A new world

di _Freiheit_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alone ***
Capitolo 2: *** Inside a dream ***



Capitolo 1
*** Alone ***


1. Alone


L’aria fresca si dissipò, lasciando invece spazio a quella che assomigliava sempre più all’afa. Camminare si stava dimostrando inutile, le radici degli alberi inondavano il terreno rendendolo quasi impraticabile e i piedi della ragazza cominciavano a risentire delle ore perse a vagare in quella fitta vegetazione che la stava rendendo prigioniera della sua stessa passione. L’era sembrata un’ottima idea uscire di casa presto quella mattina per andare ad esplorare ancora una volta quel luogo incantato e misterioso che ormai conosceva e amava alla follia da anni: il bosco. Sin da piccolissima aveva sempre trovato affascinante passeggiare nel più completo silenzio della natura, ascoltando solo il suono del proprio respiro e i battiti accelerati del proprio cuore quando il percorso si faceva più arduo. Era stato suo padre a trasmetterle quell’amore, a portarla con sé ogni qual volta che decideva di andare a funghi, ad insegnarle il rispetto verso Madre Natura e a riconoscere le varie piante e specie animali che abitavano il posto. Ai suoi occhi nulla poteva essere più bello di un bosco e credeva che nulla lo sarebbe mai stato. Quella mattina, però, si stavano infrangendo tra le sue stesse dita tutte le sue passioni.

Era partita con la luce dell’alba appena sorta, la rugiada sulle foglie e gli uccellini che cantavano risvegliandosi e ora si trovava sotto il sole del mezzogiorno con le scarpe infangate fin oltre le caviglie, il fiato grosso per l’interminabile tratto di salita che non le dava tregua da quelle che a lei sembravano ore e, quel che era peggio, non sapeva più dove stava andando. All’inizio non si era accorta del muto e costante cambiamento che stava avvenendo intorno a lei. Non aveva notato la temperatura crescente che era pressoché impossibile in pieno inverno e sulle montagne, non aveva fatto caso alle piante che stavano a mano a mano cambiando d’aspetto, tramutandosi in ignote e non appartenenti a quelle che, sapeva, dovevano invece trovarsi lì. I pini e gli abeti erano stati sostituiti da querce e pioppi, il tappeto di aghi che segnava il sentiero era semplicemente stato inglobato e sostituito dall’erba alta e incolta. Tutto intorno a lei era diventato improvvisamente estraneo. Certo, non appena si era accorta della cosa aveva tentato di tornare sui suoi passi, ma aveva ben presto scoperto che il sentiero che aveva appena percorso era sparito. Presa dal panico aveva comunque tentato di tornare verso la direzione da cui era partita e da allora non aveva mai smesso di camminare. Avanzava da così tanto tempo che non era nemmeno sicura che fosse mezzogiorno, il caldo e la fatica la stavano ormai disarmando di ogni sua astuzia e abilità che aveva sempre faticosamente guadagnato con l’esperienza e con lo studio approfondito del territorio. Ora che si era calmata, aveva avuto modo di guardarsi attorno, in cerca di una soluzione. Stava salendo in direzione sud, l’unica verso la quale era saggio puntare, dato che era da lì che era partita, ma cominciava a sospettare che anche quella scelta si sarebbe dimostrata errata. Infatti, anziché scendere verso il basso, il terreno aveva dapprima preso un’inclinazione quasi pianeggiante, per poi salire a picco in una salita piuttosto ripida e senza fine.

Gli uccellini avevano smesso di cantare, ora la ragazza sentiva solo il suono assordante delle cicale e di altri piccoli insetti che si muovevano intorno a lei. Anche quest’ultimo fatto era strano, giacché dalle sue parti animali piccoli come quelli non c’erano, soprattutto in pieno inverno, dove la neve arrivava anche a cadere per settimane intere, non potevano sopravvivere a quei climi.

