A New Job

di SusyCherry
(/viewuser.php?uid=1006494)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di occasioni, pregiudizi e novità ***
Capitolo 2: *** Di scenate, sogni e pettegolezzi ***
Capitolo 3: *** Di torte, strategie e sensi di colpa ***
Capitolo 4: *** Di concerti, fratelli e riflessioni ***
Capitolo 5: *** Di teatri, altalene e incomprensioni ***
Capitolo 6: *** Di cene, indugi e dichiarazioni ***



Capitolo 1
*** Di occasioni, pregiudizi e novità ***


Salve! Dopo "appena" un anno ho finalmente deciso fosse arrivato il momento di pubblicare questa storia. Faccio le cose con i miei tempi scusate. Anche se è la seconda storia che pubblico si tratta della primissima che ho scritto (sebbene sia la seconda che ho terminato, nel mezzo di questa iniziai e finii una Freebatch che prima o poi troverò il coraggio di pubblicare). È stata scritta per la Summer Challenge dell'anno scorso organizzata dal gruppo "Aspettando SHERLOCK 5 - SPOILERS & EVENTI!". La storia è completa, non so dirvi quanti capitoli saranno perché non li ho ancora suddivisi, ma se siete terrorizzati come me dalle storie incomplete state tranquilli, ci sono tutti e cercherò di pubblicarli in tempi rapidi.
È una Johnlock, prometto amore e felicità! Spero vi possa piacere!
I personaggi non mi appartengono e la storia è stata scritta senza scopo di lucro.


 

A New Job


 
Abbiamo di nuovo finito il latte. SH

Va bene, dopo la fine del turno vedrò di passare da Tesco per comprarne altro. JW

Non potresti passarci ora e portarmelo a Baker Street? Sei in pausa pranzo no? Ne ho urgente bisogno per un esperimento. SH

Sherlock, no. Oggi è stata una giornata terribile e ho tutte le intenzioni di godermi il mio meritato riposo. Non passerò la mia pausa pranzo trotterellando per Londra per soddisfare i tuoi capricci. E no, nemmeno se è “per la scienza”. JW

Va bene calmati, chiederò se può andarci la signora Hudson. Non c’è bisogno di scaldarsi così tanto. SH

Hai ragione scusami, ma ho davvero avuto una giornata orribile. JW

Pazienti irritanti? SH

È un eufemismo. Due ubriachi hanno cominciato a litigare nella sala d’attesa e siamo dovuti intervenire per dividerli. Poi uno di loro ha pensato bene di riversare tutto il contenuto del suo stomaco sulle mie scarpe. Un altro paziente ha sbraitato per mezz’ora minacciando di denunciarci tutti solo perché aspettava da BEN 20 MINUTI. Aveva un semplice raffreddore. Scemi noi che abbiamo pensato di dare la precedenza a un uomo con ferita d’arma da fuoco. E questo è stato solo l’inizio. Per non parlare di Karen che continua a mettere tutta la mia roba in disordine. A volte penso lo faccia apposta. JW

Lo fa apposta. La tua segretaria ti odia. SH

E perché dovrebbe farlo, di grazia? JW

Non lo so, magari le stanno antipatici i dottori biondi. Oppure potrebbe essersela legata al dito quando le ho detto che poteva anche smetterla di continuare a fantasticare su di te, che non le avresti mai chiesto di uscire perché a te non piacciono le ragazze tristi e scialbette come lei. Ma ehi, chi può dirlo cosa passa nella sua testa? SH

Tu hai fatto cosa??? Sherlock penserà che IO ti abbia detto tutto questo! Oddio lei mi porta i caffè!! E poi io non penso queste cose su di lei. JW

Che sarà mai, ci avrà sputato dentro qualche volta, ma di veleno non ne ha usato, visto che stiamo sostenendo questa inutile conversazione su quella triste e scialba donnetta. SH

Sherlock sei inqualificabile. A casa facciamo i conti, ora devo scappare. L’ennesima urgenza della giornata. JW

Divertiti. SH



A John piaceva il Pronto Soccorso, davvero, un tempo avrebbe dato di tutto per quella vita fatta di brividi e adrenalina, ma ormai aveva il suo sfogo personale per quel tipo di bisogno. Doveva ammettere che le indagini con Sherlock lo eccitavano molto più di quella che ormai era diventata unicamente una fonte di stress e malumori. Non che non amasse più la professione medica, tutt’altro, solo che almeno in quell’ambito avrebbe preferito un po’ di tranquillità e normalità. A volte la banalità andava bene, la banalità era perfetta.[1] Soprattutto quando a casa ti aspettava un capriccioso e geniale bambinone che come una sanguisuga prosciugava ogni energia, ogni secondo libero che restava nella vita del dottore. Lui quella vita non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo, non avrebbe cambiato Sherlock per niente e per nessun altro, ma questo non l’avrebbe mai confessato ad alta voce. Chissà che danni irreparabili avrebbe fatto al già ipertrofico ego dell’unico consulente investigativo al mondo ammettere una simile cosa. Tanto era già evidente a tutti che la sua vita ruotasse unicamente intorno a Sherlock e a tutte le sue stranezze, non c’era bisogno di esternare tali riflessioni. Le sue adorabili e irresistibili stranezze, pensò John, maledicendosi subito dopo per aver anche solo immaginato simili aggettivi. Sherlock non era adorabile, tutt’altro, era maleducato, arrogante, a tratti astioso, saccente, borioso, ecco questi sì che erano epiteti che più gli si addicevano! Eppure…eppure John vedeva le mille premure che il detective mostrava per lui, nascoste sapientemente sotto uno schermo di indifferenza. Aveva inteso anche il costante bisogno di accettazione di Sherlock, sapeva che dietro certi comportamenti che in molti avrebbero trovato insopportabili (e senza troppa difficoltà ciò avrebbe potuto valere anche per lui) si nascondeva solo un infantile bisogno di attenzioni e conforto. E la cosa meravigliosa era che ciò valeva solo per lui, a Sherlock non interessava essere accettato dagli altri, gli importava solo e unicamente del suo giudizio. Pensando al suo coinquilino John visualizzò l’immagine di un gatto, un gatto a lungo ferito e rifiutato dal mondo che aveva reagito a ciò cominciando a soffiargli contro e graffiando tutti coloro che provavano ad avvicinarsi. Ma allo stesso tempo si era trasformato in un dolce e tenero gattino che si era scoperto fosse anche in grado di fare le fusa (che suonavano comunque un po’ minacciose, perché andiamo era di Sherlock che si stava parlando) nel momento in cui John Watson si era offerto di badare a lui. Ecco perché accettava di buon grado tutte le prepotenze di quell’uomo, perché sapeva che in fondo tutto ciò mascherava altro, lui era l’eccezione ed era ben fiero di essere l’unico a ricoprire quel ruolo. D’improvviso la sirena di un’ambulanza lo riscosse da quello stato semi comatoso in cui era finito. Un gattino? Come diavolo gli era venuto in mente di pensare a Sherlock come a un gattino? Come a un tenero gattino per giunta! L’alcool riversatogli sui piedi doveva essergli entrato in circolo per osmosi e doveva aver raggiunto il cervello, non c’era altra spiegazione. Si rese conto in quel momento che mentre era perso ad occhi aperti nel suo mondo onirico qualcuno gli aveva posto una domanda.

«Come dici Andrew?»

«Ti ho chiesto, John, se saresti venuto alla festa di pensionamento di Willis.»

«Chi?» e la domanda di John era genuina, non aveva realmente idea di chi fosse questo Willis.

«Andiamo, l’urologo del terzo piano, dicono che alla sua festa ci saranno tutte le infermiere del reparto, non vorrai lasciartele sfuggire!»

«Io no di certo» intervenne un terzo dottore «insomma quelle sono donne che sanno bene dove mettere le mani» aggiunse ridendo sguaiatamente seguito a ruota dall’amico.

John si limitò a stirare le labbra in un tiepido sorriso, non amava quelle battute sessiste e a sfondo sessuale, ma non voleva apparire come il guastafeste moralista della situazione. I suoi colleghi erano degli idioti, Sherlock ci aveva visto giusto fin da subito su questo. “Come se avesse mai torto su qualcosa” aggiunse una vocina proveniente da chissà dove nel suo cervello, che si affrettò a ricacciare indietro nell’angolo buio dal quale era venuta.

«Tra l’altro ora stanno cercando un sostituto per il suo posto. Ah se avessi ponderato meglio la mia scelta all’epoca! Ora avrei uno stipendio più alto e soprattutto orari più regolari!»

«John ma perché non fai domanda tu piuttosto? Hai anche una specializzazione in Urologia e Andrologia, tra le tante altre.»

A John non sfuggì la punta di acidità con cui furono pronunciate le ultime parole. Era vero, era troppo qualificato per il suo ruolo, aveva diverse specializzazioni e il lavoro come medico militare l’aveva preparato praticamente a tutto, ma non aveva mai dato sfoggio di ciò con i suoi colleghi, perciò si limitò a classificare tutto quello come semplice invidia e passò oltre. Però l’idea non era male, effettivamente un lavoro con maggiore tranquillità era tutto ciò che aveva desiderato fino a pochi istanti prima, quindi cominciò a valutare seriamente l’idea.
 
 

Quando rientrò a casa John aveva un sorriso soddisfatto che gli illuminava il viso e Sherlock lo guardò attentamente assottigliando lo sguardo.

«Oh ti prego, non mi dirai che hai chiesto di uscire a quell’insignificante donna, John andrà male, lei è solo attratta dal tuo status sociale, non le interessa altro che accaparrarsi un medico che...»

«Ma di che diavolo stai parlando Sherlock?» lo interruppe il dottore.

«Non ci hai provato con Karen?»

«Oddio no. E a proposito di ciò…»

«John risparmiami il discorsetto, ti prego, non tediarmi con la solita storia delle convenzioni sociali, lo sai che con me è fiato sprecato. Questi argomenti non attecchiscono.»

«Ok, ok. Ti salvi solo perché ho una bella notizia. Un tizio del nostro ospedale è andato in pensione e ho fatto domanda per il suo posto. Sherlock sarò un urologo!» dichiarò con un sorriso trionfante.

«Un…urologo?» domandò sinceramente confuso Sherlock.

«Sì un urologo. Sai apparato urinario. Non avrai cancellato anche quello insieme al sistema solare, vero Sherlock?»

«Certo che no, non essere sciocco. Apparato urinario e…apparato genitale maschile, no?»

«Esatto.»

«John vedrai peni dalla mattina alla sera?» chiese Sherlock con faccia scioccata.

«Beh, non è che un urologo faccia solo quello in realtà. È un clinico e un chirurgo, opera a cielo aperto o in laparoscopia, si occupa di rimozione di calcoli, un vasto numero di patologie…ma sì, ha anche a che fare con molti peni.»

Mentre diceva ciò John distolse lo sguardo improvvisamente interessato alla carta da parati alla sua destra, cercando di nascondere a tutti i costi il rossore che si faceva largo sul suo volto.

«Scelta interessante per qualcuno che non fa altro che sbandierare al mondo la sua eterosessualità.»

«Oh andiamo Sherlock, non mi dire che proprio tu cadrai in quegli stupidi cliché per cui l’urologo deve essere per forza gay e se è femmina ovviamente sarà una ninfomane. Il ginecologo poi è un maniaco sessuale, e su cosa dicono delle ginecologhe credo ci possa facilmente arrivare anche tu. Ti facevo più intelligente di così» rispose piccato John, non nascondendo una punta di fastidio.

Sherlock, punto nel vivo (l’intelligenza era sempre stata un suo vanto e non poteva accettare venisse messa in dubbio), si raddrizzò nella postura e tutto impettito rispose con sdegno: «Certo che lo sono John, facevo una semplice osservazione, ma non volevo insinuare nulla. Mi chiedo piuttosto cosa ne penseranno i tuoi colleghi, loro di certo sono molto meno intelligenti di quel che pensi.»

«E da quando in qua ci interessa l’opinione altrui?» rispose John con sorriso dolce.

«A te da sempre.»

«Andiamo Sherlock, non dire sciocchezze, vivo con un sedicente sociopatico iperattivo[2], disturbo che si è autodiagnosticato per giunta, metà della gente che conosciamo ti strozzerebbe volentieri a mani nude e l’altra metà si tiene bene alla larga da te. Tutti però sono concordi nel considerarmi un pazzo a dividere la vita con te. Se mi interessasse della loro opinione sarei scappato da molto, molto tempo.»

«Noi non dividiamo la vita» disse frettolosamente Sherlock abbassando lo sguardo sul pavimento e con un leggero rossore che gli imporporava le guance «dividiamo la casa.»

