvvisate nei corridoi dei camerini solo per lui, che non avrebbe più ballato con lei stringendola tra le braccia, che non avrebbe più avuto il suo rossetto stampato sulle guance e non si sarebbe più potuto fingere scocciato, che quelle mattinate al parco non avrebbero più avuto la loro ragione di esistere.
E, soprattutto, faceva male voltarsi ed incontrare negli occhi verdi di Adrien, del loro unico figlio, della luce della loro vita, quelli di sua moglie.
La sua voce sarebbe rimasta eterna, immortalata in una moltitudine di opere a cui le aveva lavorato ma il suo viso aggraziato, le sue ciglia lunghe, le fossette del suo sorriso, tutti i tratti somatici che rendevano sua moglie Emilie erano rimasti in un ragazzino di quindici anni a cui l'affetto materno serviva ancora e con cui lui non sapeva come comportarsi.
Quello più di tutto gli spezzava il cuore.

Ma aveva fatto del suo meglio ed Adrien era cresciuto.
Aveva continuato le superiori -mostrando tra l'altro un discreto interesse per le materie scientifiche- e si era diplomato con ottimi voti nonostante la sua scelta di continuare nel mondo del doppiaggio e il tempo che questo gli portava via, conscio -come suo padre lo era stato alla sua età- di come il loro ambito lavorativo cambiasse rapidamente.
Aveva fatto il test d'ingresso alla Sorbona per frequentare il dipartimento di Fisica dell'Università Pierre e Marie Curie ma poi il ragazzo aveva sentito la voce dell'istinto parlare per lui ed aveva abbandonato per continuare la sua carriera. È divertente, gli aveva semplicemente risposto mentre sfogliava un fumetto.
E non aveva mai smesso, non aveva mai mancato un appuntamento, non una scadenza, non si era mai ritirato sebbene le difficoltà, le sfuriate imparziali che gli aveva fatto in pubblico,  i cali di voce, la febbre, i suoi coetanei che vivevano una vita diversa dalla usa.
Adrien era stato lì, sempre, e questo era bastato a renderlo il ragazzo maturo che era agli occhi di Gabriel.
Il ragazzo che non aveva permesso alla perdita della madre di cambiarlo, che si era adattato alla loro vita casalinga completamente al maschile e al dividersi le faccende svolte poi canticchiando, che mangiava con un sorriso sulle labbra e la riconoscenza negli occhi qualsiasi cosa suo padre preparasse per lui, poco importava la patina di bruciato o la totale assenza di sale.
E lui aveva imparato due cose in quei cinque anni trascorsi da quando sua moglie era venuta a mancare, due cose che gli ritornavano in mente quando si ritrovava dall'altra parte della cabina di doppiaggio.

Quanto cucinare gli risultasse maledettamente difficile e quanto fosse fortunato ad avere il figlio che aveva, quanto questi si meritasse tutto ciò che il mondo aveva da offrire ed ogni elogio esistente.
Quanto fosse fiero di lui.

Ed era in momenti come quelli che il suo orgoglio da genitore scalpitava di più, quando oltre a lui, Adrien e il fonico in sala c'erano altre persone, forse a causa di quella consapevolezza egoista -quella piccola briciola di soddisfazione che lo convinceva che tutto sommato aveva fatto un buon lavoro- che gli ricordava che anche lui aveva plasmato quel giovane uomo.
Poco importava se a fare da spettatori erano Nino -che conosceva da quando lui ed Adrien frequentavano l'asilo e a cui si era inevitabilmente affezionato- e la collega più giovane, probabilmente l'amico del figlio lo conosceva così bene da aspettarsi una cosa simile da lui.
Ma lei no.
Tenendo gli occhi puntati sulla propria progenie e senza la minima vergogna, Gabriel Agreste quindi si pronunciò.

  « Non trova che mio figlio sia perfetto, signorina Dupain-Cheng? »  
  « Lo è. »  

Rispose quasi subito lei, rendendosi conto subito dopo della propria ammissione ed avvampando.
Allora Marinette distolse subito lo sguardo da Adrien, dalla sua mimica facciale che a pieno rispecchiava tutti i sentimenti, tutte le emozioni e tutti gli stati d'animo che la sua voce avrebbe dovuto trasmettere, dai sorrisi che intervallavano le battute e che indirizzava loro, dalla luce gioiosa che attraversava il suo sguardo nel fare il lavoro che più gli piaceva al mondo, per guardare il suo direttore di doppiaggio.
Mosse le labbra senza emettere suoni, le strinse in una linea dura e poi rispose con quella che Gabriel avvertì essere la sincerità più disarmante che potesse ottenere da una sconosciuta.

