Revertemur

di Jeo 95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Target 1- Reborn ***
Capitolo 2: *** Target 2- Curse ***
Capitolo 3: *** Target 3- Rings ***
Capitolo 4: *** Target 4- Unexpected ***
Capitolo 5: *** Target 5- Vongola ***
Capitolo 6: *** Target 6- CEDEF ***
Capitolo 7: *** Target 7- Arcobaleno ***
Capitolo 8: *** Target 8- Namimori ***
Capitolo 9: *** Target 9- Bonds ***



Capitolo 1
*** Target 1- Reborn ***


N.d.A.- Chaossu! Era da un po' che non scrivevo su questo fandom, ma siccome nell'ultimo periodo, tra rileggere il manga e rigardare l'anime, mi ci sono riappassionata forse più di prima, non potevo non scriverci qualcosa, ed ecco quindi una bella fic per celebrare l'evento!
Sarà una storia un po' particolare, che coinvolgerà diverse persone, e cambierà radicalmente alcuni rapporti tra i personaggi!
Spero possa attirarvi almeno un po', fatemi sapere se ci sono errori, imprecisazioni o se le descrizioni risultano pesanti e noiose! Mi lascio troppo andare ultimamente!
Un bacio a tutti e alla prossima!


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi che solo il misterioso protagonista può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*



Il bianco accecante del soffitto gli ferì gli occhi nell'istante in cui riuscì a riaprirli. Si strofinò le palpebre con la mano, mentre cercava di riportare alla mente gli ultimi avvenimenti accaduti, nel disperato tentativo di recuperare quei frammenti di ricordo utile a capire dove si trovasse.

Il fastidioso olezzo di medicinali gli infastidì le narici, stordendo ancora di più i suoi sensi già confusi e debilitati, ma abbastanza presenti da fargli notare che un paio di manette legate al suo polso destro lo tenevano inchiodato al letto. Un letto sconosciuto. Un letto nemico.

“Merda.” fu la sola cosa che riuscì a pensare, prima di imporsi calma e freddezza. Il panico non l'avrebbe aiutato a tirarsi fuori da quella scomoda situazione.

Provò a muoversi, ma sembrava quasi che il suo corpo si rifiutasse di rispondere ai suoi comandi, immobilizzato da ferite che non ricordava di essersi procurato. Sentiva freddo, brividi fastidiosi gli correvano lungo la schiena, causati probabilmente da una febbre che non sapeva di avere.

Se ne era accorto solo in un secondo momento, quando il primo brivido l'aveva scosso, subito dopo una profonda fitta all'addome che gli aveva impedito di mettersi seduto.

Gli occhi bruciavano alla luce, e tutto di quella maledetta stanza bianca sembrava volerlo portare ad una cecità perenne: non credeva di aver mai visto una stanza a tinta unita prima d'ora, e sperò che quella fosse anche l'ultima.

“Ma dove diavolo sono?” pensò, tenendosi la gola secca con una mano, incapace di proferire anche solo una parola. Doveva essere rimasto incosciente per diverso tempo -non sapeva dire quanto però, troppo stordito per azzardare ipotesi- la gola gli bruciava da morire.

Provò ancora una volta a raccogliere i propri ricordi, ma un feroce mal di testa gli impediva di pensare con lucidità, quasi come se qualcuno si stesse divertendo a martellargli il cranio dall'interno, nel tentativo di fargli esplodere il cervello e mettere così un punto alla sua vita una volta per tutte.

Kfufufu melodrammatico.

Si alzò di scatto, forse troppo in fretta, respingendo un conato di vomito causato dalle fastidiose vertigini che il movimento brusco aveva causato. Boccheggiando, si strinse la fronte con una mano, passandosela tra i capelli con forza nervosa.

Dei, che sgradevole sensazione aveva appena provato. Quasi come se mille aghi gli avessero trapassato lo stomaco ed il cervello -fanculo, a confronto il suo corpo era in forma smagliante- al solo sentire la voce estranea che gli aveva parlato nella testa.

Chi o cosa fosse però, non era sicuro di saperlo. O forse non lo ricordava, dopotutto sembrava essere affetto da una fottutissima amnesia, come poteva sapere perché una strana voce -irritante e fastidiosa, di permise di aggiungere- riecheggiava nella sua testa?

Trasse un profondo respiro, cercando di arginare quantomeno il dolore fisico che limitava i movimenti del suo corpo, così da essere almeno in grado di compiere anche gesti minimi senza che il dolore gli mozzasse il respiro.

Tze, erbivoro.

E di nuovo, la sgradevole sensazione gli attanagliò lo stomaco e la testa, mentre una nuova voce gli rimbombava nel cranio, strafottente. Non credeva avrebbe retto per molto, probabilmente sarebbe crollato in poco tempo.

Ora che era seduto, finalmente potè esaminare la stanza con calma, restando ancora ferito da tutta quella luce bianca che sembrava volergli impedire di vedere oltre, come se celasse segreti che dovevano assolutamente restare celati ai suoi occhi.

Non fu così, ovviamente. Non c'era molto in quella stanza bianca, che ad una seconda occhiata riuscì a catalogare come una specie di infermeria.

Piuttosto grande, con sei letti e due grandi armadi dentro i quali venivano probabilmente conservati i medicinali e le macchine necessarie a tenere in vita chiunque vi fosse ospite. Lui, in questo caso specifico.

Guardò i monitor che ticchettavano fastidiosamente al suo fianco, monitorando ogni minimo cambiamento nel suo fisico, riscontrando anche la più piccola variazione che avrebbe potuto essergli fatale. Sembrava tutto nella norma comunque, quindi si sentì libero di togliersi il respiratore e quei dannati aghi che qualcuno gli aveva lasciato conficcati nelle braccia, probabilmente dovuti ad una trasfusione. Cazzo, bruciavano come la morte.

A-Aghi?! Re... si... sti...

Mentre l'ennesimo eco gli perforava la mente, stavolta riuscì a stento a trattenere un conato di vomito, costringendolo a stendersi di nuovo per cercare almeno in parte di attenuare le vertigini.

Le manette che gli legavano il polso tintinnarono lungo la sbarra di ferro a cui erano attaccate. Nonostante tutto gli avevano dato abbastanza mobilità, ciò quindi poteva avere due diversi significati: chi l'aveva catturato era, in fondo uno sprovveduto, e questo avrebbe favorito una sua possibile fuga, oppure chiunque possedesse quel luogo era molto sicuro delle proprie abilità e non temeva di compiere una qualche leggerezza a cui avrebbe potuto rimediare facilmente. Sperò che fosse il secondo caso.

Lo scatto della porta lo mise in allarme, e subito le mani andarono a posarsi nella tasca della giacca, in cerca delle proprie armi con cui avrebbe potuto difendersi.

Si ricordò in un secondo momento di indossare solo una semplice canotta bianca che non ricordava di aver avuto prima, senza pantaloni e, soprattutto, disarmato.

Maledizione, chi l'aveva rapito sapeva il fatto suo.

Che situazione estremamente pericolosa!

Stavolta non riuscì a trattenersi, e mentre il suo presunto rapitore faceva capolino nella stanza, un misto di acidi e saliva gli risalirono l'esofago con violenza, per poi riversarsi con un getto sul pavimento prima immacolato. Dei, credeva di rigettare perfino l'anima.

«Oh santo...! Gennaro, presto! Chiama Orazio, lo voglio qui in dieci secondi!»

«Agli ordini, Boss!»

Lo scalpitio di tacchi gli arrivò chiaro alle orecchie, forse ancora più nitido delle voci che aveva appena sentito. Un profumo intenso gli investì le narici, una piacevole fragranza di fiori freschi portata dal vento, che sapeva di terra e cielo nello stesso momento.

Provò ad aprire gli occhi, sforarsi di mettere a fuoco chi si trovasse davanti a lui, di chi fossero le mani gentili che gli stavano accarezzando il viso con delicatezza, fresche come un balsamo capace di placare le fiamme dentro di lui.

Aveva il respiro affannato, e sentiva caldo, più caldo di quanto non potesse sopportare. Probabilmente la febbre era salita in un istante.

Non svenire! Rimani cosciente!

E ancora, un nuovo coniato di vomito gli rantolò nello stomaco, salì su per la gola e trovò di nuovo l'uscita, bruciandogli la gola e sfiancando quelle poche energie che aveva recuperato. La vista sfocata non sembrava volersi assestare, e tutto stava diventando sempre più buio.

«Oddio, la febbre è salita più del previsto! Ehi mi senti?! Ti prego, resisti!»

La dolce voce femminile che lo chiamava era calda e rassicurante, quasi nostalgica in un certo senso. Un nuovo tepore lo avvolse, una piacevole sensazione di calore che gli purificò il corpo, acquietandogli l'animo e donandogli quella pace che, sin dal suo risveglio, non era stato capace di trovare. Come un bellissimo cielo che lo avvolgeva nel suo caldo abbraccio.

Una sensazione nostalgica gli morse la bocca dello stomaco e strinse, sempre più forte, sempre più dolorosa. Faceva male, dannatamente male... come se gli fosse stato strappato qualcosa, qualcosa d'importante che quel calore gli aveva ricordato.

Eppure qualcosa era fuori posto. Era un calore simile, familiare in un certo senso, ma sbagliato. Non era quello giusto. Non era il Cielo da cui sperava di essere sorretto.

Nessuno... nessuno potrà mai sostituirlo.

Con l'ultima voce a trapanargli la mente, alla fine fu troppo da sopportare e le forze lo abbandonarono.

Presto, tutto fu buio.

 

***

 

Stringendo il ciucciotto tra le mani, una muta e disperata preghiera al potere che custodiva dentro, si chiese se non ci fosse altro che potesse fare per aiutare quel ragazzo a stare meglio.

Mentre la luce arancione della sua fiamma avvolgeva il corpo del giovane, cercando di dargli conforto nel delirio a cui la febbre sembrava volerlo sottoporre, sentì i passi dei propri sottoposti alle spalle, agitarsi e raggiungerlo nell'infermeria della loro dimora con più persone di quanto non avesse richiesto.

Gennaro, il suo più fidato e caro amico, le fu accanto in un istante, osservando esterrefatto la donna che provava con ogni sua forza a compiere un vero e proprio miracolo.

«Ho chiamato Orazio come richiesto, Luce-sama!»

Luce lo ignorò, lasciando che la luce della propria fiamma fluisse nel corpo del giovane, fino a quando non fu sicura che fosse definitivamente fuori pericolo, abbastanza stabile da poter essere trattato anche con delle semplici Fiamme del Sole.

Quando il ciuccio arancione smise di brillare e di avvolgere il corpo del ragazzo, Luce si allontanò con un sospiro, guardando il viso addormentato del suo... ospite? Prigioniero? Ancora non sapeva come trattarlo, tutto ciò che sapeva di lui era una visione sfocata e frammentata che non era stata in grado di decifrare.

Sapeva solo che doveva trovarlo e parlargli, che lui era la “soluzione”, anche se non sapeva a cosa.

Sospirando, cercando di riprendere fiato per l'enorme uso di energia a cui si era esposta, Luce si voltò verso i suoi sottoposti sorridendo, ringraziandoli per il supporto e pregando Orazio di fare tutto il possibile per salvare il loro giovane ospite.

Il subordinato si chinò con rispetto, assicurando il proprio Boss che avrebbe fatto di tutto per tenere in vita quella persona. Tutto, pur di soddisfare le richieste di Luce-sama.

Sedendosi su uno dei letti vuoti lì accanto, Luce si lasciò scivolare sul morbido cuscino, poggiando la testa e cercando di regolare il proprio respiro. Ormai era al limite, non le restava molto tempo.

«L-Luce-sama! Non vi sentite bene?!»

Luce sorrise alle premure di Gennaro e negò col capo rassicurandolo che con un po' di risposo, sicuramente, avrebbe ripreso le forze. Non poteva farli preoccupare, non quando in gioco c'era molto di più che la sua misera vita.

Aria presto sarebbe stata abbastanza grande da portare il peso della maledizione al posto suo, ed era pronta a cederle il posto senza alcuna paura verso la morte, spazzando via i rimpianti che si sarebbe portata nella tomba, ma che non poteva permettere minassero la sua stessa convinzione.

Con la venuta di quel giovane però, tutto era cambiato. Luce percepiva qualcosa in lui, qualcosa di grande e potente, come se non fosse solo, come se nel corpo che Orazio cercava di curare con le sue calde Fiamme del Sole più spiriti avessero trovato alloggio.

Lo fissò per qualche secondo, attenta ad ogni possibile cambiamento in lui e nei suoi sottoposti. Strinse forte un lembo di lenzuolo fra le dita affusolante, le unghie lunghe e curate graffiarono la pelle protetta dal telo, ma Luce non sentì dolore. Non poteva fare altro che guardarlo e pensare.

Lui era una soluzione, e anche se non sapeva a quale problema, per ora questo le bastava. Era una speranza, non le serviva sapere altro.
 

***


La seconda volta che riaprì gli occhi, lo stesso bianco candore lo accecò, impedendogli di mettere a fuoco ciò che lo circondava. Sentiva la testa pesante come un macigno, il corpo immobile e rigido, incapace di muoverlo secondo la propria volontà.

Era ridotto davvero ad uno schifo, forse una delle condizioni peggiori in cui avesse mai versato. Che vergogna, per lui, mostrarsi in quelle condizioni.

Provando a mettersi seduto, una fitta allo stomaco lo fece gemere, e fu allora che un paio di mani gentili gli si posarono sull'addome, aiutandolo delicatamente a ritornare coricato sul cuscino.

«Fa piano, non ti sei ancora ripreso del tutto.»

Era una voce dolce e gentile, la voce di una donna apprensiva e preoccupata, che non mancava di provare affetto anche per un apparente estraneo come lui. Aveva un che di famigliare, ma non ricordava dove avrebbe potuto incontrare la sua salvatrice. O la sua carceriera, visto che era ancora ammanettato al brodo del letto.

Oh insomma, apri gli occhi! Sono estremamente curioso di vederla!

Di nuovo, una delle tante voce nella sua testa gli urlò nelle tempie, ma stavolta riuscì a contenere la nausea ed il dolore. Pian piano si stava abituando a quella condizione, doveva soltanto trovare il modo di zittire tutte quelle voci che gli sovraccaricavano il cervello.

Kfufufu buona fortuna. Se trovi l'interruttore per spegnere l'esaltato e la pulce fai un fischio, sono anni che ci proviamo.

Ignorando il lancinante dolore alle tempie ed i commenti dell'altra voce, la prima che l'ultima volta gli aveva parlato, riuscì finalmente ad aprire gli occhi.

Dapprima, tutto era sfocato e opaco, sfumature di colore confuse e senza contorni, mischiati tra loro come una tela di arte astratta di cui non si riesce a carpire il significato. Poi tutto prese una forma, e sembrò di perdersi in un cielo blu limpido come pochi, dipinto negli occhi azzurri della donna che gli sorrideva gentile dalla sua posizione accanto al letto.

Corti capelli scuri le incorniciavano il viso, sotto l'occhio sinistro, un dettaglio che impiegò diversi secondi ad analizzare, spiccava l'inconfondibile marchio arancione che riconobbe a stento, perso nella nebbia che ancora aleggiava nei suoi ricordi.

Poi un flash, ed il nome della Famiglia che portava quel marchio gli uscì dalle labbra senza che potesse fermarla.

«G-Giglio... N-Nero...» fu un suono rauco, ma udibile.

Tossì diverse volte, sentendo la gola bruciare per lo sforzo, mentre le caotiche voci nella sua testa sembravano agitarsi per l'inaspettata presenza della donna al suo fianco.

Uno strano calore gli si agitò in corpo, fiamme pure e feroci scalpitavano sotto la punta delle dita, indispettite da quell'improvvisa prigione da cui non riuscivano a liberarsi, sovreccitate dalla sorpresa che quella donna aveva causato tra le voci.

Luce sentì l'energia di quel ragazzo pulsare furiosamente, scalciando sotto la pelle per poter uscire, sfogarsi, ritrovare quell'armonia che sembrava aver perduto all'improvviso. Guardò il bel viso del giovane -non più di ventisei anni, di questo era certa- e si chiese quale peso dovesse sopportare, come avesse fatto a ridursi nello stato pietoso in cui l'avevano trovato.

«Dovresti riposare ancora un po'. Le ferite stanno guarendo, ma hai ancora la febbre.» sorrise gentile, posandogli un panno umido sulla fronte.

Era fresco e piacevole, tanto che per un attimo gli sembrò di sprofondare ancora in un piacevole sonno ristoratore.

Non abbassare la guardia, erbivoro.

Reprimendo l'irritazione, il dolore e la nausea che sembravano coglierlo ogni volta che uno di quelli parlava, ammise a sé stesso che quell'ultima frase era un saggio consiglio da seguire. Era pur sempre in presenza di una nemica -per quanto ne sapeva lui, potevano essere stati i Giglio Nero ad attaccarlo la prima volta- non poteva permettersi di abbassare la guardia e distrarsi.

«C...Cosa v-vuoi?» trovò la forza di chiedere, puntando lo sguardo in quello azzurro della donna, che ancora lo fissava sorridendo, per nulla intimorita dalla nota minacciosa che aveva cercato di usare.

Non c'era da stupirsi dopotutto: chi si sarebbe lasciato intimorire da un moribondo ammanettato?

«Veramente, speravo potessi dirmelo tu.»

Il giovane uomo dilatò gli occhi, confuso, sorpreso da quelle parole, mentre sentiva la nebbia pressare sui suoi ricordi ed offuscargli la mente.

«I-Io...n-non... r-ricordo...»

Luce annuì comprensiva, portandosi una mano sotto il mento e stringendoselo tra due dita, pensierosa.

«Be si, credo sia normale essere un po' confusi. Dopotutto non è una cosa da tutti i giorni, viaggiare attraverso il tempo come hai fatto tu, è normale che tu sia confuso.»

Il giovane si pietrificò. Viaggiare attraverso il tempo? Cosa... cosa cazzo significava?

Maa maa, cerca di non andare nel panico.

Gli suggerì una delle voci, ed ebbe il sentore che chiunque si nascondesse dentro di lui, probabilmente sapesse quello che gli stava succedendo. Ed il fatto che loro sapessero e lui no lo mandava in bestia.

N-Non è colpa nostra. T-Tra poco dovrebbe andare meglio... spero.

La voce dell'unica ragazza che sembrava infestargli la mente gli arrivò chiara, dolorosa ancora, ma gli sembrava sinceramente dispiaciuta che lui fosse l'unico a non sapere.

«Però, forse posso aiutarti a ricordare. Sono molto interessata a quello che hai da dire, in verità.»

Guardò per qualche secondo la donna avvicinarsi a lui, sempre sorridente, con un ciuccio arancione stretto tra le dita sottili, che delicatamente posò sulla fronte, al posto del fresco panno umido.

Fu come una magia.

Il blocco che gli oscurava la mente parve quasi sciogliersi a contatto con la calda luce aranciata dell'oggetto, e sentì i pensieri fluirgli nell mente come un mare in piena, vogliosi di ricordargli cose del passato che aveva dimenticato -ma troppo importanti per andare perdute.

Quando il flusso finì e la luce del ciuccio si dissolse, sentì la testa più leggere, le vertigini attenuarsi, e la consapevolezza del ricordo farsi strada dentro di lui con prepotenza e avidità.

Come aveva potuto dimenticare? Era lì per un motivo preciso, una missione che doveva compiere a costo della vita, e invece... aveva semplicemente dimenticato.

Aveva dimenticato loro, aveva dimenticato lui. Era un crimine che non poteva proprio perdonarsi.

Su ora non esagerare, il ruolo da prima donna non ti si addice proprio.

Ora che la sua mente era stabile poteva sentire distintamente le voci nella testa senza collassare, benché ancora provasse un leggero fastidio dovuto forse alla poca praticità che possedeva nel condividere il corpo con altri sei individui -uno più fastidioso dell'altro, oltretutto.

«Cuciti la bocca, piagnone. Da te, la predica, non la voglio proprio.» sentenziò, mettendosi a sedere e guardando serio la donna che l'aveva appena aiutato.

Luce lo guardava confusa, chiedendosi se avesse fatto la cosa giusta nel rilasciare il blocco che gli aveva bloccato la mente, messo probabilmente nel tentativo di proteggere ciò che era nel viaggio tra un mondo e l'altro. Quando lo vide accennare con il capo un segno di gratitudine e rispetto, penso che sì, aveva decisamente fatto la scelta giusta.

«Si si, lo so! Ora glielo chiedo.» lo guardò curiosa, mentre conversava tra sé e sé come se ci fosse qualcun altro lì con lui, ma non osò disturbarlo. Semplicemente gli rimase seduta accanto, ascoltando e cercando di capire.

Il giovane si voltò verso di lei serio, composto, schiena dritta e muscoli tesi, come se si aspettasse un attacco da un momento all'altro.

«Per caso, lei è la prima Arcobaleno del Cielo?» Luce sobbalzò.

Certo non era mistero che altre persone conoscessero l'esistenza degli Arcobaleno, erano diventati piuttosto famosi tra la mafia -lei stessa aveva già un nome in essa, prima della maledizione- tuttavia aveva fatto in modo che poche persone sapessero che era lei, Luce Giglio Nero, il capo dei sette bambini più forti del mondo.

Soltanto i membri della Famiglia Giglio Nero e pochi altri eletti ne erano a conoscenza -tutte persone fidate a cui Luce avrebbe affidato la propria vita, se necessario- quindi non riusciva a spiegarsi come facesse quel ragazzo a saperlo.

Perchè lui è dell'altra parte. La vocina nella sua testa gli ricordò, e si diede della stupida per non averci pensato da subito.

Annuì, incerta.«Il mio nome è Luce Giglio Nero, Ottavo Boss della Famiglia Giglio Nero e, come hai già detto tu, Arcobaleno del Cielo.»

«Lo immaginavo. Siete la copia di Yuni-sama, o meglio, lei è la vostra.» rise amaro, per poi tornare serio a rivolgersi alla donna.«Luce-sama, come ci avete trovato?»

'Ci', al plurale. Non era stato un errore, ne era sicura.

Con un profondo respiro, la donna lo guardò, senza sapere bene come spiegargli la situazione. Si trovavano entrambi davanti a qualcosa di incredibile, ed erano certi che qualunque parola fosse uscita tra loro, in quel momento, non avrebbe mai lasciato le quattro mura in cui si stavano fronteggiando.

«Ho avuto delle visioni.» torturandosi una ciocca scura, Luce sentì di dovere una spiegazione al giovane, che ascoltò senza interrompere nemmeno una volta.«Ti ho visto, lì nel bosco dove ti abbiamo trovato. Ho visto il tuo arrivo, il patto che hai fatto per arrivare fino a qui, e ho visto il tempo da cui provieni.»

Non aprì bocca, lasciando a Luce il tempo di elaborare le prossime frasi, impaziente di conoscere la verità.

«Non so chi tu sia, né quale sia il fine ultimo che ti ha spinto a tornare indietro, tutto ciò che so è un nome che non smette di tormentare le mie notti, la ragione principale per cui tu, per cui voi, siete qui.» l'ennesimo respiro, poi continuò.«Tsu...»

«Basta così.» il ragazzo la interruppe, gli occhi velati di una tristezza indefinita che -Luce poteva dirlo con sicurezza- sembrava non appartenere solo a lui.

C'era qualcosa -qualcuno- dentro quel ragazzo -quell'uomo- che non riusciva a decifrare.

«Odio dover concordare con lui, ma credo sia la scelta migliore.» di nuovo lo sentì parlare da solo, assorto nei suoi pensieri, prima di tornare a guardare lei con l'espressione più malinconica che gli avesse visto fino a quel momento.

Ma sotto a quella malinconia -una struggente, profonda, incurabile malinconia- splendeva una delle fiamme di determinazione più brillanti che avesse mai visto -e Luce ne aveva viste tante, di fiamme.

«Luce-sama... ascolterebbe la nostra storia?»

Deglutendo, Luce annuì, sistemandosi meglio sulla sedia e stringendo con forza due lembi della gonna della sua veste bianca, cercando di scaricare in qualche modo la tensione che le si era accumulata addosso. Stava per rivelarle qualcosa, qualcosa di grosso, e voleva essere pronta a ricevere qualsiasi cosa lui le volesse raccontare.

Prese un profondo respiro, e guardandola dritta negli occhi -aveva dei bellissimi occhi verdi, Luce li aveva notati solo in quel momento- iniziò a raccontarle la sua storia.

«Mi chiamo Gokudera Hayato. Noi... siamo la Decima Generazione Vongola.»


 


 

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Capitolo 2
*** Target 2- Curse ***


N.d.A.- Chaossu! Ecco il secondo capitolo di Revertemur, più lungo di quanto avevo inizialmente progettato... forse un po' troppo lungo, vedrò di non tirarla troppo per le lunghe la prossima volta u.u
Allora, che dire del capitolo in sè? Devo dire che è stato... intenso. Sia da scrivere, che da revisionare, che da progettare nel suo insieme, spero non sia venuto un pasticcio!
Invito sempre a farmi notare errori, imprecisazioni e altro che potrebbero far storcere il naso!
Ah piccolo appunto: so bene che noi italiani non usiamo suffissi come "-san" o "-sama" o "-kun", ma che posso dire? Aiutano a rendere meglio il gradi di rispetto e confidenza che le persone provano l'una per l'altra, e poi sono una fag del Giappone per certe abitudini, quindi... spero non me ne vogliate!
Buona lettura a tutti e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*




Rilassandosi sotto il getto dell'acqua calda, Hayato si sentì rinascere.

Era piacevole crogiolarsi sotto la doccia, in pace, lasciando che lo stress ed i problemi della giornata venissero trascinati via dall'acqua, giù lungo tutto il suo corpo, inghiottiti nello scarico dal quale -e questa Hayato lo sperava davvero- non sarebbero più riemersi. Non troppo presto, almeno.

Erano successe tante cose -troppe in troppo poco tempo- e benché la maggior parte dei suoi ricordi avesse ripreso il proprio posto, c'erano ancora alcuni buchi oscuri che non riusciva a colmare -cazzo, detestava non sapere le cose, specie se in ballo c'era l'incolumità stessa della persona a cui era più legato.

E gli idioti nella sua testa non erano di alcuna utilità.

Chi hai chiamato idiota, testa di polpo?!

«Voi tutti, testa a prato!» ringhiò.

Quando mai aveva accettato quel compromesso? Avrebbe fatto meglio ad arrangiarsi, senza caricarsi di inutili pesi che, a suo dire, l'avrebbero soltanto rallentato -e senza condannarsi a sentire l'irritante presenza di Lambo e di Ryohei costantemente a contatto col cervello.

La buona notizia era che ora -acquisita la consapevolezza ed i ricordi della vita nell'altro mondo- non soffriva più ogni volta che uno degli inquilini indesiderati cercava di comunicare con lui.

Kfufufufu, peccato. Era divertente vederti contorcere come un verme.

Ci ripensò. Avere quel tipo a stretto contatto con la sua mente era certamente il male peggiore di tutta quella situazione.

Attento a non compiere movimenti troppo bruschi -cazzo, sembrava che il suo corpo fosse rimasto piantato nel cemento per almeno dieci anni, tanto era indolenzito e debilitato- finì di lavarsi, beandosi di quella magnifica sensazione per qualche altro minuto.

Chiuse la manopola dell'acqua ed uscì dalla doccia, avvolgendosi la vita in un morbido asciugamano e prendendone un secondo, in cui raccolse la chioma argentea che, in quegli ultimi giorni si era fatta più folta e lunga. Prendendo una ciocca tra le dita, rigirandola e studiandone i riflessi sotto i neon, si disse che forse era arrivato il momento di dargli una spuntata.

Rientrando nella stanza che Luce gli aveva messo a disposizione -senza manette a circondargli i polsi stavolta- Hayato cercava di sentirsi parte di quel nuovo mondo, quantomeno provando a celare il profondo disagio che gli stringeva lo stomaco nell'essere lì in quel momento, in una stanza che non riconosceva come sua. In un tempo in cui non avrebbe dovuto esistere.

«Puoi fermarti da noi quanto vuoi, Hayato-kun.» erano state le parole gentili di Luce, a cui aveva potuto rispondere con un tenue sorriso ed un cenno del capo.

Le era davvero grato -tutti loro lo erano infondo- ma non riusciva a sentirsi parte della grande famiglia in cui la donna l'aveva amorevolmente accolto. La costante sensazione di sentirsi fuori posto, sbagliato, era sempre lì, infida, pronta ad insinuargli il dubbio di non essere altro che un peso per Luce e tutti i Giglio Nero. Forse era davvero così in fondo.

Prese una camicia rossa dall'ampio armadio che gli era stato messo a disposizione, optando per un classico completo nero, come quelli che era solito indossare nel suo tempo, quando poteva stare accanto al suo Boss senza preoccupazioni, felice di vivere con la sua Famiglia, l'unica che avesse mai avuto.

Con i pantaloni issati, lasciò la camicia rossa adagiata sulla sedia della scrivania, concedendosi un attimo di riposo e sedendosi sull'ampio letto a baldacchino -troppo vistoso a suo dire, ma non voleva mancare di rispetto ai Giglio Nero e alla loro gentilezza- e lì lo sguardo balzò immediatamente sulle scritte rosse delle sveglia, poggiata sul tavolino accanto.

Riguardò la data due, tre volte, come ad essere sicuro di non avere letto male, che Mukuro, dalla sua comoda posizione, non lo stesse ingannando con qualche tipo di visione: sfortunatamente, quel bastardo stavolta non aveva alcuna colpa.

Due anni. Erano arrivati due -fottutissimi- anni in anticipo, in un epoca in cui il Decimo non aveva ancora emesso il primo vagito nel mondo. Nana-san non doveva essere nemmeno incinta ancora.

Almeno sappiamo di essere in tempo!

Lo stupido ottimismo di Yamamoto era capace di farlo incazzare anche ora -dopo tutto il tempo che avevano passato insieme, Hayato si tratteneva dal pestarlo a morte solo per non rattristare il Boss- ma si ritrovò a condividere, almeno in parte, la visione positiva di Takeshi.

«Vero, dobbiamo soltanto capire cosa fare mentre aspettiamo.»

«In questo forse posso aiutarvi io.»

L'ingresso di Luce fu inaspettato, ma Hayato non si scompose, alzandosi dalla sua posizione e salutando il Boss Giglio Nero con un inchino, scusandosi per l'abbigliamento indecoroso con cui le si stava presentando. Luce lo rassicurò, per nulla infastidita dalla visione del suo giovane ospite privo della camicia, come se fosse ormai un'abitudine per lei assistere a quella medesima scena infinite volte. E forse -vivendo con così tanti uomini sotto la propria ala- non era poi lontano dalla realtà.

Ciò che la disturbò veramente fu altro.

Luce si fermò a pochi passi da lui, studiando con lo sguardo l'imponente figura di Gokudera Hayato, alto almeno tre spanne più di lei, dal fisico allenato e le spalle larghe, un esempio di forza e bellezza che avrebbero fatto gola ad artisti di grande fama.

Una bellezza marmorea ma vissuta nonostante la giovane età, da imprimere nella pietra e tramandare negli anni a venire. Un'opportunità che nemmeno Michelangelo Buonarrotti si sarebbe lasciato scappare.

Eppure, pur mantenendo la sua bellezza, ciò che tolse il sorriso a Luce fu il trovare su quel corpo così giovane, così tante cicatrici da non riuscire nemmeno a contarle tutte: solchi profondi che scavavano la pelle in profondità, sparsi su ogni parte del corpo del ragazzo, con l'unica eccezione del viso. Il volto era rimasto immacolato, bello, fiero e nel pieno della propria giovinezza perduta.

Senza timore, senza chiedere il permesso e lasciandosi guidare dal proprio istinto, Luce alzò una mano fino a quando non riuscì a sfiorare con le dita quelle cicatrici così terribili quanto ipnotiche.

Gokudera la lasciò fare, studiando il tocco gentile con cui Luce gli sfiorava ora l'addome, ora il petto, poi su fino al braccio, ogni volta su una ferita diversa, su una ferita non solo sua.

«Mio Dio...»

«È stato il prezzo da pagare. Per diventare uno dovevamo condividere ogni cosa, ferite comprese.»

Per diversi istanti rimasero in silenzio, Luce che studiava tocco per tocco le cicatrici, e Hayato che semplicemente la guardava, cercando di capire cosa pensasse -cosa provasse nel vedere il suo corpo sfregiato.

Alla fine fu lui a rompere quel cupo silenzio, cercando di sdrammatizzare, strappando Luce dalle visioni che le ferite le stavano mostrando.

«Non è così grave, poteva andare molto peggio. Potevo perdere un occhio ed ereditare permanentemente quello del pazzoide con la testa ad ananas. Per fortuna non è successo.»

Kfufufufu vuoi forse morire, Gokudera Hayato? Sappi che da qui ho un ottimo accesso alla tua mente.

Ignorando la minaccia di Mukuro -al diavolo, se sperava di spaventarlo con così poco non lo conosceva per niente- si costrinse a sorridere. Non serviva metterla in ansia su qualcosa di inutile come quelle ferite vecchie ormai di diversi anni, che non avevano alcun significato se non quello di provare l'effettiva unione dei Guardiani della Decima Generazione Vongola.

«Sul serio, Luce-sama, non angustiatevi per noi, non ce n'è davvero bisogno.»

Luce annuì meccanica, senza alzare lo sguardo dalle cicatrici, lasciando che le visioni continuassero a susseguirsi una dietro l'altra, avida di conoscere la storia dietro ognuna di esse.

Spade. Bombe. Fili. Coltelli. Fulmini. Fuoco. Proiettili. Fiamme. Numerose, varie, una più dolorosa dell'altra -solo guardando poteva percepire il dolore che ognuna di essere aveva procurato- e ognuna appartenente ad un viso diverso.

Solo in alcune aveva visto il bel viso di Gokudera -adirato, sofferente, impotente- mentre altri volti a lei ignoti si erano mostrati ai suoi occhi, nel momento esatto in cui lo sfregio era stato inflitto.

«Deve essere stata dura per te, per voi. Lui deve essere una persona eccezionale per meritarsi la vostra lealtà.» Luce gli sorrise, incrociando le braccia dietro la schiena e sporgendosi in avanti, nascondendo dietro la sua solita spontaneità il tremito che le correva lungo le braccia.

Ciò che quei ragazzi avevano passato, ciò che lei era riuscita a vedere in quel momento, era un futuro che non poteva accettare. Troppo dolore, troppa sofferenza e violenza ingiustificata. Come poteva lasciare Aria -la sua amata ed unica figlia, la luce che ancora la legava a quel loro mondo- in balia di un futuro come quello? Non poteva, semplicemente si rifiutava di lasciare che la sua bambina vivesse la sua vita nel dolore e nella disperazione.

Hayato lasciò che un tenue sorriso gli increspasse le labbra sottili -il ricordo della calda luce del Cielo che lo avvolgeva ancora impressa nel corpo e nell'anima- guardando Luce senza vederla davvero, perso nei suoi stessi ricordi.

«Si, lo era.»

E lo sarà di nuovo. Una promessa, a sé stesso e agli altri, che avrebbe mantenuto a qualunque costo.

E faremo in modo che nulla si metta sul nostro e sul suo cammino.

Hayato ghignò. Per una volta, la stupida mucca aveva detto qualcosa di sensato.

Tornò a concentrarsi sulla donna -Gokudera non le disse mai di aver visto la sua mano tremare, né della lacrima che le era sfuggita lungo la guancia mentre studiava il suo corpo sfregiato- chiedendole con cortesia se le servisse qualcosa, data la sua presenza nella stanza.

Luce parve riprendersi, ricordando come un fulmine a ciel sereno il motivo per cui, quella mattina, era corsa nella stanza del suo giovane ospite con aria allegra.«Ah sì! Io volevo...»

Un capogiro, gli occhi stanchi e pesanti all'improvviso, la consapevolezza di non riuscire a reggere più neppure il proprio peso, ed il mondo iniziò a vorticare pericolosamente attorno a lei. Luce sentì la forza venirle meno, le gambe molli all'improvviso, e se Hayato non fosse stato lì al suo fianco, probabilmente sarebbe caduta al suolo.

«Luce-sama!»

Mentre le fastidiose voci dei suoi compagni gli rimbombavano nei timpani -le Fiamme agitate che spingevano per liberarsi, in apprensione e panico- Gokudera si preoccupò di prendere tra le braccia la fragile donna che si era accasciata ai suoi piedi, adagiandola sul proprio letto e concedendole qualche attimo di riposo. Il respiro si era improvvisamente fatto più rapido, affannato, ed era talmente pallida da sembrare quasi un fantasma. Nonostante tutto però trovò le forze per sorridergli e rassicurarlo.

«Non avrei... voluto... mi vedessi... così.... Che i-imbarazzo...» e Hayato si dovette ricredere.

Luce non era affatto fragile -no, una donna fragile non avrebbe mai potuto sorridere a quel modo, non in quella situazione- al contrario era una delle donne più forti che avesse mai incontrato.

Kfufufufu, pare che la maledizione sia progredita più di quanto non avessimo previsto.

Hayato annuì.

«Si, credo anche io che sia a causa della maledizione.» mormorò tra se e se, toccando la fronte della donna e soffocando un'imprecazione. Era gelida come il ghiaccio.«Luce-sama... Luce-sama, da quando sei sotto l'influenza della maledizione?»

Si diede dell'idiota da solo. Come aveva potuto non accorgersene prima? Eppure era ovvio che la maledizione esistesse da tanto -troppo- tempo. Perchè Luce-sama era già un Arcobaleno -lei stessa lo aveva confermato il giorno in cui si erano parlati per la prima volta, ormai quasi una settimana prima- eppure era già tornata alla sua forma adulta.

Mantieni la calma, testa di polpo! Dobbiamo estremamente aiutarla!

Luce lo guardava, e con un sospiro confessò che erano ormai diversi anni -quasi venti se la memoria non la ingannava- che il ciclo della maledizione aveva avuto il suo inizio.

Hayato imprecò. “Fanculo, se solo fossi stato più attento!”

«A-Aria... l-lei... lei sa già tutto. P-presto... presto i miei poteri... passeranno a lei...» tirò fiato, abbastanza da riuscire a guardare Hayato negli occhi per qualche istante, sorridendogli mortificata. Erano davvero belli, gli occhi azzurri di Luce, determinati come lo erano stati quelli di Yuni quella volta, quando avvolta dall'abbraccio di Gamma era stata pronta a sacrificare la propria vita per salvare le vite di tutti loro.

«A-Avrei voluto... solo più tempo... p-per stare con lei... e-e vederla crescere...» forse l'unico rimpianto che Luce non avrebbe mai potuto lasciarsi alle spalle.

H-Hayato-san, dobbiamo salvarla!

Chrome gli suonò disperata, ma Gokudera non si mosse. Strinse i pugni contro il letto, mordendosi a sangue il labbro inferiore, impotente, incerto su ciò che era giusto fare in quel momento.

Loro erano lì per cambiare il futuro -tutto ciò a cui avevano rinunciato, che avevano abbandonato nell'altro mondo, l'avevano fatto per garantire al loro Cielo la felicità che meritava- ma allo stesso tempo sapevano che modificare troppo la storia che loro conoscevano avrebbe potuto portare a cambiamenti ben oltre le loro previsioni.

Era giusto lasciare che il tempo facesse il suo corso, che gli eventi si ripetessero in successione come era stato, anche se questo significava lasciare che alcune vite venissero sacrificate.

Un ringhiò basso, la frustrazione che mutava in determinazione.

“Fanculo! Il Decimo non l'avrebbe permesso!” fu il suo unico pensiero. Il Boss avrebbe sacrificato la propria vita pur di concedere a qualcun altro di vivere anche solo pochi minuti in più, ed Hayato non sarebbe rimasto immobile a guardare mentre qualcuno moriva davanti ai suoi occhi. Non avrebbe più potuto fronteggiare il Decimo, se avesse lasciato che la maledizione degli Arcobaleno continuasse a causare vittime quando poteva fermarla.

Luce meritava di crescere la propria figlia, meritava di conoscere la straordinaria nipote che avrebbe avuto in futuro.

Alle variazioni temporali -e a qualunque altro fottuto problema ad essi legato- ci avrebbe pensato dopo.

Erbivoro, fallo.

Hayato ghignò. «Tze, non ho certo bisogno che venga a dirmelo tu!»

E dentro di sé sentì che ognuno di loro provava lo stesso, le Fiamme si agitavano nel suo petto, bruciando di impazienza, in risposta al desiderio che animava gli spiriti dei Guardiani. Era il volere del Decimo, e fino alla fine l'avrebbero rispettato.

Luce guardò gli occhi verdi di Hayato -così chiari, bellissimi- e vide di nuovo quella speranza che l'aveva spinta a salvarlo, una luce abbagliante alla fine di un lungo tunnel avvolto nel buio.

«Luce-sama, sai quanto tempo ti resta? Ti prego, è importante!»

A fatica, privata delle energie necessarie anche solo per parlare, Luce sentiva la stanchezza renderle il corpo pesante, incapace di compiere qualsiasi movimento. Una calda Fiamma del Sole la irradiò, inondandola di abbastanza energia da far si che il respiro tornasse regolare. Doveva anche aver ripreso un po' di colorito, ma non ne era sicura.

Vide Hayato accanto a lei, sorriderle, mentre da uno dei numerosi anelli che portava sempre con sé, Fiamme del Sole la riportavano alla vita. Per un attimo, un secondo, Luce credette di aver visto gli occhi del giovane cambiare colore, ma forse era stata solo una sua impressione. Eppure -si ritrovò a pensare, beandosi delle Fiamme che le venivano generosamente offerte- quella tinta argentata che le parve di aver intravisto era davvero nitida, per essere una semplice illusione.