D’un tratto il terreno cominciò a pianeggiarsi, l’erba iniziò a farsi sempre più rada e non più fitta e impraticabile. Gli alberi stessi non erano più folti, adesso tra un tronco e un altro c’erano metri e metri di distanza e tra essi i raggi del sole potevano finalmente penetrare ed illuminare il cammino della giovane. Sebbene lei fosse certa che mai avrebbe dovuto incontrare segnali del genere nel suo bosco, il desiderio di uscire da quella gabbia verde aveva preso il sopravvento su tutto il resto, l’istinto di sopravvivenza le diceva che la soluzione a tutta quella storia era, intanto, tornare alla civiltà e da lì sarebbe finalmente tornata a casa. Aumentò il passo fino quasi a correre, le gambe urlarono tutto il loro disappunto, ma le ignorò, ignorò anche lo sforzo estremo che stavano facendo il polmoni e il sudore che aumentava sotto tutti gli strati di vestiti che aveva indossato da quella mattina. Si strappò di dosso il cappello e la sciarpa, abbandonandoli dietro di sé, ormai completamente inutili con quella temperatura, e si sbottonò anche il giubbotto, ma quello preferì conservarlo. Riusciva a vedere l’uscita, con un ultimo sforzo accelerò ancora e dopo pochi metri fu finalmente libera.
 
Nessuno al mondo avrebbe mai potuto prepararla allo spettacolo che vide una volta fuori dal bosco: le alte montagne che circondavano tutta la sua regione erano sparite, sostituite da una pianura irreale con distese immense di cambi agricoli che, al suo paese, era quasi impossibile coltivare per via del terreno pendente e irregolare. In lontananza riuscì a scorgere delle basse e monotone colline, ma non erano nulla di familiare, nulla che poteva riconoscere come la sua terra. L’aria stessa era diversa, calda e umida anziché fredda e secca. Il sole illuminava coraggioso il cielo e a terra non c’era il minimo segno di una recente nevicata, a dire il vero sembrava che fosse una stagione totalmente diversa dall’inverno da cui, invece, proveniva. Era forse un sogno? Uno scherzo di cattivo gusto creato dalla sua stessa mente stanca? Era certa di aver lasciato casa con almeno venti centimetri di neve fresca e le previsioni della giornata avevano annunciato altra neve per il resto della settimana, com’era possibile quel clima? A un certo punto una domanda le sorse spontanea, salendo inesorabile sulla sua lingua, anche se la logica le urlava che era impossibile, che non doveva farla, ma alla fine non riuscì più a trattenerla:


« Dove sono? ».

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Capitolo 2
*** Inside a dream ***


2. Inside a dream


Avanzò ancora di qualche passo prima di arrestarsi del tutto. Fissò incredula la natura che le si presentava davanti e più la guardava, più si convinceva che tutto quello non poteva essere possibile. Le sue montagne erano sparite, sostituite da un’immensa pianura quasi sconfinata che terminava solo a grande distanza con delle basse e timide colline. Gli alberi erano ormai soltanto alle sue spalle, solo qualche coraggioso di loro si era spinto più avanti, qua e là sparsi lungo quel sentiero che ora stava percorrendo anche lei. Dapprima era solo la fine di un sentiero, fatto di ghiaia e sassolini di varie dimensioni, ma ora era decisamente più largo, più definito, come se fosse stato realizzato artificialmente. La ragazza studiò affondo quel nuovo particolare e lasciò vagare i suoi occhi lungo tutto il percorso che, mano a mano che si allontanava, si trasformava sempre più in una vera e propria via acciottolata, perfettamente curata in ogni minimo dettaglio, con pietre di varie dimensioni adatte per passeggiare. Si voltò di scatto a guardare ancora il bosco da cui proveniva e le si gelò il sangue nelle vene. Era certa di aver trascorso una mattinata intera rinchiusa in quella gabbia verde, aveva camminato per ore in salita, eppure, adesso, davanti a lei vedeva solo un timido agglomerato di alberi di diverse specie e dimensioni che non avevano nulla a che fare con ciò che aveva appena vissuto. Sconcertata da quell’orrenda visione, la ragazza barcollò pericolosamente all’indietro fino ad inciampare sui stessi piedi e cadere rovinosamente a terra, nell’impatto batté la testa e da lì il suo mondo divenne buio.
 
