Flame & Fullmetal

di Fiamma Drakon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio ***
Capitolo 2: *** Di nuovo ***
Capitolo 3: *** Sotto la pioggia ***
Capitolo 4: *** Buon compleanno ***
Capitolo 5: *** Io e te in riva al mare ***
Capitolo 6: *** San Valentine's Day ***



Capitolo 1
*** Addio ***


Addio Ormai non c’era più il tempo per pensare.
Doveva agire e doveva agire subito.
Gli Homunculus avevano fra le mani suo fratello, la Pietra Filosofale, e non osava pensare a cosa avrebbero potuto fargli per usarla.
No, non poteva permetter loro di averla vinta, non ora che era andato così vicino alla Verità.
Per suo fratello aveva buttato il titolo di Alchimista di Stato, era diventato un nemico dell’esercito, un ricercato, aveva fatto irruzione come un criminale nella sede principale dei militari al solo scopo di uccidere l’Homunculus che aveva assunto il controllo totale dell’esercito al fine di poter creare indisturbato la Pietra sotto il falso pretesto di dover sedare le rivolte nello Stato che in realtà era stato proprio lui a scatenare.
Doveva uccidere il Comandante Supremo King Bradley.
Non poteva permettersi di fallire, non quando c’era la vita di suo fratello in gioco.
Mentre correva lungo i corridoi del Quartier Generale Centrale alla ricerca di un’uscita per la quale passare per recarsi al luogo indicato nel diario, Edward non poteva fare a meno di rimuginare su questi pensieri.
Era preoccupato per la sua insegnante, rimasta a duellare contro il colonnello Frank Archer, era ovviamente preoccupato per suo fratello ed era preoccupato per l’esito della missione che si apprestava a compiere.
Per essere una sola persona, nutriva fin troppe preoccupazioni, ma non gl’importava: l’unica cosa che desiderava era solo poter mettere la parola “fine” a tutto quel casino che era esploso nell’esercito a causa della Pietra Filosofale.
Si guardò intorno, sentendo uno scalpiccio affrettato nella sua direzione, ma non si fermò: non poteva farsi acciuffare dai militari.
Sentiva il cuore martellargli nel petto, il sudore scendere in sottili filamenti lungo la fronte e il dolore alle gambe per la prolungata corsa veloce.
Riuscì ad individuare finalmente l’uscita e si gettò in corsa verso di essa, mentre sentiva il rumore degli affrettati passi dei soldati raggiungerlo alle spalle.
Non poteva girarsi, ma doveva assolutamente fermare i proiettili che altrimenti l’avrebbero colpito.
Inchiodò ad un passo dall’uscio e si volse congiungendo le mani, che puntò a terra velocemente, quasi a doversi impedire di cadere. Dal contatto si diramarono sfavillanti filamenti di luce azzurra, mentre dal pavimento s’innalzava un muro di pietra, contro il quale Edward sentì rimbalzare i proiettili diretti verso di lui.
Si rialzò e uscì dall’edificio.

I bagliori delle trasmutazioni alchemiche dell’insegnante erano ben visibili dall’esterno dell’edificio, dove una macchina nera era ferma.
- Sembra che Edward se la stia cavando bene... - osservò il conducente, rivolto all’uomo seduto dietro di sé.
Questo sorrise.
- Prevedibile... Acciaio non è certo il tipo da farsi catturare tanto in fretta... - esclamò, quasi divertito.
- Parto? - chiese il conducente.
L’altro annuì.
Dal muro che separava la strada dalla zona militare piombò una figura vestita completamente di nero, che impedì alla macchina di partire.
- Ho bisogno di... -.
Il ragazzo s’interruppe quando i suoi occhi incrociarono quelli neri dell’uomo seduto nella macchina.
- Colonnello... tenente... - mormorò il ragazzo, quasi sorpreso.
- Acciaio, sei tu... - rispose Mustang, fissandolo, sorpreso a sua volta.
Edward salì in macchina, accanto al colonnello.
La tenente mise in moto.
- Dov’è diretto, colonnello? - chiese il biondo, senza alzare lo sguardo: fissare quell’uomo gli aveva sempre dato una strana sensazione di desiderio.
- A casa del Comandante Bradley - rispose il moro: era incredibile quanto fosse strana la sensazione che provava stando semplicemente vicino a quel ragazzo.
Semplicemente incredibile.
- E cosa va a fare a casa del Comandante? - domandò ancora Edward.
Non se lo sapeva spiegare, ma aveva come un disperato bisogno di udire ancora la voce del colonnello. Era la cosa più strana che potesse immaginarsi in un momento del genere, ma ne sentiva la necessità.
Una forte necessità.
Mustang si fece d’un tratto serio.
- Credevo di poter ingoiare tutto il male che vedevo, fino a che non sarei arrivato in cima, ma mi sbagliavo... non ne sono capace... - disse in tono grave.
- Vuole vendicare il tenente colonnello Hughes? Ma così facendo non potrà più diventare Comandante Supremo... la gente non l’accetterebbe - esclamò il biondo.
No, in realtà il biondo sapeva che almeno una persona in tutto il paese l’avrebbe accettato se fosse diventato il Comandante Supremo dell’esercito.
- Lo so... ma non posso più ingoiare tutto senza reagire... Maes c’era andato vicino a scoprire cosa succedeva nell’esercito ed è per questo che l’hanno ammazzato - disse, abbassando gli occhi - In fondo, tu e io siamo uguali, no? Per tenere fede ai nostri ideali siamo disposti a lasciare tutto ciò che abbiamo costruito con anni di lavoro e fatica - osservò poi, senza abbandonare quel tono serio.
Edward sospirò: erano uguali davvero... sentiva che era così. Come giustificare l’altrimenti intenso desiderio che sentiva dibattersi in lui come un leone in gabbia?
- Io credevo che le guerre iniziassero a causa di gente a me sconosciuta e in luoghi lontani, ma in realtà c’è chi le provoca le guerre solo per ottenere la Pietra Filosofale. Finché esisterà il desiderio di possedere quella Pietra, inevitabilmente ci saranno delle guerre. Gli Homunculus alimentano le guerre fra noi umani, ma in realtà cosa sono? Solo il frutto del nostro ingegno, della nostra presunzione di poterci paragonare a Dio in quanto capaci di utilizzare l’Alchimia per cambiare la natura delle cose attorno a noi. Quindi, una guerra dove non siamo coinvolti, non esiste... - disse il biondo.
Cercava di impedirsi in tutti i modi di guardare negli occhi il colonnello: sapeva che non se ne sarebbe più staccato. Sapeva che non avrebbe più cessato di fissare quelle iridi nere finché la sua vita gliel’avrebbe permesso.
- Adesso però stai ragionando un po’ troppo in grande... noi possiamo solo affrontare quello che ci si para dinanzi e cercare di andare avanti... - gli fece notare il colonnello. Era davvero strano, ma non riusciva a staccare gli occhi dal ragazzo seduto accanto a lui.