«Due settimane. Forse meno.»

«Non è molto tempo, ma dobbiamo estremamente provarci.» Hayato -era davvero lui?- le sorrise donandole qualcosa che da molto tempo non aveva più: una speranza.

«Possiamo farlo, noi possiamo spezzare la maledizione, Luce-sama!»


 

***


 

Due settimane non erano molte, ma l'influenza che Luce aveva nella mafia fu abbastanza da permettergli di raccogliere abbastanza persone con potenti Fiamme dell'Ultimo Desiderio necessarie a spezzare una volta per tutte la maledizione.

In quella dimensione, in un fortuito scherzo del destino, sembrava che l'esistenza delle Fiamme attive fosse di dominio pubblico -sempre limitata però in campo mafioso mondiale- in largo anticipo rispetto a quanto non fosse stato nel loro mondo. Più si era abili nel controllare le proprie Fiamme, più fama e rispetto si guadagnava tra i membri della mala. Anche la purezza delle Fiamme ed il tipo erano importanti quanto le abilità.

Nervosamente, cercando di allacciarsi la cravatta più alla svelta possibile, Hayato si chiese come fosse riuscito il Decimo a sopportare tanta pressione, la prima volta che aveva dovuto parlare davanti a così tante persone potenti riunite tutte in un solo punto.

Tsuna è una persona davvero speciale.

«Tze, non ho certo bisogno che me lo dica tu, idiota del baseball!»

Era ovvio che il Decimo fosse speciale -Hayato lo sapeva dal loro primo incontro, quando gli aveva salvato la vita dalla sua stessa stupidità- non doveva certo ricordarglielo quell'idiota.

Kfufufufu pare che il nostro caro Guardiano della Tempesta non regga la pressione.

«Chiudi il becco, testa ad ananas! Vorrei davvero vederti al mio posto!»

Ripensandoci, lasciare solo Rokudo Mukuro in presenza della maggior parte dei Boss delle più potenti famiglie mafiose in circolazione non era affatto una buona idea, e si ritrovò a ringraziare il destino che fosse lui l'unico a poter contenere le Fiamme e le volontà degli altri Guardiani.

Si legò i capelli, indossando la giacca e osservando la maschera che Luce gli aveva messo a disposizione per l'occasione, sotto sua specifica richiesta. Non poteva causare problemi al sé stesso di quel mondo -benché non fosse ancora nato voleva prevenire ogni possibile associazione con colui che sarebbe stato un giorno Gokudera Hayato- e Luce si era trovata a concordare con il suo pensiero.

Una volta finita la cerimonia, sfuggito alle sicure domande che gli Arcobaleno e le altre famiglie avrebbero probabilmente avuto per lui, avrebbe fatto in modo di essere irriconoscibile a chiunque.

«Nervoso?» Luce fece capolino nella stanza, sola, ancora pallida per gli sforzi delle ultime settimane, ma più speranzosa di quanto non fosse mai stata negli ultimi anni.

«Un po'. Mi chiedevo come avesse fatto il Boss a reggere la pressione, l'altra volta. Ogni giorno mi rendo conto di quanto fosse straordinario.»

Luce sorrise, sfilando con delicatezza la maschera dalle dita di Hayato e piazzandogliela sopra il naso, assicurandosi che fosse ben salda sul suo viso, abbastanza grande da coprirgli gli occhi e nascondere a tutti la sua identità.

«Questo ti aiuterà a camuffare la voce, è un po' rozzo, ma in quest'epoca è tutto ciò che posso offrirti.»

Sorridendo, Hayato prese tra le dita il piccolo dispositivo che il Boss dei Giglio Nero gli aveva fornito, piazzandola con precisione tra i molari in fondo alla bocca, masticando con delicatezza un paio di volte per assicurarsi che non scivolasse all'improvviso.

«Il vostro aiuto è stato fondamentale, Luce-sama. Non potremo mai ringraziarvi abbastanza.»

Dandogli un leggero colpetto sulla fronte -amorevole, delicato, come quello di una madre- Luce lo guardò con gratitudine, come se fosse lei ad avere un debito impossibile da saldare nei loro confronti.

«Sono io che non so come ripagarvi, Hayato-kun. Tu... voi mi state dando la possibilità di crescere mia figlia, di vivere questa vita che credevo di dover abbandonare.»

Restarono a fissarsi per alcuni istanti. Gokudera credeva di dovere la vita a Luce, che senza di lei non sarebbe vissuto abbastanza da vedere ancora il Boss, e allo stesso modo Luce credeva di dovere tutto ad Hayato -a tutti i Guardiani che custodiva gelosamente nella propria anima- che le stava dando una speranza in cui non credeva più dal giorno in cui era stata maledetta.

C'era rispetto e gratitudine tra loro, un rapporto semplice ma complesso al tempo stesso, costruito oltre lo spazio ed il tempo, nascosto a tutti coloro che non avrebbero mai potuto capire davvero.

Offrendole il braccio, Hayato si propose di accompagnarla fino alla sala in cui gli ospiti attendevano con ansia il loro arrivo. Luce lo accettò volentieri, schierandosi accanto al giovane a cui avrebbe offerto supporto per sfuggire alle domande dei curiosi e dei diffidenti.

«Hai già deciso come ti presenterai agli altri?»

In un modo o nell'altro -in uno spazio/tempo che non sarebbe mai stato davvero suo- il nome Gokudera non avrebbe più accompagnato la sua immagine, lasciandosi alle spalle sia i ricordi felici che quelli tristi, sia i rimpianti del passato che le gratificazioni del futuro.

Tuttavia non poteva permettersi di assumere le identità degli altri Guardiani, per più o meno lo stesso motivo. Tutti avevano un altro io che aspettava l'occasione giusta di legarsi al Cielo, e non potevano lasciare che entrassero in contatto con la mafia prima di quanto non fosse necessario.

«Ne abbiamo discusso, e com'era ovvio dovremmo abbandonare i nostri cognomi, nessuno escluso.» era stato difficile, ma necessario.«Tuttavia manterremo i nostri nomi. Escludendo la cerimonia di oggi, sono nomi piuttosto comuni in Giappone, non dovrebbero crearci troppi problemi.»

Luce ammirava la forza con cui stavano affrontando il loro destino. Erano giovani -stando alle parole di Hayato il più piccolo doveva avere sedici anni o poco meno- e nonostante questo non si erano lasciati intimorire da nulla, sfidando le stesse leggi dell'universo pur di ricongiungersi e proteggere il loro Cielo. Chiunque fosse degno di tale lealtà -pensò Luce mentre sorrideva alla determinazione di Hayato- doveva essere una persona davvero straordinaria. Le sarebbe piaciuto conoscerla, un giorno.

«A tal proposito, come dovrei presentarti ai nostri ospiti?»

Ci avevano pensato, tutti quanti insieme, e visto che sarebbe stato Hayato a controllare l'intera operazione, l'unico nome in codice a cui avrebbe risposto sarebbe stato solo uno.

«Arashi.»

Kfufufufu, manchiamo di fantasia eh?

«Di sicuro meglio di qualsiasi vostro suggerimento, testa ad ananas!» ringhiò, strappando a Luce un sorriso divertito.

Davanti alla porta che li separava dal salone in cui gli ospiti attendevano trepidanti, Hayato sentì i muscoli irrigidirsi sotto la pelle, incapace all'improvviso di muovere un solo passo. Sentiva gli occhi del Boss Giglio Nero puntati addosso, preoccupati, ansiosi, ed un nodo alla gola gli impediva di respirare con tranquillità.

Respira, Gokudera. Vedrai che andrà tutto bene.

Takeshi era sempre stato il più calmo tra loro. Era l'unico in grado di riportare la tranquillità là dove tempesta e sole portavano la loro caotica energia, dove il fulmine devastava con la sua irruenza, dove la nuvola oscurava con la sua forza, e dove la nebbia portava il caos dietro il suo spesso muro di fumo. Un pioggia gentile che lavava via ogni problema.

Infondendo le sue Fiamme nei suoi stessi muscoli, lasciando che queste fluissero in ogni parte del suo corpo, sciogliendo la tensione e rilassando i nervi, Hayto ritrovò la calma necessaria ad affrontare la situazione.

«Sono pronto.»

Non ringraziò Takeshi -si sarebbe tagliato la lingua piuttosto- ma non ci fu bisogno di farlo. Si conoscevano da tanto tempo -poteva contare sulla punta delle dita le volte in cui era stato felice di quella loro lunga amicizia- e anche senza parole che esprimessero i loro sentimenti, Yamamoto aveva già percepito la gratitudine della tempesta. E poi era letteralmente a stretto contatto con la sua sfera emotiva, doveva farselo bastare.

***


 

La magione Giglio Nero era in fermento quel giorno, ospitando nel suo ampio salone e nel curatissimo giardino sul retro alcune delle più importanti figure appratenti al mondo della mafia.

Tra le tante facce conosciute, Hayato riuscì ad individuare alla prima occhiata Sawada Iemitsu -più giovane di quanto lo ricordava, non troppo lontano dalla sua età- che affiancava il Nono Boss dei Vongola, Timoteo di Vongola, sorridendo e conversando con qualche altro Boss minore di cui Gokudera non ricordava il nome.

Poco distante quello che immaginò essere il padre di Cavallo Pazzo, l'attuale Nono Boss della Famiglia Cavallone, vestito di tutto punto in un completo color crema a righe verticali. Nonostante l'età avanzata, Hayato non potè fare a meno di notare la spaventosa somiglianza del padre con il figlio.

Se l'erbivoro oserà farsi vivo, lo morderò a morte.

«No che non lo farai, dannato Hibari. Sta buono o ti faccio esplodere.» per quanto poco tollerasse la presenza di Bronco -ogni volta che la stupida faccia di Cavallone gli tornava alla mente avrebbe voluto farlo saltare in aria per sempre- non voleva rischiare di attirare troppo l'attenzione.

E lasciare alla nuvola la possibilità di ammazzare l'erede dei Cavallone era ben oltre che semplice “attirare l'attenzione”: era una vera e propria dichiarazione di guerra.

I cognomi, Gokudera. Dobbiamo smetterla di chiamarci con quelli.

«Guarda che l'hai appena fatto anche tu, maniaco del baseball.» la fastidiosa risata di Takeshi lo fece grugnire.

Tornando a scorgere tra la folla, Hayato individuò un altro paio di visi noti e conosciuti, tra i quali quello di un uomo alto e possente, con una grossa spada dietro la schiena e -ma di questo si accorse solo ad una seconda occhiata- privo di una mano. Solo riconoscendo la divisa che indossava, Hayato capì trattassi di Tyr, l'Imperatore della Spada prima di Squalo e attuale capo della Squadra Assassina dei Varia.

Era terrificante guardare la lunga cicatrice che gli deturpava il viso, in un perfetto taglio obliquo che attraversava tutta la lunghezza del volto. Le Fiamme indaco di Chrome dentro di lui tremarono appena, mentre la scemucca scoppiò a piangere per quanto quel tizio lo impressionasse, agitando le Fiamme del Fulmine in un miscuglio di paura e terrore. Uno sfrigolio verde brillò sull'anello che teneva nella mano destra, ma fu in grado di sopprimerlo all'istante.

«Stupida mucca... vedi di contenerti.»

«Tutto bene, Ha... Arashi?» si corresse Luce al suo fianco, mentre avanzavano lungo il corridoio superiore, ancora nascosti agli sguardi degli ospiti, diretti alla tromba delle scale che li avrebbe portati al centro esatto della sala.

Con un'occhiata furtiva, Hayato scorse gli altri sei Arcobaleno, accerchiati dagli uomini di Luce in modo che non venissero disturbati, e si perse un secondo di troppo sulla figura famigliare di Reborn.

Sorrise.

«Mai stato meglio.»

Le Fiamme del Sole si agitarono in risposta alla sua emozione.

Yosh! È tutto estremamente elettrizzante!

Uno degli uomini di Luce -Pietro, se non ricordava male- annunciò l'arrivo del proprio Boss alla sala, che piombò in un silenzio glaciale, opprimente. Tutti gli sguardi si fissarono su di loro, e nessuno fiatò.

Studiavano Luce, avvolta nel suo classico abito bianco -il vestito che ogni Boss Giglio Nero aveva avuto fin dalla prima generazione- e sul misterioso figuro che la teneva saldamente sotto braccio, il volto celato da una maschera nera, nascondendo alla vista degli ospiti non solo i tratti del viso, ma anche gli occhi del giovane uomo.

Quando scese anche l'ultimo scalino, gli Arcobaleno si radunarono attorno al loro Boss, scrutando il ragazzo al suo fianco con sospetto e diffidenza. L'esperienza aveva insegnato loro che fidarsi di qualcuno che indossava una maschera non era mai una buona idea.

Con un cenno del capo Luce li tranquillizzò, rivolgendo poi la sua attenzione agli ospiti che avevano risposto al suo appello, accogliendoli nella sua dimora con un caldo sorriso, senza però mai staccarsi dalla forte presa di Arashi.

«Ringrazio tutti voi per essere qui oggi.» cominciò, rivolgendo poi le proprie attenzioni agli Arcobaleno. Si soffermò appena su Reborn, scambiando con lui uno sguardo più intenso, carico di significati nascosti che solo loro sapevano.«Vi starete tutti chiedendo il motivo della mia improvvisa chiamata, ebbene è giunto il momento delle spiegazioni.»

Fece qualche passo al centro della sala, Arashi sempre al suo fianco, pronto a sostenerla nel caso in cui le forze le fossero venute meno.

«Come sapete, una terribile maledizione cade sulla testa dei sette Arcobaleno, i cosiddetti bambini più forti del mondo, di cui io stessa faccio parte.»

Ci fu un brusio generale, di chi sapeva e di chi invece era rimasto sconvolto nell'apprendere che il Boss Giglio Nero -una donna all'apparenza adulta e per certi versi comune- facesse parte del gruppo di bambini maledetti. Gli stessi Arcobaleno trovarono assurdo che il loro capo si fosse esposto ad un tale rischio rivelando la sua natura.

Per un attimo, Luce credette di aver fatto un errore. I bisbigli diventarono parole, e le parole diventarono urla. Presto, la confusione invase il salone, e la sua voce -debole, troppo debole, ormai era al limite- non riusciva a sovrastare il caos che lei stessa aveva generato.

«Silenzio!» l'urlo di Arashi, furioso, terrificante, avvolto in un'aura omicida talmente intensa da far rabbrividire perfino gli Arcobaleno, risuonò nella sala come un eco. C'era la tempesta più impervia nella sua aura, e di nuovo calò il silenzio.

Luce gli fu grata, carezzandogli la mano affinché richiamasse le sue Fiamme -sfuggite sotto forma di aura omicida che era stata capace di incutere timore nei Boss mafiosi più famosi del loro tempo- e cercando almeno in parte di sciogliere la tensione che si era venuta a creare. Non voleva incutere timore nei suoi ospiti, non quando non le sembrava necessario.

«So che molti di voi avranno molte domande, saranno confusi dalle mie parole, ma vi prego di ascoltare fino in fondo ciò che ho da dire.» si voltò verso il giovane al suo fianco, poggiandogli una mano sul petto e riprendendo fiato -no, non ancora, mancava poco, doveva resistere.«Lui è Arashi, un mio fidato sottoposto, una persona in cui ripongo la mia più totale fiducia. È grazie a lui che siamo qui oggi, per la sensazionale scoperta che è riuscito a compiere.»

Arashi fece un passo avanti, sostenendo Luce per le spalle e accertandosi che stesse bene, che le forze la sostenessero ancora, e solo quando fu sicuro delle sue condizioni si rivolse alla folla.

A Reborn non piaceva come quei due stavano vicini, non gli piaceva vedere il contatto fisico che c'era tra loro, la fiducia incondizionata che Luce aveva in quel ragazzo di cui perfino lui -non riusciva davvero a crederci- non conosceva l'esistenza. Ma non disse nulla e rimase in ascolto, fiducioso che qualsiasi fosse il motivo per cui il Boss degli Arcobaleno avesse taciuto la verità sul misterioso sconosciuto, avesse sicuramente un valido motivo alla base.

«Ho trovato il modo per spezzare la maledizione degli Arcobaleno.»

E di nuovo, fu il caos.

Arashi odiava davvero essere interrotto. Mentalmente ringraziò Luce per avergli impedito di presentarsi armato a quell'incontro, poiché se avesse avuto alcuni dei suoi candelotti di dinamite a portata di mano l'intera magione sarebbe diventata una bomba ad orologeria.

C'erano sempre gli anelli però, da quelli non si separava mai.

Posso sempre prestarti il mio potere, è particolarmente efficace sugli stolti.

Pensò alla proposta di Mukuro, lo fece sul serio, invece si limitò ad urlare, alzare la voce come soltanto Ryohei sapeva fare.

E alla fine riuscì ad avere l'attenzione di tutti quanti.

«Sembra che la festa sia qui.»

L'ingresso dei Vindice fu altrettanto caotico. Alla vista di Bermuda ed i suoi uomini, molti persero la calma, dominati dal panico di avere i carcerieri più spietati del mondo malavitoso proprio davanti agli occhi, ma Arashi non si fece intimidire.

Li aveva già battuti una volta, e anche se l'altra volta era stato il Decimo a farlo, era piuttosto fiducioso di poter uscire vincitore da un eventuale scontro con i Vindice.

Tze, ti sopravvaluti un po' troppo, erbivoro.

Come se lui non pensasse lo stesso.

Si fecero largo lungo la sala fino a che Arashi non se li trovò ad un palmo dal naso, e rimase fermo a studiarli con diffidenza, portando Luce dietro di sé come a volerla nascondere dalla stessa presenza di Bermuda e Jager.

«Sono qui ragazzo, come promesso.» gli rivolse il bimbo, senza muoversi dalla sua posizione sulla spalla del suo braccio destro.

Arashi annuì.«Ne sono lieto. Non ti pentirai di avermi dato ascolto, Bermuda.»

Un soffio stizzito lasciò le labbra del capo Vindice.«Sarà meglio per te, ragazzo. Altrimenti la mia prigione sarà l'ultima cosa che vedrai per il resto della tua vita.»

«Un motivo in più perché il mio piano funzioni allora, non ho intenzione di passare l'eternità a fissare il brutto muso di voi Vindice.»

Se fosse stato solo, probabilmente Jager l'avrebbe picchiato, ma sembrava che la spontaneità con cui si permetteva di parlare divertisse il più piccolo dei carcerieri.

Arashi non poteva vederlo in viso, ma era certo che Bermuda stesse ghignando.«Bene. Dove è il buffet quindi? Sto morendo di fame.»

L'ingresso di Kawahira invece fu più difficile da controllare. L'odio di Bermuda e degli Arcobaleno per quell'uomo era fresco e pulsante, fu dura costringerli ad ascoltare il suo piano piuttosto che saltare alla gola di Checker Face, ma in qualche modo ci riuscì. Forse -e soltanto forse- aveva richiamato le Fiamme della Pioggia per acquietare gli animi. E forse -ma sempre e solo parlando per ipotesi- sotto la maschera, gli occhi si erano tinti di marrone.

Sentì lo sguardo di Kawahira addosso tutto il tempo in cui illustrava come con l'aiuto di Talbot e le Fiamme della Notte dei Vindice potevano contenere il potere dei ciucci senza sacrificare le vite dei correnti Arcobaleno, e senza la necessità di crearne di nuovi, ma finse di non accorgersene. Lo incuteva quel tipo, passato o presente che fosse.

«Dopo questo rilascerai la maledizione sui sette qui presenti e Lal Mirch, chiudendo definitivamente il ciclo di sacrifici umani senza però intaccare l'equilibrio del mondo.»

Alle orecchie di tutti sembrava un piano ragionevole e ben studiato, che necessitava soltanto di Fiamme potenti per essere messo in atto -questo spiegava quindi il radunare tante figure importanti del mondo della mala. Tuttavia, Kawahira sembrava più interessato al ragazzo in sé che non a quello che aveva da dire.

«Hai una strana aura, ragazzo. Come se dentro di te ci fosse di più... sei, no, sette Fiamme brucianti e attive.» per un attimo, Arashi tremolò.

Checker Face sorrise, strizzando un occhi nella sua direzione ed accettando il compromesso che gli era stato spiegato.

La cerimonia fu più lunga di quanto non ricordassero -non ricordavano di aver usato così tanta energia la prima volta, ma forse dipendeva dalla potenza delle Fiamme donatrici- ma ringraziando gli Dei e la buona stella degli Arcobaleno, tutto sembrò andare per il verso giusto.

Finalmente la maledizione era sciolta ed il ciclo degli Arcobaleno interrotto. Tutto era bene, quel che finiva bene.

«Fermi tutti! Se la maledizione è spezzata, spiegatemi perché sono ancora un lattante!» protestò Skull, levandosi il casco seccato e battendo un piede a terra con forza.«E perché invece Lal è tornata come prima?!»

Di tutti i maledetti, esclusa Luce, Lal Mirch era l'unica ad aver riacquistato sembianze adulte.

Kawahira si sventolò il viso con il ventaglio che teneva sempre nella manica, sghignazzando fastidiosamente.«La maledizione è spezzata, Skull-kun, di questo puoi starne certo.»

Arashi affiancò Luce per assicurarsi che stesse bene, supportando allo stesso tempo le parole di Checker Face.

«Non preoccupatevi, dovreste ricominciare a crescere a breve. Tempo qualche anno e sarete tornati alle vostre età originali. Lal Mirch è tornata subito alla sua età originale poiché non era un Arcobaleno completo, mentre per quanto riguarda voi, Luce-sama... Luce-sama!»

Luce era crollata a terra sulle ginocchia, improvvisamente fattesi deboli e molli, incapaci di sostenere ancora a lungo il suo stesso peso. Piangeva, le mani a coppa le coprivano la bocca, mentre il suo piccolo Cosmo -dove fosse stato fino a quel momento, Arashi non lo sapeva- le corse incontro, sistemandosi sul grembo della padrona e guardandola preoccupato.

«Io... Io posso v-vivere... posso stare con la mia Aria... io... io sono viva.» non ci credeva, non ci riusciva.

Arashi sorrise, stringendole una spalla e rassicurandola che non doveva più preoccuparsi, che ora poteva sorridere al fianco di sua figlia senza più paura. Poteva essere una madre che rideva al fianco della sua bambina.

Preda di forti tremiti, singhiozzando, Luce prese tra le mani quelle grandi e forti di Arashi, fissandolo in viso, oltre la maschera che agli altri poteva nascondere tutto, ma attraverso la quale Luce poteva scorgere gli occhi verdi che le avevano ridato speranza.

«Grazie... grazie... grazie!»

Arashi non ebbe il coraggio di interromperla. Semplicemente le sorrise, mentre le Fiamme scoppiettavano vivaci sotto la sua pelle, entusiaste, contente. I suoi compagni erano in fermento.

«Sei un tipo interessante, Arashi-kun.» Kawahira gli si avvicinò poco prima di andarsene, continuando a nascondere parte del viso dietro il suo ventaglio.«Sette Fiamme in un solo corpo, non riesco davvero a spiegarmelo.»

Arashi non risposte, stringendo le mani di Luce e seguendo con lo sguardo i movimenti di Checker Face, cauto e pronto a reagire a qualunque attacco questi stesse premeditando.

Infine, Kawahira sorrise, chiudendo il ventaglio e puntandolo direttamente verso di lui.«Hai la mia attenzione, voglio vedere quali meraviglie porterai a questo mondo! Ci rivedremo di sicuro, a presto Arashi-kun.» ed in una nuvola di fumo svanì.

Sospirando, Arashi pregò che il loro prossimo incontro non fosse poi così presto.


 

***


 

Ci volle tutta l'autorità di Luce e la forza dei suoi uomini per allontanare le famiglie mafiose dalla villa dei Giglio Nero, tutte ansiose di conoscere l'uomo che aveva sconfitto la maledizione degli Arcobaleno.

Gli stessi bambini avevano cercato di approcciarlo, ma valendosi di tutte le forze che le erano rimaste, Luce aveva respinto con forza ogni loro tentativo di entrare in contatto con il suo -o quello che tutti credevano che fosse- subordinato, allontanandolo dalla sala l'istante stesso in cui le gambe erano state in grado di sostenerla.

Hayato lanciava occhiate furtive alla donna dietro di lui, che sembrava divertirsi un sacco a tagliargli i capelli con un paio di pratiche forbici. Ad ogni ciocco caduta, anche un pezzo dell'anima di Hayato si adagiava al pavimento assieme ad essi.

Forza Hayato-san, è per una buona causa.

Mentre le allegre Fiamme degli altri bastardi brillavano di gioia, probabilmente godendosi l'apparente agonia che un taglio di capelli significava per Hayato, Chrome era l'unica che sembrava capire come si sentisse.

E lo sapeva, sapeva che era indispensabile cancellare ogni traccia di Arashi fintanto che ancora lo cercavano, tuttavia non era meno difficile separarsi da una parte di lui che lo accompagnava sin dalla scuola media. Al Decimo piacevano i suoi capelli -glielo aveva confidato una volta, e da allora se ne era sempre preso cura con dedizione- e non avrebbe mai voluto separarsene.

Cosmo lo fissava da sopra un mobile, la bocca piena di ghiande.

«Ecco, il taglio è finito. Sei proprio sicuro di volerli biondi, Hayato? Non vorresti un colore un po' più originale? Magari rossi, ti starebbero bene!»

Provò ad immaginarsi con i capelli rossi, dello stesso intenso colore delle sue Fiamme di Tempesta, il suo elemento principale.

Saresti la copia sputata di G.

Il viso del primo Guardiano della Tempesta fece capolino nella sua mente non appena Lambo lo ebbe nominato, e scartò quel colore all'istante. Non voleva assomigliare a quello stronzo neanche per sbaglio.

«Mi rifiuto categoricamente!»

Luce rise, consapevole che Hayato stava di nuovo parlando con i Guardiani nella sua mente, e che qualcuno doveva avergli ricordato qualcosa, o non si spiegava quel categorico rifiuto verso il colore rosso.

«E biondi siano.»

Sentire le mani di Luce tra i capelli era strano -fino a quel momento aveva permesso solo al Decimo anche solo di tagliarglieli- ma piacevole. Era rilassante, sentire il pennello con la tinta fresca posarsi sulla cute, mentre le dita della donna massaggiavano per far si che il colore aderisse pienamente ai capelli.

Un ultimo risciacquo sotto l'acqua, gli ultimi ritocchi con la forbice ed infine l'asciugatura: una volta fatto tutto Hayato ammirò il nuovo sé con orrore, attraverso l'immagine allo specchio.

Kfufufu, sembri proprio Bronco.

Un suono stizzito gli uscì dalle labbra, mentre con amarezza constatava che Mukuro aveva proprio ragione.

«Dio, sembro davvero Cavallone nel periodo in cui stavamo affrontando la battaglia dei rappresentanti.»

Ci avrebbe impiegato anni a riconoscere la propria immagine allo specchio -no, probabilmente non si sarebbe mai abituato davvero a quei capelli- però, ammise con amarezza, poteva funzionare. Nessuno avrebbe mai visto in lui Gokudera Hayato, quello che sarebbe diventato il braccio destro del futuro Decimo Vongola.

La tua faccia mi irrita, ho voglia di morderti a morte.

«Tze, come se potessi farlo, lì dove sei.»

Luce lo guardò, chiedendosi quale fosse il problema. A suo avviso -e non solo perché riteneva di aver fatto un lavoro eccelso- in quella nuova veste bionda stava davvero bene. Aveva suggerito anche di usare delle lenti a contatto colorate, ma Hayato aveva detto che andava bene ugualmente, in caso di necessità avrebbe pensato lui stesso a nascondere lo sguardo a chi poteva intuire qualcosa.

«Qualche problema, Hayato-kun?»

«Nessuno in particolare, Luce-sama, siete stata molto gentile ad aiutarmi in... questo.»

Luce gli sorrise, minimizzando quello che secondo lei non era un gesto per il quale essere grati.«Figurati, non ho fatto nulla.»

Restarono in silenzio a fissarsi, mentre le labbra di Luce si curvavano verso il basso, e la dolce e gentile madre dei Giglio Nero assumeva l'atteggiamento consono alla carica che ricopriva: un vero e proprio Boss della mala.

«Cosa intendi fare dunque, Hayato-kun?»

Lei sapeva che la persona cara al giovane e hai compagni che avevano trovato dimora in lui non era ancora nata -avevano parlato tanto nei giorni scorsi, e nelle settimane che Hayato aveva passato sotto il tetto dei Giglio Nero le erano state sufficienti per capire che tipo di persona fosse- e voleva sapere come intendessero procedere. Aveva una proposta, una proposta che sperava vivamente avrebbero accettato.

Amaramente, Hayato realizzò che non avevano pensato ad un vero piano d'azione da quando erano arrivati, occupati in altre mansioni che -almeno in principio- sembravano avere la precedenza.

La prima settimana l'aveva spesa a rimettere in sesto il suo corpo sfinito e la mente confusa, con l'aiuto del potere di Luce e delle fastidiose presenze direttamente in contatto con la parte più profonda di lui. Poi era stata la volta della cerimonia, che aveva necessitato più attenzioni di quanto non ricordassero, specie nel contattare i Vindice e Checker Face.

A due giorni dalla cerimonia, Hayato non sapeva ancora come comportarsi, e le altre sei scomode presenze nella sua testa non erano certo d'aiuto -come sempre, osò aggiungere.

Maa maa, qualcosa ci inventeremo.

«Non tutto si può improvvisare, idiota.» si concentrò su Luce, serio.«Non abbiamo una meta precisa, pensavamo di viaggiare, provare a migliorare la vita di alcune... conoscenze. Potrebbe essere anche un buon modo per conoscere questo mondo e le sue differenze.»

Sembrava un buon piano -il meglio a cui erano riusciti a pensare in quei pochi giorni di tranquillità- e offriva loro molteplici possibilità di azione su più fronti.

Luce, per qualche motivo, sembrò sollevata nel sentire la sua risoista.«Ricordi il giorno in cui sono venuta da te? Quando hai scoperto che non mi restava più molto da vivere, ero venuta da te per farti una proposta. Ebbene, ti andrebbe di ascoltarmi ora?»

Hayato semplicemente annuì, in attesa.

Prendendo un grosso respiro, inondando i polmoni d'aria per paura di restare senza fiato all'improvviso, il Boss Giglio Nero infine parlò.

«Che ne dite di entrare nella Famiglia Giglio Nero? Ti voglio come mio Guardiano, Hayato.»

Imbambolato, soppesando le parole che gli erano appena state rivolte, Hayato non risposte, troppo sorpreso -sconvolto era la parola esatta- per poter anche solo pensare ad una frase di senso compiuto con cui replicare alla donna di fronte a lui.

«Ascolta, io so bene che per voi esiste un solo Boss e una solo famiglia.» si affrettò ad aggiungere.«Dopo tutto quello che ho visto in queste settimane, non potrei neanche mai pensare di poter prendere il posto di quello che avete perso.»

Allungando una mano per sfiorargli una guancia, la donna costrinse i loro occhi ad incontrarsi, guardando dritto in volto non solo Hayato, ma anche tutti coloro che si nascondevano dietro quegli occhi verdi.

«Però Hayato, in questo mondo non potrete legarvi al vostro Boss, non quando ci sono gli altri voi pronti a stare al suo fianco. Ciò non toglie che anche voi abbiate bisogno di un Cielo, e noi siamo compatibili, sono certa che anche tu l'hai percepito.» si inumidì le labbra, nervosa.«So di non essere ciò che vi aspettavate di trovare, ma se mi accettaste come Cielo ne sarei estremamente felice.»

L'idea di avere un Cielo che non fosse il loro li spaventava -Luce poteva leggere dentro quei ragazzi come un libro di cui conosceva a memoria ogni pagina- ma vedeva anche la sofferenza ed il dolore della solitudine che lentamente li divorava dall'interno, e che senza un appoggio li avrebbe distrutti nel momento in cui il loro Boss non si sarebbe potuto legare a loro.

Avevano bisogno di essere accolti sotto un nuovo Cielo, e se poteva aiutarli con così poco, dopo tutto quello che avevano fatto per lei, allora era pronta a diventare qualunque cosa pur di sostenerli. Non sarebbe stato comunque abbastanza a ripagare il debito che aveva nei loro confronti.

Hayato esitò. Non parlava solo con lui, si stava rivolgendo a tutti loro, come se sapesse ciò che nascondevano, del bisogno di appartenenza a qualcosa che avevano perso per sempre.

L'armonizzazione tra Fiamme era una cosa potente, un legame inscindibile che legava il Cielo ed i suoi Elementi per un tempo infinito. Nel momento in cui veniva a mancare, strappato da qualsiasi causa che fosse naturale o meno, l'unico modo in cui si poteva sopravvivere al dolore era creare un nuovo legame.

Un Cielo a cui venivano a mancare i suoi Elementi periva nel suo stesso vuoto. Gli Elementi che avevano perso il loro Cielo continuavano ad esistere, privi però della completezza che solo l'armonia poteva conferirgli.

Non avevano mai pensato a quell'eventualità. Sotto molti punti di vista, era una soluzione conveniente per entrambe le parti.

Loro avrebbero riacquistato un Cielo e la stabilità degli Elementi, mentre Luce avrebbe potuto sfruttare le loro Fiamme per accelerare il processo di guarigione.

Di nuovo legati ad un Cielo. Suona bene.

Tze, non importa chi o cosa, un giorno morderò il Cielo a morte.

Kfufufu che evoluzione interessante, sono curioso di vedere come andrà avanti.

Yosh! Di nuovo in forza all'estremo!

Di nuovo completi saremo di maggior aiuto a Bossu.

Maa maa procedi pure Gok... Hayato.

«Tze, certo che siete davvero rumorosi voi.» sogghignò.

Inginocchiandosi, prendendo la mano della donna e imprimendo un casto bacio sul palmo, Hayato lasciò che le sue Fiamme della Tempesta si materializzassero lungo il suo braccio, scivolando impetuose verso la mano di Luce, in cerca del contatto con le Fiamme arancioni della donna.

E Luce gliele fornì.

L'arancione ed il rosso si mischiarono in una danza aggraziata e dolce, accettandosi reciprocamente, un segno di compatibilità che non credeva avrebbe mai trovato in nessun altro all'infuori del Decimo. Era piacevole, nonostante tutto.

«Giuro di servirvi e proteggervi da qui fino alla fine dei miei giorni, sarò il tifone che spira impetuoso, il fulcro dell'offensiva. La Tempesta implacabile che spazzerà via ogni nemico del Boss senza pietà. Sono ai vostri ordini, Luce-sama.»

E le Fiamme dentro di lui si agitarono furiose.

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Capitolo 3
*** Target 3- Rings ***


N.d.A.- Chaossu! Sono tornata con il terzo capitolo, in ritardo rispetto a quello che avevo previsto siccome una tempesta ha fatto cadere un palo della luce che, sfortunatamente, ha messo k.o. il mio wifi... che palle T.T
Cooooomunque, riguardo al capitolo, devo dire che... meh, sono metà soddisfatta e metà non troppo! Ma mi sto divertendo troppo a scrivere di due personaggi in particolare, e sul rapporto che questi avranno con Hayato e gli altri Guardiani, non vedo l'ora!
Se avete domande sono sempre a disposizione, ringrazio di cuore tutti voi, che perdete un po' del vostro tempo per leggere questa mia storia <3
Grazie a tutti
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*



 

Avendo accettato la proposta di Luce, per Hayato era iniziata una nuova vita sotto il sigillo dei Giglio Nero.

Era stato strano all'inizio -nella sua testa e nel suo cuore lo stemma della Famiglia Vongola avrebbe sempre avuto un posto speciale, indelebile- ma adattarsi fu semplice.

Gli altri uomini erano gentili, l'avevano accettato sorridendo, accogliendolo in quella grande famiglia calorosa come se ne avesse sempre fatto parte. Era piacevole, risentire quel calore nel petto.

Si era ripromesso di portare a termine qualsiasi incarico il suo nuovo Cielo avesse deciso di affidargli -sempre all'estremo, con impeccabile efficienza, sorridendo davanti alle avversità, come avrebbero fatto per il Decimo- e di sostenere i nuovi compagni come avrebbe fatto in passato.

Forse non allo stesso livello di affetto che li legava ai Vongola, -un legame unico, speciale, che non si sarebbe mai potuto spezzare- ma dopo sei mesi passati con loro, lottando per lo stesso Cielo, riusciva quasi a considerarsi parte della grande Famiglia che erano i Giglio Nero.

Era pronto a tutto.

Quello che lo attese quel giorno però -quando Luce lo aveva chiamato con urgenza nel suo ufficio per discutere una questione delicata- lo colse totalmente alla sprovvista.

«Potete ripetere per favore, Luce-sama?» boccheggiò, mentre l'aria faticava ad arrivargli ai polmoni.

Doveva aver capito male, aveva sicuramente capito male.

«Ho detto che vorrei affidarti i Mare Ring, tutti quanti ad eccezione di quello del Cielo.»

Luce gli posò tra le mani una scatola bianca come la neve, lo stemma dei Giglio Nero serigrafato in oro sopra la custodia, appoggiandosi poi al bordo della scrivania con le braccia conserte, aspettando che il Guardiano la aprisse.

Di tutto quello che poteva aspettarsi -ogni tipo di missione, dall'omicidio allo spionaggio, era pronto a qualsiasi cosa- quello fu del tutto inaspettato.

Si era chiesto più di una volta cosa ne fosse stato del tesoro custodito dai Giglio Nero, ma era stato solo un pensiero, un'idea, accantonata nello stesso istante in cui era nata. Non si sarebbe mai aspettato di averli tra le mani, chiusi nella loro custodia, men che meno di riceverli.

Prendendo un profondo respiro, quasi spaventato da quello che si nascondeva dentro l'astuccio bianco, Hayato aprì infine la scatola.

Erano bellissimi, proprio come li ricordava, poteva percepirne l'enorme potere anche così, senza indossarli o toccarli: tra le sue mani, risplendevano entusiasti i Mare Ring della Famiglia Giglio Nero.

Prendendo l'anello della Tempesta, la volontà dell'anello fu capace di avvolgerlo in un vortice di emozioni contrastanti, che se non fosse stato pronto a ricevere lo avrebbero di sicuro sopraffatto. Che potere spaventoso.

Rigirandoselo tra le dita. Hayato ne studiò ogni minimo dettaglio -non era mai stato così vicino ad uno di quegli anelli prima di allora- dalla purezza della pietra centrale al particolare delle piume incise una ad una sulle ali che decoravano l'anello. Erano bellissimi.

Mai come i Vongola Ring però.

«Questo è indubbio, stupida mucca.» guardò Luce con confusione.«Non capisco, perché proprio ora? E perché darli tutti a me? Non dovrebbero essere divisi tra i vostri Guardiani, Luce-sama?»

Strofinando la pietra del proprio anello -che sensazione strana, sentirlo di nuovo al proprio dito dopo tanto tempo- Luce si prese qualche minuto per pensare, cercando le parole migliori per spiegare ad Hayato le ragioni che l'avevano spinta a prendere quella decisione.

«Dovevo essere pronta, dovevamo esserlo entrambi.» prese un profondo respiro.

Quello che stava per spiegare -il lungo discorso che per settimane aveva provato nella solitudine delle sue stanze in previsione di quel momento- era di estrema importanza, non doveva tralasciare nulla.

Nel momento in cui Hayato era diventato suo Guardiano aveva avuto la consapevolezza che quel momento sarebbe presto arrivato -se avesse potuto ritardarlo ancora non avrebbe esitato a farlo, tutto pur di tenerlo lontano da quella pericolosa responsabilità ancora per un po'- erano serviti mesi per ultimare i preparativi, mandare tutto all'aria ormai non era più possibile.

«Vedi, i Mare Ring sono il tesoro della mia Famiglia sin dalla Prima Generazione. La mia antenata, Sepira, ha lasciato scritto che questi anelli nascondono un potere prodigioso, legato ad altri due set di oggetti insieme ai quali mantiene in equilibrio le Fiamme del mondo.»

Hayato lo sapeva -non avrebbe mai potuto dimenticarlo- ma lasciò comunque che il Boss gliene parlasse, dimostrando di riporre in lui più fiducia di quanta non meritasse.

Luce aggirò con grazia la scrivania e si affacciò alla finestra, guardando l'immenso cielo blu che avvolgeva il mondo nel suo abbraccio. Un cielo sereno, una bella giornata di sole.

«I Mare Ring sono potenti, e per quanto io riponga massima fiducia nei miei uomini, so anche che nessuno di loro è davvero in grado di controllarne il potere.» si avvicinò ad un cassetto, estraendo un secondo astuccio bianco, identico a quello che Hayato stringeva tra le mani.«Questi saranno gli ufficiali Mare Ring che consegnerò personalmente ai miei altri Guardiani. Sono delle copie, le migliori che avremmo mai potuto creare, tutti crederanno che siano quelli veri.»

Aprendo la scatola, sette anelli copia erano stesi su un telo di velluto rosso, identici a quelli che Hayato teneva tra le mani in quello stesso momento.

«Recentemente, ci sono stati degli... attacchi. Molti utilizzatori delle Fiamme sono spariti, altrettanti anelli sono stati rubati. Immagino tu conosca la delicata situazione a cui stiamo andando incontro, specie per quanto riguarda le Famiglie che non possiedono uomini in grado di trasformare la propria volontà in energia. Non posso rischiare di perdere questi anelli, né tanto meno posso correre il rischio che i miei altri Guardiani, incapaci di sostenerne il potere, vengano divorati dalle loro stesse Fiamme.»

