Goldfish.

di PathosforaBeast
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. they. ***



Capitolo 1
*** I. ***


 
Goldfish.
 

 


 
I.


 
“Forse avrei dovuto chiamare davvero Molly”Sherlock tiene stretta la tazza  di tè mentre rivolge lo sguardo verso il soffitto. La vestaglia si sposta appena, lasciando intravedere il collo leggermente arrossato da graffi. Dallo stato della camicia Mycroft non può far altro che notare che suo fratello non è riuscito a chiudere occhio. Sensi di colpa. Tipico per qualcuno che si è sempre sentito dire quanto fosse buono e perfetto dall’infanzia, vivere dei contrasti mentre deve crescere una bambina.
Sarebbe tutto così stupidamente e facilmente risolvibile. Basterebbe un’unica e semplice parola ma è inutile mentirti. Conosci troppo bene i  limiti che può raggiungere la cocciutaggine di tuo fratello.
Sospiri.
 
“È da più di un’ora che John cerca di calmarla e metterla a letto ma-” sussulta appena sente la voce di Rosie alzarsi sempre di più “…i risultati, come hai potuto ben constatare, sono scarsi”.
“Dunque mi vuoi spiegare perché io mi trovi qui al posto della straordinaria, se non fondamentale, presenza della signorina Hooper?” incroci le braccia e non cerchi neanche di nascondere l’irritazione nella tua voce.
Anche tu hai una… vita e non puoi lasciare che queste piccole, risolvibili quotidianità; vadano a scalfire un periodo così delicato e difficile politicamente. Le ore di sonno le potresti contare sulle dita di una mano –“almeno la metà”, ti direbbe Anthea dopo tutte le notti passate in ufficio tra videoconferenze e relazioni- e le cose non si stabiliranno ancora per molto tempo. Perlomeno Sherlock ha avuto la decenza di non accoglierti in casa citando casualmente quanto fosse bello e importante avere Internet libero e lontano dal concetto di copyright.
 
Che situazione imbarazzante.
Ma questo non è il momento per le ripicche. Non oggi. Sherlock alza le mani al cielo in seguo di resa e ti guarda implorante. Un favore. L’ennesimo.
“Sherlock, dimmi che cosa hai combinato e cercherò di ovviare al problema”.
“No, Mycroft… non hai capito…” raddrizza la schiena e si fa immediatamente più serio. “Questa è una cosa che puoi risolvere solo tu. Nessun altro deve venirne a conoscenza”.
Irrigidisci la schiena e ti siedi sulla poltrona. “Allora sii veloce, prima esponi, prima cerchiamo una soluzione. Non ho né la forza né il tempo per  ascoltare tutti questi giri di parole”. Porti una mano davanti alla bocca. Un letto, solo un letto. Non hai bisogno di nient’altro nella vita.
“Non devi aiutare me ma una persona che mi è notevolmente vicina. Lo sai, ne abbiamo parlato. Non smetterò mai di dirti che siamo una famiglia e le gioie, tanto quanto i problemi, grandi o piccoli che siano, vanno condivisi gli uni con gli altri.”. Si alza e cerca la tua mano per stringerla. La sposti sulla coscia mentre cerchi di prestare attenzione ai suoi discorsi senza senso.
Il pavimento ti sembra quasi più interessante.
“So che è qualcosa che tu non hai mai raccontato a nessuno ma potrebbe essere la soluzione vitale in questa circostanza”.
Inarchi un sopracciglio. “Sherlock, cosa stai cercando di dirmi?”
Ritorna alla sua poltrona, poggiando le mani sotto al mento.
“È morto il pesce rosso di Rosie”
 
 
Ecco, ora lo strozzi.




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prompt 10/26:    
/as·sèn·za/ Mancata presenza o lontananza da un luogo o da una persona con cui un individuo dovrebbe trovarsi o si trova abitualmente.

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Capitolo 2
*** II. ***


II.