  « I-Intendo dire.. Lui è un vero professionista e lo ammiro molto, n-non lo conosco molto bene ma è sempre stato molto gentile con me e-- umh-- sembra molto simpatico.. »

Nino, che aveva assistito alla scena con un sorriso stampato in volto si intenerì alla reazione della ragazza che, ovviamente, non era abituata all'uomo e al suo modo inusuale di dimostrare la propria approvazione per il figlio.
Allora le circondò le spalle in modo amichevole e sorrise al più grande.

« La metti in difficoltà così, andiamo! »  

Risero entrambi, una per il nervoso e l'altro per sincero divertimento.
Ma fu in quel momento che la ragazza rimase sorpresa, quando, contrariamente alla sua aria glaciale, Gabriel proruppe in una risata bassa e completamente inaspettata.



You know I'm back like I never left (I never left)  
Citando Macklemore: sono tornata ma è come se non me ne fossi mai andata (mai andata)
ed è vero, perché ho avuto problemi personali -e un lungo periodo privo di idee fervide, durante il quale ero più propensa a cancellare la storia piuttosto che mandarla avanti- ma mi sono sempre aggirata per la categoria Miraculous, leggendo tutto ciò che avevo a disposizione nella speranza che mi tornasse l'ispirazione (e soprattutto la voglia) di mandare avanti la mia AU.
Detto questo, il prossimo argomento del giorno è il seguente:
BNHA è iniziato e, personalmente, io sto volando altissimo.
Lorenzo Scattorin come All Might è superbo, Gianluca Iacono per Aizawa è micidiale e Claudio Moneta -esatto, lui! Proprio lui!- come Present Mic mi riporta ai bei tempi in cui interpretava l'arbitro dei tornei di Dragon Ball.
A circa dieci (10) anni fa.
Non avevo ancora iniziato l'anime -lo so, sono indietro di quasi due anni, avete ragione- e quando mi sono decisa a farlo lo hanno annunciato in italiano quindi ho preferito aspettare almeno la prima serie doppiata.
E ne è valsa la pena, perché la dedizione, l'accuratezza e la scelta squisita per ogni doppiatore ha ripagato tutte le settimane di struggimento.

Tornando alla storia: volevo scrivere e stare male, sostanzialmente.
Avevo introdotto il lutto di mamma Agreste e sapevo che non avrei dormito sonni tranquilli se non fossi tornata a parlarne, in particolar modo dopo Style Queen e Queen Wasp perché diciamocelo chiaro e tondo, quei due episodi sono pieni zeppi di informazioni difficilissime da digerire ed avevo la necessità fisica di scrivere dell'amore struggente di Gabriel per sua moglie.
Ma un altro mio desiderio, questo forse anche più pressante del precedente, era quello di scrivere della dedizione di lui per Adrien, di quanto sebbene il lutto gli spezzi il cuore giorno per giorno il pensiero di avere un figlio lo aiuti ad andare avanti.
Inoltre volevo scrivere di quanto Gabriel è fiero di suo figlio, perché Adrien merita questo ed altro e quella è una delle mancanze per cui più soffro durante gli episodi.
Gabriel ha sicuramente svariati problemi e vive in una realtà distorta, ma sa di essere il padre di un raggio di sole. Deve solo trovare il modo di dimostrare i suoi sentimenti.
 

Con ancora l'adrenalina post Boku no Hero Academia in circolo e la notte che è ancora giovane vi saluto e spero davvero di aggiornare in tempi meno discutibili in futuro.
Un bacio,
nouveau
(che, come il titolo di questa storia,
è uno pseudonimo provvisorio)

! ! P L U S    U L T R A ! !