Il potere di quegli anelli era infinito, solo poche persone erano in grado di controllarli, e per quello che riguardava i correnti Giglio Nero, soltanto Hayato ne era in grado. In verità avrebbe voluto legarsi ad ognuna delle Fiamme che scorrevano nelle vene del giovane, ma questi si era opposto fermamente a questa decisione: legarsi ad un solo Guardiano era rischioso, specialmente perché non poteva garantire una costante presenza al fianco del Boss.

Legandosi a persone diverse invece, poteva avere la certezza di avere sempre qualcuno dei suoi Guardiani pronti a proteggerla, e non potendo contraddire il ragionamento di Hayato, alla fine era stata Luce a cedere.

Anche Gennaro quindi, uno tra i suoi uomini più fidati, era diventato un Guardiano: di tutta la Famiglia Giglio Nero, le sue erano le Fiamme del Fulmine più pure in assoluto -non quanto quelle di Lambo, ma erano comunque notevoli.

Hayato aveva provato una sensazione nostalgica nel percepirle -quando Luce si era legata a Gennaro aveva potuto avvertire il legame crearsi sotto la sua stessa pelle- come se le avesse già incontrate da qualche altra parte. Dove però, non lo ricordava.

Indossando il proprio anello richiuse la scatola con i restanti Mare Ring e se la mise nel taschino interno della giacca -proprio lì, vicino al cuore- portandosi una mano al petto ed inchinandosi davanti al suo Boss.

«Capisco le vostre ragioni e accetto l'incarico, Luce-sama. Proteggerò gli anelli a costo della vita.»

Luce sorrise.«Ti ringrazio Hayato-kun. Sappi che di questa decisione ne siamo a conoscenza soltanto io, tu e il costruttore degli anelli, quindi vi pregherei di essere cauti. Sentitevi pure liberi di usarli se lo riterrete necessario, ma cercate di farlo con discrezione.»

«Come desidera, Luce-sama, grazie per la fiducia che ripone in noi.»

Kfufufufu, sembra che avremo di nuovo degli anelli, fantastico.

«Questo non significa che puoi andare in giro a fare casino, testa ad ananas!»

Avere di nuovo anelli potenti però li avrebbe di sicuro aiutati. Dal loro mondo non avevano potuto portare i loro Vongola Gear -erano pur sempre i Vongola Ring, averne un secondo set avrebbe sconvolto irreversibilmente l'equilibrio del mondo- ciò che avevano erano le loro armi ordinarie, le loro abilità e la loro conoscenza sul futuro.

La parte più dolorosa era stata quella che li aveva visti costretti ad abbandonare le loro Vongola Box -tutte eccetto una, ma ancora non potevano usarla- un sacrificio che però si era reso necessario per non destare troppi sospetti in futuro sulla loro identità. Inoltre riuscire a viaggiare nel tempo con un animale sostanzialmente fatto di Fiamme era pericoloso, poichè l'energia rilasciata dalla Box rischiava di distorcere l'equilibrio del viaggio stesso, con la possibilità di farli perdere nel tunnel temporale senza più poterne uscire.

L'unico motivo per cui erano riusciti a portare una delle Box era stato grazie a Verde -quello del loro mondo- partendo dalle catene di Mammon, era riuscito a crearne una che sigillasse l'arma abbastanza a lungo da permettegli di compiere il viaggio senza intoppi: l'unica nota negativa era che il sigillo sembrava perdurare più a lungo del previsto.

Luce sorrise, tornando a guardare fuori dalla finestra, dove aveva perfetta visuale dell'ingresso alla villa. Il rumore di una macchina precedette il suo arrivo, ma il Boss Giglio Nero stava già sorridendo, più luminoso di qualsiasi altro avesse mai fatto prima.

«C'è anche un'altra missione che vorrei affidarti, Hayato-kun.» Hayato tese le orecchie, concentrato.«Ricordi che ho parlato delle sparizioni e dei furti?»

Meccanicamente annuì. Era un mese ormai che andavano avanti, da quando il proiettile dell'Ultimo Desiderio era ufficialmente fatto la sua prima comparsa -in anticipo rispetto a quanto non avessero previsto- due da quando il potere delle Fiamme era diventato ancora più indispensabile di quanto non fosse stato prima.

Molte Famiglia minori, invidiose di quel potere che non avrebbero mai potuto avere, avevano iniziato a rapire bambini nei quali risiedeva il potenziale delle Fiamme, rubando inoltre quanti più anelli su cui riuscivano a mettere le mani.

Come quelli che... Mukuro-sama...

«Non pensarli neanche!»

Aveva urlato, e Luce era sobbalzata per la sorpresa. Senza nemmeno averli nominati davvero, l'occhio destro aveva iniziato a bruciare -poteva sentirlo, quel potere maledetto- e solo grazie al potere concesso dal Mare Ring della Tempesta era riuscito a respingere le violenti Fiamme della Nebbia che minacciavano di inghiottirlo. Ottimo, quegli anelli erano più utili di quanto pensasse.

«H-Hayato-kun..?»

«Non è nulla Luce-sama... vecchie ferite del passato mai rimarginate.» Luce capì e non chiese più nulla.

Ci penso io Hayato, cerca di resistere.

Sentire le Fiamme della Pioggia danzargli nel corpo fu una boccata d'aria fresca, e finalmente fu di nuovo in grado di respirare regolarmente. Di nuovo, non ringraziò l'idiota del baseball per l'aiuto.

«Di che missione si tratta, Luce-sama?»

Luce avrebbe voluto chiedergli di più, sapere se stava bene, se tutti loro stavano bene, ma represse quell'istinto e continuò a parlare. Quando fossero stati pronti, sperava le avrebbero raccontato ogni loro fantasma del passato senza che dovesse chiedere nulla.«Ora che tutti sanno del mio legame con gli Arcobaleno, della purezza delle mie Fiamme, ho paura che potrebbero prendere di mira i miei cari per arrivare a me, o peggio, alla mia Aria.»

Si voltò a guardarlo negli occhi. Negli specchi blu del Boss Hayato lesse tutta la determinazione e la paura che avvolgevano il suo cuore puro. Tremava, ma non abbassò lo sguardo.

«Ha solo dieci anni, e nonostante questo possiede Fiamme del Cielo pure e molto potenti, forse più delle mie. Potrebbe essere presa di mira, e non voglio che le succeda qualcosa. Io... vorrei che fossi la sua guardia del corpo, Hayato-kun.»

Spalancando gli occhi, disorientato, Hayato fu incapace di rispondere.

«Da oggi potrà venire a vivere qui con me, dovrebbe essere appena arrivata. Io ti chiedo di essere la sua ombra, di tenerla d'occhio quando è fuori, accompagnarla a scuola e ovunque voglia andare, di essere per lei il sostegno che sei stato per me. Non potrei chiederlo a nessun altro, se non a te.»

Hayato ci pensò seriamente. Non era mai stato portato per i bambini -a malapena sopportava la scemucca ora che era un adolescente- tuttavia se Aria fosse stata simile a Yuni, in qualche modo avrebbe potuto cavarsela. Inoltre non poteva negare un aiuto a Luce, che sembrava riporre in lui una fiducia incondizionata. In qualche modo gli ricordava il Decimo, impossibile dirgli di no.

«Se mi ritenete all'altezza, Luce-sama, farò quanto in mio potere per proteggere vostra figlia e garantirle la massima sicurezza.»

Luce sorrise, una lacrima brillò nei suoi occhi celesti.«Grazie di cuore, Hayato-kun.»

 

***

 

Con solo una porta chiusa a separarla da una vita insieme ad Aria, Luce fissava con insistenza il pomello dorato, quasi aspettandosi che colpito dai suoi sguardi, questi si sarebbe aperto da solo, senza che dovesse necessariamente trovare il coraggio di farlo lei stessa.

Sembrava terrorizzata, emozionata, felice e ansiosa al tempo stesso. Un mix ben leggibile sul suo viso, incapace di mantenere una stessa espressione per un tempo sufficiente a darle un nome definito: il risultato, alla fine, era soltanto un miscugli di smorfie ridicole e senza senso.

Hayato la trovava buffa.«Tutto bene, Luce-sama?»

Le Fiamme del Sole e del Fulmine si agitavano al ritmo delle risate di Ryohei e Lambo, che commentavano lo stato d'animo del Boss ogni volta che una nuova espressione le compariva in viso.

Questa donna è estremamente divertente!

«E tu sei estremamente stupido.» aggiunse Hayato in un sospiro, mentre Luce si voltava verso di lui con le lacrime agli occhi e le guance gonfie, lo stesso viso di una bambina innocente.

«E... E sei lei dovesse odiarmi? Non la vedo da quando è nata, non credevo l'avrei più rivista! Invece... invece adesso possiamo vivere insieme, e la maledizione non c'è più... cosa devo fare, Hayato-kun? Come dovrei presentarmi a lei, dopo tutto questo tempo?»

Mentre lo scuoteva con forza per il colletto della camicia, Hayato non sapeva davvero come rispondere. Lui non aveva mai avuto una madre -non quando era finalmente stato cosciente della verità- e per quanto riguarda il rapporto con il padre... beh, preferiva non ricordarlo. Capiva quindi l'ansia di Luce, ma non sapeva come comportarsi.

Maa maa, lascia che le parli io, Hayato.

Per quanto odiasse lasciare il comando del proprio corpo a qualcun altro -finiva sempre per assumere i bizzarri comportamenti di ognuno per diversi minuti una volta tornato al comando- dovette ammettere che non c'era persona più adatta di Takeshi per gestire la situazione -forse Chrome, ma non era sicuro di poter gestire la Nebbia senza adeguata preparazione.

Annuendo, Hayato infine chiuse gli occhi e lasciò che la Pioggia si impossessasse di lui. Quando li riaprì, il verde dei suoi occhi era mutato.

«Maa maa, ora cerca di calmarti, Luce-san!»

Sobbalzano per l'improvviso cambio di tono e modi del suo subordinato, Luce alzò lo sguardo, e tutto il panico e l'ansia che provava sembrarono svanire in un istante. Il verde donava ad Hayato, ma anche il colore del cioccolato non gli stava affatto male.

«Brava, ora respira con me, lascia che le preoccupazioni scivolino via.»

Le aveva afferrato il viso tra le mani, lasciando che le loro fronti si toccassero delicatamente, chiudendo gli occhi per primo ed invitandola a fare lo stesso. Dopo un attimo di esitazione, Luce obbedì.

Fu piacevole e rinfrescante, sentire le Fiamme della Pioggia lavare via ogni sua preoccupazione e calmare il suo cuore impazzito, alla fine si sentì rinata. Avrebbe voluto rilasciare le proprie Fiamme, farle danzare con la Pioggia ed incatenare a lei anche il secondo degli spiriti che risiedevano nel giovane uomo, ma non sarebbe stato giusto e Luce non li avrebbe forzati a fare nulla che non volessero. Non poteva perdere la loro fiducia.

«Rilassati. Lascia che l'ansia lasci il posto alla felicità, non pensare a niente che non sia tua figlia. Lei è finalmente qui Luce-san, e potrete stare insieme per sempre. Cos'altro c'è di importante?»

Nulla. Con un ultimo sospiro scacciò ogni traccia in ansia ed incertezza.

Ringraziò Hayato -che non era proprio Hayato- e questi le regalò un ultimo grande sorriso -un sorriso così luminoso ed energico da scaldarle il cuore- prima che i suoi occhi tornassero a tingersi di verde.

«Va meglio, Luce-sama?»

Soltanto con quella frase, Luce capì che era di nuovo lui, il solito Hayato, il ragazzo gentile ma irruente come una feroce tempesta che aveva salvato mesi prima.

«Si, grazie a voi.»

Il giovane sorrise nel vederla voltarsi di nuovo verso la porta, pronta ad affrontare il primo vero incontro con sua figlia dopo dieci anni di separazione, niente più ansia né dubbi a sconvolgerle l'animo.

Inutile negarlo, Takashi era bravo a ridare sicurezza a coloro che perdevano la calma.

Tze, stupidi trucchetti da erbivori.

«Cuciti la bocca, non a tutti piace fare gli asociali come a te.»

Si scambiò un ultimo sguardo con Luce, dandole tutto il supporto di cui era capace e che lei sembrò apprezzare.

Finalmente -non senza sospirare ancora- aprì la porta e fece il primo passo.

 

***


Sembrava non si fossero mai separate.

Nonostante gli anni che le avevano costrette a prendere strade diverse per proteggersi l'un l'altra, Luce e Aria parlavano tranquillamente delle loro giornate passate, degli incontri e di qualsiasi cosa si fossero perse nel tempo in cui erano state separate.

Sedute sul letto, strette l'una all'altra in un abbraccio che sapeva d'amore, sembrava che il tempo si fosse fermato, e che nella stanza non vi fosse nessun altro se non loro.

Hayato avrebbe voluto lasciarle sole a recuperare il tempo perduto, ma proprio quando stava per imboccare l'uscita, Luce lo richiamò, chiedendogli di avvicinarsi.

Guardando con attenzione la figlia del Boss, Hayato si accorse che era la più diversa tra le donne della Famiglia che aveva avuto il piacere di conoscere. Aveva i capelli più lunghi e ribelli -intrecciati da entrambi i lati e legati dietro il capo- l'opposto del caschetto ordinato di Luce e Yuni, taglienti occhi blu dallo sguardo deciso, più fiero e meno dolce rispetto a quello di madre e figlia. Il colore e la luce che li accendevano però -si disse con un sorriso a fior di labbra- erano gli stessi.

«Aria, lui è...»

«Arashi-san!» fu ciò che rispose la bambina in un perfetto giapponese, abbracciando il ragazzo che, sentito il nome con cui era stato chiamato, si era paralizzato.«Il ragazzo che ti ha salvata, madre!»

Hayato era immobile. Lei sapeva, quella bambina aveva capito tutto anche se Luce -o almeno questo credeva- non le aveva raccontato nulla. Guardò il Boss, in cerca di una spiegazione alla confusione che si affollava nella sua testa.

Luce alzò le mani, dichiarandosi innocente e sorridendogli divertita.«Io non centro, ha visto tutto nelle sue visioni.» chiarì infine.

Ora Hayato era più confuso di prima.«Visioni? Vuol dire che... anche lei può vedere nel futuro?»

Fino a quel momento, lui e tutti gli altri -lo sapeva, era inutile che fingessero il contrario- erano sempre stati convinti che l'abilità di scrutare nel tempo dipendesse dalla maledizione degli Arcobaleno che piombava sul capo del loro Boss. Evidentemente si sbagliavano.

«Il potere di vedere il futuro non dipende dalla maledizione, è un dono dei nostri avi. Si tramanda da generazioni, di madre in figlia, si può dire che è un tratto distintivo di noi Boss Giglio Nero, un po' come l'IperIntuito dei Vongola.»

Annuendo, Hayato spostò lo sguardo sulla bambina che ancora lo stringeva tra le braccia, incerto su come reagire, optando per la soluzione che a lui parve più semplice: restò immobile.

Non ci sai proprio fare con i ragazzini, Stupidera.

E di chi era la colpa, secondo lui? Ma non espresse quel concetto ad alta voce e lasciò correre.

Luce si alzò dal letto con eleganza, avvicinandosi alla figlia e prendendola amorevolmente per le spalle, chinandosi così da poterle parlare direttamente.

«Aria, lui è Hayato-kun, il mio Guardiano della Tempesta.» le spiegò amorevolmente. Aria rimase in silenzio, aspettando che la madre continuasse.«E da oggi sarà anche la tua guardia del corpo. Quando vorrai uscire, in qualunque posto tu voglia andare, dovrai sempre prima chiedere ad Hayato-kun, intesi?»

La bambina annuì con energia, lasciando ondeggiare la mantellina bianca che poggiava sulle spalle, abbinata al vestito nero che aveva scelto con cura per l'occasione, in modo da presentarsi al meglio davanti a sua madre. Aveva deciso di non indossare l'abito cerimoniale Giglio Nero, volendo mostrarsi davanti a Luce semplicemente come una figlia, non come l'erede della Famiglia. Per quello ci sarebbe stato tempo.

Non fece domande su Arashi -non poteva, riusciva a leggere il disagio del ragazzo anche senza che questi lo dichiarasse apertamente- né si chiese per quale motivo si stesse nascondendo sotto una tinta di capelli biondi, ma sperava che un giorno -quando fosse stata più grande, più matura, quando Hayato l'avrebbe guardata con la stessa fiducia con cui guardava Luce- avrebbe condiviso anche con lei i suoi segreti.

«Sono felice di fare la vostra conoscenza, Hayato-san!» sorrise, prostrandosi in un leggero inchino, alzando gli angoli del mantello e chinando il capo.

«Vi prego Aria-san, non merito tante formalità. Potete parlarmi tranquillamente in italiano, lo conosco molto bene. Se può farvi piacere, chiamatemi semplicemente Hayato e datemi pure del tu.»

La bambina rise, annuendo.«Va bene, in questo caso sarei felice se anche tu mi dessi del tu!»

Umettandosi le labbra, Hayato voleva declinare l'offerta -tanta confidenza con la figlia della loro salvatrice? Non avrebbe mai osato- ma guardando gli occhi carichi di aspettativa con cui Aria attendeva una risposta, non ebbe il coraggio di rifiutarla.

Conosceva quegli occhi. Tempo addietro erano gli stessi occhi con cui il Decimo l'aveva pregato di rivolgersi a lui chiamandolo per nome, staccandosi da tutte quelle formalità che il titolo di Boss lo costringeva ad indossare, soffocandolo.

All'epoca soltanto lui non era stato in grado di esaudire quella richiesta -non poteva, nemmeno se era il Decimo stesso a chiederlo- e vedendo come lo sguardo del Cielo si era spento all'improvviso, rassegnato probabilmente, il cuore aveva smesso di battergli per un istante interminabile.

Aveva deluso il Boss una volta -una onta che non si sarebbe mai perdonato fino alla sua morte effettiva- non avrebbe commesso lo stesso errore con la giovane erede dei Giglio Nero.

Kfufufufu solo tu riesci a fare di una cosa così stupida un caso di vita o morte.

«Nessuno ha chiesto la tua opinione, bastardo.» ringhiò a denti stretti, ignorando lo sguardo confuso di Aria e la risata sommessa di Luce. Tornò a concentrarsi sulla ragazzina, accennando un piccolo sorriso.«Come desideri, Aria-san. Sarà un onore per me lavorare al tuo fianco.»

«Anche per me! Facciamo del nostro meglio per divertirci insieme!» rispose radiosa, allungando una mano verso Hayato e aspettando che gliela stringesse. Con un sorriso strinse la mano della bambina nella propria -era piccola e calda, si perdeva quasi nelle sue grosse mani callose e rovinate- posandole un leggero bacio sul dorso come aveva fatto quando si era legato a Luce.

«Ottimo! Ora vi lascio un po' da soli, così potrete conoscervi meglio.» Luce si avvicinò alla porta canticchiando, voltandosi un'ultima volta verso la figlia ed il proprio Guardiano.«Hayato, fai pure con calma, mi troverai nel mio ufficio se hai bisogno. Ho un incontro importante a cui presenziare, quindi non c'è fretta.» e con queste parole uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle con delicatezza.

Hayato inclinò il capo, pensieroso. Non ricordava ci fosse un incontro in agenda, non aveva sentito nulla nemmeno da Gennaro, che difatti era il braccio destro di Luce, organizzatore di tutti i suoi appuntamenti e degli eventi a cui il Boss doveva assolutamente presenziare. Che strano.

«Ehm... Hayato.» voltò lo sguardo verso Aria, che a sua volta lo guardava intensamente.«So che è solo il primo giorno, non vorrei disturbarti troppo, ma potresti accompagnarmi a comprare una cosa, domani dopo la scuola?»

«Ma quale disturbo, dovi solo chiedere Aria-san. Sarà un piacere per me accompagnarti.»

Il sorriso della bambina divenne più luminoso.«Grazie!» corse sul letto, sedendosi ed invitando il giovane a fare lo stesso.«Parliamo un po', dai!»

Hayato sospirò. Non sapeva proprio come comportarsi con i bambini -più volte aveva pensato di lasciare a Chrome la responsabilità di approcciarsi ad Aria- ma quella ragazzina non era poi così male. Poteva anche farcela, alla fine.

Yosh! Babysitter all'estremo!

Ringhiò. Se poteva sopportare due mocciosi come Lambo e Ryohei, sempre svegli nella sua mente e pronti a fargli perdere il controllo, qualunque altra cosa era una passeggiata.

 

***

 

Luce stava compilando alcune scartoffie quando una presenza nel suo ufficio la distrasse, e tutto ciò che sentì dopo fu un piacevole calore, come se un sole vivo si fosse appena insidiato nella stanza, tingendo di giallo ogni cosa attorno a lei.

Un sorriso le increspò le labbra. Posò la penna e si stiracchiò per bene le braccia, sentendo l'impellente bisogno di fare una pausa e staccarsi da tutto quel noioso lavoro d'ufficio che non avrebbe mai creduto di dover fare una volta preso il comando della Famiglia. Sua madre non l'aveva preparata abbastanza per questo.

“Direi che è arrivato giusto in tempo.” pesò, sostenendosi il mento con una mano, giocherellando con una ciocca di capelli tra le dita.

«Cosa posso fare per te, signor “Miglior Assassino del Mondo”?»

Reborn comparve davanti a lei all'improvviso, senza che Luce potesse capire davvero da dove fosse arrivato -non lo capiva mai, era decisamente troppo bravo- vestito nel suo classico completo nero, il fedora sempre presente e calato sugli occhi.

«Riesci sempre a capire quando sono nei paraggi.»

Luce sorrise.«Già, le tue Fiamme sono un piacevole avviso ogni volta. Ciò nonostante non so mai da dove sbucherai, sei davvero troppo bravo a nasconderti.» si alzò dalla sua poltrona, invitando il bambino a prendere posto ed attendere. Si avvicinò alla macchina del caffè ed in pochi minuti una tazzina fumante era pronta tra le sue mani.

«Non sarà come il mio solito espresso, ma al momento è tutto ciò che posso offrirti.»

«Un espresso è sempre ben accetto, grazie.»

Reborn prese la tazzina tra le mani e attese, non togliendo gli occhi dalla figura di Luce che tornava a sedersi dietro la scrivania. Ora erano uno di fronte all'altro -una delle tante volte in cui si erano ritrovati assieme in quell'ufficio, a discutere di ogni cosa come buoni amici- immersi in un silenzio che nascondeva parole pericolose, di cui nessuno dei due era pronto ad affrontare il significato.

Fu Luce a spezzare la quiete.«Vedo che sei cresciuto, sei più alto.»

«Già, anche se speravo che la crescita fosse immediata. Sono già passati sei mesi da quel giorno ormai.»

Sei mesi da quando la maledizione era stata spezzata. Sei mesi da quando Hayato era diventato parte della sua quotidianità. Distese le labbra e annuì, persa in pensieri che non poteva condividere con nessuno, nemmeno con Reborn -specialmente con Reborn.

«A proposito di allora, hai più saputo nulla di quel tipo? Com'è che si chiamava? Arashi mi pare?»

Luce lo guardò accigliata, gonfiando le guance come una bambina a cui è stata negata una caramella. «Non trattarmi come una stupida, Reborn. Da me non saprai nulla su di lui, pensi che non sia a conoscenza delle tue continue e disperate ricerche per trovare Arashi?»

Alzando le mani, arrendendosi davanti all'acume di Luce, il giovane assassino si scusò per l'impertinenza.«Non puoi biasimarmi, Luce. È la persona che ci ha salvati, è normale che voglia saperne di più, e non solo io.»

Si, era a conoscenza del desiderio di tutti quanti gli Arcobaleno di poter parlare con il misterioso giovane che aveva spezzato la maledizione, tuttavia aveva respinto ognuno di loro con fermezza, senza lasciarsi sfuggire la minima informazione. Nemmeno a Reborn avrebbe detto nulla.

«Così hanno pensato di mandare te ad addolcirmi, sperando in qualche risultato positivo?»

Reborn scosse le spalle, bevendo un altro sorso e assaporando l'aroma di caffè caldo scivolargli giù per la gola. Non male.«Che posso farci? La fama del mio charme mi precede.»

«Già, le tue basette ti rendono veramente affascinante, irresistibile quasi.» commentò, la mente indietro di anni prima, quando ancora non conoscevano che i rispettivi nomi.«Ma questa volta non funzioneranno nemmeno quelle, ho promesso Reborn.»

Il killer sospirò, finendo il caffè e appoggiando la tazzina sulla scrivania. Capiva le ragioni di Luce e le accettava, tuttavia non poteva fermare il fastidio che gli cresceva alla bocca dello stomaco al pensiero che gli stesse nascondendo qualcosa. Non l'aveva mai fatto, e questo silenzio -su un argomento che lo toccava da molto vicino oltretutto- lo disturbava.

«Piuttosto...» Luce riprese la parola, divergendo su un altro argomento che le sembrava ugualmente importante.«Sei qui solo per chiedermi di Arashi o ci sono altri motivi dietro la tua visita?»

Reborn tacque, fissando il vuoto oltre la finestra alle spalle di Luce, il fedora nera calato sopra gli occhi.«Nessun altro motivo in particolare, solo per vederti e parlare un po' con una... vecchia amica

Luce non sembrò felice dell'appellativo con cui le si era rivolto.«Ah, ora sono solo una vecchia amica?» chiese retorica, cercando di mascherare il dispiacere e l'irritazione.

«Luce... lo sai che non intendevo...»

«Lo so.» tagliò corto, lasciandosi scappare un sospiro tra le labbra sottili.«Penso solo che sarebbe felice di conoscerti... lei merita di sapere, Reborn.»

L'assassino sospirò, portando i grandi occhi neri a scontrarsi con quelli blu di Luce. Anche se erano ancora quelli di un bambino, Luce vedeva oltre l'apparenza, scontrandosi con quelli dell'uomo che aveva imparato a conoscere quasi venticinque anni prima, durante il primo incontro che aveva visto radunarsi i nuovi Arcobaleno la prima volta. Erano gli occhi seri di un adulto che sapeva sempre cosa fare, quelli che l'avevano sostenuta nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, nella vita così come nella morte che si era inevitabilmente preparata ad incontrare.

Gli occhi dell'uomo che amava.

«E correre il rischio di metterla ancora più a rischio? Solo il fatto di essere tua figlia la espone già a troppi pericoli.» avevano già fatto quel discorso -tante volte, così spesso che Reborn non riusciva più a contarle- ed ogni volta che Luce provava a persuaderlo, la paura di quel che sarebbe potuto succedere lo convincevano a desistere, a mostrare anche al Boss Giglio Nero che il gioco non valeva la candela.«Cosa pensi che succederebbe se scoprissero che ha legami anche con me? Con il Miglior Assassino del Mondo? Non avrebbe un solo attimo di pace, Luce.»

E lo sapeva. Sapeva che Reborn aveva -dannatamente- ragione, ma non riusciva ad accettare l'idea che la bambina crescesse nell'oscurità, senza mai conoscere il volto di quello che era a tutti gli effetti suo...

«So che ti sembra ingiusto.» Reborn interruppe il flusso dei suoi pensieri, posandole una delle piccole mani sulle proprie, un gesto di conforto e forza di cui Luce aveva estremamente bisogno.«Ma è la cosa giusta da fare.»

Sospirando, il Boss dei Giglio Nero sorrise all'assassino, annuendo e lasciandosi andare sul sedile della poltrona, stanca, spossata.«Hai ragione, come sempre.»

Doveva darsi pace: nel loro mondo non c'era spazio per la perfetta famiglia felice che avrebbe voluto, non quando lei era a capo di una grande Famiglia e l'uomo con cui voleva costruirsi una vita apparteneva ad un clan altrettanto grande e potente. Il Nono Vongola probabilmente non avrebbe accettato di perdere il suo uomo più fidato tanto facilmente, il che rappresentava un ostacolo alla prossima questione che Luce voleva portare all'attenzione del killer.

«Reborn... c'è un'altra questione di cui volevo parlarti, ora che sei qui. È un po' improvviso, richiederà sicuramente del tempo e qualche trattativa, ma non ho intenzione di cedere, non su questo.»

E solo guardando la determinazione negli occhi di Luce, brillanti di quelle rare Fiamme che abbracciavano gli Elementi come fossero parte delle stesse, Reborn capì che qualunque cosa avesse in mente, Luce l'avrebbe portata a termine fino in fondo.

Nessuno l'avrebbe fermata, non questa volta.

 

***

 

Hayato storse la bocca in una smorfia indefinita, mentre con passo calmo seguiva Aria pochi metri indietro, varcando i cancelli dell'istituto Sparvieri e cercando di ignorare le risate dei bambini tutt'attorno. Odiava i mocciosi, era più forte di lui.

Coraggio Hayato-san, è solo il primo giorno. Se diventa troppo dura puoi sempre scambiarti con uno di noi.

«Come se potessi fidarmi a lasciare Aria-san nelle mani di Mukuro, Kyoya o dei due idioti. Tre, considerando il maniaco del baseball. E scordati che permetta ad una ragazza di girare nel mio corpo!»

E che diavolo, era vero che quel corpo apparteneva a tutti e sette ormai, ma fino a quando avesse avuto le sue sembianze -biondo o meno- avrebbe mantenuto lui il controllo. Chissà cosa avrebbero potuto combinare se li avesse lasciati liberi di agire.

«Tutto bene, Hayato?»

Si issò la sacca da baseball sulla spalla destra, chiedendosi per quale motivo dovesse portarsi appresso la Shigure Kintoki ed i tonfa, quando la sua dinamite sarebbe bastata a fare la differenza. Takeshi e Kyoya non avevano voluto sentire storie, e ringraziò di non doversi portare appresso anche l'inquietante tridente di Mukuro e Chrome, che potevano materializzare la propria arma tramite le illusioni. A Ryohei bastavano i pungi ed il supporto di Garyuu, mentre per Lambo Gyuudon era sufficiente. Non lasciava mai le loro Box in ogni caso, quelle di nessuno.

«Divinamente, Aria-san. Non preoccuparti per me.»

L'Istituto Sparvieri era un grande complesso scolastico che accettava tra le sue mura studenti frequentanti ogni anno, dall'asilo fino alle superiori, e addirittura organizzava alcuni corsi universitari specializzati per aiutare i ragazzi a trovare il loro posto nel mondo della mafia.

Era una scuola speciale, frequentata soltanto da giovani che avevano connessioni con la mala, finanziata da ogni singola Famiglia dell'Alleanza e protetta come pochi altri luoghi al mondo. Un po' come Mafialand.

Lì, tra le aule dell'istituto venivano formati i futuri Boss delle varie Famiglie, Guardiani e utilizzatori di Fiamme, scienziati e, primo fra tutti, killer professionisti. Hayato aveva frequentato poco l'Istituto nella sua infanzia -era scappato pochi giorni dopo il primo giorno, quando aveva scoperto la verità su sua madre- ricordando poco o nulla di ciò che lo aspettava oltre la porta d'ingresso.

Io non credo di essere mai stato qui, il Boss ha preferito mandarmi in Giappone per imparare direttamente sul campo.

«Chissà come mai.» francamente era più probabile che il Boss Bovino volesse liberarsi di Lambo quanto più alla svelta possibile, mettendo tra lui e la Famiglia quanti più chilometri possibili.

Come lo capiva.

Accompagnò Aria dentro la struttura studiando ogni percorso che gli si presentava davanti, analizzando scale e corridoi, individuando ogni possibile via di fuga in caso di attacco, ma anche ogni possibile nascondiglio che avrebbe permesso l'infiltrazione ad eventuali nemici.

L'atrio era grande e pomposo, costruito sulla base di strutture antiche che esaltavano la potenza e l'importanza di chi aveva commissionato il lavoro. Dal soffitto, appesi con dello spago trasparente, penzolavano i sigilli delle Famiglie dell'Alleanza, e con un ghigno notò che quello dei Vongola -centrale, come il punto d'inizio di ogni cosa- era leggermente più grande rispetto a tutti gli altri.

I Vongola sono estremamente i migliori!

Per una volta era completamente d'accordo con Ryohei.

Salirono due rampe di scale, e mentre memorizzava la strada ed i dettagli dell'ambiente, Hayato notava le pareti adornate con i ritratti dei Boss del passato, altri raffiguravano gli eventi storici più importanti della mafia, mentre altri ancora mostravano i volti dei killer professionisti più famosi di tutti i tempi.

La classe di Aria si trovava al terzo piano, settore delle medie, terza porta sulla sinistra. Le sue ricerche avevano garantito che nessuno degli studenti della 1-C erano, apparentemente, una minaccia per la giovane erede, ma non poteva esserne pienamente sicuro.

Davanti alla porta dell'aula, Aria si girò a guardarlo sorridendo, ondeggiando la gonna della divisa scolastica. C'era un che di nostalgico nel vedere tutti gli studenti vestiti con abiti predisposti dalla scuola, cosa che di solito non accadeva in Italia, dove gli studenti potevano vestirsi come preferivano.

Gli ricordava i tempi di Namimori, dell'epoca in cui si erano conosciuti, quando ancora potevano ridere e divertirsi affianco al proprio Cielo senza preoccuparsi del futuro, vivendo il presente con spensierata ingenuità. Avrebbero dato tutto per riavere indietro quei momenti, uno dei motivi per cui erano lì, un corpo unico per sette anime, pronti a lottare per salvare l'unico che meritava davvero la felicità.

«Allora io vado, Hayato!»

«Si, ci vediamo durante la ricreazione. Se avete... se hai bisogno di me usa pure il cerca persone.»

«Lo farò, a dopo!» e sparì oltre la porta della classe, in cui solo gli studenti avevano accesso, mentre le guardie del corpo dovevano attendere fuori, così da non essere di disturbo e distrazione per nessuno.

Per le prossime tre ore era libero, tanto valeva farsi un giro per la struttura ed installare qualche microcamera, giusto per essere tranquilli.

Forse non era proprio nelle norme scolastiche, ma non era necessario che i dipendenti scolastici lo sapessero, no?

 

***

 

Sbuffando scese le scale del secondo piano, diretto in qualunque posto non fosse la noiosa classe che era stato costretto a frequentare contro la sua stessa volontà.

Tze, come se un mucchio di cazzoni buoni a nulla potesse insegnargli come essere il migliore, quando era evidente agli occhi di tutti che già lo fosse. Nessuno, in quella merdosa scuola di signorini con la puzza sotto il naso, valeva quanto un'unghia del suo dito, né gli studenti né tanto meno i professori.

Si divertivano a deriderlo, guardandolo dall'alto al basso per via delle sue origini -sicuramente umili rispetto alla maggioranza delle persone lì dentro- eppure poteva mettere tutti a tacere senza neanche impegnarsi. Nessuno lì era degno della sua lealtà o del suo rispetto, potevano andarsene tutti a fanculo.

Lui era un prodigio, un Maestro di spada nonostante l'età, con Fiamme così pure da bruciare gli occhi di chiunque si fermasse a guardarle per troppo tempo, un élite rispetto alla schifosa feccia che gli camminava affianco, capace soltanto di insultarlo e deriderlo, scappando ogni qual volta si girasse a guardarli, gli occhi socchiusi in una silenziosa minaccia.

Codardi, dal primo all'ultimo.

Incrociò un professore al piano terra, uno di quei fastidiosi topi da biblioteca con gli occhiali ed il farfallino -quelli che odiava di più, dopo gli stupidi- che lo squadrò con disgusto e rassegnazione. Non provò a fermarlo -ovviamente, restava un noioso codardo- incamminandosi verso la classe a cui anche lui avrebbe dovuto attendere, ma che aveva già deciso di saltare.

Gli veniva il vomito a stare lì, in quel fetido posto pieno di feccia e letame, di cui sentiva non fare parte.

Fanculo la sua età, e fanculo il Nono dei Vongola che l'aveva costretto -lui e tutti i bambini della Famiglia- a frequentare la scuola. Non ne aveva bisogno.

«S-Squalo! A-Aspettami!»

Mentre percorreva il corridoio che lo separava dall'uscita -un occhio fisso sul quadro di Tyr, l'Imperatore della Spada, l'uomo a cui ambiva di più al mondo- la noiosa voce di Cavallone lo raggiunse, ferendogli le orecchie. Diavolo se lo odiava, quel piagnone buono a nulla.

«Voooi! Cosa diavolo vuoi da me, schifezza?!»

Tutti i suoi compagni di classe vedevano di tenersi a debita distanza da lui -nessuno osava avvicinarsi a Superbi Squalo, il feroce ragazzino del borgo, il pidocchioso, l'umile, lo scapestrato- preferendo fingere che non esistesse piuttosto che azzardarsi anche solo a rivolgergli la parola. Andava bene così in fondo, non voleva legare con nessuno, non era certo lì per farsi degli amici.

L'unico che sin dal primo anno sembrava non temerlo, che lo seguiva come un'ombra ad ogni passo che faceva -quasi come un cagnolino troppo attaccato al proprio padrone- era l'erede unico della Famiglia Cavallone: Dino de Cavallone.

Dino era il più piccolo nella loro classe, magrolino e imbranato, inciampava sempre nel nulla e piangeva per ogni cosa, anche la più stupida. Solo guardandolo, Squalo sentiva l'impellente necessità di prenderlo a botte, ancora meno paziente di quanto non fosse normalmente.

Non lo sopportava, eppure Dino sembrava essere attratto da lui come un magnete. Impossibile scollarselo di dosso, anche quando sembrava esserselo levato dai piedi il piccolo verme tornava sempre, con più lacrime di quando se ne era andato, ma con la stessa determinazione intaccata nello sguardo.

Ancora senza Fiamme, incapace di reggersi sulle sue stesse gambe, Dino era lo zimbello dell'intero dipartimento elementari dell'Istituto, la barzelletta di chiunque fosse anche solo minimamente capace di fare qualcosa meglio di lui. Tutti ovviamente.

Aveva un viso carino però -non sapeva se fosse vero o meno, aveva sentito alcuni commenti qua e là per i corridoi- e sembrava essere popolare tra le ragazze. L'unico pregio di cui avrebbe potuto vantarsi.

«T-Ti ho visto andare via dalla classe e ti ho seguito! Dove vai?»

Squalo ringhiò, voltandosi a fronteggiarlo con il petto gonfio, gli occhi socchiusi e l'espressione più terrificante di cui era capace.«Voooi! Non sono affari tuoi! Torna in classe, piagnone!»

Dino cadde all'indietro con un tonfo, le lacrime pronte ad uscire e ad irritare Squalo più di quanto non fosse già. Ma stavolta non pianse.

«Po-Posso venire con te? Non mi piace stare in c-classe se non ci sei...» e mentre lo diceva, il tono si era fatto sempre più basso e triste, quasi disperato. Lo stava pregando di non mandarlo via.

Squalo sospirò, grattandosi i corti capelli argentati e squadrandolo seccato.«Fai come ti pare, ma non seccarmi! Hai capito, Vooooi?!»

Per quanto potesse odiarlo ed infastidirlo con la sua sola presenza, tra tutta la feccia che popolava quella scuola di merda, Dino era probabilmente il male minore a cui doveva sottostare. Era l'unico che nonostante la posizione benestante in cui era nato non lo derideva, né lo trattava come un appestato. Poteva anche sopportarlo, qualche volta.

Squalo non era l'unico ad essere trattato come una merda in quella scuola, ma evidentemente il padre di Dino era troppo impegnato a fare il Boss per accorgersene.

«Ma se piangi giuro che ti ammazzo!» si premurò di aggiungere, infilandosi le mani in tasca e continuando verso l'uscita, diretto al cortile esterno. Sorridendo, Dino lo seguì, scacciando ogni traccia di lacrime che minacciavano di rigargli il viso.

Mentre uscivano dalla porta principale, Squalo notò qualcosa, qualcuno che non aveva mai visto prima. Un tizio strano, piuttosto alto e con i corti capelli biondi, che fumava una sigaretta appoggiato al muro, non troppo lontano dalla porta. A terra, accanto alla gamba destra del tipo, era adagiata una sacca blu, contenente qualcosa che Squalo non riuscì ad identificare.

Non era un professore -niente scartoffie varie, nessuna borsa ventiquattrore sempre a portata di mano- e sicuramente non era uno studente -troppo vecchio, quasi un nonno ormai!

Doveva essere sicuramente la guardia del corpo di qualche viziato figlio di papà, il che bastava a far si che Squalo lo trovasse irritante e fastidioso. Non lo conosceva, ma già lo odiava.

Quando gli passarono davanti, accadde qualcosa di strano. Squalo vide l'uomo pietrificarsi quando riuscì a scorgere i loro visi, squadrandoli con incredulità e sorpresa, forse con un po' di orrore anche, ma non era sicuro. Uno sguardo che comunque lo irritò.

«Cos... Com... Che diavolo...?!» lo sentì balbettare, mentre cercava di capire se quel che stava vedendo era reale o meno.

Disgustoso. Non c'era altro modo per descrivere quell'inquietante verme schifoso.

Cosa diavolo aveva da guardare quel brutto stalker pervertito?! Non aveva mai visto dei ragazzini passare per il cortile di una scuola?! Strinse gli occhi, minacciandolo con lo sguardo.

«Voooi! Che hai da guardare, vecchio pervertito?!»

Con forza, quanta bastava per farlo piegare sulle ginocchia, Squalo tirò con forza un calcio sulla tibia dell'uomo, costringendolo a chinarsi per il dolore. Ghignò vittorioso.