 
In un istante i tuoi polmoni si riempiono di aria e ritrovi tutta la voce che pensavi di aver ormai esaurito.
“William Sherlock Scott Holmes quante volte ti dovrò ripetere che-” un veloce rumore di passi, che presto si tramuta in corsa, ti fa bloccare. Vi voltate nello stesso momento ma solo i tuoi occhi si posano su lei.
Sherlock preferisce guardarsi la punta dei piedi.
“Zio Mycroooft!” Rosie con la sua sola presenza ha annullato la piccola diatriba tra voi due e appena ti vede, solleva le braccia e il viso in una muta richiesta. Per favore. Ti abbassi e la sollevi, lasciando che ti stringa forte a sé. Nasconde il viso nell’incavo del tuo collo. Non impieghi molto a sentire il colletto della tua camicia bagnarsi sotto i tremiti che cerca invano di controllare. Le sue mani si aggrappano disperatamente alle tue spalle.
Le accarezzi la testa lasciandole prendere tutto il tempo di cui ha bisogno.
Potrebbero volerci anche ore prima che si calmi.
Forse non hai più così sonno.
Ti avvicini al suo orecchio ostentando  il tono di voce più basso che riesci a fare. Un momento, un segreto che appartiene solo a voi due. “Che ne dici se ritorniamo in camera tua e cerchiamo di dormire un po’, mh? Magari ti racconto una storia”. Senti la presa allentarsi tutta d’un tratto e ti guarda. I suoi occhi ti scrutano vispi e curiosi per l’implicita promessa che le hai appena fatto.
“P-però solo se p-prometti di non andare via…”
Sorridi. “Certo che non lo farò. Ti va di andare?”
“Mhmh” annuisce, nascondendosi di nuovo nell’incavo del tuo collo.
 
 
È leggera, la dolce e piccola Rosie.
Tutti sono lì per lei, pronti a trattenere il suo esile peso tra le loro braccia per non lasciarla inciampare. Vive in un flusso costante d’amore con persone che, nonostante abbiano mille difetti, decidono di annullarli per qualcosa che va oltre loro. Oltre tutti.
L’amore.
Un amore così radicato e primitivo- quasi pagano- che ti fa venire la pelle d’oca anche solo a pensarci. Il bisogno di dare e vederla sorridere è ciò che da a tutti voi la forza di sopravvivere ai giorni più bui.
Ma come ha fatto a scegliere te in quest’immensa manifestazione d’affetto? Tu con i tuoi abbracci rari e i sorrisi stretti. Tu che mai dimostri e tutto sai.
 
Che combinazioni pittoresche ha assunto il cosmo quella calda notte di Luglio quando lei, un piccolo batuffolo avvolto in una coperta di lino, ha sollevato le palpebre e ti ha guardato. Ti sei detto che era impossibile che potesse vederti che era troppo piccola per poter capire e decidere di sorridere proprio a te ma non hai potuto fare a mano di prendere discretamente il fazzoletto fiordaliso dalla tasca sinistra della giacca e lasciare che le lacrime prendessero il loro corso.
 
E quante volte Baker Street non ha sentito il rumore dei tuoi passi per settimane intere? Meeting, conferenze che si susseguivano senza sosta. Nulla di anormale se non fosse stato per una chiamata da parte di (uno spazientito) John Watson che ti non chiedeva un tuo intervento per qualche bravata di Sherlock ma per offrirti una tazza di tè. “Giusto per sapere come te la stai passando”. La perplessità però lasciò ben presto parte al sorriso quando una piccola Rosie gli urlava dall’altro capo del telefono che gli avrebbero preparato i biscotti al cioccolato.
Ora non lasci passare più così tanto tempo tra una visita e l’altra.
 
Ti giustifichi dicendoti che ha visto troppo poco di te per volerti così bene.
(O, forse, è andata troppo oltre.)
 
 
Non ti permetti di lasciare la stanza senza non lanciare un ultimo sguardo obliquo in direzione di Sherlock ma sollevi gli occhi al cielo quando quel suo sorriso sghembo ti prova che non sei stato così convincente.
La voce di John diventa un’estenuate (ed estenuata) sinfonia di sottofondo, troppo lunga e satura di sensi di colpa da poter essere tollerabile a quest’ora del mattino. Devi far attenzione a non inciampare nel buio. Dalle finestre non proviene nessuna luce. Fuori il cielo è inghiottito dal buio, in una Londra così stranamente silenziosa pronta a diventare la prefazione di un nuovo giorno.
Ti limiti a chinare la testa ed aprire la porta della cameretta.
Senti tuo fratello sospirare più forte mentre la richiudi alle tue spalle e intima John di andare a letto. “Non preoccuparti, resterò io in piedi”.
Rosie nel frattempo poggia la guancia sulla tua spalla.
“Zio, perché sorridi?”
 