John liquidò la sua protesta con un gesto della mano che significava chiaramente “è la stessa cosa” dopo di che si portò in cucina per preparare la cena, lasciando uno Sherlock immobile e confuso.

 
[1] Citazione rivisitata presa dall’episodio 1x02 “The Blind Banker” (“Il banchiere Cieco”): “Mundane is good sometimes. Mundane works.”
 
[2] Mi sono attenuta alla traduzione italiana fatta nella serie, ma in realtà la giusta definizione sarebbe “sociopatico ad alta funzionalità”.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Di scenate, sogni e pettegolezzi ***


Eccomi qui col secondo capitolo! Ringrazio infinitimente chi ha letto la storia, chi ha lasciato una recensione e chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate o seguite. Buona lettura!



Il caso che Lestrade gli aveva affidato era inaspettatamente interessante, un caso da otto avrebbe azzardato, John ne sarebbe stato entusiasta. O almeno questo era quello che Sherlock pensava mentre attraversava il lungo corridoio prima della stanza dove era situato il nuovo studio di John. La postazione della noiosa e fastidiosa segretaria che aveva seguito John anche nel suo nuovo incarico era vuota e per un momento Sherlock se ne dispiacque: era chiaro che la donnetta non aveva ben recepito il messaggio di girare alla larga da John, quindi forse necessitava di un ulteriore incoraggiamento da parte sua. Sì, avrebbe proprio dovuto scambiare due paroline con quell'arrampicatrice sociale, ma in fondo fu felice di poter entrare nello studio di John senza che nessuno provasse a bloccarlo. Spinse quindi la porta con forza, entrando con la sua solita eleganza e strafottenza da diva in passerella e si preparò a parlare con il suo tono più sicuro e suadente quando ciò che vide gli fece morire le parole sulle labbra: all’interno della stanza c’era un uomo chino sulla barella, con i pantaloni e la biancheria abbassati fino alle caviglie.[1] Sherlock registrò meccanicamente il suo aspetto. Poteva avere circa 45 anni, capelli castani, occhi blu, fisico muscoloso e definito, di bell’aspetto a dir poco, più alto di lui. Era un fottuto modello quell’uomo! John si apprestava con una mano inguantata a scostargli leggermente le natiche mentre l’altra mano sollevata a mezz’aria era ricoperta di una sostanza vischiosa e trasparente, vaselina evidentemente.

«Cosa diavolo stai facendo» si intromise Sherlock, scandendo ogni singola parola e utilizzando un tono di voce alto, gelido, da cui però traspariva la rabbia che covava malcelata sotto la superficie di una calma ostentata, ma non posseduta.

«Sh-Sherlock? Che ci fai qui?»

Il detective si limitò a lanciargli un’occhiata torva, guardando con odio l’uomo col sedere all’aria che a sua volta guardava interrogativo John, con un’espressione che esprimeva chiaramente una domanda: “E questo chi diavolo è?”

“Oddio” pensò John “devo trovare una scusa. E in fretta anche.”

«Mi scusi signor Richards, è un paziente del reparto psichiatrico, deve essere scappato alla sicurezza. Lo riportò nella sua stanza e torno subito da lei!» si affrettò a spiegare John mentre si liberava dai guanti e lo prendeva per un braccio, strattonandolo verso il corridoio.

«Un paziente psichiatrico John?»

«Certo, non sapevo che altro inventarmi. Perché solo un pazzo entrerebbe in una stanza d’ospedale, senza bussare e interrompendo una visita in corso!»

Sherlock lo guardò ancora più offeso quindi John si costrinse a calmarsi. Fece un profondo respiro, gli lasciò il gomito dal quale lo stava ancora trascinando e provò a spiegarsi con tono paziente.

«Sherlock queste sono visite delicate, i pazienti sono già abbastanza a disagio senza che un perfetto estraneo piombi nella stanza aumentando il loro imbarazzo. È estremamente importante assicurare loro rispetto e privacy. Lo capisci?» concluse sorridendogli dolcemente.

«John, tu stavi per penetrare quel paziente» e il tono del detective era gelido, risentito.

«Cos..? Sherlock ma di che parli?» l’infinita pazienza del medico era davvero agli sgoccioli. Si portò una mano sulla fronte passandola poi sugli occhi nel tentativo di riacquistare un barlume di autocontrollo per evitare di urlargli contro. «Stai dicendo solo idiozie.»

«Ah sì, vorresti dirmi che non eri in procinto di penetrare quel paziente?»

Certo John gli avrebbe infilato un dito nel sedere, ma non era ben sicuro di cosa intendesse Sherlock parlando di penetrazione.

«Sherlock innanzitutto smettila di ripetere la parola penetrare. È una procedura medica, si chiama esplorazione digito-rettale.»

«Certo! E dopo che verrà?»

Sentendosi urlare contro queste parole John perse anche l’ultima briciola di calma che gli era rimasta e iniziò a gridare anche lui:

«Se è per questo dovrò anche palpargli i testicoli! Quindi? Sono un medico, un urologo. È il mio lavoro. Tu piuttosto si può sapere che ci fai qui?»

Sherlock aveva completamente dimenticato il motivo di quella visita, il caso e tutto il resto. Sentiva solo una grande rabbia che non vedeva l’ora di sfogare fumandosi un pacchetto di sigarette intero. O meglio ancora se la sarebbe presa con le pareti del loro appartamento, visto che John probabilmente gli aveva buttato tutti i pacchetti che aveva in casa e non aveva alcuna intenzione di entrare in una tabaccheria e interagire con degli esseri umani.

«Niente. Buon lavoro allora» e dopo aver pronunciato queste parole con tutta l’acidità di cui era capace si girò sui tacchi e si diresse verso l’uscita in uno svolazzare di cappotto che aggiunse drammaticità alla scena, semmai ce ne fosse stato bisogno, lasciando in piedi e a bocca spalancata un dottore in piena confusione.
 
 
 
Verso l’ora di pranzo John aveva sbollito quasi tutta la rabbia, ma non era ancora pronto a mettere una pietra sopra l’accaduto. Certo Sherlock aveva spesso comportamenti bizzarri, ma una volta capito come funzionava il suo cervello era possibile scorgere una certa logicità dietro le sue stranezze. Ma il comportamento che aveva avuto quella mattina esulava da qualsiasi logica o tentativo di comprensione. Sherlock doveva semplicemente essersi bevuto il cervello. Il dottore sospettò addirittura che avesse ricominciato a fare uso di droghe e già solo il pensiero di questa eventualità gli fece stringere lo stomaco in una morsa d’apprensione. No, non era possibile, una tale ipotesi non era minimamente da prendere in considerazione. Se ne sarebbe accorto, avrebbe riconosciuto i sintomi. E poi cosa lo avrebbe mai potuto spingere a una scelta del genere? Le cose andavano bene, certo Sherlock continuava ad annoiarsi in mancanza di casi, ma quella era la loro solita routine, nulla era successo da poter sconvolgere il detective al punto da ricominciare con le droghe. Non l’avrebbe mai fatto. Non glielo avrebbe mai fatto. Se Sherlock avesse avuto qualche problema ne avrebbe parlato con lui. L’avrebbe fatto, vero? Lo sapeva che con lui poteva parlare di tutto, John per lui ci sarebbe sempre stato. Lo sapeva, vero?

John era perso nei suoi pensieri quando registrò a malapena che qualcuno si era seduto di fronte a lui.

«Mangi solo oggi Watson? Cos’è quella brutta faccia? È così terribile la zuppa?»

John alzò gli occhi verso la figura che gli aveva parlato con tono cordiale e gli sorrise di rimando, un sorriso un po’ tirato ma sincero. Peter Goodwin era un ginecologo dell’ospedale e a John era sempre piaciuto, era una persona pacata e amichevole, sempre molto gentile e disponibile con tutti.

«Sono solo molto pensieroso Peter, ma va tutto bene.»

«Senti John…» cominciò con tono incerto «ci tengo che tu sappia che l’ultima cosa che voglio è impicciarmi degli affari tuoi, però…beh…volevo solo dirti che ci sono passato anch’io…»

John lo guardò interrogativo, non aveva la minima idea a cosa il collega si riferisse.

«Ho saputo cosa è successo stamattina.»

«Come diavolo…?»

«Karen, la tua segretaria. Ha visto la scena e ne ha parlato con l’infermiere Evans. E sai che razza di pettegolo sia. Ne ha parlato con l’infermiera Davies che l’ha riferito alla dottoressa Wright. E io ero nei paraggi mentre ne discutevano.»

«E in questo ospedale non c’è di meglio da fare che parlare degli affari miei?» sbottò John «Non ci sono malati, gente che ha bisogno d’aiuto con la quale rendersi realmente utili?»

Il medico allargò le braccia in risposta, e John pensò che effettivamente non aveva colpa, non era davvero nel suo stile mettersi a spettegolare, doveva veramente aver captato la conversazione per puro caso. Si calmò e continuò ad ascoltare ciò che l’amico aveva da dirgli.

«Vedi tu lavori come urologo da poco, sicuramente non te l’aspettavi e non hai considerato certi particolari. Capisco che per te non c’è nulla di male, ma noi siamo medici, siamo abituati a questo genere di cose e guardiamo tutto con occhio professionale. La gente esterna a volte questo non lo capisce, ma non agisce con cattiveria, non è una reale mancanza di fiducia, loro hanno solo bisogno di essere rassicurati. È successo anche con mia moglie, ma è bastato farle capire che la sua gelosia era infondata, che non ho occhi che per lei, magari dedicandole più attenzioni e portandola a cena fuori…»

«No Peter aspetta» lo bloccò John, capendo finalmente dove quel discorso stava andando a parare «c’è un malinteso. Sherlock non è il mio compagno. Io e lui non siamo una coppia.»

«Oh!» e il volto del ginecologo era veramente il ritratto dello stupore «Perdonami, io ero sicuro che…beh, ecco…lo pensano tutti a dire il vero. Ma davvero scusami, non avrei dovuto dare per scontato una simile cosa. Sono davvero imperdonabile, spero potrai davvero accettare le mie scuse.»

«Tranquillo, non importa, davvero. Va tutto bene.»

“Tanto l’hai detto anche tu, lo pensano tutti” aggiunse mentalmente il dottore “già, perché mai poi tutti continuano a scambiarci per una coppia?” continuò seguendo il filo dei suoi pensieri. C’era stato Angelo, la signora Hudson, Mycroft, Mike che ogni volta che li vedeva li guardava con un sorrisetto soddisfatto che pareva urlare “ma tu guarda che bella coppietta ho formato. Sono stato io, il merito è tutto mio!”, e altre centinaia di persone. Oltre che l’intero ospedale a quanto pareva. E a nulla valevano le sue proteste, sempre e solo le sue tra l’altro, perché Sherlock non aveva mai detto mezza parola in merito, poteva iniziare un sermone se qualcuno lo chiamava psicopatico piuttosto che sociopatico iperattivo (entrambe definizioni che John odiava, lui sapeva bene che il detective non apparteneva a nessuna delle due categorie), ma mai una sola parola per correggere il loro status. Le proteste del medico, poi, venivano accolte dalla persona di turno con la tipica faccia da “sì, come no, figuriamoci. Di’ pure quello che vuoi, tanto non ti credo”, espressione che poteva leggere anche in quel momento dipinta sulla faccia del collega.

«E i bambini come stanno?» cercò di cambiare argomento.

«Oh molto bene, la piccola…» e John si sforzò con tutto se stesso di seguire il discorso dell’amico. Ci avrebbe pensato dopo, a casa, con più calma.
 
 
 
Quando finalmente rientrò a casa alla fine del turno trovò Sherlock steso sul divano con gli occhi chiusi. Di certo non stava dormendo, ma finse comunque di non aver udito il rientro del dottore. John non era così illuso da aspettarsi delle scuse, ma non si aspettava nemmeno il trattamento del silenzio. Tuttavia non diede eccessivo peso alla cosa, aveva bisogno di pensare prima di poter affrontare il coinquilino. Proclamò il suo intento di fare una doccia e andare subito a dormire e augurò la buonanotte al detective, senza ricevere risposta, e quando fu finalmente in camera sua si stese sul letto e si infilò sotto le coperte.