Dino, al contrario, stava entrando nel panico.«C-Che hai fatto, S-Squalo?!»

«Tu...! Brutto piccolo...!»

Afferrando con forza il polso di Dino tra le mani, Squalo fece una linguaccia allo stalker e corse via, mettendo quanta più distanza possibile tra loro e quel fottuto pervertito.

Non gli piaceva, un motivo più che sufficiente per allontanarsi e non avere più niente a che fare con lui.


 


 

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Capitolo 4
*** Target 4- Unexpected ***


N.d.A.- Chaossu! Chiedo venia se non ho postato prima, ma sono stata senza wifi per due settimane, e non ho potuto farci nulla purtroppo >-<
Spero che la pazienza sia stata ripagata, e che il capitolo vi soddisfi abbastanza da farvi dimenticare il mio enorme ritardo!
Ammetto che io stessa non sono soddisfattissima del risultato, cioè avrebbe potuto uscire meglio... spero di redimermi con i prossimi aggiornamenti!
Grazie a tutti
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Quando avevano concordato che il viaggio nel tempo fosse una buona idea per ritrovare il proprio Cielo, nessuno di loro aveva realmente messo in conto le possibilità che si sarebbero aperte con quella decisione.

Massaggiandosi la parte colpita con irritazione, Hayato non poteva ancora credere a quello che aveva appena visto, a chi nello specifico gli era appena passato davanti, mozzandogli il fiato. La mente aveva smesso di pensare razionalmente, mentre continuava a maledire il ragazzino che gli aveva tirato un calcio senza alcun motivo.

Fastidiosi come sempre, al di là del tempo e dell'età. Anzi, ora che erano mocciosi -Dei, quale combinazione peggiore?- Hayato sentiva di poter sopportare la loro presenza ancor meno di quanto faceva con le loro versioni adulte.

Non capiva.

Che. Cazzo. Ci. Facevano. Lì?

Yosh! Questo è stato estremamente inaspettato!

Le urla di Ryohei lo irritarono.

«Smettila di urlare! Piuttosto, perché cazzo Squalo e Bronco sono in questa scuola?!»

Se ci avesse riflettuto con attenzione, Hayato avrebbe ricordato che Dino lo aveva raccontato un volta -se avesse prestato le dovute attenzioni a Cavallone, cosa che non faceva praticamente mai- di come lui e Squalo fossero stati compagni di scuola, amici d'infanzia addirittura, nello stesso istituto frequentato da ogni bambino con evidenti rapporti alla mala. A quanto pare lo stesso che Aria aveva appena iniziato a frequentare.

Solo a pensarci, Hayato sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.

Non solo doveva passare del tempo a scuola, circondato da ragazzini irritanti, ma doveva oltretutto convivere con la costante presenza del più rumoroso dei Varia -futuri Varia, si corresse- e con Bronco l'idiota piagnone. Grandioso, non vedeva l'ora.

La giornata trascorse tranquilla, quasi noiosa avrebbe osato dire, ma ringraziò che fosse finalmente finita. Aria lo salutò con un sorriso alla fine delle lezioni, prendendolo per mano e guidandolo verso la limousine che li attendeva oltre i cancelli dell'istituto.

Sentendo la mano della bambina stringere la sua si era irrigidito -non era abituato a quei contatti, ci sarebbe voluto del tempo, molto tempo- ma si rilassò, contagiato dalla calma che le Fiamme del Cielo di Aria gli trasmettevano.

Non incontrò più Squalo e Dino durante la giornata, e di questo ne fu grato.

Hmn. La prossima volta morderò l'erbivoro a morte.

Forse non era un'idea così cattiva, stava iniziando a considerarla un'opzione valida.

Come promesso, una volta usciti da scuola, Hayato aveva accompagnato Aria in giro per Venezia, alla ricerca di qualcosa di cui ancora non era stato messo al corrente.

Ad ogni vetrina della lunga via commerciale, gli occhi della giovane brillavano di gioia, mentre passava da un negozio all'altro curiosamente, sempre sotto l'occhio vigile della sua fidata guardia del corpo.

C'era pace in città -insolito per la caotica Venezia, dove turisti andavano e venivano ogni giorno- e l'aria salmastra portata dal mare era un toccasana per i polmoni.

Mani in tasca -la sacca di Shigure Kintoki sempre a portata, pronta ad ogni evenienza- Hayato seguì Aria pochi passi indietro, gettano l'occhio qua e là tra le bancarelle, senza però mai perdere di vista la ragazza.

Il piacevole profumo di pane e dolci gli invase le narici, mentre si avvicinavano sempre di più ad una piccola bottega -non troppo grande, semplice nella sua struttura, eppure accogliente come pochi altri locali nel quartiere- dall'aria fin troppo famigliare. E Aria si stava dirigendo proprio verso quella bottega.

Un nodo allo stomaco lo impietrì, e per un attimo Hayato non riuscì a respirare. Il solo gesto di inspirare sembrava causargli più dolore di quanto non volesse lasciar vedere -aria aria aria, aveva bisogno d'aria- nel ricordare perché quel posto gli sembrasse così famigliare.

«Sei troppo ansioso, Hayato-kun.»

Una voce -la sua voce, quella voce che non avrebbe più sentito- gli risuonò nella mente, e stavolta era sicuro non si trattasse dei Guardiani. Era un eco, un ricordo lontano che faceva male -perché respirare faceva così male? Stava soffocando, aveva bisogno d'aria- ma che non poteva in alcun modo ignorare. Si porto una mano sopra i vestiti, nel punto in cui era sicuro ci fosse il cuore, e strinse il tessuto con quanta forza aveva.

«E va bene, mi arrendo. Una pausa al forno di Lucia-san non mi farà male.»

Strinse con più forza i vestiti, l'aria sempre più rarefatta. Stava soffocando, ancora una volta incapace di reagire davanti alla realtà.

Respira. Non lasciarti sovrastare.

Ma Hayato non lo sentiva, non sentiva nessuno di loro, non vedeva -quando si era fatto buio? Perché non riusciva a vedere più nulla davanti a sé?- tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi era il dolore che i ricordi portavano a galla. Ancora una volta si stava mostrando debole, inadatto, e la frustrazione tornò a bruciargli come quel giorno, quando il Cielo aveva smesso di abbracciare i suoi elementi.

Erbivoro, datti un contegno.

E faceva male, dannazione se faceva male affrontare i propri ricordi senza collassare, anche quando altre sette persone erano lì pronte a sostenerlo, a capirlo, a condividere il suo stesso dolore. In quel momento però, Hayato era solo, perso, in un mondo in cui il Cielo aveva smesso di esistere.

«H-Hayato-kun...?» tendendo una mano verso il braccio del ragazzo, Aria lo osservava con preoccupazione.

Si era accorta che qualcosa non andava solo poco prima, troppo impegnata a guardare i dolci del forno con emozione -non doveva distrarsi, non doveva lasciarlo solo- e solo quando si era girata a richiamarlo, Aria aveva capito che qualcosa non andava.

Tremava, bianco come un cad-no, non doveva nemmeno pensarla quella parola- come un lenzuolo, e non respirava bene. Sembrava potesse rompersi da un momento all'altro, sotto il tocco delle sue piccole dita che gli avevano sfiorato il braccio.

Hayato si irrigidì sotto il suo tocco, per poi rilassarsi e distendere i muscoli, scacciando quella brutta sensazione che pungeva Aria proprio sotto la pelle, tra la punta delle dita, lì dove le Fiamme premevano forte per uscire e abbracciarlo -accoglierlo, avvolgerlo nel suo Cielo per proteggerlo.

Le prese la mano tra la sua -così grande e forte, ma gentile e confortevole- e la guardò negli occhi sorridendo, un sorriso che non gli aveva mai visto fare prima d'ora.

Aria boccheggiò quando riuscì finalmente a guardarlo negli occhi. Era sicura che gli occhi di Hayato fossero verdi -un verde chiaro, quasi grigio, che alle volte rispendeva di un rosso intenso, caotico, il rosso di una vera Tempesta- mentre ora erano marroni.

Erano caldi e piacevoli, un mare di cioccolato in cui lasciarsi trascinare e coccolare -una punta di azzurro li illuminava, un blu capace di tranquillizzare e rinfrescare come una Pioggia gentile.

Hayato -no, questo non era più Hayato, Aria lo sapeva- la guardò intensamente, senza mai smettere di sorridere.

«Non preoccuparti, va tutto bene Aria-chan!» ancora, Aria non sapeva come reagire a questo nuovo Hayato -no, non Hayato, non più- e per diversi secondi rimase immobile a guardarlo, cercando in lui quel qualcosa che non riusciva a capire, quella strana sensazione che il ragazzo davanti a lei fosse qualcun altro e non colui che l'aveva accompagnata fino a quel momento.

Non trovò nulla. Solo un caldo sorriso, una gentilezza smisurata, e una tristezza che non riusciva a spiegarsi. E per la prima volta realizzò che chiunque avesse davanti -perché ancora, quello non era più Hayato- non era poi così diverso dal ragazzo che conosceva.

Non chiese niente, gli sorrise rassicurante -il sorriso che sua madre le aveva sempre detto di mostrare, il sorriso che accoglie, comprende e perdona- e prendendolo per mano lo portò al forno, parlandogli dei suoi progetti, del perché aveva chiesto di uscire e di cosa le sarebbe piaciuto fare.

Non c'era fretta, si disse. Aspettando il ritorno di Hayato avrebbe parlato con questa persona, l'avrebbe conosciuta meglio e avrebbe capito il perché di quella tristezza.

Non c'era fretta, ripeté. Grazie ad Arashi, ora aveva tutto il tempo del mondo.

 

***

 

«Si... si... capisco che... lo so che è una richiesta importante, ma... no, non era mia intenzione... si lo so che è improvvisa, però...» Luce cercava di mostrarsi calma e composta, nascondendo la propria ansia dietro il telefono.

Resta seria, non lasciare che la tua voce suoni incerta, respira con calma, prendi fiato e mostrati tranquilla. Puoi farcela Luce.” continuava a ripetersi, nella speranza di darsi abbastanza forza da non crollare mentre era ancora nel bel mezzo delle trattative.

Tornò a concentrarsi sulle parole della persona dall'altro capo del telefono, che con altrettanta calma cercava di spiegarle perché si dimostrava così riluttante nell'accettare la sua proposta.

Luce capiva, sapeva di aver avanzato richieste egoiste anche se non ne aveva il diritto, e comprendeva anche i dubbi della persona con cui stava contrattando in quel momento.

Tuttavia non aveva intenzione di tirarsi indietro. Non stavolta.

Riprese a parlare, sperando che anche attraverso un telefono tutta la sua determinazione venisse trasmessa all'altra parte.«Allora, che ne dice di un meeting? Credo sia una questione troppo delicata da discutere al telefono... si, porterò anche il migliore dei miei Guardiani... si, sono sicura che andranno d'accordo... si, si! La ringrazio infinitamente! Allora non resta che definire i dettagli... ma certo, porterò anche mia figlia, è una questione delicata per cui... le assicuro che non se ne pentirà! Allora a presto.»

Riagganciando, Luce crollò esausta sulla propria poltrona. Le gambe molli non avevano più retto il suo stesso peso, schiacciate dalla pressione e dall'ansia di quella lunga chiamata che l'aveva tenuta in sospeso.

Per fortuna era finita meglio di quanto non si sarebbe aspettata.

Riprendendo il cellulare tra le mani tremanti -calma Luce, ormai ci siamo- compose velocemente un secondo numero, stringendo l'apparecchio con entrambe le mani tremanti. Non si era ancora ripresa dalla chiamata precedente, ma non poteva aspettare per comunicargli la notizia.

«Chaossu.»

Quando sentì il famigliare saluto dall'altra parte della cornetta, Luce si rilassò. I tremiti cessarono, e l'ansia parve dissolversi al solo sentire la voce di Reborn così vicina a lei nonostante la distanza. Erano passati solo pochi giorni dal loro ultimo incontro, eppure non riusciva a scacciare la sensazione di malinconia che l'accompagnava ogni volta che l'hitman era lontano.

Riacquistando la calma da Boss quale era, Luce spiegò a Reborn i dettagli della conversazione appena tenuta, delle sue intenzioni, e di come -secondo lei- fosse andata la conversazione. A conti fatti però, era abbastanza positiva a riguardo -e non solo perché aveva avuto una visione che sembrava lasciar intendere fosse riuscita nel suo intento.

«Sì, partirò tra due giorni per Padova, Hayato-kun e Aria verranno con me... si, porterò qualche altro uomo, mentre Gennaro gestirà le cose finché sarò via... te l'ho già detto Reborn, non accetterò un no come risposta.» e su questo non aveva ammesso obiezioni.«Inoltre credo sarà un buon metodo per rafforzare l'alleanza tra le Famiglie... ti preoccupi troppo, con Hayato-kun accanto starò bene.»

Luce conosceva bene ogni sfaccettatura di Reborn, ogni caratteristica peculiare, ogni comportamento ed espressione. Per questo non le sfuggì il tono irritato con cui aveva affermato che -non conoscendolo ancora di persona- voleva fare due chiacchiere con questo “Hayato-kun” per accertarsi che fosse davvero così affidabile come lo descriveva.

«Non ti facevo un tipo geloso, mio caro.» e la risposta la fece ridere ancora di più.

Si alzò dalla sedia e posò lo sguardo sul cielo immenso, così vasto da abbracciarli tutti sotto la sua immensa esistenza. Avrebbe voluto essere così vasta anche lei, abbracciare chiunque ne avesse bisogno, essere colei in grado di riportare l'armonia in coloro che l'avevano perduta, in coloro che non avevano mai avuto la possibilità di averla.

Un flash, due occhi marroni -dolci, intensi, così puri da non sembrare quasi reali- illuminati dalla luce arancione delle Fiamme del Cielo le riaffiorarono alla mente, ed un sorriso le sfiorò le labbra. Il ricordo di una visione di cui non credeva avrebbe mai visto la realizzazione.

Capì che non avrebbe mai potuto essere quel tipo di Cielo -non poteva, non era abbastanza grande, non era infinito- ma non le sarebbe dispiaciuto farne parte quando fosse stato il momento.

«Reborn...»

Fu un sussurro a fior di labbra, mentre l'hitman dall'altra parte restava in ascolto. Luce poteva sentire il respiro calmo dell'amato, che lasciava trasparire la sua impazienza. Sorrise. Solo lei avrebbe potuto percepire la differenza, perché solo lei riusciva a vedere oltre il velo che nascondeva le emozioni del killer.

«Io ce la farò.» e la determinazione del Cielo brillò negli occhi azzurri di Luce.

 

***

 

In altre circostanze, Takeshi non si sarebbe mai preso la libertà di sostituire Hayato in quel modo -all'improvviso, di forza, senza essersi prima consultato con il diretto interessato- ma visto la crisi a cui il compagno stava andando incontro, si era visto costretto ad improvvisare.

Tempesta-san non si è ancora ripreso.

Lo aveva informato Chrome dopo qualche ora, e Takeshi l'aveva semplicemente ringraziata, senza aggiungere nulla.

Avevano considerato quella possibilità -avevano speso sulla discussione una notte intera, aveva ancora il mal di testa a pensarci- ma non si erano mai soffermati sull'eventualità che una di queste “crisi” potesse capitare durante il giorno, all'aperto, alla sola vista di un negozio che ricordava vagamente quello in cui Hayato trascinava il Decimo ogni qual volta lo scopriva rintanato nel suo ufficio, da solo, dopo ore di lavoro senza mai una pausa.

Fino a quel momento erano capitate solo di notte, negli incubi che perseguitavano ognuno di loro sin da quando... da quando il Boss li aveva lasciati.

La notte dell'incidente -no, non era stato affatto un incidente, ma Takeshi non voleva soffermarsi su dettagli che avrebbero fatto più male che altro, specie in quel momento- era stata la peggiore che avessero mai passato. Erano rimasti insieme -perfino Kyoya non si era mosso, né aveva cercato di mordere a morte qualcuno per essersi radunati in gruppo- a piangere l'uno tra le braccia dell'altro, nella stanza che una volta era stata di Tsuna.

Nessun cadavere su cui piangere, nessuna bara da seppellire, niente ultime parole da dire. Era stato portato via tutto, e a loro non era rimasto che annegare insieme nell'oscurità senza Cielo.

Dopo quel giorno, nessuno era più riuscito a dormire serenamente. Nessuno era più riuscito a riposare senza la presenza di almeno uno degli altri Guardiani accanto. Erano diventati tutt'uno ancora prima di avere un corpo solo.

«Ti ringrazio per l'aiuto, Hayato-kun!» la voce di Aria lo distolse da quei ricordi lontani -male Takeshi, resta concentrato, non perderti anche tu.

Istintivamente le sorrise, issando meglio tra le braccia le due buste e assicurandosi che la sacca con Shigure Kintoki non gli ricadesse sulla spalla.«Maa maa, non è nulla Aria-chan!»

Avrebbe anche potuto provare ad imitare Hayato -il broncio, i modi, l'avventatezza ed la formalità che usava nel parlare ad un superiore che rispettava- ma non avrebbe potuto funzionare. Hayato era Hayato, Takeshi era Takeshi. Stesso corpo o no, non potevano pretendere di essere l'un l'altro.

Kfufufufu testa a polpo non sarà felice quando tornerà dal suo sonnellino.

Takeshi rise.«Maa maa, probabilmente hai ragione.» sicuramente aveva ragione, ma avrebbe pensato poi ad un modo per calmare Hayato e non farsi uccidere, per quanto potesse morire ora che era solo una Fiamma e nulla più.

Osservò le buste che teneva tra le mani, studiando gli ingredienti contenuti in ognuna di esse: uova, latte, zucchero, cioccolato... tutto il necessario per preparare qualcosa di dolce, una torta probabilmente.«Neh Aria-chan, per caso vuoi preparare un dolce o qualcosa di simile?»

Aria arrossì visibilmente, nascondendo il viso con la busta che stringeva tra le braccia, annuendo meccanicamente alla domanda del ragazzo.«Tra poco è il compleanno della mamma, e pensavo... si insomma... la torta al cioccolato è la sua preferita, quindi io volevo...»

Takeshi le scompigliò i capelli, regalandole un sorriso carico di dolcezza e -fu talmente breve che Aria non era certa di averlo visto- di quella che sembrava amara tristezza. Rimorso forse, la consapevolezza di non poter recuperare il tempo perduto.

«Sono certo che Luce-san sarà felicissima di ricevere una torta da parte tua!»

Poteva ancora ricordare i sorrisi di Tsuyoshi -quanto gli mancava il suo vecchio, chissà come se la passava durante quel tempo?- quelle volte in cui era Takeshi a preparargli il sushi, un evento che il ragazzo conservava soltanto per il compleanno del padre -escluse le volte in cui lavorava al ristorante, ovviamente.

Ogni volta che Takeshi gli presentava davanti i suoi piatti -le classiche ricette e i nuovi esperimenti che a volte venivano addirittura aggiunti al menù del TakeSushi- Tsuyoshi quasi piangeva per la gioia, mangiando fino all'ultimo boccone anche quando era evidente che non riuscisse più ad ingerire nulla. Tutto pur di soddisfare gli sforzi ed il lavoro del figlio.

Aria lo guardò, gli occhi illuminati di speranza.«Lo credi davvero?»

Takeshi sorrise ancora.«Certo! Se hai bisogno di una mano chiedi pure, non me la cavo affatto male in cucina!» non più, non dopo che il bimbo li aveva sottoposti tutti ad un corso intensivo di cucina per coprire casi speciali in cui avrebbero dovuto arrangiarsi per i pasti.

Con l'umore alle stelle ripresero la loro camminata verso il luogo in cui avevano lasciato la limousine ad aspettare -Aria aveva voluto andare a piedi, per respirare aria fresca e non attirare troppo l'attenzione dei civili- caricarono le loro borse e lasciarono che l'autista facesse strada tra le vie percorribili di Venezia, mentre Aria chiacchierava con Takeshi e gli chiedeva consigli, sull'esecuzione e sulla presentazione della torta.

Era incredibilmente normale e divertente, Takeshi si ritrovò ad apprezzare quel momento di serenità.

Aria aveva spostato lo sguardo fuori dal finestrino solo per un attimo -cosa sarebbe successo se non lo avesse fatto? Preferiva non pensare all'eventualità- dilatando leggermente lo sguardo come se si fosse appena materializzato davanti a lei un fantasma.

«Antonio, ferma la macchina per favore!» una frenata brusca, il suono delle ruote che sfrigolavano sull'asfalto, in un attimo arano fermi al bordo della strada.

Aprendo la portella dell'auto, Aria si gettò all'esterno ancora prima che Takeshi potesse fermarla, correndo verso una delle stradine che si erano lasciati indietro poco prima.

Yare yare, questa bambina è completamente pazza! Me la sono quasi fatta addosso!

«Maa maa mi chiedo cosa le sia preso all'improvviso.»

Afferrò Shigure Kintoki con la mano destra, lanciandosi all'inseguimento della giovane quanto più velocemente possibile, tracciando per quel che poteva il sentiero lasciato dalle Fiamme del Cielo che Aria rilasciava inconsciamente. Non era raro per i bambini -durante la sua vita precedente ne aveva conosciuti tanti così, i bersagli preferiti della mafia, bambini il cui potere della Volontà era così forte addirittura da lasciare una traccia al loro passaggio- e non era sempre una buona cosa.

Lanciò una veloce occhiata ai muri attorno a lui, abbandonando il sorriso che solitamente lo caratterizzava. C'erano graffiti -troppi per essere una sola Famiglia, forse piccoli gruppi in lotta tra loro- un chiaro marchio che reclamava il diritto ad un territorio e, di conseguenza, di tutti coloro che vi abitavano.

Male, molto male.

Corse ancora -più veloce, più veloce, doveva correre, fare in tempo, non poteva fallire ancora- riuscendo a raggiungere Aria prima che entrasse in un vicolo cieco, nascondendosi dietro un muro e attirandola a sé, sorridendole quando l'avvolse tremante nelle proprie braccia.

«H-Hayato-san...»

«Non dovresti scappare così Aria-chan, mi hai fatto prendere un colpo!» era comunque felice di averla raggiunta in tempo.

Gli occhi azzurri della bambina erano dilatati -spaventati, terrorizzati, imploranti- una tacita richiesta di aiuto che però Takeshi non riusciva a comprendere.

«D-Devi aiutarli Hayato-san! Li ho visti, sono qui! Se non li aiutiamo, loro gli faranno...»

Delle voci la interruppero, causandole un lungo brivido lungo la schiena. Erano voci profonde, voci sconosciute -spaventose, cavernose, pericolose- e istintivamente Aria si schiacciò ancora di più contro Takeshi, in cerca di conforto e sicurezza. Li trovò quando fresche Fiamme della Pioggia l'avvolsero, calmando il respiro e stabilizzando il suo cuore impazzito. All'improvviso era in pace.

Takeshi invece era pensieroso. Una strana sensazione gli scivolava lungo la schiena, mentre la presenza di Fiamme a lui note si faceva largo tra il gruppo di mafiosi che occupavano il vicolo in cui Aria stava per entrare.

Era strano. Sentiva di conoscere qualcuno in quel gruppo -nessuna delle facce lì presenti gli era vagamente familiare, eppure la costante presenza di quelle Fiamme note gli faceva presagire il contrario- ma non ricordava chi o dove potesse aver incontrato.

«Voooooi! Schifosa feccia! Lasciateci andare, o vi ucciderò tutti bastardi!»

Sobbalzò. Quella voce... No, non poteva essere... o si?

Fece segno ad Aria di non fiatare, sporgendosi appena oltre il muro per analizzare il gruppetto di mafiosi che si era radunato vicino ad un canale abbandonato, in un vicolo ancora più sconosciuto.

Estese appena le sue Fiamme -piano, con calma, impercettibili a persone di quel livello- fino a scontrarsi con un'onda impetuosa di Fiamme della Pioggia che conosceva bene. Erano Fiamme violente e furiose, che ruggivano e annegavano con forza, impossibili da confondere con qualsiasi altra.

Questo è un estremo problema!

«Maa maa hai proprio ragione Sempai...»

Quando uno degli uomini -quindici... no, almeno venti- si spostò appena sulla destra, Takeshi riuscì finalmente a vedere Squalo che affrontava uno dei mafiosi con la propria spada, difendendo un Dino inerme e spaventato, stretto dietro l'altro bambino in un disperato tentativo di darsi forza.

Anche da quella distanza, Takeshi poteva vedere i tremiti di paura del giovane Cavallone, mentre sussurrava qualcosa come “non voglio essere un mafioso, la mafia fa paura!”, ma di questo non ne era certo. La sua voce sottile era coperta dalle disgustose risate dei loro assalitori, e dalle urla di Squalo che minacciava di uccidere chiunque provasse ad avvicinarsi.

Nonostante la gravità evidente della situazione, Takeshi non poté evitare di sorridere nostalgico: in qualunque tempo andasse, Squalo non cambiava mai, il che era quasi una consolazione.

Sei così smielato che potrei vomitare.

Takeshi rise.«Non hai proprio peli sulla lingua, Mukuro.»

Un grido più acuto riportò la sua attenzione nel vicolo, dove uno degli uomini aveva colpito Squalo in viso, dopo che il bambino aveva ferito un paio dei suoi scagnozzi con la spada.

Sopprimendo un ringhiò, Takeshi si voltò sorridendo verso Aria -un sorriso strano, tetro, che prometteva morte e sofferenza a chiunque decidesse di mettersi sulla sua strada- avvisandola di nascondersi e di lasciare che fosse lui ad occuparsi della faccenda.

Incerta e preoccupata, alla fine annuì e rimase dietro il muro in silenzio, osservando mentre il giovane s'incamminava nel vicolo, senza mai perdere il sorriso. Un sorriso che Aria non avrebbe più voluto vedere su quel viso.

Perché colui-che-non-era-Hayato era un uomo buono, e quel sorriso non gli si addiceva per nulla.
 

***

 

Sputando sangue ai piedi di quegli stronzi che li avevano attaccati, Squalo ringhiò verso il grassone che lo aveva colpito, pulendosi il sangue all'angolo della bocca e tastando il terreno in cerca della spada che uno di quegli stronzi gli aveva rubato.

Distolse lo sguardo solo un istante -mai perdere di vista il nemico, se no riesci a prevedere le sue mosse sei morto- e ringhiò quando si rese conto che la spada era troppo lontano per poterla raggiungere, sul ciglio del canale, oltre quei venti energumeni che li guardavano viscidi, come se avessero trovato un qualcosa di incredibile valore.

Lo disgustavano quegli sguardi, se solo avesse avuto la sua spada avrebbe cavato gli occhi a tutti, invece era stato disarmato dopo aver colpito soltanto due uomini, nemmeno troppo gravemente per di più.

Quando si allenava con gli altri bambini dei Vongola, Squalo era certo di essere il più forte ed il più dotato, non c'era nessuno che potesse tenergli testa, inoltre era uno dei pochi ad aver già attivato le proprie Fiamme, riuscendo ad intorpidire i sensi dei suoi avversari poco prima di sferrare un attacco.

Non c'era dubbio che sul campo di addestramento, Squalo fosse il migliore. Sfortunatamente, ora erano nel mondo esterno, contro mafiosi avversari in carne ed ossa, costretti ad affrontare la dura e cruda realtà dei fatti.

«Smettila di sopravvalutarti, sei solo un ragazzino. Non dureresti due minuti contro dei veri mafiosi.»

Non aveva mai creduto davvero ai rimproveri di Visconti -il Guardiano della Nuvola del Nono, colui che addestrava le nuove reclute assieme a Coyote- dopotutto lui era un prodigio, come si permetteva di sottovalutarlo, quel vecchio maledetto?

Ora invece, in quella situazione critica in cui si era cacciato -trascinando con sé anche Dino- le parole di Visconti avevano senso.

Era solo un bambino dopotutto, Fiamme o meno, niente poteva competere con l'esperienza sul campo, e se avesse studiato con più attenzione gli attributi della Volontà, forse non sarebbero stati in grado di neutralizzare le sue Fiamme di Pioggia così facilmente.

«Fafafafafa, sembra che abbiamo catturato due prede interessanti!»

La presa di Dino si faceva sempre più forte sulla sua mano, mentre gli si stringeva sempre più addosso cercando di nascondere i tremiti di paura che gli scuotevano il corpo.

Squalo si morse il labbro inferiore a sangue, sputando di nuovo contro il tizio che sembrava il capo di tutti quegli stronzi.«Fottiti! Non sono la preda di nessuno, mi hai capito?! Vooooooi!»

Un calcio in pieno petto gli mozzò il fiato, scagliandolo contro il muro del vicolo. Sbattendo la testa contro la parete in pietra, Squalo per un istante non vide altro che nero, mentre il dolore iniziava a pervadergli tutto il corpo. Faceva male, cazzo se faceva male.

Urlò, stringendosi le mani sullo stomaco e reprimendo un secondo urlo, rifiutandosi di dare ancora più soddisfazione ai loro assalitori.

«SQUALO!»

Dino gli fu accanto in un secondo. Era talmente spaventato che prima di arrivare da lui era caduto almeno due volte, sbucciandosi le ginocchia e scoppiando in un pianto isterico che aveva cercato di trattenere fino a quel momento.

Nonostante la botta, con l'aiuto del giovane Cavallone -una volta che fu nuovamente in grado di vedere abbastanza bene- Squalo riuscì a mettersi seduto, incenerendo con lo sguardo il grassone che, sogghignando, lo guardava dall'alto al basso.

Era così... frustrante, non essere in grado di fare nulla.

Se solo fosse stato più grande...

Se solo fosse stato più forte...

Se solo fosse stato più abile...

Fanculo. Lui era Squalo, era forte, abile e presto avrebbe sconfitto anche il grande Tyr, reclamando per sé il titolo di “Imperatore della Spada”. Non si sarebbe fatto uccidere dalla feccia della mafia, era inaccettabile.

«Maa maa sembra ci sia una festa qui, vi dispiace se mi unisco?»

Corti e spettinati capelli biondi, vestito in giacca e cravatta con una spada di bambù poggiata sulla spalla, la mano sinistra invece lasciata libera lungo il fianco, questo era l'aspetto del giovane uomo che aveva appena fatto il suo ingresso nel vicolo, sorprendendo tutti quanti. Sorrideva, ma per qualche ragione quell'espressione fece gelare il sangue nelle vene di Squalo.

Sembrava quasi che le sue Fiamme lo stessero avvisando di non lasciarsi ingannare, di fare attenzione perché il giovane appena comparso davanti a loro era molto peggio dei tizi che lo circondavano. Per qualche ragione, Squalo credette al suo istinto.

«S-Squalo... q-quello n-non è...» fu ciò che Dino riuscì a sussurrare tra un singhiozzo e l'altro, ma fu abbastanza affinché Squalo capisse.

Era lo stesso uomo che aveva colpito fuori scuola, il biondino che l'aveva guardato come se avesse davanti un fantasma. Quello era di sicuro un mafioso, ormai non aveva più dubbi.

Sembrava però che i nemici bastardi non l'avessero capito -troppo stupidi forse per percepire la forza dell'avversario- limitandosi semplicemente a scoccargli sguardi taglienti, seccati, impazienti di ammazzare chiunque avesse osato interromperli.

«Ohi pezzo di merda, come hai osato interromperci?!»

«Ahahahah vi chiedo scusa! Sembravate divertirvi un sacco e volevo unirmi a voi!»

Squalo trattenne l'impulso di gridare. Quanto poteva essere idiota e fastidioso quel maledetto biondino?!

Il leader grassone si fece largo tra i suoi uomini, una pistola tra le mani rubata ad uno dei compari, puntandola dritta alla fronte dell'intruso.«Ora ti faccio un bel buco in testa, vediamo se avrai ancora voglia di ridere poi!»

Il giovane lanciò uno sguardo confuso all'arma, per poi spostarlo dubbioso sul grassone davanti a lui. Aveva abbassato la spada, lasciandola ciondolare lungo il fianco.

«Sai, non dovresti giocare con armi così pericolose.» un unico movimento, fluido, netto, il tonfo di qualcosa che si schianta al suolo, il sorriso coperto da un'espressione furiosa.«Rischi di farti male, se non sai usarle.»

Non ci furono grida, non subito almeno, ci vollero diversi secondi prima che il leader grassone si accorgesse di sanguinare, qualche minuto prima che notasse la sua mano stesa a terra -la pistola ancora stretta tra le dita immobili- mozzata dal polso con un taglio talmente netto e pulito da non sembrare reale.

«Ah... ha... ah...» e allora urlò.

Un urlo talmente forte e straziante da pietrificare i suoi stessi uomini. Crollò sulle ginocchia, poi si rotolò a terra in preda alla disperazione e al dolore, sotto lo sguardo attonito degli altri mafiosi, ora gelati dalla paura e dalla sorpresa.

Squalo e Dino osservavano immobili il giovane pulire la lama con un gesto secco, riportandola sulla spalla e sorridendo agli avversari spensieratamente, come se avesse la certezza che tra lui e loro ci fosse un abisso talmente incolmabile da non rappresentare alcuna minaccia.

L'arma di bambù che stringeva tra le dita poco prima era sparita, lasciando posto ad una lucente katana giapponese di splendida fattura, una lama talmente brillante da riflettere la luce stessa del sole.

«Maa maa non mi piace uccidere, il mio Boss non sarebbe contento se lo facessi.» sembrava combattuto, eppure non esitò ad incenerire con lo sguardo ognuno degli assalitori.«Tuttavia né io né lui possiamo perdonare chiunque tenti di assalire dei bambini. Preparatevi, è la vostra fine.»

Dino tremava ancora, mentre Squalo non riusciva a distogliere lo sguardo dalla danza che lo spadaccino stava eseguendo, tranciando di netto chiunque tentasse di opporsi, senza risparmiare nemmeno coloro che azzardavano la fuga.

Era semplicemente... stupefacente.

Squalo conosceva tanti stili diversi di spada -era la sua vita, la sua specialità, conoscerne quanto più possibile non era solo un dovere, era il suo orgoglio- e poteva dire con certezza che quello spadaccino non ne stava usando nessuno in particolare. Erano avversari patetici -inutile feccia indegna- che non meritava nemmeno di essere sterminata con vere tecniche di spada.

Nella leggiadra figura di quello spadaccino -elegante, ma gentile, eppure furioso come la più violenta delle Piogge- Squalo vide tutto ciò a cui ambiva, l'uomo, lo spadaccino che desiderava diventare un giorno.

Sistemò l'ultimo dei mafiosi evitando una coltellata alle spalle -un ultimo disperato tentativo da codardo per uscirne vivo- eseguendo un salto all'indietro e ripagandolo con la stessa moneta, tranciandogli il busto di netto dalla schiena.

Una volta finito ripulì la lama, che in un flebile fascio di luce si trasformò di nuovo in una spada di bambù. Si passò una mano sul viso, pulendo l'unico schizzo di sangue che l'aveva sfiorato, mentre i vestiti erano incredibilmente rimasti immacolati.

«Maa maa, per lo meno il completo è salvo. Hayato mi avrebbe ucciso se l'avessi sporcato di sangue.» lo sentirono dire all'improvviso.«Ahahahah non volevo causare tanto trambusto, ti prego di non mordermi a morte!»

Si voltò a guardarli, grattandosi la nuca a disagio, come a volersi scusare per la violenza a cui li aveva appena fatti assistere, sorridendo dolcemente mentre gli si avvicinava.

Ancor prima di capirlo, Squalo si ritrovò abbracciato da tiepide e gentili Fiamme della Pioggia che cercavano di rilassarlo, di calmarlo ed eliminare il dolore che le ferite gli causavano, mentre una luce gialla e altrettanto piacevole fuoriusciva da uno dei tanti anelli che l'uomo indossava.

«Non sono bravo come il Sempai con le Fiamme del Sole, ma dovrei essere in grado di limitare i danni.» confidò, lasciando che le gialle Fiamme del Sole gli avvolgessero le ferite, mentre con quelle della Pioggia sedava il dolore il tempo necessario affinché le ferite si rimarginassero e sparissero del tutto.

«H-Hayato-kun? Va tutto bene?» una seconda voce, lontana, probabilmente nascosta fuori dal vicolo, risuonò verso di loro, preoccupata ed ansiosa.

L'uomo sorrise, rispondendo senza staccarsi dal corpo ferito di Squalo.«Tutto bene Aria-chan, ma resta dove sei per favore! C'è stato un piccolo... incidente, ahahahahah.»

Squalo alzò un sopracciglio. Col cavolo che era un “incidente”.

Quel casino l'aveva fatto di proposito, e per quanto ad altri poteva sembrare terribile e disumano, per Squalo era stato un combattimento pieno di rivelazioni. Inoltre quella feccia se l'era meritato, anche se quello strano biondino non li avesse salvati, una volta saputo del rapimento di Dino, i Cavallone avrebbero raso al suolo chiunque avesse osato mettere le mani addosso al loro erede.

Dino poteva anche essere un codardo e debole frignone, ma la sua Famiglia lo adorava.

Ci vollero almeno dieci minuti di trattamento -diavolo, prima anche solo respirare faceva malissimo, muoversi era l'inferno- ma quando ebbe finito Squalo era di nuovo in piedi, quasi come nuovo. Qualche graffio era rimasto aperto, una o due contusioni non erano sparite del tutto, ma nel complesso stava bene.

«Mi spiace, più di così non posso fare. Purtroppo non sono molto bravo con le altre Fiamme.» rise di nuovo, e per qualche ragione quella risata irritò Squalo. Ammirava quel tipo -l'aveva ammesso davvero? Diavolo, l'inferno stava probabilmente gelando- ma c'era qualcosa di estremamente fastidioso nel modo in cui parlava e rideva che lo facevano incazzare senza motivo apparente.

Tuttavia non sarebbe stata un po' di irritazione a fermarlo.

Lo vide estrarre il cellulare e comporre velocemente un numero prima di posarselo sull'orecchio. «Ah! Gennaro-san? Qui è Ta... ehm, Hayato. Al momento sono in città con Aria, c'è stato un problema e ho... diciamo, terminato alcuni mafiosi.»

«Ma sei impazzito?!» fu un urlo talmente forte che oltrepassò il volume del telefono, e perfino Squalo e Dino furono in grado di udirlo.

«Ahahahahah mi dispiac.... eh? Sisi, la signorina sta bene! È solo che, come dire, ho dipinto le pareti di rosso e... ahahahah sono davvero spiacente! Ah manderai qualcuno? Ti ringrazio molto Gennaro-san! Allora noi riportiamo i due bimbi all'istituto e poi torniamo! A dopo!» e richiuse il telefono ancora prima che questo “Gennaro” potesse replicare in alcun modo, tornando a concentrarsi su di loro.

«Forza, è il momento di riportarvi a casa!» facendo cenno di seguirlo, Dino mosse incerto i primi passi verso il loro salvatore, mentre Squalo non si mosse.

Continuava a fissare la schiena di Hayato con insistenza, come a volerlo trapassare da parte a parte fino a scoprirne i più reconditi segreti. Alla fine decise.

«Voooooi, feccia bionda!» gridò, arrestando la camminata di Hayato e costringendolo a voltarsi.«Sei forte, per essere una feccia! Voglio che mi insegni!»

Lo vide strabuzzare gli occhi, aprirli e richiuderli velocemente diverse volte, stupito e -probabilmente- divertito dalla richiesta del bambino.«Eh?» fu tutto ciò che rispose.

«Mi hai sentito bene, feccia!» gridò ancora, un ghigno preoccupante stampato in volto.«Voglio che mi insegni la tua tecnica di spada! Voooooooi d'ora in poi sarò tuo allievo, prenditi cura di me, stupido biondino!»

Ed era una proposta che non accettava un “no” come risposta.

 


 

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Capitolo 5
*** Target 5- Vongola ***


N.d.A.- Chaossu! In ritardo di una vita, finalmente sono riuscita a passare il blocco dello scrittore che mi impediva di finire il capitolo xD
Spero che la pazienza sia stata ripagata, e che il capitolo vi soddisfi abbastanza da farvi dimenticare il mio enorme ritardo!
Da qui inizierà un arco importante, che porterà la storia a raggiungere il punto per cui è stata creata (perchè no, tutta questa prima parte non era nel progetto iniziale, quello non è ancora nemmeno stato introdotto).
Spero vi piaccia!
Grazie a tutti
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Era davvero bellissima Padova.

Più la macchina si inoltrava all'interno della città -verso il centro, sempre più affondo tra i palazzi ed i giardini che la componevano- più si potevano ammirare gli spettacolari residui di storia su cui era stata fondata, perfettamente amalgamati al paesaggio naturale e alle nuove strutture che si stavano innalzando qua e là per le vie del centro.

Attraversando velocemente le strade -senza potersi fermare ad ammirare con più attenzione il paesaggio circostante- si riusciva comunque a percepire la storia che correva per le vie di Padova, mozzando il fiato per le sorprese che nascondeva dietro ogni angolo, sfociando nello stupore quando l'enorme piazza di Prato della Valle si apriva davanti agli occhi dei turisti ignari, in tutto il suo splendore. Chiunque ne sarebbe rimasto incantato.

Chiunque tranne Hayato.

Si agitava sul sedile senza controllo, incapace di trovare una posizione confortevole in cui trascorrere il viaggio, talmente assorto nei propri pensieri da non accorgersi degli sguardi preoccupati che Luce gli lanciava di tanto in tanto.

Rilassati testa di polipo! Goditi l'estremo viaggio piuttosto!