 
Era a casa, sua sorella minore Alessandra le stava correndo incontro per darle il benvenuto, sua madre era alle prese con i fornelli e stava canticchiando qualche canzone latina che stavano dando alla radio. Federica abbandonò lo zaino di scuola nel solito angolo nell’ingresso e prese in braccio la sorellina, che nel frattempo le stava raccontando della sua incredibile giornata. La portò con sé fino al piano superiore, svoltò a sinistra e l’abbandonò scherzosamente sul suo letto. Tutto era perfettamente al suo posto, la sua tastiera era nel suo angolo, il suo computer spento e i suoi libri in disordine, tutto nella norma. E allora perché si sentiva irrequieta? Perché continuava a guardarsi le spalle e trovava tutto assurdamente sbagliato? Dei flash continuavano ad affollarle la mente: lei che si perdeva in un bosco – categoricamente impossibile - , un paesaggio straniero mai visto che la spaventava e un ragazzo… un ragazzo che continuava a scuoterla, a dirle cose incomprensibili con tono ansioso e preoccupato.

“Stiamo bene! Ti aspettiamo!”

E fu di nuovo buio.
 
 
Federica si svegliò di soprassalto, aveva il fiato corto e la testa che le doleva tremendamente. Cos’aveva appena visto? Un sogno o un ricordo? Non seppe darsi una risposta, era troppo stanca. Fece per rimettersi a dormire, quando si accorse di non trovarsi a casa sua, nel suo letto. Scattò nuovamente a sedere, ora sveglissima. Si trovava in una stanza semplice, arredata con pochi mobili e con colori tenui che a malapena si distinguevano dalle pareti. Il letto sul quale si trovava era comodo, ma diverso da tutti quelli che aveva visto in vita sua. Le lenzuola erano di un tessuto così morbido e liscio da sembrare impalpabile, in effetti la ragazza seppe della sua esistenza solo perché lo sentiva ricoprirle il corpo con un soffice e delicato abbraccio. Studiò a lungo quella stoffa, era forse seta? No, troppo leggero persino per quella, e allora cosa? Decise di scendere dal letto, ma quando i suoi piedi toccarono il suolo sentirono subito che anche quello era di un materiale strano. A metà strada tra delle piastrelle e del legno, ma fresco a tal punto che sembrava che delle piccole correnti d’aria passassero attraverso le fughe chiare, possibile? Non era spiacevole, ma restava strano.

Si avvicinò al muro più vicino dal quale proveniva una strana luce, irradiata quasi dall’intonaco stesso. Arrivata lì davanti pose le dita per saggiarne la consistenza, ma non appena quelle toccarono lievemente la superficie del muro, quello scoppiò di luce propria. Sembrava di aver appena spalancato le veneziane in una stanza al buio in pieno mezzogiorno, tanta era la luminosità che stava entrando. La ragazza tentò di pararsi la vista con il braccio, ritraendolo di scatto dal muro, ma ormai era stata accecata. Tentò di ritrarsi dalla fonte di luce e camminò freneticamente all’indietro, ma nel farlo urtò sonoramente l’angolo di un mobile che la fece subito gemere, un po’ per lo spavento e un po’ per il dolore. Scattò allora nuovamente in avanti, la mano sempre premuta sugli occhi ancora privi di vista, questa volta sbattendo contro il letto da cui si era alzata che, anche se non aveva cornici rigide, la sola altezza bastò per farla sbilanciare ancora di più, facendola cadere a terra a pancia in su. Le sembrava di aver appena avuto un déjà-vu, o almeno l’essere caduta di nuovo lo era di sicuro. In tutto quel trambusto era riuscita a mantenere la mano ben salda sugli occhi, quindi non vide l’attimo in cui, dall’altro lato della stanza, la porta si aprì per fare entrare una persona, ma le sue orecchie udirono chiaramente. La persona le si avvicinò lentamente, Federica provò molta vergogna per la posizione in cui era stata trovata, ma la sua cocciutaggine le impose di non muoversi nemmeno di un millimetro. I passi si fecero sempre più prossimi, fino a che non li sentì affianco a sé, allora quasi le venne da trattenere anche il respiro.


« Est-ce que ça va? » domandò una voce profonda maschile. La ragazza tradusse in fretta, si trattava della sua seconda lingua madre, dopotutto.

« Oui » mormorò debolmente, ancora non se la sentiva di muoversi. « Che situazione… » sussurrò tra sé e sé.