Di certo le parole dell’amico l’avevano fatto riflettere. “Sherlock geloso? Assurdo, improbabile, inconcepibile, impensabile” aveva decretato in un primo momento “eppure…avrebbe una sua logica, tutto avrebbe senso” si era ritrovato ad aggiungere poi, sentendo le palpebre farsi sempre più pesanti. “Sherlock è sposato col suo lavoro” aveva proseguito la vocina più scettica. Ed era vero, l’aveva detto chiaramente alla prima cena da Angelo, quando ci aveva spudoratamente provato con lui. Perché sì, almeno a se stesso poteva ammetterlo, almeno nella sua testa poteva essere completamente sincero. Ma Sherlock gli aveva espresso esplicitamente il suo non interesse, per cui John aveva fatto prontamente marcia indietro e di certo avrebbe rispettato il volere del coinquilino. “E allora trovami un’altra motivazione per il comportamento di questa mattina” ribatté pronta la vocina più fiduciosa. A John piaceva quella vocina, di certo avrebbe voluto seguire lei, ma si sforzava di essere neutro e imparziale. Nel frattempo sentiva la sua coscienza venir meno e scivolare sempre più nel calore di un sonno invitante. “Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità.” “Un punto per te!” pensò John, ormai nel suo mondo onirico, “se mi citi Sherlock così non posso che concederti la mia completa attenzione” e proprio in quel momento le due vocine assunsero nel sogno l’aspetto di due persone: una, la più fiduciosa, aveva nemmeno a dirlo le sembianze di Sherlock; l’altra, la più scettica, quali se non quelle dell’arcinemico del suo coinquilino? Ed ecco quindi una bella copia del governo inglese in tutto il suo splendore. John li guardò intensamente passando lo sguardo da uno all’altro, che nel frattempo si guardavano in cagnesco. Alla fine sospirò e proclamò: “Bene, non è un segreto per quale dei due Holmes io abbia sempre tifato, Mycroft mi dispiace, ma tuo fratello viene sempre prima di te.”

Lo Sherlock mentale di John rispose con un fiero sogghigno a queste parole (vanitoso pure nei sogni), mentre Mycroft roteava gli occhi al cielo proclamando con tutta la melodrammaticità che solo gli Holmes possedevano: “Come se ci fosse stata mai una reale scelta. Andiamo, ho l’aspetto di Mycroft, una persona che ha fin da subito insinuato cose sul vostro conto. Scommetto che sarebbe molto felice di vedervi insieme, certo sempre dietro un finto disgusto” e a quelle parole John rise di gusto.

“Certo non possiamo buttarci nel vuoto. Ci serve sicurezza prima di agire” dichiarò Sherlock.

“No di certo” continuò Mycroft “dobbiamo elaborare un piano.”

John era contento di come si stavano mettendo le cose. Quella riunione mentale prometteva bene e avere due Holmes dalla propria parte non poteva che essere una cosa buona. [2]
 
 
 
Quella mattina John uscì molto presto di casa, voleva evitare ad ogni costo di incontrare Sherlock. Al coinquilino sarebbe bastato un solo sguardo e lo scambio di qualche parola per riuscire a dedurre ogni cosa di lui e di ciò che aveva in mente. Però Sherlock aveva mostrato dei punti deboli, in particolare John aveva notato che perdeva di lucidità quando assumeva quell’atteggiamento che lui aveva ipotizzato potesse identificarsi come gelosia. Ma gli servivano conferme, non poteva azzardarsi a fare nulla prima di essere completamente certo di ciò che il detective provava e voleva. Non poteva rischiare passi falsi, c’era troppo in ballo. E a dirla tutta John non voleva neanche illudersi troppo, avrebbe fatto troppo male l’impatto con la dura realtà. Eppure c’era quella fiammella di speranza che non ne voleva sapere di spegnersi.

 
Sei uscito presto di casa oggi. SH

 
Ecco il pesciolino che abboccava all’amo. John doveva essere evasivo, ciò avrebbe infastidito il consulente investigativo. Doveva fingere che la sua attenzione fosse rivolta altrove. Farlo aspettare innanzitutto. E poi? Che altro? Nominare qualche collega? No forse era meglio rispondere semplicemente con il minor numero di parole possibile.

 
Già. JW

Si può sapere come mai, di grazia? SH

 
Ecco qui, Sherlock Holmes in tutta la sua impazienza. Il pesciolino cominciava a innervosirsi.

 
Avevo da fare. JW

Oh. Ok allora smetto di disturbarti e ti lascio ai tuoi impegni. SH
 

“No, no, no. Ho tirato troppo la lenza, il pesciolino sta scappando!” John doveva pensare subito a un modo con cui recuperare. “Pensa John, pensa!”

 
Nessun disturbo Sherlock, tu non disturbi mai. JW
 

Forse aveva esagerato, in fondo Sherlock non era una delle sue solite donne, sensibile alle smancerie e alle lusinghe (tranne quelle sulla sua intelligenza, su quelle era sensibilissimo, ma a dire il vero quei complimenti se li meritava tutti).

 
Sarcasmo di prima mattina, sei in forma oggi dottor Watson. SH

 
Ok Sherlock aveva frainteso, ne aveva tutte le motivazioni, John si era mostrato più volte esasperato dai suoi comportamenti e dalla sua invadenza, era ovvio che una tale dichiarazione fosse interpretata in quel modo. Però Sherlock stava continuando a rispondere e questo era l’importante. E poi…quel dottor Watson aveva attirato la sua attenzione. Era un tentativo di flirtare quello? O era la fantasia perversa di John che ormai vedeva doppi sensi e un secondo fine in tutto? Doveva saggiare il terreno.

 
Sì, immagino io ti sia mancato immensamente stamattina. JW

Non immagini quanto. SH

 
Oddio. Questa era un’ulteriore prova. Non poteva non significare niente tutto ciò. Doveva significare qualcosa, dannazione! Ma doveva riacquistare la calma, doveva attenersi al piano originale.

 
Mi spiace, ma stamattina dovevo vedere un paziente. JW

Un paziente. Prima dell’orario di visita? SH

Esatto. Hai fatto colazione? JW

 
Cambiare argomento era un’ottima mossa, non poteva permettere a Sherlock di insistere o non avrebbe saputo più che inventarsi. Intanto il seme del dubbio era stato instillato.

 
No, tu non c’eri e la signora Hudson è fuori città. SH

Mi spiace, vedrò di prepararti qualcosa quando torno. Oggi termino prima, sbrigo una commissione e sono a casa. JW

Che commissione? SH

Scusa ora devo andare Sherlock, ho un paziente da visitare. A dopo! JW

 
Il suo messaggio restò senza risposta, evidentemente Sherlock doveva aver trovato molto fastidiosa la mancanza di risposta alla sua domanda, sicuramente tutto il comportamento di John doveva averlo irritato, ma questo era esattamente ciò a cui il dottore puntava. Sperava in questo modo di riuscire a rallentare le sue capacità deduttive, almeno quel poco che gli serviva per avere un minimo di vantaggio. John in vantaggio su Sherlock, questa sì che era una novità! Ma in fin dei conti questo era un ambito nel quale il medico aveva una vasta esperienza pratica e teorica, ne aveva fatte di battaglie su quel campo. Sherlock invece era completamente non avvezzo ai sentimenti, per lui era tutto nuovo, era ovvio si sentisse confuso e un po’ sperduto. 

John sperò solo di non aver male interpretato tutti quei segnali che aveva colto, si augurò di non fare passi falsi, di non rovinare nulla.

Desiderava intensamente una chance, se la meritava in fondo, dannazione! Una chance per essere felice. Felice con Sherlock.
 
 
 
[1] In realtà per l’esame in questione vengono utilizzate altre posizioni come il decubito laterale sinistro o la ginecologica, che però sono meno “rappresentative”, o la genupettorale, più difficile da descrivere. Quindi ho barato un po’.
Vi prego ditemi che avete capito chi è il paziente che John sta visitando!

 
[2] In tutto questo pezzo per i dialoghi ho utilizzato le virgolette piuttosto che le caporali per sottolineare che si tratta di pensieri prima e di un sogno dopo, tutta la conversazione avviene nella testa di John.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Di torte, strategie e sensi di colpa ***


Eccoci qua con un altro capitolo, perdonatemi per la lunga attesa ma è stato un periodaccio. Vi prometto che l'aggiornamento dei prossimi capitoli sarà più costante. Ringrazio immensamente chi sta seguendo la storia, chi ha lasciato una recensione e chi l'ha inserita tra le preferite, ricordate o seguite. Spero il capitolo vi piaccia, a presto!



Quel giorno il tempo sembrava trascorrere col contagocce e quando finalmente giunse alla fine del turno John sospirò sonoramente. Raccolse velocemente le sue cose e si defilò in fretta prima che qualche collega potesse fermarlo per fargli qualche domanda o invitarlo a bere qualcosa. Solitamente non gli dispiaceva socializzare con gli altri, ma quel giorno aveva qualcosa di molto più importante da fare.

Si sentiva piuttosto nervoso quindi decise di tornare a casa a piedi, una passeggiata lo avrebbe rilassato e dato tutto il tempo per ripassare il suo piano. Era quasi arrivato al 221B quando, immerso nei suoi pensieri, fu attirato da un dolce profumo. Portando gli occhi verso quella che il suo olfatto aveva inquadrato come l’origine di tale fragranza si ritrovò a fissare una pasticceria che aveva esposto nella sua vetrina delle fantastiche e appetitose torte. Arrestò il suo passo solo per pochi secondi, riflettendo su tale eventualità, poi si decise ed entrò nel negozio. In fondo con molta probabilità Sherlock non aveva ancora messo nulla sotto i denti, in più quasi sicuramente era molto irritato per il comportamento di John di quella mattina e ciò che il dottore stava per mettere in atto avrebbe peggiorato notevolmente l’umore del detective. John non voleva assolutamente ferirlo, ma non vedeva nessuna alternativa per agire con la certezza di non creare un disastro. Ciò nonostante l’idea di fare qualcosa che avrebbe intristito il suo coinquilino lo faceva stare malissimo. “Solo un piccolo prezzo da pagare Sherlock” continuava a ripetersi tra sé e sé “lo faccio per non rovinare tutto, per non rischiare di perderti sul serio. Solo questa volta, poi ti giuro che farò di tutto per renderti felice ogni giorno della mia vita. Qualsiasi saranno i risultati di questo mio piccolo esperimento.”

Ma questo mantra che continuava a ribadire nella sua mente non lo aiutava a sentirsi meglio. Al diavolo, quella torta Sherlock se la meritava tutta. Scelse la sua preferita, un mastodontico dolce con diversi tipi di cioccolata e il lato medico di John rabbrividì di fronte a quella fonte infinita di calorie. Senza ombra di dubbio Sherlock non era goloso tanto quanto Mycroft, ma quando ci si metteva riusciva a spazzolare ingenti quantità di dolciumi, certo non quando lavorava ad un caso, in quelle circostanze iniziava dei lunghi digiuni che lo facevano dannare nel tentativo di fargli mangiare qualcosa. Per questo a John non dispiaceva vederlo sgranocchiare biscotti, torte e pasticcini, era sempre così tanto magro… John sospirò nell’attesa che la ragazza dietro il bancone gli incartasse la torta in una graziosa confezione, bastava un comportamento strano del suo coinquilino ed eccolo trasformato nella signora Hudson, che si preoccupava della linea fisica del suo caro ragazzo. Oddio, forse un giorno anche lui avrebbe potuto chiamare Sherlock il suo ragazzo. Certo non nello stesso senso con cui veniva usato dalla loro padrona di casa, ma ecco, sì, insomma…

Nel momento stesso in cui realizzò questa cosa sentì un gran calore al viso, probabilmente doveva essere arrossito fino alla punta delle orecchie e sperò con tutto se stesso che la ragazza non si girasse proprio in quel momento.

“Sei John Hamish Watson, Quinto Fuciliere Northumberland, tre anni in Afghanistan, veterano del Kandahar, dell’Helmard e di quel dannato Saint Bart’s Hospital, smetti di arrossire e di comportarti come una ragazzina alla sua prima cotta!”[1] si ordinò mentalmente John, tossicchiando per cercare di riprendere il controllo di sé. La ragazza finì di aggiungere fiocchi e nastri alla confezione, dopo di che gliela porse con un enorme sorriso seducente, ma che John notò a malapena. Sorrise educatamente di rimando, afferrò il pacchetto e si rimise in marcia verso casa, chiamando a raccolta tutta la sua concentrazione e il suo sangue freddo da soldato. Si andava in scena.
 
 
 
«Sherlock sono a casa!»

«Che cos’hai in mano? Oh una torta.»

Il consulente investigativo lo aveva osservato dalla testa ai piedi nel momento stesso in cui il medico aveva poggiato un piede all’interno dell’abitazione. John sperò con tutto se stesso che il suo piano non fosse stato scoperto.

«Sì, mi sono ritrovato nei pressi di una pasticceria ed ho pensato di portarti un regalo.»
Sherlock assottigliò lo sguardo guardandolo più intensamente. John ebbe quasi paura che i suoi occhi potessero radiografarlo e passarlo da parte a parte.