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI - Andava tutto.. ***


La chiesa era gremita di persone, illuminata da un sole che poco sembrava appartenere al mese di dicembre e che filtrava dalle vetrate della chiesa colorando la navata e gli ospiti di magenta, azzurro e tutte le tonalità che componevano le immagini iconiche delle finestre più in alto.
Marinette si soffermò a ricordare la lezione di storia dell'arte che la signorina Bustier -aveva invitato anche lei, giusto?- aveva fatto loro in seconda media sui rosoni e Notre-Dame.
Tutto piuttosto che pensare al fatto che stava per sposarsi.
La nuvola di chiffon che le svolazzava intorno ad ogni movimento e il rampicante di pizzo che le sfiorava le clavicole non servivano a rendere il tutto più reale ai suoi occhi, la cattedrale completamente vestita di bianco -bianco come la purezza verginale che aveva sempre caratterizzato il loro amore- e di una pallidissima sfumatura di lilla -un colore che di certo non avrebbe mai accostato al suo quasi marito- solo per loro non sembrava altro che una coincidenza.
Eppure era riuscita a fare breccia nell'uomo dei suoi sogni, a far battere per sé il cuore della persona che per anni aveva preso il suo e lo aveva strizzato tra le proprie dita alla stregua di una pallina antistress semplicemente parlando, e forse era proprio questo a sembrarle incredibile.
Ma l'aveva fatto erifletté Marinette mentre sistemava meglio il velo sul visodopo tutta la fatica che aveva fatto per smettere di balbettare davanti a lui si meritava di diventare sua moglie.
Confortata da quel pensiero e dal tocco rassicurante di sua madre, raddrizzò il mento e soppesò il bouquet di lisianthus bianchi prima di afferrare il braccio di suo padre e iniziare a percorrere lentamente la navata, sorridendo impacciata e già sull'orlo delle lacrime nel vedere un uomo grande e grosso come Tom Dupain singhiozzare ad ogni passo.
Si sforzò di non cedere al pianto quando arrivarono a pochi passi dall'altare, salutandolo con un bacio mentre la manona del genitore abbandonava la sua per lasciare il posto a quella dello sposo. Di non cedere alle risate quando colse con lo sguardo Alya -damigella d'onore e testimone indiscussa di quella storia- che, per alleggerire la sua voglia di piangere, le aveva fatto l'occhiolino indicando poi con il capo una testa bionda poco distante da lei e il suo vestito prugna.
E lui era sempre stato bello agli occhi di Marinette, sempre attraente come la luce di una lampadina per una falena e meraviglioso come il più splendente dei soli, ma in quell'elegante completo antracite era una vera e propria visione
Il cuore le mancò un battito prima di palpitare emozionato, finalmente conscia di ciò che stava accadendo; la mano gentile spostò con delicatezza il tulle dal suo viso, liberando il campo visivo di lei dalla patina traforata del velo e permettendole di vedere chiaramente Gabriel Agreste in tutto il suo splendore. 
Un momento
Il sorriso le morì sulle labbra e il suo cuore, il muscolo che fino a poco prima le aveva scalpitato nel petto, si fermò con l'eco di un ultimo battito. 
Gabriel? Sul serio? 
Si voltò confusa verso Alya, ancora sorridente al suo posto e per niente turbata dalla presenza dell'uomo davanti all'altare, quasi come se la sua migliore amica appoggiasse l'idea di lei che sposava lui decisamente più grande e vissuto al posto del figlio coetaneo che aveva sempre ammirato. Lanciò uno sguardo a Nino, in cerca di una mano e di quel raziocinio improvvisamente migrato verso sud e dalla testa dell'amica, ma trovò anche lui perfettamente a suo agio in quella situazione.
 Deglutì, tornando a guardare il suo promesso che era bello, certo, elegante e posato come nessuno al mondo mentre la guardava come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto, assolutamente...
Ma restava l'Agreste sbagliato
Quello giusto, infatti, si limitava a seguire con lo sguardo il tutto dal suo posto, accanto a Nino, con in mano un cuscino su cui erano poggiate le fedi. 
Faceva il paggetto
Marinette ebbe quasi l'istinto di ridere della situazione perché ovviamente non poteva limitarsi a sognare qualcosa di bello che le avrebbe fatto passare la domenica a ricordare un lento abbracciata alla sua cotta, ma il suo subconscio trovava giusto riproporle un sogno con plot twist.
Roteando gli occhi e resistendo all'impulso di mettersi a strillare la propria frustrazione, la ragazza iniziò a pensare a cosa dire per tirarsi indietro senza però scappare via imitando un velocista olimpionico.
Il più grande la batté sul tempo, parlando sebbene fosse ancora rivolto al lato di altare occupato dalla sua parte di corte nuziale, un sorrisetto che le provocò una fitta dolorosa al petto per quanto somigliava ad Adrien con quell'espressione.