Un grugnito gli sfuggì dalle labbra, la rabbia ancora percepibile attraverso gli sprazzi di Fiamme della Tempesta che non riusciva a controllare -anche dopo anni di pratica, controllare le proprie Fiamme in preda a forti emozioni restava un'ardua impresa.

«Di chi pensi sia la colpa se non riesco a rilassarmi?!» ringhiò a denti stretti, cercando di non disturbare Aria, addormentata con la testa appoggiata sulle gambe della madre.

Da quel giorno -quel maledetto, fottutissimo giorno- in cui Takeshi si era ritrovato costretto a prendere il controllo del suo corpo, Hayato non aveva avuto un singolo attimo di pace.

Non riusciva più a muovere un singolo passo senza ritrovarsi tra i piedi Squalo e Dino, che sfruttavano ogni occasione per cercare di convincerlo ad allenarli.

E per convincerlo, intendeva costringerlo.

Non importa quante volte rifiutasse, quante volte minacciasse di farli saltare in aria se non sparivano, loro tornavano sempre, più testardi e determinati di prima a farsi insegnare le tecniche di spada con cui Takeshi li aveva salvati.

Più precisamente, Squalo voleva essere allenato, Dino era una semplice conseguenza.

E nonostante Takeshi non avesse usato vere e proprie tecniche -per dei mafiosi di così basso livello non era stato necessario usare lo Shiguren Soen Ryu, per certi vermi sarebbe stato uno smacco nei loro confronti e in quelli del Boss- Squalo doveva aver intuito che c'era di più, che quella persona era uno spadaccino capace e da cui avrebbe potuto imparare qualcosa.

Kfufufu chi avrebbe mai detto che il Comandate Strategico dei Varia avrebbe volontariamente chiesto a Yamamoto Takeshi di fargli da tutor?

Già, chi l'avrebbe mai creduto? Hayato avrebbe quasi potuto ridere di quella situazione, se non fosse che era lui in prima persona la vittima dello stalking di questo Squalo in miniatura, probabilmente avrebbe davvero potuto farsi una bella risata.

E sfortunatamente -come se la vita non avesse già giocato abbastanza con tutti loro- i continui pedinamenti di Squalo e Dino non erano ciò che più rendeva irrequieto il Guardiano della Tempesta. Sarebbe stato troppo semplice se il suo più grande problema fossero stati gli approcci continui e inaspettati di due mocciosi con cui voleva avere meno contatti possibili.

«Hayato-kun.»

Fermando l'ondeggiare frenetico e nervoso della gamba destra, Hayato si ricompose al richiamo di Luce, sentendosi avvolgere dalla piacevole sensazione di pure Fiamme del Cielo che si aggrappavano alle sue come a volerlo confortare. Una sensazione piacevole a cui rispose quasi inconsciamente, lasciando che le Fiamme della Tempesta si lasciassero placare da quelle del Cielo -del suo Cielo, anche se non era il Cielo da cui desiderava lasciarsi abbracciare.

«Va tutto bene? È da qualche giorno che ti sento... nervoso. È successo qualcosa?»

Da ciò che gli avevano riferito -quando si era risvegliato dalla crisi, quasi un giorno dopo- Luce era a conoscenza solo della giornata di spese con Aria e la conseguente motivazione dietro al massacro provocato di Takeshi. Sul perché la Pioggia avesse sostituito la Tempesta era stato invece mantenuto il silenzio.

Abbiamo pensato fosse giusto lasciar decidere a te se parlarle o no.

Era stata la giustificazione di Chrome a nome di tutti, e -anche senza esprimerlo ad alta voce- Hayato era stato grato della loro considerazione.

Probabilmente Luce aveva già intuito che qualcosa turbava il suo Guardiano, ma preferiva attendere che fosse lui ad aprirsi. Hayato l'aveva apprezzato -tutti loro l'avevano fatto, non avrebbero mai potuto ringraziarla abbastanza per tutto ciò che aveva fatto e continuava a fare- ma forse era giunto il momento di metterla al corrente della situazione.

Prendendo un profondo respiro Hayato intrecciò le dita tra di loro, fissando il tappetino dell'auto come fosse improvvisamente diventato la cosa più interessante che avesse mai visto.

Controllò velocemente che il finestrino tra loro e l'autista fosse chiuso, e quando fu sicuro che nessuno potesse origliare, decise finalmente di parlare.

«In effetti, qualcosa c'è, Luce-sama.»

Le raccontò tutto.

Ciò che era successo, delle crisi che colpivano ognuno di loro, delle notti passate gli uni tra le braccia degli altri, cercando di non lasciare che i ricordi lo trascinassero di nuovo nell'abisso oscuro in cui si era lasciato cadere già una volta -respira Hayato, non lasciarti coinvolgere dai fantasmi del passato- fino a confessarle ciò che era accaduto mentre girava per Venezia con Aria.

Osservò ogni movimento di Luce -sembrava calma, silenziosa, ascoltava ogni parola senza mai interromperlo- mentre accarezzava con dolcezza i lunghi capelli di Aria, sempre addormentata.

Il piccolo Cosmo stretto tra le mani della bambina, anche lui perso nel mondo dei sogni.

Vide il corpo di Luce sussultare un paio di volte, senza però mostrare alcun cambiamento nella sua espressione, nessun giudizio prevenuto, nessun commento inappropriato. Semplicemente lasciò che parlasse, ascoltando il loro dolore e lasciando che il suo Cielo gli portasse il sollievo di cui Hayato aveva disperatamente bisogno -proprio come avrebbe fatto il suo Boss- per non cadere preda degli incubi.

Parlò dei dubbi che li assillavano, dei ricordi perduti che non riuscivano a recuperare, della frustrazione di non sapere cosa fare per proteggere la persona a loro più importante. Quando ebbe finito si sentì incredibilmente leggero -il petto faceva meno male, la pressante oscurità che gli avvolgeva il cuore sembrava essersi schiarita- libero da un peso asfissiante che gli toglieva il fiato.

Luce non disse nulla. Testa bassa, mani ferme, nessun segno che lasciasse trasparire il minimo pensiero, la minima emozione che stava provando in quel momento. Quando rialzò il capo sorrise radiosa -gli angoli degli occhi leggermente umidi- avvolgendo il Guardiano nell'abbraccio delle proprie Fiamme, un calore ed una dolcezza che solo una madre sapeva dare.

«Grazie.» fu tutto ciò che disse.

Hayato le sorrise, ringraziandola a sua volta per averlo ascoltato -per aver ascoltato ciò che nel profondo turbava tutti loro- e per averli accettati nonostante l'enorme fardello che comportava averli attorno. Non le sarebbero mai stati grati abbastanza.

Con l'aria meno tesa tra loro, chiacchierarono tranquillamente come Boss e Guardiano, delle nuove alleanze e di come poter portare la Famiglia ancora più in alto, a come renderla più prospera di quanto già non fosse.

Inevitabilmente, il discorso finì per vertere sull'incontro imminente, di cui Hayato aveva disperatamente cercato di dimenticarsi.

Non tanto per il motivo primo per cui stavano andando all'incontro -era abbastanza sicuro della loro riuscita, Luce sapeva essere molto convincente quando voleva- quanto per il secondo argomento che avrebbero portato all'attenzione durante quella conferenza.

Cercava di dimenticare la visita a sorpresa del giorno prima, e della conseguenza che avrebbe portato una volta che l'avrebbe esposta a Reborn. Sperò di non ricevere un proiettile in fronte con l'unica colpa di aver fatto da messaggere.

Soltanto una cosa gli sfuggiva, una dimenticanza che non si perdonava, ma visti i giorni duri che Squalo e Dino gli avevano fatto passare si sentì di giustificarsi.

«Hm? Non ricordi? Stiamo andando ad incontrare il Boss dei Vongola.» spiegò Luce tranquilla.

Per attimi infiniti Hayato non disse nulla. «... Come?»

Luce sorrise come se nulla fosse -certo non doveva essersi accorta dell'effetto che le sue parole avevano avuto sul giovane- mentre la macchina si fermava davanti ad un grande palazzo poco distante dal centro della città.

«L'incontro di oggi è con il Nono Boss dei Vongola, Timoteo di Vongola e con il suo neo-Boss CEDEF, Iemitsu Sawada.»
 

***
 

Nervosamente, Iemitsu si allentò la cravatta attorno al collo, spostando il peso da una gamba all'altra, in un moto compulsivo incontrollato. Più cercava di rilassarsi, più si sentiva nervoso.

Da poco tempo aveva preso il posto del precedente Boss CEDEF -il cuore faceva ancora male al pensiero, ma doveva resistere, essere forte anche per gli altri membri della consulenza esterna- e quello a cui stava per partecipare era il suo primo vero incontro con un altro Boss.

Non era la prima volta che incontrava Luce Giglio Nero, aveva anche partecipato all'evento di sei mesi prima, assistendo al miracolo del rilascio della maledizione degli Arcobaleno -il Nono aveva pensato fosse una buona occasione per presentarlo agli alleati, prima di prendere a tutti gli effetti il titolo di Boss CEDEF- ma era di certo la prima volta che aveva il piacere di conoscerla in sede privata.

«Nervoso, Iemitsu?» Enrico lo canzonò, scompigliandogli i capelli biondi, come se già non fossero abbastanza difficile tenerli in ordine.

«Un po'.» ammise, sistemandosi e scansando la mano di Enrico con un gomito, ridacchiando.«Questo è il mio primo incontro, mi sento piuttosto teso.»

Enrico era il più grande dei figli di Timoteo, il fratello maggiore che non aveva mai avuto, capace di rasserenare con il suo solo sorriso anche il più turbolento dei cuori. Un vero Cielo -così ampio, accogliente, caldo- di quelli rari e potenti, il più promettente tra i figli di Timoteo. L'unico vero erede a cui Iemitsu avrebbe mai potuto giurare fedeltà nel momento in cui Nono avesse deciso di ritirarsi.

Riconosceva il potere dei Vongola anche in Massimo e Federico, ma nessuno di loro aveva ciò che serviva per essere un Boss degno di tale nome: Enrico, al contrario, era l'erede perfetto.

«Distendi i nervi, concentrati su un pensiero e fai respiri profondi.» furono le parole di Enrico, accompagnate dal classico gesto che caratterizzava il loro rapporto dal giorno in cui Iemitsu era stato portato a villa Vongola la prima volta: un colpetto sulla fronte, gentile ma deciso, abbastanza da sciogliere i nodi di tensione che impedivano al neo-Boss CEDEF di respira regolarmente.«Puoi farcela Tsu, sarai fantastico.»

Iemitsu gli sorrise, apprezzando le parole d'incoraggiamento che Enrico gli stava donando, sollevato di non dover affrontare il suo primo incontro ufficiale senza averlo al proprio fianco.

«I nostri ospiti sono arrivati.»

Il ticchettio del bastone sul pavimento in parquet preannunciò l'arrivo di Timoteo, che si affiancò ai suoi due figli con un sorriso bonario in volto -non importava ciò che dicevano gli altri, non era il sangue a fare di Iemitsu suo figlio, ma l'affetto che provava nei suoi confronti non era inferiore a ciò che provava per Enrico, Massimo e Federico- interrompendo la loro conversazione.

«Forza, è ora di andare ad accoglierli.»

Non avrebbero conversato nell'ufficio del Boss, bensì in una stanza appartata nell'ala Est della villa, lontano da occhi e orecchie indiscreti, seduti su due comodi divani davanti ad una tazza di buon caffè.

Vongola e Giglio Nero erano buoni amici, alleati sin dalla fondazione, nessuno dei due Boss credeva nella necessità di condurre una conversazione con toni rigidi e formali.

Percorrendo il lungo corridoio che separava lo studio di Timoteo dalla sala in cui Luce li aspettava, Iemitsu sentiva il cuore salirgli in gola, l'ansia tendergli i muscoli, incapace all'improvviso di respirare -com'è che si faceva? Aveva scordato come farlo nel modo giusto- e di nuovo preda dell'ansia.

Lanciò un'occhiata veloce ad Enrico -camminava al suo fianco, leggermente più avanti ma sempre un passo dietro al Nono, dietro di loro Coyote e gli altri Guardiani erano tutti riuniti- ricordandosi cosa gli era stato detto solo poco prima.

“Calma Iemitsu, devi stare calmo.”

Concentrò la sua mente su un singolo pensiero, il sorriso della sua dolce Nakano-chan che lo stava aspettando -quanto mancava prima di poterla finalmente rivedere? Troppo, doveva tornare da lei prima possibile- e d'improvviso tutto lo stress sembrò scomparire. Tutte le preoccupazioni non erano più importanti, la sola immagine di Nakano-chan spazzava via ogni dubbio e incertezza dal suo cuore.

«Buona fortuna Sawada-kun!» era stato il suo saluto, il giorno in cui le aveva detto arrivederci.«Fai del tuo meglio in Italia! Aspetterò con ansia il tuo ritorno!»

Sorrise, scrivendo i kanji del nome di Nakano sulla mano e fingendo di ingoiarli, come a darsi coraggio, pensando alla presenza della dolce Nakano-chan proprio accanto a lui.

“Stai a vedere Nakano-chan, ti renderò orgogliosa di me.”

E quando finalmente sarebbe stato pronto, avrebbe potuto tornare da lei e sposarla. Non c'era ragione migliore per scacciare via ogni dubbio e paura.

 

***

 

Hayato teneva stretta Chrome tra le braccia quando Iemitsu entrò nella stanza, provato come lo erano tutti loro -i capelli spettinati e gli occhi rossi, probabilmente aveva appena finito di piangere, di nuovo- adagiandosi di malagrazia sul pavimento e bagnandosi le labbra con la bottiglia di pregiato vino rosso italiano che Tsuna aveva fatto importare appositamente per i suoi genitori, per festeggiare il lieto evento che di lì a poco avrebbe loro comunicato -non aveva nemmeno fatto in tempo ad avvertirli, non una chiamata o un messaggio, tutto era svanito in un solo istante.

Puzzava di alcol e sudore, probabilmente erano giorni -da quel giorno- che non faceva una doccia, ma Hayato non si sentiva di biasimarlo. Le occhiaie profonde che gli scavavano gli occhi un tempo brillanti -ora spenti, morti assieme a quel figlio che si pentiva di aver coinvolto in un mondo crudele e sporco che non lo meritava- marcavano l'insonnia che in quei giorni era la compagna di molti, lì alla base.

«Come sta?»

Scostando alcune ciocche viola dal viso addormentato di Chrome, Hayato le asciugò una lacrima solitaria -l'ennesima, non la prima, non l'ultima- scorgendo l'espressione contrita della compagna, addormentata in un sonno senza sogni.

«Stanca, affaticata, sono giorni che non riesce a riposare bene.»

Nessuno ci riusciva più, specie loro che mancavano di un Cielo che li avvolgesse e li riscaldasse -era calato un inverno eterno sui loro cuori, freddo, glaciale, infinito.

«Gli altri?»

«Sasagawa è con la Scemucca, mentre Yamamoto con Hibari e Rokudo a prendere una... boccata d'aria.»

Hayato sapeva che Iemitsu aveva colto quel che voleva intendere, che la “boccata d'aria” nascondeva più significati di quanto non apparisse.

Avrebbe voluto uscire anche lui, usare la sua dinamite e far esplodere fino all'ultimo dei loro nemici, catturarli e torturarli fino a quando non avessero confessato dove quello stronzo del loro Boss si fosse nascosto.

L'unico motivo che l'aveva trattenuto -no, non gliene fregava un cazzo della stanchezza e delle notti insonni, la rabbia che provava era sufficiente a dargli abbastanza energia per combattere senza sosta- erano stato il pensiero di Chrome e della Scemucca, di Sasagawa che cercando di sostenerli finiva per crollare nel suo stesso dolore.

Non c'era tempo per l'orgoglio, nessuno di loro poteva permettersi di strafare, non quando erano feriti nell'animo più profondamente di qualsiasi lesione fisica -erano come congelati, spezzati, rotti e irreparabili.

E non erano gli unici.

«Come sta Nana-san?»

Non avrebbe voluto farla quella domanda -doloredoloredoloredolore, non c'era altro che sofferenza e dolore- ma voleva sapere che stava bene, provare a sperare che quell'unica felicità che il Decimo aveva cercato disperatamente di proteggere durante la sua infanzia solitaria stesse bene.

Un grugnito sfuggì dalle labbra di Iemitsu -voleva essere una risata? Ormai non ricordava nemmeno più cosa significasse sorridere, ancora dopo un mese niente sembrava disposto a tornare alla normalità, niente sarebbe mai potuto essere mai più normale- portandosi alle labbra l'ennesimo sorso avido di vino e asciugandosi le labbra secche con il dorso della giacca stropicciata. Nuove macchie di vino si depositarono su quelle vecchie, ma Iemitsu non se ne curò.

«Nessun miglioramento. È come se fosse...»

Non riuscì a finire la frase, ma Hayato comprese comunque il significato dietro quelle parole non dette.

Chrome si agitò tra le sue braccia, mugugnando versi sconnessi misti al richiamo incessante del “Bossu”, seguito dalle lacrime che Gokudera aveva asciugato ormai così tante volte -non solo a Chrome, il suo stesso viso era ancora umido dell'ultimo pianto- e che ancora avrebbe asciugato nei giorni a venire.

«Troveremo mai la pace?» fu la disperata domanda di Iemitsu, le ginocchia strette al petto e la testa nascosta, vittima del suo stesso rimorso e dolore.

Hayato non gli rispose, perché se lo avesse fatto avrebbe spezzato per sempre l'uomo che era stato il padre del suo Boss.

No” avrebbe risposto “abbiamo perso per sempre la nostra Armonia”.



 


 

Il rumore di stoviglie fu in grado di riportarlo alla realtà -concentrati Hayato, hai una missione da compiere- mentre la cameriera dei Vongola gli offriva timidamente una tazzina di caffè bollente, chiedendogli se lo gradisse con zucchero o latte.

Ringraziandola, prese la tazzina e lo bevve amaro, sperando che il gusto forte e deciso della bevanda potesse impedirgli di perdersi tra i flussi infiniti dei ricordi che ancora non aveva recuperato. Era bastato un fugace scambio di sguardi con il giovane Sawada Iemitsu per sbloccare un fotogramma dei ricordi perduti, uno degli avvenimenti successivi alla scomparsa del Decimo che non riusciva ancora bene a visionare nell'insieme.

Doveva stare attento, non poteva permettersi una crisi in quel momento, non davanti a Timoteo Vongola. Bevve un altro sorso, fino a non lasciare null'altro che il fondo del caffè sulla tazzina.

Bleh, come cavolo puoi berlo così amaro? È terribile!

Ignorò Lambo e si concentrò su Luce ed Aria, sedute sul divanetto offerto loro dai Vongola, mentre lui stava in piedi dietro madre e figlia, all'erta nel caso in cui qualunque cosa potesse attentare alla vita delle due. Non conoscendo questi Vongola del passato, ogni distrazione poteva essere fatale.

C'erano il Nono e Iemitsu, i correnti Guardiani dei Vongola, ed un uomo che Hayato aveva visto solo attraverso vecchie foto che Timoteo aveva mostrato qualche volta al Decimo, e in qualche ritratto che decorava le pareti di Villa Vongola.

Enrico II Vongola. Primo figlio di Timoteo Vongola, attuale successore alla posizione di Decimo Boss.

Divisi da un tavolino in legno massello color mogano, circondati dal piacevole aroma di caffè che aleggiava nell'aria, Luce e Timoteo si scambiavano i soliti convenevoli che avrebbero poi aperto la vera discussione, i rispettivi figli seduti accanto.

«Ora che ci siamo tutti, direi che possiamo iniziare a parlare del motivo per cui questo incontro è stato fissato.»

Hayato non comprese il senso delle parole di Luce -nessuno tranne il Nono sembrava averlo capito- fino a quando la voce di Reborn non lo colse di sorpresa, ma fu abbastanza abile da nascondere l'incredulità e la meraviglia. Enrico e Iemitsu non furono altrettanto bravi.

Dopo anni vissuti con la presenza incostante di Reborn alla villa, erano diventati piuttosto bravi a nascondere i propri pensieri al piccolo Hitman, nascondendo dietro una maschera di indifferenza anche la più piccola emozione -in caso contrario le conseguenze non sarebbero state piacevoli, avevano imparato in fretta solo per riuscire a sopravvivere alle altrimenti ingestibili punizioni dell'ex-Arcobaleno.

«Chaossu.» con in mano una tazzina fumante di caffè rubato da qualche vassoio, Reborn strinse il bordo del fedora tra due dita, salutando con rispetto i due Boss e concentrandosi sulla bevanda calda che stringeva tra le mani. Era leggermente cresciuto rispetto all'ultima volta, e Hayato non poteva che esserne contento, ma anche per questo era certo che non sarebbe uscito indenne da quell'incontro una volta che tutte le carte in tavola fossero state scoperte. C'era più di una questione di cui discutere.

«Dunque Don Giglio Nero, se non ricordo male avete avanzato una richiesta piuttosto inattesa.»

Annuendo, Luce finì di sorseggiare il caffè macchiato che stringeva tra le dita. Appoggiò la tazzina vuota sul piattino, guardando il Nono seria e composta, un vero Boss pronto a tutto pur di ottenere quel che vuole.

«Esatto. È una decisione su cui non intendo tirarmi indietro, ma ho pensato fosse corretto parlarne prima con voi, Don Vongola, poiché anche voi, come me, traete benefici dalla vostra amicizia con Reborn.» lanciò un'occhiata veloce all'hitman prima di continuare.«Io voglio che Reborn diventi il mio Sole.»

“Voglio”, non “vorrei”. Non avrebbe accettato alcun rifiuto.

Kfufufu davvero interessante questa donna.

Timoteo socchiuse gli occhi, lisciandosi i baffi e inspirando profondamente e ponderando sulla richiesta di Luce, mentre alle sue spalle lo sconcerto era palese sui volti dei Guardiani e di Iemitsu, i quali dovevano essere stati tenuto allo scuro di tutto fin dal principio.

Una scelta saggia.

«Una volta sciolta la maledizione, gli Arcobaleno non hanno più alcun obbligo gli uni verso gli altri, tuttavia ciò non significa che tra me e loro vi sia mancanza di armonia.» continuò Luce, non curandosi dello sguardo con cui i Guardiani dei Vongola la stavano studiando.«Sin da subito ho sentito il legame con Reborn, la sintonia che c'è tra le nostre Fiamme. Soltanto lui può essere il mio Sole, non c'è nessun altro con cui potrei e vorrei armonizzare.»

«Capisco il tuo sentimento, Luce.» aveva risposto Timoteo, abbandonando ogni formalità e fissando la donna con gentile apprensione, senza però perdere l'aura da Boss che lo avvolgeva.«Però vedi, Reborn è un mio caro amico, ed un alleato indispensabile dei Vongola, quello che tu chiedi potrebbe finire per spezzare il delicato equilibrio di pace che c'è tra le nostre Famiglie, mi capisci?»

Hayato trattenne un ringhio, stringendo la presa sulla fodera di Shigure Kintoki e assottigliando lo sguardo. Era una velata minaccia, mascherata dal tono pacato e amichevole con cui Timoteo le si era rivolto.

«Non è di certo questa la mia intenzione, non voglio che Reborn si unisca alla Famiglia Giglio Nero, né che in caso dovesse avvenire un conflitto tra le nostre Famiglie lui si schierasse al mio fianco incondizionatamente. Tutto ciò che voglio è soddisfare il mio bisogno del legame, di sentire le sue Fiamme parte del mio Cielo.»

Non c'era molto che Timoteo potesse dire o fare, perché anche lui sapeva bene quanto forte fosse il richiamo tra un Cielo ed un elemento a lui affine. Hayato arrivò alla conclusione che l'anziano stesse solo cercando un modo per tutelarsi, per assicurarsi di non perdere l'appoggio del più forte tra gli ex-Arcobaleno.

«Inoltre, se Reborn diventasse un mio Elemento, ciò gioverebbe non poco alla nostra alleanza. Voi potreste continuare ad usufruire dei suoi servigi come se nulla fosse cambiato, assieme alla mia gratitudine e ai miei favori, mentre io avrò il legame che desidero.»

Vide il Nono stringersi il mento tra le dita, ponderando i pro e i contro che l'accettare o rifiutare quella proposta avrebbe comportato, ma ormai anche Hayato era sicuro che non vi fosse alcuna ragione per cui rifiutare. I rapporti con Reborn invariati ed un debito da Luce Giglio Nero, per non parlare dei legami benefici che il rafforzamento dell'alleanza tra le due Famiglie più antiche della mafia avrebbe portato ad entrambe.

Se non era un folle -cosa di cui non erano pienamente certi- non si sarebbe lasciato scappare una così ghiotta occasione.

Ho voglia di mordere quel tipo a morte.

«D'accordo. Se mi assicuri che i rapporti tra Reborn e i Vongola non subiranno alcun danno dalla vostra armonizzazione, non ho nulla in contrario.» si voltò verso l'hitman che per tutto il tempo aveva taciuto, nascondendo lo sguardo sotto il fedora nero.«Tu che ne pensi, amico mio?»

Reborn accarezzò la testa di Leon -il camaleonte muta-forma si era appollaiato sulla spalla del bambino, giocherellando con Cosmo che gli si era curiosamente avvicinato- ghignando appena e guardando il nono con uno strano scintillio negli occhi scuri.

«Sarà interessante avere un Cielo.» era tutto ciò che serviva per mettere in chiaro la sua posizione in merito alla discussione.

Sentendo la tensione sciogliersi nelle Fiamme di Luce -si erano disperatamente aggrappate alle sue poco dopo che aveva iniziato la conversazione, cercando conforto che solo un Elemento può dare- Hayato la vide distendere i muscoli delle spalle e sorridere, respirando senza più trattenere l'aria per l'ansia e la paura.

«Grazie Timoteo, te ne sono davvero grata.»

Timoteo sorrise -falso, manipolatore, il sorriso di un Boss che non si fa scrupoli pur di proteggere i propri interessi- annuendo con la testa e ringraziando a sua volta, per cosa però, Hayato non ne era sicuro.

Ma almeno un problema era risolto, ora non restava che lanciare l'ennesima bomba, aspettare che esplodesse e pregare di non restarne troppo coinvolti.

Tossì, attirando l'attenzione del proprio Boss e dei restati presenti nella stanza. Sentì lo sguardo penetrante di Reborn trapassarlo da parte a parte -era... gelosia? No, impossibile, per quale ragione Reborn dovrebbe essere geloso di lui?- ma non se ne curò.

«Luce-sama, credo sia saggio parlare con i Vongola e Reborn-san di... quella questione.»

Sperando che il bimbo non ci uccida prima ahahahah!

Il Boss Giglio Nero sembrò rabbuiarsi -probabilmente nemmeno lei sapeva come affrontare la questione- ma scacciò ogni pensiero negativo, sorridendo incoraggiante come solo lei sapeva fare.

«Giusto, hai perfettamente ragione Hayato.» si voltò verso il Nono e Reborn, che stavolta sembravano sperduti quanto il resto degli occupanti della sala.

«Ieri abbiamo ricevuto... una visita inaspettata, ed un regalo.» si voltò verso di lui, facendogli un lieve sorriso ed un cenno col capo.«Mostraglieli Hayato.»

«Subito, Luce-sama.»

Da una tasca nascosta della giacca -sulla sinistra, lontana da quella in cui conservava i Mare Ring- estrasse una scatola rettangolare nera, che portò all'attenzione dei presenti, esitando poi un secondo ad aprirla.

Puoi farcela, Tempesta-san.

Ringraziò mentalmente Chrome, prese un profondo respiro e l'aprì -per favore, fa che nessun proiettile perfori la fronte- mostrando ai presenti il contenuto della scatola.

La temperatura nella stanza calò, l'aura omicida di Reborn diventò quasi insopportabile -proiettile in arrivo nei prossimi tre secondi- mentre Hayato cercava di mostrarsi quanto più calmo e fermo possibile. Difficile, ma dopo anni di allenamento con lo stesso hitman, non era impossibile.

Distesi su un velluto azzurro, a poca distanza l'uno dall'altro, sette ciucciotti brillavano dei colori delle Fiamme, lucenti come il giorno in cui -probabilmente, non poteva esserne sicuro- gli Arcobaleno li avevano ricevuti la prima volta.

«Che significa tutto questo?» fu Reborn a parlare, ma era la domanda che anche Vongola Nono, Iemitsu ed il resto dei presenti si erano posti appena avevano potuto vedere i ciucciotti nella scatola.

Con naturalezza, Luce si tolse il fiocco rosa che aveva avvolto attorno al collo, nascosto con cura sotto la camicia, rivelando la presenza di un ottavo ciucciotto, arancione e pregno di purissime Fiamme del Cielo.

Hayato non poteva esserne sicuro, ma giurò di aver visto il mondo crollare negli occhi di Reborn.

Luce si voltò a guardarlo con un sorriso, prendendo dall'astuccio il ciucciotto giallo e porgendolo all'hitman, che indietreggiò. Se fosse stato qualcun altro -chiunque altro- Hayato avrebbe osato dire che sembrava quasi spaventato dalla sola vista di quel piccolo oggetto, ma essendo di Reborn che si stava parlando, non osò nemmeno pensarlo.

Pfff Reborn è spaventato da un ciucciotto!

Lambo invece non si faceva scrupoli.

«Chakerface si è presentato alla mia villa con questi, chiedendomi di esserne la portatrice.» iniziò a spiegare. Reborn non la lasciò continuare.

«E tu hai accettato?»

Sembrava sinceramente irritato, e Timoteo pareva dello stesso avviso.«Ti eri appena liberata della maledizione Luce, perché fare una cosa del genere?»

Un suono secco, stizzito, furioso uscì dalle labbra di Reborn. Male, molto male.

«Quel bastardo... lo troverò. Giuro che quando lo troverò gli pianterò un proiettile dritto nel...»

«Non sono maledetta.» quella frase fu in grado di far calare il silenzio nella sala.

Aria si schiacciò contro la madre, stringendo Cosmo tra le braccia e cercando conforto in quella situazione così tesa da metterla a dura prova: era solo una bambina dopotutto, sopportare così tanta pressione non doveva essere facile alla sua età.

«...cosa?»

«È così, questi oggetti non sono più maledetti.» sorrise, osservando il flusso arancione che scorreva tra le pareti in vetro del ciuccio.«Tuttavia, stando a quanto detto da Chakerface, restano comunque delle reliquie pericolose, hanno bisogno di essere contenute, o il loro potere potrebbe distruggere una città intera.»

Posò lo sguardo su Reborn portandogli serenità con un solo sorriso, rassicurandolo che tutto andava bene e che il periodo della loro maledizione era finito per sempre.

«Cosa vuole farti fare quel bastardo?»

«Semplicemente vuole che i ciucciotti tornino al loro posto, al collo di coloro che sapranno come controllarne il potere.» porse di nuovo l'oggetto a Reborn, il ciucciotto giallo del Sole.«Vuole che diventiamo i Custodi dei Ciucciotti.»

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Capitolo 6
*** Target 6- CEDEF ***


N.d.A.- Chaossu! So di non aggiornare da un po', ma ho avuto diversi problemi.
Le feste, il lavoro, un lutto in famiglia che ci ha colti completamente alla sprovvista... si insomma, non il miglior periodo della mia vita davvero. 
Ma con la fine del 2018 e l'inizio dell'anno nuovo, sono tornata più in forma e attiva che mai! Se tutto va come previsto avrete un capitolo ogni lunedì (o ogni due settimane, a seconda di come riesco ad organizzarmi) ma bando alle ciance, vi lascio al capitolo!
A fine capitolo lascerò una curiosità su due personaggi apparsi in questo capitolo, per non spoilerare ora i loro nomi e la loro fazione!
Spero sia valsa l'attesa!
Grazie a tutti
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Lanciando piccoli sguardi fugaci alle sue spalle, Iemitsu ancora si chiedeva come riuscisse ogni volta ad infilarsi in situazioni che rischiavano seriamente di farlo finire ammazzato -e prima o poi sarebbe morto sul serio, ne era certo.

Il Guardiano di Luce Giglionero -Hayato, un ragazzo che non poteva essere più vecchio di lui- lo seguiva a pochi passi di distanza, lungo i corridoi del quartier generale della Consulenza Esterna della Famiglia, verso l'ufficio che da poche settimane era diventato suo.

Con scarsopreavviso aveva chiamato Cumino -il suo amico più fidato, la calma e pacifica Nuvola che volava nel suo Cielo- comunicandogli che stava tornando con un ospite, che avevano importanti cose su cui discutere, e che aveva bisogno della presenza di Lal Mirch e Colonnello per poter affrontare la questione.

Iemitsu avrebbe preferito trovarsi da qualsiasi altra parte, lontano dal pandemonio che stavano per scatenare nel suo ufficio -pregò che ne uscisse intatto, non potevano permettersi riparazioni troppo costose, non era a quello che servivano i fondi del CEDEF- non appena avessero mostrato ai due ex-arcobaleno i ciucciotti.

In confronto, poteva scommetterci la carriera, la reazione di Reborn sarebbe stata nulla.

Non poteva parlare per Colonnello -si erano incontrati la prima volta solo pochi mesi prima, non potevano ancora definirsi amici- ma conosceva Lal, e sapeva che avrebbe urlato, gli avrebbe dato dell'irresponsabile, forse addirittura l'avrebbe schiaffeggiato. Poteva già sentire la guancia pulsargli, un dolore che avrebbe preferito evitare.

E tutto perché il Nono gli aveva dato l'ordine di affiancare Hayato in questa folle missione suicida di ritrovare gli Arcobaleno e proporre loro di riprendere i ciucciotti che un tempo li avevano maledetti. Se ne fossero usciti vivi Iemitsu avrebbe considerato la missione un successo -perchè anche solo pensare di scamparla illesi era pura fantascienza.

Un ennesimo inconscio sospiro gli scappò dalle labbra, mentre analizzava a mente ogni possibile maniera in cui Lal l'avrebbe torturato prima di metterlo a tacere per sempre.

«Se la cosa ti crea tanti problemi, non c'è bisogno che mi accompagni, posso fare da solo.»

Iemitsu gelò sul posto, voltandosi lentamente verso il giovane uomo che l'aveva silenziosamente seguito fino a quel momento, troncando ogni tipo di conversazione con cui il neo-Boss del CEDEF aveva cercato di approcciarlo. Lo fissò per diversi secondi, occhi spalancati e sorpresi -quindi sapeva anche parlare, oltre che gelare con lo sguardo- cercando di carpire ogni significato nascosto dietro a quella frase inaspettatamente gentile.

Grattandosi nervosamente il capo, Iemitsu rise appena, negando ogni sua -effettiva- voglia di fuggire quanto più lontano possibile dal suo stesso ufficio.

«Ahahah ma figurati, nessun problema.»

In verità di problemi ce n'erano eccome -gli schiaffi di Lal, le scartoffie nel suo ufficio, le difficoltà e le responsabilità che venivano con il titolo di Boss, aveva già detto le scartoffie?- e Iemistu era semplicemente stanco.

Stanco di pretendere, di mostrarsi agli altri composto e autorevole, di quel titolo che aveva ereditato troppo presto e che lo stava lentamente soffocando.

Tutto ciò che Iemitsu voleva era togliersi dalle spalle quel carico e tornare a Namimori quanto prima possibile -dai suoi amici, nella città in cui poteva essere semplicemente sé stesso- ma come poteva disobbedire ad un ordine diretto del Nono?

Senza possibilità di ribattere in altro modo, aveva fatto l'unica cosa che faceva sempre: mentire e pretendere.

«Ohi ohi... che diavolo è quel sorriso per niente estremo?»

Un pugno ben piazzato lo scaraventò a terra. Faceva male -diavolo, aveva la guancia in fiamme!- ma Iemitsu aveva come la sensazione che Hayato si fosse trattenuto, che quel pugno carico di energia e determinazione non fosse stato sferrato con l'intento di ferire.

Lo guardò negli occhi grigi -non erano verdi fino a qualche secondo prima?- infiammati di pura energia, calda e splendente come... come un sole ardente e ristoratore.

«Piantala di raccontare balle, non è per nulla estremo!»

Iemitsu non sapeva come ribattere, completamente spiazzato dal fatto che qualcuno avesse effettivamente smascherato la sua recida. Nessuno ci era mai riuscito, né Enrico né il Nono. I suoi Guardiani avevano capito che qualcosa non andava, ma Iemitsu aveva allontanato ogni sospetto con una risata, sminuendo il tutto -non era però sicuro che Cumino e Mersin ci avessero creduto veramente.

Ed ora ecco che dal nulla spuntava questo mafioso -di una Famiglia alleata, si ricordò di appuntare il suo cervello- che con una sola frase aveva smascherato la sua perfetta recita. Iemitsu era rimasto esterrefatto.

«Pensi forse che le persone possano seguire un capitano che fa finta di essere qualcun altro?!» aveva continuato Hayato, afferrandolo per la calotta e scuotendolo avanti e indietro con irruenza.«Te lo dico io, OVVIO CHE NO! Un capitano che finge non è per nulla estremo!» e Iemitsu finì di nuovo a terra.

Chinandosi sulle ginocchia, Hayato si abbassò abbastanza per fissare con i suoi occhi grigi -no seriamente, non erano verdi?- Iemitsu, una scintilla di fuoco dorato a dar loro una scarica di quella che sembrava essere pura energia.

E all'improvviso non riuscì più a fingere.

«M-Ma... e se il vero me non fosse abbastanza?» riuscì a balbettare, mentre lasciava che le paure salissero a galla e gli togliessero il respiro.

Hayato sorrise raggiante. Iemitsu non aveva mai visto un sorriso tanto rovente e confortante prima, che sciolse il nodo formatoglisi in gola.

«Allora non dovrai far altro che mostrare a tutti quanto tu sia estremo! Non importa cosa, ci sarà sempre qualcuno pronto a sostenerti se sarai te stesso!» e allungando la mano verso di lui, Hayato non smise mai di sorridere.«Ed io sarò sempre dalla tua parte all'estremo!»

Ed era tutto ciò di cui Iemitsu aveva bisogno.



 

Quando Iemitsu e quel tipo -Hayato dei Giglio Nero- varcarono la porta dell'ufficio, Cumino già sapeva che c'era qualcosa di diverso.

Il suo Boss era diverso, ma di una differenza piacevole, come se gli scudi erti da Iemitsu per tenere tutto e tutti lontano dal vero sé fossero finalmente caduti. Poteva sentirlo nelle Fiamme della Nuvola che gli pulsavano nelle vene, il calore radioso del Cielo che finalmente apriva il suo cuore ai suoi stessi elementi.

Erano settimane che il suo Boss si era chiuso in sé stesso, da quando il peso di essere a capo del CEDEF era gravato sulle sue giovani spalle, troppo presto e improvviso.

Per quanto la Nuvola fosse il più distaccato tra gli elementi -proteggere la Famiglia avendo quanti meno legami possibili con essa, non dimenticare mai il tuo ruolo- Cumino voleva bene a Iemitsu, era un suo Guardiano, era parte del suo Cielo, e avrebbe voluto aiutarlo nel pieno delle sue possibilità.

Non aveva però saputo come fare, nemmeno parlarne con Mersin, l'irrequieta Tempesta, era servito a qualcosa.

«È come se nascondesse il vero sé stesso, come se pretendesse di essere qualcuno che in realtà non è.» erano state le parole di lei, quando le aveva esposto i suoi dubbi sull'improvvisa freddezza calata tra loro e Iemitsu.«Non possiamo forzarlo ad aprirsi, ma se Iemitsu non riuscirà a superare questa cosa, questo blocco... ho paura che finirà per collassare

Cumino non poteva permetterlo, ma cosa fare? Ogni approccio sembrava vano, e mentre le Fiamme di Iemitsu erano sempre più fredde, la Nuvola si stava lentamente arrendendo all'idea poter perdere non solo il suo Boss, ma anche un suo caro amico.

Erano entrati nel mondo della mala quasi allo stesso momento, avevano affrontato ogni avversità insieme, eppure non c'era stato nulla che Cumino avesse potuto fare.

Iemitsu era destinato a trasformarsi inesorabilmente in un Cielo incompleto.

Fino a quel momento.

Non sapeva come avesse fatto, se quell'Hayato fosse effettivamente l'artefice di quel cambiamento, ciò di cui era certo era la diversità positiva che aveva percepito in Iemitsu, del sorriso genuino che gli aveva rivolto quando l'aveva visto appoggiato al muro dietro la porta, posandogli una mano sulla spalla come era solito fare prima del cambiamento.

«Grazie Cumino, e scusa per il poco preavviso.» senza parole aveva soltanto beandosi del calore che le Fiamme di Iemitsu avevano finalmente ricominciato ad emanare.

Mentre i due si allontanavano per salutare Lal e Colonnello, Cumino non potè trattenere un sorriso: il suo Boss era finalmente tornato.

Forse -se fosse mai riuscito a restare solo con lui- un giorno avrebbe ringraziato Hayato per questo.


 


 

Seriamente, Hayato iniziava davvero a stufarsi delle prese d'iniziativa degli idioti con cui condivideva il corpo.

Prima il maniaco del baseball, ora testa a prato. Ed il risultato era sempre lo stesso: la continua crescita di problemi con cui poi era lui a dover convivere.

Non potevo lasciare che continuasse a pretendere! Era una questione di estrema necessità!

«Chiudi il becco! Non voglio sentire scuse!» e anche se da una parte capiva le reazioni di Ryohei, dovevano smetterla di agire impulsivamente.