«Sei tornato a piedi perché avevi bisogno di camminare. Qualcosa su cui pensare immagino. E mi hai preso una torta. Qualcosa da farti perdonare?» chiese sospettoso.

Aveva ben intuito il suo senso di colpa, c’era da aspettarselo, ma non aveva compreso da cosa fosse derivato, gli mancavano troppi elementi. Dopo tutto John poteva sfruttare la cosa a suo vantaggio.

«Ma cosa dici Sherlock, avevo solo voglia di fare due passi, ho avuto una giornata piena al lavoro e stavo ripensando ad alcuni casi. Devo dedurre che non la vuoi la torta?»

«È quella al cioccolato? La mia preferita?» chiese Sherlock con l’entusiasmo di un bambino cercando di sbirciare all’interno della confezione.

«Certo, ma potrai mangiarla solo se prima consumerai un pasto completo.»

«D’accordo mamma» ribatté Sherlock con voce fintamente esasperata, mentre John si portava in cucina per preparare da mangiare, accogliendo la sua risposta con una risata.
 
 
 
Sherlock mantenne le promesse e mangiò tutto quello che John aveva preparato, quindi come ricompensa si tagliò un’enorme fetta di torta. Stavano entrambi assaggiando il dolce quando John iniziò a parlare con voce un po’ imbarazzata:

«Sai oggi mi è capitato un caso molto particolare…»

«Oh eccolo qui il senso di colpa. Bene finalmente capiremo a cosa è dovuta questa torta!»

«Continui a dire stupidaggini, stai perdendo smalto, caro il mio consulente investigativo.»

A tale affermazione il diretto interessato rispose con una buffa espressione da prima donna offesa e John prese a ridere ancora più forte quando vide che un baffo di cioccolata decorava il labbro superiore del coinquilino. Sherlock a questa reazione assunse un atteggiamento ancora più risentito, non capendo cosa avesse scatenato l’ilarità dell’altro.

«Vieni qui, sei tutto sporco di cioccolata» e detto questo si sporse per pulirgli via la cioccolata con un dito, sfregando inevitabilmente sulle sue soffici labbra. Fu un gesto spontaneo, impulsivo, ma estremamente intimo che fece immediatamente zittire Sherlock. John osservò l’espressione persa del detective, le labbra schiuse, le pupille dilatate, lo sguardo confuso che gli stava rivolgendo e si rese conto di ciò che aveva appena fatto. Ritirò immediatamente la mano borbottando uno “scusa” tra i denti e cercò di riprendere il discorso con una risatina nervosa. Tutto ciò che aveva appena osservato doveva significare qualcosa.

«Comunque dicevo, è venuto da me un paziente che lamentava dei sintomi…beh…strani. Non mi ha parlato chiaramente fin dall’inizio della sua problematica, come puoi capire i miei pazienti non sono desiderosi di condividere i loro aspetti più intimi, ma alla fine è venuto fuori che si trattava di…beh…» John giocherellava nervosamente con la forchetta nel proprio piatto, lo sguardo basso cercando di raccogliere tutto il suo coraggio «…priapismo.»

«Priapismo, dal dio greco Priapo noto per la sua erezione sproporzionatamente grande e permanente, è una condizione di erezione persistente, dolorosa, nonostante l'assenza di stimolazione erotica, di durata superiore alle quattro ore» sputò Sherlock meccanicamente e tutto d’un fiato.

«Esatto» annuì John «non credevo la conoscessi. Comunque è la prima volta che mi imbatto in un caso del genere. In un ragazzo di trent’anni poi. Fortunatamente siamo riusciti ad intervenire per tempo e il ragazzo sta bene. È stato…beh sì, è stato molto interessante»

Sherlock che era stato in silenzio fino a quel momento si alzò di scatto.

«Perdonami, credo di sentirmi poco bene, forse ho mangiato troppa torta, vado a stendermi in camera mia» pronunciò queste parole alla velocità della luce per poi battere in ritirata senza che John avesse nemmeno il tempo di pronunciare una sola parola.

Il dottore fu molto confuso da quella reazione, innanzitutto era avvenuta troppo presto, onestamente aveva immaginato di dover infarcire il discorso con molti più particolari, di dover essere ambiguo ed evasivo, invece Sherlock se l’era data a gambe alla prima frase. E poi si aspettava una reazione totalmente differente, prevedeva scenate isteriche di gelosia come quella che gli aveva riserbato all’ospedale. Ora quell’atteggiamento che diavolo voleva dire? Si portò le mani davanti agli occhi stropicciandoli energicamente per poi passarle sulle tempie e tra i capelli. Sherlock non era una persona semplice, questo lo sapeva, ma non credeva sarebbe stato così complesso capire ciò che provava. In fondo non aveva mai avuto problemi con tutte le donne con cui era uscito. Ma Sherlock non era come tutte le donne, lui era speciale e gli avrebbe riservato un trattamento speciale. Fino a quel momento aveva provato a giocare di astuzia, il tutto per cercare una sicurezza che tutt’ora non aveva. Di una cosa era però certo: poteva avere dubbi sui sentimenti di Sherlock, ma non li aveva sui suoi.

John non era una persona da giochetti intellettivi, la mente tra i due era Sherlock. Lui era cuore, coraggio. Azione.[2] E quello è ciò che avrebbe fatto, avrebbe agito, si sarebbe buttato, non come quando si buttava provandoci con una donna appena incontrata, ci avrebbe messo tutto se stesso, avrebbe dato tutto di sé, a costo di farsi molto, molto male. Perché John poteva flirtare tranquillamente con qualcuno conosciuto un attimo prima, ma non si sarebbe mai esposto troppo con qualcuno a cui teneva senza sapere di andare a colpo sicuro. Ma era lì che risiedeva l’essere speciale di Sherlock, con lui potevi dare il cento per cento e ancora non sarebbe bastato, ancora ti avrebbe spinto oltre, oltre ogni limite, oltre la ragione. E se c’era una cosa di cui John Watson era sicuro in quel momento era che per Sherlock avrebbe sempre, sempre oltrepassato tutti i limiti possibili e immaginabili.
 

Con fare deciso si alzò dalla sedia e si diresse verso la camera del consulente investigativo, bussò, ma non ricevendo risposta (non si era aspettato diversamente) entrò senza troppi complimenti. Sherlock era sdraiato di lato, con la faccia rivolta verso il muro e gli porgeva la schiena. John non si lasciò ingannare nemmeno un attimo dall’idea che stesse dormendo e gli si avvicinò lentamente.

«Come ti senti? Stai meglio?» gli domandò con voce dolce.

«Sì John. Grazie John.»

Il tono piatto con cui gli aveva risposto il detective lo preoccupò un attimo, ma cercò di non farsi condizionare da ciò.

«Io ora devo tornare a lavoro, fammi sapere se ti serve qualcosa. Mandami qualche messaggio, anche solo per dirmi come stai.»

Visto il silenzio ostinato di Sherlock, John decise di avvicinarsi ulteriormente e portando una mano tra i suoi capelli glieli scompigliò dolcemente, lasciandogli una carezza sulla testa.

«Ehi, che ne diresti se stasera andassimo a cena? Solo noi due.»

Sherlock a queste parole finalmente si voltò, mostrando un’espressione smarrita in risposta al gesto di John e alle sue parole. Una cosa era certa: non era l’unico, John, ad essere in totale confusione.

«Non abbiamo casi risolti da festeggiare.»

«Non importa.»

«Quindi per quale ragione dovremmo andare a cena fuori?»

«Perché ci va? O almeno io ne ho voglia, per questo te l’ho chiesto. Non abbiamo bisogno di un motivo per farlo.»

Sherlock continuava a fissarlo come se si fosse bevuto il cervello e John dovette fare un enorme sforzo per non farsi scoraggiare da quella reazione. “Magari è solo spaventato” continuava a ripetersi.

«Dai, tu riposa, più tardi ti mando un messaggio con i dettagli e se ne hai voglia anche tu usciamo. Cerca di rimetterti del tutto. A dopo.»

«O-ok John. A dopo.»

John uscì dalla sua stanza e solo quando fu sicuro che l’altro non potesse sentirlo si appoggiò al muro e riprese a respirare normalmente, dopo esser rimasto col fiato sospeso per quasi tutto il tempo.

Nello stesso momento Sherlock immergeva la faccia nel cuscino impedendosi di urlare.

Cosa diavolo stava succedendo in quella casa?
 
 
[1] Piccola citazione, modificata ovviamente, della 3x02
 
[2] Credo sia il caso di chiarire: non concordo con la definizione di Sherlock come la mente, quasi come se non avesse sentimenti, e John come il cuore, come se fosse uno stupido e mancasse di intelletto, quindi non è a questa duplicità che si riferisce questa frase. È però vero che per quanto John sia molto più intelligente rispetto alla media è Sherlock il genio tra i due, quindi l’intelletto è sicuramente il punto forte del consulente investigativo. D’altro canto l’impulsività e l’azione le vedo come caratteristiche principalmente associate a John, per quanto anche Sherlock possegga queste qualità.
Ecco quindi, in questo caso, non dovete vedere questo dualismo come privativo, Sherlock ha un grande cuore e John un intelletto piuttosto sviluppato, piuttosto quanto una caratteristica che prevale in uno o nell’altro.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Di concerti, fratelli e riflessioni ***


Salve, ecco a voi il nuovo capitolo. È arrivato prima del previsto per un motivo: la parte centrale, rappresentata dal secondo, terzo e quarto capitolo dovrebbe essere un tutt'uno, ma sarebbe uscito un qualcosa di davvero troppo lungo. Quindi ho deciso di dividerla in tre parti, ma non volevo farvi aspettare troppo, quindi eccoci qua! ​Non preoccupatevi, le cose si sbloccheranno a breve e il prossimo capitolo arriverà molto presto. Ringrazio chi sta leggendo la storia, chi ha lasciato una recensione e chi l'ha inserita in qualche categoria. Spero la lettura sia di vostro gradimento, a presto!



John continuava a ripensare alla conversazione avvenuta con Sherlock, cercava di analizzare ogni sua reazione per cercare di capire cosa passasse nella testa del detective. Aveva provato con tutto se stesso a pensare ad altro, a concentrarsi sul suo lavoro, ma niente, il suo pensiero continuava a tornare a Sherlock. Per di più quello era un pomeriggio particolarmente fiacco in ospedale e John si annoiava come non mai. O forse era una fortuna visto che la sua mente era da tutt’altra parte. Stava giusto per decidersi a mandare un messaggio al coinquilino quando udì qualcuno bussare alla porta.

«Avanti!»

«Salve John. Perdonami se ti interrompo, ma ci sono arrivati questi moduli su cui avrebbe dovuto esserci la tua firma che invece manca.»

«Salve Monica. Non disturbi, figurati, come puoi vedere la giornata scorre a rilento. Hai ragione, Karen avrà fatto casino come al solito e si sarà dimenticata di mostrarmeli. Ma non c’era bisogno che venissi personalmente, sarei potuto passare io più tardi.»

«Non preoccuparti, giornata fiacca anche per noi. Goditi questi momenti, li rimpiangerai nei giorni di fuoco! Certo che per uno come te, che arriva dal Pronto Soccorso, per non parlare di tutta la tua carriera militare, tutto questo sembrerà estremamente noioso!»

«Fidati, la mia vita è già abbastanza movimentata. Ecco qua, scusami ancora per l’inconveniente.»

«Tranquillo. Sai…io credo proprio che la tua segretaria ti odi!» e accompagnò questa frase con una risata cristallina.

“Ma non mi dire! Chissà perché dovrebbe poi, in fondo il mio simpatico coinquilino le ha solo dato della ragazza triste e scialbetta, facendo intendere che questo fosse il mio pensiero su di lei. Che persona permalosa” ma si limitò a pensare ciò, rispondendo invece con un sorriso tirato.

«Che fai di bello dopo il turno? Notti brave a far follie?»

«Credo uscirò a cena» rispose evasivo.

«Oh certo, certo. Capisco.» esordì la donna con un sorrisetto malizioso.

“Ma cosa…?” si meravigliò John “Oh ma certo, la dottoressa Wright era uno degli anelli della catena del pettegolezzo che avevano riportato la notizia della scenata di Sherlock al dottor Goodwin.”

«Tu invece? Programmi interessanti?» si affrettò a domandare John, più desideroso di cambiare l’oggetto della conversazione, che per un reale interesse.

«Mi sarebbe piaciuto andare a quel famoso concerto di musica classica, non so se ne hai sentito parlare, sarà l’ultimo concerto di un importante violinista venuto da chissà dove. La fine di un’era a quanto dicono. A dire il vero io non ci capisco poi così tanto, non sono io l’appassionata, ma il mio ragazzo. Mi sarebbe piaciuto fargli un bel regalo. Ma i biglietti sono introvabili, a meno che non si conosca la regina in persona è praticamente impossibile riuscire a recuperarli!»