«Non trova che mio figlio sia perfetto, signorina Dupain-Cheng? »

E lei di nuovo socchiuse la bocca, questa volta però per rilasciare uno sbuffo scocciato, pronta a guadagnarsi l'uscita a colpi di bouquet e spazientita da quella che trovò essere una mossa subdola per una persona che voleva ottenere un sì. Rivangare quell'episodio era stato cattivo persino per Hades, Jafar, il Dr. Facilier e il gruppo di villain Disney più spregevoli che le venivano in mente.
Mosse le labbra a vuoto una, due, tre volte come un pesciolino rosso, senza parole e senza fiato tanta era la rabbia.
Ma l'attenzione fu prontamente spostata su un'altra persona e la ragazza non poté che esserne felice, perché forse quella era la parte del sogno in cui il matrimonio veniva interrotto e il vero amore trionfava . 
Adrien infatti si fece avanti, aggirando suo padre per avvicinarla e prendere la mano più piccola di lei tra le sue nettamente più grandi. 
Avanzò per l'ennesimo passo e, quando fu abbastanza vicino da permetterle di sentire il profumo dolce del fiore nel suo taschino, parlò.

« Già, Marinette. Non pensi io sia perfetto? »

Il suono della sveglia per la prima volta fu accolto con riconoscenza.

E il freddo del pavimento un toccasana per il corpo della ragazza che, la mora lo sentiva, stava andando a fuoco dall'imbarazzo.

  
La scena di giorni prima era tornata alla sua memoria, dopo turni in cui si era sforzata di essere professionale e non scappare a gambe levate dall'esame spietato che gli occhi azzurri del direttore di doppiaggio sembravano portare avanti e dalla vergogna bruciante che la pervadeva quando pensava a quanto ingenuamente avesse ceduto. 
Non era solo disagio - Gabriel dal canto suo non era ritornato sulla questione, era stato clemente e aveva lasciato correre un'occasione su cui il caro Jagged Stone avrebbe affondato le unghie- ma anche l'orgoglio ferito a muovere la più piccola, perché per quanto innocentemente avesse risposto facendolo aveva comunque fatto cadere la maschera che tanto si era affrettata ad indossare davanti all'uomo il primo giorno di incisione. 
La copertura era saltata e Marinette era stata esposta senza troppe cerimonie come la fan esaltata che era. 
Non era del tutto così, naturalmente, e le persone a cui aveva raccontato l'accaduto le avevano rassicurata dicendole che semmai una sincerità come la sua era un vanto più che una pecca e la rendeva una persona degna di fiducia.
Ma oltre a cucinare e a dipingere la giovane Dupain-Cheng era anche brava ad esagerare le situazioni e a viverle come vere e proprie tragedie, quindi non riusciva comunque a perdonarsi. Nessun dubbio sulle sue doti attoriali in tema di melodramma. 
Faceva ancora in tempo a tirarsi indietro e a cambiare mestiere? 
Si chiese genuinamente se al Grand Paris facessero ancora assunzioni, se il posto da portiere fosse già stato preso, se il rosso della divisa le avrebbe portato davvero fortuna questa volta.
Mamma ho cambiato idea, si sentiva già dire, voglio fare l'usciere.
E già si immaginava il cappellino sul capo e una giacca di quattro taglie più grandi addosso, ad augurare il buongiorno ad anziani facoltosi in vacanza, a tenere le porte aperte per celebrità con le braccia occupate da sacchetti di boutique, a sorridere rigida mentre una coppia di sposini scendeva dalla Mercedes Benz degli Agrest--- thump.
Camminando impaziente per la sua stanza, infatti, una piega del tappeto aveva posto fine a tutto quel filo folle di pensieri. Dallo specchio a figura intera che teneva accanto alla finestra, dolorante e confusa dalla caduta presa, poté constatare quasi con sorpresa che la sua faccia era ancora lì e oltre al rossore sulla guancia sbattuta contro il pavimento non vi era altro.
Nemmeno la "A" di "ammiratrice" che pensava di essersi stampata in fronte da sola.
Poteva continuare a fare il lavoro dei suoi sogni e che lei aveva solo ammesso esplicitamente di provare una profonda ammirazione per un suo collega, di certo non aveva svelato le sue fantasie matrimoniali. 
Non ancora, almeno.
Colpendosi le guance con due schiaffetti che diede loro un ulteriore velo di rosa si diede la carica, alzandosi da terra con uno scatto e un'energia che le tornò indietro quasi subito, facendole fare un saltello deciso mentre si avviava sulla scala del soppalco e poi sul letto per riprendere a dormire.
(E forse sognare lo sposo giusto) 
Andava tutto bene.