Vedere Iemitsu a quel modo -educato e rispettoso, posato e rigido, Fiamme fredde e soppresse, incapace di adattarsi alla parte che si era auto imposto- aveva creato anche a lui un fastidioso disagio, specie conoscendo le conseguenze a cui una simile repressione di Fiamme poteva portare.

Tuttavia non era compito loro risolvere la situazione, tanto meno potevano continuare ad interferire con il passato, rischiando di cambiare drasticamente il futuro che loro conoscevano: sarebbe stata dura restare con le mani in mano, ma non certo impossibile.

Ovviamente, Ryohei non aveva resistito che pochi secondi.

Ed ora eccoli lì, nel bel mezzo dell'ufficio del Boss CEDEF, con Iemitsu attaccato al braccio che lo pregava di salvarlo dalla furia di una giovane e indiavolata Lal Mirch.

«Haya-chaaaan! Salvamiiiii!»

Ah sì e il soprannome, non dimentichiamo il fastidioso soprannome.

Sospirando, Hayato si massaggiava la testa, mentre Colonnello e Cumino -la Nuvola di Iemitsu- cercavano di trattenere Lal dal saltare alla gola del suo stesso Boss.

«Hai un bel coraggio a presentarti qui con quegli affari! Credi che sia tutto un gioco Iemitsu?! Come hai anche solo potuto pensare che fosse una buona idea?!»

Beh, non poteva darle tutti i torti -poteva capire i dubbi e la rabbia che i ciucciotti procuravano agli ex-Arcobaleno- tuttavia non riusciva a reprimere l'irritazione dell'essere stato interrotto: potevano almeno lasciarlo finire di parlare.

Passato, presente o futuro, ragionare con Lal Mirch era sempre un'impresa.

Adocchiò Colonello, e capì che anche lui era sul punto di esplodere: era chiaro che nessuno dei due volesse avere a che fare con quegli oggetti mai più. Sospirò ancora, cercando di pensare ad un modo per farsi ascoltare dai due ex-Arcobaleno, prima che distruggessero l'ufficio e si avventassero anche su di loro.

Non era bravo a rapportarsi con loro, con Fon era molto più semplice farsi ascoltare.

Lascia che ci parli io, testa a polpo!

«Scordatelo! Hai già fatto abbastanza danni!» sussurrò a denti stretti, senza farsi sentire dagli altri.

Col cavolo che lasciava una trattazione così importante nelle mani di testa a prato! Si sarebbe fidato più di Mukuro che non di quel fissato della box.

Kfufufufu è un invito a prendere in mano la situazione?

«Nemmeno per idea!» ora non sapeva decisamente chi fosse peggio.

Colonnello è stato il mio maestro, so come interagire con lui all'estremo! Hai sentito Kawahira no? I ciucciotti devono avere comunque un custode ad ogni costo, e sarà un estrema catastrofe se finiranno in mani sbagliate!

Le parole di Ryohei -per una volta- avevano senso, e benché fosse riluttante a lasciare tutto nelle sue mani, nemmeno la mente brillante di Hayato riusciva a trovare una soluzione migliore.

«E va bene... ma se fai disastri ti ammazzo!»

ESTREMO!

Chiuse gli occhi, dando libero sfogo alle Fiamme del Sole che si sostituirono lentamente a quelle della Tempesta, dando agli occhi verdi di Hayato quella tonalità grigia che invece era di Ryohei, intrisa con il giallo dorato delle sue Fiamme.

Una volta ottenuto il controllo, Ryohei fece l'unica cosa in cui nessuno avrebbe mai potuto batterlo: urlò.

«FATE TUTTI ESTREMAMENTE SILENZIO!»

Tutto si bloccò: le urla di Lal, i piagnistei di Iemitsu, l'aura omicida che Colonello aveva iniziato inconsciamente a rilasciare, le parole di Cumino che cercavano di calmare la situazione. Tutto si gelò, dando piena attenzione della figura di Ryohei che ora li fissava uno ad uno, ardente di determinazione.

«Sappiamo benissimo che quei cosi rappresentano per voi solo brutti ricordi, ma dovete estremamente considerare la situazione!» il suo sguardo era fisso su Colonnello -il bambino soldato, il suo amico e maestro, colui per il quale avrebbe dato tutto tranne che la vita, quella apparteneva a Sawada e a nessun altro- cercando di trasmettere con gli sguardi ciò che le parole non potevano.

Avrebbe preferito spiegarsi a pugni -tra loro era il metodo migliore all'estremo!- ma testa a polipo si sarebbe arrabbiato di sicuro, quindi doveva trovare un'alternativa.

Sentì Iemitsu rialzarsi in piedi, affiancando e guardando dispiaciuto Lal, che ancora lo fissava furiosa e delusa.«Lal, se avessi avuto anche il minimo dubbio che portare davanti a te questi cosi avrebbe potuto nuocere alla tua salute, ti giuro, ti giuro che non avrei mai acconsentito nemmeno a mostrarteli.»

E a quel punto, perfino Ryohei capì la situazione.

Lo vide negli occhi di Lal -si erano addolciti alle parole di Iemitsu, c'era ancora paura, me sembrava che la rabbia fosse scemata- nella velocità con cui sembrò ritrovare la compostezza e nella fiducia che sembrava riporre nelle parole del giovane Boss CEDEF.

Lo percepì nella voce di Iemitsu, nel disperato urlo delle sue Fiamme del Cielo di aggrapparsi alla Pioggia, nello sforzo che il giovane uomo accanto a lui stava imprimendo sul suo potere per sopprimere quella necessità soffocante che loro stessi avevano provato sulla propria pelle.

Lo intuì dallo sguardo di Cumino -preoccupato, speranzoso, avvilito- mentre passava lo sguardo dalla giovane donna al suo Boss.

Iemitsu e Lal erano compatibili su livelli che Ryohei aveva visto poche volte, e si chiese per quale ragione non avessero ancora armonizzato, quando era chiaro che entrambi bramassero quell'unione come ne valesse della loro vita. Forse l'improvviso gelo nelle Fiamme di Iemitsu poteva essere la causa, ma non aveva tempo per concentrarsi anche su quello: un problema alla volta, prima dovevano pensare ai ciucciotti -troppi pensieri gli avrebbero fuso il cervello all'estremo!

«Vi assicuro che non correte alcun pericolo, nessuna maledizione o che altro. Dovete soltanto custodirli, usarli come catalizzatori delle vostre Fiamme, proteggerli da chi li userebbe per fare del male!»

Non tolse gli occhi da Colonnello per tutto il discorso, fino a quando non vide il bambino sospirare, abbassare la testa e scompigliarsi i capelli, quasi sconfitto dall'energia che Ryohei aveva messo nel suo sguardo.

«Sicuro che non resterò un bambino per il resto della mia vita, kora?»

Ryohei sorrise.«No all'estremo! Kawahira ha blaterato qualcosa sul cambiare l'età a piacimento una volta che i corpi avranno raggiunto la loro vecchia età, ma era tutto troppo complicato e non ho capito molto. Probabilmente testa a polipo vi spiegherà poi!» e rise, ignorando gli sguardi perplessi e dubbiosi dei presenti.«Inoltre Reborn e Luce-san hanno già accettato all'estremo! Non correte alcun pericolo!» concluse, beandosi dello stupore negli occhi degli ex-Arcobaleno.

Incrociando le braccia sotto il seno, Lal Mirch sospirò, arresasi alla follia degli uomini che la circondavano.«E va bene, avete vinto. Ma ho una domanda.»guardò intensamente Ryohei.«Perchè anche io? Io ero solo un fallimento, un Arcobaleno incompleto, perché ridare anche a me il ciucciotto?»

Bella domanda. Ryohei non sapeva davvero come risponderle -era compito di testa a polipo pensare ad usare il cervello!- visto e considerato che quando Kawahira aveva fatto loro visita e spiegato le ragioni dietro la sua richiesta, non aveva prestato attenzione.

Erbivoro, ti morderò a morte per la tua stupidità.

«Sono discorsi estremamente noiosi! Non è colpa mia se mi sono addormentato!» forse aveva parlato troppo forte, siccome gli occupanti della stanza ora lo fissavano come se fosse pazzo.

Per l'amor del... sei senza speranza, testa a prato! Ripeti quello che ti dico, e abbassa la voce quando parli con noi! Idiota!

«Kawahira ha detto che anche se la tua maledizione era incompleta, il ciucciotto ha comunque assorbito abbastanza Fiamme da diventare una reliquia. Non potente come le altre, ma comunque pericolosa se non tenuta estremamente sotto controllo.»

Sembrò convincerli, poiché Lal annuì, mentre afferrava dalla scatola l'oggetto in vetro e lo studiava con sospetto, estraendo dalla tasca dei pantaloni una catena e legandosi il ciuccio al collo. Colonnello fece lo stesso.

«Come vi sentite?» domandò Iemitsu, apprensivo e preoccupato.

Lal gli concesse un piccolo sorriso rassicurante.«È strano, benché averlo di nuovo al collo rievochi brutti ricordi, sembra quasi come se tutto fosse tornato al proprio posto, come se...»

«Come se fosse giusto che questi cosi fosse con noi, kora!» concluse frustrato Colonnello, rigirandosi tra le dita il ciuccio azzurro, pensando a quanto fosse ironico che l'oggetto che più odiava al mondo sembrasse così giusto addosso a lui.

Nel constatare che tutto sembrava essere filato liscio, Ryohei si rilassò, pronto a scambiarsi nuovamente con Hayato, se non che un particolare gli tornò alla mente, ricordandogli che il suo compito non era ancora finito.

Smettila di impicciarti degli affari loro! Hai almeno ascoltato UNA parola di quello che ho detto prima?!

Ma ormai non lo stava più ascoltando.

«Ora che ci penso, c'è qualcosa che mi sta estremamente infastidendo da un po'.» si voltarono a guardarlo, aspettando che continuasse.«Per quale estremo motivo voi due non avete ancora armonizzato?!» accusò, puntando il dito contro Lal e Iemitsu, colti alla sprovvista.

Sobbalzarono, rifiutando di incrociare lo sguardo l'uno con l'altro, ma il fremito che li percosse non sfuggi allo sguardo di Ryohei. Quei due idioti fremevano per armonizzare -diavolo era palese perfino per lui!- eppure si rifiutavano di farlo.

«D-Di che parli, Haya-chan?» un pugno ben piazzato colpì Iemitsu in viso, il secondo di quella giornata.

Cumino fremette per scattare al fianco del suo Boss, ma Colonnello lo trattenne: rimase in silenzio, osservando senza intervenire in quello scambio di battute che sapeva essere necessario.

«Non prendermi estremamente in giro! Ti ho detto di non fingere con me!»

Era furioso: come potevano negarsi una cosa così bella come il legame dell'armonizzazione?! Lui avrebbe dato tutto per poter tornare indietro, quando anche lui aveva quel legame speciale... e loro invece che facevano? Si rifiutavano! Ryohei questo non poteva proprio accettarlo.

«Non è così semplice...» ammise Lal, sospirando.

«Hai visto cosa ha dovuto fare Luce-san per avere Reborn no?» gli ricordò amaramente Iemitsu.«Non si può semplicemente prendere ed armonizzare con un Arcobaleno, ci sono regole e procedure e...»

«Beh, ma Lal non è un Arcobaleno vero e proprio no?» se ne uscì Ryohei all'improvviso, grattandosi il mento.«E comunque chi se ne importa? Arcobaleno o meno, nessuno può negare un'armonizzazione, specie quando due persone sono compatibili come voi, quindi smettetela di piagnucolare scuse all'estremo e armonizzate!»

Ormai aveva deciso, e non se ne sarebbe andato prima di averli visti creare il legame davanti ai suoi occhi.

«Ma... Luce-san...» provò ancora Iemitsu, ma Ryohei non gliene diede il tempo.

«Niente ma! Scommetto che Luce-san sarebbe felice all'estremo per voi! Non è una persona così egoista da negare un legame, non dopo che ha sperimentato lei stessa la sofferenza che si prova nel non potersi legare a qualcuno di così compatibile!»

Vide Iemitsu arretrare incerto, poi voltarsi a guardare Lal -conosceva quello sguardo, erano più simili di quanto non apparisse- e sospirare.«A te... a te andrebbe bene, Lal? Vorresti diventare la mia Pioggia?»

Lal Mirch si voltò a guardare il giovane, incerta, forse spaventata, ma alla fine sorrise, arresasi probabilmente alle sue stesse necessità. Non poteva più resistere, non quando il Cielo la stava chiamando a sé.

«Non ti renderò la vita facile, sappilo.»

Iemitsu rise.«Sono pronto. Se sarai al mio fianco, sono certo di poter diventare un buon Boss.»

E sotto gli occhi compiaciuti di Ryohei, il legame tra Pioggia e Cielo era finalmente stato stretto -lo confermò nel sorriso di Cumino, mentre si portava una mano al cuore, beandosi della sensazione crata da un nuovo legame.

Tetsa a polipo non sarebbe stato felice di quella sua intromissione, ma non gli importava: nessuno avrebbe sofferto per un legame mancato, non se poteva fare qualcosa per impedirlo.

Era una sofferenza che non augurava nemmeno al suo peggior nemico.

 


 

 


CURIOSITÀ: I due nuovi personaggi si chiamano Cumino e Mersin, rispettivamente nominati a seconda delle spezie (cumino in italiano e mirto in turco) per continuare la tradizione di Akira-sensei di dare ai membri del CEDEF nomi di spezie e piante culinarie!


 


 

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Capitolo 7
*** Target 7- Arcobaleno ***


N.d.A.- Chaossu! 
Evviva, finalmente sono riuscita a finire questo interminabile capitolo! Devo ammettere che è stato interessante cimentarmi in diversi punti di vista, spero di aver resto i vari personaggi più IC possibili!
Nel caso così non fosse... ricordo a tutti che questa è una fic, io non sono l'Amano (perchè altrimenti Reborn starebbe facendo concorrenza con One Piece a livello di lunghezza) e qualche cambiamento mi è quindi concesso xD
E niente, spero di aver reso tutto al meglio, anche se uno dei personaggi ha una situazione... complessa che magari spiegherò più avanti xD
Grazie a tutti per il costante supporto
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Benché il nome derivasse da una chiesa bianca dedicata alla Vergine, il quartiere londinese di Whitechapel era tristemente famoso per i misteriosi omicidi che nell'autunno del 1888 avevano destato scalpore tra la popolazione.

L'artefice di tali efferati crimini era un singolo individuo denominato Jack lo Squartatore, la cui vera identità era tutt'oggi ancora avvolta dal mistero. Il nome del serial killer tuttavia -e qui si lasciò sfuggire un encomio per la destrezza dell'omicida- infestava ancora le vie più scure del quartiere, specie la notte, quando ubriachi e ragazzine spaventate giuravano di aver visto il fantasma dello Squartatore aggirarsi per Whitechapel, in cerca probabilmente della sua prossima vittima.

Quale posto migliore in cui un eccentrico scienziato poteva decidere di stabilirsi?

Whitechapel era un quartiere tutto sommato tranquillo -non poteva lamentarsene, aveva lavorato in luoghi molto più caotici- e si era rivelato un buon punto d'interesse per le sue ricerche sulle Fiamme -ahhh, c'era ancora così tanto da scoprire, era tutto semplicemente eccitante!

Verde non poteva chiedere di meglio.

Controllando i dati sul portatile, Verde si sistemò gli occhiali sul naso, strofinandosi le palpebre di tanto in tanto, stressate probabilmente dal continuo fissare lo schermo illuminato del computer.

Tze, stupidi bisogni umani di riposare e nutrirsi, rallentavano le sue ricerche e la sua fame di conoscenza: prima o poi avrebbe trovato un rimedio scientifico a quel fastidioso problema.

Keiman dormiva beato ai suoi piedi, scostandosi appena quando percepì una presenza avvicinarsi, ma continuando a dormire quando constatò che non si trattava di una possibile minaccia.

«Non è il caso di fare una pausa, Mr. Verde? Se non fa attenzione rischia di collassare sulla tastiera.»

Verde spostò lo sguardo sul suo assistente -un giovane orfano londinese cresciuto per strada, una delle menti più brillanti con cui avesse mai avuto a che fare, uno spreco lasciarlo a marcire sotto un ponte- che lo guardava con pacatezza, aggiustandosi il ciuffo biondo arricciolato che gli copriva uno degli chiari occhi blu, quello destro. Tra le mani aveva un vassoio, su cui poggiavano due tazze bianche con un liquido fumante all'interno -riusciva a scorgere solo il vapore che fuoriusciva da esse, ma probabilmente doveva essere tè.

Tra i denti spiccava lo stecco bianco di un lecca lecca, il suo ripiego alle sigarette che Verde gli aveva rigorosamente impedito di fumare -non accettava fumo nel laboratorio, solo all'esterno e solo quando il lavoro non era urgente.

Accettò la tazza di tè che Knocker gli aveva gentilmente offerto, senza però staccare gli occhi dal monitor e facendo attenzione a non schizzare il contenuto sulle apparecchiature.

Avrebbe preferito un buon espresso italiano, ma si accontentò.

«Non ancora, ho un paio di dati da controllare.» era ad un passo dall'accertare che tutte quelle fanfare sui presunti avvistamenti di Jack lo Squartatore non fossero poi così infondate, non aveva tempo per fermarsi.«Piuttosto, hai completato la macchina?»

Knocker scosse il capo, finendo la propria bevanda e mostrando alcuni appunti al suo maestro, colmi dei calcoli su cui si era scervellato per giorni, senza cavarne un ragno dal buco. Era ad un punto morto.

«Il rilevatore segna la presenza di Fiamme dell'Ultimo Desiderio, tuttavia non abbiamo sufficiente potenza nel sistema di concentrazione per riuscire ad estrarle ed intrappolarle. Qualunque cosa ci sia là fuori, che sia lo Squartatore in persona o semplicemente la manifestazione fisica delle sue ultime volontà, resterà a piede libero ancora per un po'.»

Verde digrignò i denti, non trovando tra i calcoli del suo pupillo nessun errore, nessuna falla che potessero sfruttare per aggiustare la macchina e raccogliere finalmente i dati necessari a provare la loro ultima scoperta.

Potevano Fiamme vecchie di più di 100 anni infestare ancora il quartiere in cui aveva vissuto ed agito il loro legittimo padrone? La volontà dello Squartatore era così forte da dar vita propria al suo potere, affinché continuasse ciò che lui non era stato in grado di compiere?

Verde bramava per dare una risposta scientifica e razionale a tutto questo, poiché per lui l'inspiegabile -in fondo- aveva sempre una spiegazione logica. E se non l'aveva -come la maledizione di cui era stato vittima- semplicemente Verde accettava che quel qualcosa fosse un miracolo che superava perfino la scienza.

Nel caso di Jack tuttavia non c'era nulla d'inspiegabile, se soltanto avesse trovato un modo per intrappolare quelle Fiamme e studiarle più da vicino, Verde era certo di poter risolvere il mistero che girava attorno al potere dell'Ultima Volontà.

«Il problema è la mancanza di fonte prima.» aveva aggiunto Knocker, dopo svariati minuti di silenzio.«Se avessimo un catalizzatore, un qualcosa che sfrutta ed incarna il potere delle Fiamme, forse potremmo studiare un modo per intrappolare anche Fiamme residue con volontà propria, ma senza quelle ed una maggiore energia, credo sia impossibile.»

A Verde venne in mente un solo oggetto che corrispondeva alla descrizione data dal suo allievo -più potente di qualsiasi anello, capace di assorbire costantemente le Fiamme del suo stesso custode e conservarle in grande quantità- che oramai non era più in suo possesso.

Un vero peccato: se da una parte era stato piacevole ritornare a crescere, liberarsi di quel corpo minuscolo -per quanto utile in certe occasioni- e poter riacquistare le sue vere sembianze, le possibilità che si aprivano con il poter utilizzare il ciucciotto degli Arcobaleno l'avevano sempre allettato, venirne privato ancor prima di poterle sfruttare era stata una sfortuna.

Dopotutto lui era sempre stato positivo nell'accettare la sua condizione, ed anzi il suo stile di vita non era cambiato poi molto rispetto a quando era adulto: il suo cervello era intatto ed attivo, non aveva bisogno d'altro per continuare a lavorare. Il problema dell'altezza era risolvibile grazie a Knocker, quindi Verde si era perfettamente adattato alla condizione d'infante a cui era stato costretto.

Si morse il labbro fino a farlo sanguinare, frustrato.

«Tze, se solo avessi ancora il mio ciucciotto...»

«Oya oya, direi che siamo arrivati al momento giusto allora.»

Fu rapido Verde ad estrarre da sotto il proprio camice la propria pistola, Knocker al contrario arretrò sorpreso, mentre una nuvola indaco avvolgeva la stanza, rivelando due figure di cui non si era reso conto prima. Kaiman soffiò nel punto in cui vi erano i due sconosciuti, ma rimase accanto a lui, aspettando probabilmente l'ordine di attaccare.

Verde riconobbe nel più basso dei due Iemitsu Sawada -un Vongola, il Boss del CEDEF- mentre non riusciva a dare un nome all'altro ragazzo, che sogghignava senza distogliere lo sguardo da lui, stringendo tra le mani un... tridente?

Si diede un'occhiata in giro, riconoscendo nell'operato dei due l'utilizzo di indimenticabili Fiamme della Nebbia -tra gli elementi più affascinanti secondo la sua opinione- e delle potenti illusioni che queste accompagnavano.

Chiunque fosse quell'altro ragazzo, Verde sapeva che si trovava davanti ad un illusionista di tutto rispetto: probabilmente poteva dare del filo da torcere a Viper stesso se si fossero trovati a combattere l'uno contro l'altro.

«Puoi anche usare Fiamme della Nebbia? E da dove è saltato fuori quel tridente?»

«Kfufufufu tra le altre cose, sì. Non preoccuparti del tridente, piuttosto...»

Verde sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando vide gli occhi del ragazzo: mentre quello sinistro era azzurro -più intenso di quello di Knocker, tendente al blu del cielo quasi- quello destro era rosso come il sangue, terrificante ed intrigante allo stesso tempo. Sembrava che al posto della pupilla vi fossero dei numeri all'interno -erano kanji giapponesi quelli?- e pensò a quanto sarebbe stato bello poter studiare quel fenomeno per venire a capo di quel mistero.

Si sentiva eccitato al solo pensiero.

«Abbiamo un'offerta interessante per te, Arcobaleno Verde. E visto il tuo attuale... blocco, se così lo possiamo definire, credo proprio che ti converrebbe accettare.»

Verde sogghignò, per nulla impressionato. Ripose la pistola nel camice e si sistemò gli occhiali sul naso, avvicinandosi di qualche passo ai due estranei senza mai abbassare lo sguardo. Vedendolo abbassare le armi, anche Kaiman si rilassò, senza però allontanarsi dal suo fianco.

«Sai, non sono molto propenso ad accettare proposte da perfetti sconosciuti. Temo di essermi perso il nome. Chi saresti tu ancora?»

Il ragazzo sogghignò -era forse rimasto impressionato dalla sua calma?- inarcando appena la schiena in avanti ed incrociando un braccio al petto, come se con quell'inchino avesse potuto scusarsi per non essersi presentato.

«Oya oya, perdona i miei modi scortesi. Il mio nome è... Hayato, Guardiano della Tempesta della Famiglia Giglio Nero. Sono qui sotto ordine di Luce, l'Ottavo Boss della Famiglia.»

Verde fu colto alla sprovvista. Un sottoposto di Luce? Cosa poteva volere ancora da lui quella donna, e cosa poteva essere così urgente da mandare uno dei suoi Guardiani in persona?

«Quale onore, anche se avrei detto Nebbia, piuttosto che Tempesta. Cosa può volere Luce la Santa da questo povero scienziato indifeso?»

Il ragazzo -Hayato- sorrise ancora, mentre Iemitsu assisteva a tutto in disparte, passando lo sguardo da lui a Knocker in cerca di qualche segnale che preannunciasse un attacco che, Verde sapeva, non sarebbe mai arrivato.

Nè lui né il suo pupillo erano amanti della violenza fisica, e se anche lo fossero stati, nessuno dei due aveva il fisico adatto ad ingaggiare battaglia con due mafiosi ben allenati: erano forti sostenitori del potere della mente, avevano quindi tralasciato ogni cosa comprendesse sforzo fisico.

Vide Hayato chiudere un secondo gli occhi, frugarsi nell'interno della giacca nera, per poi estrarne una scatola ed aprirla senza esitazione proprio davanti ai suoi occhi, dandogli la possibilità di ammirarne il contenuto in tutto il suo splendore.

Ora, Verde era abbastanza sicuro delle sue abilità di mascherare le emozioni -forse non hai livelli di Reborn, ma comunque non era facile capire quello che pensasse realmente per la sua mente- e di avere sempre il pieno controllo su di esse, eppure sentì i muscoli del viso contrarsi con scatti costanti una volta che i suoi occhi si posarono sui ciucciotti che il ragazzo custodiva.

«Siamo qui per offrirti di riprendere il tuo ruolo di Arcobaleno, niente maledizioni e alcuni vantaggi una volta che il tuo corpo avrà riacquistato la sua vera età. Kfufufu conveniente non ti pare?»

Verde non rispose, continuando a fissare intensamente il ciocciutto verde -il suo ciuccio, le sue Fiamme del Fulmine concentrate e racchiuse in un piccolo oggetto di vetro- dando solo rapide occhiate al resto della scatola. Erano rimasti solo quattro ciucci compreso il suo, quindi almeno altri tre avevano già accettato di riprendere il loro ruolo di custodi -non sapeva se anche Lal Mirch fosse stata contattata, dopotutto lei era un fallimento.

Una ghiotta opportunità, quasi come se il fato -non Dio, non c'era alcun Dio in cui Verde credesse- avesse deciso di dargli la possibilità di continuare le sue ricerche. Era un segno, una benedizione, un'occasione che non si sarebbe lasciato sfuggire.

Sorrise, aggiustandosi ancora gli occhiali sul naso e sogghignando.«Sembra una proposta interessante, dimmi di più.»

 

***


Quando si sentiva parlare di banlieue -la periferia, i sobborghi delle metropoli francesi- il primo nome a cui ogni giovane mafioso associava quel termine era Saint-Denis, il luogo con più alto tasso di criminalità di tutta la Francia.

Terroristi, spacciatori, ogni genere di feccia umana si radunava nei banlieue più poveri dove lo Stato era completamente assente, dove potevano fare il bello ed il cattivo tempo senza conseguenze. Luoghi lasciati alla mercè della criminalità organizzata senza alcun controllo da parte di autorità e forze dell'ordine, che intervenivano soltanto in caso di specifici eventi che potevano minare la sicurezza della capitale.

Se non si rappresentava un pericolo per Parigi, allora non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Era in uno di quei luoghi nefasti e sporchi che la sua prossima missione si sarebbe svolta, l'assassinio di un qualche mafioso insignificante che aveva fatto arrabbiare le persone sbagliate, credendo di poterla fare franca illeso.

Povero illuso.

Normalmente non accettava lavori in posti così malmessi -non valevano la paga solitamente, erano più i soldi spesi che quelli guadagnati- odiava il puzzo di fogne che solitamente appestava quegli ambienti, la feccia che si nascondeva in ogni angolo credendo di poter guadagnare qualcosa semplicemente mendicando, o accoltellando qualcuno alle spalle, a seconda del metodo preferito. Aveva acconsentito solo stavolta, poiché la paga era piuttosto lauta, e ultimamente il denaro nelle sue tasche scarseggiava come non capitava da un po'.

Qualcosa a cui Mammon doveva assolutamente rimediare.

Quella sera non era Viper -l'altro nome, doveva pur distinguersi in qualche modo- e forse per quel genere di missioni, Mammon era più adatta.

Sorseggiando quello che voleva essere un buon bicchiere di rum con ghiaccio, Mammon era seduta al banco della catapecchia in cui il suo obbiettivo si era radunato per conferire con i suoi colleghi, sbraitando, ridendo e bevendo, raccontando a chiunque della sua stupefacente impresa, di come aveva “fottuto come una puttana” il capo di una grande Famiglia mafiosa Francese.

Illuso. Nessun pivello poteva pensare di derubare una Famiglia e farla franca senza conseguenze.

Nascosta nell'illusione di una giovane donna -dannato corpo da poppante, non era ancora tornata alla normalità- osservava l'uomo farsi beffe di coloro che aveva truffato, ignaro di ciò che lo attendeva di lì a poco.

Aveva soltanto bisogno di una scusa, del momento adatto per agire ed essere sicura di potersela svignare senza che qualcuno avesse possibilità di rintracciarla.

«Célébrons! N'y a-t-il pas une femme qui veuille l'avoir avec moi? Je suis riche!»

Quello era il momento che Mammon aspettava. Bevve fino all'ultimo sorso del suo drink, lasciò qualche moneta sul banco e si avvicinò seducente al tavolo dell'obbiettivo, muovendo i fianchi e lasciando aperta l'ampia scollatura che dava libera visuale al suo prosperoso seno.

Se Fon l'avesse vista in quel momento, probabilmente l'avrebbe rimproverata -«Avventata come al solito, un uso improprio del tuo corpo»- ma siccome era avvolta da un'illusione che avrebbe fatto tutto al posto suo, Mammon si sentì sicura che nemmeno l'esperto di arti marziali avrebbe potuto dire nulla a riguardo.

Era diventato stranamente protettivo -oltre che critico verso ogni sua singola mossa- e questo la irritava da morire.

«Excusez-moi.» disse con voce suadente, portandosi un dito alla bocca e mordicchiandosi l'unghia sensualmente. Accennò appena ad un sorriso. «Y a-t-il un place pour moi?»

L'obbiettivo rimase interdetto per alcuni secondi, prima di sorridere ferino e avvicinarsi a lei, afferrandola per i fianchi e palpandole il sedere a mano piena, senza la minima intenzione di nascondere il suo viscido desiderio.

Disgustoso -è solo l'illusione, solo l'illusione- ma la paga valeva il disturbo. Si appuntò di non usare più il trucco della seduzione per arrivare al bersaglio, era davvero fastidioso.

Sentì Fantasma ribellarsi sulla sua testa -non la lasciava mai sola, ovunque lei andasse, la piccola salamandra era con lei- ma gli ordinò di non interferire: non piaceva nemmeno a lei, ma era pur sempre lavoro.

Le si avvicino al viso leccandosi lascivo le labbra -aveva l'alito che puzzava di alcol, dovette concentrarsi per non vomitargli addosso- e sentiva l'erezione del maniaco premerle su una coscia, mentre smaniava per affondare le sue dita unticce nei suoi seni.

Disgustoso. Ancora una volta, si ripeté che la paga valeva il sacrificio.

Riuscì a convincerlo a lasciare quel postaccio prima che decidesse di essere troppo ubriaco per preoccuparsi della decenza e decidesse di spogliarla nel bel mezzo del locale, portandolo in quello che avrebbe dovuto essere il suo appartamento.

“Col cazzo che porto una feccia della tua risma nella mia stanza d'albergo, con tutto quello che mi è costata.” pensò, mentre le labbra del target si avventavano sulle sue, mentre con le mani tastava ogni sua parte con disperato bisogno, come un polipo viscido e arrapato.

Disgustoso. Si appuntò di chiedere un extra sulla paga, dopo un trattamento del genere se la meritava.

Quando l'uomo diventò più intrepido -più avido, desideroso di possederla lì e subito- avvicinandosi al tessuto della minigonna che indossava con il chiaro intento di toglierla ed avere libero accesso alle sue grazie -è solo l'illusione, sta solo toccando un'illusione, povero stupido- Mammon decise che ne aveva abbastanza.

Rilasciò con più violenza le sue Fiamme della Nebbia, avvolgendo il target e scostandosi, materializzandosi alle sue spalle nella forma bambina che era il suo corpo in quel momento, avvolta dal mantello nero che indossava sempre, cappuccio calato e sguardo nascosto da quest'ultimo.

Guardò con ribrezzo l'uomo che continuava imperterrito a toccare l'illusione, mentre questa rispondeva ai suoi movimenti così come Mammon voleva, tenendolo impegnato quanto bastava affinché potesse compiere la missione e porre fine a quell'insignificante vita una volta per tutte.

Fantasma comparve sulla sua testa, eccitato, pronto più di lei ad uccidere quell'uomo che aveva osato sfiorarla. Sbuffava impaziente, e Mammon non poteva che concordare con lui.

«Concordo, è davvero patetico. Direi che è il momento di finirla.»

Schioccò le piccole dita e rilasciò le sue Fiamme, andando ad attaccare la parte del corpo umano che con le sue abilità riusciva a danneggiare più di tutto: il cervello.

Fu un istante, le illusioni si dissiparono attorno a lei, trasformando la stanza in cui credeva di essere in un puzzolente vicolo non troppo lontano dalla locanda in cui era stata “abbordata” dall'uomo, mentre il corpo di quest'ultimo cadeva a terra, il sangue che usciva copioso dalla bocca, le orecchie e perfino gli occhi. Le pupille bianche erano rivolte verso l'indietro, dando al cadavere un aspetto terribile e inquietante.

Mammon sorrise. Aveva esagerato forse -al diavolo, non si pentiva di nulla- ma era ciò che quel tipo di era meritato per averla palpeggiata nell'istante stesso in cui aveva posato gli occhi su di lei -sull'illusione da lei creata, non c'era la minima possibilità che per un lavoro del genere avesse usato il suo vero corpo.

Storia della bambina a parte non si sarebbe lasciata toccare da nessuno, uomo e donna che fosse. Beh, forse una persona con cui non le dispiaceva avere piccoli contatti fisici -una stretta di mano, gomiti che di sfioravano per caso- c'era, ma prima di ammetterlo Mammon si sarebbe strappata la lingua a morsi.

Guardò ancora il cadavere a terra, scattò una foto come prova per il cliente e sbuffò.

«Te la sei cercata, figlio di puttana.»

«Waa! Che disastro! E chi pensava che una bambina potesse creare tutto questo trambusto?!»

Mammon si girò di scatto. Se avessero potuto vederle gli occhi, vi avrebbero letto l'orrore e la sorpresa di trovarsi davanti due individui senza che ne avesse percepito la presenza, qualcosa che non le capitava da diverso tempo ormai.

Fissò con sconcerto i due ragazzi che passavano lo sguardo da lei al cadavere alle sue spalle, uno con sconcerto e sorpresa, l'altro assolutamente impassibile.

Ad una seconda occhiata, Mammon quasi si strozzò nel constatare che uno dei due era Iemitsu Sawada, il neo-Boss del CEDEF, un membro onorato della Famiglia Vongola.

Cosa ci facesse lì in Francia -cosa volesse da lei e come avesse fatto a rintracciarla- Mammon non lo sapeva, ma sembrava preoccupata. Solitamente i Vongola non portavano nulla di buono.

«È un piacere vederti, Arcobaleno della Nebbia, Vipe... ah... Mammon-san?»

A parlare era stato il secondo ragazzo -ma lo era veramente?- alto e biondo, l'occhio destro chiuso come se non potesse vedere attraverso di esso, mentre il destro era viola brillante, illuminato dai raggi chiari della luna piena che quella sera brillava sopra le loro teste.

Quella frase lasciò Mammon interdetta. Lui... sapeva? Come aveva fatto a distinguerli? Nessuno -Fon era stato il primo, seguito dagli altri Arcobaleno, ma oltre a loro nessuno sembrava essersi mai reso conto della differenza- era mai riuscito a capire quando fosse Mammon o quando Viper.

Perché erano la stessa persona e due persone diverse contemporaneamente. C'erano giorni -settimane anche- in cui l'uno prevaleva sull'altro, senza però prendere il dominio completo di quel fragile corpo, che imperterrito continuava a cambiare e cambiare, senza mai fermarsi e bilanciandosi in un equilibrio proprio con cui era poi riuscita a convivere.

Quel loro essere versatili, quel loro non essere sempre Viper o sempre Mammon era stata la causa per cui si erano ritrovati soli quando ancora erano dei bambini veri, tutto perché le persone che avrebbero dovuto amarli non erano stati in grado di accettarli per quello che erano. Né a Mammon né a Viper sembrava importare più di tanto.

«Sono Mammon, che cosa volete da me?»

Vide Iemitsu storcere il naso e aggrottare la fronte, grattandosi il capo in cerca di chissà quale rivelazione divina.«Ma... l'Arcobaleno della Nebbia... non si chiamava Viper?»

«Il nome ufficiale è quello CEDEF-san, ma dipende... in questo momento è Mammon-san.»

Mammon non tolse gli occhi di dosso dal ragazzo -e ancora, perché aveva la sensazione che fossero più simili di quanto non credesse?- chiedendosi come sapesse tutte quelle cose su di lei -su di loro- e come facesse a sapere quando era l'uno e quando era l'altro.

Eccetto per il nome e per... beh quello, erano sostanzialmente la stessa persona. Era alquanto interessante, ma non poteva lasciarsi distrarre.

«Parlate, cosa vogliono da me i Vongola tanto da mandare il Giovane Leone in persona a parlarmi?»

Sawada rimase indietro -poteva leggere la sorpresa di essere stato chiamato con il suo titolo stampata negli occhi- lasciando che fosse il compagno ad avvicinarsi.

«Sono il Guardiano della Tempesta di Luce Giglio Nero-sama, e sono qui con CEDEF-san per proporti una cosa Mammon-san.»

Lo vide estrarre una scatola dalla giacca, e porle davanti agli occhi proprio l'ultimo oggetto che avrebbe voluto avere davanti in quel momento: dopo tutto ciò che aveva passato, per quale motivo Luce mandava qualcuno a portarle di nuovo uno stramaledetto ciucciotto?!

Prima che potesse aggredire -verbalmente e fisicamente- i due giovani, il Guardiano di Luce parlò di nuovo.

«Vogliamo che tu porti di nuovo con te questo ciuccio. Che tu ne sia il custode, che lo usi come meglio credi, e che impedisca che cada in mani sbagliate. Niente maledizione, possibilità interessanti una volta che il tuo corpo sarà tornato alla normalità.»

Poteva essere anche una proposta interessante -quali possibilità intendesse era davvero curiosa di scoprirlo- ma ci voleva più di questo per convincerla e riprendere in mano l'oggetto che le aveva rovinato la vita.

«Inoltre, i Vongola e i Giglio Nero si assicureranno di darti protezione e asilo ogni qual volta tu ne abbia bisogno, sopperendo ovviamente ad ogni spesa e fornendoti un compenso mensile che si duplicherà nel caso in cui deciderai di svolgere missioni per conto delle due Famiglie.»

Ok, ora parlavano la stessa lingua, tuttavia non era ancora sicura di voler accettare. Ci pensò attentamente, notando come nella scatola soltanto due ciucci fossero ancora coricati sulla stoffa che li proteggeva: quello viola di Skull e quello rosso di Fon. Se avessero rifiutato e se semplicemente non avessero ancora ricevuto la proposta, questo Mammon non lo sapeva.

Ci pensò ancora, e alla fine si arrese, sospirando. Che senso aveva rimuginarci? Era quasi scontata la sua risposta a quella proposta.

Dopotutto, niente per loro era più importante dei soldi.
 

***
 

Di cose spaventose nella sua vita, Skull ne aveva affrontate così tante da non poterle contare sulla punta delle dita. Perfino in quel momento, durante il suo tour in Germania -poteva tornare a fare lo stuntman, ad esibirsi come faceva un tempo- gli era capitato più volte di trovarsi faccia a faccia con la morte, ridendole in faccia come aveva sempre fatto, ancora prima che l'intero casino degli Arcobaleno avesse inizio.

Lui era Skull dopotutto -lo Stuntman Immortale- colui che sfidava il cupo mietitore e riusciva a farla franca, non poteva lasciarsi spaventare da esso.

Reborn e Colonnello erano stati forse la sua prima vera paura -col cazzo che l'avrebbe ammesso davanti a quegli stronzi, piuttosto avrebbe mangiato un calzino sudato!- e per ovvie quanto sconvenienti ragioni. Erano dei bulli, dei prepotenti, che pensavano di essere più forti solo perché avevano qualche abilità in più rispetto a lui -tze, un giorno glie l'avrebbe fatta vedere lui, nessuno poteva deridere il grande Skull-sama e passarla liscia!- e dopo che la maledizione era cominciata, avevano smesso del tutto di prenderlo sul serio.

Con la fine della maledizione ed il suo corpo che lentamente stava tornando alla sua forma originale, Skull era certo che nessuno avrebbe più osato deriderlo, riuscendo così a guadagnare il rispetto che meritava e a mettere a tacere una volta per tutte i suoi cosiddetti “sempai”.

Nessuno avrebbe più potuto fargli paura.

In quel momento però, bloccato al muro da uno strano biondino armato di tonfa -da dove li aveva tirati fuori poi?- Skull provò cosa significasse avere davvero paura.

Gli occhi grigi erano spietatamente puntati su di lui, che senza casco poteva solo sudare freddo sotto quello sguardo di ferro.

«Erbivoro, prendi questo e adempi al tuo compito, altrimenti ti morderò a morte.» aveva esordito, piazzandogli sotto il naso il suo ciucciotto e quasi costringendolo a riprenderselo.

Skull aveva quasi voglia di piangere ed urlare per la paura, continuando a chiedersi perché quel genere di situazioni capitassero sempre e solo a lui.

«As-Aspetta Haya-chan! Se non gli spieghi per bene non puoi aspettarti che accetti!» intervenne allora il suo compagno, l'altro biondino dalla faccia famigliare che però Skull non ricordava dove aveva già visto.