La languida luce del tramonto illuminava il cielo delle sfumature rossastre, arancioni e giallastre che irradiavano una luce singolarmente romantica che dava un aspetto davvero intimo a tutta Central City.
La macchina del colonnello era ferma su un ponte e i due alchimisti erano in piedi l’uno dinanzi all’altro.
Edward combatteva strenuamente contro il suo desiderio di guardare Mustang, mentre la sua fantasia galoppava a briglie sciolte dandogli visioni che sapeva non avrebbe mai potuto assaporare dal vivo.
Doveva rimanere concentrato, pensare che la vita di Alphonse era in pericolo.
Non doveva perdere di vista il suo obiettivo.
Ma non ci riusciva: non riusciva a distogliere la sua attenzione dal colonnello.
Quest’ultimo ricambiava con palese intensità l’attenzione anzi, l’interesse che il biondo provava verso di lui e che cercava in ogni modo di nascondere.
Fu allora che i loro occhi s’incontrarono.
Le iridi d’oro di Edward sfavillavano alla luce del tramonto di un bagliore puro e intrigante che incantò letteralmente il colonnello, che si perse ad osservarle per quelle che gli sembrarono ore. Era da non credere l’effetto magnetico che esercitavano in lui quegli occhi che così tante volte avevano evitato di guardarlo, mal celando una qualche emozione che sicuramente il ragazzo voleva tenere per sé.
Edward non riusciva più a togliere gli occhi da quelli neri come la pece del colonnello. Erano così affascinanti che non riusciva a capire come avesse fatto a tenersene lontano fino a quel momento. Era semplicemente impossibile.
Sentì uno strano calore invadergli il viso, mentre il desiderio che provava s’intensificava sempre più, divenendo un’irrefrenabile bramosia di passione.
Edward fece un passo avanti, verso il colonnello, il quale si mosse a sua volta, avvicinandosi ancora un poco al biondo, riducendo la distanza che li separava.
Erano ormai vicinissimi.
Edward sentì una vocina sussurrargli di avvicinarsi ancora, di prendersi ciò che così ardentemente bramava, nonostante fosse restio a mettersi allo scoperto tanto palesemente.
Il colonnello gli passò un dito lungo il braccio, fino a risalirgli lungo il collo.
Edward rabbrividì di piacere sentendosi toccare dal colonnello e finalmente osò avvicinarsi tanto da sfiorare il petto del militare dinanzi a lui.
Del bellissimo militare dinanzi a lui.
Le sue mani si inerpicarono lentamente fino a posizionarsi sulle spalle del colonnello, il quale già aveva sistemato le proprie sul collo del ragazzo.
Si avvicinarono ancora.
Il colonnello si curvò appena sul profilo del biondo, fino a che le loro labbra si sfiorarono.
Edward avvampò di colpo, sentendo un’ondata di caldo piacere pervaderlo fin nelle viscere. Era una sensazione talmente piacevole che non riuscì a resistere all’impulso di chiederne ancora.
Lui voleva assaporare ancora quel piacere che fino a quel momento si era stupidamente negato.
Si accostò ancora di più al colonnello, cercando le sue labbra con impazienza e passione, con spasmodica attesa, mentre si cercavano vicendevolmente, chiedendo sempre più all’altro di ciò che già concedeva. Nessuno dei due riusciva a saziare la fame di passione che si era impadronita di loro, estraniandoli totalmente dal resto del mondo.
Dimentichi degli Homunculus, del Comandante Bradley e di Alphonse, i due alchimisti non chiedevano altro che poter rimanere insieme per l’eternità, poter protrarre quel bacio all’infinito.
Edward infilò le mani nei capelli del moro, attraendolo ancora di più a sé, mentre questo cercava di portare il biondo più in alto di quanto lui riuscisse ad arrivare con la sua misera altezza.
Edward chiuse gli occhi e lo baciò con maggiore passione ancora. Non voleva smettere. Non voleva che quel piacere lo lasciasse, non voleva che quell’eccitazione crescente che lo animava svanisse.
Mustang lo baciò con passione ancora maggiore, prima che si separassero a malincuore.
- Acciaio... - gli sussurrò all’orecchio.
La fine di quel bacio per Edward fu come uscire da un caldo specchio d’acqua per ritrovarsi in una tempesta di ghiaccio.
Si ricordò di Alphonse, del diario e della sua missione.
I due si fissarono ancora.
- Colonnello... - mormorò il biondo.
Nessuno dei due sembrava in grado di pronunciare quella parola, la parola che avrebbe annunciato la fine eterna del piacere che solo in quel momento avevano capito essere solo l’inizio.
- Questo è un addio... - concluse il colonnello in tono serio.
- ... addio... - ripeté il biondo.
Si fissarono ancora per un’ultima volta, prima di separarsi definitivamente.
Edward si volse e iniziò a correre, mentre Mustang saliva di nuovo in macchina.
Il biondo sentì come una voragine aprirsi dentro di lui, la stessa sensazione di perdita irreale che aveva provato quando aveva visto sparire il corpo di suo fratello.
Calde lacrime affiorarono ai lati dei suoi occhi.
Era qualcosa di estremamente strano: per sua madre non era riuscito a versare neppure una lacrima.
Per suo fratello le lacrime non avevano neanche accennato a venire alla luce.
Ma per il colonnello sì.
Per il colonnello era riuscito a piangere.
Perché a volta la vita è tanto crudele? Non sapeva trovare una risposta che fosse soddisfacente, che riuscisse a colmare almeno in parte il profondo dolore per quella separazione.
Colonnello...
Addio.

