Kazoku

di Nao Yoshikawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una semplice richiesta ***
Capitolo 2: *** Scelte ***
Capitolo 3: *** Parlare troppo ***
Capitolo 4: *** C'è qualcosa che non va ***
Capitolo 5: *** La decisione di Kuga&Tsukasa ***
Capitolo 6: *** Lo splendido-splendido addio al... ***
Capitolo 7: *** Improvvisamente ***
Capitolo 8: *** Partenza ***
Capitolo 9: *** Gioia e inizio ***
Capitolo 10: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 11: *** Negativo o no? ***
Capitolo 12: *** Sorpresa...?! ***
Capitolo 13: *** Sono cose che capitano ***
Capitolo 14: *** Complessi&strane voglie ***
Capitolo 15: *** Natale ***
Capitolo 16: *** Paura e speranza ***
Capitolo 17: *** Calore ***
Capitolo 18: *** Notti movimentate ***
Capitolo 19: *** Bisogna provarci ***
Capitolo 20: *** Una missione importante ***
Capitolo 21: *** Pronto per una nuova avventura? ***
Capitolo 22: *** Fortuna e pioggia notturna ***
Capitolo 23: *** Il dono migliore ***



Capitolo 1
*** Una semplice richiesta ***





1 - Una semplice richiesta


Quello era un giorno speciale.

Era il giorno del ventiseiesimo compleanno di Takumi.
E quest’ultimo avrebbe tanto voluto passare una tranquilla serata senza sorprese o strani scherzi, peccato che suo marito avesse in mente tutt’altro.
Detto fatto, Soma aveva fatto un giro di telefonate e, verso le sette di sera circa, il loro appartamento si era riempito.
Non che Takumi non apprezzasse la compagnia dei suoi amici ed ex compagni di scuola, solo che sarebbe stato molto meglio se il tutto si fosse svolto in una casa più grande, se nessuno avesse sporcato e se, soprattutto, non ci fosse stato un casino indicibile.
E pensare che non posso neanche parlare. Perché se provo a dire qualcosa, Soma mi dà del noioso.
Quanto meno quella si era dimostrata essere una buona occasione per rivedere suo fratello Isami.
“Ciao, cognato!”, salutò allegramente Soma. “Buon compleanno, sei arrivato finalmente! Potevo anche venirti a prendere in aeroporto”
“Ah, perché? I mezzi pubblici funzionano così bene a Tokyo”, fece Yuki, mano nella mano con Isami. “Allora, dov’è l’altro festeggiato? Takumicchi, vieni fuori!”.
Il diretto interessato si fece avanti a braccia conserte.
“Eccomi, sono qui. Isami, è bello vederti. Il tempo passa, eh? Ventisei anni...”
“Non parlare come se fossi l’unico! A proposito, grazie Soma per aver organizzato questa festa”
“Sono stato bravo, ne sono cosciente. Ma dov’è il piccoletto, piuttosto?”.
Yuki si guardò intorno, guardando poi male il marito.
“Isami! Dov’è nostro figlio?”
“Ma non era con te?”
“Con me? Con me? Dico, sei stupido o cosa?!”.
Takumi alzò gli occhi al cielo. Ecco che quei due iniziavano a discutere come al loro solito. Dopodiché abbassò lo sguardo. Un bambino di tre anni circa gli stava sgambettando allegramente accanto.
“Time-out, ragazzi. L’ho trovato”
“Satoru!”, chiamò Yuki isterica. “Mi raccomando, non scappare! Comportati bene e non toccare niente!”.
Per tutta risposta, il bambino si voltò e le fece una linguaccia.
“Io voglio giocare. Zio Soma, mi prendi sulle spalle?”, domandò Satoru spalancando i suoi grandi azzurri.
Il rosso fece finta di pensarci.
“Lo faccio, ma prima… c’è una persona a cui dovresti fare gli auguri”, sussurrò indicando Takumi.
Il bimbo sorrise divertito.
“Buon compleanno, zio Takumi!”
“Mh”, fece lui a braccia conserte. “Grazie. Incredibile, preferisce sempre te a me, ma perché?”
“Semplice, perché io sono divertente e tu no!”, esclamò il ragazzo mettendosi il bambino sulle spalle e facendo sbuffare il marito.
“Non correre!”, lo sgridò quest'ultimo, sebbene sapesse bene che le sue sarebbero state parole gettate al vento.
Certe cose non cambiavano mai. E da un lato era anche un bene. Dopo che si erano diplomati, Takumi e i suoi compagni non si erano mai persi di vista. Malgrado ognuno di loro avesse una vita e un lavoro differenti, trovavano sempre il modo per vedersi. Erina stava seduta tutta impettita con un bicchiere di vino in mano, accanto ad Hisako, divenuta oramai da qualche anno la sua compagna.
“Allora?”, domandò Yuki entusiasta. “Come vanno le cose alla Tootsuki? Immagino che essendo tu la preside farai rigare tutti dritto”
Erina posò elegantemente il bicchiere. Era divenuta una donna molto posata, ma non per questo aveva perso la grinta.
“Devo essere sincera, sì. Fortunatamente Hisako mi da una grande mano. Ho degli allievi davvero in gamba… ah, ma nulla a che vedere con i nostri tempi, ovviamente”
“I nostri tempi”, ripeté Hayama. “Sembra che sia passata una vita. Comunque, ho saputo che Marui è da poco diventato un insegnante proprio alla Tootsuki”.
Il gracile e occhialuto diretto interessato si guardò intorno nervosamente.
È… è vero, ma la cosa mi spaventa alquanto. Neanche gli allievi mi prendono sul serio”.
Yuki era scoppiata a ridere.
“Povero piccolo Marui!”, esclamò dandogli delle pacche su una spalla. “E voi, Hayama e Ryou? Il vostro ristorante va bene?”
“Ammh… potrebbe andare meglio… se solo Ryou non perdesse le staffe ogni tre per due”
“Tsk”, il ragazzo, seduto accanto a lui, alzò gli occhi al cielo. “Non è colpa mia, è che abbiamo due pensieri riguardanti la cucina diversi. Per questo siamo sempre stati rivali”
“Sì, ma adesso stiamo insieme...”
“Non cambia niente”, chiarì.
“Ah, vedo che come sempre litigate. Come sta Alice? Fa sempre i suoi esperimenti con la cucina molecolare?”, domandò Isami.
“Certo che sì. Scherziamo tanto, ma credo che alla fine sarà lei quella che diventerà famosa. Oramai ha dimora fissa in Danimarca”, spiegò Akira.
“… Ma conta di venirci a trovare presto”, chiarì subito Erina.
Accanto a loro, a stare in silenzio erano in due. Ibusaki, e questa non era una novità, ed una nervosissima Nene. Nonostante fosse oramai fidanzata con Isshiki da cinque anni, trovava sempre i suoi amici piuttosto rumorosi.
Beh, non che il suo ragazzo fosse da meno.
“Nenenuccia!”, Isshiki le circondò le spalle con un braccio. “C’è qualcosa che non va, mio adorato tesoro?”.
Lei si sistemò nervosamente gli occhiali.
“Sì, sì… va tutto assolutamente bene. È solo che i tuoi amici… come dire… mi mettono un pochino a disagio”
“Oh, e perché mai?”. Nene non ebbe il tempo di rispondere, interrotta dallo strillare di Ryoko che si stava rivolgendo in maniera poco aggraziata al suo fidanzato.
“SHUN IBUSAKI!”
“Presente”, rispose lui tranquillo.
“Ah, ci sei? Allora smettila di fare l’asociale e partecipa alla conversazione”.
A Yuki venne da ridere a quella scena, ma più che a Ryoko e a Ibusaki, la sua attenzione si posò su Nene. Si divertiva sempre troppo a infastidirla, anche perché la ragazza le dava piuttosto corda.
“Nenenuccia!”, chiamò. “L’abito da sposa l’hai comprato? Ti prego, dimmi com’è, sono troppo curiosa!”
“Mi dispiace, non posso”, proferì severa. “È una sorpresa, non dovrai aspettare molto”
“Oh, sono sicura che sarai un incanto, spero solo di non piangere”, fece Isshiki pensieroso.
“Beh, io farò in modo che sia tuuuutto perfetto!”, a Yuki brillavano gli occhi. “Non serve che mi ringrazi, Nenenuccia”
“Infatti non ci penso neanche”.
Poco distante dal rumoroso gruppo, Megumi si stava ritrovando a calmare il piccolo Satoru. Amava i bambini e aveva un incredibile senso materno, tant'è che perfino un piccolo terremoto come lui finiva per tranquillizzarsi davanti a tanta dolcezza. Takumi lo aveva poco prima rimproverato e lo aveva intimato di non correre, con il risultato di farlo scoppiare in lacrime. Era quindi intervenuta Megumi, la quale sapeva sempre come fare.
"Zio Takumi è stato cattivo con me", piagnucolò il bambino con le mani paffute poggiate sul viso.
"Perché qualsiasi io faccia o dica sono comunque il cattivo?"
"Su, non piangere così", la ragazza gli portò una mano sulla testa. "Adesso calmati, dopo giocherò io con te, va bene?"
"V-va bene", mormorò Satoru tirando su con il naso.
Incredibile. Quel bambino fa il bravo con tutti meno che con me.
Mentre pensava ciò, Takumi si ritrovò il braccio di Soma intorno alle spalle.
"Oh-oh, vedo che sei brava con i bambini. Quand'è che tu e il tuo adorabile maritino vi deciderete a mettere su famiglia?"
"Quando?", domandò lei pensierosa, mentre Satoru reclamava le sue attenzioni. "Non lo so... spero presto"
"Ma sì, fate pure. Così possiamo aprire un bell'asilo nido. Piuttosto, vado a prendere lo champagne ", disse poi Takumi.
Una cosa era però certa... non ci si annoiava mai.
Poco dopo, gli invitati si riunirono intorno ad un tavolo, sul cui centro troneggiava una torta preparata dalle mani esperte di Soma.
"Su, dai, ragazzi!", esclamò Yuki. "Spegnete le candeline"
"Ma sbaglio o manca qualcuno?", domandò Isami.
"Tsk, figurarsi se Kuga e Tsukasa arrivano in orario. Com'è successo al nostro matrimonio, e loro erano o testimoni!", borbottò Takumi.
“Su, su! Non è il caso di scaldarsi!”, Yuki tentò di tranquillizzarlo. “Non credo che Tsukasa e Kuga se le prenderanno se non li aspettiamo. Quindi adesso fai un bel sorriso e soffia sulle ventisei candeline insieme a tuo fratello!”.
Takumi sospirò pazientemente. Tentò di accontentare Yuki, ma nell’esatto momento in cui fece un passo in avanti, un ansante Kuga dagli occhi sgranati arrivò all’improvviso come un uragano.
“SCUSATE IL RITARDO! CHE CI SIAMO PERSI?”.
E tutti si voltarono a guardarlo.
Ovviamente male. Dietro Terunori, era appena apparso Tsukasa, il quale teneva tra le braccia un adorabile cucciolo di chow-chow color caramello.
“Scusate”, Eishi tentò di salvare il salvabile. “Simba ha fatto i capricci”
“Non insultare il mio cucciolo adorato!”, lo rimproverò Kuga.
Soma prese a ridere.
“Si sentiva proprio la vostra mancanza. Dai, venite qui!”.
Beh, adesso almeno siamo tutti insieme.
E finalmente, lui e Isami soffiarono su quelle benedette candeline.
“Zio”, Satoru richiamò l’attenzione di Takumi. “Hai espresso un desiderio?”.
Lui chinò il capo, pensieroso.
Già, un desiderio. Ma cosa potrei desiderare? Ho tutto quello che una persona potrebbe sognare.

“Non ce n’è stato bisogno. Io ho già tutto”, fu infatti la sua risposta.
“Umh”, il bimbo gonfiò le guance. “Tutto tutto?”
Sì. Almeno credo. Che altro c’è, sennò?
“Su, piccolo discolo”, disse Yuki. “Adesso fai il bravo”.
Fortunatamente le acque si calmarono, poiché Satoru si era seduto sul pavimento a giocare con Simba, l’adorato cane di Kuga e Tsukasa. Alle volte Terunori trattava meglio il cucciolo che il suo fidanzato stesso, ma oramai Eishi ci aveva fatto l’abitudine.
“TAKUMICCHI!”, Kuga circondò le spalle del biondo con un braccio, mentre con una mano teneva un bicchiere di champagne. “Temevi che non sarei venuto, vero? E invece eccomi qua. Figurati se mi perdevo un occasione del genere”
“Finiscila, sei ubriaco e molesto. Comunque davvero, non c’era bisogno di festeggiare tutto così, in grande stile. Io non avrei voluto, ma Soma ha insistito”
“Soma ha sempre le migliori idee… Ehi!”, ad un tratto si rivolse a Satoru. “Fai piano, altrimenti tirerai il pelo al mio Simba adorato!”
“Kuga!”, Tsukasa si portò una mano sul viso. “Quando imparerai che non puoi rivolgerti ad un bambino come se si trattasse di un tuo pari?”
“Io non so di cosa tu stia parlando”.
Fu allora che Satoru si avvicinò quatto quatto a Terunori, arrivandogli davanti e facendogli una linguaccia.
Gli bastava davvero poco per andare in escandescenza.
“RAGAZZINO INSOLENTE! ADESSO TI FACCIO VEDERE IO!”.
Così Kuga si ritrovò ad inseguire un bambino di tre anni che si stava abilmente prendendo gioco di lui. Tsukasa scosse il capo.
“Bene, adesso i bambini sono due. Scusalo, Kuga è negato con certe cose”
“Tutto il contrario di Soma, allora. I ragazzini lo adorano. E lo preferiscano di gran lunga a me. Fortunatamente non ho bambini attorno”, affermò togliendogli il piatto ormai vuoto dalle mani e iniziando a fare un po’ di ordine.
Visto che il disordine era una di quelle cose che decisamente gli faceva perdere la testa.
Alla fine della festa, Satoru era crollato addormentato sul divano, tutta quella corsa lo aveva sfiancato.
“Oh, il mio dolcissimo bambino”, sussurrò Yuki. “Dorme come un angioletto”.
Poco distante, Tsukasa stava aiutando Kuga a togliere i coriandoli - lanciati ovviamente da Satoru - dai capelli
“Angioletto? Quello? Se quello è un angioletto io sono alto. E no! Non provare a fare battute!”.
“Oh, Kuga. Sei davvero incorreggibile. Ecco, ho fatto. Sai, sarai un adulto fatto e finito ma non sei cambiato affatto dai tempi della scuola. E non mi riferisco solo al fatto che sei rimasto sempre della stessa altezza”
“Ti avevo detto di non infierire, idiota!”, esclamò. “Simba, tesoro, andiamo a casa, si è fatto tardi!”.
Dopo una lunga ed estenuante serata, gli ospiti si stavano apprestando ad andare.
“Allora, quanto vi fermerete?”, domandò Takumi al gemello, il quale teneva il bambino addormentato in braccio.
“Credo un’altra settimana. Poi dovremo tornare in Italia, la trattoria non si gestisce da sola. Vorrei rimanere qui come tuo ospite, ma Yuki vuole che passiamo dai suoi… e sinceramente preferirei un mal di denti!”
“Ti ho sentito!”, sua moglie lo prese per un orecchio. “Grazie per la bella festa, cognato. Adesso noi andiamo, buonanotte!”
“Buonanotte!”, salutò allegramente Soma. “Megumi, sei certa di non volere un passaggio?”. La ragazza scosse il capo.
“Non preoccuparti, vado con Ryoko e Shun. Ci vediamo, ciao!”.
Ci volle un po’ prima che l’appartamento si svuotasse. Quando accadde, Takumi sospirò, stanco.
E un altro anno era passato.

E andava tutto incredibilmente bene. Soma gestiva ancora lo Yukihira assieme al padre, e lui ovviamente dava una mano.
Erano passati tre anni dal suo matrimonio con il ragazzo, e da allora era stato un susseguirsi di bei momenti ed emozioni forti.

Già, che cos’altro potrei desiderare?
Soma lo osservò da dietro. Il biondo sembrava star guardando un punto indefinito.
Forse non è questo il momento giusto.
No, diamine, lo sento da dentro. Quindi sì, è il momento giusto.
“Takumi”, lo chiamò. Lui si voltò a guardarlo.
“Soma?”.
Il rosso respirò profondamente. A braccia conserte incatenò gli occhi ai suoi.
“Takumi, io voglio un bambino”.
… Cosa ha appena detto?
Soma scherzava. Scherzava sempre.
Ma Takumi dovette rendersi conto che in quel momento non stava scherzando affatto.




NDA
Non ce la facevo. Io con le storie vado molto a istinto, quando sento che arrivato il momento per cominciare una nuova avventura, io mi butto.
Allora, che dire?
Avevo bisogno di una storia leggera, carina, fluff (sembra incredibile, ma è così). Anche se conoscendomi, credo che ci sarà dell'angst nascosto dietro l'angolo.
Se ve lo state chiedendo, questa storia non è un sequel de La luce dei tuoi occhi. Quella è una storia a sé. Però ho voluto mantenere le coppie, mi ci sono affezionata. Penso che si sia capito abbastanza bene di cosa la storia parlerà, ovvero bambini, famiglia eccetera, eccetera, eccetera. Ci sarà da divertirsi, ma non tutto sarà rosa e fiori.
Siccome mi piacciono i nomi dai significati belli, il figlio di Isami e Yuki l'ho chiamato Satoru, che dovrebbe significare "alba". Mi piaceva e quindi l'ho scelto.
E nulla, Soma non ha perso tempo, ma la domanda è: Takumi come risponderà?
Spero di avervi incuriositi :D

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Capitolo 2
*** Scelte ***


2 - Scelte


La prima cosa che Takumi aveva fatto era stata ridere. Ridere sguaiatamente e senza alcun motivo. Una risata che era andata via via scemando nel momento in cui si era accorto di come Soma lo stesse mal guardando.
Che cos’era quella richiesta improvvisa?
Così dal nulla, poi, che senso avrebbe avuto?
Dopo quella sua pessima uscita, era poi calato un silenzio imbarazzante.
Non posso credere che me lo abbia chiesto davvero. Mi sento alquanto stordito.
Io e Soma non abbiamo mai parlato di mettere su famiglia. Sì, ho sempre saputo della sua predisposizione verso i bambini, ma questo cosa c’entra?
Anche se credo di essere stato giusto un filino insensibile.
Non è colpa mia, è solo che non me lo aspettavo!
Erano questi i pensieri a cui Takumi si stava lasciando andare mentre si trovava steso sul materasso. Era buio, fatta eccezione per la luce della lampada.
Dava le spalle a Soma, il quale guardava fisso verso l’alto senza dire una parola.
C’era una chiara e palpabile tensione, un silenzio insistente che entrambi avrebbero voluto interrompere. Ma Takumi non avrebbe saputo cosa dire.
Fu infatti Soma che, ad un certo punto, si mise seduto.
“Però così non vale. Non mi hai risposto”.
Suo marito imprecò mentalmente.
Certo, dopotutto è l’orario perfetto per fare certi discorsi, no?
Anche lui si mise seduto, sbuffando. Poi lo guardò.
“Soma… io non so che dire...”
“Eh? Ma come no? Ti ho fatto una richiesta, dimmi sì o no”.
Non sono sicuro funzioni esattamente così.
“Sì o no ? Soma, non posso darti una risposta così su due piedi. Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? E poi così all’improvviso?”.
Soma abbassò lo sguardo con fare imbarazzato, gesto che sorprese non poco Takumi.
No, non mi dire
“Non è… stato all’improvviso, vero?”
“Direi di no. È un po’ che ci penso, ma non sapevo come prendere il discorso. Credo di avere proprio istinto per certe cose. Insomma, mi vedi con Satoru, no? Ecco… oramai inizio ad avvertire il desiderio di avere un figlio mio. Ma prima devo sapere se sei d’accordo”.
Non lo so, sono d’accordo?
Avere un figlio è una grande responsabilità. Si parla di crescere un altro essere umano che in tutto e per tutto dipenderà da noi, di guidarlo, curarlo, amarlo… E sinceramente il solo pensiero mi mette non poco in ansia.
Si massaggiò le tempie, tutto quel pensare lo stava già facendo andare fuori di testa.
Non avrei mai pensato che mi sarei ritrovato a riflettere su certe cose.
“Oh, cielo. Io… io avrei seriamente bisogno di fare mente locale”.
Fu allora che Soma gli afferrò le mani, sorridendo.
“Io non prendo mai nulla sul serio, me ne rendo conto. Però posso assicurarti che non sono mai stato così serio come adesso. Questo è un mio desiderio scaturito dal fatto… che ti amo immensamente. E vorrei crearmi una famiglia con te, se lo vuoi anche tu. Quindi, se vuoi pensarci, fa pure”.
Soma, tu… tu mi sorprendi sempre, malgrado ti conosca ormai da tempo.
Il fatto che tu voglia costruire qualcosa di così bello con me… mi scalda il cuore.




Suonava la sveglia e la giornata era pronta per ricominciare.

Alla mattina c’era sempre un grande caos, probabilmente ciò era dovuto al fatto che Soma era un incorreggibile disorganizzato. Oltre che disordinato.
Ma Takumi, quella mattina, non avrebbe avuto la forza di stargli dietro.
Questo perché le parole del marito si erano infilate prepotentemente nella sua testa, portandolo a pensare costantemente.
Un momento del genere, si era immaginato che sarebbe arrivato molto più avanti. Magari quando sarebbe stato più grande, maturo e propenso a certe cose. Perché in verità, Takumi vedeva ancora lui e Soma come quei ragazzini spensierati dei tempi della scuola, cosa che ovviamente non era.
Erano davvero pronti a prendersi una responsabilità del genere?
Soma probabilmente lo è. Cioè, lui? Quello scemo sempre con la testa fra le nuvole è pronto per un passo del genere ed io no!
“Takumi!”, lo chiamò Soma, mentre tentava di vestirsi. “Il caffè sta straripando!”
“Eh?! AH! ARRIVO!”.
Merda, sono proprio imbranato. Ma poi, come farei ad occuparmi di un bambino e anche di Soma? Non dimentichiamoci che lui è… sì, è peggio di un ragazzino molto spesso.
“Sbrigati, stiamo facendo tardi!”.
Il biondo si voltò a guardarlo con una smorfia.
“Se mi fai ancora fretta giuro che ti ammazzo. Tuo padre non se la prenderà se arrivi in ritardo”
“No, però mi romperà le scatole. E lo sai che mi da fastidio”, affermò, bevendo velocemente il caffè dalla sua tazzina. “Va beh, io ti precedo, ci vediamo dopo”
“Ma...”.
Prima che potesse dire altro, ecco che Soma gli aveva donato un bacio dal sapore di caffè sulle labbra.
Come sciogliermi in una semplice mossa. Oh, beh…


Per Kuga e Tsukasa, invece, la giornata cominciava con decisamente più calma. Questo perché Terunori era un inguaribile dormiglione, e alla fine Eishi si era abituato a questo suo tenore di vita.
Il primo a svegliarsi era sempre Simba. Il cucciolo color caramello saltò sul materasso, pensando bene di svegliare i suoi padroni. Avvicinandosi a Kuga, iniziò a leccargli il viso.
“Mh”, mugugnò il ragazzo. “Sì, tesoro, adesso mi alzo...”
“Ah”, biascicò Tsukasa, ancora con gli occhi chiusi. “Ma che ore sono?”
“Mh… le otto...”
“Ah… LE OTTO?! MA CHE DIAMINE, PERCHE’ NON MI HAI SVEGLIATO?!”
“Ma perché tu non me lo hai chiesto, ovviamente”, rispose beato, mentre accarezzava Simba, accoccolato accanto a lui.
Tsukasa era sempre così ansioso, non era cambiato negli anni. Anzi, probabilmente adesso che avevano aperto una loro attività era perfino peggio. Avevano aperto un ristorante in cui erano riusciti a fondere le loro capacità e idee. Peccato che il suo adorabile marito prendesse tutto un po’ troppo alla leggera.
“KUGA TERUNORI, ESCI IMMEDIATAMENTE DAL BAGNO!”.
Con una tazzina di caffè in mano e un asciugamano intorno al collo, Eishi picchiò contro la porta. Quell’incorreggibile aveva sempre il brutto vizio di perdere mezza giornata chiuso lì dentro, era peggio di una donna.
“Mi dispiace, non riesco a sentirti, sono sotto la doccia!”, rispose lui divertito.
Tsukasa sospirò.
“E dai, farò tardi”
“Scemo, la porta è aperta”
“Oh… bene”, si diede mentalmente dello stupido, infilandosi poi nel bagno dove aleggiava una nube di vapore.
“Non finire l’acqua calda”, sospirò.
“Noioso”.
Dopo quel commento, Kuga scostò le tendine della doccia. Era ancora insaponato e i capelli erano bagnati. Probabilmente doveva essersi alzato di buon umore, quella mattina.
“Tsukassan”, cantilenò il suo nome. “La fai o no una doccia con me?”.
Eishi alzò gli occhi al cielo. Certo, l’altro alle volte si comportava ancora come un adolescente dagli ormoni in subbuglio.
“Ma non c’è tempo”
“Che peccato”, recitò. “Allora mi sa che dovrò passarmi la schiuma sul corpo tutto solo...”.
… Ma alle volte faceva proprio bene a comportarsi così.
“E va bene”, alla fine Tsukasa si arrese, neanche troppo dispiaciuto, e decise di lasciarsi andare ad una lunga doccia calda con il suo innamorato.

Contrariamente ai loro migliori amici, Takumi e Soma erano già arrivati a lavoro. Mano nella mano erano giunti allo Yukihira. Il rosso era stato il primo ad entrare e a cercare con lo sguardo il padre.
“Vecchio, ma dove sei?”. Takumi sbuffò, togliendosi la giacca e facendo per appenderla all'appendi-abiti. Sicuramente non ci si annoiava mai nel lavorare in quel luogo. Anche se doveva ammettere che avere a che fare con padre e figlio in contemporanea – soprattutto quando litigavano – non era esattamente una passeggiata. Aveva appena finito di formulare il pensiero, quando due braccia lo sollevarono da terra.
“Buongiorno, mio adorato genero! Come stai? Hai dormito abbastanza? Hai fatto colazione?”.
Per l’appunto.
“Ehi! Joichiro, mettimi subito giù! Non è divertente, andiamo!”, esclamò il ragazzo con le guance arrossate. Quell’uomo lo aveva davvero a cuore, praticamente lo trattava come un figlio, in tutto e per tutto.
“Perché a me non mi abbracci mai così?”, protestò Soma mentre si premurava di indossare il grembiule.
“Vuoi essere abbracciato anche tu? Davvero? Lo faccio subito!”
“No, no, no! Stavo scherzando, stai indietro!”.
Non appena era stato rimesso a terra, Takumi si sistemò i capelli.
Questo è violare la mia intimità.
Sarebbe stata un’altra lunga ed estenuante giornata di lavoro, se lo sentiva.


Se c’era una cosa che Megumi adorava, era il suo lavoro. Ormai da cinque anni era stata assunta in un ristorante specializzato in cucina tipica giapponese. Tutto ciò che aveva appreso durante gli studi alla Tootsuki e nei suoi viaggi per il mondo, l’avevano fatta crescere e maturare anche dal punto di vista professionale. Il ristorante in cui lavorava era modesto e di certo non stellato, ma portare avanti la sua passione era tanto quanto le bastava per essere felice. Inoltre, un fattore molto positivo era che il posto era frequentato da molte famiglie. E da bambini.
E lei amava i bambini. Così come i bambini amavano lei.
Uscì dalla cucina con un piatto in mano e si diresse ad uno dei tavoli.
Due bambini di circa cinque e quattro anni sorrisero nel vederla arrivare.
“Megumi-chan, che bello vederti!”, disse il maschietto, il più grande dei due.
“Ciao, bambini!”, salutò con un amabile sorriso. “È bello anche per me vedervi, mi siete mancati. Mi raccomando, ricordate di mangiare tutto. Il pesce è importante se volete diventare grandi e forti”
“Ah, tu sei davvero bella, brava e buona, Megumi-chan!”, affermò invece la bambina con aria sognante. Quel complimento puro e genuino la fece arrossire.
“Megumi, ci sai proprio fare con i bambini”, disse poi quella che era la madre dei due fratellini. “Sono certa che saresti una brava madre”.
E già, me lo dicono tutti. Peccato che non sia ancora successo.
“La ringrazio, davvero. Spero che arrivi presto quel giorno”, affermò imbarazzata.
Sì, un giorno sarebbe arrivato. Lei e Shinomiya non erano sposati da molto, appena due anni, ma di mettere su famiglia in realtà non ne avevano mai parlato, probabilmente perché erano entrambi troppo presi dal lavoro. Lui infatti continuava a gestire il suo ristorante in Europa, sebbene il suo fosse un continuo andirivieni dalla Francia al Giappone e viceversa. Con Megumi avevano affrontato a loro tempo l’argomento “trasferimento”. Ma la verità era che per lei sarebbe stato troppo difficile abbandonare il suo paese natale e i suoi amici. Shinomiya era stato fortunatamente molto comprensivo. Certo, così risultava tutto un pelino più difficile, ma fino a quel momento non avevano mai avuto problemi.
Chissà se le cose si sarebbero evolute con l’arrivo di un figlio.
Quello era un pensiero che ultimamente la tormentava. Aveva un grande istinto materno e sentiva che era quello il momento per lei di avere un figlio suo.
Peccato che la persona con cui aveva decido di trascorrere il resto della sua vita non ne fosse a conoscenza.
Forse un giorno di questi dovrei parlargliene. Anche se non ho idea di come potrebbe prenderla. Non vedo Kojiro come un tipo molto paterno, ma magari mi sbaglio.
Megumi era talmente persa a pensare che non si era neanche accorta di una persona che era appena entrata e che si era fermata a guardarla.
La sua Megumi… si distraeva ancora spesso.
Ma era la sua indole un po’ da bambina che tanto amava.
“Signorina, scusi, non crede di starsi distraendo un po’ troppo?”.
Lei sussultò, voltandosi di scatto. E poi sorrise radiosa.
“Kojiro sei… sei qui…!”, esclamò lei contenta, dimenticandosi di trovarsi sul posto di lavoro e andando a catapultarsi tra le sue braccia. Shinomiya la strinse forte a sé, tanto quasi da sollevarla da terra. Nonostante non si vedessero solo da una settimana, le era mancata maledettamente.
“Ma non dovevi arrivare domani?”, chiese lei.
“Potrei aver anticipato… per farti una sorpresa”.
Lei sorrise radiosa. Alle volte si sentiva ancora una ragazzina che viveva il primo amore.
“Accidenti”, strizzò gli occhi e gli diede un pizzicotto. “Ma adesso io sto lavorando, come faccio?”
“Finisci pure con calma. Stasera ti porto fuori”
“Oh”, Megumi si era praticamente sciolta. “V-va bene allora”.
Non con poca difficoltà si staccò dal suo abbraccio.
Ma certo. Una romantica uscita. Forse la sua occasione per parlargli poteva essere proprio quella.


Intanto, a Le petit lion, il ristorante di Kuga e Tsukasa, le cose andavano come ogni giorno.. all’incirca.
“CHE SIGNIFICA CHE ALTRIMENTI CI TAGLIATE LA LUCE?! NON OSATE, SAPETE? Non ci pensate neanche”.
Tsukasa si portò una mano sul viso. Per quale assurdo motivo in natura aveva permesso a Kuga di prendere la situazione in mano?
“Kuga… abbassa la voce”.
Terunori però gli fece segno di tacere.
“Se ho detto che le pago vuol dire che le pagherò. Cosa pensate che siamo noi, dei barbari? È solo un piccolo ritardo, può capitare, amico. Ah, sì? E lo sai io cosa ti rispondo, vaffa...”
“No, no, no!”, Tsukasa gli strappò prontamente il telefono dalle mani. “Pronto? Sì, chiedo scusa, mio marito è un po’ nervoso. Certo, ma certo, assolutamente, non si preoccupi. Grazie, mille grazie. Buona giornata”.
Chiuse la chiamata. Poi sospirò e guardò Kuga, il quale se ne stava imbronciato.
“Terunori, ti prego, per favore… potresti evitare di litigare con ogni essere vivente e non?”
“Non è colpa mia! Quelli lì fanno tante storie solo perché abbiamo ritardato di due giorni a pagare le bollette. Non è colpa mia se me ne sono dimenticato!”
“Ahi, d’accordo, mi sa che la prossima volta ci penso io. Torna a cucinare che è meglio”.
Kuga fece per ribattere, ma prima che potesse farlo, una certa loro ex compagna di scuola che era oramai diventata una cliente abituale, li salutò con energia.
“Ciao, bellissimi, come state?”
“Ecco qua, ci mancava pure questa”, sbuffò Terunori. “Ciao, Rindou. Sto una meraviglia”
“Piccolo Kuga, che ti prende? Mi offri una cosa da bere?”
“Io non ti offro un bel niente, se la vuoi dovrai pagare. E poi bevi troppo”
“Mh, quant’è noioso”, sbuffò la ragazza. “Ma che gli prende?”
“Stress? Non ne ho idea”, sospirò Tsukasa. “Comunque, come mai sei qui a quest’ora? Non lavori oggi?”.
Rindou sorrise nervosamente, alzando gli occhi al cielo.
“Come dire… potrei aver perso il lavoro”.
Eishi desiderò sprofondare. Era il secondo lavoro che perdeva in un mese, come si poteva essere così sfortunati?
Rindou era una bravissima ragazza, ma viveva ancora con la testa fra le nuvole. Se non fosse stato per lui e Kuga, probabilmente si sarebbe persa.
“Bene, e adesso? Dopo tutta la fatica che hai fatto...”
“Ah, troverò qualcosa, tanto in quel posto ero sottopagata. Emh… detto fra noi… non è che potreste prestarmi qualcosa per l’affitto? Giuro che poi ve li ridò”
“Mi dispiace Rindou, non posso. Io e Kuga abbiamo già abbastanza spese questo mese...”, deglutì a vuoto. “E poi chi è che ha il coraggio di chiederglielo?”


Dopo il lavoro, Takumi non avrebbe certo avuto un po’ di riposo. Suo fratello gli aveva chiesto se gli andava di accompagnarlo in giro per la città, e lui non aveva ovviamente potuto rifiutare. Soma invece si era tirato indietro farfugliando qualcosa del tipo “Sono troppo stanco, non sarei di compagnia”.
Le sue solite scuse, ma in fondo non era un problema. Poiché vivevano lontani, ogni scusa era buona per stare insieme… insieme anche a quella piccola peste di suo nipote Satoru, che era come sempre scatenato. Dopo un giro non esattamente breve, i due fratelli pensarono bene di fermarsi poiché Satoru aveva espressamente chiesto un gelato. E poi era voluto andare sull’altalena.
“Emh… Isami, sei certo che la tripletta bambino-gelato-altalena sia una mossa saggia?”, domandò Takumi, guardando preoccupato il bambino.
“Ti prego, nii-san, non c’è Yuki e ti ci metti tu?”, sospirò Isami, comodamente seduto sulla panchina. “Stare dietro a Satoru è davvero stancante”.
Già, stancante… chissà se anche io sarei in grado?
Ma sì, forse potrei chiedere qualche consiglio a lui. Possibilmente senza fargli capire nulla.
“Senti, Isami, c’è una cosa che non ti ho mai chiesto. Tu… tu, sì, insomma, come facevi a sapere che saresti stato in grado di fare il padre?”.
Isami sorrise.
“Non lo sapevo. È stato un vero e proprio salto nel buio...”
“Oh, interessante. Ma non hai avuto paura?”
“Oh, puoi dirlo forte. I mesi precedenti alla nascita di Satoru sono stati mesi di ansia e dubbi e domande! Credevo di non essere pronto, capisci? Ho perso il conto di tutte le volte in cui ho pensato di fuggire lontano”
Bene, questo non mi sta aiutando.
“Però sai… nel momento in cui è nato è passato tutto. Certe cose si imparano a farle man mano che le vivi. Ogni giorno è un’avventura”, puntò gli occhi su Satoru. “Amo quel bambino, è il mio più grande orgoglio. Ci sono delle paure che vale la pena affrontare”.
Le parole di Isami furono una sorta di liberazione. Takumi ebbe un’illuminazione su qualcosa che era però ovvia. Non era né il primo né l’unico ad avere certi dubbi per la testa, tutti i futuri genitori ne avevano.
Crearsi una famiglia con Soma era quello che voleva, ed era certo che anche quest’ultimo avesse tenuto in considerazione le difficoltà che ne sarebbero seguite. Probabilmente questo era uno di quei casi in cui bisognava rischiare.
“Cavolo… grazie Isami...”
“Di niente, nii-san. Ma perché me lo hai chiesto?”
“Ah, così. Semplice curiosità”


Tra il lavoro e i suoi impegni, raramente Megumi trovava il tempo per indossare abiti un po’ più eleganti. Vestiva sempre con la divisa o dei semplici vestiti sportivi. Quella sera però aveva indossato un vestito nero dallo scollo a barca, aveva accentuato leggermente il trucco e aveva anche indossato gli orecchini, accessorio che in genere non usava.
Ogni volta che lei e Shinomiya uscivano, sembravano essere due fidanzatini alle prime armi, cosa che ovviamente non erano.
Megumi sorseggiò lentamente del vino rosso dal suo calice, mentre pensava alle parole giuste da dire. In realtà non aveva pensato ad altro tutto la sera. Non capiva perché doveva preoccuparsi tanto, dopotutto arrivava un momento del genere per tutte le coppie sposate, no?
“Così ho dovuto fare i salti mortali per arrivare qui. Chi ha detto che essere il capo è una gran fortuna non ha capito un emerito cavolo. Comunque sia, quando ci sono io tutti rigano dritto, mi chiedo invece cosa combinino quando io non ci sono e… Megumi, stai ascoltando?”
“Eh? Scusa, Kojiro. Stavo solo pensando che… c’è una cosa di cui dovrei parlarti”
“Non mi dire che si è rotto di nuovo qualcosa”, sbuffò. “L’avevo detto io a quell’idraulico che le tubature non avrebbero resistito a lungo, maledizione”
“In realtà non è di questo che si tratta”, disse sorridendo. “Tu… ci pensi mai ad avere una famiglia tutta tua?”.
Lui inarcò un sopracciglio.
“Ma io ho già una famiglia mia. Sono sposato con te”.
Lei si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Sì, ma io intendevo… avere dei figli...”.
A quel punto Shinomiya fece un’espressione indefinibile, sembrava sconvolto, indignato e spaventato allo stesso tempo.
“Ah, in quel senso eh?”, domandò nervosamente. “Sì, ci ho pensato”
“Davvero? E cosa ne pensi?”
“Che sì… succederà… un giorno… forse”
“Un giorno forse? Il fatto è che io sento che adesso è il momento”, sospirò. “Voglio diventare madre”
“Oh, Megumi, ma c’è tempo per quello, tu sei ancora giovane. E poi per adesso siamo entrambi molto impegnati nel lavoro, non sarebbe troppo complicato?”
“Quindi tu non vuoi avere un figlio con me perché sei troppo impegnato?”, chiese lei a braccia conserte.
“Sì, cioè no! Non è che non voglio un figlio con te, solo non adesso”
O forse mai. Io in certe cose sono negato.
Ma questo forse è meglio non dirlo.
Lei aggrottò la fronte. Da un lato si era immaginata una reazione del genere, ma c’era comunque rimasta male.
“Capisco”, rispose facendo un cenno con il capo e cercando, in realtà senza successo, di nascondere la sua delusione.


“DAI, ANDIAMO! OH, CHE CAVOLO, MA NON PUOI ELIMINARLO, SEI SERIO?”
Nonostante le pesanti giornate di lavoro, Soma la sera aveva sempre tempo per guardare Hell’s Kitchen e imprecare a vuoto contro la televisione.
E di solito lo faceva insieme a Takumi, peccato che quest’ultimo si stesse limitando a guardarlo da dietro.
Lui non era un codardo. Amava Soma e voleva fare con lui quel passo importante. Anche se sicuramente non sarebbe stata una passeggiata. Ma non voleva che la paura gli impedisse di vivere fino in fondo certe gioie.
Sì, glielo dico. E se cambio di nuovo idea? Ah, smettila Takumi, sii uomo.
Deglutì a vuoto, avvicinandosi a Soma, il quale sembrava molto concentrato a guardare il suo programma preferito.
“Soma… ti devo parlare”
“Non puoi aspettare un attimo? Forse c’è un ripescaggio fra i concorrenti nominati”
“Ah”, sospirò. “No, Soma. Non posso aspettare”
Gli bastò ascoltare il suo tono per capire che doveva trattarsi di qualcosa di serio. Quindi spense subito la tv.
“Ehi, dimmi. Che c’è?”.
Il biondo sospirò, sedendoglisi di fronte.
Perché mi preoccupo? Ne sarà estremamente felice, qual è il problema?
“Sai, Soma… quando mi hai detto di volere un figlio... sono rimasto sconvolto. Ma non perché non la pensassi come te… Anche prima di sposarci. Il fatto è che parlarne è sempre diverso da vivere le cose. Quando me lo hai chiesto è diventato reale, capisci?”.
Soma annuì.
“Capisco, Takumi. So che io e te siamo sulla stessa lunghezza d’onda, ma se per adesso non te la senti di fare questo passo non devi sentirti in colpa, voglio dire, c’è ancora tempo...”.
Avrebbe continuato a parlare, ma Takumi gli stava sorridendo in modo tanto dolce e incoraggiante da zittirlo.
“Io lo voglio fare. Perché ti amo. E voglio costruire qualcosa di bello con te. Anche se l’incertezza mi mette non poca ansia, anche se probabilmente sarà un salto nel buio, visto che né io né tu siamo pratici con certe cose. Ma se dovessi sempre dare retta alla paura e all’indecisione, non farei mai niente, giusto?”.
Soma batté le palpebre, muovendo piano le labbra.
“Quindi tu...”
“Sì, è esatto. Voglio anche io un figlio”.
Quell’affermazione fece spuntare un sorriso, fino a quel momento trattenuto, sulle sue labbra. Si sentiva così felice e raggiante da non avere la forza di trattenersi.
“TAKUMI, SONO COSI’ FELCE CHE TU ABBIA DETTO Sì!”, esclamò saltandogli addosso e atterrandolo sul divano. L’altro si lasciò andare ad un gemito.
E io che mi preoccupavo tanto, sono proprio un cretino.
Gli venne da ridere, mentre portava una mano tra i capelli di Soma.
“Sì, sono felice anche io...”.
Adesso sicuramente non sarebbero più tornati indietro. Avrebbero perseguito quella strada, insieme.



NDA
Ce l'abbiamo, ce l'abbiamo! Takumi si è deciso, ce l'abbiamo. Shinomiya invece no, ma non può essere tutto rosa e fiori, no?
Ringraziamo Isami che senza saperlo ha convinto suo fratello.
Io invece ringrazio come sempre Jill perché mi ha aiutata con il nome del ristorante di Kuga e Tsukasa.
Adoro troppo e basta.
And now? Sarà questo l'inizio di una lunga serie di eventi?
Spoiler, sì.

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Capitolo 3
*** Parlare troppo ***


3 - Parlare troppo



Era andata. Adesso di certo non si tornava più indietro. C’erano tante domande che Takumi si poneva, i dubbi non erano scomparsi, tuttavia ciò non aveva importanza. Aveva deciso e sarebbe arrivato fino in fondo alla questione. Lui e Soma avrebbero adottato un bambino. Non sarebbe stato facile, ma bisognava provare. Provare e riuscirci.