 
 
 
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Capitolo 3
*** III. ***


 
III.


 
 
È strano notare come certi atteggiamenti possano diversificarsi da famiglia a famiglia. Tua madre, per esempio, vi costringeva a tenere costantemente le porte delle vostre camere aperte. Sherlock la legava, richiudeva e con le forcine giocava sulla serratura pur di tenerla chiusa mentre tu per evitare discussioni, la lasciavi spalancata con un tonfo al cuore guadagnando solo espressioni sardoniche da parte sua.
Nessuna privacy, nessun segreto sussurrato nel cuore della notte poteva trovare conforto nell’ombra della luna. Restavi con gli occhi spalancati su un letto che non sentivi tuo, a strofinare le mani su coperte che non erano le tue mentre cercavi un angolo di riposo nell’unica ricchezza che nessuno ti aveva donato: la tua mente.
Un peso.
Un inutile ed enorme peso.
 
 
Qui, però, le cose sono diverse. Rosie è diversa. Si lascia rimboccare le coperte fino al naso -“ma non riesco a respirare” “sì, ma non possiamo rischiare un’influenza con queste temperature”- mentre la porta è chiusa e silenziosamente la sua piccola mano sguscia dalle lenzuola per stringere saldamente la tua.
Certe volte ti ricorda proprio Sherlock.
Tutto in lei reclama attenzione, in un assiduo bisogno di rassicurazione. Questa sera c’è, però, qualcosa di diverso. È una tensione in lei del tuo sconosciuta, cosciente che qualcosa di cui avrà sentito solamente parlare ora la coinvolge al punto tale da lasciarla senza fiato in gola e le spalle basse: non sa se parlarti delle sue paure.
Raccogli il suo libro preferito. Una raccolta di favole per il suo compleanno. La piccola ma curata dedica di Molly contrasta con la ricchezza delle immagini del tomo, con i suoi angoli consunti e i caratteri grandi.
“Zio…” sussurra contro il cuscino.
Prendi la sedia accanto alla scrivania e ti accomodi vicino al letto. “Dimmi tutto”.
Apre la bocca per poi richiuderla con fretta. “Puoi spegnere la luce, per favore?”
Ecco, questa non era proprio la reazione che ti aspettavi. Non è neanche uno stralcio di indizio che possa farti capire che cosa stia succedendo e intavolare una conversazione ma ti alzi comunque e premi l’interruttore lasciando che le vostre sagome siano a stento visibili. La luce che proviene dal soggiorno –da Sherlock che è ancora seduto sulla poltrona, con le mani incrociate sotto al mento che non può far altro che aspettare e fidarsi- sfiora il castano dei suoi occhi.
“Va bene così?”
Si sposta su un fianco mentre continua a fissarti, ignara del fatto che tu possa vedere i suoi occhi diventare di nuovo più lucidi. “S-sì.”
“Vuoi che ti legga qualcosa? Dammi un numero e scopriamo quale storia dovrai ascoltare.”
Irrigidisce la schiena. “N-no, no! Ti prego, nessuna storia.” Le lacrime cominciano a ricomparire sul suo volto e non riesci a sostenere questo senso d’impotenza. Stai cercando di farla parlare e non fai altro che peggiorare le cose.
Tipico.
“Ti prego, n-non te ne andare…”
Le baci la fronte e riaccendi la luce. È così affranta che per un momento ti sembra di scorgere un’altra bambina. È minuscola nel suo pigiama rosa a pois e cerca di trattenere i singhiozzi che le scuotono violentemente le spalle.
“Rosie, ma certo che non me ne vado” Le stringi le mani. “Sono qui e non mi muoverò per nessuno ragione al mondo. Prova a dirmi che cos’è successo.” Esiti. “Ti prometto che non lascerò questa stanza nemmeno quando me lo dirai.”
Porti una mano nei suoi capelli e inizi a tracciare ampie, lente circonferenze.
Fa un respiro profondo. “Lo sai che zia Molly mi ha detto che i sogni possono farci vedere il futuro?”
“Oh, ma davvero?”
“S-sì.” La sua voce diventa sempre più bassa. “Ma io non ho fatto niente. Non ho voluto sognare niente. Non voglio che tu… io n-non…” Ti siedi sul letto e le prendi il viso tra le mani. Le asciughi cauto le lacrime. “Che cos’hai sognato esattamente?”
Un attimo di silenzio e il suo sguardo si perde nel vuoto della parete alle tue spalle. Ti stringe forte i polsi. “Lewis non stava bene. Tu l’hai preso ma n-non volevi tornare più”.
La tua mano si blocca sulla sua testa per un secondo. “L-Lewis? Il pesciolino rosso?”
Porta le ginocchia contro il tuo petto e rendendosi ancora più piccola. “Sì! Tu l’hai preso e sei andato via. Non volevi tornare più! Anche zio Greg piangeva e non voleva che tu prendessi quell’aereo. Non farlo, per favore! Noi ti vogliamo bene e ora che Lewis è andavo tu tu n-non p-puoi…per f-favore n-non…” L’abbracci mentre si lascia andare del tutto ai singhiozzi sul tuo petto e senti il cuore andare a mille.
La sola idea della sua assenza la dispera.
 “Tesoro… non lascerei mai te, zio Greg o John e Sherlock da soli, lo sai?” muovi nervosamente una mano sulla tua stessa gamba “Vi voglio troppo bene per farlo.”
Alza il viso verso di te. “Me lo prometti?” Vuole leggertelo negli occhi.
“Certo che te lo prometto.” La vedi sorridere- il primo sorriso, dopo tutte queste lacrime- e ritorna ad abbracciarti più forte di prima. “E tu vuoi promettermi una cosa?”
“Cosa?”
“In futuro se avrai paura e le cose ti sembreranno troppo grandi, dimmelo. Troveremo sempre un modo per risolverle.”
“Va bene…” allenta la presa sulla tua camicia “Zio…”
“Mh?”
“Anche io ti voglio bene.”
Sorridi e le posi un bacio sulla fronte.
 