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Capitolo 2
*** Di nuovo ***


2_Di nuovo Era di nuovo sabato: davvero incredibile la velocità con cui passava il tempo.
Gli sembrava di averlo rivisto solo ieri e invece erano già passati sette giorni.
Il biondo camminava con calma a dir poco innaturale lungo una delle tante stradine di Central City, stringendosi nel suo giubbino nero quasi fosse un’azione condizionata.
La brezza che iniziava a soffiare quando la luce del sole tramontava era a dir poco gelida e gli sarebbe tanto piaciuto poterlo avere accanto in quello stesso istante.
Abbassò gli occhi e accelerò il passo: quel pensiero aveva scatenato in lui una malsana bramosia di rivederlo.
Erano passati solo pochi mesi da quando avevano deciso la cadenza dei loro incontri: il sabato sera, quando sia lui che il colonnello erano liberi dalla sorveglianza del fratellino del biondo e dei sottoposti del moro, ma Edward sentiva che solo una volta la settimana non gli era sufficiente a soddisfare il desiderio che teneva nascosto durante il resto della sua vita. Aveva bisogno di più tempo da dedicare alla propria vita sentimentale, anche se l’unico momento in cui erano ambedue disponibili era il sabato sera.
Sentì intensificarsi improvvisamente quella brama che stava cercando di tenere a bada finché non fosse arrivato a casa sua. Era intensa, potente, come un’onda d’alta marea che s’infrange sulla scogliera per poi ritrarsi.
Accelerò ancora l’andatura: non era solo il freddo pungente della notte a farlo correre.
Sentiva dentro di sé quel tumulto di emozioni tipico di quei momenti di disperato desiderio, quando l’unica cosa che realmente desiderava era vederlo ancora, assaporare di nuovo il piacere della sua compagnia, della sua voce, dei suoi abbracci e dei suoi baci.
Voleva rimanere accanto a lui in eterno.
Voleva che quella notte si protraesse all’infinito.
Voleva non dover mai porre un freno a quel puro piacere che scorreva dentro di lui ogni volta che si vedevano.
Senza neanche essersene reso conto, aveva accelerato ancora di più l’andatura.
Una corsa forsennata che accelerava inconsciamente sempre più, galoppando al ritmo del desiderio del ragazzo di accorciare sempre più la distanza che lo separava dal colonnello.
Iniziò a piovere e ben presto il cielo fu squarciato da abbaglianti lampi immediatamente seguiti da potenti tuoni.
Edward si trovò a dover correre sotto l’acqua che non finiva più di scendere, mentre le minuscole gocce scivolavano silenziose lungo la sua schiena, bagnandogli anche la canotta sottostante, che sentiva già essere incollata alla sua pelle. Gli stivali sciabordavano ad ogni passo, i pantaloni bagnati iniziavano a dargli non poco fastidio e i capelli zuppi gli si appiccicavano al viso, ma di tutto questo non gl’importava: l’unica cosa che per lui era davvero importante era rivederlo il prima possibile.
L’unico rumore che accompagnava la sua corsa, oltre allo scrosciare della pioggia, era quello dei suoi passi affrettati nelle pozzanghere.
Iniziava a sentire dolore alla spalla e al ginocchio, segno evidente che i suoi muscoli stavano assorbendo parte del freddo assimilato dai suoi auto-mail. Era una fitta appena percepibile, che però andava via via intensificandosi e, se non si fosse sbrigato ad andare all’asciutto, sarebbe caduto vittima del temuto gelone.
E per lui era impensabile doversene stare buono buono per chissà quanto in attesa che i suoi muscoli potessero riprendere a lavorare, oltre al fatto che non avrebbe più potuto vedere il colonnello.
Finalmente arrivò: la casa di Mustang non era niente d’eccezionale, solo un edificio dalle mura consunte che però dava un’idea piuttosto spinta d’intimità.
Il biondo salì velocemente gli scalini, facendo attenzione a non scivolare sulla sottile patina d’acqua che era in agguato per chiunque fosse tanto stupido da non prestarvi un briciolo di riguardo.
Si fermò qualche istante dinanzi alla porta d’ingresso e bussò.
Si sentirono alcuni movimenti provenire dall’interno, prima che la porta si aprisse su un moro con indosso una camicia bianca e un paio di pantaloni neri, che rivolse al ragazzo che aveva davanti uno sguardo carico d’affetto.
- Acciaio... sei arrivato... - mormorò, facendosi da parte per lasciarlo entrare.
Edward mosse qualche incerto passo in avanti, sorridendo divertito.
- Quante volte ti ho ripetuto di chiamarmi semplicemente Edward? - esclamò, guardando di sottecchi il militare, che si strinse nelle spalle.
- Le vecchie abitudini sono dure a morire... - rispose questo semplicemente, accompagnando l’altro in soggiorno.
Con un gesto rapido, quasi impaziente, gli sfilò il giubbino nero, letteralmente impregnato d’acqua e lo lanciò in un angolo, prima di spingere il biondo sul divano.
- Ma come sei allegro stasera... - gli sussurrò Edward malizioso, attirandolo a sé per il colletto.
- Non sai da quant’è che aspetto questo giorno... - gli rispose Mustang, sfiorandogli l’incavo del collo con le labbra.
- Una settimana... solo una settimana... - gli rammentò l’altro.
- Una settimana vuota senza di te... - precisò il moro.
Edward provò un singolare brivido di soddisfazione mentre le labbra del militare gli risalivano lente e passionali lungo il collo, fino ad incontrare le sue.
Fu straordinariamente appagante la sensazione che provò durante quegli attimi di puro e semplice piacere, durante i quali perse completamente la capacità di pensare con lucidità, mosso soltanto dall’istintiva reazione alle labbra che cercavano le sue con foga e impazienza.
Pian piano si sentì scivolare e cadde steso sul divano sotto Mustang, che si accanì su di lui con maggiore bramosia, quasi desiderasse di poterlo possedere per sempre.
Edward scostò impaziente i capelli dal viso e si arpionò al colletto del colonnello, scendendo sempre più giù, fino a che non sentì i bottoni scorrergli sotto le dita. Li sganciò senza neanche prestare attenzione a ciò che faceva, impegnato com’era a ricambiare la malsana foga passionale che il suo superiore continuava a concedergli.
Le mani del ragazzo andarono rapide alle spalle per togliere la camicia, che altro non era se non un inutile impedimento, lasciandola cadere sul pavimento.
Edward sentì il calore emanato dal petto del colonnello a contatto con la sua canotta ancora umida.
Questo interruppe improvvisamente il bacio e osservò il biondo intensamente con quelle sue iridi nere come la pece.
Il ragazzo gli sorrise e con un dito seguì il profilo del torso nudo del moro, che portò le mani al bacino di lui e tolse rapido la canotta, che abbandonò sul pavimento, vicino alla sua camicia, per poi sfiorare la sottile cicatrice ancora ben evidente in corrispondenza dell’attaccatura tra la spalla e l’auto-mail del biondo.
- Ti fa sembrare più figo... - gli disse il militare, chinandosi di nuovo su di lui.
- Sei l’unico che ti curi di farmi complimenti per queste piccolezze... - commentò sarcastico Edward.
- Sarà perché è vero... -
- Sarà perché mi ami... -
- Sì... può anche darsi... -.
Si baciarono ancora, con più foga, con più passione, cercandosi reciprocamente con fervore crescente. Se quella notte non fosse mai finita...
Nessuno dei due voleva essere il primo a porre freno a quel bacio: sarebbe stata una pena da sopportare solo per pochi istanti, prima che la bramosia di piacere li prendesse di nuovo e con più intensità.
Edward sentì le mani del moro penetrare fra i suoi capelli, spostare i ciuffi che gli erano scivolati di nuovo sul viso, stringersi appena sulla nuca.
Era una sensazione fantastica, indescrivibile: si sentiva così felice, così libero!
Era un’emozione che andava ben oltre l’immaginazione umana, qualcosa di così straordinario da sembrare quasi irreale, eppure il colonnello era la cosa più concreta che riuscisse ad immaginarsi.
- Acciaio... -.
Quel sussurro nell’orecchio lo fece trasalire appena: si era così immerso nei suoi pensieri che non si era accorto che Mustang ora lo fissava con quello sguardo magnetico e affascinante che sembrava perforarlo.
Si alzò e così fece anche Edward.
- Andiamo di sopra? - gli chiese il moro, inarcando in modo assai eloquente un sopracciglio.
Il biondo sorrise maliziosamente, comprendendo perfettamente a cosa stava alludendo il suo superiore.
- Certo... - rispose.
Fianco a fianco, salirono le scale e s’inoltrarono lungo il corridoio del piano superiore, finché non si trovarono dinanzi ad una porta, che il colonnello aprì con un gesto fluido ed elegante.
Era la sua camera da letto: non era niente di così eccezionale, dato che all’interno c’era semplicemente un letto matrimoniale.
Ma a loro bastava.
Entrarono.
Edward si sedette sul bordo del letto e si tolse gli stivali, ancora bagnati, per poi raggiungere Mustang sotto le coperte.
- Roy... - sussurrò.
Si avvicinò al colonnello e sentì le sue mani forti stringersi attorno ai suoi polsi.
- Edward... - mormorò l’altro.
- Sei riuscito a chiamarmi per nome... una grande conquista... - disse il biondo in tono sarcastico.
- Già... dovrò farci l’abitudine... -
- Ma abbiamo tempo... -
- Molto tempo... -.
Si diedero un ultimo bacio, prima di lasciarsi sopraffare dal sonno.
Ora erano finalmente insieme...
Di nuovo e per sempre.