Nonostante i pensieri che aveva per la mente, era importante continuare a vivere la propria vita.
Anche quella mattina, lui e Soma si presentarono allo Yukihira. Come al solito Joichiro li accolse con gran calore e affetto, ma per quella volta Takumi lo avrebbe lasciato fare.
“Ragazzi, siete così raggianti, ma cos’è successo?”, domandò l’uomo. “Non vi vedevo così entusiasti dal giorno del vostro matrimonio”
“Niente di che, io e Takumi abbiamo deciso di allargare la famiglia”, rispose semplicemente suo figlio.
Il biondo fece una smorfia.
Ma cosa…?
“Ah, avete deciso di prendere un cane?”, chiese Joichiro.
Soma fece per rispondere, ma suo marito prontamente gli lanciò un calcio.
“Sì, esatto! I cani sono carini, perché se ne stanno buoni e non parlano”, si voltò a guardare il rosso. “Soma, ti dispiace seguirmi un momento? Dovrei parlarti!”.
Cosa gli era venuto in mente? Certe cose non potevano essere rivelate così, c’era bisogno di tatto. E poi era una cosa che dovevano annunciare insieme.
Takumi se lo trascinò nel deposito, richiudendo la porta.
“Takumi?”.
Quest’ultimo lo guardò ancora una volta, male, con le mani poggiate sui fianchi.
“Soma. Non puoi dire certe cose come se nulla fosse”
“Perché no? Penso che chi ci sta intorno abbia anche diritto di sapere, no?”
“Certo che sì! E lo diremo a tutti, solo non adesso. Non me la sento, preferisco fare le cose con calma. Ce la fai a mantenere il tuo entusiasmo esagerato?”.
Soma sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Insomma, non era poi così entusiasta.
“E va bene, va bene. Se è quello che vuoi”.
Takumi sospirò, decisamente più tranquillo.


A “Le petit Lion” le giornate erano sempre movimentate. Questo ovviamente era grazie a Kuga che, da bravo proprietario e cuoco, aveva sempre molto a cui pensare.
Tsukasa non era da meno, ma a differenza del marito tendeva ad essere molto più tranquillo e organizzato.
Era l’ora di punta ed entrambi si trovavano nel bel mezzo del lavoro pieno. Tsukasa stava supervisionando delle preparazioni, quando sentì qualcosa vibrare nella tasca.
In genere nessuno dei suoi amici lo chiamava a quell’orario, se accadeva era sicuramente per un’emergenza. Quindi non ci pensò due volte a rispondere.
“Pronto?”
“Tsukasa!”, la voce squillante di Rindou lo fece trasalire. “È terribile, terribile ti dico! Mi stanno cacciando fuori di casa!”
“Che… cosa? In che senso, scusa?”
“Il mio appartamento! Stanno portando via tutto e mi hanno buttata fuori! Tutto ciò solo perché ho ritardato a pagare di due settimane… o forse erano tre? ”
“Oh, Rindou. Non era la prima volta che ritardavi un pagamento”
“Non è colpa mia!”, piagnucolò. “Ti prego, Tsukasa. Devi venire qui subito, non so proprio come fare!”.
Un difetto di Eishi era sicuramente la troppa bontà d’animo. Non era in grado di rimanersene con le mani in mano davanti ad un suo amico in difficoltà. Ache se significava affrontare Kuga e la sua ira.
“Io starei lavorando in realtà! Oh… senti, non ti prometto niente, ma ci provo”
“Va bene, ti aspetto!”.
Chiuse la chiamata. Kuga sembrava indaffarato, forse non gli avrebbe fatto troppe domande.
“Amh, Terunori”, lo chiamò cautamente. “Ascolta, ho bisogno di allontanarmi un attimo”
“Per andare dove? Guarda che siamo pieni di lavoro!”, rispose lui, intendo a condire qualcosa nella padella.
“Lo so, ma è una vera urgenza. Giuro che dopo ti spiego, torno subito!”
“Aspetta, Tsukassan! Non ci posso credere, se n’è andato, ma come ha osato?!”.
In preda alla rabbia, fece cadere forse un po’ troppo peperoncino. Sicuramente quel giorno qualcuno avrebbe mangiato piccante.

Per il momento Tsukasa poteva dire di averla scampata, ma una volta tornato a casa sarebbero stati guai grossi.
Raggiunse l’appartamento in cui Rindou viveva, trovando la ragazza di fronte quest’ultimo con due valigie in mano e l’espressione sconsolata.
“Rindou!”, lo chiamò con il fiato corto.
“Oh, Tsukasa, sapevo che saresti venuto!”, esclamò lei sollevata. “Guarda cos’hanno fatto! Come faccio adesso?”
“Non ti devi preoccupare per quello, troverai un’altra sistemazione”
“Sì, ma ci vuole tempo per queste cose! E nel frattempo che faccio? Non posso andare in un hotel, non ho soldi! Tsukasa… senti...”.
No, ti prego, non dirlo. Non puoi chiedermelo. No, no, no.
“Lo so che ti chiedo molto, ma non è che potresti ospitarmi a casa tua solo per qualche giorno?”.
Non puoi, davvero.
Eishi deglutì a vuoto. Dirle di no lo avrebbe fatto sentire una persona orribile. Ma da un lato… aveva paura di Kuga, non poteva chiederglielo.
Però, forse, suo marito non era poi così senza cuore, non avrebbe potuto fare o dire niente davanti la realtà dei fatti.
Tirò un lungo sospiro.
“A patto che sia davvero per qualche giorno”, chiarì.
Rindou sorrise, abbracciandolo stretto.
“Promesso!”.
Tsukasa era ben consapevole di essersi cacciato in un guaio non indifferente.

“Tornerò presto”, gli aveva detto. Kuga non si era mai sentito tanto furioso come in quel momento. Come aveva potuto Tsukasa andarsene e lasciarlo nel bel mezzo di una giornata piena? Per andare a fare cosa, poi?
Ma poteva stare certo che gliene avrebbe detto quattro una volta arrivato a casa.
Terunori si stava avvicinando alla sua abitazione con il fumo che usciva dalle orecchie, mentre pensava ai più fantasiosi insulti da riservagli.
Infilò la chiave nella serratura, aprendo la porta. Immediatamente fu investito da un buon odore di fritto. Gli bastò fare qualche passo per scorgere Tsukasa tutto intento a cucinare.
“Emh, emh”, si schiarì la voce, a braccia conserte.
“Bentornato”, lo accolse. “Avrai fame, è quasi pronto”
“Tsukasa, dove sei stato?”, domandò senza giri di parole.
“Ah, ne parleremo dopo che avrai mangiato”.
Terunori assottigliò lo sguardo, non era per niente convinto.
“Dov’è Simba? Di solito mi fa sempre le feste quando torno. Non dirmi che gli hai fatto qualcosa!”
Tsukasa era da un passo dal rispondere. Nella sua testa aveva organizzato un discorso perfetto, peccato il non riuscire a spiaccicare una parola.
“Oh, guarda chi c’è, ciao Kuga!”.
Rindou era apparsa dietro i padroni di casa con il piccolo Simba in braccio, visuale che era bastata a Terunori per andare fuori di testa.
“Ah, Rindou… che cosa ci fa lei qui?”
“L’hanno buttata fuori di casa perché non ha pagato l’affitto. Così mi ha chiesto ospitalità per qualche giorno”, spiegò brevemente Tsukasa.
“Cosa? E non potevi prima parlarne con me?!”
“Avrei voluto. Però beh… te ne sto parlando adesso...”.
Tsukasa è veramente incredibile. È un maestro nel farmi incavolare.
“Ah, grazie per la considerazione, eh! Ti ricordo che siamo sposati, le decisioni vanno prese insieme, brutto idiota!”.
Rindou allora mise giù Simba, tirando poi su con il naso.
“Oh, non vorrei che litigaste per colpa mia. Se creo problemi, posso anche andarmene. Dopotutto, posso sempre dormire sotto un ponte o in un angolo della strada, nella speranza che i barboni non mi caccino via...”, sussurrò con tono strascicato.
Kuga alzò gli occhi al cielo.
Ma certo, fa leva sui miei sensi di colpa, che infame! Io non sono così cattivo, ma che diamine!
“Oh”, alzò gli occhi al cielo. “Non c’è bisogno che tu te ne vada. Puoi rimanere, ma a patto che sia davvero per qualche...”
“Dolce piccolo Kuga!”, la ragazza lo abbracciò. “Grazie davvero, giuro che sarà come se non ci fossi. Vedrai, mi troverò un lavoro ed una sistemazione in men che non si dica!”.
Mi auguro che sia così, perché altrimenti è la volta buona che chiedo il divorzio.
“Su, andiamo Simba!”, gridò a quel punto la ragazza. Il cucciolo le saltò immediatamente in braccio, sotto lo sguardo allibito del suo padrone.
Cane traditore.
Tsukasa sforzò un sorriso, forse per quella volta l’aveva scampata.
“Sono contento che alla fine tu abbia accettato”.
Ma in seguito suo marito gli lanciò uno sguardo talmente autoesplicativo da zittirlo.
“Il discorso non finisce qui”, fece dandogli una sonora pacca su una spalla.
Eishi deglutì a vuoto. Sì, probabilmente avrebbe dovuto aspettarselo…
“Comunque sia, vedi di sbrigarti. Ti ricordo che stasera c’è la cena a casa di Isshiki!”.


Ad accogliere Soma e Takumi fu il padrone di casa. Isshiki si presentò con un indumento che ricordò loro i tempi della scuola: il suo adorato grembiule rosa.
“Benvenuti nella mia umile dimora, gioventù!”, esclamò. “Vi prego, entrate, stavamo aspettando solo voi!”
“Isshiki, sei un figurino, davvero”, rise Soma.
Nene gli passò accanto con un vassoio tra le mani, facendo una smorfia.
“Satoshi Isshiki, vai immediatamente a vestirti!”
“Giammai riuscirai a frenarmi!”, recitò . “Forse potrei presentarmi al matrimonio così”
“Attento o Nene potrebbe lasciarti davvero a quel punto!”, Soma gli diede una pacca su una spalla.
Seduti in soggiorno c’erano Ryou e Akira, Erina e Hisako, Megumi e Shinomiya e ovviamente Yuki e Isami con il piccolo Satoru, scatenato come sempre.
“Ciao, nii-san”, salutò il gemello. “Come va?”
“Ah, tutto bene”, rispose vago, rivolgendosi poi al bambino. “Ciao, Satoru!”.
Quest’ultimo gli rivolse un sorriso, rivolgendo in seguito tutte le attenzione a Soma.
“Zio, in braccio, in braccio!”, esclamò.
“Subito, piccoletto!”, rispose lui allargando le braccia.
Una scena che in genere avrebbe lasciato Takumi indifferente, quella volta si rivelò “fatale”, in grado di mandarlo in brodo di giuggiole. Gli veniva molto difficile non costruire castelli in aria e immaginare che al posto di Satoru ci fosse il suo futuro figlio.
Dopodiché, Kuga e Tsukasa comparvero dalla cucina. Simba si dimenava in braccio a quest’ultimo, poiché voleva essere messo giù.
“Takumicchi!”, Terunori abbracciò il biondo. “Sono così contento di vederti. Gli amici sono un balsamo lenitivo per la mia rabbia”
“Peccato che tu sia sempre arrabbiato. E lei…?”, domandò indicando Rindou.
“Io sono la loro nuova ospite!”
“Ospite temporanea!”, chiarì lui. “Le idee splendide di mio marito, che vuoi farci!”.
Takumi tentò di trattenere una risata, seppur inutilmente.
“Su, ragazzi!”, li incitò Nene. “È ora di cena, sedetevi pure!”.

Qualche istante dopo, Yuki stava cercando di imboccare Satoru, il quale non ne voleva proprio sapere di stare fermo. Nel mentre, aveva preso a parlare con gli altri di un argomento che la entusiasmava non poco: ovvero l’imminente matrimonio di Isshiki e Nene.
“Su, Nenenuccia! Dammi un indizio sul tuo abito, te ne prego! Voglio sapere, sono troppo curiosa!”
“E io ti ho detto che lo vedrai il giorno del matrimonio, non voglio anticipare nulla”
“Sono certo che sarai bellissima, Nenenuccia”, Isshiki si aggrappò a lei. “Spero solo di non piangere”
“Quant’è sensibile!”, fece Yuki con fare sognante. “Poi ovviamente farete un figlio, vero?”.
A quelle parole Nene era arrossita vistosamente. Chissà come sarebbe stata nei panni di madre? Doveva ammettere di averci pensato spesso.
Inoltre, l’argomento aveva attirato anche le attenzione di Soma e Takumi. Quest’ultimo sperò tanto che suo marito non si facesse scappare qualcosa di troppo.
“Certo che lo faranno! Avete già in mente qualche nome?”, chiese il rosso.
“Su, su, c’è ancora tempo per queste cose...”, Nene abbassò lo sguardo, sperando di sviare il discorso, ma ovviamente Isshiki era di tutt’altro parere.
“Sinceramente non lo so, si accettano suggerimenti”
“Che ne dici di Ryota per un maschio? È un nome forte”
“Mi piace! A te no, Nenenuccia?”
“Io… veramente non lo so...”
“Che cosa carina, è arrossita!”, rise Yuki.
“Smettila!”.
Kuga finalmente aveva smesso di mal guardare Tsukasa. Sussultò, poiché Satoru era scivolato sotto il tavolo per giocare con Simba. Fece per rivolgere qualche parole a Takumi, ma la sua espressione strana lo deviò.
“Takumicchi? Ma stai bene?”.
Si vede così tanto che ho dei pensieri per la testa?
“Sì, assolutamente...”, rispose con un sorriso forzato. Poi guardò Soma. Quest’ultimo stava chiaramente fremendo dal dare la notizia a tutti. E quegli argomenti non aiutavano di certo.
“Su, Nenenuccia. Mi serve una compagnia per Satoru”, fece Yuki,
“Se vuoi una compagnia per lui, perché non fai un altro figlio?”
“Perché è troppo stressante”
“Oh, certo, effettivamente è questo il modo in cui si ragiona, vero?”
“Uffa”, sospirò. “Allora magari posso contare su Megumi…?”.
Quest’ultima fino a quel momento si era premurata di tacere. Non era esattamente di buon umore a causa della sua conversazione con Shinomiya circa l’avere o no figli.
“Mi piacerebbe accontentarti, purtroppo non dipende solo da me...”
“Oh, andiamo!”, fece Isshiki. “Su, Shinomiya. La notte non dormite soltanto, fate anche altro”
“Vuoi farti gli affaracci tuoi?”, si lamentò l’altro in imbarazzo.
Takumi sgranò gli occhi nel vedere Soma fremere. Sembrava star perdendo totalmente il controllo.
Trattieniti. Oh, andiamo! Veramente è così difficile?!
Il rosso batté una mano sul tavolo, attirando l’attenzione dei suoi amici.
“Ehi! Amh… sapete che io e Takumi abbiamo deciso di adottare?”, domandò con il sorriso più naturale che potesse fare.
Non posso crederci, lo hai fatto. Ti uccido. Eccome se ti uccido.
Calò un silenzio che effettivamente nessuno dei due si era aspettato. C’erano sgomento e sorpresa negli occhi dei loro compagni di avventura.
“Eh… cosa?”, sussurrò Isami. “Scherzi o dici per davvero?”
“Dico per davvero, ovviamente! Già, è così. Vogliamo un figlio… quindi...”.
Il piccolo Satoru a quel punto sbucò da sotto il tavolo.
“Chi fa un figlio?”, domandò.
“Amh… Zio Takumi e zio Soma”, spiegò Yuki. Lui allora chinò la testa di lato, indicando i due.
“Ma voi siete due maschi. Come fate?”
“Già, Soma. Come facciamo?”, Takumi gli rivolse un’occhiata omicida. “Ti avevo detto di aspettare, brutto...”
“Beh, è una notizia fantastica no?”, fece Isshiki. “Congratulazioni a tutti e due, di certo non ce lo aspettavamo!”.
Megumi, molto composta, si alzò dalla sedia, con lo sguardo serio.
“Sono davvero contenta per voi. Almeno potrete realizzare il vostro desiderio. Contrariamente a me. Scusate un attimo”.
La ragazza sembrava ad un passo dall’esplodere. Quando si fu allontanata, gli sguardi si posarono su Shinomiya.
“Che c’è?”
“Mi sa che qui qualcuno l’ha combinata grossa”, commentò Tsukasa.
“Tu chiudi la bocca. Se sento un altro commento sulla mia vita sessuale o affini, giuro che me ne vado”.
Yuki pensò bene di alleggerire l’atmosfera.
“Su, su! Non è il caso di innervosirsi. Anzi, perché non facciamo un brindisi? Queste sono notizie belle dopotutto”
“Sì, sono d’accordo”, proclamò Isami, con in mano un bicchiere di vino mezzo vuoto. “Takumi… Soma… siamo tutti molto felici per voi. E speriamo sinceramente che l’adozione vada a buon fine”.
“Grazie, grazie a tutti! Sapevo che ne sareste stati contenti!”, gongolò Soma mentre suo marito sospirava avvilito e tentava di non dare retta agli istinti omicidi che gli attraversavano la mente.
Kuga invece era rimasto totalmente senza parole, il che aveva dell’incredibile. Quella era una notizia che lo aveva sorpreso, ma non capiva neanche il perché. Dopotutto, se provava ad immaginarseli, li vedeva proprio bene Soma e Takumi nei panni dei genitori.
Non appena la cena finì, Takumi si alzò dal tavolo e si avvicinò alla finestra. Forse non si sentiva più tanto arrabbiato con Soma, ma questo non toglieva il fatto che avrebbe fatto bene a tacere.
Accidenti a lui e alla sua lingua biforcuta. Alle volte è peggio di un bambino.
Impegnato per com’era a decantare le lodi di suo marito, non si accorse di come Kuga gli fosse arrivato alle spalle per abbracciarlo.
“Takumicchi!”, esclamò. “Non ti ho ancora fatto le mie personali congratulazioni! E bravo, siete stati davvero coraggiosi!”
“Va bene, ti ringrazio, ma evita di farmi soffocare”, ansimò. “Avrei preferito dirlo in un secondo momento, ma è andata così, pazienza”
“Su, su”, Kuga era stranamente allegro, sembrava quasi forzato. “Non vedo proprio l’ora di vederti alle prese con un bambino. Chissà come deve essere…?”.
Takumi, che credeva di aver capito cosa gli passasse per la mente, decise di mettergli la pulce nell’orecchio.
“Non è che per caso ci stai pensando anche tu?”.
Terunori sgranò gli occhi. E poi prese a ridere.
“Io? No, non mi ci vedo. Insomma, dai… pensaci… cioè… no… eh-eh...”.
Il biondo n realtà ci aveva pensato, e non sarebbe stata così assurda come cosa, ma ovviamente Kuga era bravo a rendere anche la più semplice delle cose incredibilmente difficilie

Ryou e Akira stavano seduto sul divano ad ascoltare le conversazioni allegre e carine dei loro amici. Il primo aveva come sempre un’espressione annoiata e guardava distrattamente lo schermo del telefono, il secondo invece sembrava di gran lunga più interessato.
“Soma e Takumi sono carini. È una bella cosa il fatto di volersi costruire una famiglia, non credi?”. Il corvino fece spallucce.
“Sì… credo. Non lo so, io di queste cose non me ne intendo”
“Al posto loro non lo faresti?”.
Solo a quel punto Ryou sollevò lo sguardo.
“Oh, non farti venire strane idee perché non intendo perdere il mio tempo dietro certe cose. E poi i bambini hanno paura di me a causa della mi aura poco rassicurante”
“Sei un rompiscatole, la mia era solo una domanda”, sbottò a braccia conserte. Non era certo sorpreso da quella reazione, ma Ryou era davvero troppo prevenuto. E se gli fosse venuta voglia di crearsi una famiglia? Allora non avrebbe potuto soltanto perché quell’altro non era bravo con certe cose? Magari più avanti avrebbe ripreso il discorso… sperando che lo ascoltasse.

“Zio Takumiii!”, cantilenò il bambino afferrandolo per mano. “Allora quando arriva il nuovo bambino?”
“Q-quando? Ci vuole tempo per queste cose”
“Ma io voglio qualcuno con cui giocare. Però non deve essere una femmina, perché a me le femmine non piacciono proprio”
“D’accordo, lo terrò in considerazione”, sospirò avvilito, nonostante quella situazione lo facesse ridere. Soma, vedendo suo marito un po’ più rilassato, colse l’occasione per avvicinarsi.
“Amh… rischio la morte se mi avvicino?”
“Può darsi”, lo guardò. “No, non è vero, sarebbe inutile ammazzarti. Me lo dovevo aspettare, non sai proprio controllarti”
“Mi dispiace, ma sai, l’argomento era quello e allora io non ce l’ho fatta”
“Lo so, lo so. Sta tranquillo, non ce l’ho con te, ma tu ignora quello che ti dico un’altra volta e giuro che ti butto fuori di casa”.
Soma rise, portandosi una mano tra i capelli con fare imbarazzato. Almeno gli era andata meglio di quanto avesse sperato

Quando arrivò l’ora di tornare a cassa, Tsukasa sperò con tutto se stesso che Kuga si fosse dimenticato di quello che aveva combinato il giorno stesso, ma difficilmente Terunori si dimenticava di qualcosa. Quest’ultimo tuttavia sembrava abbastanza pensieroso. Eishi temeva che quello fosse solo la quiete prima della tempesta.
Arrivarono a casa, e con coraggio tentò di prendere il discorso.
“Senti, Kuga, per quanto riguarda oggi… mi dispiace, davvero! Ti prego, non avercela con me!”.
Fu a quel punto che l’altro lo guardò in un modo strano.
“Non ha importanza”, sussurrò. “Immagino che possa capitare”.
Cosa sta accadendo? Kuga che me la da vinta tanto facilmente? Questo non è possibile.
“D-davvero?”
“Già. Adesso scusa, sono molto stanco”. Dopodiché richiamò a sé Simba, mentre Tsukasa lo guardava con fare sconvolto.
Rindou, con addosso un pigiama rosa e lo spazzolino fra le mani, lo raggiunse.
“Ma che gli prende? Non mi pare si sia arrabbiato”.
Lui non rispose. Ancora non immaginava quale pensiero si fosse intrufolato nella testa del suo compagno di vita...


NDA
Spero vivamente che il capitolo sia venuto fuori bene, visto che ho dovuto riscriverlo DA CAPO.
Ma a parte ciò... siccoma Soma ama il gossip non è riuscito a trattenersi. Di conseguenza c'è Megumi depressa, Ryou indignato e Kuga che forse forse ci sta facendo un pensierino. Almeno Tsukasa si è salvato da morte certa, ma non sa ancora cosa passa nella testa di suo marito (e veramente neanche Kuga se ne rende ancora conto, ma dettagli).

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Capitolo 4
*** C'è qualcosa che non va ***


4 - C'è qualcosa che non va


Probabilmente, Takumi avrebbe dovuto immaginare una reazione esageratamente entusiasta da parte di Joichiro a quella notizia. Allora perché se ne sorprendeva tanto?

“Non ci posso credere!”, esclamò infatti l’uomo stritolando il biondo in un abbraccio soffocante. “Diventerò nonno, non è bellissimo?”
“Sì, è davvero una cosa fantastica, ma sarebbe ancora più fantastico se mi lasciassi respirare!”, esclamò tentando di staccarsi dalla sua presa, mentre Soma li guardava e a stento nascondeva le risate.
“Ma guarda, siete proprio carini”, commentò. Suo marito sbuffò, sistemandosi la divisa.
“A proposito dell’adozione. Io di carte non ne capisco niente”
“Ah, non preoccuparti per quello. Mi sono informato, ci penso io”, lo rassicurò Soma ammiccando. Immediatamente dopo, Joichiro riprese con il suo sproloquio.
“Già me lo immagino un ragazzino che corre qui in giro. Potrei insegnargli tutto quello che so! Ma che idea...”
“Oh, no. Tuo padre si sta già facendo progetti”
“Beh, lo capisco, perché anche per me è la stessa cosa, solo che io non lo dico”
“Clienti!”, esclamò ad un tratto Joichiro, con più brio del solito. “Prego, benvenuti allo Yukihira! Ma la volete sapere una notizia meravigliosa? Diventerò nonno!”.
Takumi si portò una mano sul viso.
“Che qualcuno fermi il suo entusiasmo, vi prego!”.

Tsukasa aveva deciso di approfittare del loro giorno libero per tentare di tirare su il morale a Kuga. Quest’ultimo infatti era di un umore stranamente altalenante, passava dall’essere allegro all’essere pensieroso. Quindi, lo aveva portato a fare una cosa che sicuramente lo avrebbe tirato su: lo shopping.
E con shopping, la maggior parte delle volta, non si intendeva per lui, bensì per Simba, che vantava un guardaroba davvero vasto fra vestiti, cappotti e scarpe mai utilizzate,
L’ultima trovata era un completo bianco e nero, con tanto di maglietta e short che Kuga aveva di forza infilato al cucciolo, impresa non facile con tutto quel pelo. Ma il risultato lo aveva lasciato così entusiasta che non aveva resistito dallo scattargli una cosa come dieci o venti foto.
“Aw, sei così carino, Simba!”, esclamò. “Su, sta fermo e guarda me, ok?”.
Peccato che avesse deciso di fare ciò proprio al centro della piazza dove la gente, passando, lo guardava male.
Tsukasa era stato costretto ad allontanarsi leggermente per il troppo imbarazzo, peccato che la gente mal guardasse anche lui.
“Quello non è mio marito, io porto la fede solo per non far avvicinare i casi umani a me, ma a quanto pare non ha funzionato!”, esclamò esasperato.
“Suvvia, Tsukassan, smettila di attirare l’attenzione!”, sbuffò Kuga.
“Io attiro l’attenzione? Ma davvero?!”
“Sei noioso”, sospirò Terunori afferrando il guinzaglio e trascinandosi dietro Simba. “Comunque sia, il nostro giro di shopping non è finito”
“Tutto quello che vuoi, l’importante è che ci spostiamo da qui!”.
Solo lui faceva certe cose per Kuga… ma per vederlo stare meglio avrebbe fatto questo e altro.
In genere, c’erano dei negozi specifici che attiravano l’attenzione di suo marito, ovvero quelli che vendevano utensili per la cucina particolari o quelli che vendevano vestiario per animali. Quella volta però ad attirare le sue attenzioni fu una cosa diversa.
Kuga si fermò davanti la vetrina di un negozio che vendeva vestiti per bambini, per neonati precisamente. Cosa che in genere non gli sarebbe interessata più di tanto, ma non riuscì proprio a fare a meno di guardare. A lui i bambini non erano mai piaciuti particolarmente, anzi, era certo che quei piccoli mostriciattoli lo odiassero, ma da quando Takumi e Soma avevano fatto il loro annuncio, non riusciva a non immaginarsi nei panni di genitore.
Tsukasa se ne accorse. Adesso era certo, qualcosa non andava.
“Kuga?”
“Eh? Ah, scusa, stavo solo guardando. I vestitini per bambini sono carini, non trovi?”
“Sì, è vero. Tutto ciò ha per caso a che vedere con la questione di Soma e Takumi?”.
Lui sorrise nervosamente.
“Sì, beh, voglio fare loro un regalo, dopotutto è doveroso, no?”, deviò facilmente il discorso. “Possiamo entrare?”
“Eh… beh, non vedo perché no...”.
Immediatamente Kuga lo afferrò per un polso, trascinandolo dentro quel negozio dai colori pastello. Kuga dovette ammettere che quella roba fosse carina esattamente come gli accessori per cani. Se non di più. Una cosa che subito attirò la sua attenzione fu un body a pois bianco e nero con tanto di tutù in tulle rosa abbinato.
“Oh, mio Dio, lo adoro!”, esclamò. “Tsukassan, prendiamolo!”
“Ma non sappiamo neanche se adotteranno un maschio o una femmina. E poi non ti sembra un po’ troppo?”
“Senti, una bambina deve avere stile, non ti pare? Guarda, lì ce n’è pure uno con il teschio!”.
Tsukasa conosceva Kuga meglio di chiunque altro, eppure mai si sarebbe aspettato di vederlo così entusiasta dentro un negozio di vestiti per bambini. Che cosa gli era successo, c’era forse qualcosa che non sapeva?
Rimasero lì dentro per mezz’ora buona, senza in realtà comprare nulla.
“Oh, c’erano delle cose così carine”, sbuffò Kuga. “Onestamente, non si può scegliere, si dovrebbe comprare tutto”
“Sì… hai ragione”, Tsukasa si schiarì la voce. “Ma va tutto bene?”
“Eh? Certo che va tutto bene, perché me lo chiedi?”
“Pensavo che di solito tutto ciò che riguarda i bambini ti fa abbastanza ribrezzo. Invece adesso sembravi così a tuo agio”.
Terunori fece spallucce.
“Beh, in genere sono i bambini degli altri a farmi ribrezzo. Ma con un figlio mio sarebbe diverso”
“Un figlio tuo? Cosa c’entra adesso?”.
L’altro si morse la lingua. Aveva pronunciato quelle parole senza neanche rendersene conto, accidenti a lui!
“Nulla, era solo per dire”
“Kuga?”
“Senti, ho fame, prendiamo qualcosa, ok?”.
Ed ecco che si chiudeva a riccio. Forse Tsukasa stava iniziando a capire.


Ryou si massaggiò le tempie, preparandosi psicologicamente a quello che sarebbe successo di lì a poco.
“Io non ci posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere”
“Perché fai così? Non sei felice di rivedere Jun?”, domandò Akira.
“Di rivedere lei sì. Di rivedere quel piccolo figlio del diavolo non tanto”
“Smettila di farne una tragedia. Hai paura di un bambino?”
“Assolutamente no. Ma quella creatura mi odia. Lo so per certo”.
Hayama lo mandò silenziosamente a quel paese.
Ryou tendeva sempre ad esagerare… soprattutto in quei casi, ma lui lo avrebbe bellamente ignorato. Jun si presentò qualche minuto più tardi a casa loro. Nonostante avesse superato i quaranta, rimaneva la donna minuta e timida di sempre. Di diverso c’era una piccola mano stretta alla sua, un bambino dalle guance rosse e tonde e i capelli castano scuro, perennemente scombinati.
“Akira, Ryou! Sono così felice di vedervi!”, esclamò lei saltando addosso al primo e abbracciandolo.
“Ehi, Jun! Come stai?”, poi guardò il bambino. “Ciao, Yukio. Ryou, vieni a salutare!”.
Il corvino borbottò qualcosa di incomprensibile. Di rivedere lei era anche felice, ma quel bambino di tre anni era una peste con una lingua tagliente.
“Ciao, Jun”, disse annoiato. “Ciao, ragazzino”.
Yukio sorrise dispettoso. Sembrava che fra due ci fosse una sorta di rivalità insita che nessuno avrebbe saputo spiegarsi.
Poco dopo il bambino si sistemò sul tappeto, prendendo a giocare con il suo inseparabile compagno di mille avventure: un orsacchiotto di pezza. Nel mentre, sua madre parlava con gli altri due.
“Come stanno gli altri? È tanto che non li vedo, ma tra Yukio e il lavoro non ho tempo neanche per me stessa”
“Sta tranquilla”, la rassicurò Akira. “Piuttosto… le cose come vanno?”
“Insomma… È un periodo un po’ turbolento. Più Yukio cresce, più diventa difficile stargli dietro”, sospirò. “Immagino sia la conseguenza del crescere senza un padre”.
Hayama allora strinse i pugni. Yukio non era di certo spuntato dal nulla. Jun era stata fidanzata una volta. Con una persona che, appena saputa, la gravidanza, se l’era data a gambe, lasciandola da sola. Lei ovviamente aveva portato avanti la gravidanza e si era presa cura del bambino a prescindere da tutto. Akira la ammirava, ma sapeva quanto fosse difficile per lei.
“Non pensarci, tu fai del tuo meglio. E poi lui mi sembra felice”.
Ryou lanciò di sottecchi un’occhiata al bambino, il quale gli si avvicinò con l’orsacchiotto stretto fra le braccia.
“Cosa vuoi da me, mostriciattolo?”
“Io non sono mostriciattolo. Tu sei stupido”
“Me ne farò una ragione”, rispose annoiato. Yukio allora gonfiò le guance. Ottenere le attenzioni di quel tipo era davvero un’impresa, ma non si sarebbe arreso così facilmente. Sorrise di nuovo, arrampicandosi sul divano.
“Cosa… Che fai? Fermo!”. Yukio ovviamente lo ignorò, compiendo un lungo salto dal braccio al pavimento.
“Volo!”, esclamò atterrando con un sonoro tonfo.
La pace e la tranquillità sono belle. O per meglio dire, lo erano.
“E piantala di far casino”
“Noioso! Mamma!”, si lamentò il piccolo.
“Su, Yukio, fai il bravo”, Jun si rivolse poi ad Akira. “Certo che ci sa fare con i bambini”
“… Non me ne parlare”.

Quando quella mattina Shinomiya si svegliò, si sorprese di non trovare Megumi accanto a sé come sempre, in genere lui era sempre il primo a svegliarsi. Ancora assonnato e poco lucido, decise di alzarsi. Trovò la ragazza già vestita e pettinata, pronta per andare a lavoro.
“Megumi, sei già sveglia?”, domandò sistemandosi gli occhiali. “Non è un po’ presto?”
“Mi porterò avanti con il lavoro”, rispose sbrigativa. “Inoltre, più tardi mi vedo con le ragazze, quindi non aspettarmi”.
Lui alzò gli occhi al cielo. Sua moglie era sempre dolce e premurosa, ma quando si arrabbiava era un grande problema. La afferrò quindi per un polso.
“Senti, lo so che ce l’hai con me, ma non puoi continuare a tenermi il broncio per sempre”
“Sì che posso, invece”
“Andiamo. Prova a capire il mio punto di vista”
“L’ho capito. E tu invece? Tu perché non provi a capire il mio?”.
In verità Shinomiya ci aveva anche provato a mettersi nei suoi panni, ma si era dimostrata essere una cosa più difficile di quel che credeva. Megumi si staccò dalla sua presa, sistemandosi i capelli.
“A più tardi, Kojiro”, disse infine. Lui sospirò avvilito. Aveva la sensazione che quella questione sarebbe finita male.
La giornata di lavoro fu abbastanza piena e movimentata. In verità, Megumi non vedeva l’ora di staccare e vedersi con le sue amiche. Erina, Hisako, Nene e Yuki la aspettavano a casa delle prime due.
La prima cosa che fece, una volta arrivata fu riempire di baci il piccolo Satoru, che poi si premurò di prendere in braccio, mentre parlava con le altre quattro.
“Nenenuccia, come ti senti? Oramai manca meno di un mese!”, esclamò Yuki. “Tra l’altro, dobbiamo organizzare un addio al nubilato”
“No! Ti prego, non ce n’è bisogno, davvero!”
“Ha ragione Yuki, dobbiamo assolutamente organizzare qualcosa. Lo abbiamo fatto per lei, lo abbiamo fatto per Megumi, tu non puoi proprio mancare”, asserì Erina. “Dobbiamo solo pensare a qualcosa. Hai qualche idea, Megumi? Megumi?”
“Eh? Ah, non saprei...”, rispose distrattamente.
Yuki allora sghignazzò.
“Problemi con il maritino?”
“Sempre delicata”, sospirò Nene. “Ce ne vuoi parlare? Perché credo di aver capito quale sia il problema. Tu vuoi un figlio e lui no”.
Lei abbassò lo sguardo.
“Sì, hai proprio indovinato. Questo mi rende un’egoista?”
“Accidenti, no!”, fece Yuki. “È una cosa del tutto naturale. Un desiderio che quando arriva… arriva, non c’è niente da fare. Sai cosa penso? Che Shinomiya abbia paura! Tutti gli uomini hanno paura, ma poi passa...”
“Ma se non vuole neanche provarci...”
“Allora tu ingannalo...”, proferì Nene come se nulla fosse, guadagnandosi gli sguardi sconvolti delle sue amiche.
“Ingannarlo?”
“Già. Che contraccettivo usate?”
“Io… prendo la pillola”
“Benissimo. Allora smetti di prenderla. Va da lui, seducilo e fatti ingravidare senza che lui ne sappia niente”.
Megumi era semplicemente sconvolta. Non si aspettava un consiglio del genere da parte di Nene.
“Ma brava!”, fece Yuki divertita. “Sei davvero intraprendente, mi hai sorpresa!”
“Ma… ma non sarà sbagliato?”
“È molto sbagliato. Ma solo così potrai sbloccare la situazione. Certe cose fanno più paura quando ci pensi che quando le vivi. Vedi tu cosa è meglio”.
“Questa conversazione sta diventando surreale”, costatò Erina.
Effettivamente il consiglio di Nene era bizzarro. Megumi non aveva mai fatto una cosa del genere. Ma era forse un “inganno” necessario?
Senza che se ne rendesse conto, quell’idea prese a farsi largo nella sua mente.


Era stata una giornata di shopping senza dubbio stancante, ma almeno Kuga non aveva comprato nulla. E Tsukasa era felice del fatto che il suo portafogli fosse rimasto intatto. Quando la coppia tornò a casa, trovò una sgradita sorpresa: Rindou si era chiusa in camera sua – che era poi la camera degli ospiti che stava occupando – con la musica a tutto volume. Terunori ovviamente aveva fatto una smorfia e non aveva mancato di far sentire il suo dissenso.
“Non doveva essere qualche giorno?! Rindou si è messa a cercare un lavoro?”
“Perché lo chiedi a me?”
“Perché è stata una tua idea quella di ospitarla, quindi adesso prenditi le responsabilità delle tue azioni”, si lamentò. “Che diamine, se proprio dobbiamo prenderci cura di un’altra persona, allora facciamo un figlio”.
Qualche secondo dopo Kuga si rese conto di cosa aveva detto e immediatamente si portò una mano davanti la bocca. Tsukasa sembrò non poco sorpreso, probabilmente perché suo marito doveva essergli sembrato molto serio.
“Cioè, volevo dire… dimentica quello che ho detto”, disse nervoso.
A quel punto nella testa di Eishi cominciò ad essere tutto più chiaro. Capì il perché dei suoi atteggiamenti strani e della sua reazione del giorno stesso di fronte al negozio di vestiti per bambini. Ma certo, era più che logico.
A braccia conserte, lo osservò.
“Kuga… tu vuoi un figlio?”.
Il diretto interessato non trovò il coraggio di guardarlo negli occhi. Sentirsi domandare certe cose era davvero strano, le rendeva reali, non solo un pensiero nella sua testa.
“Io… io… non lo so, credo di sì! Sì, d’accordo? Non è colpa mia. Quando Soma e Takumi hanno dato la notizia che avrebbero adottato, io ho cominciato a pensare che sarebbe stato bello, anche per noi, provare a costruirci una famiglia. Però non è possibile, io non sono pronto a una responsabilità del genere, sono immaturo. Tsukassan, per favore, dì qualcosa, mi stai facendo innervosire!”.
Eishi non parlava. La sua espressione era lentamente cambiata, passando dall’essere serio all’essere turbato nell’anima. Ansioso per com’era, gli erano bastate quelle semplici parole per andare in tilt. Lui a quelle cose non ci aveva mai pensato, e non perché non le volesse. Semplicemente non pensava che fosse nei progetti di Kuga, ma a quanto pare si era sbagliato.
“Io… non sono certo di sentirmi molto bene...”, mormorò.
“Oh, perfetto, ora ci mancava pure questa. Guarda che ti ho semplicemente detto quello che pensavo, potresti evitare di andare in panico per un nonnulla! “
“Mi dispiace, è solo che io non me lo aspettavo...”
“Ah”, Kuga alzò gli occhi al cielo. “È tutto a posto, lascia stare. Tanto fra un po’ mi passerà”.
Ma in verità, Terunori sapeva che non gli sarebbe passata. E questo lo sapeva anche Tsukasa. L’idea di avere un figlio lo entusiasmava e da un lato gli metteva addosso un’ansia terribile. Questa non era una sorpresa, ben si conosceva e ben sapeva che, prima di prendere atto di un qualcosa in particolare, doveva meditare e combattere contro il suo essere esageratamente apprensivo.
Rindou se ne uscì da camera sua tranquilla, come se nulla fosse.
“Oh, ma ciao. Avete fatto la spesa? Avete comprato i biscotti?”.
Kuga le riservò uno sguardo che fece ben capire a Tsukasa che forse sarebbe stato meglio allontanarsi prima che la guerra scoppiasse.

Alla fine Megumi aveva ceduto e aveva dato retta al consiglio di Nene. Effettivamente era da un po’ che lei e Shinomiya non si lasciavano andare a momenti d’intimità, viste soprattutto le ultime discussioni.
Quella sera riuscì a tornare prima da lavoro, e la prima cosa che fece una volta arrivata a casa fu infilarsi in doccia e profumarsi per intero. Dopodiché indossò un intimo audace che in genere non era nelle sue corde, ma Yuki glielo aveva regalato per il suo addio al nubilato, quindi tanto valeva usarlo. Il pizzo fasciava perfettamente le sue forme, e i capelli, che aveva deciso di lasciare sciolti, le ricadevano sulle spalle.
Shinomiya sarebbe tornato di lì a poco, quindi decise di aspettarlo a letto. Prese un libro per passare il tempo, e iniziò a leggerlo per smorzare l’attesa.
Suo marito non poteva immaginare a quale piano Megumi avesse pensato per farsi ingravidare praticamente a tradimento.
Di certo non poteva aspettarsi di trovarla a letto lì in quelle particolari vesti.
“Megumi, stai dorm…?”, aprì la porta e immediatamente perse la capacità di parlare.
La ragazza sollevò gli occhi dal libro, donandogli uno sguardo falsamente innocente.
“Oh. Kojiro, sei tornato. Scusa, è che mi sono messa comoda a leggere e non mi sono resa conto del tempo che passava”
“Eh? No, sta tranquilla...”, si schiarì la voce. “Di certo quello che vedo non mi dispiace”.
Lei allora sorrise soddisfatta, lasciò perdere il libro e si mise in ginocchio sul materasso, giocando con una delle ciocche dei suoi capelli.
“Se è per questo allora potresti venire a farmi un po’ di compagnia”.
Megumi era abile a passare da “ragazza dolce e pura” a “abile seduttrice”. Shinomiya lo sapeva e adorava questa sua caratteristica. Quindi si fece avanti, lo sguardo carico di lussuria. Si avvicinò e la attirò a sé con ardore, rubandole un bacio pieno di passione.
La missione di Megumi era iniziata.

“Soma? Soma, ma dove sei?”.
Takumi uscì dal bagno con i capelli ancora umidi. Non sentiva il televisore, quindi era chiaro che suo marito avesse rinunciato a guardare il suo programma preferito. E ciò era molto, molto strano. Decise quindi di raggiungere la cucina. Lì trovo Soma, tutto intento a leggere scartoffie, documenti e fogli volanti. Sembrava seriamente concentrato.
“Soma? Ma che stai facendo?”
“Eh? Oh, nulla. Sto solo sistemando i documenti che ci vogliono per l’adozione”
“Oh”, disse sorpreso. “Di già?”
“Beh, sì…. Lo sai, no? Queste cose richiedono sempre un po’ di tempo, quindi voglio portarmi avanti. In realtà io non ne capisco niente, però mi sono informato e sto recuperando tutto quello che ci serve”.
Takumi non poté fare a meno di sorridere.
Stranamente lo vedo già più maturo. Era incredibile come certe cose potessero cambiarti. E sarebbero cambiati ancora.
“D’accordo, ma non esagerare. Domani Isami e Yuki torneranno in Italia, dobbiamo accompagnarli in aeroporto”
“Sì, sta tranquillo”, lo rassicurò distrattamente.
Il biondo si infilò in camera da letto e infine spense la luce.

NDA

Allora, che ve ne pare? Tsukasa si è fatto già venire l'ansia. E questo era prevedibile.