John ascoltò la risposta della donna improvvisamente più attento alle sue parole. Sembrava un’occasione praticamente perfetta. Forse era davvero il caso di scomodare la regina in persona.
 
 
 
Salve Mycroft. Potremmo vederci dopo la fine del mio turno di lavoro? JW


La risposta arrivò quasi immediatamente.


Troverai una mia macchina ad aspettarti. MH


 
Ovviamente Mycroft fu di parola e all’uscita dall’ospedale John trovò come di consueto una macchina nera dai finestrini oscurati ad aspettarlo. Entrò senza proferire parola e fu accompagnato nel totale silenzio al Diogenes Club. Solo quando fu finalmente accompagnato nello studio privato del maggiore degli Holmes si permise di ricominciare a parlare.

«Salve Mycroft.»

«Buonasera dottor Watson, a cosa devo l’onore?» domandò l’Holmes con un sorriso mellifluo. John sapeva che con molta probabilità alla personificazione del governo inglese era bastato un solo sguardo per capire quasi tutta la situazione, ma era ugualmente a conoscenza del fatto che non gli avrebbe fornito nessuno sconto in tal senso. Lo avrebbe costretto a vuotare il sacco e non avrebbe mosso un dito finché John non avesse ammesso i veri motivi che l’avevano portato lì.

«Devo chiederti un favore. Riguarda Sherlock.»

«Ovviamente.»

«Hai sentito parlare del concerto di stasera? Domanda stupida, certo che sì, non rispondere» aggiunse immediatamente bloccando sul nascere l’occhiata di biasimo che l’altro stava per rivolgergli.

«È un violinista che piace a Sherlock?»

«Lo adora.»

John chiamò a raccolta tutto il suo coraggio, deglutì un groppo di saliva e chiese tutto d’un fiato:

«Per caso potresti procurarmi due biglietti? A quanto so sono introvabili.»

«Lo sono, non è vero?» gli disse, rivolgendogli un sorrisetto furbo «E come mai questo improvviso interesse per la musica classica?»

Lo sapeva, Mycroft non l’avrebbe mai risparmiato. Gli avrebbe fatto confessare ogni singola cosa, gli avrebbe tirato le parole con precisione chirurgica se ce ne fosse stato il bisogno. Ma lo stava facendo per Sherlock. E sì, valeva bene quella conversazione con il fratello. In fondo, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era lì anche per cercare una sorta di…benedizione? Beneplacito? Sospirò profondamente pronto ad ammettere ogni cosa, quando Mycroft impugnò il telefono per mormorare qualcosa alla sua segretaria.

Quando terminò si rivolse nuovamente a lui e iniziò a parlare con voce calma:

«Sono ottimi posti, avrete una vista magnifica.»

Mycroft…lo stava risparmiando? Aveva rinunciato al piacere di vivisezionarlo davanti ai suoi occhi e gli stava dando ciò che voleva senza troppe spiegazioni? Cosa diamine stava succedendo agli Holmes?

«Mi pareva di avertelo già spiegato una volta» cominciò, probabilmente seguendo il filo dei pensieri del medico «Io mi preoccupo per lui. Costantemente. Voglio solo la felicità del mio caro fratellino.»

In quel momento Anthea fece il suo ingresso lasciando due biglietti in elegante cartoncino sul tavolo di fronte al suo capo. Questo aspettò che la donna uscisse per porgerli al dottore che li afferrò e fece per alzarsi.

«Io…non so che dire. Grazie Mycroft» e avvertendo che l’incontro fosse giunto al termine, si diresse verso l’uscita.

«Dott… John. Solo una cosa.» John si bloccò e si girò verso di lui. «Vacci piano con lui. Non è…abituato a questo genere di cose. Presta…presta attenzione.» Al suo cuore, avrebbe voluto aggiungere. Ma non ce ne fu bisogno, perché John aveva capito perfettamente. Gli sorrise, un sorriso rassicurante.

«Non potrei mai fargli del male. Non a lui.»

E Mycroft sorrise in rimando. Non un sorriso sarcastico o affettato, un vero sorriso. Forse ci aveva visto giusto quel giorno, quando aveva conosciuto per la prima volta John Watson e gli aveva permesso di avvicinarsi a suo fratello. Forse davvero aveva trovato qualcuno che tenesse al suo adorato fratellino tanto quanto lui. Forse d’ora in poi avrebbe potuto preoccuparsi meno per lui, sicuro che sarebbe stato in buone mani. Forse avrebbe potuto vederlo finalmente felice.
 
 
 
Venti minuti e sono a casa. Il tempo di una doccia e usciamo. Fatti trovare pronto. JW

 
Attese qualche secondo rigirandosi il cellulare in mano. Andava bene quel messaggio? Era stato troppo diretto? Forse Sherlock non aveva voglia di uscire con lui dopo quello che era successo a pomeriggio. Eppure John non poteva lasciare le cose così com’erano, non con quella atmosfera pesante che aveva avvertito prima di uscire di casa. Non attese nemmeno la risposta al primo messaggio prima di inviarne un altro.
 

Sempre se a te sta bene, ovvio. JW
 

Sospirò e si accasciò contro il sedile in pelle, chiudendo gli occhi. La macchina mandata da Mycroft, che lo stava ora accompagnando a casa, era impeccabile. Non un odore si percepiva all’interno dell’abitacolo, i suoni erano attutiti a dei meri rumori di fondo e i colori all’interno erano ridotti al minimo. Anzi a dirla tutta ovunque posasse gli occhi riusciva a vedere un unico colore, la tappezzeria, i sedili in pelle, persino i finestrini fumé viravano sul nero. Pensò alla macchina che suo padre guidava quando lui era ancora bambino, alla confusione perenne che regnava al suo interno, all’odore di cane bagnato, di gelato rovesciato sul sedile, alla tappezzeria mordicchiata dal suo cucciolo, alle urla gioiose sue e di Harry. E poi pensò a Sherlock, a Mycroft, a quanto quella macchina fosse incredibilmente simile a loro. Austera, severa, rigorosa. Pensò a Mycroft con la sua rigidità e i suoi formalismi, a Sherlock con il suo autocontrollo e la sua impermeabilità al mondo. Eppure sotto la facciata si nascondeva un universo di colori, John lo sapeva bene. In quegli anni di convivenza solo a lui era stato permesso di sbirciare sotto la superficie e ciò che aveva visto lo aveva affascinato, ammaliato. Ora non gli bastava più scrutare dalla riva quell’oceano che era il suo coinquilino, voleva immergersi completamente, farsi avvolgere, perdersi in lui. Sherlock era stato un’onda anomala che aveva ribaltato la sua esistenza, smosso ogni singola fibra del suo io, risvegliato la sua energia primordiale, la sua voglia di vivere, l’aveva scosso da quello stato di apatia in cui era piombato, gli aveva offerto cose che non sapeva nemmeno di desiderare, ma a cui si era ritrovato ad aggrapparsi con tutto se stesso. Pensò ancora a Mycroft, all’uomo di ghiaccio che tutti pensavano fosse e a ciò che aveva visto quella sera, all’attimo in cui gli aveva mostrato tutta la sua umanità. Sì, forse per alcuni poteva rappresentare una disgrazia avere a che fare con i fratelli Holmes, ma lui era ben fiero di appartenere a quella famiglia, in un certo qual senso. E su questo almeno non aveva incertezze, Sherlock lo considerava senza ombra di dubbio la sua famiglia. Era ancora totalmente perso nei suoi pensieri quando avvertì il cellulare vibrargli in mano.

 
Sto per entrare nella doccia, non toccare il mio esperimento sul tavolo quando rientri. SH

…e ti consiglio anche di non aprire il frigo. SH

 
John roteò gli occhi, ecco magari con quella parte del detective avrebbe volentieri evitato di averci a che fare. Ma in fondo bisognava prendere tutto il pacchetto, no? Nel frattempo la macchina si era fermata davanti al 221B, John salutò ringraziando educatamente l’autista e si precipitò su per le scale. Entrò in casa appena in tempo per osservare l’asciutta figura del consulente investigativo che si portava, avvolta dall’accappatoio, verso la sua stanza. Osservò le goccioline d’acqua che, dai capelli ancora fradici del detective, si portavano verso il suo niveo collo, riuscendo a distogliere lo sguardo da quell’immagine meravigliosa solo un attimo prima che il suo coinquilino si voltasse per salutarlo. Senza dire nemmeno una parola, poiché non era sicuro di come queste sarebbero suonate, si portò in bagno recuperando un asciugamano e porgendoglielo. Solo dopo essersi schiarito la voce ed essersi assicurato che il suo tono non risultasse troppo incerto, si permise di parlare.

«Asciugati i capelli o ti prenderai un malanno.»

Sherlock lo guardò interrogativo, era chiaro che non sapeva bene come interpretare quella situazione.

«Ordini del dottore» aggiunse sorridendo.

«Beh in questo caso non posso rifiutarmi» sorrise di rimando, mostrando di assecondarlo in quello sciocco giochino.

«Faccio una doccia e poi usciamo, va bene?»

«Dove andiamo di bello?»

«È una sorpresa» e John si sforzò di nascondere un sorriso di soddisfazione «Ah e ti prego di non cercare di dedurre nulla.»

«Ma…John!»

«E dai, non rovinarmi tutto. Lo so che ti sto chiedendo una cosa quasi impossibile, ma tu sforzati ok? Fallo…fallo per me, va bene?»

Sherlock tentennò un attimo, sul viso un’espressione che poteva quasi sembrare di imbarazzo, ma ritornò alla sua solita espressione imperscrutabile nel giro di pochi secondi. Sbuffò una sorta di consenso e si chiuse in camera. Non c’era nemmeno bisogno di chiedergli di vestirsi elegante, lo era praticamente in ogni momento, ma John sperò che indossasse la camicia viola, la sua preferita. Quella camicia gli stava particolarmente bene e spesso si incantava a guardare come lo fasciava e come i bottoni tiravano un po’ all’altezza del petto, Sherlock non poteva non aver notato la sua particolare predilezione per quello specifico indumento. Lui piuttosto avrebbe dovuto ben ponderare la scelta dell’abito, non aveva il fisico statuario del coinquilino, ma non poteva nemmeno lamentarsi, tutti quegli anni nell’esercito gli avevano scolpito un corpo di tutto rispetto. E lui ci teneva particolarmente a fare bella figura. Si preparò in fretta e scese al piano di sotto, dove Sherlock lo aspettava stranamente con pazienza. Gli rivolse un’occhiata e tentò con tutto se stesso di soffocare un grande sorriso che gli stava per nascere sul volto. Aveva indossato la camicia viola.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Di teatri, altalene e incomprensioni ***


Salve! Rieccoci qui con il penultimo capitolo. Spero davvero che vi piaccia perché ci avviamo purtroppo (almeno per me che sono tanto affezionata a questa storia) verso la conclusione. Ringrazio chi la sta seguendo, chi ha lasciato una recensione (grazie davvero, lo apprezzo tantissimo) e chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate o seguite. Vi lascio alla lettura, a presto!



Quando Sherlock si rese conto di dove John lo avesse portato restò semplicemente sbigottito. Aveva tenuto fede alla richiesta del medico, quindi aveva evitato di dedurre la meta della serata. John si voltò un attimo a guardare l’ingresso del teatro e osservando una locandina si rivolse al suo amico:

«Mi sa che ci tocca aspettare un po’, siamo arrivati troppo in anticipo, spero che per te…» ma le parole gli morirono in gola quando si voltò nuovamente a fissarlo.

Quando Sherlock aveva capito qual era lo spettacolo per il quale il medico aveva rimediato i biglietti era stato molto felice, entusiasta come poche volte lo era stato, John era sicuro di questo. Quindi perché ora la faccia del detective aveva assunto quell’espressione…triste? Affranta avrebbe osato dire. Dove aveva sbagliato?

«Nessun problema John» e quel tono di voce? Non lo aveva mai sentito tanto flebile e sconsolato.

«Sherlock, va tutto bene?»

«Certo John.»

No, no, no! Così non andava! Le cose non sarebbero dovute proprio andare così.

«Qui di fronte c’è un parchetto, andiamo a fare un giro, ti va?»

Il detective non lo guardava nemmeno, aveva il viso basso e si limitò a un cenno di assenso.