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Capitolo 3
*** Sotto la pioggia ***


3_Sotto la pioggia Pioggia.
Ancora e ancora pioggia. Che tempo stupido, così deprimente e malinconico... ma a lui piaceva stare sotto la pioggia: lo aiutava a riflettere.
Aveva appena litigato col suo fratellino, per l’ennesima volta, ancora sullo stesso argomento. Era stufo dei suoi stupidi pregiudizi: oramai, nonostante la sua misera statura, aveva sedici anni. Perché Alphonse non riusciva ad accettare la sua scelta di vita?
Il biondo alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo, lasciando che la pioggia gli rigasse il viso, sostituendo le lacrime che sapeva non avrebbe mai versato, ma che sentiva dentro, assieme allo sconforto.
Suo fratello non riusciva a capirlo proprio: perché non gli lasciava le redini della sua vita, una volta tanto? Perché doveva sempre intromettersi e criticare? Perché non riusciva ad accettare cosa lui aveva deciso per se stesso?
Tutte le volte finiva sempre nello stesso modo: dopo una discussione accesa, prima di arrivare alle mani, lui se ne andava e rimaneva fuori a riflettere fino a notte inoltrata.
Ma quella sera sembrava essere diversa dalle altre: non se la sentiva proprio di tornare da Alphonse, né ora né mai.
Si sedette sul bordo del marciapiede, sotto la torre dell’orologio in Main Street, che già rintoccava le undici.
Abbassò il capo, fissando sconsolato l’asfalto bagnato sotto i suoi piedi.
Era deluso dal comportamento discriminatorio di suo fratello nei suoi confronti e nei confronti della sua scelta di vita: fin da quando erano bambini si erano sempre fidati l’uno dell’altro, si erano sempre aiutati nelle difficoltà, consigliati.
Edward trovava conforto nelle parole di Alphonse come Alphonse trovava conforto nelle sue. Era naturale, era la base della loro solidarietà, fidarsi reciprocamente l’uno dell’altro, ma dopo quella sera tutto era cambiato: Alphonse era diventato più restio nei suoi confronti, più taciturno, ed era così che era finita la loro fraterna solidarietà. Dopo che l’aveva sorpreso con lui, niente era più stato come prima.
Edward socchiuse gli occhi e sospirò, afflitto: forse non sarebbe mai più tornato da Alphonse. Non riusciva più a sostenere il costante clima di tensione che si era creato fra di loro.
D’un tratto non avvertì più le gocce di pioggia battergli sulla schiena, sul capo e, incuriosito, alzò lo sguardo: era strano che avesse smesso di piovere così improvvisamente. I suoi occhi ne incrociarono altri due, neri come la pece, che lo guardavano dall’alto, bonari.
- Strano trovarti sotto la pioggia... a quest’ora per giunta... - gli disse l’uomo, continuando a fissarlo.
Edward si sentì arrossire: era la prima persona alla quale aveva rivolto i suoi pensieri dopo la lite e l’ultima che avrebbe immaginato di trovarsi accanto in quel momento.
- Colonnello Mustang... - mormorò il biondo, più a se stesso che al moro.
Quest’ultimo socchiuse appena gli occhi, in un amorevole sguardo apprensivo rivolto al ragazzo, il quale distolse il proprio, palesemente a disagio.
- Qualcosa non va Acciaio? - chiese il militare, prendendo delicatamente fra le mani il viso di Edward e voltandolo verso di lui.
Il ragazzo mantenne lo sguardo basso, cercando di non farsi sopraffare dal bisogno impellente di guardare il colonnello, di non separarsi più da quegli occhi, da quell’uomo che poi, in fin dei conti, era l’unica cosa che lo separava da Alphonse.
Ma a lui non importava più di ciò che pensava suo fratello, perché ormai si era deciso.
Alzò gli occhi dalla strada e li concentrò in quelli del moro, ritrovando in essi il suo stesso riflesso.
- Ho litigato con mio fratello... sono stufo dei suoi stupidi pregiudizi... - asserì il biondo in tono molto più serio di quel che credesse.
- Ah, capisco... è per quella cosa? - domandò Mustang.
- Sì... non lo accetta... -
- Ah... -.
Edward abbassò il capo.
- Tornerai? -.
La domanda del colonnello lo colse di sorpresa: riusciva a capirlo davvero così bene?
Che sciocco, si disse, si erano incontrati talmente tante volte che ormai si conoscevano meglio di quanto pensassero.
- No, non credo... - esordì Edward, tornando a guardare l’uomo che aveva dinanzi - ... non voglio continuare a scontrarmi con lui e i suoi preconcetti. Non mi capisce affatto -.
- Capisco... be’, in questo caso... - il colonnello s’interruppe e Edward poté notare una scintilla accendersi nei suoi occhi - ... se non sai dove andare, puoi venire a casa mia... - concluse.
Il biondo avvertì una serenità che non era da lui invaderlo non appena Mustang ebbe pronunciato quelle parole: non gli sembrava possibile.
Avrebbe potuto vivere con l’uomo della sua vita, per sempre, senza timore che Alphonse lo disturbasse, senza dover sfuggire in clandestinità alla sua sorveglianza.
Avvertì una scossa propagarsi lungo tutta la sua schiena, mentre il suo pensiero correva dietro a visioni troppo vivide perché potesse rimanere del tutto impassibile. Quello era ciò che lui chiamava “piacere”.
Semplice, puro piacere.
- Sì... - mormorò il biondo.
A stento riusciva a contenere la sua bramosia di “piacere”.
Mustang lo cinse all’altezza dei fianchi, attirandolo a sé.
Edward poggiò la testa sul suo petto, domandandosi se esistesse qualcosa di più bello del poter stare avvinghiati alla persona che più si ama al mondo.
Mustang lo baciò sulla fronte, ancora bagnata.
- Edward... - sussurrò, affondando il mento nei suoi capelli biondi.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, sentendo quella morbida voce risuonargli melodiosa alle orecchie: ogni volta che gli parlava così si sentiva stranamente più bramoso della sua presenza, desideroso di sentire la sua voce ancora e ancora, all’infinito.
- Roy... - sussurrò in risposta Edward, senza alzare il viso dal petto del militare: era così caldo, così muscoloso e il suo abbraccio così affettuoso...
Mustang poggiò di nuovo le sue labbra sulla fronte del biondo e scese giù, sfiorandogli la pelle, costringendo il ragazzo ad alzare gradualmente la testa, finché le loro labbra non si trovarono a contatto diretto.
Le labbra di Edward sapevano d’acqua piovana ed erano così morbide e sensuali che costrinsero il moro a prolungare quel bacio che doveva essere soltanto l’inizio: nessuna al mondo avrebbe potuto dargli la stessa sensazione che gli davano i baci di quell’irascibile, strafottente alchimista nano.
Fu quest’ultimo ad interrompere il bacio.
- A casa avremo tutto il tempo del mondo... e nessun impedimento... - disse, accennando all’ombrello che il moro teneva in mano.
Mustang gli sorrise, affabile.
- Sì... andiamo... -.
S’avviarono verso la casa del colonnello, quella che, da quel momento, sarebbe divenuta la loro casa.