Megumi si sta facendo ingannare a tradimento. E va beh.

Joichiro è felice come una pasqua.

Inoltre la scena di Kuga che fa foto al cane e Tsukasa che si allontana dicendo quella cosa, è opera della mente di Jill Shitsuji (sei ovunque, dovremmo aprire una cooperativa), le ho detto che l'avrei inserita e così ho fatto. Perchè sì.

Tsukasa riuscira a lasciare da parte l'ansia?

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Capitolo 5
*** La decisione di Kuga&Tsukasa ***


5 - La decisione di Tsukasa&Kuga



Dopo quella sfuriata, Kuga si sentiva esausto. Non poteva sperare di sopravvivere in mezzo a quel putiferio, tra Rindou che occupava casa sua e Tsukasa già in panico.

No, di certo aveva bisogno di una mano. Disteso sul letto come si trovava, stava accarezzando il pelo di Simba, il quale, accucciato accanto a lui, lo guardava.
“Dici che dovrei parlarne con qualcuno? Forse con Soma. Lui è il mio migliore amico, e poi potrebbe capire bene cosa provo. Lo chiamo? Sicuramente saprà darmi qualche consiglio. Grazie, Simba. Tu sì che sai sempre cosa dire”.
Dopodiché allungò una mano e prese il suo cellulare dal comodino.
Non gli importava nulla del fatto che Soma fosse a lavoro o meno. Avrebbe parlato con lui per forza!
Dopo alcuni secondo di silenzio, il suo migliore amico rispose.
“Ehi, Kuga, che succede?”, domandò frettoloso, in sottofondo c’era un gran caos.
“Soma! Senti, non me ne frega niente se sei impegnato, io ti devo parlare! Riguarda me e Tsukasa. Io voglio un figlio!”
L’ho detto davvero. Perché mi sorprendo? Dopotutto è la verità!
“Ma davvero? È una cosa fantastica! Volevi che fossi il primo a saperlo? Grazie per il pensiero!”
“Non è per questo!”, lo zittì subito. “Io non sono sicuro che lui voglia. Insomma, lo sai com’è Tsukasa. È ansioso e si fa mille problemi. Takumi ha reagito allo stesso modo, non è vero?”
“Beh, non ai suoi livelli, però sì. Il suo non è stato un “no” categorico, ha solo dovuto pensarci un po’ su, giusto il tempo di metabolizzare la cosa. La paura è normale, soprattutto se si parla del tuo poco ansioso maritino”
“Soma, io spero che tu abbia ragione, perché altrimenti potrebbe essere...”



“UN VERO DISASTRO! Takumi, come hai fatto tu a non avere più paura, eh? Come?!”.
Takumi avrebbe desiderato strozzare Eishi. Si trovava nel bel mezzo del lavoro, e Tsukasa aveva ben pensato di telefonargli e di raccontargli delle sue ansie e delle sue paure. E poteva capirlo benissimo, ma diamine, non raggiungeva neanche per sbaglio i suoi livelli di panico!
“Eishi, rilassati, va bene?”, tentò di tranquillizzarlo. “Lo so che ti sembra la fine del mondo, ma vedrai che quando ti abitui al pensiero non è affatto male. Anzitutto, tu vuoi crearti una famiglia con Kuga?”
“S-se lo voglio?”, Tsukasa si aggirava per il bagno, sistemando nervosamente cose a caso. “Io… sì! Sarebbe bellissimo, però ho paura di tante cose, ho paura di non farcela. E poi… sai cosa vuol dire che un altro essere umano dipenderà da me? C’è anche Kuga, però… che coppia di genitori saremmo?”
“Una coppia molto divertente”, Takumi tentò di non ridere. “Su, non è il caso di pensarci. Prendi un respiro profondo e, se lo vuoi davvero, buttati. Io sono certo che non te ne pentirai”
“Sì, va bene. D’accordo”, strinse un pugno. “Hai ragione. Nella vita bisogna essere coraggiosi, ed io sono coraggioso, anche se sono comunque in panico. Va bene, io e Kuga faremo una conversazione cuore a cuore. Ti ringrazio, Takumi!”
“P-prego...”, sospirò dopo che l’altro ebbe chiuso la chiamata. Poi guardò Soma, che aveva a sua volta finito di parlare con Kuga. “Perché i casi umani a noi?”.

Tsukasa uscì dal bagno deciso al cento per cento a parlare. Doveva farlo prima che il suo coraggio decidesse di abbandonarlo per mete sconosciute. Poggiò una mano sulla maniglia della porta, ma quest’ultima fu aperta in quel momento da Kuga, il quale lo guardò. Nessuno dei due disse nulla, perché era bastato uno sguardo per capire che fosse doveroso parlare.

Dopo una nottata intensa di fuoco e passione, Megumi poteva dire di essere di buon umore. E di certo anche Shinomiya era meno nervoso del solito. Quest’ultimo infatti le si era avvicinato mentre stava lavando i piatti, cingendole i fianchi da dietro.
“Oh, Kojiro”, trasalì lei, con le mani ancora a mollo. “Siamo focosi, vedo”
“Ah, ma senti chi parla, non mi pare che qui qualcuno se ne sia stato buono buono stanotte”,
Lei fece spallucce.
“Alle volte è necessario lasciar perdere tutto e … lasciarsi anche andare...”
“Già, a proposito di questo, mi spiace per le nostre discussioni”, a quel punto la costrinse a voltarsi e a guardarlo negli occhi. “Tu sei sempre estremamente comprensiva nei miei confronti. Giuro che un giorno realizzeremo il tuo sogno”.
Megumi sorrise nervosamente.
Sì, un giorno che, teoricamente, potrebbe arrivare molto, molto presto.
“Lo so, lo so, Kojiro. Sta tranquillo, davvero”, poggiò le mani sul suo petto e poi gli posò un bacio sulle labbra. “Adesso dobbiamo andare a lavoro”
“Giusto, maledizione. Mi verrà un esaurimento nervoso, ma spero che almeno ne varrà la pena!”.
Shinomiya infatti stava tentando di aprire un altro ristorante, simile a quello che aveva a Parigi, lì in Giappone. Ma la cosa gli stava portando via la maggior parte del tempo e anche della sanità mentale.
Megumi sospirò, accasciandosi vicino al lavello. Dopodiché afferrò il telefono, aveva assolutamente bisogno di parlare con una persona.

“Megumi? Ciao, cosa posso fare per te?”.
Nene era tutta intenta ad osservare la sala ricevimenti del suo matrimonio. Si trovava lì per controllare gli ultimi dettagli, quali tovagliato, centrotavola e disposizione dei tavoli. Peccato che Isshiki avesse deciso di prendere la situazione in mano.
“Nene, scusa se ti disturbo”, rossa in viso, Megumi sospirò. “Io e Kojiro abbiamo fatto sesso”
“Beh, vorrei ben dire, siete sposati. Satoshi! Non pensarci neanche, non puoi fare uno spogliarello davanti a tutti, non sta bene!”
“Non è quello che intendevo. Ho saltato la pillola, lui non sa niente!”
“Davvero? Bene, congratulazioni, allora. Se sei fortunata, qualcosa ti sta già crescendo dentro”
“Ma io voglio saperlo adesso”
“Mi spiace, ma temo che dovrai aspettare. Se non ti senti sicura, tu continua a tentare, dopotutto, non credo che a te e Shinomiya dispiaccia”
“Ma… ma...”
“Scusa, Megumi. Adesso devo lasciarti, Satoshi sta combinando un disastro con la disposizione dei tavoli!”.
La ragazza sospirò ancora, avvilita. Forse sarebbe stato meglio avere più sicurezza e tentare ogni giorno?
Sicuramente non avrebbero mai avuto una vita sessuale tanto attiva come in quel periodo.

L’orologio picchiettava con irruenza. Ed era l’unica cosa ad interrompere quel silenzio infernale. Kuga e Tsukasa stavano seduti vicini senza però parlarsi. Chi avrebbe dovuto prendere il discorso per primo? E soprattutto, c’era un modo adatto per dire certe cose?
Terunori si stava facendo troppi problemi, e sicuramente questo non era da lui. Impaziente, decise di rompere il ghiaccio.
“Sai, ti facevo più sveglio, Tsukassan...”.
Eishi sospirò.
“Guarda che io avevo capito. Volevo solo una conferma”
“Già, peccato che non appena hai avuto una conferma, sei praticamente imploso”
“Mi dispiace, va bene? Lo sai come sono io, vado facilmente in panico”, si schiarì la voce, imbarazzato. “Allora… vuoi un figlio?”
“S-sembra strana come cosa?”
“No, affatto! Certo, ammetto che mi farebbe… non poco strano vederti in certe vesti, però ehi, un momento del genere arriva per tutti. Se questo momento è con te, poi, non posso assolutamente perderlo”.
Kuga si voltò a guardarlo, l’espressione adesso più addolcita e gli occhi quasi lucidi.
“Davvero, Tsukassan? Tu vuoi fare questo passo con me?”. Eishi sorrise, accarezzandogli il viso.
“Io non vorrei farlo con nessun altro che non sia tu”.
Quando mi parla così, io all’improvviso non capisco più niente, è incredibile l’effetto che ha su di me.
In preda alla felicità, lo abbraccio stretto stretto a sé. Adesso si sentiva davvero più leggero, stava bene. Non avrebbe mai pensato di poter provare tanta gioia per una cosa del genere.
“Allora è deciso, lo facciamo!”
“Già, lo facciamo. Dobbiamo solo capire come muoverci”, iniziò a dire Tsukasa, che assolutamente voleva avere tutto sotto controllo. “Le opzioni sono adozione o maternità surrogata?”
“Oh-oh, io so tutto su quest’ultima!”, disse Terunori, entusiasta come un bambino. “Si tratta di un’operazione un po’ costosa, ma io non intendo badare a spese. Si mescola il mio seme al tuo e poi si fa un’inseminazione. Solo che non ho la più pallida idea a chi potremmo chiedere una cosa del genere. Insomma, è una cosa importante, stiamo parlando della donna che porterà in grembo per nove mesi mio figlio, no?”.
Tsukasa alzò gli occhi al cielo. Con quel mio si era già prestabilito chi sarebbe stato il più possessivo, stavano iniziando proprio bene.
“Hai ragione, Kuga. Bisogna chiederlo a qualcuno che conosciamo bene. Qualcuno che a sua volta ci conosce e che non ci giudicherebbe. Qualcuno di cui possiamo fidarci”
“Qualcuno di vicino a noi magari”, disse pensieroso. “Qualcuno che possiamo anche tenere sotto controllo”.
Chi poteva essere la donna che corrispondeva a quella descrizione?
Come un segno del destino, la porta di casa si aprì, e un’allegra Rindou fece il suo ingresso.
“Ehi, coinquilini! So che in genere non mangiare robaccia, ma sicuri di non volere delle patatine del Burger King? Credo di aver esagerato”.
Tsukasa e Kuga allora si guardarono. Non ci sarebbe stato bisogno di parlare, entrambi avevano esattamente pensato alla stessa cosa.

Takumi era tornato a casa esausto. Mentalmente e fisicamente. Certo che Tsukasa lo faceva andare fuori di testa con i suoi discorsi.
Arrivato a casa si trascinò sul divano, sospirando.
“Io la devo smettere di fare consulenze gratis! La prossima volta mi faccio pagare”.
Soma si era fermato sulla porta, osservandolo a braccia conserte.
“Immagino che Tsukasa abbia chiesto aiuto a te, eh?”
“Già, puoi ben dirlo. Quei due come genitori? Voglio dire, ti immagini un bambino che cresce con due tipi così diversi fra loro? Io non oso pensarci”
“Ah, se la caveranno, sta tranquillo”, Soma rise nell’immaginarsi un ragazzino che veniva fuori ansioso come Tsukasa ma allo stesso tempo allegro e solare come Kuga, sarebbe stata un’unione interessante.
Dopo aver formulato tale pensiero, si fece spazio accanto a Takumi.
“Tu come te lo immagini?”
“Chi?”
“Ma nostro figlio ovviamente!”
“Ah”, arrossì, mettendosi seduto. “Sinceramente non lo so. Dal punto di vista fisico non posso esprimermi, ma tra l’altro non ha neanche importanza. Non so, caratterialmente me lo immagino vivace, curioso, solare...”
“Oh, come me quindi. Mi lusinghi”, sorrise Soma. “Io invece me lo immagino più riservato. Attento e posato. Come te”
“Beh, allora vedremo chi ha ragione”, disse alzando gli occhi al cielo, per poi sospirare. “Quanto tempo passerà?”
“Per queste cose ci vogliono mesi… o anni”
“Anni?!”
“Ma non è questo il nostro caso! Dai, andrà bene, tu non ci pensare, mi sto occupando io di tutta la parte burocratica”
“Per l’appunto”
“Suvvia, non essere cattivo. Non pensare a questo, pensa piuttosto a quello che verrà dopo, potremmo insegnargli tutto quello che sappiamo. Mi piacerebbe molto se mio figlio seguisse le mie orme”
“E se la cucina non gli piace? E se vuole fare… non so, la rockstar, o il dottore o la ballerina?”
“Non possiamo saperlo questo, ma magari saremo fortunati”, si stiracchiò. “Adesso sono stanco. Possiamo andare a dormire?”
“Va bene, andiamo”.

“Yukiooo! Dove corri? Torna qui!”.
Con il suo orsacchiotto in mano, il bambino stava scappando dalla madre, la quale stava cercando a sua volta di afferrarlo per fargli il bagno.
“Niente bagno per me!”, esclamò lui.
“Ah”, sospirò Jun. “Scusate il casino ragazzi, fa sempre così”
“No, non devi preoccuparti. E poi lo scalpitare dei bambini non mi disturba”, la tranquillizzò Hayama, lanciando poi un’occhiataccia a Ryou, il quale lo stava bellamente ignorando.
“Tsk, tu devi avere necessariamente un problema per dire una cosa del genere”, affermò lui nervoso, con un coltello in mano. Nonostante fosse abbastanza tardi, aveva avuto l’occasione di preparare la cena solo in quel momento. Quando c’era un bambino nei paraggi, anche le abitudini venivano smorzate per dare a quest’ultimo tutte le attenzioni possibili.
Yukio gli sgambettò attorno, guardandolo con curiosità.
“Che cosa vuoi, mostriciattolo?”, chiese Ryou con tono e sguardo assai poco rassicuranti. “Farai meglio a non farmi arrabbiare”.
Yukio sorrise.
“Tu sei buffo”
“Ah?! Io sarei buffo. Questo ragazzino mi prende in giro!”
“Andiamo, Ryou, sei piuttosto permaloso, eh?”, rise Hayama.
“Tu sta zitto o giuro che ti avveleno”.
A quel punto Jun prese a ridere.
“Siete davvero adorabili. Dovreste avere un figlio anche voi”, commentò Jun con gli occhi sognanti.
“Ma seriamente?!”, sbottò il corvino. “Cioè… io?! Non ho per niente istinto per certe cose”
“Su, su, l’istinto non c’entra nulla. Pensateci, d’accordo?”
“Per me andrebbe anche bene, ma purtroppo, dal momento in cui ho sposato questo qui, devo scendere a compromessi”, sospirò Hayama.
“QUESTO QUI?! ANDATE A FANCULO TUTTI E DUE!”.
Yukio rise nel vederlo uscire di testa.
“Evita di parlare così davanti ad un bambino...”, lo pregò Akira.
“E tu evita di parlare e basta”.
Jun scosse il capo, alzando poi gli occhi al cielo. Sì, era più che sicura che quei due sarebbero stati perfetti come genitori.


Rindou temeva di aver combinato qualche guaio.
Forse Tsukasa si era arreso al volere di Kuga e si era quindi deciso a cacciarla di casa? Forse se l’era presa troppo comoda, aveva sperato troppo.
“Beh? Cosa… cosa ho fatto?”.
Né Terunori né Eishi potevano credere di star chiedendo una cosa del genere proprio a lei. Ma in fondo, malgrado i suoi difetti, Rindou era la più adatta, nella loro testa nessuno avrebbe potuto avere quel ruolo importante, se non proprio lei.
“Sì, emh… c’è una cosa che vorremo chiederti”, cominciò a dire Tsukasa.
“Io e Tsukassan vogliamo un figlio”, subito Kuga parlò, era meglio non girarci troppo intorno.
Gli occhi della ragazza a quel punto si illuminarono.
“D-davvero? Ma è una cosa adorabile, vi siete decisi finalmente, fatevi abbracciare!”, esclamò allargando le braccia.
“Aspetta", Kuga la fermò con un freddo gesto della mano. “Questa cosa riguarda anche te. Io e Tsukassan…. Avevamo pensato alla gravidanza surrogata”
“… E avevamo pensato di chiederlo a te”.
Questa volta Rindou si era zittita. E toglierle la parole era difficile almeno quanto toglierla a Kuga stesso. In un primo momento credette che i due stessero scherzando, ma le era bastato davvero poco per capire che così non fosse.
“I-io? Cioè, io… cosa vuol dire? Cioè, cosa dovrei fare?”
“Portare avanti la gravidanza”, spiegò Kuga.
“Sì, ma è con un’inseminazione artificiale, quindi sta tranquilla, niente cose strane. Lo so, si tratta di una roba un po’ strana in effetti, e di certo non sei costretta ad accettare. Ma lo abbiamo chiesto a te perché… beh, perché...”.
Terunori sbuffò.
“Perché, nonostante tu sia irritante, scostante e invadente, ci fidiamo e sappiamo che sei solo tu la persona che può fare una cosa del genere. Ovviamente non devi risponderci subito, prenditi pure tutto il tempo che vuoi”.
Rindou annuì lentamente. Si era aspettata davvero di tutto. Meno che quello. Tsukasa e Kuga le avevano chiesto di portare in grembo un bambino per nove mesi e poi farlo nascere. E la cosa da un lato la entusiasmava e da un lato la impauriva, per una serie di motivi. Prima di tutto, non si sentiva affatto all’altezza per un compito del genere. Dopotutto, era una grande responsabilità. Seconda cosa, una gravidanza non era di certo uno scherzo, e la sua era una vita abbastanza sconclusionata. Allo stesso tempo, però, il pensiero di poter dare una famiglia a quelli che considerava i suoi migliori amici, le scaldava il cuore.
“V-va bene. Adesso è molto tardi, ma prometto che ci penserò”, respirò profondamente. “Non ci posso credere… non ci posso credere”.
Quando la ragazza si fu allontanata, Tsukasa recuperò dieci anni di vita.
“Dici che accetterà?”
“Vedendo la sua espressione non saprei dire. Ma bisogna anche capirla. E un qualcosa su cui dobbiamo essere d’accordo tutti e tre”.
Tsukasa annuì, poggiando poi la testa sulla sua spalla.



Soma era sprofondato in un sonno profondo. E allora aveva preso a sognare. Si trovava a casa sua, doveva essere una bella giornata a giudicare dai raggi che entravano dalle finestre. E con lui c’era un ragazzo, di circa quindici anni.
Era il suo ipotetico figlio.
“Ehi”, Soma richiamò la sua attenzione. “Devo mettermi ai fornelli. Ti va se ti insegno qualcosa?”.
Suo figlio, per tutta risposta, gli rivolse un sorriso.
“Lo sai che odio cucinare. Per questo mangio sempre ai fast-food. Ciao, adesso vado!”.
E immediatamente il sogno si era trasformato in un incubo.
Soma aveva allungato una mano verso la sua direzione, ma senza alcun successo, perché immediatamente era stato inghiottito dal buio.
“Ah!”.
Si svegliò in piena notte, gridando. Questo era molto strano, in genere nessun tipo di incubo era in grado di sconvolgerlo tanto. Takumi si era svegliato di soprassalto.
“Che c’è?! Che succede?!”.
Davanti a lui, suo marito se ne stava con gli occhi sgranati e la coperta intorno al corpo.
“Un incubo… ho avuto un incubo...”. Il biondo gli si avvicinò, accarezzandogli la schiena.
“Su, Soma. Sei un po’ cresciuto per certe cose. Di che incubo si trattava?”
“Io ho… sognato il nostro ipotetico figlio”, balbettò.
“Ma allora non era un incubo!”
“Già, all’inizio! Ma quando gli chiedevo se voleva che insegnassi a cucinare qualcosa, mi rispondeva che odiava cucinare. E che preferiva i fast-food!”, piagnucolò aggrappandosi a lui. “ È la rappresentazione dei miei incubi peggiori!”.
Takumi si stava seriamente sforzando di non ridere. Vedere Soma in quelle condizioni era esilarante, anche se doveva ammettere di provare anche una grande tenerezza.
“Dai, non fare così, magari avrà le nostre stesse passioni. Ma una cosa è certa, nessuno mangerà al fast-food”.
Il rosso allora decise di inventare una piccola bugia.
“Diceva anche che la cucina italiana gli faceva schifo”.
Takumi saltò in piedi.
“COL CAVOLO! GLI FARO’ IL LAVAGGIO DEL CERVELLO, LO MANDO IN ITALIA A STUDIARE! E voi vicini, rompiscatole, smettetela di battere sul pavimento, queste sono questioni familiari!”.
Adesso quello a ridere era Soma. Almeno aveva trovato il modo di scacciare via i suoi “malevoli” pensieri.

Il giorno dopo, Yuki, che si trovava lontana fisicamente ma non con il cuore, fece un giro di telefonate fra le sue amiche. Telefonò a Ryoko, Megumi e ovviamente Erina.
“So cosa possiamo fare per l’addio al nubilato di Nenenuccia!”, aveva annunciato.
Erina si massaggiò le tempie. Anche quando si trovava a lavoro non poteva avere un attimo di pace.
“E tu mi chiami dall’Italia solo per dirmi questo?”
“Solo? Guarda che è una cosa seria! Comunque ho già chiamato Soma, e mi ha assicurato che lui e gli altri faranno divertire Isshiki come si deve. Ma adesso, ascolta me…!”.



NDA
Cosa succederà all'addio al nubilato di Nene? All'addio al celibato di Isshiki, sicuramente c'è gente che si spoglia. Intanto Kuga e Tsukasa si sono finalmente decisi, adesso tocca solo a Rindou dare o meno una conferma.
La cosa del sogno di Soma non ho idea di come mi sia venuta, sapevo solo di doverla inserire perché mi faceva ridere.
Altra cosa che mi sono dimenticata a scrivere nel capitolo precedente: "Yukio" singnifica letteralmente eroe felice, e avrà un ruolo mooolto importante u.u
Alla prossima ^^

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Capitolo 6
*** Lo splendido-splendido addio al... ***


Lo splendido-splendido addio al…


Tre settimane erano passate. E in tre settimane, Yuki, Ryoko, Erina, Hisako e Megumi avevano organizzato il perfetto - almeno secondo loro - addio al nubilato per la loro amica Nene. Quest’ultima non aveva idea di cosa aspettarsi quando quella sera, le sue amiche, la vennero a prendere.

Fosse stato per lei, si sarebbe accontentata di una serata semplice e tranquilla, ma con quelle matte intorno era assolutamente impossibile.
“Dove mi state portando?”, domandò la diretta interessata, seduta in auto con una benda sugli occhi.
“È una sorpresa”, gongolò Yuki. “Mi piace come sei vestita, quest’abito nero e aderente mette in risalto le tue curve”
“Mi avete praticamente costretta ad indossarlo!”
“Andiamo, smettetela di far casino. Rindou e Alice ci aspettano”, sospirò Erina, al volante.
La cugina infatti era partita per il Giappone in occasione del matrimonio di Nene e, insieme alla rossa, stava adesso aspettando il resto della “ciurma” fuori da un locale.
Una volta arrivate, Nene si aggrappò a Megumi nel tentativo di non cadere.
“Insomma, ma volete togliermi questa benda e magari ridarmi i miei occhiali?”, sussurrò.
“D’accordo, ci penso io”, Yuki le sfilò via la benda. “Ta-daaaan! Benvenuta al tuo addio al nubilato!”. Nene strabuzzò gli occhi, indossando poi gli occhiali.
“CHE?! MA QUESTO È UNO STRIP-CLUB! CI SONO GLI SPOGLIARELLISTI!”
“Bingo! Faresti meglio a rifarti gli occhi. Ed anche io”, Yuki si strofinò le mani, sogghignando malignamente. La futura sposa era semplicemente scioccata. Lei non faceva assolutamente quelle cose compromettenti. Sapeva che non poteva fidarsi di loro. Fece per dire qualcosa ma, prima che potesse farlo, Rindou e Alice andarono loro incontro.
“Aliceeee!”, Yuki la abbracciò. “Finalmente, sono così felice di vederti, ci sei mancata!”
“Secondo voi mi perdevo il matrimonio della nostra Nenenuccia?”, domandò ammiccando.
“Alla nostra Nenenuccia manca però qualcosa!”, Rindou si fece avanti, tra le mani teneva una coroncina con un piccolo velo da sposa. Glielo posizionò sopra la testa. “Adesso ci siamo”
“R-ragazze… non sono sicura che andrà a finire bene”
“Tranquilla”, Ryoko la prese sottobraccio. “Sarà divertente”.

Gli uomini avevano avuto un’idea simile. Essere circondati da miriadi di ragazze carine e provocanti non era un grosso problema, considerando che la maggior parte di loro fosse gay. Il problema era per gli uomini sposati e fidanzati.
“Non devo guardare, non devo guardare!”, Isami si portò le mani sul viso. “Yuki mi ammazza”
“La tua Yuki si starà divertendo alle tue spalle”, Ibusaki lo “tranquillizzò” con la sua solita delicatezza.
“Tsk”, borbottò Shinomiya a braccia conserte. “Vorrei sapere chi ha avuto quest’idea geniale”
“Veramente l’abbiamo decisa di comune accordo”, disse Soma, dando poi una pacca su una spalla a Marui. “Magari il nostro Marui farà colpo stasera”.
Il diretto interessato si sistemò gli occhiali.
“Oh, no!”, intervenne Kuga. “Non dimentichiamoci che lui è follemente innamorato di Alice dai tempi della scuola”
“Smettetela, siete perfidi”.
Intorno c’era un casino indicibile, sia a causa della musica, sia a causa della moltitudine di gente e delle numerose ragazze in abiti succinti.
Isshiki era già bello che andato, a causa dell’alcol – in verità neanche tanto – che aveva assunto.
“QUESTO È IL MIGLIOR GIORNO DELLA MIA VITA!”, esclamò.
“Va bene, ma non fare cose strane!”, gli raccomandò Takumi. “Merda… Nene ci ammazza”
“Dopodomani sarà sposato, lascialo divertire finché può”, suggerì Kuga, sorseggiando il suo cocktail. Anche lui, per quella serata, avrebbe lasciato i pensieri di ogni giorno da parte. D’altro canto, Rindou non aveva dato loro ancora una risposta certa, e la cosa lo rendeva non poco impaziente. Ed anche se stava tentando di non pensarci, Soma arrivava sempre con le domande sbagliate.
“Ma quindi quando farete quella cosa?”.
Terunori per poco non si strozzò. Tsukasa alzò gli occhi al cielo.
“Quella cosa, come la chiami tu, la faremo se e quando Rindou ci darà una risposta. Anche se, a questo punto, non so se effettivamente lo farà o meno”
“Io spero tanto di sì!”, esclamò Soma. “Voglio che i nostri figli giochino insieme! E magari potremmo combinare un matrimonio!”
“Sì!”, esultò Kuga. “Imparentarmi con il mio migliore amico? Sarebbe un sogno”.
Takumi scosse il capo, accasciato nella poltroncina in pelle rossa. Però poteva capire quei due, effettivamente non farsi progetti era un po’ difficile.
Accanto a loro, Ryou aveva una faccia a dir poco da funerale. Aveva sempre detestato i posti affollati.
“Andiamo, sii un po’ più allegro”, gli suggerì Hayama. L’altro, per tutta risposta, gli lanciò un’occhiataccia.
“Io più allegro di così non riesco ad essere. C’è troppo casino”
“Qualcosa mi dice che non è solo questo”
“No, infatti”, Ryou posò sul tavolino un bicchiere mezzo vuoto. “Akira, seriamente tu vuoi costruirti una famiglia? Perché queste sono decisioni che vanno prese in due”
“Pensavi che stessi scherzando? Certo che lo voglio, cosa c’è di strano?”
“Niente, è solo che… insomma, io non ti basto?”
“Che significa È una cosa completamente diversa! Tu hai paura”
“Io non ho paura!”.
Mentre conversavano, una spogliarellista si avvicinò ad Hayama, stuzzicandolo.
“Ehi, biondina!”, la chiamò Ryou. “Lui sta con me, e a meno che tu non abbia un pene, non è interessato!”
“Ryou, rilassati! Vedi? Sei nervoso, lo sai anche tu che ho ragione!”.
Il corvino borbottò qualcosa di indefinito, accasciandosi di nuovo. Alle sue spalle, Isshiki si stava liberando man mano degli indumenti.
“Ti prego, non mi dire che si è portato dietro il suo grembiule rosa”, sussurrò Takumi a Soma.
“SI FA FESTA!”, gridò il futuro sposo indossando l’indumento incriminato.
“L’ha portato”, costatò il rosso.

Nene era invece decisamente più posata. Guardava sì, ma senza sbilanciarsi troppo, anche perché la situazione era piuttosto imbarazzante.
Alice, Yuki e Ryoko sembravano le più prese, chissà cosa Isami e Ibusaki ne avrebbero pensato….
Fortunatamente Megumi era tranquilla come lei, ma dubitava che la sua fosse una tranquillità effettiva.
“Amh, allora… come va con quella questione?”, domandò.
“Una cosa è certa, il sesso va alla stragrande. Non so ancora se abbia fatto effetto o no. Se il ciclo mestruale non arriva, allora forse c’è una possibilità. Insomma, lo facciamo tre volte al giorno”
“Tre volte al giorno? Wow, continuando così finirai con lo sfornare tre gemelli!”
“Se dici così non farai altro che farmi venire ancora più ansia. Mi serve un test di gravidanza adesso, subito! Ho visto una farmacia qui di fronte, controllo se aperta!”
“Megumi, aspetta…! Oh, lasciamo perdere”, sospirò Nene tornando a sorseggiare il suo cocktail, osservando Rindou che si divertiva alla grande con Yuki e Ryoko.
“Ragazze, adesso ne sono più che certa, mi serve un uomo! Sono nel pieno della mia gioventù, non so se capite cosa intendo”
“Vuoi un fidanzato?”, domandò Yuki.
“Non necessariamente, mi basta qualcuno con cui divertirmi sotto le lenzuola. Nessuno di questi giovanotti vuole divertirsi con me?”
“Si occuperà Ryoko di te. Io devo prendermi cura della sposa”.
Con sguardo malefico, Yuki si avvicinò all’ignara Nene.
“Sì?”, domandò quest’ultima molto composta.
“Suvvia, manda giù quel cocktail tutto insieme e vieni a ballare con noi!”.
“Un momento!”, Nene tentò di fermarla, ma l’amica la costrinse a tracannare ciò che teneva nel bicchiere e poi se la trascinò in pista. Avrebbe fatto uscire la sua parte più selvaggia, questo se lo era ripromesso.
A quel punto la futura sposa decise di arrendersi, dopotutto anche lei aveva il diritto di lasciarsi andare ogni tanto.

Al contrario suo, Isshiki non si era creato per niente problemi a lasciarsi andare, visto che aveva completamente lasciato da parte la sua inibizione.
“Oh, no, no!”, fece Takumi esasperato. “Che qualcuno vada a riprenderlo, vi prego!”
“Dai, Takumicchi! Non essere noioso, si sta solo divertendo!”, Kuga gli diede una pacca su una spalla.
“Non ci sarà niente di divertente se Nene lo viene a sapere. Insomma, ma non lo vedi che è completamente andato? Che qualcuno lo rivesti!”
“Io non mi ci avvicino”, proferì immediatamente Ryou.
“D’accordo, allora lo fa Marui”
“MA PERCHE’ IO?!”.
Shinomiya alzò gli occhi al cielo, scocciato. Quei ragazzini facevano sempre un casino infernale, ed inoltre la musica rimbombante stava iniziando a stordirlo.
Decise quindi di uscire fuori a prendere una boccata d’aria. In questo modo ne avrebbe approfittato e avrebbe fatto una telefonata a Megumi per essere certo che fosse tutto a posto.

La sua dolce mogliettina intanto si disperava chiusa nel bagno della discoteca. Era riuscita a trovare una farmacia aperta e aveva comprato dei test di gravidanza. Dopo aver letto per tre volte le istruzioni, finalmente ne utilizzò uno. Adesso stava solo attendendo il risultato. Il suo telefono prese a squillare proprio in quell’istante, e talmente era impaziente distratta, che non guardò neanche chi fosse il mittente della chiamata.
“Pronto?”
“Ehi, Megumi… tutto bene lì?”
“K-Kojiro! S-sì, tutto bene. E tu invece?”
“Un disastro. Isshiki è andato e si è spogliato. Però questo non dirlo a Nene”
“Oh, tranquillo, non lo farò”
“Ma dove sei? C’è troppo silenzio”
“Ecco, veramente sarei al bagno”, mormorò.
“Non mi dire che hai bevuto e adesso stai male? Lo sai che non reggi l’alcol e...”
“MALEDIZIONE, È NEGATIVO!”, gridò senza neanche rendersene conto, per poi tapparsi la bocca.
Shinomiya batté le palpebre.
“Negativo? Cosa è negativo”
“Io, ecco… umh… quello che tu dici è negativo, perché non ho bevuto niente, di conseguenza sto benissimo”
“Ah, d’accordo, felice di saperlo. Senti… io torno dentro, quelli lì hanno seriamente bisogno di un adulto responsabile. E tu hai esattamente lo stesso ruolo”
“C-certo! Non preoccuparti!”.
Altro che adulta responsabile, Megumi era assolutamente tutto il contrario.
Esasperata, si sciacquò il viso. Com’era possibile che fosse negativo? Forse aveva sbagliato qualcosa? O forse doveva semplicemente farne un altro?
Ed è quello che fece in seguito.

La situazione era nel frattempo degenerata anche per Nene. Quest’ultima, a furia di cocktail, aveva perso gran parte della sua compostezza, e adesso ballava e si muoveva in maniera assai provocante, senza rendersene conto.
“Sì, vai così!”, esclamò Yuki divertita. “Isshiki è un uomo fortunato!”
“Chi è Isshiki?”, domandò lei stordita, con le guance arrossate.
“Come chi è? È il tuo futuro marito!”.
Nene prese a ridere sguaiatamente.
“No… io non mi sposo più. Io voglio gli spogliarellisti. Ehi, ragazzi…!”
“CHE COSA?! UN MOMENTO, FERMA…!”.
Yuki le andò dietro. Aveva appena creato un mostro, e chi l’avrebbe mai detto che con un po’ di alcol, la composta e rigida Nene si lasciasse andare in tal modo?

“Tsukassan…! Dai, balla con me, balla con me!”, piagnucolò Kuga aggrappandosi al suo braccio.
“Sto ballando già con te!”
“Ma se sei un bastone! Avanti, sciogliti!”.
Eishi alzò gli occhi al cielo, decidendo poi di provocarlo.
“Scioglimi tu se ne sei capace”.
Kuga sorrise a quella provocazione. Si sollevò sulle punte e approfittando del caos e delle luci soffuse, lo baciò in modo tutt’altro che casto, scaldando immediatamente gli animi.
“Tsk, cosa ci fanno dei froci qui?”.
Nel sentirsi appellare in modo assai poco carino, i due si staccarono. Davanti a loro c’erano tre brutti tipi, probabilmente ubriachi, che li stavano puntando e ridendo.
“Come mi hai chiamato, bastardo?”, fece subito Kuga.
“Oh, guardate, questo qui è anche basso!”
“Come ti permetti, tu? Ti uccido!”
“Kuga, no!”, Eishi lo afferrò per un braccio. “Non è il caso”
“Sì, da retta al tuo fidanzatino. Scommetto che lui fa la donna”
A quel punto anche i buoni propositi di Tsukasa vennero mandati letteralmente a quel paese. Soma, che aveva osservato ed ascoltato la conversazione, fece segno agli altri di seguirlo.
“Ehi, voi… com’è che avete chiamato i nostri amici?”, domandò.
“Non ti impicciare tu. Questo non è di certo un posto per due checche come loro”
“Ah, così loro sarebbero checche, giusto? Bene, ti informo che anche io sono gay. Io il più gay di tutti”
“No, sono io il più gay di tutti!”, esclamò Takumi.
“Mettiti in fila”, aggiunse Hayama.
“Dopo di me”, disse poi Ryou.
“Eh… eh?! Questo è uno scherzo?”
“Non è uno scherzo”, aggiunse Shinomiya. “Per la cronaca, io sono etero, ma non mi piace comunque sentire certe cose. Voi siete con me, ragazzi?”
“Ovvio!”, esclamò Isami.
“Sì”, fece Ibusaki.
“Perché mi mettete sempre in mezzo’ Uffa!”, piagnucolò Marui.
“Bene”, Shinomiya assottigliò lo sguardo. “Vediamo se fate ancora i bulli”.


Megumi era uscita dal bagno afflitta. Forse avrebbe dovuto riprovare in seguito, le cose sarebbero sicuramente andate meglio. Si guardò intorno, notando che sui divani fossero rimaste solo Erina e Hisako. Così si avvicinò a loro.
“Ma dov’è Nene? Non mi dite che l’hanno convinta a buttarsi in pista?”
“Oh, puoi dirlo forte”, fece Erina, indicando una scatenatissima Nene, che con Alice, Yuki Ryoko e Rindou stava proprio dando il meglio di sé… forse anche troppo, considerato che aveva dimenticato di essere prossima al matrimonio e si stava strusciando con ogni bell’imbusto che passava.
“Ma… ma… insomma, nessuno fa niente?!”
“Credo che siano troppo ubriache per pensare lucidamente”.
La ragazza alzò gli occhi al cielo. A quanto pare l’ingrato compito toccava a lei, ma dopotutto cosa non si faceva per un’amica?
Si insinuò tra la folla, tentando di raggiungere Nene che si dimenava. Era piuttosto agile a ballare, e questo lo sapeva anche Yuki che la stava filmando con il suo telefono.
“Nene! Su andiamo, hai bisogno di sciacquarti il viso”
“No”, rispose lei con tono strascicato. “Io sto bene, però sento così caaaldo! Sai che magari mi tolgo il vestito?”
“NO, NON FARLO, TI PREGO!”, supplicò aggrappandosi a lei per impedirle di fare cose stupide.
“Megumi, cosa cerchi di fare?”
“Di salvare il tuo pudore. Te ne pentirai tantissimo domani mattina! Basta, dobbiamo andare via di qui! Erina, Hisako, volete venire ad aiutarmi?!”.
La preside della Tootsuki allora si alzò elegantemente.
“Ah, finalmente ce ne possiamo andare?”.

Una rissa. Com’era venuto loro in mente di scatenare una rissa?! Certo, quei tipi se l’erano meritato, ma probabilmente la colpa era anche dell’alcol. Perfino dei tipi tranquilli come Tsukasa e Takumi ci avevano dato dentro.
Adesso, un buttafuori aveva afferrato Kuga, che era piccolo ma opponeva resistenza, per un braccio.
“E comunque sia! Il passivo dei due sono io! Mi piace prenderlo in tutte le posizioni, cazzo se mi piace!”, chiarì prima di essere sbattuto con assai poca grazie fuori.
“Kuga, stai bene?”, domandò Tsukasa preoccupato.
“Non sono mai stato meglio in vita mia. Sono forte io, come un leone!”
“Sì, adesso però dacci un taglio”, Shinomiya tentò di sistemarsi gli occhiali, ormai rovinosamente rotti a causa di un pungo ricevuto poco prima. “Assurdo, sono troppo vecchio per queste cose!”.
Marui intanto tremava, mentre Isshiki, che erano riusciti a recuperare, ballava ancora sul ritmo di una musica ormai inesistente. Era completamente andato, al punto di non rendersi conto di cosa era appena successo.
“Facciamo festa!”, esclamò.
“Tu vieni con me!”, Shinomiya lo afferrò per un braccio. “Io riporto il signor festaiolo a casa. Voi tornate tutti con Marui”
“Perchè tutti nella mia auto?!”
“Perché sei l’unico che non ha bevuto, ecco perché!”.
Alla fine la sentenza era stata quella e il povero Marui era stato costretto a fare da tassista ai suoi amici.
Kuga e Tsukasa rientrarono a casa stanchi, ma decisamente divertiti, alla fine non si era mai troppo cresciuti per il cazzeggio.
“Ohi, non credo che queste siano cose che due futuri genitori dovrebbero fare”, gli fece notare Eishi,
“Cosa vuol dire? Ci facciamo giustizia da soli, saremo dei genitori super fighi”, chiarì. “Piuttosto, perché la luce è accesa?”.
In casa c’era qualcuno. Una volta entrato, Simba arrivò a fargli la festa. Poi, il cucciolo andò ad accucciarsi ai piedi del divano, su cui stava Rindou, praticamente andata.
“Oh… ciao, ragazzi...”
“Rindou?!Ma che ti è successo?!”, esclamò Tsukasa.
“Io e le ragazze abbiamo alzato un po’ troppo il gomito...”, boccheggiò.
“E sei tornata a casa da sola? Dovevi chiamarci”
“Non volevo disturbare e… ah...”, biascicò.
“Va bene, d’accordo, non ti sforzare, rimani dove sei”, disse subito Kuga. “Tsukassa, prendi dell’acqua, Rindou ha bisogno di reidratarsi. E prendi un secchio, non vorrei che mi sporcasse il pavimento”.
Dopodiché si avvicinò alla ragazza.
“Sei abbastanza lucida?”, chiese poi.
“Sì, abbastanza. Però è stato divertente. A voi com’è andata?”
“… Niente di che”, mentì, prendendo poi il bicchiere dalla mano di Tsukasa. “Su, adesso bevi, ti aiuto io se non ce la fai”.
A Rindou venne da sorridere.
“Siete bravi a prendervi cura delle altre persone. Sì… sareste proprio dei bravi genitori”.
Tsukasa guardò Kuga.
“Lo pensi davvero?”
“Assolutamente sì”, trovò la forza di mettersi seduta. “Sapete, ero molto scossa dalla vostra richiesta… ma ci ho pensato a lungo. Voi ve lo meritate. E anche se non sarà una passeggiata, io voglio assolutamente aiutarvi”
“Rindou, sei certa che non dici questo perché sei ubriaca?”, chiese Terunori.
“Maledizione, Kuga, ti ho detto che sono abbastanza lucida.. Dovresti gioire, ti ho dato il mio consenso”.
Effettivamente non si era reso conto veramente fino a quel momento delle parole di Rindou. Lei aveva detto sì. Questo voleva dire che avevano una possibilità per realizzare il loro sogno.
Ad occhi sgranati si voltò a guardare il marito.
“Ha… ha detto sì...”
“Ha detto sì”, ripetè lui.
“LO HA DETTO! Grazie Rindou, grazie, giuro che non ti ringrazierò mai abbastanza per questa possibilità che ci stai dando! Tsukassan, finalmente possiamo provare!”, esclamò correndo ad abbracciarlo.
Rindou sorrise, poggiando il viso sullo schienale.
“In verità sono io che dovrei ringraziare voi per tutto”, sussurrò impercettibilmente.

