Storie di vita vissuta

di Ankls_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Leggerezza ***
Capitolo 2: *** Nostalgia ***



Capitolo 1
*** Leggerezza ***


Leggerezza

Stava tornando a casa.
Era da sola, era ancora troppo presto, ma soprattutto era domenica.
La calma regnava sovrana. Le uniche persone in giro erano lei e degli anziani mattinieri con i loro altrettanto anziani cani.
Teneva in mano il vassoio di paste calde appena sfornate. L’aria fresca e frizzante le rinfrescava la mente, aiutandola a svegliarsi. Aveva il telefono scarico, spento. Questo significava niente musica a tenerle compagnia. Pensò che forse fosse un bene, perché non c’era niente di meglio di una passeggiata rinfrescante alle sette del mattino per guardarsi intorno e pensare.
Notava ogni dettaglio che la circondava: dalla fila ordinata di formiche che passeggiavano allegramente sul bordo del marciapiede, alle mattonelle saltate, su cui rischiava puntualmente di inciampare. Notò anche qualche macchina che usciva silenziosamente dal garage. Direzione mare, suppose.
I fiori che spuntavano dai cancelli delle case erano appena sbocciati e il loro profumo era quasi nauseante. Passò perfino davanti alla casa della sua amica, a due minuti dalla sua. Le luci erano ovviamente spente; a differenza sua lei non era andata ad una stupida festa e non aveva finito per dormire in macchina in un parcheggio quella notte. Il suo sonno non era stato in alcun modo rovinato fino a quel momento.
Mentre si voltava a guardare mise male il piede e il vassoietto che teneva in mano scivolò pericolosamente verso il vuoto.
In spalla aveva uno zainetto praticamente vuoto: un caricabatterie che non aveva potuto usare, l’astuccio degli occhiali con dentro cinque preziosi euro e un accendino, inutile senza le sigarette.
Lo sentiva rimbalzare sulla sua schiena ad ogni passo, e nonostante fosse leggero stava iniziando a darle fastidio.
In bocca sentiva ancora il sapore dell’alcol della sera prima, unito a quello del caffè bevuto a colazione.
Non aveva mai fatto colazione così presto. In realtà si era anche meravigliata che nel suo piccolo paesino esistesse un bar aperto alle cinque e mezza, pronto a servire tre ragazzini reduci da una serata disastrosa.
Eppure l’avevano trovato, e c’erano rimasti addirittura un’ora, per riuscire a fare orario prima che uno dei tre dovesse prendere il pullman.
Ripercorreva la serata mentre saltava l’ennesima mattonella rotta e passava davanti alla lavanderia a gettoni, ancora chiusa. L’insegna diceva “Aperti h24. Domenica inclusa”. Pubblicità ingannevole.
Ormai mancavano pochi metri a casa sua. Si girò a guardare verso il circolo ricreativo proprio sotto il suo balcone. La quantità di vetro di bottiglia di birra consumato in quel posto era spaventoso. File e file di casse contenenti bottiglie vuote circondavano tutto il cortile interno, protetto da un vecchio cancello nero.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare era al rumore infernale che avrebbero fatto quando la nettezza urbana sarebbe venuta a portarle via.
Era davanti al suo cancello. Grigio, freddo, umido per via della rugiada. Tolse la mano e se la asciugò sui pantaloni. Agitò un po’ il suo zaino e si accorse di non aver portato le chiavi. Imprecò mentalmente. Era costretta a suonare.
Erano le sette del mattino di domenica ed era costretta a suonare e a svegliare i suoi genitori. Almeno aveva portato le paste.
Dopo 5 minuti che fissava il citofono pensando se fosse davvero il caso, premette quel pulsante.
Fortunatamente il cane era addormentato come tutti quanti, e dalla strada sentì soltanto un debole abbaiare sommesso. Attese. Nessuno rispose e la serratura non scattò.
Provò a risuonare, ormai rassegnata al fatto che avrebbe dovuto scavalcare e aspettare fuori del portoncino d’ingresso.
Neanche un minuto dopo però, la serratura scattò.
Aprì il portone.
Finalmente.
Il suo letto la aspettava.