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Capitolo 4
*** Buon compleanno ***


4_Buon compleanno Stava di nuovo contemplando il cielo terso del mattino dalla finestra del suo ufficio invece di lavorare.
Il tenente non ne sarebbe stata affatto contenta, ma era stufo di firmare scartoffie da mattina a sera. Era certo che prima o poi gli sarebbe venuto il “crampo dello scrittore”, ma soprattutto che non avrebbe mai avuto crisi d’identità, non dopo aver scritto e riscritto per centinaia di migliaia di volte il suo nome: Roy Mustang.
Quella mattina era troppo importante perché potesse pensare seriamente al lavoro, alle scartoffie d’ufficio, all’ira del tenente Hawkeye o a chissà cos’altro: era quel giorno.
Da quel momento, lui aveva diciassette anni e stava ritornando a Central City: gliel’aveva detto la sera prima per telefono.
Sarebbe arrivato in stazione fra meno di due ore e lui stava progettando qualcosa di davvero speciale per quella sera.
Niente lavoro, niente pensieri e niente impegni di nessun tipo, solo attenzioni per quel piccolo alchimista biondo e strafottente che non vedeva l’ora di riabbracciare.
Voleva stare con lui almeno in quel giorno, dato che per il resto dell’anno girovagava per il paese con suo fratello, tornando molto di rado e per pochissimo a Central City.
Voleva potergli stare vicino fino all’indomani, quando avrebbe preso il treno per partire di nuovo alla volta dell’ignoto per chissà quanto tempo.
Sospirò e si girò di nuovo verso la scrivania, completamente coperta di documenti da firmare: non sapeva in che altro modo ingannare il tempo...
Prese la penna e si rimise al lavoro, cercando con fatica di concentrarsi su ciò che faceva: doveva aspettare solo qualche ora... qualche semplicissima, dannatissima ora.

Qualcuno bussò alla porta.
- Avanti... - mormorò Mustang con voce strascicata, alzando controvoglia gli occhi verso l’uscio.
Non ce la faceva a rimanere concentrato: troppo difficile. Se ne stava letteralmente sdraiato sulla scrivania, ancora coperta da un numero spropositato di documenti che aspettavano solo i suoi comodi, ad osservare la penna che agitava con la mano, sovrappensiero.
- Colonnello è già in ritardo di cinque minuti... - disse Riza, fermandosi sull’uscio.
La testa del moro scattò su come spinta da una molla ed il suo sguardo andò repentino all’orologio sulla scrivania seminascosto dai documenti: il treno di Acciaio era arrivato già da cinque minuti!
- Oddio, sono in ritardo! - urlò, balzando su, aggirando la scrivania e correndo verso la porta.
- Colonnello, i document...? -.
- Sì, sì lasciali lì li firmo domani! Tardi, tardi, tardi! È TARDIIII! - la interruppe il moro, fiondandosi in corridoio, quasi investendo il disgraziato sottotenente che si era sicuramente trovato nel corridoio sbagliato al momento sbagliato.
- Cos’ha il colonnello? - chiese Havoc, voltandosi verso Riza.
- Ha un appuntamento importante ed è in ritardo... - spiegò lei, sospirando: avrebbe dovuto trovare l’ennesima scusa con i suoi superiori per la mancata firma dei documenti da parte del colonnello.
Mustang uscì di corsa dal Quartier Generale e prese la strada per la stazione a velocità forsennata, incurante del sudore che gli imperlava la fronte, incollandovi gli sbarazzini ciuffi di capelli corvini che gli scendevano sulla fronte.
Mentre percorreva Main Street, gli balzò all’occhio una bacheca sulla quale venivano regolarmente affissi gli eventi esclusivi di ogni giorno. Uno in particolare attirò l’attenzione del moro, che prese mentalmente nota in vista della sera, prima di schizzare via alla volta della stazione.
Quando arrivò dinanzi alla Stazione Centrale, scorse immediatamente il profilo di un ragazzo biondo vestito di rosso e di nero, accanto al quale stava un’imponente armatura.
- Finalmente! - pensò, al settimo cielo.
- EDWARD! - chiamò con quanto fiato gli rimaneva.
Il biondo si voltò sentendosi chiamare.
- Ah, alla fine te lo sei ricordato... credevo che sarei dovuto venire io a cercarti... - esclamò il ragazzo in tono assai seccato.
- Mi dispiace... non credevo che... avrei... fatto tardi... - boccheggiò il moro, appoggiandosi sulle ginocchia per cercare di riprendere fiato: che figura! Però... aveva trovato il posto adatto per farsi le coccole in santa pace...
Edward lo stava ancora guardando, indignato.
- Per favore... scusami... buon compleanno... - cercò di scusarsi Mustang, evidentemente dispiaciuto per il ritardo.
- Mmm... - rispose Acciaio.
Si avvicinò al colonnello e lo baciò rapidamente sulla fronte.
- Perdonato! - disse, sorridendogli - Oggi non ho voglia di arrabbiarmi! - proseguì.
Mustang rimase stupito da quello strano, improvviso cambiamento, ma non se ne preoccupò più di tanto e ricambiò il bacetto con un altro sulla guancia del biondo.
- Auguri! - esclamò, allegro - Indovina un po’ dove si va stasera? - gli chiese il moro: era così eccitato per aver finalmente trovato il posto giusto per il giorno più importante dell’anno.
Edward lo guardò, perplesso e incuriosito.
- Cosa? Stasera usciamo? Uffa... io volevo stare a casa a farci le coccole... - mormorò, rattristato.
Roy gli pizzicò la guancia.
- Le coccole ce le facciamo ugualmente... ma non a casa! - disse in tono ironicamente misterioso.
- E allora dove? Andiamo al ristorante? - tentò Ed.
- Nah -
- Al cinema? -
- Ritenta, sarai più fortunato! -
- E allora dove? -.
Mustang rimase un istante in silenzio, guardandolo tra il divertito e l’eccitato.
- Alle terme! -
- Alle terme?! Per il mio compleanno? Davvero? - chiese Edward, improvvisamente eccitato.
- Sì - rispose semplicemente il colonnello - Così possiamo farci le coccole! - aggiunse.
Alphonse seguiva il discorso silenziosamente, contento del fatto che il colonnello avesse fatto al suo fratellone il più bel regalo di compleanno degli ultimi anni.
- Al, andiamo a lasciare le valigie in albergo! Dai, dai! - esclamò il biondo.
- Sì, arrivo! - rispose l’altro, prendendo la valigia e seguendo suo fratello.
Già, si vedeva lontano un miglio che era al settimo cielo.
Il colonnello li accompagnò fino in albergo, parlando con Edward della serata che aveva in programma: era palese che tutti e due non vedessero l’ora di arrivare alla tanto attesa sera.
Un pensiero attraverso fugace la mente di Alphonse.
- Ma fratellone... tu con gli auto-mail come fai? - chiese.
Edward si bloccò: era vero, non ci aveva mica pensato! Come avrebbe fatto?
Un’idea gli balenò in mente.
- Li renderò impermeabili con l’Alchimia! -
- Ma fratellone, è metallo... e il metallo non può essere reso impermeabile senza alterarne la composizione chimica... finiresti per romperlo... - obiettò in modo pragmatico Alphonse.
- Uffa! Vorrà dire che trasmuterò un qualche cosa di impermeabile per coprirli! Che rottura... - sbuffò il biondo: avere gli auto-mail si rivelava essere, in quell’occasione, una vera e propria rottura di scatole!
- Dai, non prendertela Acciaio... non avevi detto che non avevi voglia di arrabbiarti oggi? - gli ricordò Mustang, mordicchiandogli affettuosamente il lobo dell’orecchio.
Edward avvertì un piacevole pizzicorino pervadergli il collo, facendogli il solletico. Già... il suo colonnello aveva ragione.
Sospirò e sfiorò impercettibilmente la mano del moro.
Arrivati in albergo, i due alchimisti si separarono, dandosi appuntamento davanti alle terme.