“Va bene, forza, un passo dopo un altro, okay?”, Takumi stava tentando di guidare Soma, “Maledizione, ci vorrebbe un ascensore in questo condominio, non si può fare così ogni volta”
“Già, e sai di cosa avremo anche bisogno?”, chiese lui, il braccio intorno alle sue spalle. “Di una casa più grande. Insomma, il nostro appartamento è un po’ piccolo per un bambino, no? Abbiamo sicuramente bisogno di un’abitazione più grande, con una stanza in più, un giardino… una cucina più attrezzata”
“Senti, ma che spiritoso che sei!”, ansimò. “Però, credo che in fondo hai ragione. Va bene, allora cercheremo anche una nuova casa, ma una cosa per volta”, chiarì arrivando di fronte la porta e cercando la chiave.
“Dici che ci arriverà un neonato o un bambino?”
“Non è un pacco postale! E sinceramente non saprei”
“Preferisci un maschio o una femmina?”
“Non cambia nulla”
“Dobbiamo pensare ad un nome”
“Mamma mia, che ansia! Ti sei scambiato il ruolo con Tsukasa?”, si lamentò aprendo la porta di casa. Dopodiché Soma stesso lo afferrò da dietro senza alcun preavviso.
“S-Soma?”
“Ti voglio”
“Parla l’alcol”
“No, parlo io. Sai, non mi sembra giusto. Le coppie etero hanno tutto il divertimento del provare a farlo un figlio, mentre noi...”.
A Takumi venne da ridere, così lo afferrò per la maglietta.
“Ci penso io a farti divertire”.


NDA
Non so cosa sia successo, mi sono lasciata trasportare dall'ignoranza e ne sono felice. Però una cosa importante è successo, presto arriverà un baby Kuga/Tsukasa adorabile. Nel prossimo capitolo ci sarà il tanto atteso matrimonio, sempre che Nene e Isshiki si riprendano dalla sbornia ....

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Capitolo 7
*** Improvvisamente ***


7 - Improvvisamente


Il risveglio post-sbornia era stato traumatico per tutti, in particolare per Nene, la quale aveva appreso di aver fatto uscire la parte più selvaggia e nascosta di sé.

Tuttavia non aveva tempo per pensare, perché il giorno dopo si sarebbe sposata.
La mattina del matrimonio, la sposa si ritrovò a casa tutte le sue amiche. Isshiki era andato a dormire in un hotel, visto che la sua dolce metà voleva rispettare la tradizione “non dormire insieme la notte prima del matrimonio”.
Yuki e Alice guardavano con aria sognante la truccatrice che stava ancora di più abbellendo Nene.
“Allora, allora? Sei emozionata?! Ti viene da piangere?”, chiese la prima.
“Sarei più tranquilla se solo non me lo ricordassi ogni secondo! Ma non dovreste essere con i vostri mariti e fidanzati?”
“Tranquilla, i ragazzi hanno da fare...”

E il “da fare” di cui Yuki parlava, era nientemeno il cercare di condurre Isshiki sano e salvo fino alla chiesa in cui la cerimonia si sarebbe svolta.
“Andiamo, Isshiki! Non fare lo stupido e indossa la camicia!”, lo pregò Takumi.
“Ma mi opprime! Non lascia libero il mio respiro e la voglia di vivere!”, proclamò lo sposo con grande teatralità.
“Stanotte potrai liberare tutto quello che vuoi, ma adesso vestiti!”, supplicò il biondo. “Neanche Soma era così il giorno in cui ci siamo sposati”
“Io ero solo depresso, perché sapevo che avrei passato con te il resto della mia vita”
“Che spiritoso...”, fece alzando gli occhi al cielo.
La porta della stanza si aprì.
“Nii-san!”, esclamò Isami, con Satoru che si aggrappava alla sua gamba. “Sbrigatevi, dobbiamo andare!”
“È colpa di questo qui! Spero che tu non abbia cose strane in mente, Isshiki!”
“Tranquillo! Posso rimanere un attimo da solo?”
“Ah! Adesso vuole rimanere da solo!”, borbottò afferrando il marito per un braccio. “Sbrigati!”.
Isshiki lo rassicurò con un sorriso. Poi si fiondò a prendere il suo fidato grembiule rosa.
“Di certo non ci rinuncerò proprio oggi!”.
Malgrado sembrasse un’impresa impossibile, alla fine Isshiki riuscì ad arrivare all’altare ben prima di Nene. Le ragazze avevano raggiunto i loro rispettivi compagni e mariti, aspettando trepidanti l’arrivo della sposa.
“Com’è andata? È nervosa?”, chiese Shinomiya a sua moglie.
“Non saprei dirlo. E con Isshiki com’è andata?”
“Puoi benissimo immaginare il come!”.
Dietro di loro, invece…
“Tsukassan, fai tante foto, mi raccomando!”
“Ma io voglio godermi la cerimonia!”
“Ah, va bene, ci penso io! Adoro i matrimoni, spero di non piangere”
“Come al nostro”
“Da che pulpito...”
“Sssh, ragazzi!”, li richiamò Rindou. “Guardate, ecco la sposa!”.
Gli occhi di tutti i presenti si illuminarono nel vedere la figura di Nene avvolta nel bianco candido. Aveva lasciato i capelli sciolti, raccogliendoli da un lato. Per quella volta aveva optato per le lenti a contatto, lasciando che il suo bel viso venisse fuori. L’abito era aderente e in pizzo, molto di classe. I suoi occhi lucidi e il rossore sul suo viso, lasciarono ben intendere quanto emozionata fosse.
“Com’è bella!”, fece Kuga tenendo il telefono fisso su di lei. “E Isshiki come sta?”
“Rigido come un bastone! Non l’ho mai visto tanto serio in vita mia!”.
La sposa avanzò sulla navata, in sottofondo la marcia nuziale e i commenti d’affetto e ammirazione dei suoi amici. Isshiki si era perso a guardarla. Mai, neanche un attimo della sua vita aveva dimenticato quanto fosse innamorato di lei, ma in quel momento se ne rendeva conto più che mai. Quando Nene lo raggiunse, le si avvicinò, posandole un bacio sulla fronte e sussurrandole un “sei bellissima” a cui lei rispose con un dolce sorriso.
Poi la cerimonia ebbe inizio. Trepidanti, gli invitati non aspettavano altro che il fatidico sì.
Fu abbastanza strano vedere Isshiki tremare mentre tentava di infilare l’anello al dito della sua sposa, e fu altrettanto strano vedere Nene trattenere a stento le lacrime.
Alla fine dei conti, tutte le ragazze erano scoppiate a piangere, insieme a Takumi, Marui, Tsukasa e Kuga.
“Che teneri, alla fine vi siete commossi entrambi!”, esclamò Rindou con gli occhi lucidi.
“Io sono una creatura sensibile!”, si giustificò Terunori, mentre Eishi cercava un fazzoletto da porgergli.
I matrimoni erano sempre un gran bell’avvenimento, pieni di gioia e lacrime di felicità.
Dopo la cerimonia, arrivò il momento di raggiungere il luogo predestinato per il ricevimento: uno spazio immenso ed elegante, fresco e dai colori caldi. Provarono tutti un grande sollievo nel ritrovarsi lì.
“Momo!”, Rindou corse ad abbracciare la sua ex compagna di scuola. “Passano gli anni, ma sei sempre adorabile, posso pizzicarti le guance?”
“Veramente gradirei che non lo facessi”, ammise lei seria. Nonostante fosse oramai una donna fatta a finita, forse a causa del suo aspetto tenero e carino, la gente tendeva a trattarla come una bambina.
“Scusala, Momo, non sa proprio trattenersi”, Kuga tentò di staccarla da lei.
“Uffa! Sei venuta sola?”
“No, quell’antipatico di Eizan mi ha dato un passaggio. Eizan?”, lo chiamò.
Rindou sollevò lo sguardo e allora i suoi occhi si incrociano con quelli del suo ex compagno di scuola. Non era cambiato molto, sul viso aveva sempre quell’espressione un po’ arrogante. Eppure vederlo le fece un immenso piacere.
“C-Ciao, Eizan!”, salutò entusiasta.
“Rindou”, chiamò. “Tsukasa, Kuga… Ci siete proprio tutti”
“Esatto!”, esclamò Terunori. “Allora, come va la vita? Hai trovato una donna in grado di sopportarti?”
“Questi non sono affari tuoi!”
“Vorrei qualcosa da bere”, aggiunse Rindou. “Eizan, mi accompagni?”.
Quest’ultimo avrebbe voluto chiederle perché, fra tutti, proprio lui. Però alla fine non gli dispiacque neanche troppo. Nel vedere quella scena, Tsukasa e Kuga si guardarono.
“Sbaglio o Rindou ci sta deliberatamente provando?”
“Non sbagli. Con Eizan, eh? Non male, devo dire non male...”.

Takumi tentò di non farsi investire da Satoru e Yukio, quei due bambini erano davvero scatenati.
“Ma volete fare attenzione? Maledizione, farò meglio ad abituarmi a tutto questo”
“Oh-oh, Takumi!”, Soma gli andò dietro con un piatto strapieno. “Su, mangia un po’”
“Veramente non ho fame”
“Ho detto mangia! Non puoi essere deperito, le forze ti serviranno”
“Già, lo so. Ma dove sono Kuga e Tsukasa?”
“Esattamente… lì!”, il rosso indicò i loro migliori amici. “Ehi! Allora, come procede la questione “figli”?
“Procede che dopo il matrimonio partiremo subito per gli Stati Uniti”, spiegò Eishi.
“Ah, ma come così? Di già?”
“Cosa credi? Io mi ero tenuto pronto. E poi voglio fare questa cosa più in fretta possibile, non è esattamente una passeggiata”, spiegò Kuga velocemente, guardandosi poi intorno. “Sono stuzzichini al salmone quelli? Ne voglio cento!”.
Facendo presente ciò, Kuga si trascinò dietro il marito. Andati via loro, comparve invece Isshiki, che stava già dando i primi segnali di malcontento. Si era infatti sbottonato la camicia per avere un po’ d’aria.
“Ehi, sposo! Che cosa stai tramando?”, gli chiese Soma.
“Spero niente, altrimenti tutti i miei sforzi saranno stati inutili!”, sbuffò Takumi. Isshiki però fece abilmente finta di niente e, mentre la sua sposa parlava con i vari invitati, pensò bene di andare ad infilarsi in bagno.

“Mi vedi diversa?”, chiese Megumi a Yuki. Quest’ultima fece spallucce.
“Ti senti diversa?”, domandò a sua volta lei. “Hai qualche sintomo?”
“Per esempio?”
“Beh, nausea, libidine alta, sensibilità agli odori, umore altalenante, seno gonfio…. Però non mi pare siano diventate più grandi”.
Arrossendo, Megumi si sistemò l’abito.
“Farò un altro test di gravidanza, e se è negativo giuro che andrò direttamente da un dottore! Non posso dare di matto”
“Ah, tranquilla Megumi! Quando aspettavo Satoru l’ho scoperto quasi due mesi dopo, è colpa degli ormoni”
“Ormoni, sì… grazie, questo mi consola molto”, fece per bere un aperitivo alcolico, ma poi ci ripensò. Preferiva non rischiare a priori.
Poco dopo accadde una cosa che molti tra gli invitati avevano sperato non accadesse: Isshiki si era liberato dei vestiti e aveva indossato comodamente il suo grembiule rosa. Poi, con una calma invidiabile, si avvicinò alla sua sposa.
“Allora, cosa mi sono perso?”
“Noi stavamo… SATOSHI, COSA STAI FACENDO?!”
“Cosa?!”
“Ti avevo detto di non fare cose stupide, e tu cosa fai?! Cose stupide, perfino il giorno del nostro matrimonio! Rivestiti, svergognato!”
“Oh, andiamo Nenenuccia, lo sai che le mie ali non possono essere tarpate”, tentò di tranquillizzarla, sebbene inutilmente.
Takumi scosse il capo.
“Il matrimonio più breve nella storia...”.


Qualche giorno dopo il matrimonio, Takumi si stava ritrovando a fare delle ricerche sul suo portatile. Lui e Soma stavano seriamente cercando una casa più grande in vista del nuovo arrivo che ci sarebbe stato di lì a poco (o almeno così speravano). Per questo, aveva deciso di passare la sua giornata libera a fare ricerche, mentre il marito si trovava al super mercato in vista dei saldi.
“Sì, Soma. Forse qualcosa ho trovato”, gli disse al telefono. “Ho fatto una lista, poi ti faccio vedere e… cosa? Perché adesso mi chiedi del pollo? Prendi quello che vuoi, non lo so! Sì… un momento, stanno bussando alla porta. Chi è?”.
Si alzò. Per sua grande sorpresa, trovò Yuki con in braccio Satoru.
“Yuki?”
“Ciao, cognato!”, salutò allegramente. “Fai qualcosa?”
“Veramente stavo facendo delle ricerche e...”
“Ah, perfetto, magnifico!”, rispose facendosi avanti. “Senti, fra poco io e Isami torneremo in Italia, per cui vorrei davvero passare una giornata tranquilla. E poi, tu hai assolutamente bisogno di far pratica, quindi, perché non prendere due piccioni con una fava?”.
Takumi assottigliò lo sguardo.
“Tu mi stai scaricando tuo figlio soltanto perché vuoi una pausa”
“Ed anche se fosse? Sono una mamma a tempo pieno, avrò diritto a un po’ di riposo?”, posò Satoru sul divano, posandogli un bacio sulla fronte. “Adesso ti lascio qui, mi raccomando, comportati bene. Vengo a prenderlo domani mattina”
“Domani? Vuol dire che deve dormire qui?”
“Esatto, più tempo per far pratica! Ci vediamo più tardi!”.
Il padrone di casa era rimasto semplicemente sconvolto. Yuki era venuta lì e gli aveva scaricato suo figlio... per far pratica, diceva lei!
“Zio Takumi, voglio un succo di frutta!”, la prima richiesta del bambino non tardò ad arrivare.
“Amh, Soma? Sei ancora in linea? Sì, Yuki mi ha appena scaricato suo figlio. Non posso farcela da solo, sbrigati a tornare!”. Raccomandatogli ciò, chiuse la chiamata, sorridendo poi nervosamente in direzione del nipote.
“Allora, Satoru… ti darò quello che vuoi. Però… te ne prego… per favore… potresti startene buono qui a non fare cose strane?”.
Ovviamente, chiedere una cosa del genere ad un bambino vivace come lui era come chiedere ad un pesce di non nuotare. Satoru infatti non aveva perso tempo, e con un biscotto in mano aveva preso a girovagare per casa, ad arrampicarsi e a curiosare in giro.
“Satoru, ti prego! Mangia in cucina, sporcherai tutto! Perché i bambini non mi prendono sul serio? E soprattutto, perché quell’idiota di Soma non è ancora tornato?!”.
Quando sentì il campanello stridere, il biondo pensò che finalmente la sua salvezza fosse arrivata. Ma non si trattava di Soma, bensì di Kuga con Simba tra le braccia.
“Kuga?! Che fai qui?”, domandò esasperato.
“Ciao, Takumicchi! Senti, mi serve un favore! Dovresti tenere Simba finché non torno”
“Perché, parti oggi?”
“No, ma ho delle cose da sbrigare, e il mio bambino ha bisogno di attenzioni”
“Senti”, sospirò. “Mi piacerebbe, ma sto già badando a Satoru e...”
“Andiamo, Takumicchi! Fallo per me! Dovresti essere onorato del fatto che mi fido di te tanto da lasciarti Simba! Non abbiamo forse condiviso tutto insieme? Le gioie, i dolori, sono stato accanto a te il giorno del tuo matrimonio, ti ho...”
“VA BENE HO CAPITO!”, urlò. “Maledizione, che melodrammatico! Me ne occuperò io, d’accordo!”
“Bene!”, Kuga gli porse il cucciolo e un piccolo zainetto. “Qui c’è tutto quello che gli serve. E stai attento che tuo nipote non gli tiri il pelo”, poi si posò sul cucciolo, accarezzandolo. “Papà torna presto, fai il bravo, okay?”
“Sì, sì, okay, adesso vattene!”, borbottò Takumi già abbastanza nervoso. Non solo doveva prendersi cura di un bambino, ma anche di un cucciolo! Bambini e cani insieme erano sempre un’accoppiata disastrosa.
“Simba!”, esultò Satoru. “Che bello, c’è Simba!”.
Quest’ultimo, nel sentirsi chiamare, volle letteralmente essere messo giù, in modo da poter giocare con il suo piccolo amico e anche leccare le briciole di biscotto sparse in giro per casa. Takumi si portò una mano tra i capelli, esasperato. Ci mancava solo quella. Far pratica? D’accordo, forse, nonostante tutto, era anche una cosa possibile, anche se questo avrebbe sicuramente significato dire addio alla sua pace.
Satoru e Simba sembravano amici per la pelle, visto che il chow chow lo seguiva ovunque.
“Aiuto”, sospirò Takumi. “Satoru, tu devi fare un bagno”. Il bambino però prese a scuotere il capo.
“Non voglio”
“Beh, mi dispiace, non vedo altra scelta. Coraggio, andiamo”. Suo nipote però saltò subito in piedi, deciso a non sottostare, prendendo a girargli intorno.
“Vuoi star fermo sì o no?!”
“Simba può fare il bagno con me?”
“Assolutamente no. E poi, con tutto quel pelo ci vorrebbe una vita per asciugarlo?”
“Allora, io non vengo. E voglio un altro biscotto”, dichiarò a braccia conserte.
“Non puoi, ti fa male!”, esclamò. “Senti, piantala, d’accordo?”.
Tentò di afferrarlo, con il risultato di farlo scappare. Ben presto, per Satoru si trasformò tutto in un gioco. E questo non andava bene. Cosa avrebbe fatto quando un domani avrebbe avuto un figlio suo? Si sarebbe fatto sopraffare così? Assolutamente no. Però si sentiva anche stanco e afflitto, non aveva la lucidità mentale per pensare ad un piano ben costruito.
“Satoru, andiamo, ma non vuoi proprio?”
“No!”, esclamò lui scuotendo la testa. Il biondo alzò gli occhi al cielo. Poi, non seppe in che modo, gli venne un’idea.
“Oh, è un vero peccato”, cominciò a dire con tono affabile. “In questo modo non potrai far visita al mondo dei Sorrisaraki*”.
Satoru sollevò lo sguardo, curioso.
“Che cosa sono?”
“Degli esserini che vivono dentro le spugne. Sai, solo i bambini possono andarci. Ma visto che non vuoi fare il bagno, non sarà possibile per te visitare quel magico mondo fatto di allegria e canzoni… eh?”, domandò guardandolo negli occhi. Il bambino batté le palpebre. Sembrava quasi del tutto convinto.
“Apri l’acqua della vasca!”, ordinò. “Io arrivo subito!”.
Takumi annuì, esultando poi internamente. Non ci voleva altro, soltanto un po’ di inventiva. Quello per lui rappresentava una piccola vittoria. Dopo il bagno, diede a Satoru da mangiare, e ciò fu addirittura più facile di quel che pensava. Dopodiché il bambino si sedette sul divano a guardare Il re leone insieme a Simba, mentre Takumi finiva di pulire. Si sentiva esausto, questo era certo, ma riuscire a prendersi cura di un’altra persona dava una certa soddisfazione. Certo quello era solo un assaggio di quello che avrebbe vissuto quando avrebbe avuto un figlio suo.
Simba sollevò la testa, abbaiando. Soma era appena rientrato.
“Zio Soma!”, esclamò il bambino andandogli incontro. “Oggi ho fatto un sacco di cose! Ho giocato con Simba, poi ho fatto il bagno. E sono stato nel mondo dentro la spugna, c’erano i Sorrisaraki”
“Ah, sì?”, domandò scompigliandogli i capelli, guardando poi il marito. “Che storia è questa?”
“Lascia fare”, sussurrò posandogli un bacio sulle labbra. “Perché ci hai messo tanto?”
“Lo sai come sono io! Comunque sia... La casa è tutta intera e tu non sei esaurito. Direi che è un gran passo in avanti”. Takumi alzò gli occhi al cielo.
“Su, Satoru, è ora di andare a dormire”
“Non ho sonno”
“Te lo dovrai far venire o l’uomo nero verrà a mangiarti”
“Traumatizzare i bambini? Ottima mossa”, rise Soma, infilando poi il telefono in tasca. Era Isami.
“Ehi! Tranquillo Isami, sia tuo figlio che tuo fratello sono vivi!”
“Soma! Non è per questo che ti ho chiamato. Jun, lei...”
“Jun? Che cosa ha fatto?”
“Ha avuto un incidente”
.


NDA
* E' una cosa che ho preso da un film d'animazione che mi piaceva molto da bambina, io non so... XD

Comunque, la mia vena angst è tornata di nuovo. Dopo un capitolo pieno di allegria e fluff... il dramma. Cosa sarà successo a Jun?

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Capitolo 8
*** Partenza ***


8 – Partenza

L’idillio era stato rotto. E nella maniera più terribile e catastrofica che nessuno avrebbe potuto immaginare. Takumi era corso immediatamente in ospedale. Satoru stava avvolto in una coperta in braccio a lui, si era addormentato in macchina, Simba invece stava comodamente in braccio a Soma. Quando arrivarono, li trovarono tutti lì. Kuga e Tsukasa, Yuki e Isami, Erina e Hisako, Megumi e Shinomiya, Ryoko e Ibusaki.
“Ragazzi!”, esclamò il biondo. “Mio Dio, che cosa è successo?”.
Yuki si avvicinò a lui, guardando con tenerezza il bambino e accarezzandogli i capelli scuri.
“Che tenero, dorme come una angioletto...”, mormorò con le lacrime agli occhi. E poi scoppiò a piangere in modo disperato, per l’ennesima volta nel corso di quelle ore.
“Ragazzi, che è successo?”, domandò il biondo impaziente. “Ho capito che c’è stato un incidente, ma come sta Jun? Allora?”.
A quel punto sembrò quasi che nessuno avesse la forza di rispondere. Ryou si avvicinò, lo sguardo basso e più serio del solito.
“Ryou!”, esclamò Soma. “Ebbene?”.
Lui scosse il capo debolmente.
“Jun… lei… non c’è la fatta...”, sussurrò senza respiro. Takumi ebbe quasi un mancamento a quella notizia, tanto che fu per lui necessario aggrapparsi a Soma. Erano sempre stati tutti insieme sin dai tempi della scuola. E, di certo, una donna dolce e gentile come Jun non si meritava una fine del genere. Eppure era successo.
“No… non è vero… non è successo… Soma...”
“Takumi, mi dispiace. Vieni qui”, sussurrò attirandolo a sé posandogli un bacio sulla fronte. Era calato nuovamente il silenzio, interrotto soltanto da gemiti mal trattenuti. Kuga guardava verso il basso. Simba sembrava aver percepito la sofferenza del suo padrone, perché aveva poggiato il muso sulla sua spalla, prendendo a guaire.
“Il bambino”, si ricordò ad un tratto. “Dov’è Yukio?”
“Yukio è con Akira”, rispose Megumi asciugandosi gli occhi. Ryou sollevò lo sguardo. Oltre la porta che aveva davanti, Hayama si trovava con il piccolo.

Yukio ne era uscito praticamente illeso, eccetto qualche graffio. Non aveva neanche perso i sensi. Adesso, i suoi occhi erano più vispi che mai. Ignorava ancora quale triste destino gli fosse toccato. E Hayama stava cercando le parole giuste per dirglielo. Non era facile dover spiegare a un bambino di tre anni che la madre se n’era andata per sempre.
Il piccolo, seduto sul letto, giocava con un trenino giocattolo, chiedendo impazientemente della madre.
“Quanto ci stanno a curare la mia mamma?”, chiese. Akira si portò una mano sul viso, esasperato. Probabilmente non esistevano parole giuste. Probabilmente doveva essere sincero con delicatezza, nulla di più.
“Yukio… senti… devo dirti una cosa”, affermò serio. “Jun… la tua mamma… lei… lei è andata via”.
Lui lo guardò curioso.
“Dov’è andata? E quando torna?”
“Il… problema è questo. Lei non torna, Yukio. È andata… molto, molto, lontano”.
Si sentì stupido. Yukio gli aveva fatto una domanda semplicissima, e lui non era neanche in grado di rispondere decentemente, né di trattenere le lacrime. L’unica cosa che riusciva a fare era guardare i suoi occhioni e pensare a quanto la vita fosse ingiusta.
“La mamma è morta…?”, chiese poi ad un tratto il piccolo. Hayama si sorprese, non avrebbe mai pensato che un bambino potesse avere un’idea di cos’era la morte Eppure, lui glielo aveva chiesto senza girarci troppo intorno. L’adulto abbassò lo sguardo, annuendo debolmente.
“È cosi...”, riuscì semplicemente a dire. Yukio rimase per qualche attimo immobile. Poi si appallottolò su se stesso. E allora prese a piangere. Era un pianto diverso dagli altri, non dettato da un capriccio o da una caduta mentre giocava. Era dolore vero. E paura.
Akira non poté resistere a quella scena, così abbraccio quel piccolo esserino.
“Mi dispiace, Yukio”
“Non è giusto!”, esclamò. “Voglio la mia mamma. Senza lei sono da solo!”
“Non sei solo!”, l’abbraccio si fece più stretto. “Mi prenderò io cura di te, te lo giuro”.
Lo promise a lui e anche a se stesso. Si sarebbe preso cura di lui, non avrebbe lasciato che finisse in qualche istituto o in mano agli assistenti sociali. Quello era un compito che poteva essere suo e suo soltanto.


Circa tre giorni dopo ci fu il funerale. C’erano molte nuvole che coprivano il sole, tuttavia non pioveva. C’era soltanto una consistente pioggia di lacrime.
Akira era in prima fila per dare l’ultimo saluto alla donna che praticamente lo aveva cresciuto e che lo aveva reso l’uomo che oggi era. Yukio se ne stava accanto a lui, stringendogli la mano e standosene in silenzio. Akira avrebbe voluto evitare di portarlo lì, ma il bambino aveva insistito, doveva esserci. Ryou era molto meno bravo ad esprimere le sue emozioni, come sempre del resto. Si sentiva semplicemente devastato, soprattutto nel vedere la persona che amava struggersi dal dolore, senza poter fare nulla.
Prima di dire addio per sempre a Jun, quelli che in vita erano stati suoi amici si avvicinarono e posarono un fiore sul suo corpo: una margherita, semplice e timida come lei.
Yukio tirò su con il naso.
“Non voglio… non voglio...”, mormorò ad un tratto. “Mamma...”.
Akira gli portò una mano sulla testa. Se faceva male a lui, non poteva neanche immaginare quello doveva star passando Yukio, così piccolo eppure già così sofferente.
A funerale finito, Takumi e Tsukasa si allontanarono e si sedettero su una delle panchine vicine. Il biondo si massaggiò le tempie.
“Ancora non me ne capacito. Stava andando tutto così bene, e poi è successo questo… E povero Yukio… Fortuna che ci sono Akira e Ryou… Dio, anche se su quest’ultimo non conterei più di tanto”
“Non preoccuparti per questo, sono certo che andrà bene. Accidenti...”, disse poi. “Come faccio ad avere un figlio? E se morissi anche io?”
“È diverso! Lui avrebbe Kuga. Non penso morireste entrambi, sarebbe… davvero una sfortuna”
“Sì… la devo smettere di pensare a certe cose”, sospirò. “Il volo è fissato fra due giorni. Anche se con l’umore un po’ a terra… dovremo andare comunque”
“Su, Tsukasa. Alla fine ognuno di noi ha un bel motivo per andare avanti”
“Sì, immagino tu abbia ragione”, rispose puntando lo sguardo su Kuga, il quale stava passeggiando Simba.
Probabilmente si era immedesimato troppo, ma gli veniva naturale.
“Scusate, interrompo qualcosa?”, domandò Soma avvicinandosi ai due.
“Soma… assolutamente no!”, esclamò Takumi.
“Bene… senti, so che può sembrare strano, ma io vado a lavoro, sento il bisogno di distrarmi. Ma tu rimani pure qui”
“No, vengo a darti una mano”, sospirò il biondo. “Ci vediamo, Tsukasa”.
Lui gli sorrise. Poi decise di avvicinarsi a Kuga, il quale era giustamente troppo silenzioso.
“Ehi...”
“Tsukassan. Questa non ci voleva… accidenti… forse dovremmo rimandare il viaggio?”
“No, io credo di no. Dovremmo farlo adesso, se ce la sentiamo”
“Cavolo, hai ragione”, sbuffò prendendo Simba in braccio. “Io, tu e Rindou dovremmo affrontare un lungo cammino, e non mi riferisco solo al fatto che dobbiamo attraversare l’Oceano Pacifico. Anzi, probabilmente è un cammino che è già cominciato, eh?”
“Già. Comunque sia, credo che Simba stia crescendo, tra poco non potrai più tenerlo in braccio”.
Kuga gli lanciò un’occhiataccia.
“Bugiardo! Dici certe cose solo ed esclusivamente per farmi arrabbiare”.
E questa era una cosa assolutamente vera.

Hayama e Ryou erano tornati a casa loro dopo una giornata stancante e spossante. Il primo teneva in braccio Yukio, il quale si era addormentato con la testa sulla sua spalla.
Si premurò di sistemarlo sul suo letto delicatamente, in modo da non svegliarlo. L’attenzione con cui si dedicava a lui non era sfuggita a Ryou, il quale credeva di aver già capito quali fossero le sue intenzioni.
“Ebbene? Adesso?”, domandò senza troppi giri di parole.
“Adesso che cosa?”
“Di Yukio che ne sarà?”. Akira fece spallucce, scostando lo sguardo.
“Non possiamo lasciarlo da solo. Non ha parenti prossimi”
“Non ha un padre da qualche parte?”
“No!”, esclamò duro. “Io non lascio Yukio ad un estraneo”
“Ah, ma sentilo. Ne parli come se fosse tuo”
“Beh, forse un po’ lo è. Andiamo, abbi cuore! Non possiamo lasciare che venga rinchiuso in qualche squallido orfanotrofio”
“Tu dici così soltanto per colmare il tuo desiderio di avere un figlio”
“E che cosa ci sarebbe di male? Lui ha bisogno di una famiglia, e non intendo abbandonarlo. Quindi lo adotteremo”.
Ryou spalancò gli occhi.
“Non ci posso credere, allora vuoi farlo seriamente! Questa non è una buona idea”
“Così ho deciso e così sarà”
“Non ne siamo in grado!”
“Nessuno è in grado all’inizio, impareremo!”
“La mia opinione non la tieni neanche in considerazione!”
“Sì che la tengo in considerazione. Forse sei tu che non consideri quello che voglio”, sussurrò guardandolo negli occhi.
Hayama era irremovibile su quella sua scelta, e Ryou sapeva che sarebbe stato tutto inutile.
A causa di tutto quel trambusto, Yukio aveva finito con lo svegliarsi. Si stropicciò gli occhi, adesso era davanti ai due adulti.
“Yukio, scusa. Ti abbiamo svegliato?”, domandò gentilmente Akira.
“Io non voglio dormire da solo”, si lamentò gonfiando le guance.
Ryou alzò gli occhi al cielo.
“Beh? Occupatene tu, non guardare me”, borbottò. Akira si trattenne dal rispondere. Prima o poi Ryou avrebbe accettato la cosa, la sua era tutta una facciata, ma lui, che da tanti anni lo conosceva, aveva imparato a conoscere anche il suo lato più sensibile.

Qualche giorno dopo…

Per Tsukasa, Kuga e Rindou era arrivato il momento di partire. Soma e Takumi si erano gentilmente offerti di accompagnarli, anche perché in questo modo Terunori poteva salutare per l’ennesima volta il suo cucciolo adorato, da cui faceva fatica a separarsi.
“Mi raccomando, pettinagli il pelo una volta al giorno”, piagnucolò rivolgendosi a Takumi. “E se lo metti davanti alla TV non fargli guardare programmi idioti, solo documentari. Simba mio, mi mancherai!”
“Oh, cielo”, sospirò Soma. “Fareste meglio a sbrigarvi, l’aereo partirà tra poco. Pensa alla cosa positiva, quando tornerete sarete… in tre e mezzo”
“Spero effettivamente che sia così”, Tsukasa afferrò Kuga per un braccio. “Grazie per il passaggio, augurateci buona fortuna”
“Buona fortuna!”, esclamarono i due in coro.
“Ragazziiii!”, gridò Rindou entusiasta. “Andiamo, all’avventura!”
“Ho capito!”, sbottò Kuga. “Ciao ragazzi. Ciao, mio piccolo cucciolo!”.
Tsukasa se lo trascinò dietro prima che Kuga cambiasse idea. Simba aveva dal canto suo preso a guaire nel vedere il suo padrone allontanarsi.
“Ti prego, non ti ci mettere anche tu adesso. Non mi piacciono gli addii strappalacrime”
“Ma questo non è mica un addio”, chiarì Soma. “Adesso dobbiamo andare a lavoro”
“Con Simba. Non intendo lasciarlo a casa nostra, non so quello che potrebbe combinare”.

Adesso che Megumi si stava pian piano riprendendo dal dolore per la perdita subita, poteva tornare a concentrarsi sul suo obiettivo: rimanere incinta. Effettivamente non aveva più fatto un test di gravidanza da quella volta all’addio al nubilato di Nene. Quest’ultima e Yuki erano le sue confidenti, una era la ragione, l’altra il sentimento, un equilibrio necessario per non andare fuori di testa.
“Sono un po’ nervosa”, confidò Megumi camminando avanti e indietro.
“Sta tranquilla, su”, tentò di rassicurarla Nene. “Due minuti non sono poi così tanti”
“Due minuti sono tantissimi! Sai quante cose possono accadere in due minuti?”, rincarò la dose Yuki.
“Sì, grazie!”, la zittì l’altra. “Non ascoltarla, Megumi”.
Quest’ultima deglutì, con in mano il test di gravidanza, l’ennesimo. Ad un certo punto le sue preghiere furono finalmente esaudite.
Sebbene ci avesse sperato a lungo, non sarebbe stata pronta comunque.
“Positivo”, sussurrò con un filo di voce.
“FINALMENTE!”, Yuki le saltò addosso. “VISTO? BASTAVA SOLO UN PO’ DI PAZIENZA!”
“Oh, sei sempre così irruente!”, sbottò Nene. “Megumi, ti senti bene?”.
La diretta interessata batté le palpebre. Si sentiva felice, mentalmente esausta, spossata e impaurita. Tutto ciò insieme.
“Io credo di star per svenire”
“Ah, no, non si sviene! Dobbiamo rimanere tutti tranquilli. Anche perché adesso… arriva la parte più difficile”.
Nene aveva appena finito di parlare, quando sentì la chiave infilarsi nella serratura.
Shinomiya aveva appena rincasato, stanco e afflitto. E sicuramente tutto si aspettava, meno che trovare quelle due lì.
Per Megumi fu istintivo nascondere il test dietro la schiena.
“Ma che cosa ci fate voi qui?”. Yuki e Nene si guardarono.
“Noi? Niente… e tu?!”, chiese nervosamente la prima.
“Sapete com’è, ci vivo”, sbuffò seccato. “Megumi, che state tramando?”
“Non stiamo tramando assolutamente nulla, niente di niente!”, esclamò nervosa. “Perché non vai a farti una doccia? Intanto io caccio Nene e Yuki”
“Questa cosa mi piace. D’accordo allora, vado”.
La ragazza si sforzò di mantenere un sorriso, sorriso che scomparve immediatamente dopo.
“Oh, mio Dio!”, esclamò. “È positivo! E adesso? Ci ho sperato per così tanto tempo da non aver pensato a come dirglielo!”
“Beh, farai bene a trovare un modo, perché prima o poi se ne accorgerà”, disse giustamente Nene.
“Lo farò...”, sospirò profondamente. “Sì, lo farò. Ma adesso ve ne dovete andare per davvero”
“Ma io volevo esserci”, piagnucolò Yuki. Nene alzò gli occhi al cielo, afferrando l’amica per un polso e trascinandola con sé. Era meglio non intervenire in quelle questioni private.
Ah, no. Loro erano già abbondantemente intervenute.

Portare Simba al lavoro non si era dimostrata poi una scelta sbagliata. Quando meno c’era Joichiro che se ne occupava… o probabilmente era solo una scusa per non lavorare.
“Ma che bel cagnolino!”, esclamò l’uomo con gli occhi che brillavano. “Ti va una salsiccia?”
“Papà, non dare cibo a Simba! Kuga non ci ha raccomandato altro”, sospirò Soma.
“Oh, andiamo. Fammi fare un po’ di pratica per quando arriverà il mio nipotino”
“Oh, sì, effettivamente è la stessa cosa!”, esclamò Takumi con un coltello in mano, cosa che lo fece apparire piuttosto minaccioso. Soma si avvicinò cautamente, togliendogli il coltello dalle mani.
“Così va molto meglio”
“Sì, scusa. Sono solo stressato. L’attesa mi innervosisce”
“Dai, Takumi! Felicità!”, suo marito tentò di rallegrarlo. Poi si portò una mano sulla tasca, dove il suo telefono aveva preso a vibrare. Magari si trattava di Kuga. Possibile che fosse già arrivato?
Sebbene si trovasse nel bel mezzo del lavoro, rispose comunque. Il numero del mittente era strano.
“Pronto? Chi è?”
“Buongiorno, parlo con il signor Yukihira Soma?”, domandò una voce femminile.
“In carne ed ossa. E io con chi parlo?”
“Sono un’assistente sociale. Un po’ di tempo fa, lei e il suo compagno avete fatto richiesta di adozione, vero?”
“Soma, ma chi è?”, domandò Takumi. Il rosso lo guardò.
“Sì, è esatto… non mi dica che non è stata accettata! È perché siamo due uomini?!”
“Coooosa?!”, il biondo sembrava già pronto ad andare all’attacco. “Ci parlo io, dà qua!”
“Assolutamente no, tutto il contrario!”, disse l’assistente sociale. “Sareste disposti a venire fino in Hokkaido? Ci sarebbe un bambino che vi aspetta...”.
Soma si poggiò ad uno dei banconi nel tentativo di non svenire. Quella notizia era arrivata all’improvviso, non si era neanche preparato psicologicamente.
Takumi se ne accorse e, almeno inizialmente, si spaventò.
“S-Soma?”
“Sì! Certo che veniamo! Anche subito!”
“Bene, allora. Tuttavia… c’è una piccola questione da risolvere. Nulla di grave, ve ne parlerò quando sarete qui”
“Sì! Sì cavolo!”, esclamò Soma felice. “La ringrazio davvero. Grazie, grazie, grazie!”.
Takumi sbuffò impaziente. Cos’era successo? E perché lui doveva essere sempre il secondo a sapere le cose?
Il rosso chiuse la chiamata, guardandolo poi con gli occhi che brillavano.
“E quindi? Vuoi parlare sì o no?”.
Per tutta risposta, suo marito si avvicinò, donandogli un bacio ardente e carico di passione.
“Mh, ma cosa? Che significa questo?”, chiese Takumi.
“Preparati, perché si va in Hokkaido. Nostro figlio ci aspetta”
“C-cosa?”, sussurrò lui con gli occhi spalancati. “Cosa?! Stai dicendo sul serio?”
“Sì che dico sul serio! Mi hanno appena chiamato per dirmelo!”.
Takumi avrebbe voluto fare tante cose, ridere, piangere, urlare al mondo la sua gioia, ma di fatto non riuscì a spiaccicare mezza parola. Era rimasto letteralmente paralizzato e con le lacrime in bilico sulle ciglia. Poi portò una mano sulla spalla di Soma.
“Sta succedendo davvero?”. Lui annuì.
“Davvero, Takumi”, lo rassicurò, dandogli una carezza su una guancia.
Quella sensazione era una delle più belle che avessero mai provato. Ed erano sicuri che quando avrebbero avuto il bambino sarebbe stato ancora meglio.
“Ho sentito bene?!”, esclamò Joichiro con Simba in braccio. Quest’ultimo teneva una salsiccia in bocca. “Andrete in Hokkaido?”
“Hai sentito bene, vecchio e… COSA TI AVEVO DETTO?!”.

Le prime ore in aereo, Kuga le aveva passate a parlare e a straparlare con Tsukasa, il quale si trovava al centro tra lui e Rindou, impegnata a guardare fuori dal finestrino e ad ascoltare musica. Era davvero difficile trattenere l’entusiasmo di suo marito, che già con le mente era proiettato nel futuro.
“Ovviamente il nome lo deciderò io. Ah, e poi dovrò comprare un sacco – e ripeto – un sacco di vestiti carini. Finalmente non dovrò più sfogarmi solo su Simba, non è una cosa meravigliosa?”.
Tsukasa sorrise nel guardarlo. Aveva già intuito chi sarebbe stato a comandare.
“Questo non è giusto. Sarai il suo preferito, mentre io sarò il genitore ansioso e rompiscatole”
“Beh, onestamente come posso non essere il preferito di qualcuno?”, gongolò. “Comunque, non farti troppi problemi, all’inizio i bambini non capiscono certe cose. Piuttosto, perché non sento Rindou?”.
Si accorse solo in seguito di come la ragazza si fosse addormentata profondamente.
“Bene… dovresti dormire anche tu, il viaggio è ancora lungo”
“Io non voglio dormire!”, esclamò lui a braccia conserte. “Sono troppo entusiasta per farlo!”.
Tsukasa si accasciò, rassegnato. Prima o poi Kuga sarebbe crollato. E infatti ciò avvenne due ore dopo. Troppo esausto per continuare a parlare, Terunori chiuse gli occhi – solo per qualche secondo diceva lui – e si addormentò.
A quel punto Tsukasa poté finalmente riposare.
Quando Kuga si svegliò, si sentì per qualche attimo spaesato. Aprì gli occhi, ritrovandosi accanto Tsukasa che leggeva. Rindou invece dormiva ancora, probabilmente non si era svegliata neanche mezza volta.
“Tsukasa…?”
“Kuga, ti sei svegliato. Meno male. Guarda, siamo arrivati!”.
Terunori scattò su, e ignorando il fatto che così facendo avrebbe svegliato Rindou, la scavalcò per guardare fuori dal finestrino. I suoi occhi brillarono. Erano arrivati in America, dove avrebbero realizzato il loro sogno.


NDA
Buon Ferragostoooo!
Incredibile la quantità di cosa che sono successe. Jun è morta... e mi dispiace, davvero, ma esigenze di trama. E' chiaro che Hayama vuole adottare Yukio, è altrettando chiaro che Ryou non è tanto d'accordo.
Finalmente Megumi è incinta, quanto Shinomiya darà di matto appena lo saprà?
Poi, so che non è molto credibile il fatto che Soma e Takumi già adottino, ma non potevo far passare anni, nel mio mondo ideale le adozioni si fanno subito. Poi, Kuga, Tsukasa e Rindou sono arrivati in America. E niente, un punto di partenza per tutti ^^

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Capitolo 9
*** Gioia e inizio ***


9 - Gioia e inizio


Takumi e Soma si rendevano conto che di lì a poche ore la loro vita sarebbe cambiata per sempre. E il viaggio fino in Hokkaido non lo aveva avvertito quasi per niente. Tutto il tempo lo avevano passato a parlare circa le loro paure, le loro speranze. Fino all'ultimo avevano temuto che qualcosa potesse andare storto. Probabilmente era questo ciò che si provava quando ci si trovava a due passi dal proprio sogno. Insonnia, stomaco chiuso, ansia, erano tutte sensazioni che entrambi stavano provando, Takumi era forse meno bravo a nascondere il suo stato d'animo. Sembrava tutto assurdo.