Andava tutto male.
La crema era impazzita, il pan di Spagna svenuto per quanto era sgonfio e floscio nella teglia e, santo cielo, meglio non parlare dell'aspetto impietoso di quelli che sarebbero dovuti essere semplici biscotti al limone.
La cucina era un campo di battaglia, grumi di Dio solo sa cosa erano volati in tutte le direzioni quando ballando  il biondo aveva inavvertitamente urtato la ciotola dell' impasto per le crêpes e attivato il frullatore con all'interno gli ingredienti per lo smoothie senza avvitare prima il tappo. Una pioggia di fragola, banana e pesca l'aveva investito senza dargli scampo e a peggiorare la situazione ci si erano messi i gusti d'uovo con il loro albume disgustosamente viscido a rendergli i polpastrelli poco prensili.

Andava tutto male perché la verità più vera di tutte lo prese a schiaffi di prima mattina senza nemmeno dargli il buongiorno: non era meglio di suo padre in cucina
Ed Adrien, con il suo indice quasi affettato via, uno scivolone preso a causa della poltiglia che doveva essere un frullato e l'orgoglio ferito, ne divenne dolorosamente consapevole.
Lui voleva solo la colazione. Che aveva fatto di male?
Certo, forse la sua gola gli aveva fatto pensare di prepararne una fin troppo completa solo per lui, ma uno dei pro di avere suo padre in una convention a sette ore di macchina da lui per tre giorni -il genitore era un uomo stoico e insensibile al demone chiamato Zucchero- era il potersi ingozzare di dolci senza sentire la  costante presenza di un'occhiata di fuoco sulla nuca o una battutina su quella pancia che lui era sicuro non ci fosse ma che era sempre in agguato.
Rassegnato a dover cestinare la sua fantasia saccarotica -un modo di dire che avrebbe sicuramente apprezzato Nino- spense il frullatore senza distogliere lo sguardo dalle mattonelle del piano cottura e mettendo fine al rumore agghiacciante di lame che tritavano a vuoto ed evitando ulteriori schizzi degni dei migliori parchi acquatici o delle peggiori scene del crimine, rischiando di strozzarsi con il suo stesso sospiro sconfitto quando al completo silenzio della cucina si unì un suono esterno.
Il motore del cancello automatico.
Suo padre era tornato in anticipo.
Gli occhi verdi vagarono per quello scenario apocalittico, così radicalmente opposto al paradiso sterile alla Gordon Ramsay, e una goccia di sudore freddo scesa lungo la schiena fu l'unica cosa che anticipò il tentativo disperato del ragazzo di evitare l'ennesimo sermone by Gabriel Agreste: raccogliere il più possibile e nasconderlo sotto il mobile del lavandino nel breve lasso di tempo che il genitore avrebbe impiegato a percorrere la distanza garage-ingresso. 

Ovviamente il cumulo di macerie occupava uno spessore tale da impedire allo sportello di chiudersi completamente, ecco perché con una disinvoltura che solo il panico poteva conferirgli si appoggiò contro questi nell'esatto momento in cui il tintinnio sinistro delle chiavi annunciò il nuovo arrivato.

Adrien rimase lì quando i passi si fecero più vicini.

Si sentì il sedere umido e pensò che molto probabilmente la poltiglia era riuscita ad uscire lo stesso.  Che palle.

Vicini.

I capelli erano completamente incollati alla testa e da biondi erano passati a un colore poco rassicurante che nessun parrucchiere, nemmeno il più incapace di Parigi, sarebbe riuscito a replicare.

Vicini.

Avrebbe passato tutta la sua gioventù e parte della sua vecchiaia a pulire quel macello.

Vicini.

Adrienentola.

Quando vide la maniglia muoversi chiuse istintivamente gli occhi in attesa.