Camminarono per un po’, ma non trovando una panchina John fece sedere il coinquilino su un’altalena. Sherlock doveva stare certamente molto male per non aver fiatato a quella scelta, nemmeno una flebile protesta, semplicemente si era seduto e attendeva come un condannato a morte che John iniziasse a parlare pronunciando chissà quale sentenza. John, dal canto suo, si prese un attimo per osservare la scena: il parco era completamente deserto, le luci dei lampioni li illuminavano rendendo la scena molto intima e il detective seduto su quell’altalena non era nemmeno troppo buffo. Non mentre lo guardava con quell’espressione, con quegli occhi che gli chiedevano “ti prego, sii rapido nell’esecuzione”. Ma perché diavolo Sherlock si stava comportando così? Cosa era successo da fargli cambiare così rapidamente umore? Forse aveva capito di cosa John volesse parlargli e non sapeva come fargli capire che non era interessato alla cosa? Ma in quel caso sarebbe bastato ripetergli la solita tiritera dello “sposato con il lavoro” e John non avrebbe insistito. Ma forse per Sherlock qualcosa era cambiato, forse quello andava bene quando erano ancora due sconosciuti. Forse non se la sentiva più, adesso, dopo tutto quello che avevano passato, di dividere la casa con un qualcuno che era innamorato di lui. Forse John avrebbe dovuto soltanto ingoiare tutto e far finta di nulla, continuare la loro vita e semplicemente ringraziare di potergli essere vicino, in un modo o nell’altro.

Ma John non voleva tirarsi indietro, non questa volta. Era stanco di nascondere continuamente i suoi sentimenti, di reprimere tutto. Non dopo quel pizzico di speranza che si era concesso. Il vaso di Pandora era stato aperto e John non poteva più semplicemente rinchiudere nuovamente ciò che provava al suo interno e continuare come se nulla fosse. In fondo ciò che voleva era semplicemente un’occasione per aprire il suo cuore, perché diamine Sherlock non poteva concedergli almeno quella?

John strinse i pugni fino a farsi male, era stanco di continuare a rimuginare sulle cose, aveva deciso di vuotare il sacco quella sera e lo avrebbe fatto, anche se in modo diverso da come si era prefissato.

«Sherlock, mi vuoi dire che cosa ti prende? Non sono uno stupido, ho notato il tuo repentino cambio di umore. Cosa ho fatto? Ho sbagliato qualcosa?»

Ma Sherlock serrò forte le labbra e non rispose. John si concesse un lungo sospiro e cominciò:

«Se è perché hai capito...»

«Ho capito tutto John. E scusami, so che volevi farmi questo discorso dopo lo spettacolo, ma io…io non ho potuto impedirmi di…scusami, non volevo rovinare i tuoi piani.»

Fu il turno del medico di abbassare lo sguardo. Quindi Sherlock sapeva, aveva capito e questo era quello che lo aveva intristito.

«Ho capito fin da subito che c’era qualcosa che non andava, il cambio del lavoro per iniziare…»

Il suo lavoro? Ma che c’entrava adesso?

John rialzò immediatamente lo sguardo per fissarlo confuso, ma Sherlock ormai era partito e non si poteva più fermare quella raffica di parole.

«Poi sei tornato a casa con quella torta ed era lampante ormai che nascondessi qualcosa. Ed ora questo. È meraviglioso John, non voglio che tu pensi che non l’apprezzi, non sono un ingrato. È solo che non me la sento.»

A quelle parole il medico sentì chiaramente il cuore spezzarsi in mille pezzi. Si era voluto illudere per una volta e quello era il risultato. Sherlock non se la sentiva di iniziare una storia con lui, in fondo cosa si era aspettato? Forse il detective aveva ragione sullo svantaggio derivante dai sentimenti, magari se fosse stato un po’ più simile a lui si sarebbe risparmiato quel sordo dolore che in quel momento gli impediva di respirare.

«…non me la sento di entrare in quel teatro e sedere vicino a te facendo finta di niente. Non con la consapevolezza del fatto che stai per abbandonarmi. Ma non c’era bisogno di indorarmi la pillola con tutte queste premure, John io voglio la tua felicità e se questo vuol dire…»

«Sherlock fermati. Non ti abbandonerò, non ho mai avuto l’intenzione di farlo. Certo non posso dire di stare bene adesso, ma mi riprenderò, ho solo bisogno di un po’ di tempo. Ma se a te sta ancora bene, non ho intenzione di andarmene.»

Sherlock lo fissò in completa confusione.

«Certo che mi sta bene, perché non dovrebbe? E perché dici tu di non stare bene? Dovresti essere felice! Se è per me non devi preoccuparti, all’inizio sarà difficile, ma ce la farò, sarò in grado di…»

Felice? Va bene che Sherlock non era esperto di relazioni e non era la persona più sensibile sulla terra, ma questo era un po’ troppo anche per lui! Un dubbio cominciò ad assalirlo.

«Sherlock? Ma stiamo parlando della stessa cosa?»

Il consulente investigativo finalmente si ammutolì. Lo fissò con attenzione socchiudendo leggermente gli occhi, ma il dottore in quegli occhi vi lesse paura e tristezza. Di certo non era in grado di dedurre nulla in quello stato. Dopo un lungo momento di silenzio Sherlock ricominciò a parlare, ma questa volta con circospezione.

«John tu ti sei innamorato.»

«È vero.»

Un’altra pausa e quando il detective ricominciò a parlare il tono era più basso.

«Di un uomo»

«Anche questo è vero» ma non riuscì a non abbassare il capo arrossendo leggermente mentre sussurrava questa risposta.

Sherlock riprese allora a parlare a raffica, con il tono mortalmente triste e serio.

«È un tuo paziente vero? Magari proprio quel modello che ho beccato l’altra volta con i pantaloni abbassati fino alle caviglie. L’ho capito subito che c’era dell’altro. Ed ecco spiegato il tuo senso di colpa, non è molto etico per un dottore iniziare una relazione con un proprio paziente. Eppure John dici di non volertene andare, ma proprio non capisco come questo dovrebbe stare bene a lui. Ne sei innamorato ed è ovvio che prima o poi lui vorrà qualcosa di più da te!»

John doveva trovare un modo per arginare quel flusso di parole, “o ora o mai più” si disse prima di sporgersi in avanti con uno scatto. Afferrò con le mani entrambe le funi che tenevano l’altalena avvicinando il detective a sé e, piegandosi leggermente, appoggiò le labbra sulle sue. Fu un contatto incerto, ma allo stesso tempo speranzoso. John ci mise tutta l’urgenza e il trasporto che covava dentro di sé, ma fu abbastanza delicato da lasciare una via di fuga per il coinquilino, che avrebbe potuto facilmente scostarsi, se lo avesse desiderato. Ma Sherlock non mosse un muscolo, si limitò a restare immobile come una statua di sale, con gli occhi spalancati e la bocca leggermente socchiusa. John si allontanò dalle sue labbra dopo un lungo momento, ma rimase nel suo spazio vitale, guardandolo incerto.

«Credo che questo sia un avvenimento più unico che raro, hai completamente sbagliato una deduzione, anzi una serie di deduzioni!» scherzò con voce flebile il dottore, più per smorzare la tensione che era nell’aria che per una reale voglia di ironizzare sulla situazione.

Quando Sherlock torno parzialmente in possesso del proprio corpo riuscì con fatica a balbettare:

«Quell’uomo di cui ti sei innamorato, John, sono…sono io?»

John non riuscì a rispondere a parole a ciò, quindi si limitò ad annuire col capo.

Sherlock tornò nel suo stato di completa immobilità, fissando il vuoto e John cominciava a preoccuparsi seriamente. [1]

«Sherlock, ti prego di’ qualcosa!» e il suo tono di voce esprimeva tutto il terrore che provava per la reazione del detective a ciò che aveva appena fatto.

A quelle parole Sherlock si riscosse immediatamente, rialzò lo sguardo fissando i suoi occhi in quelli del medico e portò le mani al bavero della sua giacca, costringendolo ad abbassarsi nuovamente. Avvicinò la sua bocca a quella del suo John e si prese solo un attimo per perdersi nei suoi occhi, prima di tuffarsi con voracità sulle sue labbra. Fu un bacio molto più scomposto e disordinato rispetto al primo, che invece era stato più dolce e titubante. John non si fece trovare impreparato e portò le sue braccia dietro la nuca del consulente investigativo, stringendolo più forte a sé, mentre Sherlock, dal canto suo, si aggrappava al suo dottore come se ne andasse della sua stessa vita.

Il detective era chiaramente più inesperto rispetto al medico, il quale si ritrovò ben presto a prendere il controllo della situazione, guidandolo nei movimenti. Iniziò ad accarezzargli le labbra con la lingua e queste si schiusero in risposta, permettendogli di saggiare la consistenza della sua bocca. John si sorprese a pensare di non essere mai stato così emozionato nel baciare qualcuno, aveva dato e ricevuto baci molto più passionali, più spinti ed esperti, ma quello, con la sua semplicità e spontaneità, aveva in un attimo cancellato dalla sua mente ogni altro pensiero che non riguardasse lo stravagante e meraviglioso essere che aveva di fronte.

Rimasero a lungo così, stretti l’uno nelle braccia dell’altro a scambiarsi tenere effusioni, fino a che John non si staccò leggermente da quelle labbra così invitanti per riprendere fiato. Osservò il viso affannato dell’altro, le guance leggermente arrossate, gli occhi di un meraviglioso azzurro liquido, le labbra gonfie per i baci che si erano appena scambiati e sorrise teneramente di fronte a tale visione. Sherlock era bellissimo. Probabilmente anche lui doveva avere un aspetto piuttosto scalmanato, soprattutto perché a un certo punto il detective aveva portato una mano tra i suoi capelli e glieli aveva scarmigliati tutti, ma non gli importava minimamente, era troppo felice per pensare ad altro. Resistette stoicamente alla tentazione di dedicarsi totalmente a quelle labbra così maledettamente allettanti e fece un passo indietro, aggiungendo ulteriore spazio tra i loro corpi, avvertendo immediatamente la mancanza di quel calore già così familiare. Sherlock istintivamente strinse la presa sul suo fianco, a volergli impedire di allontanarsi, ma lui gli portò una mano sulla sua, in una stretta rassicurante.

«Credo che lo spettacolo stia per cominciare, sarebbe un peccato perderlo, che dici?»

Sherlock non rispose direttamente, in realtà non gli aveva posto nemmeno una vera e propria domanda, ma si alzò un po’ controvoglia dall’altalena su cui era ancora seduto e prese a seguirlo lentamente. Percorsero tutta la strada in silenzio, il consulente investigativo non aveva ancora detto una parola su ciò che era successo e John valutò l’idea di cominciare una conversazione, accantonandola subito dopo. Le parole sarebbero venute da sé, non voleva partire con un discorso artificioso e preparato, ciò di cui avevano bisogno era spontaneità e sincerità.
 
 

Stavano attendendo di poter entrare, per poter prendere posto, in un lungo corridoio dove nel frattempo si era accalcata un po’ di gente, tutti erano vestiti in maniera distinta, ma né Sherlock né John sfiguravano nei loro elegantissimi abiti. Un gruppo di persone che passò di fianco a loro li spinse l’uno più vicino all’altro e i dorsi delle loro mani si sfiorarono per un attimo. Sherlock reagì a tale contatto come se si fosse scottato, mentre il suo viso si imporporava lievemente. Non era da lui essere così sensibile, ma era pur sempre una situazione straordinaria, tutto era completamente nuovo per lui. Forse in quel momento si stava addirittura tormentando sulla questione se John avrebbe riprovato a baciarlo o meno, se avrebbe mostrato ciò che c’era tra di loro alla luce del sole o se sarebbe rimasto un evento isolato, troppo preoccupato del giudizio altrui per esibirlo apertamente. Ma il medico volle chiarire immediatamente la sua posizione e facendosi coraggio afferrò la mano del compagno, sperando non si sottraesse a quel contatto. Non lo fece e un sorriso illuminò il viso del dottore. Furono però costretti a lasciarsela poco dopo, quando John dovette avvicinarsi a un’impiegata del teatro per domandare un’informazione. La ragazza era giovane, molto carina, sicuramente abbastanza scaltra, valutò velocemente l’assenza di donne nei dintorni dell’uomo e iniziò a parlargli con voce suadente, sorridendo maliziosa. Quella ragazza sorrideva un po’ troppo al suo dottore, o almeno fu quello che Sherlock dovette pensare, perché quella scenetta pietosa lo mandò su tutte le furie e con un gesto secco e nervoso arpionò il gomito del compagno attirandolo verso di sé, per poi avvolgergli un braccio intorno alle spalle. Voleva ben chiarire a quella donna che quella era una sua proprietà. Aveva mandato a monte ogni appuntamento del dottore quando ancora non poteva avere nessuna pretesa su di lui, figuriamoci adesso che poteva legittimamente reclamare dei diritti! La cosa non disturbò il medico, sapeva bene quanto geloso potesse essere, anzi fu rallegrato da quel primo gesto d’intimità che partiva dal detective. Dopo il bacio certo. Il ricordo ancora gli faceva tremare le gambe. Fortunatamente a distogliere i suoi pensieri da ciò che probabilmente l’avrebbe portato a gesti inconsulti (tipo ripetere l’esperienza lì davanti a tutti) fu l’apertura delle porte che permettevano l’accesso all’interno della sala, per cui entrambi si mossero in quella direzione per prendere posto. Il braccio di Sherlock non accennò nemmeno per un secondo a volersi spostare dal suo corpo.