E ancora più assurdo fu il ritrovarsi davanti l'orfanotrofio in cui avevano appuntamento con l'assistente sociale. Takumi se n'era rimasto immobile per qualche istante prima che Soma lo riportasse alla realtà.
"Ehi, ti senti bene?".
Il biondo strabuzzò gli occhi.
"Eh? Cosa? Sì, sto bene. Mi sembra solo incredibile che siamo qui. Mi sembra incredibile il fatto che torneremo in tre, mi sta venendo il panico"
"Su, Takumi", suo marito gli portò una mano su una spalla. "Respiri profondi, okay? Affronteremo questa cosa insieme".
L'altro annuì, tentando di non dimenticarsi di una cosa fondamentale come il respirare.
"Va bene, andiamo",
Dentro l'orfanotrofio c'era un'aria strana, particolare. C'era lo scalpitare e i passi di bambini, c'era un'aria gioiosa ma anche di tristezza. Le creature che si trovavano lì erano sfortunate, abbandonate al loro destino per i motivi più svariati. Una volta arrivati dentro, Takumi sentì una morsa allo stomaco, stava in ansia, ma era un'ansia di quelle buone.
"Che attesa snervante", sospirò Soma a braccia conserte. "Mi chiedo poi quale problema ci sia. L'assistente sociale mi ha detto che c'era una questione di cui doveva parlarmi"
"CHE COSA?! E tu non mi hai detto niente? Soma!"
"È proprio per questo che volevo evitare di dirtelo!"
"Oh, d'accordo", annaspò. "Va bene, no problem, sicuramente non è niente di strano... spero".
Poco dopo ai due si presentò la stessa assistente sociale con cui avevano parlato al telefono.
"Dov'è il bambino?!", chiese subito il biondo senza riuscire a trattenersi. Si portò infatti le mani davanti la bocca, dandosi mentalmente dello stupido.
"Da questa parte", li invitò la donna. Takumi diede poi un pizzicotto a Soma, facendogli bene intendere cosa volesse.
"Ah, emh... qual è il problema che mi aveva accennato al telefono?".
Prima di rispondere, la donna li invitò ad entrare in quella che sembrava una nursery. Questo voleva dire una cosa sola: si trattava di un bambino molto, molto piccolo. Per un breve istante, Takumi desiderò tornare portarli a casa tutti con sé, sfortunatamente non era possibile.
"Eccoli qui", sentirono poi dire.
Soma chinò la testa di lato.
"Eccoli?".
Nella stessa culla, infatti, stavano due neonati incredibilmente somiglianti. Takumi si chinò su di loro, rimanendo colpito dai capelli biondo scuro sulle testoline, dalle guance arrossate e dalle mani così piccole e perfette. A giudicare da com'erano vestiti, erano un maschio e una femmina.
"Ma sono... sono due", sussurrò infatti il biondo.
"Il "problema" era questo. I due bambini sono gemelli e sono stati abbandonati dalla madre naturale subito dopo la nascita. Hanno infatti pochi giorni. Abbiamo provato a tenerli separati, ma piangono e urlano in maniera incontrollata se lontano l'uno dall'altro. Cercavamo qualcuno che volesse adottarli entrambi, anche se capisco che così all'improvviso è una pazzia. Sentitevi però liberi di decidere".
Takumi era semplicemente sconvolto. Se c'erano delle parole adatte, erano sicuramente "amore a prima vista" per entrambi i bambini. Il maschietto aveva aperto gli occhi, ancora dal colore indefinito, e prese a guardarlo, agitando le braccia. Il biondo allora si chinò molto lentamente - erano così piccoli che aveva paura di romperli! - e gli accarezzò delicatamente la testa. Soma invece dedicò la sua attenzione alla bambina, di cui sfiorò una mano. Quest'ultima si aprì e si richiuse subito dopo attorno al suo dito, in una morsa stretta.
Fu allora che si guardarono negli occhi. Non ci sarebbe stato bisogno di parlarne, era più che ovvio. Sebbene non fossero preparati ad un'evenienza del genere, non potevano scegliere. Non si poteva scegliere fra i propri figli, perchè era questo ciò che quei due bambini erano.
Soma allora sorrise.
"Loro verranno entrambi a casa con noi".
Takumi dovette ammettere che tenere in braccio una bambina così piccola e fragile era strano. Sarebbe stato compito suo e di Soma proteggere lei e il gemello da tutto il male, crescerli, essere la loro guida... ma improvvisamente niente faceva più paura. La bimba si era perso a guardarlo con gli occhi spalancati - e Takumi era abbastanza sicuro che quest'ultimi sarebbero stati chiari - completamente incantata. Soma invece teneva in braccio il maschietto, che si era addormentato sulla sua spalla, probabilmente doveva aver cercato inconsciamente un calore del genere.
"Allora", disse l'assistente sociale. "Dovete dirmi i nomi".
Un nome era una cosa importante. Ci avevano pensato a lungo, ne avevano ricercato qualcuno che avesse un significato profondo.
"Lei si chiama Kou"
"E lui si chiama Hajime".
"Sono davvero dei nomi bellissimi".
Fu così che Kou e Hajime Yukihira Aldini entrarono a far parte ufficialmente della famiglia.
Finalmente il loro sogno era stato realizzato, più che abbondantemente in realtà. Addirittura due gemelli, il destino doveva essere proprio dalla loro parte.
Lui e Soma avrebbero tanto voluto rimettersi subito in viaggio per tornare a casa, ma era oramai buio, quindi si arrangiarono come poterono andando in un bed and breakfast. Pensandoci... quella sarebbe stata la prima notte da genitori. A dir poco emozionante.
"Credo che sia possibile innamorasi così in fretta?", domandò Takumi con in braccio ancora Kou. "Perché sono abbastanza certo di aver perso la testa".
"Temo di sì, perché sono nella tua stessa situazione", Hajime si era appena svegliato e aveva aperto gli occhi. "Ciao, ometto. Benvenuto nella tua nuova famiglia. Prometto che a te e a tua sorella non mancherà mai nulla. Gli altri non potranno crederci quando vi vedranno. E mio padre andrà fuori di testa".
Hajime lo guardava con curiosità mentre parlava. Poi però prese a piangere.
"No!", esclamò Soma. "Che cosa ho fatto? Ho detto qualcosa che non dovevo?"
"Sciocco, magari ha solo fame. Prepara del latte, ce n'è una confezione vicino alla porta"
"Giusto, giusto!", esclamò porgendogli il bambino. "Arrivo subito!".
Il biondo alzò gli occhi al cielo, sistemandosi meglio Hajime tra le braccia. Guardò meglio i suoi due bambini, non potendo fare a meno di avvertire una felicità incontenibile. Probabilmente il difficile iniziava adesso, ma non vedeva l'ora di vivere giorno per giorno.


Kuga non si era mai sentito tanto nervoso in vita sua. Gli ospedali non gli piacevano - di norma non piacevano a nessuno - erano luoghi che gli mettevano ansia, nonostante si trovasse lì per un moitvo per niente spiacevole. E se lui era nervoso, Tsukasa era praticamente ad un passo dal farsi venire un attacco di panico. E se qualcosa fosse andato storto? Non voleva neanche pensarci. Stava riponendo tanta di quella fiducia che aveva paura di rimanere deluso. Rindou guardava i due. Lei era tranquilla, forse per incoscienza, forse perché si sentiva davvero troppo entusiasta.
"Su, ragazzi! Non fate quelle facce, dovete essere felici. Pensate che i vostri piccoli spermatozoi feconderanno il mio ovulo e fra nove mesi nascerà un bambino"
"Beh, spero davvero che i nostri piccoli spermatozoi facciano il loro lavoro, perché altrimenti Tsukasa morirà dall'ansia e io non saprò come fare", fece Kuga sterico.
Era stanco, il fuso orario lo faceva andare fuori di testa e gli mancava Simba. Una combo mortale.
Poco dopo il medico li chiamò, facendo loro segno di entrare.
"AH! TOCCA A NOI!", Tsukasa si schiarì la voce. Voglio dire... andiamo"
"Entrare tutti e due?", domandò Rindou.
"Certo che entriamo tutti e due, devo essere presente a questo momento", disse afferrandola per un polso. "Adesso andiamo a inseminarti!".

Yukio adesso stava meglio. I bambini avevano unì'incredibile capacità di adattamento. Lui in particolare era forte, tranquillo, proprio un bravo bambino. Hayama non gli aveva detto che sarebbe rimasto con lui, voleva prima risolvere tutte le varie seccature burocratiche. Ovviamente, questa sua scelta lo aveva portato a litigare costantemente con Ryou. Non era senza cuore come voleva far credere, ma non potevano prendersi cura di Yukio, lui doveva stare con una famiglia che poteva badare a lui... non con loro. E poi, non aveva istinto con certe cose, come poteva sperare di farcela?
"Tsk, quello stupido, quell'idiota!", imprecò tagliando qualcosa sul tagliere. "Come osa prendere certe decisioni senza il mio consenso? Eppure nel matrimonio le decisioni vanno prese in due! Ma certo, io sono il cattivo e lui è l'eroe. Mi chiedo perché devo farmi tutti questi problemi!".
Il bambino aveva raggiunto la cucina, stringendo un orsacchiotto tra le mani.
"Dov'è Akira?"
"Non ne ho idea", rispose Ryou brusco.
"Ma io voglio lui"
"Beh, lui non c'è! Temo che dovrai accontentarti!".
Il bambino gonfiò le guance, stringendo ancora più forte l'orsetto.
"Ma tu sei cattivo"
"Oh, lo puoi ben dire", tagliò corto. Non era neanche capace di parlare con un bambino di tre anni, meno ci aveva a che fare e meglio era. Yukio però pensò bene di avvicinarsi e si aggrapparsi alla sua gamba.
"Adesso che c'è?"
"Mi manca la mamma".
Adesso era nei guai. Non poteva mostrarsi del tutto insensibile e freddo davanti un'affermazione del genere, dopotutto il bambino aveva subito una grave perdita. Ma se c'era una cosa in cui Ryou non era bravo, era provare empatia per le persone.
Sospirò.
"Ma la tua mamma non tornerà", rispose sospirando. Yukio fece una smorfia. Questa era una cosa che aveva compreso abbastanza in fretta.
"È come con Chibimaru..."
"Chi è Cibimaru?"
"Chibimaru era il mio criceto", spiegò. "Un giorno però... è morto... credo. Era come quando dormiva... io e la mamma lo abbiamo sotterrato. Secondo te è andato in paradiso? E anche la mia mamma è andata in paradiso?".
Le domande dei bambini sapevano mettere in difficoltà anche il più serio e diffidente degli adulti. Ryou rimase molto sorpreso dalla sua curiosità e dalla sua profondità. Aveva solo tre anni, eppure faceva delle domande a cui non avrebbe saputo trovare una risposta.
"Io credo di sì. Sì... ne sono abbastanza sicuro".
Yukio allora sorrise, era quasi come se avesse cercato di proposito una sua conferma. Ryou scostò lo sguardo, che finalmente stessero riuscendo ad avere una conversazione normale?
Poco dopo Hayama rientrò. E quest'ultimo dovette ammettere di essere molto sorpreso di trovare quei due insieme a parlare tranquilli come se nulla fosse. Nel vederlo, gli occhi scuri di Yukio i illuminarono. Così gli andò incontro per abbracciarlo.
"Dove sei stato?"
"Ehi! Yukio, ho una bella notizia per te. Tu rimarrai con noi"
"Con voi? In che senso?"
"Nel senso che adesso io e Ryou ci prenderemo cura di te. Saremo noi la tua famiglia"
"Tsk, vedo che alla fine hai deciso comunque senza dirmi niente"
"Io in realtà te l'ho detto"
"Ma sai che non sono d'accordo".
Hayama sbuffò, posando Yukio a terra.
"Yukio, vaia giocare di là, okay?". Il bambino annuì, allontanandosi sgambettando. Ryou lo fissava con le mani poggiate sui ianchi.
"Qual è il problema?"
"Qual è il problema? Tu mi chiedi qual è il problema, seriamente? Ti stai comportando da egoista"
"No, tu ti stai comportando da egoista. Seriamente lasceresti un bambino in mezzo ad una strada? Se fosse per te tutti i poveri orfani verrebbero abbandonati di fronte le chiese e gli orfanotrofi come si vede nei film"
"Non ti sto dicendo di buttare i bambini in strada, sto dicendo che Yukio starebbe meglio con qualcun altro"
"Io non voglio che lui salti da una famiglia all'altra, voglio che si senta amato. Ci sono tanti modi per costruirsi una famiglia, magari questo è il nostro".
Per Ryou fu difficile reggere il suo sguardo, perché gli occhi di Akira sembravano guardargli dentro, fino in fondo all'anima. E questo essere così trasparente solo per lui era una cosa che lo aveva sempre innervosito.
"Beh, anche se fosse, oramai non posso dire nulla, no? Benissimo, va bene. La prossima volta, visto che ci sei, scegli tutto tu!".
Hayama sospirò. Forse poteva aver sbagliato, ma lo aveva fatto a fin di bene. Sperava che Ryou cambiasse idea.

Megumi si trovava in un perenne stato di ansia e felicità. Il fatto che il suo sogno si fosse veramente avverato la faceva sentire davvero al settimo cielo, ma di contro c'era la preoccupazione di doverlo dire a Shinomiya, il quale ovviamente non sospettava nulla.
Era stata così impegnata a cercare di rimanere incinta che non aveva neanche pensato a come dirglielo. Non era un buon momento: Shinomiya era stra impegnato con il lavoro e preso dall'apertura del nuovo ristorante. Megumi non era sicura al cento per cento della cosa, ma doveva quanto meno provarci.
Andò in soggiorno, dove Shinomiya se ne stava piegato su scartoffie e documenti con un'espressione concentrata. Sospirò profondamente, dipingendosi sul viso il sorriso più naturale che conosceva.
"Tesoro, tutto bene?"
"Bene è un eufemismo. Io non ci ho mai capito niente di documenti e seccature varie, ma perché tutto il lavoro più difficile va sempre a me?", domandò sistemandosi gli occhiali.
"Su... le cose potrebbero andare meglio", sussurrò lei accarezzandogli la schiena.
"Perché? Abbiamo vinto alla lotteria?".
"No, non è questo purtroppo... magari più in là..."
"Spero che sia davvero come dici tu. Anche se, per ora le cose non mi vanno del tutto male, mi pare...".
Nel dire ciò, la sua espressione era divenuta assai maliziosa. Aveva afferrato le mani di sua moglie, la quale aveva sentito il cuore battere a mille. Non è che non avesse voglia di fare certe cose, ma con tutti i pensieri che aveva per la mente, dubitava del fatto che sarebbe riuscita a lasciarsi andare.
"Amh... Kojiro, scusa... ma non mi sento tanto bene. Sai, penso di avere l'influenza"
"L'influenza? Ah, d'accordo allora. Non preoccuparti. Mi prendo io cura di te", la tranquillizzò, accarezzandola la testa.
Megumi non avrebbe potuto fare a meno di sentirsi in colpa. Aveva di per sé sbagliato a farsi ingravidare a tradimento, non poteva permettersi di tenere nascosta la gravidanza. Ma aveva paura che dicendolo direttamente, a suo marito sarebbe venuto un colpo. Forse poteva provare a farglielo capire, sebbene la maggior parte degli uomini non fosse molto sveglii nel comprendere certe cose. Ma Shinomiya era abbastanza sveglio. Stretta nel suo abbraccio, pensò che dall'indomani avrebbe fatto di tutto per farglielo capire.

Era passato un po' di tempo. Kuga non avrebbe saputo dire quanto, probabilmente aveva perso la cognizione di quest'ultimo, ma quando era uscito dal'ospedale si era sentito stordito, come se da una vita non vedesse la luce del sole. Tsukasa era confuso almeno quanto lui, Rindou era come al solito assolutamente tranquilla e indifferente.
"Io ho fame, possiamo mangiare qualcosa?"
"Hai fame?!", chiese Eishi. "Come ti senti? Ti senti diversa? Ti senti strana?"
"Frena, Tsukasa. I dottori hanno detto che dovremo aspettare un po' per vedere se effettivamente l'inseminazione ha funzionato"
"Tranquilla, i nostri spermatozoi sono efficienti", la rassicurò Kuga. "Adesso scusate, ma devo fare una telefonata".
Dicendo ciò si allontanò. Doveva assolutamente sapere come stava Simba.
Quindi telefonò a Takumi, il quale stava tentando di cambiare il pannolino a Hajime.

"Maledizione, avrei dovuto fare pratica con questi arnesi", sbuffò il biondo.
"Perché? Sono facilissimi da usare", gongolò Soma, cullando Kou che era già felicemente cambiata e profumata.
"Non sei affatto divertente! E adesso chi è che mi sta chiamando?!".
Takumi cercò il telefono disperso nel letto. Rispose, mentre con una mano cercava di cambiare suo figlio.
"Ehi"
"Takumicchiiiii, ciao! Come sta il mio Simba?"
"Ah, ciao Kuga!", disse nervoso. Dopotutto nessuno ancora sapeva che avessero già adottato. "Simba, io... sì, sta bene"
"Puoi passarmelo?".
Il biondo imprecò. Ma era serio oppure no?
"Soltanto un momento!", abbassò la voce. "Soma, vieni qui e fingiti un cane"
"Cosa? Ma perché?!"
"Fallo e basta!". Il rosso non capì, tuttavia si limitò ad ubbidire.
"Bau"
"Eh?!", fece Kuga. "Questo non è Simba, è Soma! Takumi, che cosa sta succedendo?"
"Va bene, la verità è che Simba non è con me. Ma l'ho lasciato a Joichiro, è in buone mani"
"Che cosa?! Io ti ho affidato il mio preziosissimo bambino e tu te ne sei lavato le mani? Vorrei sapere cosa ti...".
Kuga fu costretto a zittirsi quando sentì in sottofondo il lamento di un neonato. Hajime infatti aveva preso a protestare perchè voleva essere preso in braccio.
"Ma c'è un bambino?"
"Già... è mio figlio... uno dei due in realtà, l'altra è in braccio Soma", spiegò sospirando. Kuga spalancò gli occhi.
"Cosa?! Due?! Voi... li avete adottati ufficialmente? Come? Dove?"
"In Hokkaido e... non dirlo a nessuno, a parte Joichiro non lo sa nessuno... per favore"
"Te lo prometto, Takumicchi", abbassò la voce. "Noi abbiamo fatto l'inseminazione. Spero abbia funzionato"
"Davvero? Io sono sicuro di sì, sta tranquillo"
"Grazie! Adesso devo andare, non vedo l'ora di conoscere i due bambini. Come si chiamano?"
"Hajime e Kou"
"Aaaw, che bei nomi. Dovrò trovarne uno altrettanto bello per mio figlio. Beh, ti saluto adesso, dai un bacio a Soma e ai due piccoli da parte mia, ciao-ciao!".
Takumi lasciò cadere il telefono, prendendo poi in braccio Hajime.
"Mi è sembrato molto felice", commentò Soma.
"Era felice", sospirò. "Domani torniamo a casa"
"Già. E sono sicuro che saranno tutti molto felici di conoscervi, vero Kou?".
La bimba lo guardò. Le sue iridi adesso apparivano grige, esattamente come il cielo fuori in quel momento, nuvoloso e prossimo alla pioggia
.



NDA
Kou e Hajime vogliono dire rispettivamente "gioia" e "inizio". Non potevo che sceglierli. Ve li aspettavate addirittura due bambini? Implodo di fluff. Rindou intanto si è fatta inseminare, avrà funzionato? Riuscirà Ryou a sciogliersi un po'? Ma sopratutto, Megumi riuscirà a dire a Shinomiya della gravidanza senza parlo farlo sclerare?

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Capitolo 10
*** Casa dolce casa ***


10 - Casa dolce casa

Soma Takumi erano tornati a casa. Era statu un viaggio lungo, stancante - con due bambini così piccoli in particolare non era di certo una passeggiata - e alla fine erano arrivati esausti.

"Tutto ciò di cui ho bisogno è una doccia e una dormita", sospirò il biondo. Ormai gli veniva naturale cullare uno dei due bambini, poiché finiva sempre con il tenerli in braccio, conscio che fosse un'abitudine pessima.
"Non preoccuparti, prometto che mi prenderò cura io dei bambini mentre tu riposi. Ma prima dobbiamo assolutamente passare da mio padre".
Takumi annuì, preparandosi psicologicamente ad abbracci stritolanti e reazioni esagerate. Già da fuori era possibile sentire Simba abbaiare. Sperò di trovare quel cane in perfetta salute, altrimenti Kuga lo avrebbe ucciso. Soma si avvicinò alla porta e bussò con impeto, udendo poco dopo una voce dall'interno.
"Chi è?"
"Vecchio, sono io. Apri"
"ARRIVO SUBITO!".
Un'entusiasta e ansante Joichiro aprì la porta. Fece per dire qualcosa, rimanendo totalmente di stucco nel vedere Soma e Takumi con in braccio un bambino ciascuno.
"Cosa? Ma-ma-ma..."
"Eh, sì. Sorpresa, gemelli! Non te lo aspettavi, vero?", sorrise suo figlio. E Joichiro prese a piagnucolare.
"Cosa?! Insomma vecchio, ma si può sapere cosa c'è che non va?"
"Non c'è assolutamente niente che non va! Va tutto benissimo, è solo che non me lo aspettavo", s strofinò gli occhi. "Gemelli... adorabili!", si avvicinò ad Hajime, accarezzandogli una mano. "Quali sono i nomi dei miei adorabili nipotini?"
"Hajime e Kou", rispose Takumi.
"Sono davvero adatti. Posso tenerli in braccio?"
"Tutti e due?", chiese, Lì, in quel momento, dovette fare i conti con la sua ansia mista a gelosia. Il pensiero che qualcun altro tenesse in braccio i suoi bambini, eccetto ovviamente Soma, gli creava un certo fastidio, forse era normale?
"Su, Takumi! Puoi fidarti di mio padre, ci sa fare con i bambini. Insomma, guarda come sono venuto fuori io".
Suo marito si astenne dal rispondere con grande sforzo, porgendo delicatamente prima Kou e poi Hajime a Joichiro, che era entrato in modalità brodo di giuggiole.
"Sono bellissimi, sto adorando tutto ciò. Gli altri lo sanno?"
"Eccetto che Kuga - che chissà perché viene a scoprire sempre tutto - no", spiegò Soma. "Dovremmo organizzare una sorta di festa o qualcosa del genere?"
"Bella idea, così riuniamo i nostri amici tutti insieme. Preparati a condividere i gemelli con il mondo intero"
"Ma loro sono miei", fece guardandolo male.
"Nostri al massimo. Comunque sia, faccio un giro di telefonate". Takumi alzò gli occhi al cielo, osservando poi Simba che se ne andava in giro per casa ad annusare oggetti a caso. E lì accadde qualcosa.
"CHE COSA HAI FATTO A SIMBA?!"
"Eh? Ah, gli ho accorciato un po' il pelo, ho pensato gli desse fastidio", se ne uscì tranquillamente Joichiro.
"MA COSA SIGNIFICA? KUGA MI AMMAZZA, VAGLIELO A SPIEGARE!", gridò, infastidendo Hajime che prese a piangere.
"Cavolo! No, no, no, non piangere!", esclamò prendendo lo in braccio. "La colpa è tutta tua!"
"È soltanto un po' di pelo, ricrescerà", disse con noncuranza.
Certo. Tanto era lui quello che avrebbe dovuto avere a che fare con l'ira di Kuga. Tutto regolare come sempre.

Kuga stava dormendo indisturbato. Non aveva idea di che ore fossero, probabilmente avrebbe dovuto alzarsi di lì a poco. Con questo pensiero si destò senza però aprire gli occhi. Davvero troppe cose a cui pensare. Lui, Tsukasa e Rindou dovevano tornare assolutamente in Giappone. L'ideale sarebbe stato rimanere lì fin quando non avessero saputo se l'inseminazione avesse funzionato o no, ma avevano un ristorante da gestire e il lavoro doveva andare avanti. E d'alto canto, Rindou non poteva rimanersene lì in America da sola.
Si voltò dall'altro lato per abbracciare Eishi. Peccato che finì con lo stringere qualcosa di più morbido.
"Eh?! Rindou?"
"Scusa, Terunori, non volevo dormire da sola", disse pensierosa. "Non faccio altro che pensare a questa cosa, che facciamo se non funziona? Non dovremo fare cose strane, vero? Io non voglio fare sesso con uno dei due per rimanere incinta, a meno che io non sia completamente ubriaca"
"Ah", biascicò massaggiandosi le tempie. "Qui nessuno dovrà fare sesso. Tsukassan, svegliati".
Eishi avrebbe voluto essere lasciato fuori dai loro discorso, ma ovviamente la cosa riguardava anche lui.
"Cosa?"
"Niente "cosa", sbrigati, dobbiamo andare. Ci aspetta un viaggio lungo, poi Simba, casa e lavoro..."
"Da notare quali sono le sue priorità: Simba, casa, lavoro...", sospirò Eishi. Rindou ad un tratto sussultò, mettendosi in piedi. Il suo telefono aveva appena ricevuto una notifica.
"Ah! Emh, scusate... vado in bagno a rispondere!". I due la osservarono allontanarsi.
"Umh... chissà come Eizan prenderà il fatto che probabilmente Rindou partorirà nostro figlio"
"Tanto quel troglodita non conosce l'empatia. Allora... abbiamo un po di tempo... Magari...".
Le labbra di Tsukasa si dipinsero di un sorriso malizioso.

Yukio riposava tranquillo e indisturbato. Hayama aveva adibito una delle stanze vuote come camera per il bambino, c'erano già un letto, un tappeto e vari giocattoli sparsi sul pavimento. Era solo questione di tempo, prima o poi l'avrebbe riempita tutta. Richiuse piano la porta, facendo attenzione a non svegliarlo. Gli aveva appena letto una favola per farlo addormentare. Era incredibile, non avrebbe mai pensato che certe cose gli venissero così naturali, eppure era successo e la cosa lo rendeva... felice. Sospirò. Avrebbe fatto un buon lavoro, anche negli anni a venire?
Si girò e nel buio del suo corridoio trovò la figura di Ryou che sembrava appena uscito da un film dell'orrore. Probabilmente per questo si ritrovò a sussultare violentemente.
"Ryou, cosa cazzo.... non farlo mai più"
"È tardi. Vieni subito a dormire"
"Stavo soltanto leggendo la favola della buonanotte a Yukio"
"Ah, adesso sei diventato un genitore modello, eh?"
"Io sto soltanto facendo del mio meglio", disse serio. "Possibile che non vuoi neanche un po' di bene a quel bambino"
"Non è questo", gli puntò il dito contro. "E smettila di farmi passare per una persona orribile"
"A quello ci pensi già tu", borbottò nella speranza di non essere sentito. Ryou però lo udì eccome. E fece anche per rispondergli male, ma in aiuto di Akira arrivò la chiamata di Takumi. In seguito l'avrebbe ringraziato.
"Pronto?!"
"Akira, ciao! Scusa l'orario, eh..."
"No, va bene, sta tranquillo", lanciò uno sguardo a Ryou che gli stava mimando di accoltellarlo in seguito. "Dimmi pure"
"Io e Soma abbiamo adottato. Quindi, pensavamo di invitare voi e gli altri a casa mia uno di questi giorni. Così, per farveli conoscere"
"Davvero? Saremo molto felici di venire... Anche perché sai... abbiamo adottato ufficialmente Yukio"
"Beh, questo è fantastico. Non pensavo che Ryou fosse d'accordo"
"Ne... riparliamo in seguito. Comunque grazie per il pensiero, ci saremo sicuramente".
Avrebbe tanto voluto che quella conversazione durasse per sempre, non voleva affrontare Ryou.
Quest'ultimo gli si avvicinò, l'espressione degna di un pazzo.
"Ryou... non dicevo sul serio poco fa..."
Poi sorrise in modo strano.
"A letto. Subito. Mi è venuta una certa voglia".
Hayama spalancò gli occhi.
"Oh no. Ti prego no. Non le corde, non le catene, farò tutto quello che vuoi, ma non quello!"
"Ho detto a letto. Subito!".
Non c'era cosa peggiore di andare a letto con Ryou quando era di cattivo umore. Hayama ne aveva pagato le conseguenze più di una volta. E avrebbe continuato a pagarle...

Era passato qualche giorno da quando Hajime e Kou erano entrati a far parte della famiglia. Fino a quel momento non c'era stato nulla di troppo difficile. Certo, la notte dovevano svegliarsi ogni due ore per dar loro da mangiare, ma a parte ciò non era così terribile. Takumi però si disse che quello era solo l'inizio e che il peggio sarebbe arrivato dopo, con la stanchezza e lo stress.
Quel pomeriggio, i loro amici li avrebbero raggiunti a casa per conoscere i due piccoli nuovi arrivati. I primi a presentarsi, impazienti, furono Isami, Yuki e Satoru. Il bambino infatti non vedeva l'ora di conoscere i due nuovi cugini.
"Dove sono i bambini? Dove?", domandò.
"Sono nella culla, stanno dormendo", spiegò Soma. Satoru allora implorò Isami di prenderlo in braccio. Dopodiché si avvicinarono alla culla dove i due neonati stavano dormendo beatamente. A Yuki subito si illuminarono gli occhi.
"Come sono carini! Li adoro, sembrano due bambolotti! Isami, ne facciamo uno anche a noi?"
"Eh? Come, così? All'improvviso?", domandò assumendo un'espressione indecifrabile, mentre Soma se la rideva alla grande. Satoru aveva dal canto suo uno sguardo assorto.
"Ma sono troppo piccoli, non possono giocare con me!"
"Non ancora, ma prima o poi cresceranno. Nel frattempo, occupati di proteggerli, d'accordo?", domandò gentilmente Takumi. Il bambino si sentì riempito d'orgoglio, dopotutto quello era un compito davvero importante.
Non passò molto tempi prima che anche il resto della compagnia arrivasse. Ovviamente, quello che faceva sempre più casino... era il solito.
"Dove sono, dove?", Kuga fremeva dall'impazienza. "Bambini! Piccoli! Sono bellissimi. Congratulazioni Takumicchi e Soma. Hajime Kou, potete essere felici, lo zio Kuga vi ha portato delle cose belle"
"Oh, cielo, di che si tratta?", domandò Takumi esasperato.
"Body personalizzati....", spiegò vagamente Tsukasa. "Si è scatenato". Uno degli adorabilissimi body diceva semplicemente "I love daddy" , e fin lì era anche normale, poi però Kuga tirò fuori il suo pezzo forte.
"Figo come lo zio? Saresti tu?", domandò Soma.
"Certo che sì! E Hajime sarà effettivamente figo come me, vuoi scherzare?"
"Spero solo che vanga più alto", commentò Takumi, facendo andare fuori di testa il suo amico.
"Vaffanculo", imprecò. "Piuttosto, dov'è il mio Simba?".
Nel sentirsi chiamare, il chowchow corse incontro al suo padrone, facendogli festa. Terunori si lasciò andare a mille moine con il suo adorato bambino, mentre Soma parlava di lui con Tsukasa.
"Hai notato che Simba non è stato il suo primo pensiero quando è arrivato? Certo che l'istinto paterno fa miracoli. A proposito... com'è andata quella cosa?"
"Inseminazione artificiale, Soma. Comunque... non saprei! Credo bene, ma deve passare un po' di tempo prima. Sinceramente sono molto in ansia"
"Su, non ci pensare. Nel frattempo puoi far pratica con i miei figli"
"Davvero? Posso?"
"Certo", lo rassicurò. Più che altro gli aveva detto ciò per suo divertimento personale. Un tipo così con un neonato? Era tutta da godere.
Poco dopo arrivarono anche Megumi e Shinomiya. La prima adocchiò subito i due gemelli: Hajime stava in braccio a Nene, mentre Isshiki tentava di strappargli una risata, mentre invece Kou si trovava in braccio a Erina.
"Oh, no, non posso crederci, ma che amori!", fece accarezzando una manina della bambina. "E che occhioni, questa bambina farà una strage di cuore"
"Ah, direi che è già troppo tardi", sospirò Erina. Shinomiya si schiarì la voce, facendo ben intendere di trovarsi a disagio. Megumi allora tentò di spronarlo.
"Tesoro, vuoi tenerla in braccio?"
"Che... che cosa? Io? No, non è il caso, non sono pratico"
"Coraggio, non è difficile!".
Shinomiya tentò di farle cambiare idea, ma prima che se ne accorgesse, Megumi gli aveva già posato Kou tra le braccia.
"Emh... okay, e adesso che dovrei fare?"
"Non saprei. Cullala, parla con lei"
"Parlare con lei? Ma non mi capisce! Va bene, d'accordo", guardò gli occhioni ora più azzurri che grigi di Kou. "Amh... salve. Piacere d fare la tua conoscenza,, Kou".
Megumi tentò di trattenere le lacrime a quella visione. Era necessaria una riunione.
"Erina, Hisako, Nene, Yuki e Rindou! Vi devo parlare!".
Nene sospirò, cedendo il piccolo a Isshiki, che fu ben felice di prendersi cura di lui. Le cinque ragazze si chiusero nel bagno.
"Va bene, basta. Devo dirglielo. Non lo capirebbe in altro modo, altrimenti"
"Direi di sì! Anche perché più passa il tempo e più difficile sarà!", esclamò Erina. "Cosa ti ha convinto?"
"Il vederlo con Kou. Mi sono sciolta, non è detto che la prenderà male, no?"
"Assolutamente! Tranquilla Megumi! Ti sosterrò io, ci staremo accanto in questi lunghi mesi... anche se non so ancora se sono effettivamente incinta, ma ti sono accanto comunque", la rassicurò Rindou.
Lei sorrise, ringraziò e poi uscirono di lì. L'importante era il come si dicevano certe cose. Shinomiya si avvicinò a lei con un bicchiere di spumante.
"Ho ceduto Kou ai suoi genitori. I bambini sono così... piccoli e stranamente morbidi, non sono sicuro di avere la giusta delicatezza".
Lei sorrise, fissando il bicchiere. I loro amici avevano preso a parlare.
"E Isshiki e Nene?", chiese Yuki. "Quando ci darete la lieta notizia?".
La ragazza era arrossita, era sempre molto riservata su certe cose, contrariamente a suo marito.
"Ah, lavori in corso", rispose lui ammiccando.
"Lavori in corso? Bastano due minuti!", esclamò Kuga.
"Guarda che non duro così poco. Almeno tre minuti me li devi concedere!"
"Ah... mi immagino che gioia avere un padre come te", sospirò Takumi. Megumi sorrise nervosamente, insinuandosi nel discorso nella maniera più naturale che le venne in mente.
"Ehi, lo sapete che sono incinta?".
In quel momento calò un silenzio tombale e tutti gli occhi si posarono sulla sua figura. La ragazza sorrise nervosamente. Non aveva ancora visto l'espressione indecifrabile di suo marito.
Shinomiya prese a ridere.
"Ah, divertente, davvero divertente. per un attimo ci ho quasi creduto".
Megumi però lo guardò negli occhi. E in quello sguardo c'erano tutte le parole non dette n quelle ultime settimane.
"No, aspetta... un momento. Tu sei davvero incinta?". Lei annuì.
"Davvero?", chiese a quel punto Soma. "Beh, auguri, allora! Bravo Shinomiya, allora la notte non la passi solo a dormire!"
"Ma questo non è possibile!", disse lui. "Com'è successo?"
"Come fai a non saperlo?", chiese Takumi.
"Lo so com'è successo! Intendevo... non prendevi la pillola?". Megumi fece una smorfia.
"Io... potrei averla interrotta"
"CHE COSA?! MA PERCHE'?!"
"Perché volevo un figlio! È cosi strano?"
"No, però... non ci posso credere! Mi hai ingannato? Eppure sapevi come la pensavo!".
Soma e Takumi si guardarono, la situazione stava diventando un po' pesante.
"Dai, queste sono cose belle, no?", il rosso gli si avvicinò, circondandogli le spalle con un braccio. Shinomiya lo fulminò con lo sguardo.
"Toglimi questo braccio di dosso se non vuoi che te lo stacchi"

"Sì, signore..."
"Stai reagendo in modo assurdo", disse Megumi,
"Io sto reagendo in modo giusto. Dovevi parlarne con me, prima!"

"Ah, allora a quanto pare è diventata una moda non dire le cose al proprio marito, eh?", intervenne Ryou.
"Io ne ho parlato con te, ma tu non mi ascolti. Pensavo che in un modo o nell'altro saresti stato felice della notizia", affermò Megumi delusa. A quel punto suo marito non seppe più cosa dire. Era semplicemente sconvolto e non era pronto ad un'evenienza del genere. Megumi capì che sarebbe stato meglio allontanarsi un attimo e far calmare le acque.
"Wow", fece Kuga. "Anche Megumi è incinta, hai sentito? Spero che Rindou sia così fortunata"
"Lo spero anche io", disse Tsukasa. "E se per caso l'inseminazione non funziona per qualche strano motivo?"
"Allora prenderò una siringa e faremo un'inseminazione casalinga!", esclamò nervoso. "Tsukassan, positività, d'accordo? O devo preoccuparmi de fatto che anche i tuoi spermatozoi siano troppo ansiosi?".
Eishi arrossì.
"Credo di no. Piuttosto, Rindou dov'è?"
"O è consolare Megumi o a scambiare messaggi con Eizan"
"Già, Eizan. Secondo te è una buona idea che si frequentino adesso? Come pensi che reagirebbe se scoprisse che lei... insomma, è incinta e il figlio è nostro?"
"Bella domanda. Preferisco non sapere".


Takumi si massaggiava la testa dolorante, probabilmente a causa del sonno arretrato. I gemelli si trovavano con Yuki e Isami, doveva ammettere che non gli dispiaceva avere un po' di tempo per sé. Soma gli arrivò alle spalle, abbracciandolo.
"È stato un successo!"
"Sì, a parte il fatto che probabilmente Megumi e Shinomiya divorzieranno"
"Ma va! Un figlio unisce una coppia. Pensa un po' quanto siamo uniti noi..."
"Già", sospirò. "Ehi, Soma... sono contento di averlo fatto. Se non fosse stato per te, starei ancora a rimuginarci"
"Ah, io io ho soltanto espresso un mio desiderio. E tu mi hai aiutato. In fondo bisogna essere sempre in due a volere un figlio".
Dietro di loro, Ryou e Hayama discutevano.
"Non me ne frega un accidente se sei stanco! Tu l'hai voluto e tu te ne occupi!"
"Ho capito! Mio Dio, che razza di isterico".
"Beh, almeno i bambini non si annoieranno mai...".



NDA
Poteva andare peggio, Shinomiya poteva morire male per il colpo subito... anche se non è detta l'ultima parola. I bambini sono stati ben accolti soprattutto da Kuga, che compra cosine carine. Per Takumi e Soma adesso inizia il difficile, dopotutto perchè preoccuparsi quando si è circondati da amici così.... amh... lasciamo perdere.

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Capitolo 11
*** Negativo o no? ***


11 - Negativo o no?

Dopo una giornata intensa era bello poter finalmente riposare. Il silenzio, il battito di Soma a cullarlo verso un sonno sicuramente piacevole e pieno di sogni. Questo era quello che Takumi aveva sempre vissuto… prima di diventare padre.
Un vagito, che subito dopo divenne un pianto, lo costrinse ad aprire gli occhi di scatto. A piangere era Kou o Hajime? Un bravo genitore avrebbe anche dovuto riconoscere il pianto dei propri figli. Doveva assolutamente impegnarsi, ma di certo la stanchezza non lo aiutava. Sollevò il capo e sbuffando si rese conto che Soma stava dormendo totalmente indisturbato. Era quasi sicuro che lo facesse di proposito per non doversi alzare, ma col cavolo che avrebbe fatto lui tutto il lavoro.
“Oh, Soma...”, sussurrò. Poi non ricevendo alcuna risposta, alzò il tono e prese a scuoterlo. “SOMA!”.
Quest’ultimo aprì gli occhi, confuso.
“È già ora di andare a lavoro?”
“No, stupido. Va dai bambini”
“Eh? Perché io? Perché non puoi andarci tu?”.
Soma si pentì subito di aver parlato nel momento in cui vide l’espressione di suo marito cambiare.
“Perché?”, domandò isterico. “Mentre tu la mattina lavori, io sono chiuso qui con tutti e due, perché sono giorni che non vedo la luce del sole e perché se non lo fai io chiedo il divorzio all’istante!”.
Convincente. Takumi sapeva essere molto convincente.
Soma alzò le mani in segno di resa.
“Va bene, d’accordo, sto andando”, tentò di sbrigarsi. 
Si avvicinò alla culla. Kou dormiva indisturbata, ma Hajime non voleva proprio saperne di starsene buono, e agitava le manine chiuse a pugni. Nel vedere il padre, prese ad agitarsi ulteriormente.
“Sssh”, sussurrò lui. “Ti prego, non piangere più, altrimenti Takumi darà di matto e mi ucciderà. Qual è il problema? Eppure hai mangiato poco fa”.
Prese il piccolo in braccio. Questi si calmò subito, succhiando avidamente il ciuccio. Soma sapeva che ci sarebbe voluto un po’ per farlo addormentare, sarebbe stato costretto a cullarlo per dieci minuti di seguito. Guardo il bambino, adesso dagli occhi socchiusi. Le sue iridi erano perlopiù verdi. La maggior parte del tempo. Sì, perché sia lui che Kou avevano gli occhi cerulei, cambiavano a seconda del tempo.
Quando fuori pioveva – o anche quando piangevano – gli occhi diventavano grigi. Con il sole e il bel tempo invece erano verdi-azzurri. Era una particolarità rara che sperava avrebbero mantenuto crescendo.
Poco dopo sentì un altro lamento. A quanto sembrava, Kou aveva deciso di seguire l’iniziativa del fratello.
“Oh”, Soma alzò gli occhi al cielo. “Takumi? La nostra principessa si è svegliata”.
Il biondo borbottò qualcosa.
“Va bene, d’accordo. Anche stanotte non si dorme”, si chinò sulla bambina e subito dopo il suo tono si addolcì. “Ma anche volendo, come potrei non sciogliermi davanti a questo faccino?”.
Kou si quietò immediatamente nel ritrovarsi tra le braccia del genitore. Poiché la nottata si prospettava essere lunga, Takumi e Soma decisero di sedersi sul materasso, in attesa che i piccoli si addormentassero.
“Ehi, Takumi… come stai?”
“Eh? Cos’è questa domanda improvvisa? Sto bene. A parte la mancanza di sonno, ma ero già preparato a quest’evenienza”
“Pensavo solo che stai facendo davvero un buon lavoro. Mi ricordo di come all’inizio non fossi convinto, e mi ricordo anche delle tue paure. Eppure, hai visto? Tu sei nato per fare questo”.
Il biondo abbassò lo sguardo, vagamente imbarazzato. Fortuna che alla fine si era convinto. Anche se era da poco che Kou e Hajime erano entrati nella sua vita, oramai non sarebbe più riuscito ad immaginare quest’ultima senza di loro.
“Il merito è tuo, perché è partito tutto da te. E anche tu stai facendo un buon lavoro, ma non potevo aspettarmi diversamente”.
Soma allora si sporse in avanti e gli posò un dolce bacio sulle labbra.
“Che dici...”, sussurrò poi. “Li facciamo dormire qui?”
“Ah, e va bene”, sospirò alzando gli occhi al cielo. “Ma che non diventi un vizio, non ho intenzioni di farli dormire con noi fino ai dieci anni”.
Soma ridacchiò. Takumi faceva tanto il duro, ma alla fine il fatto di avere i piccoli così vicini faceva piacere anche a lui. Così, Kou e Hajime si ritrovarono al centro, Takumi e Soma li stringevano tra le braccia, mentre le loro mani si sfioravano appena.