Il lupo dagli occhi grigi grugnì, mormorando un qualcosa che sembrava un “erbivori” ed un qualcosa che ricordava la parola giapponese “kamikorosu” prima di allontanarsi e sbuffare.

L'altro ragazzo rimase con lui, sorridendogli e chiedendo scusa per il comportamento del suo strano compagno, giustificando il tutto con uno scherzoso:«Non farci caso, soffre di personalità multipla!»

Per qualche ragione, Skull non faticava a crederlo.

Mentre Iemitsu -così si era presentato- gli spiegava le ragioni sotto quella richiesta -”richiesta” un paio di palle! Quello psicopatico lo stava palesemente obbligando ad accettare!- il lupo tornò verso di loro, con qualcosa di diverso che lasciò perplesso l'ex Arcobaleno.

Era sicuro che gli occhi di quel bulletto fossero grigi, quindi com'è che ora erano verdi come un prato in piena primavera? Si sfregò gli occhi, forse tutta la stanchezza accumulata durante il tour gli stava facendo venire le allucinazioni.

«Yare yare, ti chiedo scusa per prima, sono stato un vero maleducato. Caramella della pace?» e gli offrì una caramella all'uva che Skull accettò molto volentieri.«Allora, pensi di poterci aiutare? Reborn e Colonnello hanno accettato, ma se tu non te la senti...»

Skull gonfiò le guance, quasi offeso da quella mancanza di fiducia nelle sue capacità di custodire quello stupido ciuccio. Inoltre, se Reborn e Colonnello avevano accettato e potevano farcela, lui era certo di poter fare incredibilmente meglio.

«Da qua!» strappò il ciuccio dalle mani del ragazzo, tenendolo stretto tra le proprie e mostrandolo con fierezza ai due mafiosi.«Non c'è nulla che il grande Skull-sama non possa fare! Sarò anche meglio di quei due vigliacchi di Reborn e Colonnello, ahahahahah!»

Ghignò, mentre pensava alle facce stupefatte di quei due plebei prostrati ai suoi piedi, mentre si scusavano e ammettevano finalmente la sua indiscussa superiorità.

Un momento che Skull aspettava con ansia.

 

***

 

Guardando fuori da finestrino, Iemitsu riusciva a stento a trattenere un sorriso.

Le nuvole passavano attorno a loro veloci, mentre attraversavano il cielo per la quinta volta nell'arco di cinque mesi, dirette verso la loro ultima meta, la conclusione di quel lungo viaggio che li aveva visti compagni per quel lungo lasso di tempo.

Lo schermo sopra di loro parlava chiaro, mentre la linea rossa tracciava la distanza rimasta da percorrere tra l'aeroporto internazionale di Hong Kong e quello di Narita a Tokyo, la loro ultima destinazione.

Ormai non mancava molto.

“Manca poco Nakano-chan, aspettami!” sperò solo che ad Hayato non dispiacesse fare una piccola deviazione una volta conclusa la missione: dopo tutto quel duro lavoro, una breve pausa non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

«Sei emozionato?»

Dire emozionato era un eufemismo: gli sorrise, mostrandosi l'energico e scapestrato ragazzino che non aveva mai smesso di essere, nemmeno ora che aveva quasi 23 anni.

«Non vedo l'ora di arrivare! Sono certo che ti piacerà tantissimo, vedrai!» si lasciò trasportare dai sogni, passando un braccio attorno al collo di Hayato e attirandolo con foga a se.«Ti farò fare un giro per il centro, c'è uno dei cafè più in voga del Giappone! Pranzeremo da Aki-chan, fa il miglior sushi in circolazione e... ah! La cosa più importante, potrò farti conoscere Nakano-chan! La mia amata Nakano-chan!»

Vide Hayato aggrottare la fronte.«Nakano-chan?»

Annuì con vigore.«La kouhai più dolce che io abbia mai avuto!»

Iniziò a fantasticare su come sarebbe stato meraviglioso rivedere finalmente lo splendido viso di Nakano-chan, risentire la sua risata, il suo dolce profumo di lavanda e... inevitabilmente, Iemitsu arrossì di colpo.

«Mi raccomando però, non innamorarti di lei! So che è fantastica, simpatica e semplicemente bellissima, ma non posso assolutamente lasciartela! Nemmeno se sei tu, Haya-chan!»

Vide Hayato piegare le labbra -era un sorriso quello? Facevano progressi!- annuendo distrattamente.

«Certo, nessun problema. Cerca di non sbavare troppo, o la tua “Nakano-chan” potrebbe fuggire a gambe levate.»

Iemitsu gli si avvicinò, sorridendo ferino ed abbassando di alcuni decimi la voce.

«Tu piuttosto, cerca di tenere sotto controllo le tue personalità multiple, specie Nebbia-san e Nuvola-san, ne sarai in grado?»

Hayato arrossì fino alla punta delle orecchie, e a quella vista Iemitsu non riuscì a trattenere una grassa risata.

«Cos...?! Ti ho già detto che non è così! È solo colpa delle Fiamme! Le Fiamme!» ma Iemitsu non stava più ascoltando, coprendo ogni parola con le proprie risate.

«Sei davvero uno spasso Haya-chan!»

Gli faceva piacere vederlo così rilassato, specie visto che ultimamente Hayato sembrava perdersi nei propri pensieri, chiudendosi in sé stesso e tagliando fuori il mondo e chiunque avesse attorno.

Avevano girato l'intera Cina alla ricerca di Fon, l'ultimo Arcobaleno che mancava al loro appello, senza successo e finendo per doversi scontrare con membri della Triade alla ricerca della stessa persona. Un mese duro, il più lungo e difficile che avessero affrontato alla ricerca dei bambini prodigio, solo per scoprire che l'Arcobaleno della Tempesta aveva fatto perdere le sue tracce, sparendo dai radar mondiali della Triade e di chiunque non fosse un suo stretto alleato.

Privi di qualsiasi indizio utile, avevano quindi deciso di contattare Luce -sperando che avesse mantenuto contatti almeno con lei- che aveva comunicato loro di sapere dove Fon si trovasse, di averlo visto nelle sue visioni e quindi di poterli aiutare.

Iemitsu aveva quasi urlato di gioia quando aveva sentito dove si nascondeva. Hayato, di contro, si era come congelato.

Sembrava davvero preoccupato -agitato?- come se l'idea di andare a Namimori lo terrorizzasse, ma per quale motivo avrebbe dovuto? Iemitsu questo non lo sapeva, ma desiderava poter aiutare l'amico in qualche modo. Era contento di essere riuscito a distrarlo, scogliere almeno un po' della tensione che l'aveva avvolto in quegli ultimi giorni.

«Ormai non manca poco, tra poco atterreremo, meglio prepararci per il viaggio.»

Iemitsu annuì, riuscendo a scorgere oltre la nebbia di nuvole, le luci che animavano Tokyo. Poche ore di treno lo separavano da casa, non stava davvero più nella pelle.

“Sto finalmente tornando. Namimori, arrivo!”

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Capitolo 8
*** Target 8- Namimori ***


N.d.A.- Chaossu! 
Eeeeee finalmente il "Facciamo tornare gli Arcobaleno" Arc si è concluso, da ora inizia una nuova "fase" di storia, che vedrà non solo l'interazione dei Guardiani con Vecchie conoscenze, ma si saprà di più su questo "fantomatico" nemico xD
Spero non ci siano troppi errori, ammetto di aver fatto un po' fatica a finire questo capitolo...
Grazie a tutti per il costante supporto
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Sorseggiando il fumante tè verde che la cameriera aveva appena portato, Fon non sembrava nervoso: nonostante la presenza di due evidenti mafiosi nel soggiorno della sua dimora -di sua sorella in verità- l'ex Arcobaleno pareva trovarsi perfettamente a proprio agio in compagnia dei due ragazzi.

Li osservò con la coda dell'occhio, mentre Lichi aveva optato per un approccio più diretto, giocherellando con le ciocche bionde del ragazzo più alla destra -era giovane, ma negli occhi verdi che non lo perdevano di vista, Fon poteva leggere l'esperienza ed il dolore che doveva aver già sperimentato nella sua breve vita- che non smetteva di fissarlo, probabilmente attendendo che fosse lui a prendere parola; sembrava calmo e rilassato, al contrario del suo collega, che si muoveva nervosamente -se per ansia o per il dolore alle ginocchia, Fon non ne era sicuro.

Il liquido caldo gli corse lungo la gola, posò la tazzina ormai vuota sul tavolino che lo separava dai suoi ospiti, prendendo un profondo respiro e sorridendo: inclinò leggermente il capo, unendo le mani sotto le lunghe maniche della tunica rossa.«Dunque, in cosa posso esservi utile?»

Vide il ragazzo sulla destra muoversi cautamente -attento quasi a non far cadere Lichi dalla sua testa, nonostante fosse palese il fastidio che la scimmietta gli stava causando- estraendo da una giacca interna una scatola nera ed aprendola davanti ai suoi occhi.

La vista del suo ciuccio rosso lo sorprese, mentre le pulsazioni delle sue Fiamme della Tempesta acceleravano, reclamando le loro sorelle intrappolate all'interno del manufatto che ora poggiava su di un panno in raso bianco, riposto in una scatola nera, tra le mani di uno sconosciuto di cui Fon non sapeva nulla; con un profondo respiro fu capace di placarle, non togliendo però lo sguardo dall'oggetto.

«Il mio nome è Hayato, Guardiano della Tempesta di Luce Giglio Nero.» indicò poi il suo compagno, presentandolo come quello che Fon sapeva già essere il Giovane Leone dei Vongola, ma restando in silenzio ad ascoltare ciò che i due mafiosi avevano da riferirgli.«Siamo qui per proporti un accordo, con l'approvazione di Luce-sama e di Timoteo Vongola e la loro parola incondizionata.»

A quel punto, Fon era pienamente concentrato sui ragazzi e su ciò che avevano da riferirgli: sorrise, sistemandosi meglio sul cuscino a richiamando Lichi al suo fianco, accarezzandole il pelo bianco con delicata dolcezza.«Yare yare, mi chiedo cosa possa essere, questo accordo di cui parliate.»

Il ragazzo -Hayato, si appuntò mentalmente di ricordare- gli raccontò dei ciucciotti, probabilmente frasi che aveva ripetuto ancora e ancora ai suoi colleghi Arcobaleno, menzionando anche come tutti gli altri avessero già accettato l'incarico di custodire i manufatti ed il loro potere.

Dal canto suo, Fon non aveva alcun problema a riprendere la custodia del ciuccio, finché nessuna maledizione gravitava sulla sua testa non vi era alcuna ragione per rifiutare di proteggere l'equilibrio del mondo semplicemente custodendo un piccolo oggetto appeso al proprio collo: era però curioso di sentire quale interessante proposta avessero da fargli, per cui semplicemente rimase in silenzio ed attese che continuasse.

«Sappiamo dei tuoi... problemi con la Triade.» Fon storse leggermente il naso, muovendosi nervoso sul posto.«Se accetterai la proposta, le nostre Famiglie garantiranno la tua protezione e quella dei tuoi cari, incluso l'aiuto necessario a sbaragliare l'organizzazione che ti cerca senza sosta per tutta la Cina.»

Rimanendo qualche secondo in silenzio -occhi chiusi, la tipica posa in cui gli piaceva mettersi quando doveva meditare rilassandosi- ponderando l'offerta ricevuto e non trovando alcun motivo apparente per cui rifiutare: se già inizialmente non avrebbe avuto ragioni di declinare l'offerta, ora non poteva nemmeno permettersi di ignorarla.

«E l'unica condizione è che io custodisca di nuovo il ciucciotto?»
Hayato annuì, e Fon sapeva per certo che non stava mentendo, che nei suoi occhi verdi vi era solo pura e sincera determinazione, basata sulla certezza che le parole pronunciate fossero autentiche e veritiere: era semplice da leggere, e al contempo era impossibile farlo con chiarezza; un soggetto decisamente interessante.

Fon sorrise, congiungendo le mani e piegandosi in un leggero inchino:«Beh, direi che abbiamo un accordo. Vi ringrazio per la generosa offerta.»
Non avrebbe potuto fare una scelta migliore.

 

***


Quando Hayato aveva accettato di seguire Iemitsu per pranzo -nel locale più buono di Namimori, a suo dire- l'ultimo posto in cui aveva creduto di potersi ritrovare era il TakeSushi: guardando l'esterno con attenzione, si ritrovò a pensare che non fosse cambiato di una virgola negli anni, conservando quell'aspetto normale ma famigliare che sapeva di gioia, buon cibo e casa.

Un'ondata di Fiamme della Pioggia si mosse sottopelle, straripando allegra alla sola vista del luogo che per tutti loro rappresentava un punto focale nel tempo speso accanto al Decimo; dovette imporre la propria Tempesta con quanta più decisione possibile per impedire alle Fiamme di Takeshi di sommergerlo completamente.

«Datti una calmata, maniaco del baseball!» ringhiò a denti stretti, attento a non farsi sentire da Iemitsu. Per essere un'idiota -passato o presente, quella particolare caratteristica era costantemente associata al Giovane Leone- aveva capito fin troppe cose sulla loro sua condizione, forse anche dovuto allo scarso controllo che aveva esercitato sugli altri Guardiani durante gli ultimi mesi, non poteva rischiare di insospettirlo ulteriormente.

Gomen gomen Hayato! Non ho potuto resistere.

E come dargli torto? Per quanto avesse voluto accusarlo e dargli dell'idiota, non poteva fargliene una colpa, non quando Kyoya si era quasi imposto, cercando di prendere il controllo del corpo non appena erano sbarcati a Namimori nel tentativo di riprendere il controllo di ciò che era stato suo, o quando ci aveva riprovato poche ore prima, davanti a quella che era stata la residenza degli Hibari per generazioni.

Tze, dovrei mordervi tutti a morte per avermi trattenuto.

Non poteva rimproverare Takeshi, non quando il Sole di Ryohei l'aveva tenuto sveglio durante tutto il viaggio in aereo, eccitato di rimettere piede sul suolo Giapponese, nella cittadina che per tutti loro era stata l'inizio di una meravigliosa -seppur dolorosa- avventura.

È tutto estremamente eccitante!

Erano tutti degli estremi idioti, ma non poteva farne loro una colpa.

«Coraggio Haya-chan, entriamo! Non vedo l'ora di farti conoscere Aki-chan!»

Con uno sbuffo -calma e sangue freddo, è solo un ristorante- seguì Iemitsu all'interno: abbassando il capo e spostando le tendine azzurre che adornavano l'ingresso, Hayato fece il primo passo, assicurandosi di avere ognuna delle Fiamme sotto controllo, mentre le sole grida di Iemitsu erano sufficienti ad annunciare la loro presenza a chiunque vi fosse nel ristorante in quel momento

Concentrandosi sugli arredi che lo circondavano, lasciò che lo sguardo corresse all'interno del locale, posandosi su ogni particolare, anche il più insignificante, ricercando quei segni della loro presenza che non avrebbero mai potuto esserci -non era il loro tempo, non c'era possibilità che vi fossero- nella vana speranza che qualcosa in quel luogo così famigliare richiamasse casa.

Non ne trovò nessuno.

Spariti, perduti nelle stesse vene del tempo che avevano cavalcato per raggiungere il passato per fermare un potente nemico, colui che aveva strappato loro il Cielo in un istante, senza preavviso, prima conquistando la loro fiducia per poi pugnalarli alle spalle nella notte: una ferita ancora aperta e sanguinante, ma che non avrebbero permesso si aprisse ancora.

Sentì la tristezza scorrergli sotto la pelle -troppi flussi di Fiamme affrante, rischiava di lasciarsi trascinare da un miscuglio di sentimenti non suoi, calma Hayato, si disse, respira- e per un attimo non riuscì a muoversi, spostandosi alcune ciocche bionde dal viso, ricercando la calma e la compostezza che aveva mostrato davanti a Fon, una maschera impassibile per proteggersi da un mondo che non era ancora pronto ad affrontare.

Una voce sconosciuta alle orecchie di Hayato li raggiunse dal retrobottega, ridando vita alle Fiamme di Takeshi che sembravano premere ancora più forte per straripare e portare il proprio possessore al controllo: quella voce, di chiunque fosse, doveva rappresentare qualcosa di più per la Pioggia, questo Hayato poteva intuirlo senza che gli venisse spiegato.

«Eccomi! Prego, come posso... Itsu-chan?!»

Hayato si prese qualche momento per studiare la ragazza appena comparsa, rimasta come paralizzata alla sola vista di Iemitsu -Itsu-chan? Sul serio?- che sembrava invece estasiato da quell'incontro: la ragazza -non più vecchia di loro- aveva i capelli scuri raccolti in una coda alta, coperti da un pratico foulard raffigurante un polipo allegro che spruzzava dell'inchiostro -la scritta “Takesushi” brillava in arancione sulla macchia nera lanciata dall'animale- mentre gli occhi azzurri come l'acqua erano leggermente dilatati, illuminati di gioia ed un qualcosa che Hayato non riuscì ad identificare.

«Aki-chan!»

Prima di poter aggiungere una qualsiasi altra frase, la ragazza fu addosso a Iemitsu, attorcigliandogli le gambe al collo ed immobilizzandogli le braccia a terra, nella miglior presa che Hayato avesse mai visto fare ad una donna.

Yosh! Voglio questa ragazza nel mio club! Sembra estremamente forte!

Battendo una mano con forza a terra, Iemitsu chiamò la resa, ma soltanto dopo svariati minuti di dolore e sofferenza, “Aki-chan" decise di liberarlo e concedergli finalmente la grazia, non abbandonando il broncio con cui aveva fulminato Iemitsu dal momento in cui lo aveva atterrato.

Riprendendo aria e massaggiandosi il collo arrossato, Iemitsu fulminò di rimando la ragazza, puntandole addosso un dito in accusa: «Sei sempre il solito maschiaccio manesco, si può sapere che razza di problemi hai?!»

«Che problemi ho IO?! Sei tu quello che è sparito senza una parola, hai idea di quanto mi sia preoccupata?!» aveva ribattuto Aki. Incrociando le braccia sotto il seno e dando le spalle all'altro giovane.

«Te l'ho detto che sarei partito! Ma tu eri troppo presa dal fare la sposina per prestarmi attenzione!»

«Oh, scusami se durante il MIO matrimonio ero troppo impegnata per ascoltare le tue preoccupazioni!»

Si fissarono aggressivi per diverso tempo -Hayato era davvero convito che si sarebbero saltati alla gola da un momento all'altro- per poi scoppiare a ridere ed abbracciarsi pacificamente, restando l'uno tra le braccia dell'altro per un tempo che parve infinitamente lungo.

«Mi sei mancato tanto Itsu-chan, è bello riaverti a casa.»

«Anche tu mi sei mancata Aki-chan, ed è bello essere tornati.»

Quando fu sicuro che le smancerie fossero abbastanza, Hayato tossì per attirare l'attenzione dei due, che arrossendo si separarono di colpo, quasi si fossero scordati della sua perenne presenza nella stessa stanza fin dal principio: probabilmente era stato così.

«Perdonami Haya-chan, mi sono fatto trasportare!» si giustificò Iemitsu, per poi sorridere all'amica e procedere finalmente alle presentazioni.«Aki-chan, questo è Hayato, mio collega e grande amico in Italia.»

Avrebbe voluto chiarire che non erano affatto amici, che stavano lavorando insieme per un unico caso e che si sarebbero separati non appena avessero fatto ritorno in Italia, il prima possibile: preferì invece tacere e ricambiare il saluto con un semplice inchino, lasciandosi alle spalle il dover rispondere a svariate domande che né lui né Iemitsu avevano la forza e la lucidità di affrontare.«È un piacere.»

«Haya-chan, lei è Hayama Aki, mia amica d'infanzia e sorella in tutto eccetto il sangue.»

«Il piacere è tutto mio! Grazie di esserti preso cura di Itsu-chan, sono più tranquilla a sapere che non è da solo.» rispose con un inchino, ed una linguaccia all'indignazione mostrata dal Giovane Leone su cosa volesse implicare con quelle parole.«E comunque Hayama non è più il mio cognome Itsu-chan, dovresti saperlo.»

Iemitsu parve ricordare qualcosa all'improvviso. «Oh si, mi è ancora difficile credere che qualcuno si sia sposato un gorilla violento come te. Colpa mia Aki-chan, l'abitudine.»

Sorvolando sulle parole del giovane, Aki si voltò sorridendo verso Hayato, presentandosi una seconda volta.«Permettermi di presentarmi per bene. Sono Yamamoto Aki, piacere di conoscerti!»

Ed all'improvviso, la prepotenza delle Fiamme della Pioggia assunsero un senso.

EH?!

Hayato non sapeva come reagire -no sul serio, sapeva a cosa andavano incontro quando aveva visto l'ingresso del ristorante, ma questo? Si era preparato a Tsuyoshi, incontrare invece la madre di Takeshi era stato del tutto inaspettato- restando semplicemente imbambolato a fissare i due, bocca spalancata e occhi sgranati.

Quindi è questa la mamma di Take-nii? Sembra simpatica, in un certo senso mi ricorda mamma Nana.

Estremo!

Tze, altri erbivori.

Kfufufu uno sviluppo alquanto interessante.

La madre di Pioggia-san, andrà bene?

Di tutte le voci fastidiose che gli affollavano la testa, l'unica che non riusciva a sentire era proprio quella dell'unica persona che avrebbe avuto diritto a commentare, ma che sembrava sopraffatta dall'emozione per condividere a parole i suoi pensieri: le sue Fiamme della Pioggia però lasciavano ben intendere quale fosse il suo stato d'animo in quel momento.

Ricordi non suoi fluirono nella mente di Hayato senza che potesse fermarli, ed era certo che anche gli altri Guardiani stessero avendo la sua stessa esperienza.

 



Takeshi era felice.

Come bambino, non avrebbe potuto chiedere un'infanzia migliore, circondato dall'amore dei suoi genitori che ogni giorno riempivano di luce ed allegria la vita del giovane Yamamoto: prima dell'incontro con Tsuna, delle loro avventure e della loro amicizia, Takeshi non ricordava periodo più felice di quello passato al fianco di Tsuyoshi e Aki Yamamoto.

Un giorno poi il suo mondo perfetto era crollato, come un castello di carte in balia del vento: sua madre si era gravemente ammalata, e malgrado le cure e gli sforzi di suo padre per pagale i migliori medici del Giappone, alla fine sua madre li aveva lasciati soli, una notte di fine dicembre, quando Takeshi aveva appena dieci anni.

Da allora ogni sorriso del ragazzino era stato finto, forzato, il dolore soppresso per non causare ulteriori pensieri e dispiaceri a Tsuyoshi, concentrando tutto sé stesso nel baseball -lo sport che sua madre tanto amava e di cui era stata l'asso sia alle medie che al liceo- nel vano tentativo di cancellare il dolore che piano lo schiacciava da dentro.

Tsuna era stato la luce che l'aveva liberato, che gli aveva ridato la speranza e la voglia di vivere a pieno quella vita che sua madre gli aveva donato, ricordando come anche sul letto di morte, ella avesse continuato a sorridere splendidamente, ripetendo quanto la sua vita -seppur breve- fosse stata ricca di amore e gioia, di come avere Takeshi e Tsuyoshi accanto l'avesse resa felice.

«Ricorda Take-kun, mamma è stata molto felice, sempre. Non smettere mai di sorridere, trova delle persone che possano renderti felice, dei veri amici per cui valga la pena vivere. Sii felice, Take-kun, te lo auguro con tutto il cuore.» era stata l'ultima frase che gli aveva rivolto, dopo quel giorno Takeshi non aveva più visto il viso di sua madre.




Involontariamente, una lacrima solcò il viso di Hayato -pesante, salata, piena di sentimenti non detti e dolore non pianto- attirando gli sguardi preoccupati di Aki e Iemitsu, ignari di cosa avesse potuto causare una reazione di quel tipo in un ragazzo all'apparenza storico e serio.

«T-Tutto bene, ehm...»

«Hayato. Chiamami pure Hayato.» si riprese, cancellando la lacrima come se non fosse mai scesa, lasciando però che le Fiamme di Takeshi gli invadessero il corpo, senza però lasciargli il controllo: non poteva rischiare che crollasse, non qui e non ora, non davanti a due delle persone determinanti delle loro vite passate.«E va tutto bene, solo qualcosa nell'occhio.» classica, banale scusa per deviare l'attenzione da lui e dai suoi problemi.

Aki sembrò capire e gli sorrise, annuendo energicamente.«D'accordo Hayato-kun, tu puoi chiamarmi pure Aki!» gli porse una mano, che il ragazzo ricambiò volentieri.«Sarete affamati immagino, che ne dite di un po' di sushi?»

Hayato sentì Iemitsu squittire di gioia prima di zittirsi, guardarsi intorno perplesso e rivolgersi all'amica con un cipiglio confuso in volto.«Ma... Aki-chan, dov'è Yoshi-san?»

Facendo due più due, il ragazzo ipotizzò stesse parlando di Yamamoto Tsuyoshi.

«A fare un po' di spese, dovrebbe tornare tra poco. Coraggio avvicinatevi, state per assaggiare il miglior sushi di tutto il Giappone!»

E sedendosi al banco, osservando Aki cucinare e Iemitsu ridere e scherzare con lei, Hayato sentì un piacevole calore invadergli il petto, lo stesso sentimento che stava lentamente travolgendo anche gli altri Guardiani: in quel momento si sentì un po' più in pace, un po' più a casa.

 

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Capitolo 9
*** Target 9- Bonds ***


N.d.A.- Chaossu! 
So di essere terribilmente in ritardo (è un eufemismo, ho aggiornato un anno fa) purtroppo però ho una vita abbastanza frenetica, che non mi permette di aggiornare quando vorrei. Non vi faccio promesse, ma siccome ho finito di stilare la scaletta dei capitoli -saranno 29 in totale se non ci aggiungo cose durante la stesura- so più o meno cosa devo scrivere in ognuno, quindi dovrebbe essere più facile aggiornare. Non ci credo molto ma proviamoci!
Se volete lasciare una recensione a me fa sempre piacere sapere cosa ne pensa chi legge, se ci sono errori e/o imprecisioni o anche se il lavoro fa schifo e sto sprecando il mio tempo.
Intanto ringrazio chi legge e mi supporta in silenzio, 
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

p.p.s. Ho notato un errore nei capitoli precedenti, dove "Nakano" per qualche strano motivo è diventato "Nakamura", ho già provveduto a correggerlo,.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Nonostante Tsuyoshi non fosse mai stato parte attiva del mondo malavitoso -il fatto che fosse allievo di un maestro spadaccino non faceva di lui un criminale- c'erano alcuni nomi della mafia che perfino un mercenario errante conosceva o comunque aveva sentito nominare almeno una volta: nomi dei Boss più influenti, famosi killer su commissione ed altre figure di rilievo nel mondo della mala, tutti individui la cui forza e spietatezza era nota in più strati della criminalità organizzata.

Era consapevole della loro forza e delle proprie possibilità di sopravvivere contro esseri di un certo calibro, aveva quindi cercato di evitare ogni possibile contatto con chiunque di essi, onde ingaggiare uno scontro che sapeva di perdere sin dal principio: Hayato Giglio Nero -dal cognome apparentemente sconosciuto- era un nome relativamente nuovo nel mondo della mala moderna, ma non per questo meno temibile.

Quando l'aveva trovato seduto al bancone del suo ristorante, impegnato in una conversazione con la sua dolce Aki, il primo istinto di Tsuyoshi era stato quello di rilasciare parte delle sue fiamme mischiate all'istinto omicida, un avvertimento al malavitoso nel tentativi di intimorirlo, lasciandogli intendere che non avrebbe permesso succedesse qualcosa alla moglie senza combattere.

Il mero fatto di non avere la vittoria assicurata non l'avrebbe fermato dal proteggere la sua amata.

Nell'istante in cui però aveva notato la presenza rilassata di Iemitsu -quando aveva scoperto che il fratello adottivo di Aki era niente di meno che il figlioccio del Nono Vongola aveva quasi avuto un infarto- accanto al giovane Giglio Nero, si era leggermente rilassato, sicuro che nonostante il mondo in cui vivevano ed i pericoli che affrontavano ogni giorno, Iemitsu non avrebbe mai fatto nulla per mettere Aki in pericolo, tanto meno portarle direttamente in casa un possibile assassino.

«Ah, bentornato Tsuyoshi!»

Esclusi i due mafiosi c'erano pochi clienti nel locale -nessuna sorpresa, dopotutto era quasi ora della chiusura pomeridiana- tutti serviti e intenti a rilassarsi prima di andare e riprendere le loro consuete attività.

Aki lasciò il suo posto dietro il bancone per andargli incontro, accogliendolo con un dolce bacio che Tsuyoshi ricambiò con piacere: vide con la coda dell'occhio Iemitsu sorridere mentre li osservava, mentre il suo compagno sembrava più concentrato a fissare il sushi che non prestare attenzione alla ricongiunzione della coppia -per un attimo, Tsuyoshi credette di averlo visto irrigidirsi, ma dismise subito quell'idea assurda.

Non c'era ragione per cui un mafioso dovesse irrigidirsi in presenza di un semplice mercenario.

«È bello rivederti Yoshi-san! Ti trovo in forma, per uno che ha a che fare con Aki-chan tutti i giorni.» lo salutò Iemitsu, avvicinandosi e offrendogli una stretta di mano che Tsuyoshi accettò cordialmente, osservando la sua dolce metà colpire dispettosamente il giovane Sawada alla bocca dello stomaco per la battuta appena fatta.

«Ahahahah sempre energico, eh Iemitsu?»

Nonostante l'incertezza iniziale, Tsuyoshi si era affezionato al giovane come se fosse parte della famiglia, ma considerato il delicato rapporto di amicizia e fratellanza che legava Iemitsu e sua moglie, non avrebbe potuto negargli l'amicizia nemmeno se avesse voluto: non era così crudele da costringere Aki a scegliere tra l'amore e la famiglia.

Era una scelta che a lui era stata imposta, e ancora oggi portava le dolorose cicatrici emozionali che quella decisione gli era costata. Non esisteva né in cielo né in terra che sottoponesse la sua amata a quello stesso, crudele destino.

«Vedo che hai un ospite! Chi è il tuo amico, Iemitsu?»

È un pericolo?

Era il significato nascosto dietro le sue parole, che Iemitsu sembrò cogliere e dissipare con un semplice sorriso.

Un alleato.

«Yoshi-san, ti presento il mio miglior amico al lavoro, Haya-chan!» disse, costringendo l'altro ragazzo dai capelli biondi come il grano ad alzarsi e a fronteggiare Tsuyoshi faccia a faccia.«Haya-chan, questo è Yamamoto Tsuyoshi, il sant'uomo che ha avuto il coraggio di sposare quel maschiaccio di...»

Schivò con precisione il pugno con cui Aki stava per colpirlo alle spalle, evitando agilmente tutti gli attacchi successivi che la donna sembrava volergli infliggere.

«Ti farò rimangiare ogni singola parola, Iemitsu!»

Ouch, era davvero furibonda.

«Provaci, Aki-kun.»

Tsuyoshi scosse il capo rassegnato: si erano appena ritrovati e già Sawada aveva voglia di morire per mano della sorella.

Nonostante avesse una buona opinione di lui, a volte Iemitsu si rivelava essere più strano di quanto non sembrasse all'apparenza: nonostante tutto però, l'effetto che la sua sola presenza faceva era visibile sul viso rilassato e disteso di Aki, altrimenti costantemente in pena per la vita frenetica del fratello.

Nonostante non fosse direttamente coinvolta con la mafia, nonostante lo stesso Iemitsu avesse preferito tenerla quanto più all'oscuro possibile, una parte di Aki era comunque consapevole che qualunque fosse il misterioso lavoro di Iemitsu in Italia, non avesse nulla a che fare con costruzioni e cantieri: era qualcosa di più pericoloso ed oscuro, non serviva che qualcuno glielo dicesse, era troppo legata all'amico d'infanzia per non capire quando nascondeva qualcosa.

«A volte vorrei solo sapere cosa c'è che non va... vorrei che mi dicesse cosa lo turba, cosa lo tiene lontano da Namimori per così tanto tempo. So che lo fa per proteggermi, ma non saperlo mi rende solo più ansiosa...»

Erano state le parole con cui si era confidata una sera, mentre la stringeva amorevolmente tra le braccia, carezzandole i capelli color pece morbidi e lisci come fili di seta: avrebbe voluto dirle tutto in quell'istante, stringerla più forte e baciarla, rassicurarla che tutto sarebbe andato bene e che Iemitsu se la sarebbe cavata. Il desiderio di proteggerla aveva preso il sopravvento, tacendo su ciò che sapeva e continuando invece a carezzarle i capelli dolcemente fino a quando non si era addormentata tra le sue braccia.

Non avrebbe rischiato che la verità la mettesse in pericolo, ma anche se avesse voluto farle sapere la verità, non era quello un suo segreto da rivelare: spettava a Iemitsu e a lui soltanto la decisione se dirle renderla partecipe della sua vita segreta o meno.

«Ma fanno sempre così?» la domanda inaspettata del giovane lo riportò al presente, dove la moglie ancora rincorreva il fratellastro in circolo, nel vano tentativo di fargli rimangiare quanto appena detto, sotto lo sguardo dubbioso del fantomatico “Haya-chan”.

«Temo proprio di sì. Se bazzicherai spesso da queste parti dovrai abituarti a quei due.»

Tsuyoshi sorrise, concedendosi qualche secondo per guardare per bene il giovane biondo in giacca e cravatta che sostava accanto a lui, fermandosi sulla figura snella ma tonica, con l'eleganza e la finezza che appartenevano ad un perfetto maestro spadaccino -se la sacca accostata ai suoi piedi, perfettamente raggiungibile in caso di pericolo, fosse un indizio sull'arma prediletta del giovane.

Lo guardò a fondo, e più lo guardava, più sentiva che c'era qualcosa di particolare nel giovane che sedeva di fronte a lui: qualcosa nello sguardo, nella posa in cui era, nei movimenti del corpo che lo rendevano impossibile da decifrare, dando a Tsuyoshi la sensazione che, in un duello di spada, prevedere le mosse di questo particolare avversario non sarebbe stato possibile.

Forse ciò che più lo incuriosiva e turbava al tempo stesso era l'aura vissuta che gli aleggiava tutt'attorno, come se con quegli occhi verde opaco -avevano scintillato di marrone per caso?- avesse visto e sperimentato sulla pelle diafana più dolore e rammarico di quanto una persona così giovane avrebbe dovuto sopportare: Tsuyoshi riconosceva un sopravvissuto quando lo vedeva, e questo “Haya-chan” era di certo scampato a qualcosa di così orribile che non sarebbe stato possibile descriverlo a parole.

C'era solo una cosa a cui lo chef riuscì a pensare, ma preferì non indagare con scomode domande che avrebbero soltanto portato disagio.

«Credo allora mi dovrò abituare, Iemitsu sembra si diverta a trascinarmi in giro come un cane.» Lo vide estrarre da un taschino interno un pacchetto di sigarette, portarsene una alla bocca e rimettere il resto al suo posto, senza però accenderla. «Mi chiamo Hayato a proposito, non “Haya-chan”. Giuro che se non la smette, prima o poi lo faccio saltare in aria.»

Chissà perché, ma Tsuyoshi non aveva il minimo dubbio che fosse serio in proposito.

«Yamamoto Tsuyoshi, passa pure se hai voglia di sushi. Abbiamo i migliori piatti di tutto il Giappone.»

Ed era sincero nella sua offerta -un amico di Iemitsu era quasi automaticamente amico suo- trovandosi quasi a proprio agio in presenza del giovane, mentre le prime impressioni di sconforto e dubbio sembravano quasi completamente dissolte: non era mai saggio abbassare la guardia, ma Tsuyoshi sentiva di poter concedere un po' di fiducia a questo ragazzo.

«Credo proprio accetterò l'offerta... ora scusami, vado fuori a fumare una sigaretta, sono in astinenza da troppo.»

Tsuyoshi annuì, osservandolo mentre lasciava il locale con tranquillità.

Si portò una mano al petto, cercando di calmare la Pioggia che si agitava fremente dentro di lui: prima aveva avuto dei dubbi, ma ora era certo che ci fosse qualcosa di speciale in Hayato.

Non aveva ancora ben chiaro cosa fosse, ma sembrava che le sue Fiamme fossero entrate in una specie di risonanza con quelle del giovane, sconvolgendole sin nel profondo, quasi come se fosse...

CRASH!

Il rumore di piatti che si schiantavano a terra lo riportò alla realtà, mentre con un sospiro rilegava il mistero che era Hayato in un angolo della mente e si concentrava su come fermare la furiosa corsa di Aki e Iemitsu: era contento che si fossero ritrovati, ma era meglio fermargli prima che distruggessero ogni singola ceramica del negozio.
 

***
 

«Vi ho portato un po' di sushi, immagino abbiate fame.»

No, veramente nessuno di loro era affamato.

Erano passati giorni dall'ultima volta che avevano messo qualcosa sotto i denti, eppure nessuno aveva avuto un singolo crampo allo stomaco, la necessità di nutrirsi completamente sparita e soppiantata da un dolore ben più grande: quando un legame veniva reciso con così tanta forza da strapparti perfino l'aria dai polmoni, la fame non era poi così importante.

Takeshi capiva la preoccupazione del padre -il suo desiderio di aiutarli in questo momento difficile, di cercare almeno in parte di limitare i danni di una ferita così profonda- ma non poteva evitare di curarsi poco e nulla delle necessità del suo corpo: a che scopo sopravvivere e funzionare, se Tsuna non era accanto a loro?

Il solo pensare all'amico gli procurò una nuova fitta al cuore, strappandogli l'aria dai polmoni con aggressività, quasi come un pitone che gli si attorcigliava al collo, sempre più stretto e letale: si strinse una mano al petto, mentre con l'altra tastava alla cieca nel buio, alla ricerca di un qualsiasi contatto con uno dei suoi compagni Guardiani -ne bastava uno, uno soltanto per ritrovare la calma, uno, uno, unounounounounounouno-

Fu la mano di Kyoya a trovare la sua, stringendo con forza e fermezza, e soltanto quando sentì le dita affusolate e sottili della Nuvola intrecciarsi alle proprio, solo allora Takeshi ricominciò a respirare: Jiro e Kojiro gli si erano fatti più vicini, strusciando i musetti sulla sua pelle per far sentire la loro presenza ed il loro sostegno, infondendogli fresche e calme Fiamme della Pioggia che gli tranquillizzarono il battito cardiaco, aiutandolo nello stesso tempo a riprendere il controllo delle proprie.

Erano preziose le sue Fiamme, poiché possedevano l'attributo Calma: con la Calma della Pioggia, Takeshi poteva calmare gli attacchi di panico causati dal pensiero di Tsuna, non solo per sé stesso, ma anche per gli altri Guardiani, riducendo almeno in parte il dolore fisico che li stava consumando.

Non poteva crollare, non proprio lui che era capace di lavare via il dolore e la paura dai propri compagni.

Doveva resistere ad ogni costo.

Con la coda dell'occhio osservò Tsuyoshi trarre un sospiro di sollievo -doveva aver assistito alla scena, non faceva che farlo soffrire- facendo alcuni passi nel buio per cercare di avvicinarsi al figlio e agli altri Guardiani.

Takeshi lo lasciò fare, stringendo ancora più forte la mano di Kyoya in cerca di conforto e contatto, come a volersi assicurare che fosse ancora lì, che qualcun altro di importante non fosse sparito proprio davanti ai suoi occhi, lasciandolo solo e al buio.

Sentì la mano della Nuvola ancora stretta nella sua e si rilassò, lasciando che Kyoya appoggiasse il capo stanco sulla sua spalla, chiudendo gli occhi in un disperato tentativo di riposare e fuggire dagli incubi che tormentavano il suo sonno -il sonno di tutti loro- senza mai lasciare la presa l'uno dall'altro.

Nonostante non fosse mai stato un amante delle folle e del contatto, Takeshi sapeva che anche un lupo solitario come Kyoya stava risentendo della mancanza del Cielo più di quanto non avrebbe mai ammesso: erano diventati un branco, il suo branco, e se c'era qualcosa in cui Hibari era bravo, era proteggere ciò che era suo.

La Nuvola era possessiva e territoriale per natura, ed anche se con modi bruschi e a volte violenti, sapeva dimostrare di tenere alle cose che per lui erano importanti, di poter proteggere il branco con le unghie ed i denti al costo della vita: in altre circostanze Takeshi avrebbe sorriso della cosa, ma in quel momento il solo distendere le labbra gli riusciva impossibile.

Stancamente, appoggiando la testa su quella di Hibari, lasciò vagare distrattamente lo sguardo sul resto della stanza, alla ricerca degli altri Guardiani che erano più o meno tutti nelle stesse condizioni:accanto a Kyoya c'era Mukuro, anche lui ad occhi chiusi, con la mano intrecciata a quella della Nuvola, mentre dall'altro lato stringeva Ryohei cingendogli le spalle con un braccio, con quest'ultimo ricambiava l'abbraccio quasi inconsciamente; Chrome stringeva forte Lambo tra le braccia, lasciandosi a sua volta cullare da Hayato, che li stringeva a sé come se ne dipendesse della sua vita -probabilmente era così, il loro legame era tutto ciò su cui potevano contare per risanare la ferita- mente con la mano che scivolava dietro la schiena di Chrome intrecciava le dita con quelle di Ryohei, connettendoli l'uno all'altro in un disperato tentativo di salvarsi a vicenda dall'annegare nel dolore e nei rimpianti.