« Tuo padre non stava esagerando.. »

Si ritrovò a spalancare gli occhi, le pupille grandi quanto spilli a causa della sorpresa ma soprattutto della luce che la figura sull'ingresso aveva alle spalle. 
Una risata che si propagava tra la devastazione mentre un sacchetto si posava sull'unico pezzo di piano sgombro e un paio di occhiali da sole venivano spostati dal naso per unirsi a quelli che -l'odore era inconfondibile, erano croissant alla crema- finiva poggiato sul bancone in marmo. 
Un sorrisetto accompagnò la fine della frase.

« ..combini davvero disastri, quando non sei supervisionato. »

Delle dita gentili tolsero dai capelli di Adrien un pezzo di guscio d'uovo ma il biondo non vi fece caso, piuttosto batté le ciglia prima di prorompere in un sonoro e -mai come quella volta- teatralissimo:

«Zio?!»

Sébastien Dupont, speaker di punta di una famosissima radio francese e fierissimo responsabile di un programma privato incentrato sul doppiaggio, sorrise e rizzò fieramente il mento e le spalle, indicandosi con il pollice.

« In carne ed ossa. »

***

Il bello di essere parte della famiglia di Adrien era l'essere principalmente circondato da artisti top gamma, l'essere cresciuto tra mostri sacri che sceglievano deliberatamente di dedicargli tutto il loro tempo libero e le loro attenzioni per viziarlo come un principino.
Tuttavia le cose hanno sempre un lato negativo e la sua situazione non era da meno: essere a una conferenza sulla recitazione o al cenone di Natale non faceva differenza perché per tutte le persone all'interno della stanza il doppiaggio e il teatro non erano un modo come un altro per fare soldi e pagarsi il pane: erano vita.
Il momento della poesia imparata a scuola era un'ottima opportunità per nonno Gerard di ricordargli di usare il diaframma e fargli perdere il resto dei versi, il finto broncio e gli occhi da gattino fatti per impietosire la madre e farsi dare un altro pezzo di torta un simpatico spunto di conversazione per parlare del metodo Stanislavski e lasciarlo a guardare agonizzante la fetta di torta tenuta in bilico troppo in alto per la sua altezza di bambino.
La sua infanzia era costellata di episodi del genere, aneddoti divertenti che finivano con il renderlo il più simpatico alle feste e che lo facevano ridacchiare ogni volta che ne raccontava uno, ma che si distanziavano di parecchie posizioni in classifica da quelli vissuti con suo zio.
Perché suo nonno paterno e sua nonna materna erano stati vittima di una deformazione professionale, un riflesso incondizionato dovuto ad anni ed anni di sala di incisione e palchi teatrali, mentre ciò che guidava il moro era innegabile e palese per tutti: bastava guardarlo negli occhi verdi e scorgere lo sguardo compiaciuto per capire che trovava divertente metterlo in imbarazzo, che sfottere bonariamente il suo unico nipote era qualcosa a cui era particolarmente affezionato.
Ed essendo Adrien, appunto, Adrien, farlo era fin troppo facile. 
Degno di Maes Hughes in persona, Sébastien possedeva la più vasta collezione di filmati di suo nipote, persino più grande di quella di Nino -il che significava molto considerando che il duo Lahiffe-Agreste in terzo superiore aveva monitorato tutte le lezioni di educazione fisica di un  intero quadrimestre scolastico- e non solo poteva vantare una filmografia completa ed inedita di suo nipote, ma possedeva inoltre un tempismo tale da trovarsi nel posto giusto al momento giusto e poter aggiornare costantemente la collezione, una teoria confermata dal click  proveniente dallo smartphone che puntò in faccia ad Adrien in  quei 0.30 secondi che avevano passato insieme. 
Il biondo, abituato alla cosa, non fece nulla per impedire l'inevitabile e si mosse solo per passarsi una mano tra i capelli, azione di cui si pentì nell'istante in cui la sostanza che glieli sporcava tutti entrò in contatto diretto con il suo palmo; arricciò il naso in un'espressione che da sola valse altri scatti e  fu libero dall'assalto dell'obiettivo solo quando lo zio si mosse -naturalmente senza perdere l'espressione e il sorriso affilato da Stregatto- per afferrare uno dei pochi stracci scampati alla minaccia rappresentata dai suoi tentativi culinari e cercare di pulirgli la faccia.