 
[1] Avete presente la scena in The Sign of Three in cui Sherlock si immobilizza di fronte alla richiesta di John di fargli da testimone? Ecco più o meno così!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Di cene, indugi e dichiarazioni ***


Ed eccoci arrivati alla fine. Il tutto potrebbe risultare un pochettino smielato, ma ehi eravate state avvertiti! Spero che il capitolo vi piaccia e che in generale abbiate gradito la storia. Ringrazio infinitamente chi l'ha seguita, recensendo e dandomi preziosi consigli per il futuro (se mai mi deciderò a pubblicare le altre storie). Grazie davvero. Alla prossima!



Dopo la fine dello spettacolo Sherlock era semplicemente euforico. Il mutismo in cui si era chiuso in precedenza era solo un vago ricordo, in quel momento stava infatti sciorinando una serie di spiegazioni tecniche su un passaggio particolarmente complicato che era stato eseguito alla perfezione dall’artista. E, incredibile a dirsi, John lo stava seguendo con interesse. In realtà tutto ciò che usciva da quelle labbra era per lui estremamente avvincente, fosse anche una lunga disquisizione sui duecentoquarantatré tipi di tabacco o sui diversi tipi di cenere. Lo spettacolo era stato davvero emozionante, più di quanto si sarebbe aspettato, anche se doveva ammettere che avere seduto accanto a sé il detective che fissava il palco con la faccia di un bambino di fronte ai regali di Natale aveva avuto la sua parte di merito. Sì, era stata proprio una grande idea quella di portarlo a quello spettacolo. Il pensiero si spostò automaticamente a Mycroft, di certo questo non sarebbe stato possibile senza di lui. Chissà se aveva previsto tutto, avrebbe dovuto comunicargli in seguito i progressi che avevano compiuto quella sera? Probabilmente no, ci avrebbe pensato Sherlock in qualche modo fantasioso, ideato solo per irritarlo. O forse sarebbe accaduto il contrario, il maggiore avrebbe stuzzicato il fratellino solo per il gusto di ostentare il fatto che lui sapeva, perché lui era il più intelligente ed altre amenità simili. Quei due quando ci si mettevano erano realmente due bambini capricciosi. Ma non li avrebbe cambiati per nulla al mondo, erano la sua famiglia. Sì, anche l’irritante e pomposo governo inglese, per quanto gli costasse ammetterlo, sebbene da quel giorno lo ammirasse un po’ di più. In fondo tutto quello che era successo era anche merito suo, ed era stato fatto con un gesto così disinteressato, così poco da Mycroft. Forse davvero credeva che lui fosse degno di stare con suo fratello, in fondo riponeva molta fiducia in lui per quanto riguardava la sua protezione e gli Holmes generalmente non erano proprio propensi a dar credito alle altre persone.  In ogni caso con molta probabilità era già al corrente di tutto, forse aveva piazzato qualche uomo qui o lì per spiarli. Chissà se in quel parco c’erano telecamere della CCTV, forse Mycroft aveva visto tutto in diretta. Decise che era meglio accantonare quel pensiero, non voleva davvero sapere se esisteva un filmino in alta definizione di quello che avrebbe dovuto essere un momento intimo e privato.

Finalmente giunsero al ristorante dove John aveva prenotato per quella sera, si accomodarono e ordinarono da mangiare. L’atmosfera carica di eccitazione di poco prima si era smorzata, per lasciare il posto a dei toni più rilassati e sereni. John si soffermò ad osservare il suo compagno, fortunatamente tutta la tristezza che aveva visto sul suo volto prima di chiarire il malinteso era completamente sparita, ciò non di meno notò che c’era ancora qualcosa che lo turbava. Di cosa poteva trattarsi questa volta? Cercò di osservare con attenzione il comportamento del detective, per provare a dedurre come più volte aveva provato a insegnargli: i movimenti delle mani mostravano un lieve spasmo involontario, dovuto a un qualcosa che lo stava agitando, ma il volto non mostrava grandi segni di inquietudine. Poteva essere dovuto alla scelta del locale? Escluse quasi immediatamente questa possibilità, Sherlock non aveva battuto ciglio alla proposta di andare a mangiare qualcosa. Cosa era cambiato quindi? Si sforzò di riflettere. Fino a quel momento avevano parlato dello spettacolo, Sherlock aveva espresso tutto il suo entusiasmo e la sua frenesia. Probabilmente una volta esaurito il discorso il consulente investigativo aveva cominciato a ripensare a quello che era successo nel parco e questo gli stava provocando quella reazione. Forse era pentito del bacio? Eppure aveva partecipato con uno slancio di impeto e ardore. Anche in seguito, durante lo spettacolo e la strada che avevano fatto per raggiungere il ristorante, John lo aveva beccato più volte a guardarlo con sguardo adorante. No, non poteva essere quello. Ma cosa allora? Proprio in quel momento intercettò i suoi occhi che nervosamente si posarono sulla mano del medico, che giaceva rilassata sul tavolo. Oh! Ora gli era tutto più chiaro. Sherlock voleva un contatto con lui, ma non riusciva a trovare il coraggio per coprire quella breve distanza con la sua mano. Certo prima l’aveva stretto per sottrarlo alle grinfie di quella che ai suoi occhi doveva apparire come un’arpia mangiauomini, ma era stato un gesto fatto d’impulso, mosso dalla gelosia. Ora era una situazione completamente diversa, Sherlock aveva avuto tutto il tempo per pensare a ciò che avrebbe voluto fare e proprio questo rimuginare lo stava bloccando. Ma John non voleva agire al posto suo, era giusto che il detective vincesse le sue incertezze, quindi si limitò a guardarlo regalandogli un sorriso rassicurante e incoraggiante. Sherlock sembrò davvero ricavare forza a quella vista e mosse leggermente le sue dita ad intrecciarsi delicatamente con quelle del medico.

«Capitano Watson!»

Quello che era stato un contatto flebile e appena accennato fu immediatamente interrotto da queste parole, Sherlock infatti aveva ritirato la mano con uno scatto nervoso.

John voltò la testa con aria infastidita per individuare chi era colui che aveva osato interromperli in un momento tanto importante, ma quando il suo sguardo si soffermò sulla persona in questione la sua espressione si rilassò e il suo volto si aprì in un sorriso sincero, mentre si alzava in piedi per salutare il nuovo arrivato.

«Tenente Taylor! Che piacere rivederti, non sapevo fossi a Londra.»

«Sono tornato da poco Capitano. Sa mi sono sposato.»

Sherlock, nel frattempo che i due uomini conversavano amabilmente, rimase in un angolino a guardarli confuso e imbarazzato. Ad un tratto però John si voltò verso di lui indicandolo con una mano.

«Posso presentarti Sherlock Holmes? Lui è il mio…ragazzo.»

Sottolineò lievemente con tono di domanda l’ultima parola, in maniera tale che l’interrogativo fosse percepibile solo dal diretto interessato. Sherlock a quelle parole si riscosse immediatamente dai suoi pensieri alzandosi a sua volta per stringere la mano del Tenete.

«Oh sì, certo. Molto piacere Tenente Taylor.»

Il soldato rimase in silenzio un attimo soppesando la situazione e Sherlock lo fissò incerto, ma se John non aveva problemi a presentarlo come suo compagno di certo non se li sarebbe fatti lui.

Quel momento di stallo durò davvero solo qualche secondo, dopo di che il tenente strinse la sua mano con calore mentre il suo viso venne riscaldato da un sorriso affabile.

«È davvero un onore per me conoscerla. Sa, lei è un uomo molto fortunato signor Sherlock Holmes. Il Capitano Watson è una persona straordinaria, oggi non sarei qui se non fosse per lui. Ha salvato la mia vita e quella di molti miei commilitoni. È un vero eroe.»

«Oh mi creda, lo so bene» rispose il detective, voltandosi a guardare John negli occhi «ha salvato anche la mia di vita.»

John arrossì di fronte a quella confessione così poco da Sherlock, si schiarì la voce e ricominciò a parlare, ma solo dopo aver appoggiato il palmo della mano sulla schiena del compagno, muovendo il pollice in una tenera carezza.

«Sicuramente avrai sentito parlare di lui, è un famoso consulente investigativo, spesso risolve casi per Scotland Yard…»
 
 
 
Dopo una lunga chiacchierata il Tenente si era congedato lasciando la coppia alla loro cena. Questa volta Sherlock si era immediatamente riappropriato della mano del dottore senza nessuna esitazione. Avevano parlottato per un po’ di argomenti futili, quando John raccolse tutto il suo coraggio per discutere ad alta voce di ciò che finora si erano detti solo con le azioni o con frasi indirette.

«Quindi per te va bene?»

«Cosa John? Che tu mi presenti come il tuo ragazzo?» e il medico rispose annuendo con il capo.

«Certo è un’espressione che si adatta maggiormente a degli individui più giovani, ma credo che nel linguaggio comune suoni meglio di “il mio compagno”. È una terminologia che ho sempre trovato tremendamente artificiosa. Ovviamente c’è possibilità di variazione, ci sono varie formule come ad esempio “il mio fidanzato” o “il mio partner”, che per inciso trovo anche peggio della definizione di compagno. Ragazzo o fidanzato ritengo siano i più adeguati.»

«Andiamo Sherlock, sai bene cosa intendevo, non volevo una disquisizione sulla semantica.»

«Perché non dovrebbe starmi bene? Non sono io John ‘non sono gay’ Watson» rispose con una punta di sarcasmo. In fondo meritava di essere un po’ punito per averlo mandato a lungo fuori strada. Se solo ripensava a tutto il tempo sprecato. Ma non era il momento di perdersi in quelle riflessioni.

John sbuffò leggermente risentito, ma Sherlock gli regalò un sorrisetto divertito e decise di accantonare la questione. “In fondo” pensò “almeno ora ho un modo per tappargli la bocca quando diventa estremamente irritante o quando assume quell’aria strafottente così dannatamente seducente e irritante allo stesso tempo”.

«Non so se è una buona idea, sa Capitano Watson? Questo potrebbe spingermi a rendermi volutamente insopportabile, se il risultato sarebbe ottenere un bacio.»

Ecco che le sue capacità di deduzione e di lettura del pensiero erano ritornate a fare capolino. John ridacchiò allegro e strinse un po’ la stretta sulla sua mano.

«Sai che non hai bisogno di nessuna scusa per farlo vero? Puoi baciarmi tutte le volte che vuoi.»

Anche Sherlock strinse la presa a quelle parole. Non gli sembrava vero che tutto quello che era successo non fosse solo un suo sogno. Riprese a parlare dopo un po’ con tono serio:

«A dire il vero non me l’aspettavo. Parlo del modo in cui mi hai presentato al tuo amico. Cioè anche tutto il resto, ovvio. Ma non credevo che mi avresti definito “il tuo ragazzo” davanti a lui.»

«Perché no? Non sono mica io Sherlock ‘sono sposato con il mio lavoro’ Holmes» ecco, forse non aveva accantonato del tutto la battutina di poco prima.

Sherlock rispose con una smorfia, ok forse non era stato solo il medico a confondere le acque. Ma che ne poteva sapere lui che John gli avrebbe sconvolto così tanto la vita?

«Sherlock davvero, perché non avrei dovuto? Anche in quel corridoio ti ho preso la mano e l’ho fatto davanti a tutti.»

«Sì ma lì non ci conosceva nessuno. E poi eravamo talmente vicini che probabilmente non era nemmeno possibile rendersene conto. Invece il Tenente è qualcuno di più intimo, rappresenta l’esercito, una parte della tua vita. Sei davvero sicuro di volermi con te anche in questo? Sei sicuro di volere che sappiano che c’è…qualcosa tra di noi?»

John spalancò la bocca di fronte a tale ammissione. Come poteva pensare che volesse escluderlo da anche solo un aspetto della sua vita?

«Sherlock io vorrei urlarlo al mondo intero ciò che provo per te! Come fai a non capire che la tua presenza permea ogni fibra della mia esistenza? Tu occupi ogni angolo della mia mente, di tutto me stesso. Non potrei mai tenerti nascosto come uno squallido segretuccio.»