Tutta la stanchezza crolla all’improvviso su voi due e ben presto Rosie si addormenta. Ti alzi per andare da Sherlock e raccontargli tutto ma, arrivato alla porta,  la guardi e il peso delle sue  parole ti ripiomba addosso. Spiegherai tutto domani mattina con la dovuta calma.
Ora devi vegliare sui suoi sogni e su due manine che hanno preso possesso del tuo cuore.
 





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Capitolo 4
*** IV. they. ***


IV.
 



Sono passate da un pezzo le cinque da quando Mycroft e Rosie hanno smesso di parlare.
Non riesci a chiudere occhio. È stato straziante vederla piangere in quel modo mentre ti confessava tra i singhiozzi che cosa stava accadendo.
Come può una bambina così piccola ed innocente avere queste idee? Essere circondati da persone non fanno altro che donarle affetto e sentire comunque il richiamo dell’abbandono.
Non puoi andartene a letto fingendo che non sia successo nulla. No, non puoi poggiare la testa sul cuscino pensando a lei che, ancora in lacrime, potrebbe venire in cucina e non trovare nessuno che abbia scelto di aspettarla.
Ti alzi. Ti senti un ladro a dover calibrare ogni singolo passo ma non puoi svegliare tutti a quest’ora del mattino. Percorri il corridoio e apri la porta. La luce illumina di sbieco Mycroft che, seduto su una sedia, tiene la testa inclinata e le spalle si alzano ed abbassano placidamente sotto il rumore dei suoi stessi respiri. Sbuffi. Non imparerà mai a dormire come si deve.
Stupido, vecchio Mycroft.
Continui a far pressione sulla porta e lasci che il profilo di Rosie si illumini timidamente. Un sorriso le attraversa il volto e ti sembra di perdere improvvisamente dieci anni.
Finalmente va tutto bene.
Beh, quasi.
Ti richiudi la porta alle spalle e continui a percorrere il corridoio lasciandoli in pace.
John è a letto, con la schiena poggiata contro la spalliera e l’espressione corrucciata da post-litigio. Poggi una mano sulla sua spalla scuotendola leggermente.
Apre gli occhi di scatto.”Rosie!” il panico non cambia vedendoti. “Cos’è successo?”
“N-nulla. Volevo solo avvisarti che sta dormendo e Mycroft è con lei. Sta molto meglio”.
“Ti ha detto perché stava così?”
Ti mordi il labbro inferiore. “No, non abbiamo ancora parlato ma so che sarà la prima cosa che si premurerà di fare domani mattina”.
Parli e i tratti del suo viso si induriscono. Le labbra diventano una linea bianca sottilissima e gli occhi dure fessure. Sta ricordando tutto.
Fai un respiro profondo “John, io ho visto Rosie piangere in quel modo e qualcosa nella mia testa è scattato. È stato stupido e… infantile da parte mia comportarmi così ma so che per quanto tutto questo sia nuovo per me, lo è anche per te e non è giustificabile una reazione del genere. Nessuna parola che ti ho detto può essere giustificata. Scusami. Davvero”.