« Temo tu possa risolvere solo con una doccia, ragazzino. »

Fu il  verdetto dell'adulto responsabile davanti a lo scenario apocalittico, le condizioni del ragazzo e, sopratutto, alle deliziose chiazze che tempestavano il soffitto. 
Quelle in tutta onestà Adrien non sapeva nemmeno come fossero arrivate lassù.

« Grazie del consiglio zio, non so come farei senza di te »

Si limitò a rispondere il biondo -che biondo, ormai, non lo era più considerando il rosa che gli copriva la testa- sospirando.
Un definito splat cadde sul pavimento e inevitabilmente la loro attenzione si spostò nuovamente in alto, su una buccia di banana miracolosamente attaccata al muro.
Il più grande non ridusse il sorrisetto felino, ma tuttavia iniziò ad arricciarsi le maniche della camicia scura e non perse un secondo per rispondere:

« Saresti ancora in castigo per quella volta che hai distrutto la cristalliera schiantandotici contro con la bicicletta. » 

E poi, come conferma alla sua reputazione:

« Natale duemilaquattro, giusto? »


Adrien lasciò andare uno sbuffo, iniziando a raccattare le poche scodelle rimaste sul piano della cucina .
Sarebbe stata una lunga mattinata.








Correva l'anno 2018 l'ultima volta che ho aggiornato, Boku No Hero Academia era in prima tv su Italia2, il cielo era azzurro sopra Berlino e la vita era daijoubu.
Al tempo non avevo lo spettro della laurea che mi volteggiava sulla testa, ma comunque vivevo questo stato d'animo che vivo ogni volta che torno a rileggere questa fan fiction.
È a metà tra la presa di coscienza -non so gestirle le long- e la delusione, perché i primi due capitoli mi piacevano di più rispetto a quello che ho scritto fin'ora
MA
sebbene i sentimenti siano ancora quelli mama didn't raise a quitter quindi tanto vale assecondare la corrente e vedere dove mi porta.
Nel lasso di tempo in cui sono mancata sono successe cose, tra queste c'è stata la bellissima notizia direttamente da casa di colui che ha ispirato questa fan fiction: è nato Enea Aquilone e suo padre ne ha annunciato la venuta al mondo con un post così delicato e meraviglioso che già a metà lettura ero in lacrime.

Nelle note tendo ad andare un po' in tutte le direzioni e me ne scuso, ma nonostante io legga ff e frequenti EFP da più di un decennio proprio non sono capace di imparare a scriverne di decenti 
(cosa che vale pure per le long, guarda caso)
AD OGNI MODO, oltre a ringraziare tutti per il tempo dedicatomi e per le recensioni -mi cogliete di sorpresa e siete pazzeschi- mi sembra il caso di rispondere a qualche domanda lasciatami nel capitolo precedente da mergana:

Come mai il padre di Gabriel Agreste si chiama "Gerard"? 
Per questa domanda sono andata a cercare nella chat whats app in cui ne parlavo con una mia amica (ciao Elena)
Quando ho messo in piedi questa storia ho scritto di come Gabriel, sebbene fosse figlio d'arte, sia stato comunque un uomo che si è reso noto per il proprio talento e non per cognome che porta. Nonostante questo, però, mi sono fatta comunque un'idea della tipologia di uomo che mi serviva: un uomo affascinante, gentlemen e che, sebbene sia stato un personaggio di spicco ha sempre tenuto i piedi per terra e un ottimo senso dell'umorismo.
In seguito ho cercato su Nomix nomi maschili francesi e ho scelto questo proprio perché era quello che più si accordava alla mia idea. In più è incredibilmente musicale.