«Ma la tua eterosessualità…»

«Ma chi se ne frega della mia eterosessualità! Non saprei nemmeno come definirmi in questo momento, ma francamente non potrebbe importarmene di meno. Tutto ciò che conta, che realmente conta, è seduto qui di fronte a me in questo momento.»

Sherlock abbassò gli occhi di fronte a quelle parole tanto sincere, arrossendo visibilmente.

«Sei il solito romantico» borbottò.

«E pensi che questo rappresenti un qualcosa di negativo per me?» ridacchiò in risposta il medico «Tu piuttosto Sherlock, sei sicuro di tutto questo?» aggiunse con un sospiro.

A quelle parole Sherlock rialzò immediatamente la testa puntando gli occhi nei suoi.

«Non sono mai stato così sicuro di qualcosa in tutta la mia vita» rispose con tono solenne «volevo solo essere certo che anche tu fossi convinto di questa cosa. Perché non sopporterei un tuo passo indietro, non dopo aver avuto un assaggio di cosa si prova.»

«Non mi tirerò indietro Sherlock. E so che è successo tutto velocemente, dovrei prendere le cose con più calma e rispettare i giusti tempi, ma mi sembra di aver aspettato fin troppo, mi sembra di aspettare da una vita.»

Sherlock ascoltò quella confessione con un’espressione soddisfatta e felice. Con la mano libera iniziò a giocherellare con il polsino della camicia e John seguì per un po’ con gli occhi i movimenti impacciati.

«È la mia camicia preferita sai? Questa viola intendo. Credo che ti stia particolarmente bene» ammise, se pur con un pizzico di imbarazzo.

«Oh ma lo so bene, mio caro dottor Watson» rispose a sua volta con un velo di malizia.

«Lo sapevo che non poteva esserti sfuggita una cosa simile. Quindi la indossavi con il chiaro intento di farmi impazzire?»

«Vorrei poter dire che questo corrisponde a verità, ma no John. Era più una speranza che una consapevolezza.»

«Ma come hai potuto proprio tu non capire tutto fin dall’inizio? Mi aspettavo di continuo che deducessi qualcosa da un momento all’altro, non mi spiego ancora come io non mi sia fatto beccare immediatamente. Non è da te sbagliare una deduzione Sherlock. Starai per caso perdendo il tuo smalto con l’avanzare dell’età?» lo stuzzicò con un ghigno.

«Molto divertente. Non è che non notavo i segnali John, ma non sapevo quanto di quello che osservavo fosse vero e quanto invece derivasse da ciò che volevo vederci io. È pericoloso permeare un ragionamento logico con i sentimenti, si finisce per farsi portare fuori strada e costruirsi illusioni inutili e deleterie.»

«Osservami ora. Deducimi. Cosa vedi?»

Sherlock si prese qualche secondo per far vagare lo sguardo sull’intera figura del dottore, per poi sorridere dolcemente guardandolo negli occhi.

«Vedo uno splendido uomo in un meraviglioso completo elegante. A proposito stai benissimo vestito così. Dovremmo farlo più spesso.»

«Cosa, fraintendere totalmente le intenzioni dell’altro, montare una sceneggiata assurda che sconfina quasi in una crisi isterica, per riuscire finalmente a scambiarci un bacio?»

«No idiota!» e lo punì pizzicandogli senza troppa forza un braccio «intendevo uscire per fare qualcosa, una cena o per andare a teatro. Cose del genere. Solo noi due, senza che sia necessario un caso risolto da festeggiare. La parte del bacio però la terrei.» 

«Oh! Credevo trovassi estremamente noiose queste cose.»

«Non ho mai detto…» ma un’occhiata torva da parte dell’altro lo convinse a correggere il tiro «ok potrei aver pensato qualcosa del genere. Presumibilmente. Ma verosimilmente potrei essermi reso conto che non rappresentano situazioni troppo deleterie per il mio cervello. Non se ci sei tu con me. Sempre parlando in maniera ipotetica.»

Quella era probabilmente la cosa più vicina a un’ammissione di errore che John avrebbe mai ottenuto da Sherlock, ma evitò battute sarcastiche su quanto quella confessione lo portasse quasi sull’orlo delle lacrime. Sherlock che concedeva la possibilità di essersi sbagliato, ma quando si era visto mai?

«Andiamo a casa, vuoi? Ho bisogno di stenderti sul divano e baciarti fino a che non ti avrò consumato le labbra.»

Sherlock si sentì improvvisamente accaldato e si alzò di scatto, portandosi dietro la mano del dottore che ancora stringeva tra la sua. Quell’entusiasmo fece gongolare internamente il medico che non aveva mai desiderato così tanto di arrivare al 221B il più in fretta possibile.
 
 
 
Dopo aver messo in pratica a lungo il proposito espresso al suo compagno, John si ritrovò a pensare alle parole del suo amico dottore e decise di chiarire quell’ultimo aspetto della questione.

Si allontanò affannato dalle labbra tentatrici del consulente investigativo e si rimise seduto sul divano.

«Sherlock.»

«Mmmh» mugolò il detective mentre sollevando la schiena cercava di riappropriarsi della bocca dell’altro.

«Sherl, aspetta ho bisogno di dirti una cosa.»

«Ora? Ne parleremo con calma più tardi, o domani o mai» e riprese a baciarlo con passione.

Il medico si godette quell’ennesimo bacio, ma alla fine gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle per scostarlo delicatamente, ma con decisione. Poi portò una mano sulla sua guancia sinistra tirandogliela con un pizzicotto.

«Frena i bollenti spiriti, è importante» gli intimò ridacchiando.

Sherlock rispose con un’espressione offesa e, con la migliore espressione da bambino capriccioso, iniziò:

«John la tua bocca mi appartiene ormai. È una mia proprietà. Sapevi a cosa andavi incontro, ora semplicemente non puoi più negarmela.»

John proruppe in una risata. Quell’uomo non gli avrebbe lasciato più scampo.

«E io non ho nessuna intenzione di farlo» si interruppe un momento per baciargli via il broncio, poi riprese a parlare «ma mi preme mettere in chiaro una cosa. Ho visto quanto il mio nuovo lavoro ti abbia turbato e voglio rassicurarti su questo. Non hai assolutamente nulla di cui preoccuparti.»

Sherlock prese a muoversi nervosamente sul posto e quando parlò una lieve nota di panico si avvertiva sul fondo della sua voce.

«Continuerai ad avere a che fare con uomini nudi e con i loro…beh sì, hai capito.»

Sherlock imbarazzato era qualcosa di semplicemente adorabile, John a stento si trattenne dal ributtarsi su di lui facendolo sdraiare nuovamente per passare tutta la notte a esplorargli ogni anfratto di quella bocca meravigliosa. Ma quella era una faccenda che andava chiarita, Sherlock non avrebbe dovuto più agitarsi per cose che riguardavano il suo lavoro.

«Detta così però sembra che io di lavoro faccia il pornoattore gay!» esclamò con una risata «Sherlock ci sono due motivi per cui non dovrai mai nemmeno impensierirti per questa cosa. Il primo è che prendo molto sul serio il mio lavoro e questo lo sai bene. Ogni caso, ogni paziente, lo osservo con occhi professionali. Non c’è nulla di attraente per me in qualunque uomo o donna che mi capita di visitare. Sono i miei pazienti Sherlock, hanno bisogno del mio aiuto, non potrei mai tradire loro e la mia professione. Sono molto fiero di essere un medico, ho giurato di curare chi si rivolge a me, non di insidiarlo!»

«Immagino che la seconda ragione abbia a che vedere col fatto che di solito non trovi attraenti gli uomini.»

«No Sherlock, la seconda riguarda te. Anche perché lo sai che a volte visito anche donne, vero? Sono meno frequenti, ma anche le donne possono aver bisogno di un urologo.»

Sherlock sollevò lo sguardo al cielo, con uno sbuffo. Bene, ora la quota di gente da cui preservare il suo ragazzo (adorava ripeterselo nella testa, anche se davanti a John avrebbe sempre ostentato indifferenza) durante l’orario di lavoro si era raddoppiata.

«Non dovrai mai preoccuparti del mio lavoro e dei miei pazienti, anzi non dovrai mai farlo di nessuna persona al mondo, semplicemente perché io ti amo Sherlock Holmes. E sì, lo so che sto bruciando le tappe, ma non riesco più a tenermi tutto dentro. Prima, al ristorante, ti ho detto che mi sembra di aspettare da una vita, la verità è che mi sembra di aver aspettato te per tutta la vita. E ora che finalmente sono riuscito a dirti tutto, ora che quasi come un miracolo ho ottenuto ciò che nemmeno osavo sperare di raggiungere, credimi non sarò così stupido da rovinare le cose. Non esiste nessun altro oltre te. Solo tu Sherlock, solo tu.»

Sherlock rimase quasi stordito da quella dichiarazione così limpida e sincera, strinse le lunghe braccia intorno alla vita del medico e lo attirò a sé, affondando il volto sulla sua spalla, inspirando il profumo familiare e rassicurante del suo soldato.

«Ascoltami con attenzione John Hamish Watson, apri bene le orecchie perché raramente sarò così smielato» la voce appariva leggermente ovattata per via del corpo su cui il detective stava posando le labbra «tu non immagini quante volte io abbia fantasticato su questo momento, come una qualsiasi ragazzina innamorata persa. Tu non hai minimante idea di quante volte io abbia immaginato come sarebbe stato essere amato da te, poterti baciare, fare l’amore con te. E ancora non mi sembra vero che ora tutto questo sia reale» si allontanò poi dalla sua spalla guardandolo fisso negli occhi «certo che non mi tradirai, sai che lo capirei subito, e ucciderei questa persona, chiunque essa sia. Poi ucciderei te. Se mi sento buono. Altrimenti…»

A quel punto Sherlock proruppe in una risata. John se lo riavvicinò a sé, stringendolo forte e masticando un “idiota” tra i denti. Alla fine l’aveva buttata sullo scherzo, ma non era davvero convinto che quella minaccia fosse davvero una burla. Ma non se ne curava, era davvero un’evenienza che non aveva possibilità di realizzazione, non si sarebbe mai stancato di quell’uomo che lo confondeva e gli mozzava il respiro anche al solo suo pensiero.

Sherlock riprese a baciarlo con fare seducente e con un rapido movimento ribaltò le loro posizioni. Prese poi a far scorrere la lingua lungo la sua mandibola per giungere lentamente al suo collo dove cominciò a mordere, leccare e succhiare. John strinse forte gli occhi immergendo una mano tra i morbidi riccioli e stringendoglieli delicatamente. Solo quando lo udì non riuscire a trattenere un roco mugolio il detective si decise a sollevare le labbra.

Sherlock osservò soddisfatto il risultato del suo lavoro: un largo segno rosso campeggiava sul collo del dottore e non avrebbe potuto nasconderlo con facilità. Lo osservò con un ghigno per ancora qualche secondo, prima di essere distratto dalle parole dell’altro:

«Spero tu sia soddisfatto ora» gli disse con un tono bonario. Aveva capito subito il motivo di quel gesto, ma non si era opposto. Chissà quante altre cose in più ora gli avrebbe fatto passare.

«John era necessario» proclamò con voce limpida e fintamente innocente «dovevo marchiarti affinché loro capissero. Deve essere ben chiaro a tutti che tu sei mio.»

Sherlock era sempre stato molto possessivo, ma ora la sua gelosia stava raggiungendo livelli spropositati. E John lo adorava. Era completamente fregato.

«Ma soprattutto deve essere ben chiaro a te che anch’io ti amo.»

John avvertì il cuore battergli all’impazzata, passò una mano sul collo del detective e lo riavvicinò a sé, baciandolo con trasporto.

Perché di dolcezza e amore Sherlock, contrariamente a quanto aveva annunciato in precedenza, non gliene avrebbe mai fatto mancare. Sarebbe rimasto l’algido e austero consulente investigativo, l’unico al mondo, agli occhi di tutti, ma John non faceva parte di quel tutti. No, John era riuscito a guardare sotto la superficie, aveva visto la sua profonda essenza e se ne era innamorato. Un uomo tanto straordinario meritava un trattamento eccezionale. Tra loro non avrebbero mai dovuto fingere di essere qualcos’altro, si sarebbero sempre capiti al volo perché le loro anime si appartenevano da sempre. Non avrebbero mai potuto fare a meno l’uno dell’altro, solo l’idea sarebbe stata pura follia. Sarebbero stati per sempre Sherlock Holmes e John Watson, semplicemente assurdo pensare a uno senza l’altro.

Sarebbero stati per sempre solo loro due contro il resto del mondo. 
 




 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3779836