Nascondi il viso tra le mani ma senti John che poggia le sue sui tuoi polsi e spostarli gentilmente. È stanco e tremendamente preoccupato.
“Non devi darti tutte le colpe. Se tu hai alzato la voce, io ho fatto di peggio. Invece di fare la persona adulta e affrontare la situazione con calma, non ho fatto altro che arrabbiarmi ancora di più urlandoti contro e spaventando Rosie a morte e… Dio, se avesse iniziato a fare così perché ci ha sentiti discutere ed ora vorrebbe stare per sempre con Mycroft?” Fa una pausa e arrossisce violentemente. “Me lo fa chiamare per il tè, Sherlock. Ti rendi conto? Io devo chiamare Mycroft Holmes perché mia figlia sta male se non lo vede.
E io che faccio? Alla prima occasione litigo con mio marito e mi comporto da coglione. Siamo padri adesso e io non posso più affrontare tutto urlandoti addosso. Ora c’è lei…”
Le sue mani allentano la loro presa ma non lo lasci andare. “Adesso basta. Tu, stupido e meraviglioso essere umano. Rosie ti ama. Non dubitarne mai. Sì, vuole bene anche a Mycroft . E allora? Ormai hai imparato a conoscerlo. Quante volte ci ha aiutato anche nei momenti difficili? Lo abbiamo chiamato alle quattro del mattino per un problema e guarda dov’è: in camera a far dormire nostra figlia. Pensi davvero che lei non possa notare queste cose?” Sorridi contro le sue labbra “John Watson, non pensare di non essere un buon padre. Non possiamo essere perfetti, è vero ma ogni giorno facciamo del nostro meglio per renderla felice. E non è questo l’importante?”
Il suo sguardo si apre meravigliato.
Ascolta. Capisce. Si convince.
“Sì, hai proprio ragione.” Fa una pausa mentre sposta la mano sulle lenzuola “Sei ancora convinto che la poltrona sia così comoda? Potrei argomentarti dieci buoni motivi per cui questo letto sia molto più accogliente.”
“Mhhh, mi piacerebbe tanto restare qui ma dopo chi sorveglia la cucina? Vorresti lasciare Rosie con Mycroft e i tre chili di farina? Non essere pazzo”.
“A patto che non la usino per l’MI6 potrei anche tollerarlo.”
“E tenermi anche a letto.” Sali sul materasso incrociando i piedi dietro alle sue caviglie “E sia.”
Lo sfiori in punta di dita mentre lento scende a baciarti il collo e sussurra contro la tua clavicola: “E  da quando in qua io sarei uno “stupido e meraviglioso essere umano”…?”
Ridi: “Oh, John quante cose devi ancora sapere.” Sali a cavalcioni su di lui, baciandolo con passione. “Ad esempio, non ti ho mai parlato della storia del pesce rosso di Mycroft…”
La sua risata ti riempie l’anima.
Ti toglie la camicia e fuori le prime luci dell’alba penetrano dalla finestra.
 
Londra vi sorride.

 
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