Che personaggio doppierà Chloé nella storia? E come sarà l'amicizia che ha con Adrien?
Il discorso di Choé è molto simile a quello che vale per Max e Kim, in realtà.
Avevo bisogno di personaggi che mi introducessero a una dinamica, nel caso specifico di Max e Kim l'intenzione era quella di spiegare che spesso nel mondo del doppiaggio (e in particolare se si parla di doppiatori molto giovani che lavorano molto) si finisce inevitabilmente per fare amicizia o comunque avere a che fare con bene o male le stesse persone, a svilupparci amicizie e addirittura relazioni (per fare un esempio reale: Alex Polidori e Sara Labidi) o nel caso di Chloé quello di lavorare nello stesso cast di Marinette. Non so ancora che personaggio darle perché i dettagli legati all'anime che doppieranno non sono estremamente rilevanti ai fini della trama.
Questo significa che non si vedranno mai più? No, ma per onestà intellettuale devo ammettere che non ho pensato a lungo ai dettagli della loro "comparsa". 
(La voce di Kim è quella di Nissolino, comunque).
Per quanto riguarda l'amicizia tra Chloé ed Adrien, beh, penso sia presto e non voglio citare qualcosa che poi magari non inserirò per questo o un altro motivo, ma generalmente penso a loro come ad un mancato rapporto fratello/sorella, una cosa che sono anche nel canon alla fine.
Sono amici da troppo tempo e si vogliono troppo bene per pensare a una possibile relazione amorosa tra di loro, non so ancora se inserire una possibile amicizia tra le loro famiglie però.

 

E per concludere la domanda da un milione di dollari: di quanti capitoli sarà la ff? 
Mentirei se dicessi che ho un'idea precisa della lunghezza, della quantità dei capitoli o di quanto tempo ci impiegherò ad arrivare all'epilogo. Oltre ad avere un problema con le storie long e le slowburn -questa è entrambe le cose e da persona che è solo al capitolo 6 non posso che stimare tutti gli autori che ne scrivono e lo fanno anche in modo meraviglioso- sono anche una persona priva di costanza, quindi i caricamenti sono sporadici (insoddisfacenti) e rari come la cometa di Halley.
Questo capitolo è in cantiere da più di un anno e solo oggi l'ho portato a termine e pubblicato, capirai quindi che dare un numero o una data sarebbe rischioso.
Ti ringrazio per la domanda, però.


ORA
nel pezzo di capitolo che riguarda lo pseudo matrimonio ho cercato di buttarci un po' del simbolismo che mi fa venire le farfalline nello stomaco, in particolare per quanto riguarda l'allestimento della cattedrale. Erano piccoli suggerimenti, puntini da collegare per raggiungere la consapevolezza che a sposare Marinette non era Adrien, ma Gabriel.
Il mio personale piéce of resistance è stato darle un bouquet di lisianthus, un fiore molto apprezzato in Francia e tradizionalmente usato per le decorazioni matrimoniali, ma che viene associato ai concetti di grazia ed eleganza.  Oltretutto, questi sono fiori che hanno anche una variante in lilla -il cui significato in quel caso è "amore sincero"-  e mi sembravano on brand con l'aesthetic di papà Agreste.
Ma perché questo matrimonio?
Marinette è una che prende male i suoi fallimenti personali e non sa perdonarsi da sola nemmeno disattenzioni piccole, mi sembrava giusto scrivere di una sua -secondo lei- brutta figura che la raggiungeva anche nei sogni. 
In più è stato divertente e l'immagine di Adrien paggetto mi fa ridere.

Ma veniamo all'altra stella del firmamento francese apparsa a fresco a fresco in questa storia dove tutti sembrano sgomitare per farsi spazio: Sébastien Dupont.
Il nome Sébastien divenne molto popolare in Francia e Spagna nel Medioevo, ma ancora oggi vanta molti portatori, tra cui proprio lo zio di Adrien. Il nome stando a ciò che dice Behind the Name significa "venerabile" e, personalmente penso che non potevo sceglierne uno più azzeccato nemmeno volendo a quella che è la personificazione umana di una forma di Camembert.  
È fratello di Emilie e, così come la sua versione mini, trova divertente vedere suo nipote comportarsi da ragazzino.
Farà ancora una comparsa? Lo spero, per il momento mi limito a dargli una fotocamera in mano e a dirgli divertiti frà.

(Dupont era un cognome molto comune in Francia e mi piaceva un sacco)

Per il momento ho finito, spero voi stiate passando questa quarantena in modo piacevole
(e a casa, come bravi bambini) magari essendo più produttivi di me che mi limito a scrollare e saltare da un'app all'altra fino a quando il mio corpo non decide che è un buon momento per dormire.
Mi raccomando, siate responsabili e limitate al minimo le uscite, altrimenti De Luca vi manda i carabinieri con i lanciafiamme.

Prima o poi tornerò ad aggiornare ancora, per il momento:
so long, suckers!

Nouveau
(Sono le 06.48, perdonate eventuali errori di HTML per favore)

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3779007