Tratto da “Una raccolta di pensieri casuali e fatti accaduti in vari momenti della mia vita- Storie di vita vissuta”
 

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Capitolo 2
*** Nostalgia ***


Nostalgia


«Io ho bruciato tutto. Ho bruciato tutte le cartoline di auguri, tutte le lettere, tutti i bigliettini. Non ho conservato niente. Non ci riuscivo. Non riuscivo ad entrare in camera e vederli lì. Non riuscivo a non pensare al fatto che non ci saremmo più parlati. Continuavo a guardare quei fogli e piangere. Avevo bisogno di andare avanti. Negli ultimi anni ho provato solo rabbia e risentimento. Questa rabbia crescente nel petto, che ribolliva, come se fossi pronta a prendere a colpi un muro. Poi rimanevo lì a fissare il vuoto.
Negli ultimi tre anni ho vissuto nel passato, non potevo andare avanti così. Sto ancora vivendo nel passato. Mi sveglio la mattina chiedendomi se le cose sarebbero potute andare diversamente. La mia testa è affollata di "se"; tutto quello che faccio e penso è un "se". 
Mi domando cosa sarebbe successo se io quella sera non ti avessi chiamato, o se fossi stata diversa, o se non fossi partita. Questi dubbi mi perseguitano, e io non so più come fare per restare a galla, perchè loro provano a riportarmi giù. Io provo a riportarmi giù, perchè spero che magari, finalmente, potrò trovare un po' di conforto nelle mie sofferenze. 
E poi come se niente fosse oggi ci siamo rivisti, abbiamo riniziato a parlare, a ridere, a scherzare, e per un momento ho creduto che niente non fosse cambiato. Ho cercato di convincermene. Ma in realtà è cambiato tutto. Perchè tra di noi non c'è più quell'imbarazzo dell'inizio e non so che fine abbia fatto la nostra complicità. Non so perchè ti sto dicendo questo, ora. Forse avevo bisogno che tu lo sapessi.  egoista da parte mia sperare che la ruota giri di nuovo dalla nostra parte, ma mentirei se dicessi che non ci spero. 
Credo di aver bisogno di darmi una seconda possibilità, ho vissuto, sono cresciuta, sono cambiata, maturata, rimanendo sempre ancorata ad un'idea, una creazione, una speranza.
È come un morbo: mi ha resa più resistente ma mi ha consumato dall'interno.
E nonostante tutto quello che ti sto dicendo, vorrei solo chiederti scusa. Chiederti scusa e chiederti di darmi la possibilità di perdonarmi, perchè non ce la faccio più a sentirmi costantemente schiacciata da questa sensazione.»

Rimango senza fiato dopo quello che ho detto. Una nuvoletta di vapore si forma intorno alla mia bocca. 
Mi sento svuotata. Svuotata da ogni emozione e sensazione, come se tutto quello che mi ha sostenuto fino a questo momento se ne fosse andato, lasciandomi con un terribile senso di smarrimento a stringermi lo stomaco. 
Lui non risponde, non dice niente.
Non so cosa mi aspetti che faccia. Probabilmente si alzerà e se ne andrà, e io mi ritroverò da sola su una panchina alle tre del mattino a piangere disperata.
Credo sia quello che mi aspetto davvero, quello che credo di meritarmi, dopotutto. 
Trattengo il fiato e tamburello nervosamente le dita sul metallo freddo. L'importante è averlo detto, continuo a ripetermi, e sono terrorizzata dal fatto che potrei scoppiare a piangere da un momento all'altro, giusto per peggiorare le cose.
Questo interminabile silenzio sembra non passare mai. Mi gira ancora la testa per via dell'alcol, e mi rendo conto che nel caso qualcosa dovesse andare storto potrei dare la colpa a quello, anche se come scusa è decisamente poco credibile.
Con una lentezza che mi sembra surreale, senza dire niente, lui mi prende la mano e la stringe, poggiandosela su una coscia.
Non si gira a guardarmi, tiene lo sguardo fisso davanti a sè.
Il mio cuore salta un battito e mi sembra di sentirlo in gola.
Un nodo fortissimo si stringe intorno al mio collo.
Finalmente i nostri occhi si incrociano. I suoi sono chiaramente offuscati dall'alcol, mi appaiono così profondi da trasmettermi una profonda nostalgia.
«Ti perdono.»
Non dice altro. Rimane lì a guardarmi.
In un singolo istante mi sembra che qualcosa dentro di me si spezzi. 
Una strana sensazione mi pervade, fino a scorrermi per tutto il corpo. Per la prima volta dopo tanto tempo sento una leggerezza non familiare prendere possesso del mio corpo.
Mi sento bene.
Credo di poterlo finalmente dire. 
È come se dopo tre anni di compromessi, rabbia, lacrime, grida e odio... tutto fosse andato.
Come quando trovi l'ultimo tassello mancante del puzzle da un milione di pezzi che provavi a completare.
Due parole e tutto è tornato al suo posto.
Annuisco senza aggiungere altro. Forse lui non sa quanto questo abbia significato per me, ma nel caso se ne rendesse conto, non posso che essergli grata.
Poggio la testa sulla sua spalla e rimaniamo così, con la mia mano stretta saldamente nella sua, godendoci il cielo, come se quelle stelle attendessero solo noi.

 
Tratto da “Una raccolta di pensieri casuali e fatti accaduti in vari momenti della mia vita- Storie di vita vissuta”

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