“Amore mio, ti prego, perdonami. Non lo farò più ma non guardarmi così. Ti prego, ti prego!”.
Tsukasa sospirò mentre sorseggiava il suo caffè. Chiunque avrebbe pensato che Kuga stesse parlando con lui, ma di fatto non era così. Colui a cui Terunori stava chiedendo perdono in ginocchia era nientemeno che Simba. Quest’ultimo, infatti, si era sentito parecchio trascurato in effetti, e aveva dimostrato il suo mal contento accucciandosi e non reagendo minimamente alle attenzioni del suo padrone preferito.
“Andiamo, Kuga”, sospirò lui. “E allora cosa farai quando avremo davvero il bambino? Farai i turni per decidere con chi passare il tempo? ”
“Silenzio”, piagnucolò lui. “Tu non sai. Simba, ti prego, lo sai che tu rimani sempre il mio cucciolo, ma sono stato occupato. Ti prego, ti comprerò tutti croccantini e le palle che vuoi, ma non ignorarmi!”.
Rndou aprì la porta della cucina, in pigiama e assonnata. Con la scusa di essere la loro madre surrogata, non aveva più la preoccupazione di doversi cercare una casa o un lavoro. Forse se ne stava un po’ approfittando.
“Ma che succede?”
“Niente, Kuga e il cane hanno litigato”.
“Oh”, la rossa si inginocchiò. “Simba! Piccolino, vieni qui!”.
Il cane allora si sollevò immediatamente, andando dalla ragazza per godere delle sua coccole.
“Ah, ma certo! È così che funziona, non è vero? È così facile sostituirmi!”, piagnucolò Kuga con fare teatrale.
Rindou accarezzò la testa di Simba, il quale avvicinò il muso al suo ventre, annusando e strusciando la testa.
“Cosa?”, fece lei. “Avete visto cosa fa?”
“Sì, ho visto. Interessante”, costatò Tsukasa. “Magari i cani hanno una sorta di senso che fa capire a loro certe cose?”
“Certe cose?!”, esclamò Kuga. “Vuol dire che sei incinta?”.
Lei sorrise.
“Per quanto adori Simba, credo che sia meglio se faccio un test di gravidanza”
“Lo 
comprerò io stesso!”, esclamò Kuga sorridendo. “Non preoccuparti per questo, tu pensa solo a non stressarti, va bene?”.
Rindou si sorprese molto di tanta gentilezza. Probabilmente essere la loro madre surrogata aveva dei vantaggi.
“Goditi la sua calma finché puoi”, suggerì saggiamente Eishi.

Stare nella stessa casa senza però parlarsi era strano quanto fastidioso. Ma Megumi non poteva di certo biasimare suo marito. Gli aveva nascosto qualcosa di estremamente importante, tutto ciò per egoismo. Ne era consapevole, ma non era pentita. Sapeva che, in fondo, lei e Kojiro volevano le stesse cose, quest’ultimo faceva solo più fatica ad ammetterlo.
Megumi lo osservò. Cucinava. Lo aiutava sempre a distendere i nervi. Non aveva idea se avvicinarsi a lui che stava adoperando dei coltelli affilati fosse una buona idea, ma decise comunque di seguire l’istinto. Si avvicinò lentamente senza far rumore.
“Amh… che fai?”
“Tu cosa credi?”, rispose gelido, continuando a darle le spalle. “Sto giocando a biliardo”
“Intendevo cosa cucini”
“Qualcosa con del pesce!”, esclamò tagliando con violenza la testa al povero malcapitato sgombro sul tagliere. “Sarà divertente strappargli via le lische e le interiora”.
La ragazza strabuzzò gli occhi. Tutto ciò non prometteva bene.
“D’accordo, che ne pensi di lasciare in pace lo sgombro e parlare con me?”
“Ah, adesso vuoi parlare? E che cosa devi dirmi? Il figlio non è mio?”
“Beh, adesso non mi sembra il caso di esagerare!”, esclamò con la fronte aggrottata.
“Esagerare? Farsi ingravidare a tradimento è esagerare. E poi… come ti è venuto in mente di dirlo davanti a tutti? Mi sono sentito uno stupido”
“Mi dispiace, ma non sapevo proprio come dirtelo. Ho provato a fartelo capire”, poi sospirò. “So che probabilmente il mio desiderio di maternità mi ha accecata, ma cerca di capire anche me. Sentivo che il mio momento era adesso. Voglio un figlio da te, cosa c’è di male?”
“Non c’è niente di male, ma ti avevo detto che ci avremmo pensato più avanti”
“Che tradotto significa “mai”, affermò a braccia conserte, adesso piuttosto seccata. “So che i bambini non ti piacciono e so che non hai pazienza né istinto per certe cose. Ma questo non vuol dire che le cose non possono cambiare”, la voce divenne spezzata. “Sta di fatto che ho voluto tanto questo bambino e adesso lo terrò, che ti piaccia o no, capito?”.
Megumi aveva preso a piangere.
“Adesso che ti prende? Non sto dicendo nulla”
“Sono gli ormoni, informati, stupido!”, esclamò lei asciugandosi gli occhi. “Va bene, adesso basta. Vado a preparare le mie cose”
“Le tue cose?”
“Sì”, tirò su con il naso. “Ho bisogno di staccare la spina. E un po’ di tempo separati forse ti aiuterà a capire”
“A capire?! Andiamo, ma seriamente? Megumi! Ma dove vuoi andare, si può sapere…?!”.

Takumi e Soma erano del tutto ignari del fatto che di lì a poco una loro amica, triste, sconsolata e incinta avrebbe bussato alla loro porta. Il primo si trovava ad un passo dall’implodere, poiché si stava ritrovando a dare il biberon a Hajime, mentre Kou piangeva a causa delle coliche.
“Ti prego, falla smettere”, piagnucolò. “Non sopporto sentirla soffrire in questo modo”.
La bimba stava distesa sul divano e agitava le mani in segno di protesta. Soma aveva preso a massaggiarle il pancino nel tentativo di calmare il suo dolore.
“Su, Kou… adesso passa. Suonano alla porta”
“Certo! Effettivamente è il momento più adatto!”, borbottò.
Quando aprì, si ritrovò una sofferente Megumi di fronte agli occhi.
“M-Megumi? Ciao, ma cosa… che è successo?”
“Posso restare qui per qualche giorno?”, domandò. “Credo che io e Kojiro abbiamo bisogno di un attimo di pausa”
“Un attimo di pausa? Un momento!”, esclamò mentre lei entrava. “Non starete divorziando, vero?”
“No, non credo. Ma il fatto di avergli nascosto ciò che ho fatto… beh, ha reso tutto più difficile. Giuro che non voglio disturbare”
“Ah, va tutto bene”, Soma stava ora cullando Kou. “Per noi puoi rimanere, anche se non so quanto bello possa essere dormire in una casa con due neonati strillanti”
“Oh”, gli occhi di lei si illuminarono all’istante. “Povera piccola, che cos’ha?”
“Coliche. Non riesco a farla smettere di piangere”
“Posso provare io?”
“Accomodati”, fece Soma porgendole sua figlia. Megumi aveva un istinto innato per certe cose, e i bambini sembravano percepire anche a distanza il suo esagerato istinto materno. Il dolce tocco e il calore della ragazza furono lenitivi per Kou, la quale si quietò poco dopo, limitandosi solo a qualche vagito e lamento.
“Cavolo, Megumi”, disse Takumi, “Tu hai davvero un dono, sarai una bravissima madre”
“Sì… e spero di non essere una bravissima madre single”.
E prese di nuovo a piangere. Lui e Soma si guardarono negli occhi sconvolti. Badare a due neonati e ad una donna incinta in preda agli ormoni, potevano farcela, no?

Akira e Ryou erano arrivati ad un compromesso. Avrebbero fatto i turni per andare a lavoro, in modo che così Yukio non sarebbe stato da solo. Il problema era che quella sera in particolare toccava proprio a lui.
Ryou avrebbe preferito perdere l’uso delle braccia piuttosto che rimanersene in casa con quel ragazzino.
Il piccolo stava adesso seduto sul pavimento e stava disegnando qualcosa con i suoi pastelli, aveva un’espressione estremamente concentrata. 
“Ehi, vedi di riordinare dopo”, affermò brusco. Yukio però sollevò lo sguardo, e con gran fierezza gli mostrò il disegno che aveva fatto.
“E questo cosa sarebbe?”
“Noi!”, esclamò, indicando una figura più piccola disegnata su un foglio che teneva per mano altre due figure più grandi. “Questo sono io. Questo è Akira e questo sei tu. Ti piace?”.
In genere i ragazzini a quell’età disegnavano sempre in modo orribile, e Yukio non era da meno. Tuttavia temevo che essere troppo sincero lo avrebbe portato in seguito a dover sopportare il suo pianto.
“Carino...”, commentò nel tono più convincente possibile. Questo bastò al bambino per essere soddisfatto.
“Lo sai, io penso di essere felice. Perché anche se non ho più la mamma ci siete voi che vi prendete cura di me. Non andate anche voi, vero?”

Quella domanda lasciò non poco sorpreso Ryou. Un bambino che aveva perso la famiglia voleva essere rassicurato. Ma era una sicurezza che poteva effettivamente dargli?
Non c’era parole giuste per momenti come quelli. Bisognava dire ciò che una persona sentiva di voler dire.
“No. Non andiamo”, rispose semplicemente. Quella risposta parve quietare molto Yukio, il quale guardò orgogliosamente il disegno che aveva fatto.
“Possiamo appenderlo da qualche parte?”
“Sì...”, fece poco convinto. “Immagino di sì”.
Si alzò per cercare del nastro adesivo da qualche parte. All’improvviso si sentiva strano, triste, intenerito, provava un miscuglio di sensazioni bizzarre. Ed era tutto a causa di Yukio, che con il suo affetto e la sua dolcezza mandava a monte ogni tentativo di Ryou di rimanere distaccato. Era sempre stato contrario all’idea di avere figli. Insomma, non si poteva di crto dire che avesse un istinto paterno! Eppure lui pareva piacere a Yukio, il quale non badava mai al suo sguardo infastidito o alla sua poca gentilezza.
Pensava ciò mentre osservava il cassetto vuoto. Forse Akira aveva ragione? Doveva semplicemente imparare a sciogliersi almeno un po’?
Fu la voce stessa del bambino a destarlo dai suoi pensieri.
“Ciao, Akira! Bentornato!”, esclamò correndogli incontro. Hayama allora lo prese in braccio.
“Ehi, che stavi facendo?”
“Disegnavo. Ryou mi stava aiutando a cercare qualcosa per appenderlo”
“Ma davvero?”, domandò sorpreso, guardandolo. Il corvino sembrava piuttosto imbarazzato da quella situazione, non era da lui mostrare il suo lato più tenero.
“Sì, beh… finalmente sei tornato. Stasera vado a lavoro io, comunque!”, affermò passandogli accanto.
“Amh… d’accordo. Su, Yukio. Ti aiuto io ad appenderlo”.

Non c’era niente di peggio di Kuga quando era nervoso. Soprattutto quando parlava al telefono e se la prendeva con i fornitori per qualche ordine in ritardo o mai arrivato o sbagliato.
“Che cosa?! Diecimila yen? Ma per cosa?! Aragoste? Ma io non le ho ordinate! TSUKASA! Non dirmi che è un altro dei tuoi brillante scherzi! Ti ho detto mille volte che l’aragosta è troppo costosa!”
“Io non ho fatto nulla! Ci sarà stato un errore!”, tentò di giustificarsi.
“Ah”, sospirò lui. “Sì… no, senta, si riporti tutto, d’accordo? Noi non abbiamo ordinato niente, e quindi non intendo pagare. Sì. Sì, esatto, annulli tutto. Che razza di idiota”, borbottò chiudendo la chiamata. “È veramente ridicolo!”
“La gente così finirà con il pensare che sei avido”
“Non è un problema io”, affermò a braccia conserte. “E poi, tutto quello che sto mettendo da parte mi serve per il nostro futuro figlio. Hai idea di quante cose abbia bisogno un bambino?”
“Immagino tante”
“Già, appunto. Quindi niente spese strane!”.
Tsukasa temeva di doversi sorbire un altro discorso di Kuga su quanto fosse importante risparmiare, ma per sua fortuna Rindou era rientrata in casa proprio in quel momento.
“Dove sei stata?!”, Terunori le andò addosso. “Non devi uscire da sola, la strada è pericolosa per una donna nelle tue condizioni!”.
Si accorse solo in seguito dell'espressione strana dell’amica. Sembrava delusa.
“Eh? Rindou, tutto a posto?”.
Per tuta risposta, lei mostrò loro ciò che teneva in mano: un test di gravidanza.
“Scusate, ragazzi. Ma non ho resistito e l’ho fatto. Vi chiedo scusa, davvero”
“Ti stai scusando troppo, mi pare...”, Kuga aveva sorriso nervosamente. Finse di non capre il perché.
“Mi dispiace… è negativo”.
Quel risultato fu sia per Kuga che per Tsukasa peggio di un’accoltellata. Com’era possibile? Forse qualcosa era andato storto?
“Ma… ma… ma...”, Terunori era senza parole.
“Emh… andiamo, non fatela così tragica. Un test di gravidanza può sempre sbagliare, forse ci vorrebbe una visita più approfondita”, Tsukasa tentò di tirarli su di morale, ma in verità neanche lui sembrava convinto. Rindou aveva l’espressione di una persona estremamente depressa. Per forza era così, ci teneva davvero a rendere felici i suoi migliori amici.
“Vado a dormire, adesso...”, sussurrò. Vederla così era strano.
Kuga aveva fatto una smorfia,
“E adesso?”
“No. Non saltiamo a conclusioni affrettate. Se non facciamo una visita approfondita non possiamo esserne certi”
“Non sono sicuro di volerlo sapere a questo punto”
“Cosa? E rimanere nell’indecisione per sempre? Ma vuoi farmi morire d’ansia?”
“E va bene, d’accordo”, sbuffò. “Ma se il risultato sarà davvero negativo… beh, preparati ad asciugare le mie lacrime per i prossimi anni”.
E anche Kuga si era lasciato andare alla depressione. Per Eishi sarebbe stato così facile seguire il suo esempio, ma almeno uno di loro doveva pur tenere la rotta.
Chissà come sarebbe andata a finire...



NDA
Come finirà? Rindou è davvero incinta o no? Megumi e Shinomiya risolveranno i loro problemi? Intanto Ryou sembra starsi addolcendo, mentre Takumi e Soma affrontano le sfide di tutti i giorni. Tra l'altro, la particolarità degli occhi cerulei che cambiano con il tempo/il pianto... era mia. Già, mia, peccato che crescendo se ne sia andata :D
Alla prossima.

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Capitolo 12
*** Sorpresa...?! ***


12 - Sorpresa...?!

C’erano tanti modi per affrontare la tristezza e lo sconforto. Il modo di Rindou si chiamava Eizan. Lei era probabilmente l’unica che poteva vedere oltre il suo brutto carattere abbastanza dispotico. E lui era sicuramente l’unico a poter andare dietro il suo carattere frizzante e allegro. Quella sera, poggiata al cofano dell’auto, Rindou stava mandando giù grossi sorsi di birra, mentre Eizan la guardava stupito.
“Cosa?”, lo guardò lei. “Una ragazza non può bere?”
“Sì, certo che può. Ma dovresti andarci piano”.
Lei gonfiò le guance. Si sentiva abbastanza in colpa, sebbene di colpe non ne avesse. Non ci sarebbe stato nulla di strano se il risultato fosse stato effettivamente negativo, non è che tutti concepivano al primo colpo, perché per lei sarebbe dovuto essere diverso?
Eppure, nonostante ciò, si sentiva così inutile.
“Sto bene”, borbottò. Ovviamente Eizan non sapeva ancora del suo ruolo di madre surrogata. Chissà come l’avrebbe presa?
Rindou si fece ad un tratto più vicina, abbracciandolo.
“Mi piace il tuo calore”.
Lui ricambiò l’abbraccio. Non riuscendo a non notare che in effetti ci fosse qualcosa che non andava.
“Stai bene? Non mi sembri molto stabile”.
“Sto… amh...”, lei mormorò qualcosa, dopodiché il silenzio. Eizan dovette accorgersi con orrore che la ragazza era svenuta.
“Rindou?! Andiamo, per favore! Non posso credere che tutto ciò stia accadendo a me! Forza, sveglia!”.
Ma non si sarebbe svegliata così facilmente. Non prima di una bella gita all’ospedale.

Kuga era certo di una cosa: un giorno di quelli avrebbe dato di matto. Lasciare il lavoro perché la sua amica – nonché momentanea coinquilina – era finita in ospedale. Per cosa poi? Il troppo alcol!
“Io farò meglio a non parlare”, si lamentò Terunori, con l’espressione di chi, di lì a poco, avrebbe commesso un omicidio.
“Allora fa parlare me che è meglio”, sospirò Tsukasa.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, trovarono Eizan in sala d’attesa. E Kuga pensò bene di approcciarlo delicatamente come solo lui sapeva fare.
“Cos’hai fatto a Rindou, brutto coglione?”
“Io non ho fatto niente, sottospecie di mezz’uomo isterico”
“Come mi hai chiamato?! Ma io ti ammazzo!”
“Ehi!”, li interruppe Eishi. “Ragazzi, siamo in ospedale, un po’ di delicatezza!”.
Kuga e Eizan si lanciarono un’occhiata truce, per poi sedersi accanto a braccia conserte come due ragazzini imbronciati, nell’attesa che qualcuno desse loro notizie. E dovette passare mezz’ora buona, prima che una gentilissima infermiera arrivasse per dir loro qualcosa.
“Ah! Allora?”, domandò Terunori. “Rindou sta bene?”
“Morirà?”, aggiunse Tsukasa. “Oh, no. Forse è malata”
“Potete stare tranquilli, la vostra amica sta benissimo, e non ha niente che non va. O per meglio dire, ha qualcosa che si risolverà in nove mesi. Un po’ di meno in verità”.
Kuga e Tsukasa cambiarono espressione.
“In che senso, scusi?”, domandò il primo.
“È incinta! Ma non mi sorprende che non lo sappiate, non lo sapeva neanche lei!”.
Tra lo shock generale, c’era anche quello di Eizan, che proprio non riusciva a capacitarsi.
“Ma… ma non è possibile! Io non l’ho neanche baciata! Ho fatto sesso con lei e poi ho perso la memoria?!”.
“Tsukasa!”, gridò Kuga. “Respira, respira!”.
Eishi effettivamente sembrava ad un passo dall’avere un infarto… in senso buono ovviamente.
“Lei… noi...”
“Sì!”, esclamò lui felice. “Avremo un bambino! Aspetta, mio figlio nascerà ubriaco? Non lo posso permettere, basta alcol per quella ragazza! Allora il test aveva sbagliato. Evviva, i nostri spermatozoi hanno fatto un buon lavoro!”.
Erano talmente esaltati che non si erano neanche accorti di come Eizan li stesse guardando. Chissà cosa doveva aver capito dalle loro frasi sconnesse… sicuramente nulla di buono.
“Ma di cosa state parlando? Avete ingravidato Rindou? Dovevo immaginarmi che ci fosse qualcosa di losco fra voi tre, è per questo che state sempre insieme”, li accusò.
“Beh, mi sorprende che sia proprio tu a parlare, brutto...”
“Kuga!”, Tsukasa lo frenò. “Forse dovremmo spiegargli tutto, non pensi?”.
Lui borbottò qualcosa, ma alla fine decise di accontentarlo. Sempre meglio questo che fargli fare strane idee.

“Ah… quindi lei è la vostra madre surrogata?”
“Proprio così. E non l’abbiamo ingravidata con i nostri cosini, lo abbiamo fatto artificialmente”, chiarì Kuga.
“Già. Rindou era un po’ depressa, perché avevamo fatto il test ma era risultato negativo. A quanto pare però avevo ragione a dire di fare un controllo più accurato”.
Eizan aveva l’espressione di una persona che non sapeva che cosa dire. Insomma, la ragazza con cui usciva e di cui probabilmente si stava innamorando aveva dentro di sé il figlio di un’altra coppia. Questo era strano.
“Io… non me lo aspettavo”
“Ehi, non vorrai lasciarla per questo, spero!”
“Io non ho mai detto questo, ma se non ti dispiace avrei bisogno di metabolizzare la cosa. Lo sapevo che c’era qualcosa di losco”
“CONTINUI CON QUESTA STORIA?!”
“Sssh”, lo zittì Tsukasa. “Silenzio, dobbiamo entrare!”.

Rindou era per fortuna sveglia. E aveva anche gli occhi che brillavano, sembrava incredibilmente felice.
“Ehi...”
“Ehi!”, esclamò Kuga. “Hai saputo la bella notizia?”
“Ho saputo”, sospirò. “Ma se lo avessi saputo prima avrei evitato di bere tutta quella birra da quattro soldi”
“Va tutto bene, ma niente più alcol per te, solo acqua e cibo biologico”.
La ragazza sorrise, guardando poi Eizan.
“Scusa se non te l’ho detto ma… era complicato”
“Non preoccuparti per questo, ci ha pensato la coppia più bella del mondo a dirmi tutto. Emh… insomma… come… come ti senti?”
“Sto incredibilmente bene. Alla fine lo svenimento non era dovuto dal fatto che non reggo l’alcol, ho solo avuto un calo di pressione. Non posso crederci… ha funzionato. E fra qualche mese farò nascere vostro figlio”
“Ti prego, non dire così altrimenti rischio seriamente di… di...”, Tsukasa aveva tentato di concludere la frase senza alcun successo, perché subito dopo era scoppiato in lacrime.
“Oh, no, Tsukkasan! Dai, non è questo il momento delle lacrime, conservale per dopo. Allora, ci sono tante cose a cui dobbiamo pensare. Anzitutto… dobbiamo dirlo a tutti. Poi dobbiamo iniziare a comprare tutto il necessario. E cosa più importante… dobbiamo pensare ad un nome bellissimo. Il nome è importante…!”
A Rindou venne da ridere.
“Ho l’impressione che qualcuno sia già partito in quarta, eh?”
“Già”, Tsukasa tentò di ricacciare le lacrime che prima l’ansia e poi la felicità gli avevano causato. “Saranno mesi molto lunghi, questi qui...”

Era passato qualche giorno da quella lieta notizia, e finalmente Rindou, Tsukasa e Kuga avevano avuto la possibilità di dirlo a tutti i loro amici. Soma non aveva perso tempo e subito si era fiondato sull’amico, abbracciandolo.
“Ottimo lavoro, sei stato bravo Kuga!”
“S-scusate… veramente ci sarei anche io”, aggiunse Tsukasa.
“E io”, sbuffò Rindou. “Nessuno ha un po’ di considerazione per me? Dopotutto sono io quella che farà tutto il lavoro pesante”.
Sfortunatamente per loro, né Kuga e né Soma sembravano molto propensi ad ascoltarli.
“Ma ci pensi? I nostri figli cresceranno insieme. Saranno migliori amici”, disse il primo.
“O potrebbero anche stare insieme un giorno. Così io e te diventeremmo parenti”
“Sì! Ho deciso, uno dei tuoi figli starà con il mio!”
“Scusate!”, intervenne Takumi. “Guardate che non stiamo parlando di merce di scambio”.
Terunori allora gonfiò le guance, abbracciandolo.
“Che ti prende, Takumicchi? Non vuoi imparentarti con me?”
“Oh, certo. Le cene di natale sarebbero un vero spasso”, sospirò alzando gli occhi al cielo.
“Volendo c’è anche il bambino di Megumi e Shinomiya”, disse poi Kuga. “Non so, dovrò valutare bene la situazione”.
Megumi sorrise nervosamente nel sentirsi chiamata in causa. Era ancora ospite di Soma e Takumi, lei e Shinomiya non si erano sentiti ultimamente. E la cosa la spaventava non poco! Cosa avrebbe dovuto fare? Cercarlo? O aspettare che suo marito smaltisse la rabbia e la cercasse? D’altro canto, non poteva occupare abusivamente casa di quei due per sempre, avevano già tanto da fare.
Rindou, tutta contenta, le si avvicinò.
“Megumi! Sono così felice di sapere che potremo vivere la gravidanza insieme”
“Eh… sì, anche io”, rispose non molto convinta.
“Umh? Su, che ti prende? Non mi dire che Kojiro non si è ancora fatto sentire. Perché se è così, vado da lui e gli do un bel pugno…!”
“No! Non è necessario, davvero! E poi ha ragione ad essere arrabbiato. Forse sono stata egoista? Forse ho sbagliato tutto…?”.
Prima che potesse lasciarsi andare ad una vera e propria crisi, Rindou l’afferrò per mano, invitandola a respirare profondamente.
“Tu hai soltanto seguito il tuo istinto. Non c’è nulla di male, è una cosa normale. Certo, forse le modalità sono state poco ortodosse… ma tanto prima o poi vi sareste trovati in questa situazione, meglio prima che dopo, no? Vedrai, vi riappacificherete presto. Mentre invece io devo sperare che Eizan non sparisca nel nulla. Adesso vado a ubriacarmi di acqua, se non ti dispiace”.
A Megumi venne da ridere nel sentirla parlare così, la sua positività era sempre contagiosa. Sperò che le parole di Rindou si rivelassero veritiere…

Lei non poteva saperlo, ma in verità anche Shinomiya si stava lasciando andare ad una serie di elucubrazioni mentali che lo stavano facendo andare fuori di testa… e il fortunato a doverlo ascoltare era proprio Isshiki, il quale amava tanto fare da consulente in certe situazioni.
“Farò bene ad essere sconvolto, no? Certo, forse avrei potuto capirlo prima, ma che colpa ne ho?”
“Mi spiace”, rispose l’altro. “Sfortunatamente mi sento di tifare più per Megumi che per te”
“Cosa?! Bene, ti ringrazio per la solidarietà. Brutto idiota, non dovevo venire qui”. Nene si avvicinò ai due, servendo sul tavolo del caffè amaro.
“Andiamo, non c’è bisogno di farne una tragedia. O forse sono di parte perché ho suggerito io a Megumi di farsi ingravidare”
“TU HAI FATTO CHE COSA?!”
“Oh”, Isshiki era sorpreso. “Però Nene, non pensavo fosse così audace”
“Con il senno di poi mi rendo conto che probabilmente è stata una mossa avventata. Ma oramai è successo, che intenzioni avresti, non prenderti le tue responsabilità?”.
Shinomiya non trovò la forza di rispondere. Certo che doveva prendersi le sue responsabilità, e poi amava Megumi, non aveva certo intenzione di lasciarla da sola a crescere un figlio che era di entrambi.
“E se fallisco?”
“Però, non ti facevo così insicuro”, disse Isshiki allegro. “Una cosa è certa, finché non ci provi non puoi saperlo!”.
A quel punto era chiaro cosa ci fosse da fare. Affrontare la situazione di petto.

Nel frattempo, Hajime e Kou erano nuovamente finiti con l’essere al centro dell’attenzione. Il primo era contesto fra Megumi e Rindou, mentre la seconda si trovava tra le braccia di Kuga.
“Ah”, Takumi aveva un’espressione strana. “Kuga, attento a come la tieni”
“Non preoccuparti! Devo far pratica e tua figlia è la cavia perfetta. D’altronde, a Kou piace tanto stare con il suo zio preferito, vero?”.
Forse a causa di una forza maggiore o del karma, Kou iniziò a piangere e a strillare.
“No!”, esclamò Terunori. “Che cosa ho fatto?”
“Oh, sì, credo che di pratica ce ne vorrà tanta”, rise Soma divertito.
“Tsukassan, prendila tu!”
“Ma io non so come si fa!”
“Fallo lo stesso!”.
Sebbene Eishi provasse non poca ansia a tenere in braccio una bambina così fragile, alla fine fu costretto a prendere Kou. Sorprendentemente quest’ultima si calmò immediatamente, forse sentendosi rassicurata.
“Amh… okay… wow, non piange più”, sussurrò cullandola.
“Sei bravo! Sicuramente molto più di Kuga!”, commentò Soma.
“Mh”, fece lui geloso. “Smettetela. Anche io sono bravo, è stato solo un caso. Me la ridai adesso?”
“Fra un momento. Ci sto prendendo la mano!”, esclamò Tsukasa contento come un bambino che imparava ad andare in bicicletta. E in quel momento Kuga iniziò a sentir accrescere in sé una rivalità notevole. Nulla di strano, si erano conosciuti come rivali, ma adesso si trattava di crescere un figlio insieme, non di una sfida culinaria!
“Per caso aspettate qualcuno?”, domandò Rindou. “Bussano alla porta!”
“No. Vedi chi è”, si lamentò Takumi mentre preparava il latte per i gemelli.
Rindou si avvicinò e quando aprì si sorprese di ritrovarsi davanti Shinomiya.
“Ciao, Rindou. Ma che fai qui?”
“Se proprio lo vuoi sapere festeggiamo un lieto evento. Sono incinta”.
“Oh, felicitazioni
Megumi è qui, vero?”.
Rindou sospirò, permettendogli di entrare. E in quel momento, ogni singolo sguardo si posò sul nuovo arrivato.
“Shinomiya?”, domandò Soma sorridendo. Lui non rispose, semplicemente si limitò a guardarlo male e rivolse poi le attenzioni alla moglie, la quale aveva subito spalancato gli occhi per la sorpresa.
“K-Kojiro!”, esclamò alzandosi in piedi.
“Megumi… ciao.. amh… io… noi...”
“Amh, amh”, Takumi si schiarì la voce. “Io vado a cambiare i piccoli”
“E io ti aiuto!”, esclamò Soma.
“Io, Tsukasa e Rindou andiamo a… ah, ma che importa, filiamo!”, borbottò Kuga nel tentativo di lasciare i due coniugi da soli.
E Megumi attendeva che Shinomiya prendesse a parlare.
“Immaginavo di trovarti qui. Quei due scemi ti hanno trattata bene?”
“Sono stati gentilissimi con me. Ma ovviamente non posso rimanere qui per sempre. Io ho già una casa da cui tornare e… ho un marito, a meno che tu non voglia divorziare. Non vuoi, vero?”
“Accidenti, no, ma che diamine! Ti prego, torna a casa, non ce la faccio a vivere con il pensiero che non sei con me”.
La ragazza sentì gli occhi divenire lucidi. Kojiro non si lasciava mai andare a certe frasi così tenere, se non in occasioni particolari e… forse quella era effettivamente un’occasione particolare.
“Questo significa che… va bene? Voglio dire… tu accetti tutto questo?”.
Lui sospirò, facendo spallucce.
“Beh… è una mia responsabilità. Non sono un ragazzino che scappa di fronte la realtà dei fatti. Ma avrò bisogno di tempo per abituarmi al pensiero che… cavolo, avrò un figlio, io. Per fortuna ci sono nove mesi”
“Facciamo sette”
“Umh, bene. Allora… torni a casa con me stasera?”.
Megumi batté le palpebre, sollevandosi sulle punte e baciandolo.
“Assolutamente sì. Scusa se non ti ho detto nulla. Giuro che la prossima volta te ne parlerò”
“Ah, pensi già alla prossima volta?”, domandò con un sorriso, accarezzandole i capelli.
“Aaaaw”.
Nell’udire quel guaito, i due si voltarono. Kuga, insieme a tutti gli altri, aveva cacciato la testa dalla porta e li stava guardando con gli occhi che brillavano.
“Vi prego, continuate pure, non badate a noi”
“Certo”, borbottò Shinomiya. “Takumi e Soma, grazie per esservi presi cura di Megumi, ma adesso la porto via con me”
“Prego, prego, vai pure”, rise Soma. “Ah, l’amore...”.

Quella sera Yukio sarebbe dovuto andare a dormire prima del solito. Dopo che Jun era morta, il bambino aveva smesso di frequentare l’asilo, ma adesso era opportuno che tornasse, era giusto che passasse il tempo con i suoi coetanei. Peccato che il piccolo sembrava non volerne sapere nulla.
“Io non voglio andare a scuola!”, si lamentò seduto a gambe incrociate sul letto.
“Perché no?”, domandò Akira. “So che prima ti piaceva tanto”
“Prima era prima, ora è ora, io non voglio andare, non mi piace! Piangerò tantissimo, mi verrà la febbre e moriró!”
“Mio Dio”, si lamentò Ryou, con un mal di testa lancinante addosso. “Perché questo ragazzino è così tragico?”. Hayama alzò gli occhi al cielo, tornando a concentrarsi su Yukio.
“È davvero necessario che tu vada, non puoi stare sempre a casa con noi”
“Sì invece”, gonfiò le guance. “E se poi non venite più a prendermi?”
“Oh, questa sì che sarebbe una bella idea”, disse Ryou. “Potremmo effettivamente lasciarti lì a scuola, così ti spediranno nel negozio dei bambini dimenticati dove ti rivenderanno a cinque yen”
“Cosa? Ryou! Ti sembrano cose da dire?!”. Yukio aveva ovviamente preso sul serio quella che era palese ironia.
“Noooo! Non voglio andare nel negozio dei bambini abbandonati, non voglio!”
“Bravo, ottimo lavoro”, sbottò Hayama.
“Ah”, Ryou era seccato. “Insomma, Yukio! Possibile che non capisci che ti sto prendendo in giro? Potremmo mai lasciarti da solo?”.
Il bambino si asciugò gli occhi.
“Ma tu dici sempre che qui non devo starci, che devo stare con chi deve prendersi cura di me”.
Hayama allora guardò male Ryou. Quella era la dimostrazione che i bambini ricordavano tutto ciò.
Il diretto interessato si sentì in difficoltà.
“Non dicevo per davvero”
“Ah, sì?”, chiese Akira.
“No, cioè… accidenti, ma cosa vuoi tu? Yukio, non fare storie, avanti, è già tardi, domani andrai a scuola”.
Capendo che sarebbe stato inutile insistere, il bambino si asciugò gli occhi, mentre Akira gli sistemava le coperte.
“Secondo te perché Ryou non mi vuole bene?”, domandò ad un tratto.
L’altro rimase molto stupito da quella domanda.
“Non è che non ti vuole bene. Ryou è così, non sa dimostrare bene l’affetto, sapessi che fatica ho fatto per conquistarlo. Però mi ama, questo lo so. E in fondo vuole bene anche a te, solo che non se ne rende conto”
“Davvero? Me lo puoi giurare?”
“Certo che sì. Sta tranquillo. Su, adesso dormi, okay?”, domandò accarezzandogli il viso. Sentendosi rassicurato, il bambino poté finalmente chiudere gli occhi.
Fuori dalla cameretta, Ryou aveva ascoltato la loro conversazione. E si sentì toccato nel vivo. Era davvero così che appariva? Come uno che aveva difficoltà ad esprimersi? Probabilmente aveva ragione Hayama. E probabilmente l’arrivo di Yukio aveva cambiato molte cose, il suo modo di approcciarsi alle persone compreso.



NDA
E' ufficiale, la gioia è arrivata anche per Tsukasa e Kuga... chi potrebbe essere il genitore preferito beh... ho i mieid ubbi al riguardo, ma non lo diciamo a Kuga che è meglio XD Shiomiya ha chiesto consigli niente meno che a Isshiki, però quanto meno alla fine si è convinto, e lui e Megumi hanno fatto. Eizan invece c'è rimasto di sasso nel scoprire che la sua ragazza è incinta (e non per colpa sua), sarà una relazione destinata a durare?

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Capitolo 13
*** Sono cose che capitano ***


13 - Sono cose che capitano

Avere a che fare con due gemelli e allo stesso tempo lavorare era un grande impegno. Malgrado Takumi e Soma si fossero messi d’accordo per fare a turno, delle volte risultava davvero impossibile, specie quando lo Yukihira si riempiva e allora c’era bisogno di una mano in più.
Era in quei momenti che Takumi prendeva i suoi figli, li metteva in auto e li portava con sé. Il che era una gran faticaccia.
“Scusate”, ansimò con tra le mani due seggiolini. “Qualcuno mi da una mano oppure no?”
“Oh, i miei nipotini adorati!”, esclamò Joichiro. “Lascia, faccio io”
“Comunque io sto bene, eh. Non sono mica stanco”, si lamentò.
“Se dici così, penserà che ti mancano le sue attenzioni”, commentò Soma, mentre suo padre poggiava i seggiolini sopra uno dei banconi.
“Ah, fantastico. Non sono sicuro che il connubio neonati-cucina sia esattamente sicuro. Ci sono coltelli, fuoco, pericoli in ogni angolo!”
“Lascia fare”, lo tranquillizzò Soma, prendendo in braccio Hajime. “Questo è il loro posto. Dunque, Haji. Quella che vedi si chiama planetaria e serve ad impastare. Poi c’è il forno, la griglia, i coltelli...”
“Questa cosa non mi piace. Saresti capace di regalargli un set di coltelli per il suo primo compleanno!”
“Io?”, domandò sorridendo nervosamente. “No, assolutamente no”.
Takumi lo guardò male, riprendendosi Hajime.
“Zitto e lavora”.

A differenza dei loro migliori amici, Kuga e Tsukasa avevano preso la cosa molto più alla leggera. Stavano infatti ancora dormendo beatamente, ignari del fatto che tra di loro ci fosse un intruso. E no, non si trattava di Simba.
Terunori fu costretto a svegliarsi quando capì di essere a due passi dal cadere dal letto. Il motivo era semplice: Rindou si era infilata tra le lenzuola, fra lei e Tsukasa.
“Eh? Rindou, ma che ci fai qui?”
“Umh… non voglio dormire sola in camera mia”
“Cosa? Ma questo è assurdo. Avanti, spostati, stiamo stretti”
“Ah… che succede?”, si lamentò Tsukasa.
“Rindou non vuole dormire nel suo letto”
“Andiamoooo!”, borbottò lei. “Come farete quando vostro figlio verrà da voi perché non vuole dormire da solo?”
“Ah, no. Di certo io non lo accontento. Vero, Tsukasa?”.
Quest’ultimo si massaggiò la testa, stanco.
“Se vuole rimanere qui, che rimanga, a me non da fastidio”
“COSA?! MA SENTILO! È così che i bambini vengono su viziati!”
“Sssh, Kuga!”, lo chiamò Rindou. “Piano, sono solo le nove e mezza”
“Ah, sì, sono le… LE NOVE E MEZZA?! RINDOU, MA PERCHÉ NON CI HAI SVEGLIATI?!”
“Ma voi non mi avevate chiesto di svegliarvi!”, si giustificò la ragazza.
C’era voluta un’altra ora prima che tutti e tre uscissero di casa. Sì, perché Rindou non ne voleva proprio sapere di starsene da sola, anche perché si sentiva un po’ preoccupata, non aveva idea se la sua relazione con Eizan avrebbe o no avuto futuro, poteva immaginare che stare accanto a lei, in quelle condizioni fosse… magari un po’ strano.
Poi, come se non bastasse, c’erano tante cose che non poteva fare.
“Kuuuga”, si lamentò entrando in cucina. “Vorrei tanti del sashimi e un bicchiere di champagne”
“Te lo sogni, non puoi mangiare queste cose!”, rispose lui.
“Non sono io, è tuo figlio che ha voglia di sashimi e champagne”
“Non va bene lo stesso. Comunque sia… ho trovato il nome perfetto per lui o lei che sia!”
“Davvero?”, chiese Tsukasa con una punta di preoccupazione nella voce.
Lui annuì, fiero di se stesso.
“Se è un maschio lo chiamiamo Lion, se è una femmina Lionne. È francese, ti piace?”.
Eishi sorrise nervosamente, doveva immaginarsi un’uscita del genere da parte sua.
“Amh… emh… sì… carini… ma non ti piacerebbero dei nomi un po’ più normali?”
“Sono orribili”, borbottò Rindou. “Ma ti immagini una ragazza che si chiama Lionne? Non troverebbe mai un fidanzato, e questo non lo possiamo permettere!”
“Ah, è così?!”, proclamò Kuga offeso. “Molto bene, allora. Visto che siete tanto bravi, trovatelo voi un bel nome. Tsk, assurdo, la mia opinione non conta mai niente!”.
Tsukasa scosse il capo. Kuga stava già iniziando a dare di matto, non osava neanche immaginare quello che sarebbe successo più avanti.

Non avere Yukio in giro per casa era strano. Ryou si sentiva in parte sollevato, ma in parte a disagio. Oramai si era abituato ad avere quel bambino allegro che sgambettava per casa, che giocava, cantava, rideva. Stava forse sentendo la sua mancanza? Era possibile?
Pensava ciò mentre si ritrovava a riordinare i cassetti. Con un bambino intorno c’era sempre un disordine infernale. Dopo aver svuotato il possibile, mise da un lato ciò che avrebbe dovuto buttare e dall’altro ciò che invece aveva tenuto. Ciò che gli saltò all’occhio furono dei disegni fatti da Yukio, quel ragazzino sembrava avere una vera e propria passione. Tra i vari scarabocchi colorati, qualcuno attirò la sua attenzione. In uno erano rappresentati una donna e un bambino, e lì Ryou che probabilmente doveva trattarsi proprio di Jun e Yukio. Quest’ultimo era stranamente maturo per la sua età, non si lamentava mai, ma era ovvio che soffrisse. Poi ce n’era un altro. Un omino disegnato che gli ricordava vagamente se stesso e un’altra figura più piccola. Sembravano felici, almeno lì. Possibile che Yukio gli si fosse affezionato a priori, nonostante i suoi trattamenti poco gentili?
In fondo, i bambini non volevano nulla, solo amore e una famiglia.
Sospirò, conservando accuratamente quei disegni. Probabilmente avrebbe conservato in un posto più sicuro quello in cui era ritratto.
“Ehi, Ryou, hai finito di… Ryou?”.
Quest’ultimo sollevò lo sguardo.
“Che vuoi tu?”
“Ma… piangi?”.
Piangere lui? Effettivamente aveva gli occhi lucidi, ma non se n’era neanche accorto.
“No che non piango, perché dovrei?!”.
Curioso, Hayama si chinò.
“Ma quello è un disegno di Yukio? Non me lo aveva ancora fatto vedere”
“Beh, ebbene? È mio, raffigura me e lui”
“Lo sai, qualcosa mi fa pensare che alla fine tu ti stia affezionando a quel ragazzino, anche se non lo vuoi. Pensi che potrai mai amarlo come se fosse un figlio tuo?”
“Oh! Tu fai troppe domande a cui io non so rispondere. Perché non mi lasci in pace e basta?”, sbuffò alzandosi con il disegno tra le mani.
Ryou, sembra incorreggibile ma dai sentimenti stranamente trasparenti come acqua. Forse quello era un buon segno, o almeno così sperava.
Subito dopo suo marito tornò.
“Piuttosto, a che ora dobbiamo prendere Yukio?”
“Alle tre e mezza”
“Le tre e mezza...”, guardò l’orologio. “Le tre e mezza? Ma sono le quattro!”
“Che? Non è possibile!”
“Non lo dico io, lo dice l’orologio! Come hai potuto dimenticarlo?”
“E tu allora?”
“Io ero occupato! Fanculo! Senti, andiamo e basta!”, affermò nervoso, cercando le chiavi della sua auto.
Era stato ironico quando aveva detto a Yukio che lo avrebbe lasciato a scuola, non aveva di certo intenzione di agire seriamente! Era stato un caso, com’era potuto passare loro per la mente qualcosa di così importante?
Dopo aver rischiato una multa per eccesso di velocità, dopo aver ignorato i semafori e dopo uno e due incidenti mancati, arrivarono alla scuola del bambino. Quest’ultimo, con l’espressione spaventata e le lacrime agli occhi, stringeva la mano alla sua maestra davanti all’entrata.
“Yu-Yukio”, ansimò Hayama senza respiro. “Stai bene?”
“Aaaaah!”, piagnucolò. “Non è giusto! Vi siete dimenticati di me! Volevate lasciarmi qui, potevo finire nel negozio dei bambini smarriti!”
“Non ti abbiamo lasciato qui, non ci siamo accorti dell’ora!”, tentò di tranquillizzarlo.
“Lei è il padre?”, domandò la maestra, una giovane donna dall’espressione dolce e affabile.
“S-sì, possiamo dire di sì. Mi spiace, io e mio marito eravamo così impegnati che non ci siamo accorti del tempo che passava. Tutto a posto, Yukio?”.
Lui si strofinò gli occhi.
“Sì. Adesso però vorrei un gelato. Me lo compri?”
“Sì, certo che te lo compro”, sospirò prendendolo in braccio. “Grazie… e scusi ancora”
“Non si preoccupi. Avere a che fare con un bambino non è affatto facile”
“Già…. Non lo dica a me”.
Ryou si era limitato ad aspettare in macchina. Incredibile come si fosse precipitato, e fortuna che continuava ad affermare di essere totalmente immune all’affetto di quel bambino. Stava mentendo a se stesso, seppur invano.
Hayama aprì lo sportello posteriore e adagiò Yukio sul sedile.
“Ryou! Ci sei anche tu!”
“Anche io? Chi credi che abbia guidato? Ho rischiato di investire qualcuno”
“Perché sei un bravo genitore che farebbe qualsiasi cosa per il proprio figlio”, lo pizzicò Akira.
“E tu invece sei semplicemente irritante”.
Yukio prese a ridere.
“Gelato, gelato!”, esclamò infine.