Edward era piuttosto a disagio: gli sembrava di essere poco consono conciato a quella maniera, ma in fondo l’aveva fatto per poter stare con il suo colonnello, quindi non era poi così sbagliato.
Sperava solo che Mustang non arrivasse in ritardo come quella mattina.
Puntuale come un orologio, il moro si presentò davanti alle terme con un sorriso affettuoso e sensuale dipinto in viso. Sorriso che fu subito sostituito da un’espressione così sorpresa da riuscire a ferire Edward, che abbassò lo sguardo, palesemente imbarazzato.
- Non è niente di grave. Li ho coperti con dei guanti impermeabili... - disse, mal celando un certo imbarazzo nel parlare dei propri auto-mail, completamente coperti da un paio di guanti impermeabili trasmutati poco prima e perfettamente mimetizzati con la sua carnagione.
Mustang sembrò superare immediatamente la sorpresa, infatti tornò a guardare il biondo con il medesimo sguardo intrigante di poco prima.
Solo in quel momento, il ragazzo sembrò accorgersi che il colonnello non aveva indosso la solita uniforme blu piena di distintivi al merito e via discorrendo, bensì una camicia bianca aderente che marcava i pettorali del militare e lasciava intravedere un bello scorcio di collo, un paio di pantaloni neri stretti che sottolineavano in modo marcato i muscoli delle sue gambe e scarpe nere che parevano essere nuove.
- Entriamo? - gli domandò Mustang con voce suadente, quasi romantica, inarcando in modo molto eloquente un sopracciglio.
Edward si limitò ad annuire e seguì il militare nell’edificio.
Attraversarono una serie di corridoi gremiti di gente, soprattutto giovani etero coppie, che scoccarono occhiate ambigue ai due alchimisti al loro passaggio.
Quegli sguardi puntati su di loro infastidivano alquanto il biondo, che rispondeva ad ognuna di esse con uno sguardo altrettanto cattivo: gli dava fastidio essere guardato con disprezzo per la sua relazione amorosa con il colonnello, come se fossero degli eretici.
Arrivarono agli spogliatoi maschili ed entrarono, fianco a fianco, in silenzio.
Una volta dentro, si cercarono un angolino appartato dove non poter essere disturbati e iniziarono a spogliarsi.
A Edward non parve vero di poter vedere la muscolatura che il suo colonnello nascondeva sotto la camicia, come quest’ultimo non vedeva l’ora di osservare il fisico del suo Acciaio.
Una volta ambedue in costume, si squadrarono vicendevolmente con una scintilla di perversione spinta nello sguardo, mentre uscivano dallo spogliatoio.
Riattraversarono i corridoi e s’immersero in una delle vasche.
- Edward... -.
Il suono di quella voce era così suadente, così graffiante, così sconsideratamente sensuale che il biondo si sentì sciogliere nell’acqua e avvertì la salda presa del moro cingergli le spalle, attirandolo a sé.
Non oppose resistenza per il semplice fatto che non voleva opporne: voleva concedersi un po’ a lui, dato che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro prima di un’altra lunga separazione. Aveva diciassette anni e il suo compleanno lo voleva passare con l’unica persona che avesse mai amato: Mustang.
Si strinse ancora un po’ al torace del colonnello, avvertendo il piacevole tepore della sua pelle contro la propria.
- Roy... -.
Non sussurrava quel nome da troppo tempo e gli mancava terribilmente la sensazione d’affetto che provava ogni volta che lo pronunciava.
Mustang abbassò lo sguardo, incrociando quello di Edward, che lo fissava dal basso verso l’alto, un velo di rossore sulle guance, probabilmente per il caldo.
Si guardarono a lungo, stretti in quell’affettuoso, romantico abbraccio, finché ambedue sentirono prevalere in loro l’istinto e si avvicinarono, sfiorandosi, baciandosi, ricercandosi con foga vicendevole.
- Buon compleanno... - mormorò Mustang a fior di labbra a Edward, in tono così dolce e affettuoso che il biondo si sentì sciogliere completamente.
Abbandonò il capo sulla spalla del moro, ricamando delicatamente con il dito disegni arabescati sul suo candido petto.
- Ti amo... - gli sussurrò ancora il colonnello, mordicchiandogli di nuovo il lobo dell’orecchio.
Era l’ultima volta che lo vedeva prima di un altro lunghissimo viaggio e il colonnello lo sapeva, ma non era arrabbiato o almeno, non lo dava a vedere. Voleva passare con lui una sera tutta per loro, senza che il dolore né la rabbia per la nuova, imminente separazione lo ostacolassero in alcun modo, perché sapeva che ci sarebbe rimasto ancora peggio.
Edward accennò un sorriso sghembo, schiudendo appena le labbra in un labile, sensuale: - Anch’io... -.

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Capitolo 5
*** Io e te in riva al mare ***