Le Box Heiki non avevano lasciato il loro fianco un singolo momento, non da quando il legame era stato bruscamente tagliato ed il mondo aveva iniziato a crollare: perdere il Cielo aveva affetto loro quanto le stesse armi, in lutto per la perdita di Natsu, scomparso assieme al suo padrone quel fatidico giorno.

«Ascoltami bene Takeshi, ascoltatemi tutti.» Tsuyoshi gli si era chinato affianco, afferrandolo per una spalla e costringendolo a specchiarsi negli occhi colmi di tristezza del padre. Si chiese come fossero i suoi, se anche loro fossero vuoti come lo era diventato il suo petto.«Io vi prometto, vi giuro che troveremo i bastardi che hanno fatto questo, che vi hanno portato via il Cielo, e gliela faremo pagare, molto, molto cara.»

Era serio, lo poteva leggere nel fugace sprazzo di rabbia che gli aveva attraversato lo sguardo mentre pensava ai maledetti bastardi che gli avevano portato via tutto.

Takeshi provava lo stesso: quando la depressione lasciava il posto ad altri pensieri e sentimenti, s'immaginava di affondare la lama nei corpi della gente che aveva preso la vita del Cielo, ancora e ancora, fino a vedere le interiora riversarsi a terra, fino a rompergli tutte le ossa e sentirli così urlare di dolore, calpestargli il cranio fino a ridurlo...

«Però» riprese Tsuyoshi, riportando su di sé l'attenzione dei Guardiani.«Voi dovete cercare di rialzarvi, reagire, ritrovare la forza che avete perduto.»

Si alzò, lasciando in bella vista nella stanza buia il pacco con il sushi che aveva appositamente preparato.«Non è facile, probabilmente non passerà mai, ma dovete almeno cercare di mangiare, combattere il dolore, sopravvivere.»

Fece per andarsene, ma si voltò un ultima volta verso di loro, l'ombra di un sorriso sul viso stanco e addolorato.«Se fosse stato uno di voi, Tsunayoshi avrebbe lottato. Si sarebbe rialzato e avrebbe dato la caccia a quegli schifosi fino ad estinguerli fino all'ultimo.» e se ne andò, lasciando i sette Guardiani con molto a cui pensare.

Quel giorno avevano avuto il loro primo pasto dopo giorni di digiuno e pianto: quelle parole erano state la spinta necessaria a farli rialzare, a ridare loro uno scopo per vivere e sopravvivere.

Poco importava che fosse per vendetta o per il puro piacere di cacciare quei bastardi come animali indifesi, le parole di Tsuyoshi avevano ridato un senso alle loro vite ormai vuote e perse.

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Nonostante le insistenze di Iemitsu di alloggiare nella dimora della sua famiglia piuttosto che in un hotel, Hayato era riuscito infine a persuaderlo a lasciar cadere la questione e accettare la sua decisione, anche se non era certo di aver convinto completamente il giovane Sawada attraverso le patetiche scuse con cui aveva rifiutato un alloggio gratuito e sicuro: non aveva altra scelte però, non essendo fiducioso nella sua capacità di poter gestire le emozioni che mettere piede in casa Sawada poteva riportare a galla.

Non solo per Lambo e Chrome -senza dubbio i due più affetti, loro che avevano vissuto diversi anni in quella stessa abitazione, ne erano stati parte quasi più di quanto non avessero fatto tutti gli altri- quella dimora era stata per tutti loro un luogo sicuro in cui potersi rifugiare, un'oasi pacifica in cui essere soltanto i ragazzini che erano all'epoca, certi di poter essere sempre accolti a braccia aperta, con un sorriso ed un delizioso pasto caldo ad aspettarli.

Dover affrontare tutti quei ricordi era semplicemente troppo da poter affrontare tutto in una volta, e considerando inoltre i piani previsti per il resto della giornata, Hayato voleva per lo meno assicurarsi di non essere talmente spossato e debole da collassare per un nonnulla: era sempre più convinto che recarsi a Namimori prima di essere preparati psicologicamente fosse stata una pessima scelta, ma era vero che poteva anche essere un ottimo allenamento per non svenire in presenza del Decimo una volta fosse venuto al mondo.

Per quella sera Iemitsu aveva deciso di organizzare una piccola festicciola al TakeSushi con il suo gruppo di amici a cui non vedeva l'ora di presentarlo -compresa la famosa Nakano di cui tanto venivano decantate le lodi- per festeggiare il suo ritorno in Giappone dopo quasi un anno di assenza.

Sinceramente, Hayato ne aveva avuto abbastanza delle emozioni provate grazie ai coniugi Yamamoto che non aveva bisogno di altre avventure per il resto della giornata: una doccia calda ed una buona dormita era tutto quello di cui aveva veramente bisogno.

Tze, erbivoro.

«Per l'ultima volta, non ho intenzione di pattugliare Namimori, né ora né mai!» ci mancava soltanto la stupida ossessione di Kyoya per la città in cui era cresciuto a rendere le cose ancor più caotiche, come se testa a prato che voleva correre per il quartiere alle quattro del mattino come i “vecchi tempi” non fosse già abbastanza.

Kfufufu i “vecchi tempi” sono morti quando abbiamo perso il Cielo, così come i “vecchi noi”.

Hayato si diresse verso il balcone della stanza, lasciando che la fresca brezza serale gli scompigliasse i corti capelli biondi -nonostante i mesi passati era ancora difficile per lui abituarsi a quel colore- prendendo una grossa boccata della sigaretta che si era portato appresso per rilassarsi.

«Hai ragione, ognuno di noi è una persona diversa da allora.»

Tutti loro, nessuno escluso, avevano fatto cose di cui in un altro tempo si sarebbero sicuramente pentiti, ma che per la loro situazione corrente non era stato nulla più che lo stretto indispensabile per sopravvivere e rialzarsi: aveva perso il conto delle persone che erano state torturate e massacrate dalle sue stesse mani, positivo che la situazione per gli altri non fosse troppo diversa.

Maa maa per questo siamo qui alla fine, per ricominciare ed impedire che la storia si ripeta!

Un grugnito sfuggì dalle labbra di Hayato.

«Non è proprio così che è andata.»

No, non era per il buon cuore di cambiare la storia e migliorare la vita di qualcuno che erano tornati indietro nel tempo -quella nobiltà d'animo l'avevano persa molto tempo prima- quanto per il puro e semplice desiderio di ricongiungersi al proprio Cielo e farla pagare al vero responsabile di tutto: i cambiamenti che avevano deciso di perseguire erano stati una conseguenza dell'essere arrivati in un epoca diversa rispetto a quella concordata.

E ancora non capivano cosa potesse essere andato storto.

Ehm... G-san non aveva detto qualcosa al riguardo?

Era sempre piacevole e rilassante sentire la dolce voce di Chrome oltre quelle irritanti e fastidiose degli altri Guardiani, una gradita pausa armoniosa dall'altrimenti caotica cacofonia prodotta da quei buzzurri.

T-Tempesta-san...!!

Era così facile imbarazzarla. Però, pensando bene all'affermazione di Chrome, effettivamente quel maledetto di G aveva detto una cosa del genere.

«Non potete scegliere voi l'epoca in cui arrivare, viaggerete fino a quando sarà necessario, fino a raggiungere il luogo con più possibilità di riuscita per esaudire il vostro desiderio, vi è chiaro mocciosi?»

Non si erano mai nemmeno fermati davvero a riflettere sulle parole del Guardiano di Prima Generazioni, eppure ora –ripensandoci a mente fredda e concentrata- doveva ammettere che tutti i discorsi e gli avvertimenti che erano stati fatti dai loro cari sembravano avere più senso di quanto non ne avessero avuto allora.

Cosa esattamente ha senso, Hayato-shi? Ore-sama trova che sia tutto incredibilmente confuso.

«Tze, ed è per questo che sei una Scemucca.» schernì, spegnando la sigaretta e lanciando un ultimo sguardo al cielo che lentamente si tingeva del blu scuro della sera.« Significa che qui troveremo le risposte alle nostre domande.»

Il rumore di una macchina che accostava gli fece abbassare lo sguardo, giusto in tempo per vedere Iemitsu schizzare fuori dalla vettura e fiondarsi nell'ingresso dell'hotel, probabilmente impaziente di recuperarlo e catapultarsi dalla sua preziosa Nakano-chan.

«Forza, vediamo di sopravvivere a questa serata. Se siamo fortunati non avremmo grandi problemi.» toccandosi l'anello Mare della Tempesta tornò in camera e prese la giacca, assicurò di avere con se l'astuccio con gli altri anelli e si avviò verso la porta.

Con un po' di fortuna non c'era nessuna sgradita sorpresa ad attenderli.


***
 

Ovviamente ci fu una sgradita sorpresa ad attenderli, una che non avevano assolutamente messo in conto.

Anzi, ad essere perfettamente onesti le sorprese indesiderate furono due, presentatesi sotto forma di microscopici lattanti di cui non avevano tenuto conto perché... insomma, quali erano le possibilità?!

Sembrava stesse andando tutto per il meglio: la presenza degli Yamamoto non sembrava più turbare Takeshi -pensava solo a godere della presenza dei genitori finché poteva, anche se loro non sapevano chi lui fosse- iniziando la serata nel migliore dei modi e dando speranza ad Hayato di non dover sopprimere nessuna Fiamma impazzita fino allo sfinimento -anche se aiutarsi con l'anello Mare della Tempesta gli permetteva di conservare energia, semplificando il processo.

Ovviamente gli altri Guardiani si erano offerti di aiutarlo a controllare qualsiasi potere si fosse scatenato all'improvviso -Chrome si era offerta, mentre tutti gli altri pigri bastardi gioivano della sua sofferenza- ma fortunatamente sembrava procedere tutto tranquillamente, quindi non aveva bisogno del loro aiuto non richiesto per salvare le sorti della serata.

E poi era arrivata Nakano, e con lei il primo dei loro guai.

«Nakano-chaaaaaaaaaaaaaa-»

Nella sua corsa disperata verso l'amata, pronto a stringerla fra le sue braccia dopo tutto il tempo in cui erano stati separati, un violento calcio gli si abbatté sul volto, frapponendosi tra lui e la giovane con una violenza tale che perfino Hayato ne rimase sorpreso: da quando erano arrivati a Namimori, Iemitsu aveva preso talmente tante botte che sospettava quasi fosse una sua passione, circondarsi di persone a cui piaceva colpirlo e malmenarlo -Lal era una prova più che perfetta a sostegno di questa teoria.

Beh, anche Ryo-nii veramente. Tutta questa grande amicizia è iniziata con un pungo.

E come dare torto alla Scemucca? Era esattamente così che Iemitsu aveva iniziato a girargli attorno come un'ape al miele.

«Are are, tutto bene, Sawada-kun?»

Un tuffo al cuore lo riportò alla realtà, mentre la voce di quella che presupponeva essere Nakano riportava alla mente di tutti ricordi felici e lontani: i sorrisi gentili, gli abbracci sempre pronti a sorreggere e a consolare, l'ingenuità più pura che era una ventata d'aria fresca tra tutte le bugie e gli inganni da cui erano circondati, il sostegno di un bacio sulla fronte e di poche parole colme d'amore, capaci in infondere forza e rischiarare il cuore anche nei momenti più bui, la bontà ed il calore che solo una madre poteva riuscire a trasmettere.

Poteva anche portare il cognome da nubile, ma non era possibile non riconoscere nei suoi gesti, nei suoi movimenti e anche solo nell'aura calma e gentile che emanava, quella che in futuro sarebbe stata conosciuta da tutti come Sawada Nana.

Mama...

Nana-san... era davvero lei.

Kfufufu

ESTREMO!

Nana-san...

Un mare di emozioni li aveva investiti, senza però farli sprofondare nella spirale di angoscia e dolore causati dall'incontrare persone strettamente legate a Tsuna: esclusi gli ultimi anni, i ricordi in compagnia di Nana erano per lo più felici, piacevoli, e tanto bastava a dar loro la forza di non ricadere tra le tenebre.

La studiò da lontano, sorseggiando del buon sakè che Tsuyoshi gli aveva gentilmente offerto, notando come anche nella sua gioventù, il sorriso ingenuo ma gentile era perennemente presente ad illuminarle il viso: per il resto, così come in futuro diventerà una bellissima donna, anche ora quella che avevano davanti era una bella giovane dai lunghi capelli castani -un colore più scuro di quello che ricordavano- con una figura esile, delicata ed elegante.

Stava dietro la persona che aveva colpito Iemitsu osservando la scena in silenzio, con un tenue sorriso sulle labbra ed un vivido rossore ad imporporarle le guance, unico segno apparente che lasciava trasparire quali fossero i suoi sentimenti verso Sawada: in realtà, la luce brillante che le accendeva gli occhi marroni, scuri ed intensi come una pozza di delizioso cioccolato fondente, tradiva i suoi veri pensieri, rivelando tutta la trepidante emozione che l'aveva travolta nell'istante in cui si era rincontrata con Iemitsu.

Vederli così innamorati, scoprire che lo sono stati dall'inizio alla fine è davvero romantico.

Di romanticismo non ne sapeva davvero nulla Hayato, ma se lo diceva Chrome doveva essere per forza vero: spesso lei e le altre ragazze della loro strampalata famiglia si fermavano a chiacchierare di queste frivolezze, di questo e quell'altro film, di quanto una scena di un libro fosse stata incredibilmente romantica rispetto ad un'altra.

Anche senza essere ferrato sull'argomento però, perfino lui poteva vedere il profondo legame che si era formato tra Iemitsu e Nana, il forte sentimento che era la loro forza ed il loro sostegno: quella stessa emozione che li avrebbe condotti all'altare, e dalla cui unione sarebbe nata la persona più straordinarie che avesse mai calpestato il suolo terrestre.

Che cagnolino fedele che sei, kfufufufu.

«Tze, come se tu non pensassi lo stesso.» lo disse con un basso ringhio, assicurandosi che gli Yamamoto fossero troppo distratti per badare a lui e alle sue stranezze.

«Che ti ho detto sugli assalti, Sawada? Se osi assalire Nana come una bestia selvaggia, ti azzannerò alla gola.»

Aveva preso un abbondante sorso di sakè quando quella voce era giunta alle sue orecchie, facendogli andare di traverso il liquore e rischiando di strozzarlo: ingoiando con violenza, tossì un paio di volte per cercare di riprendere fiato, consapevole di aver attirato su di sé gli sguardi preoccupati di Tsuyoshi e Aki, ma non poté evitarlo.

Oya, c'è solo un individuo a Namimori che può parlare in questo modo.

Lo sapeva -ohhhhh se lo sapeva- tuttavia Hayato aveva sinceramente paura di alzare lo sguardo e confermare i suoi sospetti.

«M-Ma... S-Sempai...»

Con i piagnucolii di Iemitsu in sottofondo, il giovane alzò lentamente lo sguardo, scontrandosi con due familiari e gelidi occhi grigi -dio erano uguali, perfino il livello di gelo era identico- contornati la lunghe ciocche more che incorniciavano un viso sottile e spigoloso, ma non per questo meno femminile.

Si prese un secondo per ragionare.

Ok, questa seconda donna, più alta di Nana di almeno due spanne, vestita di un completo nero con camicia bianca -classico, quasi un uniforme da ufficio- e tacchi, somigliava in maniera spaventosa ad un certo maniaco della lotta di sua conoscenza, ma non era certamente il caso di impancarsi: si, la donna sembrava in tutto e per tutto una versione al femminile di Kyoya, ma non era certo che fossero in qualche modo lega-

«Devo forse ripetermi, preda

Nope.

Nopenopenopenopenopenopenopenopenopenope.

Non aveva firmato per questo, per niente di tutto questo.

Non importa se quello che stava accadendo era giusto, se era lui l'estraneo -il bug, l'anomalia, in qualsiasi fottuto modo volessero chiamarlo- e non poteva fare nulla per impedire quell'incontro: non aveva firmato per avere a che fare con due membri della famiglia Hibari nello stesso momento.

Erbivoro.

«Non usare “erbivoro” contro di me. Non c'era scritto da nessuna parte che avrei dovuto sopportare anche questo!»

Hayato, forse dovresti dare un'occhiata a cosa stringe tra le braccia la mamma di Kyoya... non credo ti piacerà, ahahahahah!

L'impellente desiderio di staccare la testa a Takeshi fu sostituito da un ennesimo brivido, che lo costrinsero a girarsi e ad esaminare meglio la scena di fronte a lui: effettivamente, pareva che la donna avesse atterrato Iemitsu con un potente calcio, mentre tra le braccia stringeva quello che sembrava essere un bambino, intento ad osservare la scena con una mano in bocca ed un peluche stretto nell'altra.

Un bambino che non poteva avere più di un anno.

Un bambino che in pochi anni sarebbe diventato il mostro più temibile di Namimori

Un bambino il cui spirito della versione adulta venuta dal futuro risiedeva ora dentro il suo corpo.

Un bambino che era in tutto e per tutto Hibari Kyoya.

«Ara, Hui-chan non essere troppo dura con Sawada-kun.»

Mentre ancora cercava di riprendersi dallo shock di quella nuova sconvolgente scoperta -com'è che Kyoya era così tranquillo? Nessun desiderio di confrontarsi con la mamma?- sentì Nana intervenire in favore di Iemitsu, cercando di convincere la signora Hibari a spostare il piede dallo stomaco del giovane, con cui lo stava tenendo saldamente bloccato a terra.

E mentre Nana parlava, ecco entrare con tutta l'irruenza classica di quella famiglia il secondo problema.

«YOSH! È qui la festa INTENSA?!»

Nope.

Non aveva decisamente firmato per questo.


***
 

Rivedere tutti i suoi amici era stato meraviglioso, molto più emozionante di quanto Iemitsu avrebbe mai potuto immaginare -e anche più doloroso, gli attacchi di Zhao-sempai erano più vigorosi di quanto ricordasse.

Rivedere tutto il gruppo che per gli anni del liceo era stato al suo fianco, regalandogli alcuni dei momenti migliori della sua vita -il rapporto che aveva con questo bizzarro gruppo di persone era pari solo a quello che aveva con i Guardiani con cui aveva formato un legame- era stato piacevole e gratificante, sentendosi completo e rinvigorito dalla fatica che la lunga missione gli aveva procurato.

«Yosh! Iemitsu! È bello rivederti, ti trovo intenso come al solito!»

Abbracciò con forza Sasagawa Kyohei, trasformatosi dal suo compagno di scorribande chiassoso e confusionario in un omaccione alto e grosso quanto un armadio, dagli scompigliati capelli castano ramato e gli occhi dorati come il miele, perennemente infiammati di energia e passione: non per nulla era stato l'asso del club di box -nonché presidente durante il secondo e terzo anno, sia alle medie che al liceo- vincendo quasi tutti gli incontri a cui aveva partecipato.

Kyohei era stato il suo partner a scuola, sempre insieme pronti a combinarne ogni giorno un nuovo disastro -i professori avevano festeggiato quando si erano diplomati- diventando le prede preferite di Hui Ying, che nonostante fosse una sempai tornava sempre sul terreno scolastico per rimetterli in riga.

Era bello vedere che non fosse cambiato, che il carattere energico fosse rimasto anche quando il ragazzino aveva lasciato spazio all'uomo.

«Kyohei! È bello rivederti fratello!»

Poteva vedere la vena pulsante sulla fronte di Hui Ying, che si stava trattenendo dal picchiarli solo perché tra le braccia stringeva quello che Iemitsu sospettava fosse il figlioletti di un anno: Nakano-chan gli aveva accennato qualcosa nelle lettere e nelle telefonate che si scambiavano periodicamente.

«Vedo che siete sempre tutti molto energici.» una dolce risata precedette l'ingresso di Sasagawa Sachiko -Kyohei maledetto, ancora non riusciva a credere che fosse riuscito a sposarsi prima di lui!- illuminando la stanza con il suo sorriso angelico ed il portamento aggraziato che la contraddistingueva sin dai tempi della scuola.

Sachiko era sempre stata l'idolo della Nami-chuu, sempre gentile e disposta ad aiutare anche il più trasandato degli studenti, mantenendo la sua fama di Angelo della scuola anche una volta entrata al liceo: Iemitsu aveva perso il conto dei cuori spezzati che la giovane si era lasciata alle spalle nella sua lunga esperienza scolastica, ma ricordava anche come Kyohei fosse stato parte di quella stessa lista, venendo rifiutato più di una volta dalla giovane che non sembrava interessata ad avere una relazione.

Non era sicuro di sapere quando e come le cose fossero cambiate -il giorno prima il suo amico aveva collezionato l'ennesimo rifiuto, mentre quello seguente, Sachiko non riusciva a parlare tranquillamente con Kyohei senza arrossire e balbettare nervosamente- ma era sinceramente contento per lui.

Una parte di Iemitsu invidiava la situazione sentimentale dell'amico, mentre dall'altra non poteva che ammirare la perseverante costanza con cui aveva inseguito l'amore della sua vita in barba ai commenti maligni e le risatine isteriche del resto del corpo studentesco -i più subdoli avevano lanciato una scommessa sul numero di volte in cui sarebbe stato rifiutato prima di arrendersi.

Gli sarebbe piaciuto vedere la faccia di quelle stesse persone ora.

Anche con il passare degli anni, Sachiko non aveva perso la sua caratteristica bellezza: un viso tondo e dai lineamenti sottili, incorniciato da lunghi e lisci capelli argentei, lo stesso metallico colore degli occhi, che nonostante fossero di una tonalità fredda come il grigio, emanavano ugualmente un senso di calore e conforto.

«Ah Sachi-chan!» vide Aki e Nakano-chan lanciarsi sulla donna appena entrata, concentrate sul fagottino che -Iemitsu notò solo in un secondo istante- stringeva teneramente tra le braccia.«Che bello! Hai portato anche Ryo-chan!»

«Quanto è carinooooo!»

Iemitsu alzò un sopracciglio, confuso.

“Ryo-chan?”

Guardò Kyohei in cerca di spiegazioni, ricevendo in risposta il più radioso dei sorrisi, mente veniva improvvisamente trascinato verso il trio di ragazze dal quale provenivano versetti e gemiti.

«Iemitsu, ti presento il mio intensissimo primo figlio, Sasagawa Ryohei!»

E mentre Kyohei parlava, Aki e Nakano si erano spostate per permettergli di vedere il bambino che Sachiko stringeva tra le braccia, così simile alla madre ma nei quali occhi grigi poteva veder splendere la stessa intensa energia che brillava in quelli del padre.

Un sorriso si formò spontaneo sulle labbra di Iemitsu.

«C-Congratulazioni!» la voce gli tremò per l'emozione. Si gettò subito su Kyohei, afferrandogli il capo sotto un braccio e scompigliandogli i già disordinati capelli castani.«Dannato! Come hai potuto non dirmi che avevi avuto un figlio?! Ha quasi la stessa età del bambino di Zhao-sempai!»

Kyohei rise, lasciandosi sopraffare dall'amico senza provare a ribattere -Iemitsu sapeva che se avesse voluto liberarsi, avrebbe potuto farlo con una sola mano.

«Ahahahah sono intensamente coetanei! Ryohei è nato lo scorso agosto, mentre Kyoya in maggio! E non te l'ho detto perché volevo farti una sorpresa INTENSA!»

Beh, sorpresa riuscita.

Non poteva che essere più felice per loro e per sé stesso, circondato finalmente dalla famiglia e dagli amici con cui aveva passato l'infanzia, e soprattutto in presenza della magnifica donna di cui si era innamorato anni prima.

Era felice di poter trascinare nella sua felicità anche Hayato, e vista la notizia che doveva dare, voleva assolutamente che l'amico con cui aveva trascorso lunghi mesi di viaggio fosse presente.

Sentiva un legame con lui, un'intesa speciale che gli sarebbe piaciuto approfondire, ma che non avrebbe mai osato forzare per paura di perdere quell'equilibrio che si era formato tra loro: Hayato era già il guardiano di Luce, non avrebbe cercato di imporsi con un corteggiamento sicuramente indesiderato.

Staccandosi dagli amici, Iemitsu si girò verso il bancone per invitare tutti a radunarsi ed iniziare così la cena, scontrandosi con gli sguardi di Tsuyoshi ed Hayato: mentre il primo aveva continuato serenamente a cucinare con un sorriso disteso sulle labbra, il secondo sembrava impegnato in un complesso discorso con sé stesso -ah, probabilmente le sue personalità multiple potevano comunicare tra loro.

Sembrava più pallido del solito, mentre con gli occhi verde chiaro -si, era proprio Hayato la Tempesta- continuava a fissare il gruppo di amici che pian piano si avvicinava: da prima perplesso, Iemitsu realizzò che il compagno doveva sicuramente sentirsi a disagio, conoscendo in quello scalmanato gruppo di persone soltanto Aki e Tsuyoshi.

Si diede dell'idiota per non aver pensato subito alle presentazioni.

Schiarendosi la voce, attirò l'attenzione della sala -Aki aveva chiuso il ristorante per quella sera:«Una serata di chiusura per festeggiare il tuo ritorno non ci manderà in rovina!»- abbracciando Hayato per le spalle e presentandolo ufficialmente agli amici.

«Ragazzi, voglio presentarmi il mio migliore amico sul lavoro! Amici lui è Hayato, lavora per una compagnia affiliata, stiamo supervisionando insieme un progetto di costruzioni su scala mondiale, Namimori era l'ultima tappa e si è offerto di accompagnarmi a salutarvi tutti!»

Vide il collega accennare ad un saluto tirato: lasciò che tutti avessero la possibilità di ricambiare i convenevoli prima di iniziare le restanti presentazioni.

«Aki e Tsuyoshi-san li conosci già. Quella seduta accanto ad Aki è Zhao Hui Ying, ora diventata Hibari Hui Ying dopo essersi sposata con Hibari Yuusuke, un altro mio vecchio sempai che oggi non ha potuto essere presente purtroppo. Quello che stringe tra le braccia invece è Kyoya-chan, loro figlio.»

Mentre la donna accennava ad un saluto, Iemitsu si abbassò, fino ad essere sicuro che soltanto Hayato potesse sentirlo.«Lei è la sorella di Fon-san.»

Era sicuro di averlo sorpreso quando lo sentì deglutire con forza, rischiando quasi di strozzarsi con la propria saliva. Lo sentì borbottare qualcosa come “... tuo zio?!” e “Dirlo prima?!”, ma non era sicuro di cosa stesse parlando: d'altro canto non era certo nemmeno di aver capito correttamente gli strani farfugli di Hayato, quindi decise semplicemente di lasciar perdere.

«Accanto alla sempai, la ragazza più bella di tutta Namimori, Nakano Nana-chan!»

Vide l'amore della sua vita arrossire al complimento, stringendosi il viso tra le mani mentre sorrideva e dichiarava di non essere poi così bella:«Sei il solito adulatore esagerato, Sawada-kun!»

Decisamente la più carina in assoluto.

«Mentre loro sono Sasagawa Kyohei e Sachiko, rispettivamente il mio braccio destro in disastri e l'idolo della scuola.» Kyohei salutò con la sua solita intensità, mentre Sachiko si limitò ad un aggraziato cenno del capo ed un sorriso.«Mentre quello tra le braccia di Sachiko-san è il loro bambino, Ryohei-chan!»

E come a rispondere, il piccolino alzò un pungo al cielo, balbettando un qualcosa che ricordava tanto uno “yosh!” ma che non era nulla più di un versetto infantile senza significato.

La cena fu piacevole, tra risate e chiacchiere sul passato e sul futuro, scambiandosi divertenti episodi avvenuti nella vita di tutti i giorni, la serata si avvicinava rapidamente alla sua conclusione, e più il tempo passava, più il peso della scatolina che Iemitsu teneva nella tasca della giacca sembrava aumentare: oggi era il giorno, non doveva e non poteva più rimandare.

Sentì una leggera pressione sulla spalla, girandosi in tempo per scontrarsi con gli occhi viola di Hayato -ah, Nebbia Hayato numero due- che gli sorrideva gentile ed incoraggiante.

«Puoi farcela.»

Iemitsu spalancò la bocca ma la richiuse, limitandosi a sorridere e ad annuire, determinato più che mai a riuscire nella propria impresa.

«Naka... No, Nana-chan!» si alzò di scatto in piedi, battendo le mani sul tavolo e alzando la voce di alcune ottave, attirando l'attenzione degli amici e della ragazza in questione che lo guardava con occhi sgranati, confusa dall'improvviso scatto che aveva fatto.

Kyoya e Ryohei mugugnarono qualcosa -probabilmente disturbati nel loro sonno dal rumore improvviso che aveva fatto- e si appuntò di non urlare troppo forte, ma non si sarebbe tirato indietro.

«È-È successo qualcosa Sawada-kun?»

Prendendo un profondo respiro, Iemitsu lasciò il suo posto a tavola e fece tutto il giro, ritrovatosi faccia a faccia con Nana: aveva il viso in fiamme e sapeva che gli occhi di tutti erano puntati su di lui, ma non se ne curò, poiché in quel frangente esisteva soltanto lei e nient'altro.

Era un momento soltanto loro.

«Io... lo so che non sono mai stato chiaro nelle mie azioni e nelle mie parole. Ho un sacco di difetti, ed un lavoro che mi tiene lontano da Namimori per molto tempo, però...» deglutì, tenendo incollato lo sguardo a quello sorpreso di lei.«Però io ti amo lo stesso e voglio stare con te!»

Si inginocchiò, non lasciando il tempo a nessuno di commentare ed estrasse dalla tasca il cofanetto che aveva conservato con cura ed amore durante tutto il viaggio: glielo aprì davanti, mostrando il piccolo anellino d'oro sulla cui cima vi erano alcuni piccoli diamanti disposti a rombo, un design semplice ma che si sposava perfettamente -a suo avviso- con Nana.

«Nakano Nana, mi vuoi sposare?»

Per alcuni lunghi, indefinibili, terrificanti secondi nessuno parlò: Nana sembrava paralizzata, con le mani che le coprivano la bocca e gli occhi spalancati, probabilmente troppo sorpresa per trovare le parole esatte con cui rispondere.

Iemitsu temeva seriamente di star per ricevere il più grande dei rifiuti.

All'improvviso si ritrovò Nana tra le braccia, mentre con una passione che non sembrava appartenerle aveva iniziato a baciarlo intensamente, tra i sorrisi, gli applausi e le congratulazioni dei loro amici che sembravano aver realizzato cosa fosse accaduto prima di quanto non avesse fatto lui.

Quando si staccò, Nana aveva le lacrime agli occhi e le guance arrossate, ma sorrideva dolcemente.

«Credevo non me l'avresti più chiesto. Certo che voglio sposarti, Iemitsu-kun!»

Quello fu per Iemitsu uno dei momenti più felici della sua vita.
 

***
 

Tornare a Namimori era stata una montagna russa di eventi inaspettati, di forti emozioni positive così come negative, ma non poteva dire di esserne stato completamente dispiaciuto: aveva potuto assistere all'esatto momento in cui Iemitsu chiedeva la mano di Nana, ed anche se tutto si era trasformato in un caotico party di fidanzamento -no, non voleva ricordare come il padre di Ryohei fosse finito a ballare nudo sul tavolo assieme a Iemitsu- almeno ora aveva una storia interessante da raccontare a Tsuna una volta fosse finalmente venuto al mondo.

Non mancava molto ormai, e Hayato si ritrovava sempre più impaziente di assistere a quel momento.

Era comunque contento di essere tornato in Italia -nonostante fosse il paese che per eccellenza gli procurava guai e sciagure- dove sperava almeno in parte di potersi rilassare e concentrare su qualcos'altro, qualcosa su cui magari riversare lo stress accumulato negli ultimi mesi.

Una bella caccia ai rapitori di bambini -e ladri di anelli, ma questo era meno grave dal suo punto di vista- era proprio ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

Si stiracchiò le braccia, finendo il caffè amaro che aveva ordinato, pagando il conto e andandosene in esplorazione della città come gli era stato ordinato, cercando di notare anche la più piccola traccia che i fantomatici rapitori potevano aver lasciato.

Venezia era grande e circondata dall'acqua, ma fortunatamente a lui era toccata la zona adiacente a Piazza San Marco, un'area che conosceva piuttosto bene, ed era quindi fiducioso di poter risolvere il problema in men che non si dica.

E, perché no, sfogare almeno in parte la rabbia repressa che lo affliggeva.

È un piacere vedere che non sono più l'unico ad essere considerato un sadico.

«Non vantartene troppo, ananas, tu e l'idiota dei tonfa restate i più sadici tra di noi. Forse solo il maniaco della spada è al vostro livello.»

Erbivoro.

Ahahahah sei crudele Haya-chan!

Hayato non rispose alle provocazioni di Takeshi, preferendo accendersi una sigaretta e continuare a scrutare le stradine della città, lasciandosi alle spalle così tanti vicoli e canali che chiunque altro dei Guardiani non avrebbe saputo ricordare da quale parte erano arrivati: spesso -anche quando erano nel futuro, ognuno con un proprio corpo- era Hayato a guidare gli attacchi in territori nemici, proprio per la sua memoria e la capacità di orientarsi in luoghi che aveva visto una volta soltanto.

Memoria eidetica l'aveva chiamata Shamall una volta, affermando che fosse comune in alcuni bambini in età molto giovane, destinati a perdere questa capacità con la crescita e lo sviluppo. Chi riusciva a conservarla anche nella vita adulta era senza ombra di dubbio destinato a diventare un genio.

Hayato si sentiva tutto tranne che geniale -i suoi risultati scolastici erano notevoli, ma quelli servivano solo a dimostrare che fosse intelligente, non di certo un genio- ma non aveva mai cercato di dissuadere le persone attorno a lui dal pensarlo: era una capacità utile e aveva intenzione di sfruttarla fino alla fine.

Sfortunatamente il salto temporale l'aveva scombussolata non poco -ancora certi dettagli, alcuni avvenimenti e immagini erano sbiadite e confuse, nonostante ora avesse sette memorie diverse su cui contare- ma contava di riprendersi in tempo per la nascita del Boss e l'inizio quindi della sua vera e propria missione: proteggerlo dai pericoli a costo della vita.

Nella sua lunga camminata alla ricerca dei criminali che creavano disturbi nel territorio di Luce, Hayato era arrivato davanti il Gran Teatro “La Fenice”, una delle più prestigiose strutture dedicate alla lirica al mondo, uno dei gioielli di Venezia.

Contemplò la facciata del teatro per diversi minuti, quasi come incantato alla vista del palco che aveva permesso ai suoi genitori di incontrarsi -il luogo in cui sua madre avrebbe potuto sbocciare come la grande pianista che era se lui non fosse mai esistito.

No! Non pensarlo!

La voce allarmata di Chrome lo fece sorridere, mentre le delicate Fiamme della Nebbia strusciavano contro le sue della Tempesta, in un goffo ed impacciato abbraccio che cercava di risollevarlo ed allontanare ogni cupo pensiero che poteva passargli per la mente.

«Tranquilla, era solo uno stupido pensiero.»

Rilasciò parte delle sue Fiamme in risposta a quelle spaventate di Chrome -il fatto che anche gli altri tentassero di raggiungerlo per infondergli conforto si perse nel silenzio, non c'era bisogno di parole- volendo assicurarla che non aveva intenzione di compiere alcuna stupida azione dettata dall'irrazionalità.

Tsuna non avrebbe approvato tutti quei pensieri negativi.

«Tua madre ti ha amato più della sua stessa vita, questo tuo modo di pensare è una mancanza di rispetto verso di lei ed il suo amore!»

Un sorrisino gli incurvò le labbra mentre l'adorabile broncio che il Boss gli aveva riservato quel giorno riaffiorava alla mente, assieme ai restanti avvenimenti di quel momento che erano invece meno piacevoli: il Decimo si era rifiutato di parlargli per l'intera giornata, fino a quando non avesse cambiato il suo modo di pensare e di vedere la sua esistenza.

Ricordava la disperazione, la tristezza, e ricordava vividamente d i folli tentativi che aveva fatto per convincere Tsuna a perdonarlo: era bello poter ricordare il Boss senza crollare per il dolore, almeno in qualcosa stavano facendo progressi.

Perso nei suoi pensieri felici -ricordi di un tempo che avrebbe riportato indietro, a qualunque costo- fu risvegliato dal brusco scontro con un ragazzo pressapoco della sua stessa età -in aspetto s'intende, mentalmente era un altro discorso- dai corti capelli scuri ed i vestiti sgualciti probabilmente dalla corsa che, se il fiatone era un'indicazione, aveva appena finito di fare.

«Ah, scusami! Sono un attimo di fretta.»

Ora, normalmente Hayato non avrebbe prestato molto attenzione a qualunque individuo gli si fosse avvicinato, limitandosi a liquidarlo senza nemmeno un secondo sguardo -aveva imparato che ingaggiare inutili risse mettevano soltanto a rischio la Famiglia, un prezzo che non aveva intenzione di rischiare per l'ebrezza di una scazzottata- ma qualcosa in quel giovane attirò la sua attenzione abbastanza da abbassare lo sguardo ed allungare la mano per aiutarlo.

«Fa nulla, riesci ad alzarti?»

«Mmh? Ah sì, grazie!»

Gli afferrò la mano, e quando il giovane alzò finalmente il viso Hayato capì cosa effettivamente lo aveva spinto a rivolgergli la parola.

Se ne pentì immediatamente.

Anche se più giovane e con i capelli corti tenuti all'indietro, quegli occhi neri come la pece e l'inevitabile sguardo da casanova erano impossibili da dimenticare, specie se avevi passato una vita ad ammirare quella stessa persona nel vano tentativo di farti insegnare i segreti dell'arte dell'uccidere.

Sgranando gli occhi e spalancando la bocca, probabilmente boccheggiando come un pesce in cerca d'aria, Hayato pensò che no, non era decisamente pronto ad aver a che fare con un giovane Trident Shamal.

«S-Shamal...?»

Gli uscì come un sussurro, ma tanto bastò affinché il giovane sopraccitato cambiasse completamente approccio, indurendo lo sguardo e stringendo con più forza la mano di Hayato, ora sospettoso e pronto ad attaccare nel caso si fosse rivelato una minaccia.

Sempre che una delle sue fastidiose zanzare non ti abbia già punto kfufufufu

Se proverà di nuovo a pungermi, l'erbivoro pervertito verrà morso a morte.

«Ci conosciamo?»

Mettendo da parte il fatto che le voci nella sua testa fossero completamente inutili -nella maggior parte dei casi- Hayato si concentrò su Shamal, e se già si fosse fatto un nome nella mala che spiegasse il perché sapeva chi fosse.

Prendendo un profondo respiro sfoderò il miglior ghigno di cui era capace e rispose.

«Difficile non conoscere Trident Shamal, hai una certa reputazione tra la mala.» lo vide irrigidirsi, ma prima che potesse attaccarlo parlò ancora.«Tranquillo, non sono una minaccia. Sono qui per indagare su delle attività illecite nel territorio della mia Famiglia, non ho alcun motivo per scontrarmi con te.»

Questo non sembrò rassicurare del tutto Shamal, che senza abbassare la guardia lasciò andare la sua mano con un cenno del capo: per il momento, la contrazione di qualche strana malattia era stata evitata.

«Scusami per la reazione, ma lo sai no? Nel nostro mondo non essere sempre sul chi va là può costare caro.»

Hayato annuì.«Capisco, ma cosa ci fa qui un killer famoso come te? Qualche lavoro in corso?»

Non contava troppo sul fatto che il dottore gli rivelasse quali fossero le sue intenzioni, ma trovava comunque curioso che una persona del suo talento fosse stata mandata a Venezia per una missione: era piuttosto sicuro che -escludendo Luce ed Aria, ma non poteva essere così stupido da aver accettato una missione contro i Giglio Nero- in quella città non ci fossero pesci abbastanza grossi da necessitare la mobilitazione di un killer così noto per essere eliminati.

Shamal rise, grattandosi il capo con fare agitato, mentre sembrava ponderare se rivelare o meno le proprie intenzioni a quello che in apparenza era un perfetto sconosciuto, per di più legato alla malavita: non poteva dargli tutti i torti.

«Ah no ecco, veramente io...»

«Shamal! Allora sei venuto!»

L'intero corpo di Hayato si pietrificò nell'attimo in cui la melodiosa voce di una donna gli carezzò dolcemente le orecchie, rendendolo incapace di pensare razionalmente e con lucidità.

Male, molto male.

Notò appena Shamal sporgersi e fare un cenno di saluto verso la persona che l'aveva chiamato, sorridendole di rimando: i passi alle sue spalle si facevano più rapidi e vicini, mentre l'aria nei polmoni di Hayato era sempre più rada.

Un altro attacco era in arrivo, uno molto potente, e se restava lì ancora a lungo avrebbe nuovamente finito per perdere i sensi come il giorno in cui era uscito con Aria: un conto era sopprimere le Fiamme degli altri -quando non erano in controllo del corpo era più semplice gestire gli attacchi di panico- un altro era doverli affrontare quando era pienamente cosciente ed al comando.

«Chrome... prendi il mio posto. Ora.» era l'unica a cui avrebbe potuto chiederlo in quello specifico momento.

Dannazione, e dire che stavano diventando più bravi a gestire le loro emozioni.

Ma non c'era modo che potesse affrontarla a viso aperto senza essersi preparato in anticipo: non era -probabilmente non lo sarebbe stato mai- pronto a conversare tranquillamente con lei faccia a faccia, nemmeno se avesse avuto tutto il tempo del mondo per convincersi del contrario.

Mentre si scambiava lanciò solo una fugace occhiata alle spalle, scontrandosi con gli occhi azzurri come l'acqua di Gokudera Lavinia.

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