Rindou mancava da un po’, e Kuga non sapeva se sentirsi sollevato o preoccupato. Quella ragazza era un vero uragano, non poteva permettere che facesse cose strane, soprattutto non adesso che custodiva il suo futuro!
“Tsukassan, vai a vedere cosa Rindou sta combinando”
“Lo sai che se ti lascio da solo combini guai. Metti troppo peperoncino ovunque!”
“Ma perché nessuno apprezza l’arte del piccante? Va da lei, subito!”.
E in effetti Kuga si dimostrò essere molto convincente, forse a causa del coltello affilato che teneva in mano. Tsukasa quindi si arrese, uscendo dalla cucina e notando come Rindou si fosse addormentata con la testa poggiata ad uno dei tavoli. Strano, forse era una delle conseguenze della gravidanza?
“Emh… Rindou?”, chiamò picchiettando sulla sua testa. “Svegliati”
“Mamma, ancora cinque minuti”
“Non puoi stare qui, i tavoli sono per i clienti! Coraggio, alzati!”.
Con la coda dell’occhio, Eishi si accorse di qualcuno che era appena entrato.
“Benvenuto a Le petit… Eizan?!”.
Davanti a lui c’era proprio il ragazzo, il quale aveva un’espressione strana.
“Scusate se sono venuto qui, ma a casa non c’eravate e quindi...”
“Oh, Eizan!”, esclamò lei. “Sei venuto per me?”
“Effettivamente sì. Dovrei parlarti”.
Lei non aveva colto il suo tono strano, mentre Tsukasa, master in ansia e panico, se n’era accorto immediatamente. Non era stato molto felice di lasciare i due da soli, probabilmente perché immaginava che sarebbe successo qualcosa di strano.
Eizan e Rindou andarono fuori. Quest’ultima era avvolta in una felpa pesante, stava iniziando a far freddo.
“Sicuro che non vuoi parlare dentro?”
“No… è meglio di no”, rispose nervoso. “Sai, ho pensato molto a tutta questa faccenda”
“Oh… ah… ebbene?”.
Possibile che non riuscisse a capire da sola quello che voleva dirle? Era abbastanza ovvio!
“Questo è… troppo strano! Sul serio, non ero pronta ad un’evenienza del genere, se solo me lo avessi detto prima...”
“Se te lo avessi detto prima cosa? Che sarebbe cambiato? Avresti evitato di avvicinarti a me?”
“Non lo so, d’accordo? Il fatto è che adesso non mi sento più sicuro”.
Rindou sentì gli occhi divenire lucidi. In genere si sarebbe arrabbiata, ma ultimamente era più emotiva del solito.
“Quindi… vuoi rompere con me?”.
Eizan stesso non si aspettava di certo di doversi ritrovare ad asciugare le sue lacrime.
“Eh… aspetta, ma perché ti disperi così? Andiamo, non piangere!”.
Ma Rindou non sembrava propensa ad ascoltarlo.
“Accidenti”, imprecò.
Subito dopo sentì qualcuno picchiettargli su una spalla: dietro di lui c’erano Tsukasa e Kuga. Quest’ultimo teneva in mano un mestolo e aveva un’espressione degna di un pazzo omicida.
“Vattene via, subito”
“Che… eh? Ma sei pazzo?”
“Sì, sono pazzo. E se non te ne vai subito, ti darò un colpo in testa così forte da renderti irriconoscibile!”.
Eizan indietreggiò. Non ci teneva particolarmente a ricevere quel tipo di trattamento.
“V-va bene, me ne vado!”, esclamò.
“Bravo, e non tornare più!”, gli urlò contro, mentre Tsukasa si apprestava a consolare Rindou.
“Ehi, stai bene?”
“No”, si asciugò le lacrime. “Perchè ho effettivamente pensato che potesse andare bene? Eizan è sempre stato un bastardo, anche quando andavamo a scuola era così”
“Non pensarci! Tu meriti di meglio!”, la rassicurò Kuga. “Di certo quell’idiota non si avvicinerà più a te, o troverà la furia mia e della mia spatola!”
“Magari non ci facciamo arrestare, eh?”, sospirò suo marito. “Puoi stare tranquilla, Rindou. Tu hai noi”.
Lei batté le palpebre, rendendosi effettivamente conto dell’affetto che entrambi provavano nei suoi confronti. Forse perché erano una famiglia, e di conseguenza era giusto proteggersi a vicenda.
“Dai, vieni dentro”, disse Kuga. “Fa un freddo terribile, non ti puoi ammalare”.
La ragazza tirò su con il naso, sentendosi sinceramente sollevata. Non sarebbe mai stata sola perché aveva con sé la famiglia migliore e forse più strana del mondo.

Takumi era stanco. Dopo un'intensa giornata di lavoro, tutto ciò che avrebbe voluto era tornare a casa. Kou, nel sedile dietro e sul suo seggiolone, agitava le mani, lamentandosi.
"Lo che hai fame, piccola, ma devi aspettare. Se tuo padre non si sbriga giuro che lo lascio qui!", borbottò. Soma arrivò quale istante dopo, con addosso l'affanno.
"Eccomi"
"Sì, eccoti. Hai chiuso tutto? Perchè non può pensarci tuo padre?"
"Dai, Takumi. Sono stanco, possiamo andare". Il biondo si astenne dal rispondere e mise in moto l'auto, uscendo poi dal parcheggio. Kou continuava a lamentarsi e ad agitarsi.
"Soma, ti prego, prova a calmarla"
"E va bene!", esclamò lui voltandosi. "Su, Kou, stiamo per arrivare e...".
Ad un tratto calò il silenzio.
"Beh? Perché non parli più?"
"... Hajime non c'è..."
"CHE COSA?! COSA STRA-CAZZO VUOL DIRE CHE NON C'E'?!"
"Significa che non c'è!".
Il biondo frenò di botto.
"Lo hai lasciato al ristorante?!"
"Io pensavo fosse con te!"
"Non ci posso credere, tu hai lasciato nostro figlio al ristorante, dobbiamo tornare indietro subito!"
"Su, Takumi, starà bene! Sai quante volte dimentico le cose?".
Lui però gli lanciò uno sguardo che lo zittì completamente.
"Hajime non è una cosa, mi pare. Adesso sta zitto!".
Soma abbassò lo sguardo, mentre suo marito guidava come un forsennato verso la direzione opposta. Fortunatamente non si erano allontanati troppo. Dopo aver faticato tanto per chiudere tutto, Soma fu costretto a riaprire il ristorante. Trovò Hajime ancora sul suo seggiolone che dormiva tranquillo, probabilmente non doveva essersi accorto di niente.
"Haji!", Takumi lo prese subito in braccio. "Mio Dio, mi dispiace tanto... come ho potuto..."
"Beh, dai, sta bene...", Soma fece spallucce.
"Sì, sta bene! E tu sei un idiota!"
"Cosa?! Che ho fatto?!"
"Possibile che non te ne rendi conto? Quale sarà il prossimo passo? Io non voglio che a loro succeda nulla, ma lo capisci o no?!".
Soma scorse il suo tono spezzati. Non molto spesso Takumi si lasciava andare alle lacrime, mentre in quel momento gli sembrava molto provato.
"Takumi..."
"Scusa, sono stanco d'accordo? L'assenza di sonno, tutti i pensieri che ho per la testa. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma alle volte mi domando se ne sono in grado!".
Soma capì che sarebbe stato compito suo consolarlo. Si avvicinò, abbracciandolo e baciandolo in fronte.
"Fare il genitore è il lavoro più difficile al mondo. Capita a tutti di sbagliare. Ma Kou e Hajime crescono giorno dopo giorno e sono felici. Se non fosse per te penso che avrei combinato più guai io di chiunque altro"
"Tu lo pensi davvero?"
"Certo che si", gli accarezzò il viso. "Adesso però forse è meglio tornare in auto, Kou è rimasta da sola"
"Ecco, per l'appunto!", borbottò. Soma sorrise, scuotendo poi il capo. Se Takumi avesse saputo che era proprio lui il più forte dei due probabilmente si sarebbe sentito meglio. Spense le luci e poi si sbrigò a raggiungere la sua famiglia.



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Capitolo 14
*** Complessi&strane voglie ***


14 - Complessi& strane voglie

Le notti non erano mai state tanto lunghe. Dormire era diventato raro. E pensare che Shinomiya aveva creduto di poter avere un po' di tempo prima di dover affrontare le notti in bianco. Quest'ultime invece erano, per sua grande gioia, già arrivate.
"Ah, Kojiro", si lamentò Megumi, seduta sul letto. "Ho fame. Ho voglia di anguria. E poi vorrei un panino con il salame. E un hamburger".
L'uomo, avvilito, guardò l'orologio che segnava le due e mezza di notte.
"Ma è notte fonda, non puoi aspettare domani?". Lei scosse il capo con energia.
"No che non posso!", piagnucolò. "Non riuscirò a dormire. Non lo sai che le voglie di una donna vanno accontentate?"
"E che succede se non lo faccio?", domandò paziente.
Megumi strizzò gli occhi.
"Non lo so, ma sicuramente niente di buono! Ti prego Kojiro, accontentami!".
Capendo che non avrebbe avuto scelta, Shinomiya decise di alzarsi e cercare i suoi vestiti. Non avrebbe mai immaginato che si sarebbe ritrovato a fare una cosa del genere, era a dir poco assurdo.
"E va bene, vado. Ma non ti assicuro che riuscirò a trovare tutto"
"Grazie! E mi prendi anche delle olive? Ah, e una torta al cioccolato! Ho finito!".
Lui le lanciò un'occhiata sconvolta.
"Meno male".
Nonostante il freddo e la neve - era già dicembre - tra non molto sarebbe stato natale, fu obbligato a uscire di casa, saltare in auto e girare per un quarto d'oro nella speranza di trovare un mini-market aperto. E per sua fortuna ne trovò uno. Recuperò quasi tutto, tutto eccetto l'anguria. Sperò che Megumi capisse, dopotutto si trovavano in inverno pieno!
Se si soffermava a pensare a quanto la sua vita fosse cambiata in così poco tempo, quasi non riusciva a crederci. E il cambiamento maggiore non era ancora arrivato, perché tra non molto tempo ci sarebbe stata un'altra persona di cui prendersi cura. A certe cose era meglio non pensare, giusto per non entrare in panico. Già, panico. Proprio lui che ne aveva affrontate tante e che non temeva niente, andava in panico. Questo non avrebbe fatto bene alla sua reputazione. Infilò la chiave nella serratura, nella mano reggeva il sacchetto, ed entrò nella casa buia. Dopo aver posato tutto in cucina, tornò in camera da letto, sorprendendosi però di non trovare lì Megumi.
"Eh? Megumi, ma dove sei?".
Solo in seguito si accorse della porta del bagno aperta e della luce accesa. Si avvicinò e si accorse che la ragazza stava china sul water, praticamente accasciata.
"Ehi!", esclamò. "Ti senti bene?". Lei scosse il capo.
"No, non sto bene", disse sofferente. "La colpa è della nausea, non mi lascia in pace. Ti prego, stammi vicino"
"Certo, sono qui", la tranquillizzò stringendole la mano. Subito dopo, un conato di vomito colse Megumi, costringendola a rimettere tutto ciò che fino a quel momento era stato nel suo stomaco.
Shinomiya alzò gli occhi al cielo. Nella gioia e nel dolore. Probabilmente questo era compreso.
"Adesso ti senti libera?".
La ragazza annuì lentamente. Fece per alzarsi, ma ovviamente l'equilibrio era del tutto assente.
"Aspetta!", Shinomiya la afferrò. "Ferma, ci penso io a te". Poco dopo la prese in braccio, era sempre stata così minuta e magra che non aveva mai avuto problemi. Era come una bambina, ma di fatto non lo era. La riportò a letto, adagiandola sul materasso.
"Umh...", si lamentò lei. "Grazie di prenderti cura di me".
Lui parve sorpreso.
"Perchè mi ringrazi? Sono tuo marito, devo prendermi cura di te". Megumi sorrise. Aveva l'espressione di una che sarebbe crollata di lì a poco, ma in verità le sue intenzioni erano ben altre.
"Adesso vorrei una pizza"

Rindou si stava trovando a vivere le stesse situazioni della sua compagna di avventure, quindi nausee, sbalzi d'umore e voglie. Soltanto che Kuga e Tsukasa affrontavano la cosa in maniera un po' diversa. Poiché assolutamente volevano accontentare tutte le voglie dell'amica, prendevano la scusa per sfidarsi.
"Io la accontenterò di più!", esclamò Kuga.
"Tu sei solo un povero illuso. Sarò io a saziare le sue voglie", affermò Tsukasa. Rindou guardava i due sorpresi, rendendosi conto di quanto effettivamente quella conversazione fosse equivoca.
"Sentite, non mi importa, l'importante è che io mangi. Qui abbiamo fame!".
"Arrivo!", esclamò Terunori. "Tranquilla, ti servo subito!". Tentò di nascondere una risata portandosi una mano davanti al viso. Doveva ammettere che avere tutte quelle attenzioni ed essere un po' viziata non le dispiaceva. E poi, questo l'aiutava a distrarsi dalla questione Eizan. Quel bastardo! Come aveva potuto essere così insensibile? Oh, ma in fondo si stava parlando di lui, che cosa si aspettava? Nel suo profondo, però, aveva sperato che le cose potessero andar bene. Perché non poteva accettare la sua condizione e basta?
"Ecco qua!", esclamò porgendogli un piatto. "Mangia, mangia!". Lei strabuzzò gli occhi, ma poiché stava stravedendo dalla fame, non ci pensò due volte ad assaggiare. Subito dopo sent' la lingua pizzicare.
"Oh mio Dio, ma è così piccante! Kuga, vuoi far nascere tuo figlio con già  con un trauma?"
"Questo non è un trauma! E poi non brucia così tanto"
"Umh, sempre il solito egocentrico", lo prese in giro suo marito.
"Tu sta zitto. So già che sarai migliore di me in tutto, quindi non fare battute!", esclamò puntandogli il dito contro.
Kuga avrebbe voluto far passare tale frase per una battuta, ma in verità era stato talmente serio da non riuscirci.  Aveva davvero rivelato la sua paura?
"Kuga...?".
Lui si schiarì la voce.
"Cosa? Senti, lava tu i piatti, io sono stanco".
Rindou guardò Eishi.
"Credo che qui qualcuno abbia bisogno di parlare".

Ryou dormiva beatamente e profondamente, quando sentì due mani aggrapparsi a lui. Yukio infatti si era arrampicato sul letto e lo aveva svegliato.
"Eh?", domandò lui seccato. "Ma che c'è? Yukio? Non dirmi che è già mattina". Il bimbo scosse il capo. Sembrava piuttosto spaventato.
"Ho fatto un brutto sogno".
Ryou si massaggiò gli occhi.
"Ah... emh... okay. Akira!", esclamò scuotendolo. "Svegliati"
"Ah", si lamentò lui. "Che c'è? Qual è il problema?"
"Il bambino ha fatto un brutto sogno"
"Ah", fece  lui mettendosi seduto. "Ne vuoi parlare?". Il bambino si era seduto sul letto, stringendo il suo orsacchiotto.
"Ho sognato la mamma. E l'incidente", mormorò con la voce spezzata e tremando. Hayama allora gli accarezzò la testa.
"Va bene. Ormai  è passato. Fa male, lo so. Ma con il tempo farà meno male". Ryou si massaggiò la testa. In genere non avrebbe fatto nulla del genere, ma non poteva essere così cattivo con lui.
"Fallo dormire con noi". Hayama lo guardò sorpreso.
"Davvero?"
"Sì", sospirò. "Insomma, se Yukio lo vuole..."
"Sì!", esclamò. "Lo voglio, lo voglio!". Senza farselo ripetere due volte, il bambino si infilò fra i due, sentendosi immediatamente più tranquillo e protetto. Akira sorrise mentre guardava negli occhi suo marito.
"Perché mi guardi così?"
"Perché ti amo", sussurrò poggiando la fronte sulla sua. Quel dolce gesto e quella frase lo fecero arrossire.
"Ma ti sembrano cose da dire?". Yukio rise.
"Mi piace tutto questo". Ryou sbuffò, in verità si sentiva piacevolmente colpito. Spense la luce e immediatamente Yukio si aggrappò a lui, abbracciandolo stretto stretto. Rimase qualche secondo immobile, poi però si sciolse e ricambiò la stretta.

Kuga era andato a rifugiarsi in camera sua. Si stava togliendo il grembiule, mentre sbuffava. Cos'era quell'assurda insicurezza? Lui non era mai stato insicuro. O, per meglio dire, era sempre stato molto bravo a fingere di non esserlo, perché adesso doveva essere così difficile?
Tsukasa lo raggiunse poco dopo. Aveva visto nei suoi occhi un certo timore che non gli era però indifferente.
"Kuga..."
"Eh... cosa? Che c'è? Perché mi hai seguito?", domandò nervoso.
"Perché hai la faccia di una persona che deve dirmi qualcosa"
"Io non devo dire niente".
"Io invece penso proprio di sì", si avvicinò afferrandolo per mano e sedendosi accanto a lui. "Coraggio. Sono giorni che ti vedo strano. Per caso è per qualcosa in merito alla gravidanza? Sei preoccupato? Dovresti parlarne con me".
Kuga fece una smorfia. Non aveva mai amato mostrare le sue debolezze, sopratutto se tanto socche.
"Non è niente di importante, davvero. È soltanto una mia fissazione"
"Ovvero?".
Terunori sbuffò.
"Okay. Insomma, è chiaro che tu sarai molto più capace di me con questa cosa. E tutto ciò mi fa sentire in competizione. Ti sembra normale? Certo che no!".
Eishi lo guardò stupito per qualche attimo, poi prese a ridere.
"E adesso perché stai ridendo?"
"Perché effettivamente è proprio da te. Detto sinceramente a me piace questa sana competitività che c'è fra noi. E poi... io meglio di te? Ti sei forse dimenticato della mia ansia? Al massimo sarò il genitore noioso"
"Ah, dici così solo per farmi contento", borbottò.
"D'accordo, allora facciamo così. Visto che in questo caso non vuoi competere, allora dovremmo forse fare un gioco di squadra.Questa è una sfida che dobbiamo affrontare insieme. E non nasconderti se hai dubbi o paure, perché io non mi nasconderò di certo".
Kuga fu portato a sospirare istintivamente. Adesso si sentiva stranamente meglio, più sollevato.
"Sono stupido", piagnucolò.
"Ma va, non è vero. Su, vieni qui", sussurrò attirandolo a sé in un abbraccio a prendendo ad accarezzargli con dolcezza i capelli. Poi sentirono Simba guaire.
"Simba?", chiamò Kuga. "Cosa c'è?". Ciò che il cane voleva era portare l'attenzione su Rindou, la quale si era appallottolata sul divano a piangere.
"Oh, accidenti", sospirò Terunori. "Okay, il gioco di squadra inizia adesso. Emh, emh... Rindou... ti senti bene?"
"No che non  mi sento bene!", esclamò isterica. "Mi sento maledettamente emotiva. Mi manca Eizan"
"Ma come fa a mancarti uno così?", chiese Tsukasa.
"Non lo so, però mi manca. Perché non mi vuole?"
"Il problema non sei tu, è lui che è un codardo. Se è un vero cavaliere tornerà", la tranquillizzò Tsukasa.
"Col cavolo che torna, ha già fatto abbastanza danno!".
Rindou però prese a piangere con più forza.
"Aiuto, morirò da sola. Sarò una zitella triste e depressa"
"Ma va, non sarai sola. Ci sono io, c'è Tsukasa. I nostri amici... e anche Lion-Lionne! Farà parte della tua vita!"
"Insisti ancora con quei nomi?".
La ragazza tirò su con il naso.
"Giusto, è vero... io non sono sola, ma non posso pesare su di voi per sempre. Quando il bambino nascerà dovrò trovarmi un lavoro... e una casa"
"Per quello c'è tempo. Piuttosto, hai qualche voglia?".
Lei ci pensò su.
"Sesso"
"Cosa?!"
"Beh? Sono gli ormoni!"
"Amh... emh...", Tsukasa era diventato bordeaux. "Non credo potremmo aiutarti"
"Se volete io posso anche guardarvi mentre fate le vostre cose"
"Eh... no", chiarì Kuga. "Cavolo, questo non lo avevo messo in conto".

Takumi e Soma si stavano ritrovando ad affrontare  uno degli impegni da genitori che prima o poi arrivavano: lo svezzamento. Kou stava seduta dritta sul seggiolone, gli occhi grigio-verdi spalancati in un'espressione curiosa.
"D'accordo, Kou. Proviamo. Non puoi andare avanti solo con il latte per sempre, ti pare?", domandò avvicinando un cucchiaino alla sua bocca. La bambina assaggiò, facendo poi una smorfia e sbrodolandosi.
"Oh, no", si lamentò. "Ti prego, non sputare tutto. Soma, come va con Hajime?"
"Eh.. tu che dici?", domandò avvilito  suo marito, il quale si trovava con la maglietta sporca di crema di riso. Il bambino, dal canto suo, aveva ben pensato di afferrare il cucchiaino e iniziare ad agitarlo e a fare una serie di versi.
"Effettivamente questa roba ha un sapore orribile", sospirò il rosso. "Non sarebbe meglio provare con qualcos'altro?"
"Tipo cosa, del ramen?", domandò seccato.
"Quella è un'idea! Noi siamo due grandi cuochi, non possiamo far mangiare ai nostri figli della roba del genere"
"Quando avranno i denti e potranno masticare potrai cucinare loro quello che vuoi, fino ad allora temo che dovrai arrangiarti", sospirò Takumi con pazienza, chinandosi su sua figlia e pulendole il viso.
"Lo sai cosa dovremmo fare? Inventare dei pasti per neonati simili a quelli degli adulti. Stesso sapore ma consistenza diversa. Sì, posso provare". Il biondo spalancò gli occhi. Non c'era cosa peggiore di Soma che sperimentava cose strane.
"Sappi che non ti permetterò di usare i nostri figli come cavie!".
Ovviamente suo marito non lo avrebbe ascoltato mai e poi mai. Scosse il capo, attirato poi da Kou che aveva preso ad agitare le mani e a fare dei versi.
"Che c'è piccola?", domandò. Poi, guardando verso la finestra, capì da cosa sua figlia era stata attratta. Candidi fiocchi di neve stavano cadendo, poggiandosi anche sul davanzale.
"Ma guarda, nevica", sussurrò. "Tra poco sarà Natale. Il nostro primo natale insieme. E pensare che un anno a fa quest'ora non avrei mai immaginato di ritrovarmi con due piccoli bambini di cui prendermi cura. Sarà speciale, non è vero?". A quel punto la bimba gli regalò il sorriso più dolce che potesse esistere. Dopodichè ne seguì un rumore di piatti che venivano poggiati sul tavolo.
"Oh, Takumi! Penso di aver fatto l'invenzione del secolo!".
Subito il biondo scattò in piedi, prendendo in braccio i due piccoli.
"Scappiamo prima che sia troppo tardi".

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Capitolo 15
*** Natale ***


15 - Natale

Satoru si stava divertendo a guardare Kou e Hajime. Erano così piccoli e morbidi che quasi non se ne capacitava. Non vedeva l'ora che crescessero, poiché erano ancora troppo fragili per poter giocare con lui.
"Quando cresceranno, quando?", domandò il bambino. Takumi stava cercando di dargli retta, ma era molto difficile dal momento che doveva occuparsi di tutto, visto che il Natale si sarebbe festeggiato in casa sua.
"Ci vuole tempo per queste cose. Accidenti a Isami, se ne va sempre chissà dove", si lamentò cercando tra i vari cassetti. "Dov'è il mio coltello? Soma, non dirmi che lo hai buttato!"
"Io non sono come te che butti tutto senza motivo!", esclamò offeso, mescolando qualcosa in una padella. "E poi qual è il problema? Usane un altro!"
"Lo sai che non riesco a cucinare senza il mio coltello!".
Satoru si portò una mano sul viso, guardando poi i gemelli, che adesso stavano seduti sul divano e lo guardavano con curiosità.
"Sono strani forte, vero?", domandò cantilendando, porgendo una mano a Hajime, che la afferrò con entusiasmo.
Il bambino più grande rabbrividì quando sentì un alito di freddo dietro il collo. Effettivamente la porta si era aperta, poiché Isami e Yuki erano appena tornati.
"Papà, mamma!", esclamò contento. "Avete comprato il mio regalo?"
"Ma che accoglienza calorosa, eh?", fece Yuki posando un bacio sulla testa del figlio. "Takumicchi! Come va con la preparazione?"
"Andrebbe meglio se solo Soma non avesse buttato il mio coltello!", si rivolse al marito. "Piuttosto, dov'è tuo padre? Aveva detto che sarebbe arrivato prima per darci una mano con i bambini"
"E che vuoi che ne sappia io?".
Takumi evitò accuratamente di rispondere. Doveva assolutamente  mantenere la calma, considerando che di lì a poco la sua casetta così tranquilla si sarebbe riempita di persone. E infatti, un quarto d'ora dopo arrivarono Kuga, Tsukasa e Rindou, ovviamente con l'immancabile Simba. Poi erano arrivati Nene e Isshiki, poi Hisako con Erina e Alice con Marui. Li avevano seguiti Ryou, Akira con Yukio e infine Megumi e Shinomiya. Di Joichiro neanche l'ombra.
Immediatamente, Yukio e Satoru erano scappati per fare chissà dove. Quei due stavano sempre insieme e malgrado la lontananza erano più uniti che mai. Ryou dovette di sentirsi piuttosto preoccupato, non era mai una buona cosa avere dei legami con gente che viveva dall'altra parte del mondo.
"Ehi, Ryou. Vuoi del vino?", gli domandò Hayama. Lui però lo congedò con un gesto della mano.
"Beh? Non mi dire che sei di cattivo umore. Dai, è la vigilia"
"Io non sono di cattivo umore, stavo solo pensando che Yukio dovrebbe scegliersi bene gli amici". Hayama inarcò un sopracciglio.
"Ma parli di Satoru?"
"Beh... sì. Metti caso che legano troppo? Poi lui soffrirà e non va bene". Ad Hayama venne da ridere.
"Ma che papà premuroso e attento che sei, non me lo aspettavo proprio"
"Io non sono preoccupato, va bene?", domandò isterico.
"Ah, tranquillo. Hanno tre anni, loro non badano a queste cose", fece spallucce. "Se poi crescendo la cosa dovesse trasformarsi in altro..."
"Oh, ti prego", sbottò. "Te ne occuperai tu, chiaro?". L'altro non ribatté. Dopotutto era un compromesso giusto.
Nel momento in cui era arrivata, Megumi si era seduta. A causa della gravidanza era stata costretta a lasciare il suo lavoro di cameriera, ma contava di tornarci il prima possibile. Sarebbe stato facile se solo non si fosse stancata così facilmente.
Con Rindou era in ottima compagnia.
"Eizan mi ha lasciata. È così disturbante il fatto che io porti in grembo il figlio del miei migliori amici gay?"
"No, non è disturbante", la tranquillizzò Yuki. "Lo sai come sono gli uomini, si spaventano davanti a queste cose. E a proposito di uomini e le loro reazioni", guardò Megumi. "Shinomiya sembra più tranquillo adesso, eh?".
La ragazza si irrigidì.
"Sì, almeno credo. Con me è piuttosto gentile ma.... non parliamo mai del bambino. Penso non se ne renda conto, ancora"
"Beh, allora farà meglio a rendersene conto, anche perchè oramai si vede parecchio. La gravidanza dona davvero ad entrambe!", esclamò in preda alla malinconia. Poco dopo arrivò Kuga con un piatto strapieno di cibo.
"Scusate, signore. Rindou, ecco a te"
"Che? Ma Kuga! Si potrebbe sfamare un esercito con tutto questo cibo"
"Tu devi mangiare per due, quindi fidati di me". Rindou posò il piatto sul tavolo, spalancando subito dopo gli occhi.
"Oh, mio Dio"
"Cosa?!", Tsukasa aveva sentito le sue parole da lontano. "Che succede? Qualcosa non va?". Rindou scosse il capo.
"Si è mosso!"
"Ch-che?!", esclamò Kuga. "Si è mosso? Dove? Voglio sentire! Tsukassan, vieni anche tu!". I due si avvicinarono con fare un po' tremante alla ragazza e poggiarono la mano sul suo ventre che sembrava oramai un piccolo monte. Dopo alcuni secondi di silenzio  sentirono chiaramente un colpetto.
"Mi ha dato un calcio!", esclamò Terunori con gli occhi lucidi. "Tsukassan, l'hai sentito anche tu, vero? Tu dici che ci riconosce?"
"Sì", rispose con la voce rotta dall'emozione. "Io credo di sì".
"Davvero? Allora... Lion, sbrigati a nascere, non vedo l'ora di vederti"
"Ah... tranquillo, non gli permetterò di chiamarti così", sorrise Eishi, ricevendo in cambio un'occhiata truce da parte del marito. E poi sentirono i singhiozzi di Rindou.
"E adesso perché piangi?", domandò Kuga.
"Il miracolo della vita è strabiliante, non credete?", tirò su con il naso. "Ho bisogno di cibo, mi passate quel piatto per favore?".

Soma, intanto, aveva ben pensato di andare ad arrecare disturbo a Shinomiya, visto che la cosa lo divertiva tanto.
"Ciao, mio amatissimo amico, come va?", domandò abbracciandolo.
"Togliti di dosso se non vuoi che ti tiri un pugno", rispose freddo l'altro.
"Sì, va bene, mi tolgo", lui si schiarì la voce. "Comunque sia, stavo pensando che, visto che ho due gemelli  e uno andrà sicuramente con il bambino di Kuga e Tsukasa, uno dei due potrà andare con il tuo. Sai no? Intendo insieme. Dai, non sarebbe divertente?"
"Avere te come consuocero? Sì, immagina che spasso"
"Oh, andiamo", borbottò dandogli una pacca su una spalla. "Devi scioglierti un po', i bambini hanno bisogno di dolcezza. Aspetta, ti aiuto io".
A quel punto rubò letteralmente Hajime dalle braccia di Takumi e costrinse Kojiro a prenderlo in braccio.
"Beh? Ora che dovrei fare?", chiese tenendo goffamente il piccolo.
"Non lo so, qualcosa. Insomma, stabilisci un contatto, non è difficile!". Shinomiya alzò gli occhi al cielo e sospirò, puntando poi gli occhi su quelli chiari del neonato.
"Amh... io non sono per niente bravo con certe cose, immagino si veda eh?", Hajime per tuta risposta rise, allungando una manina nel tentativo di afferrare i suoi occhiali.
"Ah è così? Ridi di me. Senza ombra di dubbio sei insolente come Soma. Però sei simpatico per essere un bambino, te lo concedo. Non può essere difficile, vero?"..
Sembrava star andando abbastanza bene. Kojiro era convinto di questo. O almeno ne rimase convinto fino al momento in cui Hajime non vomitò tutto il latte bevuto meno di mezz'ora prima. L'uomo spalancò gli occhi, disgustato.
"Mio Dio, che schifo! Qualcuno vuole riprendersi questo bambino?!", esclamò esasperato. Takumi allora si avvicinò, riappropriandosi di suo figlio e rivolgendosi poi a Soma.
"Soma, ma che fine ha fatto tuo padre? Forse dovremmo chiamarlo? Sono preoccupato"
"Ah, vedrai che non gli è successo niente"
"E infatti non è per lui che sono preoccupato, ma per me. Ha in mente qualcosa, ne sono certo".
Yukio e Satoru intanto se e stavano seduti sul divano a giocare, quando l'attenzione del primo fu attirata da qualcosa, anzi, da qualcun oche stava picchiettando contro il vetro.
"Oh", sussurrò. "C'è Babbo Natale! Akira, Ryou, c'è Babbo Natale!"
"Eh?", domandò il corvino distrattamente. "Ma che dici?"
"È vero!", lo difese Satoru. "Non lo facciamo entrare?".
A Takumi bastò poco per capire quello che stava effettivamente succedendo.
"Oh, mio Dio. Non ci sto credendo", subito si fiondò ad aprire la porta. Ne entrò Joichirò, con su addosso un costume da Babbo Natale e un grosso sacco sulla schiena.
"Oh-oh, Buon Natale!", esclamò. Soma spalancò gli occhi.
"Wow, vecchio, certo che sei proprio fuori"
"Non so di cosa tu stia parlando, io sono Babbo Natale. O almeno",abbassò la voce. "Davanti ai bambini fingi che sia così. Chi vuole un regalo?"
"Io, io!", esclamò Satoru agitando una mano.
"Vedo che alla fine ci avevo preso", sospirò Takumi. "Aveva in mente qualcosa"
"Almeno è stato carino". Soma gli si avvicinò, stringendole un braccio intorno alle spalle. "Questo è il nostro primo Natale insieme e ne sono felice. Avresti mai pensato che saremmo arrivati a tanto?"
"Sinceramente? No. Ed è stato bellissimo essere arrivato fin qui", sorrise. Poi Soma, dimenticandosi di essere in mezzo a tanta gente e lo baciò sulle labbra.

"Quel bambino, non posso crederci", si lamentò Shinomiya pulendosi con un tovagliolo. "Come fa un essere così piccolo a fare delle cose così disgustose?"
"Forse dovresti abituarti", Megumi fece spallucce. Lui allora si zittì. Talvolta dimenticava che tra non molto tempo anche lui avrebbe dovuto avere a che fare con un bambino, per non parlare poi della sua sensibilità da elefante.
Rindou si avvicinò tutta contenta alla coppia.
"Shinomiya! Mi è venuta un'idea geniale. Stavo pensando che io, tu, Megumi, Kuga e Tsukasa potremmo andare insieme al corso pre-parto, che ne dici?"
"Corso pre-cosa? No, grazie, rifiuto l'offerta"
"Ma io non te l'ho chiesto, io te l'ho ordinato! Andremo tutti insieme, così ho deciso!", proferì, guardandosi poi intorno. "Sento odore di formaggio, da dove viene?".
Shinomiya allora guardò sconvolto la moglie. A giudicare dalla sua espressione non aveva altra scelta.
Rindou intanto si era allontanata alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, aveva una fame incontrollabile. Poi il telefono che teneva in tasca vibrò e lei lo prese. Aveva appena ricevuto un messaggio da Eizan.
"Ciao, Rindou. Vorrei parlarti, puoi? Dove sei? Vengo a prenderti".
Quel messaggio la lasciò sorpresa. e si guardò intorno per essere certa che Kuga e Tsuasa, ma soprattutto Kuga, non la vedessero.
"Sono da Soma e Takumi. Non fa niente, dimmi dove sei e vengo io, altrimenti daremmo troppo nell'occhio".
 Dopodiché infilò di nuovo il telefono in tasca.
"Amh... torno subito!"
"Aspetta? Ma dove stai andando?", domandò Kuga. Lei gonfiò le guance.
"Insomma, chi ti credi di essere, mio padre forse?". Terunori rimase lì come uno sciocco, scuotendo il capo con dissenso. Aveva ancora una lunga, lunghissima strada davanti a sé.
Dopo essersi coperta per bene, Rindou lasciò casa di Takumi e Soma. Aveva ripreso a nevicare dolcemente e l'unico rumore udibile erano le sue scarpe contro l'asfalto. Vide ad un tratto i fari di un auto e si fermò. Riconobbe Eizam, il quale aveva appena accostato.
"Rindou", ansimò scendendo. "Ti avevo detto che sarei venuto io"
"Ah, avevo bisogno di camminare" si schiarì la voce. "Che cosa volevi dirmi?". Eizan si ritrovò piuttosto in difficoltà- Rindou era diversa, forse era per la pancia ormai visibile, forse per i suoi lineamenti adesso più dolci, quasi materni. Non riusciva a credere di trovarsi lì, ma non poteva farci nulla. Rindou era sempre lì nei suoi pensieri, sempre e comunque. E anche se quella particolare situazione era assurda, non aveva il coraggio di rimanerle lontano.
"Sono un bastardo"
"Sì, direi che lo sei"
"Mi dispiace, Rindou. Davvero. Ma è stato tutto così inaspettato che quando l'ho scoperto... sono rimasto sconvolto. Quello che stai facendo è ... è forte, non in molte sarebbero disposte"
"Beh... io nella mia vita non ho fatto molte cose utili. Probabilmente questa sarà una delle poche cose buone che farò. E va bene così. Il pensiero di poter dare la vita... mi soddisfa abbastanza"
"Non devi pensarla così. Ci sono tante cose che puoi fare. Perché sei intelligente, in gamba e..", si sentì in imbarazzo, probabilmente perchè non era abituato ad essere così gentile con una persona, ma lei era diversa. Lei trascendeva ogni cosa. "Rindou, riuscirai mai a perdonarmi?".
Alla ragazza venne sinceramente da sorridere. Ci aveva sperato in un suo ritorno ed anche se l'aveva ferita, poteva capire il suo stato d'animo. Stranamente adesso non riusciva a vedersi con nessun altra persona che non fosse Eizan.
"Potrei. Ma più che me devi convincere Kuga e Tsukasa"
"Oh, aiuto... devo proprio?".
Rindou ridacchiò, avvicinandosi a lui con le mani dietro la schiena. Stranamente la voglia di picchiarlo era scemata.
"Sicuro che non scapperai più? Perché andando avanti sarà molto peggio"
"Me ne rendo conto", abbassò lo sguardo. "Devo essere pazzo. Ma si parla di te, per cui...".
Le bastò soltanto quella frase per convincersi del tutto. Era Eizan colui con cui doveva stare. Gli buttò le braccia al collo e lo baciò con dolcezza. Lui la lasciò fare, mentre portava le bracci attorno alla sua vita per stringerla più forte. Era felice di trovarsi lì, anche se il pensiero di dover affrontare Kuga lo  terrorizzava alquanto.
Ma andava bene così. Quello era decisamente un bel Natale.

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Capitolo 16
*** Paura e speranza ***


16 - Paura e speranza

"Questa cosa non mi paice".
Era ciò che aveva proferito Shinomiya. Proprio no, il pensiero di seguire un corso pre-parto non lo entusiasmava. Anche perché con loro c'erano anche quei tre esaltati di Tsukasa, Rindou e Kuga che attiravano già molto l'attenzione. E lui odiava l'attenzione. Megumi invece si sentiva piuttosto a suo agio in mezzo a tutte quelle coppie che si trovavano nella sua stessa situazione. Sperava che anche suo marito si lasciasse un po' andare, anche se la vedeva molto, molto difficile.
L'ostetrica del corso sembrava molto carina e gentile, probabilmente Megumi ci sarebbe andata d'accordo.
"Salve a tutti, e benvenuti alla prima seduta del nostro corso pre-parto. Io mi chiamo Haruhi e sono un'ostetrica. L'obiettivo di queste sedute è conoscerci, condividere dubbi, ansie e soprattutto dare consigli circa il parto e la cura del neonato nei primi giorni di vita. Qualcuno di voi vuole presentarsi?".
Kuga alzò subito la mano.
"Io, io!", esclamò, mentre Shinomiya borbottava qualcosa del tipo "egocentrico" o qualcosa del genere.
"Certo, vai pure"
"Ciao!", esclamò cantilenando. "Io mi chiamo Kuga Terunori. Lei invece è Rindou e lui è Tsukasa"
"Vedo che siete in tre. Chi è il padre dei due?"
"Tutti e due!", esclamarono all'unisono. Poi si guardarono, rendendosi conto di quanto in effetti la cosa potesse suonare male.
"Davvero? È la prima volta che ho a che fare con un matrimonio poligamo"
"No, no, no!", esclamò subito Eishi. "Niente matrimonio poligamo. Io e lui stiamo insieme, Rindou è... la nostra madre surrogata.. già". Le sue guance si erano colorate di rosso.
"Oh, scusate, eppure era così ovvio", ridacchiò la signorina Haruhi. "Bene, avremo molto di cui prlare. Qualcun altro?".
Megumi alzò la mano.
"Io mi chiamo Megumi Tadokoro. Lui è mio marito Kojiro e... sono molto felice di essere qui. Davvero. Ho così tanta ansia e così tante domande..."
"Aaaw, come sei carina!", Haruhi sembrava aver preso in simpatia la ragazza. "Mi piaci proprio, Megumi, hai una faccia così dolce, mentre tu...", guardò Shinomitya, che la stava fulminando con lo sguardo. "Sì... decisamente adorabile. Comunque sia, continuiamo con le presentazioni".
Shinomiya non aveva avuto un approccio esattamente allegro alla questione. Contrariamente a Kuga che, sì, era decisamente egocentrico, e alla domanda. "In che modo avete deciso di mettere su famiglia?" si era perso in uno sproloquio.
"Se devo essere sincero non avrei mai pensato di ritrovarmi a questo punto. Ho sempre preferito i cani ai bambini. Poi però ho sentito che qualcosa era cambiato, e io e il mio Tsukassan abbiamo deciso di provare con la gravidanza surrogata"
"Non è stato facile"
"Per niente, temevamo che qualcosa non andasse. Ma invece è andato tutto bene. E adesso Rindou aspetta il mio Lion o la mia Lionne"
"Non si chiamerà realmente così", volle puntualizzare Tsukasa.
Haruhi sembrava molto interessata.
"Capisco, capisco. E invece come sta la futura mamma?". Rindou batté le palpebre.
"Sto... bene. Sì, sto molto bene. Ammetto che all'inizio ero un po' stranita. Poi però ho capito che era quello che volevo. Io sono una persona molto sconclusionata e... mi piace sapere che metterò al mondo qualcosa che almeno in parte... sarà un po' mio"
"Oh, ma certo che sarà anche tuo. Tu sarai sempre sua madre dopotutto, no?", chiarì Kuga facendo commuover la ragazza, la quale chiese un fazzoletto per asciugare le lacrime. Dopodiché l'ostetrica si rivolse a quella che era diventata la sua preferita.
"E tu Megumi? Voglio sapere tutto! Come l'avete deciso?"
"Beh... è un po' complicato in effetti...."
"Si è fatta ingravidare a tradimento...", borbttò Shinomiya.
"Ma... Kojiro!", esclamò lei arrossendo.
"Cosa? È vero!"
"A tradimento?  In che senso?"
"Oh... io volevo tanto un figlio, ma lui no. Così ho interrotto la pillola senza dirgli nulla e sono rimasta incinta. L'ha presa piuttosto male all'inizio"
"Oh, è normale che sia così, molti uomini sono spaventati davanti una tale responsabilità. Poi, fammi indovinare, immagino tu non sia un grande esperto con i bambini, eh?".
Kojiro assottigliò lo sguardo.
"Seriamente è così evidente?"
"Non importa, perché comunque siamo qui per questo e io vi insegnerò tutto quello che c'è da sapere"
"Ma che gioia", sussurrò. Megumi allora aggrottò la fronte.
"Smettila di essere indisponente e sii più cooperativo"
"Sto già cooperando molto, sono venuto fin qui!"
Poco dopo, la signorina Haruhi aveva preso a fare un discorso sulla respirazione e sui segnali del travaglio.
"Credetemi, ve ne accorgerete immediatamente quando arriverà. Perchè vi si spezzeranno le acque. Anche se quello che più spaventa noi donne sono le contrazioni, le quali saranno sempre più ravvicinate e intense man mano che il travaglio va avanti. L'importante é non trattenersi, assecondate il vostro corpo. L'importante e respirare e sfogarsi in qualche modo. Volete insultare il vostro compagno? Bene, forse è l'occasione migliore per farlo, aiuta davvero contro il dolore"
"Questa cosa mi piace", disse Rindou. "Avrei tanta rabbia repressa da smaltire. Eishi, stai scrivendo tutto?"
In effetti Tsukasa era chino su un blocco note e stava appuntando tutto accuratamente.
"Sì, non voglio perdermi neanche una parola"
"Ovviamente potrebbero esserci delle complicazioni, che è giusto che sappiate, come parto poliadico, o un parto cesareo urgente. Questo succede quando il bambino o la madre non stanno bene, come quando il piccolo ha il cordone ombelicale intorno al collo, o è una una posizione non corretta. O anche un parto prematuro".
A Tsukasa cadde la penna di mano.
"Adesso ho paura"
"Oh, no! Non devi avere paura, sto solo parlando in generale per prepararti. E comunque faresti meglio a  stare tranquillo dal momento che sarà Rindou a dover partorire e ad aver bisogno di incoraggiamento"
"Benissimo, allora siamo fregati", disse Kuga alzando gli occhi al cielo.
"Tranquilli, avete ancora un po' di tempo, e comunque sia, per ogni dubbio o domanda, io sono qui!".
La prima seduta si concluse e sia Megumi che Kuga che Rindou erano molto entusiasti. Tsukasa era solo ansioso, ma quella non era una novità.
"Sono preoccupato, e se qualcosa va male? Io odio non avere pieno controllo delle situazioni", si lamentò, guardando Shinomiya. "Come fai a stare tranquillo?"
"Non è che sono tranquillo, ma evito comunque di pensarci. E smettila di preoccuparti, Rindou è una roccia e se tuo figlio ha almeno la metà della tenacia di quello stupido di Kuga, allora sei a posto"
"Giusto, giusto, non ci devo pensare. Ma come faccio?!"
"Senti, Kuga, vieni a riprenderti questo qui, ora!".
Ma il diretto interessato era troppo impegnato a parlare con Rindou, la quale però era a sua volta distratta dagli incessanti messaggi che arrivavano sul suo cellulare. Tutti messaggi ovviamente da parte di Eizan, che bramava di vederla.
"Amh, scusa Kuga, visto che abbiamo finito, io adesso andrei..."
"Andresti dove?", domandò curioso.
"Beh... beh... insomma, sono incinta ma avrò anche diritto ad una vita sociale, no?!". Terunori preferì non rispondere, era meglio darle ragione onde evitare inutili discussioni.
"D'accordo. Ma non ti dimenticare che alle quattro abbiamo l'ecografia! Piuttosto, adesso vorrei andare a fare shopping"
"Di nuovo?", sospirò Tsukasa avvilito. "Senti, abbiamo già comperato tutto, una culla, un passeggino, pannolini, vestiti, accessori, latte in polvere... quante altre cose ancora vuoi comprare?!"
"Beh, scusa se non voglio che a nostro figlio manchi niente!", borbottò afferrandolo per un braccio. "Adesso andiamo. Ciao Megumi, ciao Kojiro, ci vediamo!"
"Ciao ragazzi", salutò cordialmente la ragazza, per poi sospirare. "Dai, è andata bene"
"Sì, benissimo...", borbottò lui. In cambio ricevette un'occhiata truce.
"Almeno potresti essere più gentilee"
"Mi dispiace, io sto facendo del mio meglio. Ma tutte queste cose... sono strane! Io non so fare niente, non so neanche come tenere in braccio un bambino correttamente. E soprattutto", chiarì nervoso. "Non ho idea di cosa dovrei fare nel momenti in cui quel bambino vorrà venire fuori"
"Beh, curiosa la tua ansia, considerando che sono io che dovrò partorire. Fortunatamente, noi siamo qui per questo", sorridendo lo prese sottobraccio. Alla fine Shinomiya non era cattivo, era semplicemente un adorabile insicuro, e Megumi era certa di amare alla follia tutto ciò.