5_Io e te in riva al mare Mare.
Il sole, la spiaggia, il mare... e Acciaio.
Soprattutto Acciaio.
Finalmente erano arrivate le tanto sospirate mattinate da poter passare con l’Alchimista d’Acciaio, soli soletti sulla spiaggia, mano nella mano, ad osservare il mare.
Finalmente, dopo quel dannatissimo pomeriggio, l’ultimo in quel Quartier Generale che altro non era se non la materializzazione dell’Inferno in terra, addio lavoro e uniforme e via alle mattinate in spiaggia.
Edward era arrivato a Central City il giorno prima e, la sera precedente, quando si erano visti per l’ultima volta, gli era sembrato estremamente impaziente e smanioso di poter stare in spiaggia con lui, il colonnello di Fuoco, Roy Mustang.
Ovvio, superfluo ribadirlo, ma gli piaceva terribilmente: era il più bel figo dell’esercito.
Sì, non c’erano paragoni con altri: appena ventenne, sbarazzini capelli neri, occhi a mandorla dalle iridi color pece, sguardo magnetico, sorriso da favola, fisico da urlo.
Cos’altro si poteva volere da un uomo degno d’essere definito tale?
E Acciaio sapeva riconoscerlo, come altre centinaia di donne, ma lui voleva solo quel biondo tappetto strafottente e arrogante. Non c’era per nessun’altro.
Guardò l’orologio sulla parete: solo quindici minuti...
Quindici minuti alla fine dell’Inferno.
Riprese in mano la penna e ricominciò a firmare, pregando di riuscire a finire gli ultimi documenti in tempo, perché non aveva nessuna intenzione di trattenersi oltre: Edward lo stava aspettando a casa e non voleva farlo aspettare inutilmente.
I quindici minuti più lunghi della sua esistenza.
Nella sua mente si affollavano tantissimi pensieri caotici, che contribuivano solo a farlo deconcentrare e a rallentarlo.
Calma Roy... devi riflettere.
Concentrati.
Rimani concentrato.
Per Acciaio poi hai tutta l’estate... dai... gli ultimi minuti...
Altro nervoso sguardo all’orologio: dieci minuti...
Forza, ce la puoi fare... coraggio Roy...
Roy Mustang, Roy Mustang, Roy Mustang...
Nome e cognome scritti e riscritti centinaia di volte.
Le ultime centinaia di volte prima della fine del lavoro, per tre mesi.
Tre mesi da poter dedicare, finalmente, interamente ad Acciaio.
Ce la poteva fare.
Ce la doveva fare.
Solo pochissimi minuti prima dell’attesissimo momento.
Ogni singolo muscolo, ogni singola fibra nervosa del suo corpo aspettava, fremeva al solo pensiero che di lì a pochissimi istanti sarebbe scoccata l’ora fatale.
Ce l’avrebbe fatta.
Ormai mancava troppo poco.
Di nuovo guardò l’orologio: due minuti...
I due minuti più lunghi di quella giornata infinita.
Lui continuava a firmare, ripetitivo, come una macchina, aspettando che quei due interminabili minuti passassero.
Solo due minuti...
L’orologio rintoccò le sette.
Lui fu il primo ad alzarsi e, i documenti fra le braccia in una pericolante pila che gli copriva quasi del tutto la vista, si avviò verso la porta, lasciando i documenti al tenente Hawkeye, la quale lo squadrò, perplessa, mentre il moro usciva dall’ufficio.
Finalmente LIBERO!!!! Tre dico TRE mesi di libertà assoluta! SÌÌÌÌÌÌ!
Appena fuori dell’ufficio, il colonnello schizzò lungo i corridoi e uscì dal complesso militare, sfrecciando lungo le strade di Central fino ad arrivare a casa sua, non molto distante dal Quartier Generale.
Appena fu in vista, scorse la porta aperta e una figura appoggiata comodamente sullo stipite, ad osservare la strada.
Era lui: come poter non riconoscere la sua statura e il suo portamento?
Giunto davanti all’uscio, con il fiatone, il moro lo guardò nelle profondità di quelle stupende iridi d’oro.
- Alla fine, ce l’hai fatta ad arrivare puntuale... - l’apostrofò il biondo con quel suo solito tono ironico.
- Te l’avevo... detto... no? - rispose Mustang.
Sul viso del ragazzo comparve un sorrisetto sardonico, mentre rientrava in casa.
- Sì... me l’avevi detto... ma francamente non ci speravo molto... - esclamò dall’ingresso.
Il moro lo seguì, chiudendosi la porta alle spalle.
- Ma quanta fiducia che riponi nelle mie capacità... quando voglio so essere puntualissimo anch’io... - disse il militare.
Edward si girò per metà verso di lui, inarcando in modo molto più che eloquente un sopracciglio.
- E tu volevi essere puntualissimo, vero? - gli chiese, il tono di voce d’un tratto caldo e sensuale.
Mustang fece qualche passo avanti, cingendogli un polso e scansando poi un ciuffo fastidioso dal viso del ragazzo, in modo da lasciarlo ben scoperto. Si chinò sul biondo.
- Ahem, ahem! -.
Il militare si rialzò in tempo record quando sentì l’ovvio richiamo e ammonizione di Alphonse.
Edward abbassò il viso e distolse lo sguardo.
- Domani... - gli sussurrò dolcemente il moro all’orecchio.
- O più tardi... Al va a nanna presto... - gli mormorò Ed in risposta, scambiando con il moro un tacito sguardo d’intesa.
Dopo una cena piuttosto scarsa preparata di fretta, Alphonse si ritirò in un angolino vicino al camino, scoccando un’ultima occhiata a Edward e Mustang, abbracciati sul divano.
Cadde addormentato dopo appena pochissimi minuti.
- Dorme? - chiese il moro.
- Mi pare ovvio... non lo senti? - rispose il biondo.
- A me sembra uguale a prima, comunque... -.
Edward raggiunse le labbra del colonnello e si baciarono fervidamente e a lungo.
- Domani mattina, spiaggia... - sussurrò Mustang.
- Non vedo l’ora... - rispose Edward.
Si diedero un ultimo, rapido bacio, prima di salutarsi: Edward avrebbe dormito sul divano, dove Alphonse avrebbe potuto tenerlo d’occhio.
Mustang si avviò su per le scale e, una volta raggiunta la sua camera, si lasciò cadere sul letto, completamente vestito, distrutto ma felice.
Il mattino seguente, il colonnello fu svegliato da un dolce picchiettio sul suo petto.
- Uhm...? - biascicò, ancora mezzo addormentato.
Si rispecchiò in due iridi dorate.
- Acciaio? Che ore sono? - domandò.
- Le sette e mezza... - disse il biondo.
Era ancora presto e lui aveva terribilmente sonno...
- Cinque minuti? - chiese.
Edward gli si sedette accanto, guardandolo.
In quel momento, nonostante le palpebre socchiuse, il colonnello scorse attorno agli occhi del biondo due orribili occhiaie nere.
- Non hai dormito...? - domandò.
- Il divano era scomodo... - rispose il biondo, facendo spallucce.
- Magari il letto è più comodo... - biascicò il moro, cingendogli le spalle e attirandolo verso di sé.
- No, vorrei... non sai quanto vorrei... ma se Al si sveglia e non mi vede di sotto sono guai... - disse, alzandosi.
Svanì oltre la soglia della stanza e Mustang, un po’ più sveglio, si voltò a guardare il soffitto, gli occhi ancora gonfi di sonno: non si era neanche tolto i vestiti...
La sera prima doveva proprio essere distrutto per addormentarsi sul letto completamente vestito.
Si strusciò gli occhi e sbadigliò, cercando di svegliarsi del tutto.
Si mise seduto sul letto e guardò la sveglia: erano davvero le sette e mezza...
Si alzò e, stiracchiandosi, raggiunse l’armadio, iniziando a rimestare il gran putiferio che regnava lì dentro alla ricerca dei suoi bermuda.
Mezzo addormentato poi, le sue possibilità di trovarli si riducevano di molto, ma non si perse d’animo.
Appena trovati, si mise a cercare una canotta e un paio di pantaloncini e si cambiò.
Quando scese di sotto, bello sveglio, trovò Edward seduto sul divano, evidentemente in attesa.
Il suo sguardo fu immediatamente attratto dall’insolito abbigliamento del giovane alchimista: canotta nera e pantaloncini larghi neri che gli arrivavano fino al ginocchio, lasciando ben scoperti gli auto-mail.
Si volse verso il moro non appena questo ebbe sceso le scale, sorridendogli.
Si alzò e gli andò vicino.
- Andiamo...? - domandò.
- E Al? - chiese il moro.
- Gliel’ho detto nel sonno... spero abbia capito e non venga a rompere... - rispose il ragazzo.
Mustang gli passò un braccio sul fianco.
- Andiamo? -
- Sì... -.
Uscirono nel caldo mattino estivo, diretti verso il mare.
Quando arrivarono, una fresca brezza li investì, leggera, frusciando fra i loro capelli.
- Il mare... - sussurrò Edward, intrecciando la propria mano con quella del colonnello.
- Già... il mare... e la spiaggia... - disse Mustang.
- Ah... quanto vorrei potermi bagnare... ma gli auto-mail... -
- Non puoi bagnarti? -
- No. Non posso -
- E come fai a fare la doccia? -
- La faccio... normalmente... -
- E allora! -.
Mustang si chinò e lo schizzò.
Il biondo fissò il moro per qualche istante, prima di chinarsi a sua volta e schizzarlo.
Giocarono lì per un po’, finché Edward non si gettò sulla sabbia e Mustang sopra di lui, ghermendolo ai polsi dolcemente.
Si baciarono di nuovo, più intensamente, più fervidamente, cercandosi spasmodicamente, avvinghiati l’uno all’altro da un bisogno intenso e passionale.
Stretti l’uno all’altro, non chiedevano altro che pace, attimi di piacere da passare loro due da soli.
E sulla spiaggia in quel caldo mattino estivo, nessuno avrebbe potuto disturbarli...