« Preferisci l’italiano allora? » chiese divertito il ragazzo che le era arrivato in soccorso.

Non seppe il motivo, ma già le stava simpatico.

Lentamente lasciò cadere il braccio, liberando finalmente la sua vista. La stanza era inondata dalla luce naturale che arrivava da quel muro che aveva toccato, vide la scrivania contro la quale aveva urtato per prima, mentre in quel momento si trovava ai piedi del letto, dove, si accorse solo in quell’istante, non vi erano supporti che lo reggessero, era completamente sospeso in aria e sollevando lo sguardo non vide nemmeno qualcosa che lo potesse sostenere dall’alto, era impossibile. I suoi occhi vennero poi catturati dal ragazzo che, ora poteva vedere, si trovava al suo fianco. Era molto giovane, indossava una strana tuta scura molto simile a quelle dei militari, ma dai lineamenti all’apparenza più comodi e meno ingombranti. Aveva i capelli rossi, raccolti in una crocchia scomposta e trasandata, portava la barba lunga, ma almeno quella era ben curata, i lineamenti in generale erano gentili, da ragazzo e non ancora da uomo. Gli occhi erano di un verde splendente, vispi e attenti a qualsiasi cosa, tanto che sembravano leggerle dentro. Federica si sentì subito attratta da quel ragazzo, dall’aria così gentile e rassicurante, e, senza indugiare oltre, si destò a sedere, così che i loro visi erano ora l’uno a un palmo dall’altro. Lui non smetteva di sorriderle, era evidentemente divertito da tutta quella situazione, ma non in maniera irrispettosa, ma più in tono amichevole, senza nessun secondo fine.


« Vorresti dirmi come ti senti? » le chiese ancora offrendole entrambe le mani per aiutarla a rimettersi in piedi. Lei le accettò senza esitare e si lasciò alzare quasi di peso, scoprendo così che era molto più forte di quanto si sarebbe mai aspettata, visto la corporatura snella. L’invitò a sedersi ai piedi del letto, mentre lui si procurava la sedia della scrivania e la posizionava proprio davanti alla sua interlocutrice.

« Dove mi trovo? » domandò lei cercando di ricordare tutto quello che le era successo, partendo dalla passeggiata mattutina nel bosco, finendo con quella casa. La realtà dei fatti restava ancora un mistero, era ancora convinta che fosse fisicamente impossibile che avesse visto quella pianura sconfinata e la vegetazione così diversa dalla solita a cui era abituata.

« Sei nella regione di Aeris, a sud-ovest del Lago Alisea, non te lo ricordi? » rispose prontamente quello senza mai smettere di guardarla negli occhi.

A Federica occorsero parecchi minuti per metabolizzare quella frase. Di cosa stava parlando? Non esistevano quei luoghi che aveva appena citato! La stava forse prendendo in giro? La sua espressione era così docile e rassicurante che la ragazza fu costretta a credere che stesse dicendo la verità, o almeno quella che lui credeva fosse la verità.


« Ehm… si, certo… » disse con falso tono di convinzione. Una delle lezioni che le aveva sempre ricordato sua madre era che non si doveva mai dare torto ai matti.

« Quindi, ehm… non è che avresti un telefono? Dovrei chiamare a casa, sai » tentò di convincerlo, almeno così sarebbe stata subito in salvo.

L’espressione del ragazzo mutò in un istante. Non era più benevolo e rassicurante, il suo volto era ora preoccupato e teso, quasi avesse capito quali fossero le vere intenzioni di lei.


« Un telefono? » scandì lui, sempre più scosso dalle sue parole.

Federica tentò di elaborare una risposta che potesse farlo calmare velocemente, temeva che potesse diventare violento o altro se non fosse subito riuscita a porvi rimedio.


« Si! Ma non ti preoccupare! È solo per rassicurare i miei genitori, vorranno sapere che sto bene! » scherzò falsamente, ma le sue parole parvero avere l’effetto contrario da quello sperato.

« Sei umana… » sussurrò il ragazzo. Aveva gli occhi sgranati, il viso pallido e il fiato lasciato a metà chissà dove, tra i polmoni e la bocca.

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