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Capitolo 6
*** San Valentine's Day ***


6_San Valentine's Day Era estremamente difficile riuscire a far convivere due caratteri simili, eppure loro ci riuscivano: Fuoco e Acciaio erano fin troppo simili, ma riuscivano, nel complesso, a coesistere pacificamente.
Inizialmente non era così: immediatamente dopo il loro primo incontro, avevano iniziato a provare una sincera, palese e talvolta garbata antipatia, anche se molto più spesso questa si trasformava in odio quasi mortale. Poi, per qualche fortuita circostanza, o più semplicemente per volere del Fato, quell’antipatia si era gradualmente trasformata in amore vero e proprio.
Nel loro rapporto non esistevano parole dolci né moine, solo sfrenata bramosia di piacere, puro e intenso.

14 Febbraio, dalle giovani coppiette giorno conosciuto anche come San Valentino.
In ogni dove erano disseminati femminili addobbi cuoriformi di ogni immaginabile tonalità di rosa e rosso, che parevano essere esposti al solo scopo di ricordare costantemente a chiunque vi posasse lo sguardo che quello era il giorno degli innamorati.
Nelle vetrine delle pasticcerie abbondavano fronzute scatole di pasticcini vari e nei negozi di fiori non mancavano enormi mazzi di rose rosse.
Tutti quei cuori, tutti quei fiori e tutti quei fronzoli gli facevano venire il voltastomaco: troppo, decisamente troppo femminile.
Lui era il Fullmetal Alchemist e, in quanto tale, non riusciva a sopportare la vista di tutti quegli addobbi femminili.
Era in momenti come quelli che era contento di stare con un uomo: niente frivole smancerie tra i piedi.
L’unica cosa importante per lui, era che era domenica, l’unico giorno della settimana in cui poteva stare con lui tutto il giorno, dato che era il suo unico giorno libero.
A quel pensiero, il giovane Acciaio accelerò ancor di più il passo, cercando di accorciare nel minor tempo possibile la distanza che lo separava dalla casa del colonnello.
Trepidava nell’attesa di rivederlo: troppo impaziente, come gli ripeteva sempre suo fratello Alphonse. Chissà, forse non aveva tutti i torti...
Accelerò ancora: doveva assolutamente rivederlo.
Quando giunse davanti a casa sua, alzò lo zerbino e prese la chiave di riserva, quindi la fece nella toppa.
La serratura scattò e la porta si aprì.
La casa era immersa in un placido silenzio, il che stava a significare che il colonnello stava ancora dormendo nonostante fossero le undici e mezza passate.
Il biondo sorrise quando il suo pensiero si soffermò su Mustang ancora assopito nel suo letto matrimoniale al piano di sopra.
Si apprestò a salire, trepidante, mentre sul suo viso prendeva vita un provocatorio sorrisetto sghembo.
Percorse rapido il corridoio e schiuse l’uscio quel tanto che bastava ad intravedere l’interno: in un indefinibile groviglio di coperte, sdraiato scompostamente e beatamente addormentato, c’era il colonnello Roy Mustang.
Il biondo entrò con passo felpato nella stanza, avvicinandosi silenziosamente al letto, osservando divertito gli scompigliati capelli neri del militare.
Gli si sedette accanto e si chinò sul suo orecchio.
- COLONNELLOOOOOOO!!!!! -.
Il suo urlo fece letteralmente drizzare i capelli del moro, che spalancò gli occhi di botto e scattò seduto, palesemente spaventato.
Sbatté, confuso, le palpebre e si guardò intorno, finché il suo sguardo si soffermò sul biondo accanto a lui.
- ACCIAIO! Io ti... - esordì, adirato, ma Edward gli fu addosso prima che riuscisse a proferire un’altra parola e lo baciò con fervore, a lungo.
Mustang si abbandonò alla passione e lasciò che il suo peso sul proprio petto lo facesse ripiombare sdraiato sul letto.
- Buongiorno, colonnello... - gli disse Edward con fare provocatorio, sfiorandogli con il dito lo zigomo, scendendo poi lungo il profilo del viso fino alla base del collo.
- Bel buongiorno, mi hai quasi rotto un timpano! - replicò Roy, scoccandogli un’occhiata di sbieco.
- Quasi... quindi non hai di che preoccuparti - esclamò il biondo, sorridendogli con fare innocente - E poi, sono già le undici e mezza passate! - aggiunse.
- E allora? Oggi è domenica, non devo mica andare in ufficio! - ribatté il moro, facendo per coprirsi di nuovo.
- Sì, però io sono qui... - gli rammentò Edward, inarcando in modo molto più che eloquente un sopracciglio.
Si squadrarono vicendevolmente per qualche istante, in silenzio.
Mustang, infine, sospirò.
- Va bene... mi alzo! - esclamò il militare, mettendosi seduto sul bordo del letto.
Acciaio sorrise di sghembo e si lasciò attirare dalle braccia dell’altro, che lo baciò di nuovo, con fervore.
- Oggi è San Valentino... - gli mormorò all’orecchio l’Alchimista di Fuoco.
Il biondo abbassò lo sguardo, stirando le labbra in una smorfia che esprimeva meglio di qualsiasi parola i propri pensieri.
- Qualcosa non va...? - chiese Mustang, posando sulla fronte del Fullmetal un casto bacio.
- In giro è pieno di gente... - si lamentò il biondo, incrociando arrabbiato le braccia sul petto.
- E allora? - domandò l’altro, inarcando un sopracciglio per la sorpresa: non era da lui lamentarsi così.
- E allora tutti quei bacini, tutte quelle moine, i fiori, i cioccolatini! - s’interruppe e volse altrove lo sguardo, visibilmente irritato - Mi danno la nausea - concluse.
Mustang gli prese dolcemente un ciuffo di capelli dorati e lo arricciò attorno ad un dito, prendendogli poi il viso e voltandolo verso di sé.
- Non è detto che dobbiamo uscire per forza - gli ricordò il moro.
Nei suoi occhi neri come la pece prese vita uno scintillio diverso che il biondo riconobbe all’istante e che dipinse sul suo viso un’espressione tentatrice. Le coccole.
- Buon San Valentino... - sussurrò Mustang all’orecchio di Edward.
- Me ne frego di San Valentino... - ribatté l’altro, posandogli un prolungato, fervido bacio sulle labbra.
Si distesero l’uno accanto all’altro, avvinghiati, nuovamente prede del piacere che così tanto spesso li assaliva, in quei rari, dolci momenti di solitudine.

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