Una volta fuori, Kuga aveva trascinato Tsukasa nel primo negozio di vestiti per bambini che aveva visto. Eishi non era di certo nuovo a certe cose, con Simba era sempre stato così, ma adesso Terunori sembrava addirittura peggiorato, cosa che non credeva assolutamente possibile. Non sapendo ancora il sesso del nascituro si era buttato su colori neutri, come il verde, il giallo, l'arancione, anche se qualcosa di azzurro e rosa lo aveva comprato comunque, visto che a detta sua non c'era scritto da nessuna parte che il rosa non potesse stare addosso ad un maschio e viceversa.
"Tsukasssaaan!", la voce di Kuga era diventata acuta. "Guarda quanto sono carine queste scarpe! Sono grandi quanto un mio dito!". In effetti Terunori teneva in mano un modello Adidas adorabilmente minuscolo. "Le prendiamo?"
"Oh, Kuga. Sono adorabili, ma i bambini crescono in fretta, durerebbero poco"
"E chi se ne infischia", sbuffò gonfiando le guance. "Almeno andrà vestito con stile. Amh... Tsukassan?"
"Sì?"
"Come te lo immagini? Cioè, secondo te come sarà? Poi vorresti un maschio o una femmina?". Eishi ci pensò su prima di rispondere.
"In effetti il sesso mi è abbastanza indifferente. Certo, con un maschio sarei più facilitato, con una femmina non saprei come comportarmi, ma lei sarebbe la mia piccola e quindi... perché mi guardi così?".
Immaginare Tsukasa in veste do padre amorevole e protettivo era qualcosa che mandava Kuga fuori di testa.
"No... niente. Effettivamente anche per me. E se devo immaginarmelo. O immaginarmela... penso che sarebbe... basso"
"Sei crudele, dici così solo perchè non vuoi sentirti l'unico"
"Taci!", arrossì. "Poi me lo immagino... intelligente e profondo come te"
"Ma allegro e coraggioso come te"
"Sì. Ma avrebbe anche un lato oscuro, tipo che quando si arrabbia tira i capelli e picchia tutti. La cosa mi sembra stranamente realistica. Spero solo non diventi sbadato come Rindou"
"Già , a proposito di Rindou, hai idea di cosa stia combinando? Perché quella lì non me la racconta giusta. Facci caso, è sempre per i  fatti suoi, si nasconde, e non l'ha mai fatto... Te lo dico io, si vede con qualcuno"
"Con qualcuno?! Chi?! Non sarà.... No!", esclamò Terunori stringendo un pugno. "Non sarà miaca quel bastardo di Eizan?! Perché se è così giuro che lo ammazzo, sono stato chiaro con lui!"
"Sì, lo so", sospirò Tsukasa. "Però Rindou è anche un'adulta"
"Non mi interessa. Non voglio che soffra, non se lo merita. Io sono agguerrito, dobbiamo esserlo entrambi. Se avremo una figlia, dovremo imparare a proteggerla dagli uomini brutti e cattivi che vorranno spezzarle il cuore"
"Non dire così o mi farai venire più ansia. Comunque non preoccuparti, sono certo che Rindou sa quello che fa. O almeno spero..."


In effetti Rindou sapeva molto bene quello che stava facendo. In quel momento, per esempio, sapeva di volere Eizan a tutti i costi. Seduti sul divano di casa sua, i due avevano preso a baciarsi con passione. Era bastato poco affinché la situazione si scaldasse, e magari la colpa era anche a causa degli ormoni dato dalla gravidanza. E Eizan si sarebbe anche lasciato andare, se solo non fosse stato per un pensiero costante, cioè che non se la sentiva proprio di fare certe cose con Rindou, dal momento che quest'ultima aveva un bambino dentro di sé.
E la ragazza si accorse immediatamente del suo disagio.
"Eizan, ma che ti prende?! Sei rigido come un bastone!"
"Io... mi dispiace! Ci sto provando, eppure non riesco"
"Che significa? Per caso non ti eccito più?  È perché sono ingrassata, vero?"
"Che cosa? No, no, no! Assolutamente Tu sei fantastica, il fatto è che...", abbassò la voce. "Come posso fare certe cose con lui lì dentro? Insomma, non mi sembra giusto. Sei incinta e mi fai quasi tenerezza. E poi tu non andresti a casa di qualcuno a sfondare la sua porta con un ariete, dico bene?"
A lei venne da ridere.
"Eizan, ma di cosa stai parlando?", dopodiché guardò l'orologio appeso alla parete. "Oh, è tardi, Kuga e Tsukasa mi aspettano per l'ecografia"
"Già, a proposito di loro... sospettano qualcosa?"
"Non lo so, non mi hanno detto niente, per cui...Oh, non so quanto potrà durare, è così difficile mantenere dei segreti con loro. Vedrai che non reagiranno male, e insieme formeremo una bella famiglia allargata, okay?". Si avvicinò e gli donò un bacio sulle labbra. Magari  fosse stato così semplice! Eizan dubitava che le cose sarebbero state facili per lui...
Con dieci minuti di ritardo, Rindou riuscì a raggiungere i due in clinica. In genere Kuga si sarebbe arrabbiato, ma in quel momento si sentiva troppo in estasi. Adorava le ecografie, perché poteva vedere di persona come il suo bambino stesse crescendo, e poi ascoltare il battito del suo cuore era sempre emozionante. Tsukasa invece la prendeva in modo più ansioso, come sempre.
"Speriamo che stia bene", sussurrò Eishi.
"Non si preoccupi!", lo rassicurò la ginecologa. "L'ultima volta è andato tutto bene"
"Infatti, è andato tutto bene. Dai, si sbrighi, voglio vederlo!".
Rindou si era stesa su un lettino, la donna le aveva messo del gel freddo sul ventre e poi aveva preso a passare l'ecografo.Qualche secondo dopo sullo schermo era apparsa una figura grigia, in cui era possibile osservare uno sfarfallio dato dal battito cardiaco.
"Ah, eccolo Tsukassan! Secondo lei è possibile sapere il sesso?"
"Sarebbe più facile se fosse posizionato in una posizione più consona. A quanto pare vuole farvi una sorpresa".
A Rindou venne da sorridere. Si sentiva già incredibilmente legata a quel bambino. Poi però si rese conto dell'espressione strana della ginecologa. Il suo istinto le diceva che ciò non prometteva bene.
"Amh... che succede?"
"Io... non ne sono sicura..."
"Di cosa?", il tono di Tsukasa era cambiato. "Non è sicura di cosa?"
"Il battito è un po' irregolare. Forse sarebbe meglio fare un esame più approfondito"
"Un... esame?", sussurrò Kuga. "Perché? Mio figlio non sta bene? Ha qualche cosa che non va?"
"La prego di calmarsi", lo pregò la ginecologa.
"Amh... Kuga, tranquillo", Rindou tentò di sforzarsi. "A-adesso facciamo un esame più approfondito, d'accordo? Non è detto che sia una cosa grave, no?".
In realtà aveva affermato ciò più per convincere se stessa che lui. Perché si sentiva preoccupata esattamente allo stesso modo.
Tsukasa non aveva detto nulla, e ciò era strano. Mentre Rindou si trovava dentro a fare ulteriori esami, lui si era affacciato alla finestra. E il brivido che provava non era dato dal freddo. Kuga si avvicinò a lui con le mani dietro la schiena.
"Ehi, Tsukassan... scusa, poco fa ho perso un po' il controllo. È solo che non mi aspettavo di sentirmi dire una cosa del genere. Beh, immagino possa capitare... vero?".
Eishi però aveva abbassato lo sguardo. Non desiderava altro, voleva solo che suo figlio fosse in salute. Se anche quella sicurezza gli veniva tolta, non gli rimaneva più nulla. Terunori vide una lacrima cadergli giù per una guancia.
"Tsukassan..."
"Scusa, Kuga. Vorrei essere più forte, tranquillizzare te ed anche Rindou, ma non ci riesco. Ho troppa paura che il bambino possa avere qualcosa di grave. Io non ce la farei, capisci? Psicologicamente sarebbe troppo. Ma perché devo essere così debole?".
Kuga allora lo abbracciò stretto a sé.
"Tu non sei debole. Cosa pensi, anche io ho paura. Sto praticamente tremando. Tsukassan, io non so quello che accadrà, non abbiamo il potere, ma qualsiasi cosa sia dobbiamo affrontarla insieme. L'importante è che il bambino nasca... tutto il resto verrà dopo. Ti amo, lo sai? Sono molto fiero di te".
Eishi ricambiò l'abbracciò, affondando il viso tra i suoi capelli.
"Sono io ad essere fiero di te", sussurrò. Rimasero stretti l'un l'altro a godere del calore reciproco. Non avevano tenuto di conto che una cosa del genere potesse accadere proprio a loro. Ma sarebbero stati più forti anche di questo e di qualsiasi difficoltà.


NDA
So che è una commedia, ma inserire l'angst è più forte di me. E poi mica finisce qui, eh, mancano ancora Soma,  Takumi, Hayama, Ryou.... tutti. Lo so, non ringraziatemi.

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Capitolo 17
*** Calore ***


18 - Calore

Takumi sentiva di essere sull'orlo di una crisi di nervi. Hajime piangeva ininterrottamente da un'ora. Ed era straziante, oltre che stancante. Non che Kou fosse tanto più tranquilla. Soma stava cercando di calmarla come meglio poteva. Adesso era riuscito a zittirla per qualche attimo grazie al ciuccio. In compenso, però, il gemello continuava a piangere disperato.
"Hajime, ti prego, smettila di piangere", sospirò il biondo esasperato. "Non ce la faccio più. Non capisco qual è il problema. Ha mangiato, l'ho cambiato... e se stesse male?"
"Male?! Come possiamo esserne certi?"
"Oh, non lo so, aspetta che magari glielo domando!", alzò la voce. "Scusa, Soma. Non riesco a rimanere tranquillo"
"D'accordo, cambio", propose lui. Kou andò in braccio a Takumi e lui adagiò invece Hajime sul materasso.
"Coraggio, qual è il problema? Non saranno di nuovo le coliche, vero?", domandò massaggiando delicatamente il pancino del bimbo, rosso in viso per il pianto.
"Non è quello", chiarì Takumi.
"Sto parlando con lui! Senti, così non andiamo da nessuna parte. Portiamo al pronto soccorso"
"P-perché?", balbettò spaventato. "Non è così grave"
"Takumi, non lo sappiamo! Stai calmo, va bene?", lo afferrò per una spalla. "Vedrai che andrà tutto bene".
Ma questo non potevano saperlo con certezza. Poteva capitare che i bambini si ammalassero, ma non averne sicurezza alcuna era straziante. Alla fine Takumi decise di assecondarlo, gli sarebbe toccata una bella e lunga giornata in ospedale...

Ryou avrebbe voluto uccidere Hayama, ma questa non era di certo una novità. Tutto ciò solo perché Akira lo aveva pregato di andare a prendere Yukio a scuola, visto che lui doveva urgentemente sbrigare delle faccende al ristorante. Certo! Sempre a lui il difficile, ma oramai si stava forse abituando. Dopo aver posteggiato l'auto, Ryou si fece spazio tra tutti quei bambini urlanti che stavano uscendo e correndo da scuola. Yukio lo aspettava sempre vicino l'ingresso, per questo si sorprese di non trovarlo lì, ma comunque non se ne preoccupò. Si rivolse quindi all'insegnante del bambino.
"Emh... senta..."
"Oh, ma è lei! Cosa ci fa qui?"
"Beh, veramente sono venuto a prendere Yukio", disse spazientito.
"Yukio? Ma... com'è possibile? Lui non c'era oggi a scuola".
Non avrebbe mai pensato si potesse provare tanto panico in un solo istante: cosa voleva dire che non era andato a scuola?
"Che?! Sta scherzando spero! Io l'ho lasciato davanti il cancello, che significa che non c'era?!"
"Semplicemente quello che ho detto! Oh, no! Povero bambino, e se qualcuno lo avesse rapito?"
"Così non mi aiuta!", esclamò nervoso. "Senta, farà meglio a chiamare la polizia. Io vado a cercarlo per i fatto miei! Dove può esserci cacciato quel ragazzino?!".
Quella situazione era assurda. Perché Yukio non era andato a scuola? Era stato rapito per davvero? Per forza, un bambino di quasi quattro anni non avrebbe avuto motivo di scappare, o almeno così credeva. Dopotutto, la situazione di quel bambino era piuttosto particolare. Non doveva pensare, doveva agire. Come se non fosse già abbastanza, iniziò a piovere. E poi gli venne un dubbio. Dirlo o non dirlo ad Akira? Teoricamente avrebbe dovuto saperlo, ne aveva tutti i diritti, ma in pratica non voleva assolutamente sentirlo andare fuori di testa e magari anche accusarlo. No, forse era meglio, almeno per il momento, tacere.
E poi c'era la cosa più importante. La sua preoccupazione. Si sentiva seriamente preoccupato e in ansia. Non aveva idea di dove Yukio potesse essere e non aveva idea di cosa potesse succedergli. lui era così piccolo e il mondo l' fuori pericoloso. Avvertì un istinto che fino a quel momento era rimasto sopito e con il fuoco negli occhi mise in moto l'auto per cercarlo.

Kuga era certo che di lì a poco sarebbe impazzito. Perché nessuno gli dava uno straccio di notizia? Era veramente così grave come temeva? Se Tsukasa adesso sembrava più calmo - o rassegnato, in realtà erano punti di vista - lui stava implodendo nel peggiore dei modi. Era passata circa un'ora quando Rindou era finalmente uscita con un'espressione che non seppero definire.
"Finalmente!", esclamò lui. "Allora? Cosa c'è? Che è successo?!"
La ragazza guardò la ginecologa che seguiva il suo caso.
"Niente di troppo preoccupante. Si tratta di una semplice aritmia". In quel momento, qualsiasi parola, anche la più semplice, appariva così difficile da comprendere.
"Aritmia... è una cosa pericolosa?"
"Non necessariamente. Bisogna però tenerlo d'occhio, quindi sarà meglio fissare la prossima ecografia. E non preoccupatevi sono cose che possono succedere".
Tsukasa raggiunse Kuga, abbracciandolo da dietro. Era vero. Certe cose potevano succedere, ma la domanda che tanto si facevano era... perché a loro?
Tutti e tre uscirono dall'ospedale con fare piuttosto silenzioso. Non era il momento di lasciarsi prendere dallo sconforto, anche se era difficile e tutto, dovevano trovare un modo per tirare avanti, lasciarsi prendere dallo sconforto non sarebbe servito a niente.
"Beh, almeno adesso sappiamo che dovremmo prestare attenzione. Poteva essere una cosa ben peggiore...", Kuga stava cercando di tirare fuori la nota più positiva che poteva. Rindou però non riusciva proprio a reggere il suo sguardo.
"Kuga... Tsukasa... ascoltate, è giusto che voi sappiate una cosa. Io... io e Eizan abbiamo ripreso a vederci!".. Terunori cambiò immediatamente espressione.
"Cavolo, lo sapevo, lo sapevo io!"
"Non c'è bisogno di arrabbiarsi tanto"
"C'è bisogno eccome, invece! Rindou, tu hai bisogno di qualcuno che ti faccia stare bene, che ne sai che fra due settimane non verrà di nuovo da te a dirti che non può farcela?"
"Io sono un adulta, so quello che faccio"
"Sei una donna che però porta in grembo mio figlio, e dovresti preoccuparti anche della sua salute!"
"Ragazzi, basta!", li fermò Tsukasa. "Litigando e discutendo non risolveremo le cose. Rindou ha bisogno di tranquillità!". I due diretti interessati però si guardavano con grande astio.
"Io mi preoccupo della sua salute. E tu dovresti fidarti un po' più di me. Adesso me ne vado"
"Un momento, dove pensi di andare?!"
"Dal mio ragazzo!"
"Cosa?! Torna immediatamente qui!"
"Kuga!", Tsukasa lo afferrò per un braccio. "Dai, adesso basta"
"Basta?! Tu dici a me basta? La stai difendendo?"
"No", disse paziente. "Non sto difendendo nessuno, è solo che non puoi impedirle di costruirsi una vita. Sono sicura che Rindou ha pensato alle conseguenze"
"Tsukassan, tu non capisci!", si strinse a lui. "Per me è difficile, e ho paura di tutto. È difficile far finta che vada tutto bene quando tutto quello che vorresti fare è sprofondare e piangere".
Eishi circondò le sue spalle, stringendolo a sé.
"Allora piangi. Va bene, ogni tanto", sussurrò dolcemente. Il vento si era alzato, gelido. Probabilmente, di lì a poco avrebbe piovuto.

Il giro in auto di Ryou intanto continuava senza tregua. Stava cercando di pensare lucidamente, riflettendo sul dove un bambino di tre anni, da solo, potesse andare. Yukio non conosceva molti posti, eccetto il parco, la scuola, casa di Soma e Takumi. Dubitava che fosse a casa di quest'ultimo, anche se aveva provato a chiamare, non ricevendo risposta alcuna. L'ultima spiaggia era il parco in cui il bambino era solito a giocare La chiamata di Akira era esattamente l'ultima cosa che ci voleva, ma tant'è che quest'ultimo era un po' preoccupato di non vederlo ancora tornare a casa.
"Ryou, ma che fine avete fatto? Fuori è quasi buio?"
"Beh, non posso tornare, d'accordo?! Ho da fare con Yukio"
"Con Yukio? Perché, che è successo?"
Troppe domande al momento meno opportuno. Sarebbe esploso entro un secondo.
"Non lo trovo più, va bene? Yukio è scomparso!"
Qualche secondo di silenzio.
"Che vuol dire è scomparso?"
"Santo Dio, cosa vuoi che significhi? Esattamente quello che ho detto! Non è entrato a scuola, non so dove sia andato, né perché, potrebbe succedergli qualsiasi cosa!"
"E tu non mi hai detto niente?!", tuonò. "Come hai potuto? Almeno hai avvertito la polizia?"
"Sì, l'ho avvertita brutto deficiente. Invece che stare lì a lamentarti, vedi di darmi una mano, perché è un pezzo che lo sto cercando. E sbrigati!". Buttò il telefono sul sedile posteriore. Fantastico, adesso aveva anche ripreso a piovere a dirotto. Arrivato a destinazione posteggiò e decise di proseguire a piedi, poco importava se adesso si stava completamente inzuppando. Riusciva solo a pensare a Yukio e niente più. Non riusciva neanche a pensare all'idea  che potesse essergli successo qualcosa, no. Era semplicemente impensabile. Camminò a lungo, quasi correndo, chiamando il suo nome. Ma il parco era ovviamente deserto, la pioggia batteva forte sulle panchine.
Fu di nuovo panico. Non se lo sarebbe mai perdonato. In quel momento ripensò  tutte quelle volte in cui lo aveva bruscamente allontanato, troppo stupido e orgoglioso per poter aprirgli il suo cuore.
"Yukio", ansimò. "Dove sei? Perché te ne sei andato?".
Poi sollevò lo sguardo, udì un tuono in lontananza. Poi, vide su una panchina una piccola figura ,talmente tanto che non arrivava toccare il suolo. Se ne stava seduto tranquillo sotto la pioggia. A quel punto non ebbe più dubbi.
"YUKIO!", gridò. Prese a correre, arrivando vicino al bambino, l quale non sollevò neanche lo sguardo.
"Yukio!", lo chiamò ancora, scuotendolo. "Yukio, stai bene? Ehi! Perché sei scappato?! Cosa è successo? Per favore, parlami!". Fu allora che il bambino sollevò lo sguardo, mostrando i suoi occhi lucidi.
"Loro mi prendono in giro... dicono che sono... diverso... perché non ho più la mamma..."
"Loro? Chi sono loro?"
"Gli altri bambini! Quando mi chiedono perché non ho più la mamma, io non so che dire. Mi dicono che sono solo. Hanno ragione. Non ho una mamma, né un papà... non ho nessuno". La sua voce si era incrinata. E poi aveva preso a piangere disperato, come se si fosse trattenuto per tanto e tanto tempo. Le piccole mani stavano ora sul viso, e Ryo non sapeva cosa dire. Sentiva soltanto un fastidioso pizzicare agli occhi, Non avrebbe mai immaginato che Yukio, così coraggioso e allegro, potesse nascondere un disagio così grande. I bambini erano davvero delle creature speciali
"Ti prego, non arrabbiarti", lo pregò poi. Ryou lo guardò per qualche attimo. Il respiro divenne più pesante e ben presto le lacrime sfuggirono dai suoi occhi. E fece una cosa che non aveva mai fatto. Lo abbracciò. Yukio spalancò leggermente gli occhi, avvertendo, nonostante la pioggia, un piacevole calore.
"Yukio...", sussurrò. "Mi dispiace. Tu avevi bisogno di calore... e io sono stato stupido e codardo. Lo so, ti manca la tua mamma, hai ragione... manca anche a me. Ma adesso non ti devi più preoccupare, perché hai due genitori che si pendono cura di te. E devo ringraziarti. Grazie per avermi amato prima che io stesso riuscissi a farlo". Gli occhi del bambino si erano ora riempiti di meraviglia. Il bambino si staccò un attimo per guardarlo.
"Quindi mi vuoi bene come... se fossi tuo?". Ryou gli accarezzò la guancia.
"Ma tu sei mio.  Sei mio figlio senza ombra di dubbio". Era stato così bello e liberatorio poterlo finalmente dire. Yukio pianse ancora, ma stavolta nelle sue lacrime c'era.... qualcosa di diverso. Ryou continuò a stringerlo a sé con dolcezza. Si sarebbe preso cura di lui, sarebbero rimasti tutti e tre insieme per sempre. Hayama arrivò poco dopo, ansimante. Quando se li ritrovò davanti abbracciati, sospirò, lasciandosi cadere a sua volta.

Takumi era stanco. Voleva sapere come stava Hajime. Il suo piccolo era stato portato via per dei controlli e non c'era nessuno in grado di dargli una risposta. Fortunatamente l'aiuto di Joichiro era stato provvidenziale: quest'ultimo infatti aveva portato con sé Kou, in modo da lasciare i due giovani più tranquilli. Soma gli accarezzava la schiena.
"Su, Takumi, va tutto bene. Anche i neonati si ammalano, è normale"
"Sai cosa non è normale? Il mio non riuscire a fare niente per farli smettere di soffrire"
"... Io penso sia una cosa che accomuni un po' tutti i genitori. Va bene avere paura, Takumi"
"Ma io non voglio averne! Il mio bambino... e se ha qualcosa che non va?".  Era proprio impossibile da gestire, ma Soma poteva comprenderlo probabilmente meglio di chiunque altro.
Una risposta arrivò dopo circa mezz'ora. Takumi si era praticamente gettato sul dottore per chiedere.
"Allora? Cos'ha mio figlio?!"
"Il bambino ha un infezione ai polmoni. Fortunatamente siete stati tempestivi nel portarlo qui, così potremo curarlo"
"Un'infezione? Ma come ha fatto a...?", domandò Soma.
"Sono cose che possono capitare. State tranquilli, è sotto controllo, lo terremo tutta la notte in osservazione"
"Tutta la notte? No! Non può stare da solo, lui è abituato ad addormentarsi in braccio a me. Starà piangendo, fatemi andare da lui!"
"Takumi, aspetta! Non puoi rimanere qui tutta la notte"
"Invece posso, non lascio il mio piccolo qui da solo!"
"D'accordo, allora vengo con te"
"Fuori discussione. Tu devi andare a prendere Kou, portarla a casa e stare con lei"
"Va bene, d'accordo", sospirò lui. "Ma a patto che faremo a turno. Altrimenti non ti lascio qui"
"Io... d'accordo, va bene", abbassò lo sguardo. "Ti amo tanto"
"Ti amo tanto anche io. E su con la vita, alla fine Hajime non ha niente di troppo grave". Takumi evitò di rispondere. Perché doveva essere lui quello più apprensivo? Non che se ne sorprendesse ovviamente, almeno lui e Soma si equilibravano a vicenda.
Sarebbe stata un'altra notte.... molto lunga.

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Capitolo 18
*** Notti movimentate ***


18 - Notti movimentate

"Soma, sicuro di farcela?", aveva chiesto Joichiro. Lui lo aveva rassicurato, dicendogli che poteva benissimo cavarsela.
La prima notte senza Takumi. Questo era molto, molto strano. Da quando si erano sposati, avevano sempre dormito insieme, nello stesso letto. Sarebbe andato volentieri da lui, ma aveva ragione, Kou aveva bisogno di attenzioni e cure.
Arrivò a casa che erano già le dieci passate. La bimba era sveglia e vispa e probabilmente non intenzionata ad addormentarsi a breve. Stanco, Soma la poggiò seduta sul bacone della cucina. Kou lo guardò con i suoi languidi occhi grigi e con tanta curiosità.
"Già, è sorprendente, lo so", sospirò lui. "A volte mi avvilisco anche io, ma non dirlo a nessuno, o la mia reputazione sarà rovinata. Tuo fratello starà bene, vedrai... Oh", si portò una mano sul viso. "E rassicurare se stessi è molto più difficile che rassicurare gli altri. Kou mosse le braccine, richiamando la sua attenzione. Ultimamente aveva preso a riprodurre suoni indefiniti con la bocca, e Soma era abbastanza certo di averle sentito dire "papà". Si avvicinò a lei. Non sciogliersi davanti ad un visino del genere era pressapoco impossibile.
"Lo sai che ti dico? Hai ragione, non devo abbattermi. Io e te siamo una squadra, Takumi e Hajime hanno bisogno di noi. Sei con me, vero piccola?". Lei strinse una manina attorno al suo viso, borbottando qualcosa.
"Bene! Allora, visto che sto morendo di fame... Penso che cucinerò qualcosa. Guardarmi attentamente, okay? Un giorno vi insegnerò tutto ciò che so, parola mia!".

Yukio starnutì sonoramente. La sua piccola fuga aveva messo a soqquadro un mondo intero, ma fortunatamente la cosa si era risolta nel migliore dei modi. Adesso si trovava nel suo letto, avvolto in una coperta calda. Ryou aveva appena finito di misurargli la febbre.
"Trentanove", sbuffò. "Con tutta la pioggia che hai beccato, è un miracolo che tu non abbia una polmonite". Si avvicinò a lui, rimboccandogli le coperte. Il bambino tirò su con il naso.
"Scusa se sono andato via"
"Non fa niente, ma non devi più rifarlo. Poteva succederti qualsiasi cosa". Akira lo raggiunse poco dopo, aveva appena finito di parlare al telefono.
"Okay, tutto risolto, ho spiegato io alla polizia cos'è successo. Tutto bene, ometto?"
"Adesso sì. Però a scuola non voglio tornare"
"Ma tu devi andarci. Lo so, è difficile. E tu sei già tanto forte, ma non devi fermarti qui", spiegò ancora Hayama. "Non sei solo".
Il bambino batté le palpebre.
"Ora lo so. Pensi che la mia mamma sia felice per me?".
Lui e Ryou si guardarono negli occhi.
"Io... credo proprio di sì, Yukio", disse il corvino. "Lei ci sarà sempre... in qualche modo. Sono sicuro che sarebbe molto orgogliosa di te".
Akira non poté fare a meno di pensare a quanto le cose fossero cambiate. Ryou era cambiato, erano cambiati loro, adesso più uniti, esattamente come una famiglia doveva essere. Il bambino si stropicciò gli occhi.
"Allora posso chiamare entrambi "papà?". Ryou strabuzzò gli occhi a quell'inaspettata richiesta, ma in cuor suo si sentì felice.
"Io... ecco... sì... certo che puoi!"
"Beh, ha gli risposto lui per me", Akira si sporse per accarezzargli la testa. "Adesso dormi tranquillo piccolo Yukio, e riprenditi". Il bambino sorrise e una volta accoccolatosi tra le coperte, cadde finalmente in un dolce sonno.
Akira e Ryou uscirono lentamente dalla sua camera per non svegliarlo. Una volta chiusa la porta, quest'ultimo sospirò. Hayama poi si avvicinò, abbracciandolo stretto.
"E questo a cosa è dovuto?"
"Al fatto che sono molto fiero di te"
"Io non ho fatto niente"
"Ma sì invece. Hai fatto tanto. So bene quanto all'inizio per te sia stato difficile, ma alla fine ti sei aperto e hai mostrato la parte di te che tanto amo anche a Yukio".
Ryou si ritrovò ad arrossire.
"Smettila di farmi apparire come tenero"
"Ma tu sei tenero", sussurrò l'altro con malizia, afferrandogli poi il viso e baciandolo con passione. Ryou si voltò per approfondire meglio il bacio. Stretti l'uno all'altro, raggiunsero a fatica la loro camera da letto, in modo da poter finalmente dedicarsi un po' l'uno all'altro.

Megumi aveva preso molto sul serio il suo coraso pre-parto. Aveva comprato anche dei libri riguardanti la gravidanza, perchè assolutamente voleva essere il più preparata possibile. Così, seduta sul divano. Leggeva e leggeva e leggeva. E mangiava, senza neanche rendersene conto. Shinomiya evitava accuratamente di farle notare la cosa, non voleva ferirla, vista la sua eccessiva sensibilità.
"Interessante", disse ad alta voce. "Qui c'è scritto  che dopo la dilatazione della cervice la testa del bambino comincia ad uscire e..."
"Oh, santo cielo", sospirò Shinomiya. "E io che volevo mettermi a  cucinare"
"Ops", ridacchiò lei posando il libro. "Mi dispiace. Assisterai al parto, vero?". Lui assunse un'espressione indefinibile. Non è che l'idea lo entusiasmasse molto, più che altro temeva di non reggere davanti a certe visuali, ma era suo dovere in quanto marito di Megumi e padre del  bambino.
"Sì, ma sappi che se non riesco a reggere chiudo gli occhi"
"Non sverrai, spero"
"No! Non sono così debole!". Megumi rise ancora. Shinomiya era davvero adorabile con quei suoi modi di fare un po'improbabili. Forte e orgoglioso per com'era, non avrebbe mai pensato di vederlo così spaventato ed emotivo. Poi sussultò.
"Oh"
"Che c'è?"
"Si è mosso. Quella mi è sembrata proprio una bella capriola. Vuoi sentire?"
"Eh... non ne sono sicuro", rispose indietreggiando.
"Coraggio", lei si avvicinò, afferrando la sua mano. "Non ti mordo mica, eh". Portò la sua mano sul proprio ventre. E dopo qualche secondo Shinomiya sentì qualcosa muoversi sotto il palmo della sua mano.  Fu una sensazione strana. Era più facile non pensarci quando non sentivi quella piccola creatura muoversi effettivamente al suo tocco. Però era piacevole.
"Amh...  sì, l'ho sentito anche io", affermò in imbarazzo.
"Il vostro primo contatto, è così emozionante!"
"Dai, non c'è bisogno di agitarsi così. Fa stranamente caldo, non trovi?"
"Sì...", sorrise lei. "Probabilmente sì".

Era strabiliante come l'ansia e la preoccupazione impedissero a Takumi di non badare alla stanchezza. Hajime sembrava così piccolo e indifeso, più del solito in verità, che non avrebbe in ogni modo trovato il modo di allontanarsi. Gli aveva dato da mangiare e poi lo aveva cullato per un po'. Solo a quel punto il bambino sembrava essersi calmato e si era infine addormentato. Si stavano prendendo cura di lui, lo sapeva, ma vedere i propri figli stare male senza poter fare nulla era frustrante. Takumi stava adesso chino su di lui, il suo dito stretto nella mano del bambino. Con una mano gli accarezzava la testa bionda e a bassa voce gli cantava una ninna nanna per guidarlo nel mondo sei sogni.  Alle volte si fermava a guardarlo, guardava il suo viso perfetto e si domandava cosa avesse atto lui di buono per meritare due gioie come Hajime e Kou. E pensare che all'inizio non voleva neanche avere figli. Per fortuna che aveva cambiato idea. L'ospedale era silenzioso, e probabilmente avrebbe dormito volentieri, gli occhi quasi si chiudevano da soli. Sentì dei passi dietro di sé, senza però muoversi. Vide Soma con la coda dell'occhio.
"Ehi"
"Soma! Ma alla fine sei venuto per davvero"
"Certo, cosa pensavi, che scherzassi? Ti ho portato qualcosa da mangiare. E anche Kou, se ti interessa". Takumi si avvicinò alla bambina, la quale parve molto felice di vederlo, e la prese in braccio.
"Ma lei qui non può stare"
"Infatti voi adesso andrete a casa. Ci sto io con Hajime"
"M-ma... sicuro?", domandò. "Io odio non avere tutto sotto controllo!"
"Sta tranquillo. Ci sentiremo ogni ora.... va bene, ogni quindici minuti, ma non guardarmi così! Tranquillo... non succederà niente se vai a casa a riposarti"
"Oh", sospirò. "Va bene. Allora ci vediamo domani mattina". Si avvicinò e gli stampò un bacio sulle labbra. Per Takumi era dura doversi separare dal suo piccolo, ma Soma aveva ragione, dovevano assolutamente collaborare. Quando se ne fu andato, Soma guardò il bambino, il quale dormiva beatamente.
"Andrà bene. Sei un duro tu, non basta di certo questo per abbatterti".

Dopo aver sistemato Kou nel suo seggiolino, Takumi si era seduto, aveva mangiato con voracità la cena preparata da Soma mentre rassicurava Isami, via messaggi, che Hajime stava bene. Poi sospirò. Non se la sentiva di stare a casa da solo - anche se tecnicamente con lui c'era la piccola - avrebbe passato l'intera notte a piagnucolare e disperarsi. Assottigliò lo sguardo, osservando Kou che si portava le mani alla bocca.
"Ti va d andare a trovare lo zia Kuga e lo zia Tsukassan?", imitò la voce dell'amico.

Kuga era così nervoso che aveva preso ad accarezzare contropelo Simba, il quale aveva un'espressione sofferente, mentre con una mano prendeva dal pacchetto una patatina alla paprika piccante.
"Emh... Kuga... Dai, non mangiare piccante prima di andare a letto, o dovrai alzarti per bere stanotte!", tentò di dire Tsukasa. Suo marito in compenso gli lanciò un'occhiataccia.
"Io sono nervoso e quindo mangio. Rindou se n'è andata e la cosa mi fa impazzire. Cosa sta facendo? Dov'è andata? Non può pensare solo a se stessa"
"Sono sicuro che non sta facendo niente di pericoloso. Magari è con Eizan"
"Ecco, appunto", si pulì con un tovagliolo. "Non ci posso credere, quella lì è una screanzata"
"Tu dici così soltanto perché tieni a lei"
"E anche se fosse? Come non potrei, condividiamo qualcosa di molto importante, e lo sai anche tu!", lo indicò.
"Lo so, Kuga. Ma non pensi che se Rindou ha deciso di voler stare con Eizan, forse dovresti accettarlo anche tu? Proprio perché siamo un'unica famiglia", dolcemente gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. Odiava quando Eishi se ne usciva con certe perle di saggezza, anche perchè non sapeva mai come ribattere.
"Non è un'idea che mi entusiasma molto"
"Dai Kuga, magari Eizan non è poi così male, altrimenti perché Rindou si sarebbe innamorata di lui?"
"Perché soffre di Sindrome di Stoccolma?", domandò a braccia conserte. In quel momento arrivò Takumi a suonare al citofono. Entrambi, Terunori in particolare, furono molto felici di accogliere sia lui che Kou.
"Oh, bimba paffuta e carina!", esclamò lui prendendola in braccio.
"Grazie eh, ci sono anche io", sbuffò Takumi. "Non c'è Rindou?"
"Amh", Eishi scosse il capo. "Io non ne parlerei se fossi in te. Piuttosto, dove sono Soma e Hajime?". Takumi si era voltato a guardare Kuga che imprecava, visto che Simba aveva ben pensato di infilare il muso nel suo pacco di patatine.
Dopodichè si sedettero e raccontò loro della sua disavventura.
"Oh, no", disse Eishi "Davvero? Spero che il piccolo si riprenda. Io se fossi in te sarei già morto di paura"
"Ma io sono morto di paura, è per questo che sono qui. Voglio compagnia", borbottò.
"E noi compagnia ti daremo",  Kuga stava giocando con Kou, che seduta i braccio a lui cercava  di afferrare i suoi lunghi ciuffi di capelli.  "Dì Ku-ga! Dai, non è difficile"
"Dice solo "papà" e altri strani versi. E Rindou invece? Si è arrabbiata e vi ha scaricato?"
"Non ci ha scaricati!", la manina di Kou stringeva ora il suo naso. "Si trova con quel cretino di Eizan. Maledetto..."
"Kuga non accetta questa relazione, ma sto cercando di convincerlo che non è impossibile andare d'accordo. Anche perché se Rindou e Eizan si sposeranno sarai costretto a vederlo spesso, considerando che Rindou è la madre di nostro figlio...."
"COSI NON MI AIUTI! SONO CERTO CHE I PROSSIMI NATALI SARANNO UNO SPASSO, EH?!". Kou prese a piangere, disturbata da tutto quel baccano.
"Bravo, ottimo lavoro", sospirò Eishi.
"Accidenti! Su, prendila tu!"
"Ma perchè sempre io?!", si lamentò, stringendo la bimba. "E va bene, va bene. Su piccola, è tutto a posto, Kuga ruggisce ma alla fine è un gattino innocuo"
"Ti ammazzo". Takumi li guardò con aria sognante.
"Ah, sembrate proprio nati per fare questo. Sarà un bambino fortunato"
"Oh-oh, grazie!", gongolò Kuga "Modestamente  ne sono cosciente!".

Rindou necessitava di alcol. Ma ovviamente questo non era possibile, pertanto andava avanti a forza di camomille e tisane.
"Cioè, ti rendi conto? Perchè dovrei rendere conto e ragione a qualcuno? Sono adulta, io!"
"Beh, dovevamo aspettarcelo. Dopotutto io non sono mai stato un tipo proprio amabile, anche quando andavamo a scuola"
"Puoi dirlo forte, ma io ho visto il bello che c'è in te", sospirò. "Spero che lo capiranno anche loro". Eizan si schiarì la voce.
"Senti, Rindou... lo so che è affrettato, tu poi hai tante cose a cui pensare, però... volevo sapere... quando questa storia sarà finita... ti piacerebbe... solo se lo vuoi ovviamente... venire a vivere con me?".
Per poco Rindou non si scottò con la tisana.
"Ah! Eh... cosa? Cioè, tu vuoi che io venga a vivere con te?"
"Cavolo, lo sapevo che era troppo presto"
"No, non è per questo!", disse entusiasta. "Io... sì, mi piacerebbe molto! A patto che tu accetti che ogni tanto mio figlio venga a trovarmi"
"L'avevo già tenuto di conto", sospirò. "Oramai ho accettato questa situazione"
"Davvero?", chiese languida. "Ah... sei davvero adorabile".
Si avvicinò a lui e afferrandolo gli donò un bacio tutto fuorchè casto, probabilmente era in parte colpa degli ormoni.
"Umh... Rindou.... ma sei sicura?"
"Ah, taci e continua!"

"Sei sicuro che posso dormire qui?", Takumi non sembrava molto convinto. Kuga aveva insistito tanto che rifiutare gli sembrava scortese e... no, in verità gli faceva semplicemente paura.
"Assolutamente, non posso pensare che tu stia a casa da solo, stai con noi!"
"V-va bene. Sicuro che il pianto di Kou durante la notte non vi disturberà?"
"Tanto dovremo farci l'abitudine", disse Tsukasa, afferrando Terunori. "Buonanotte, Simba farà da guardia!".
Il biondo li vide sparire. Si sarebbe sistemato nel divano in qualche modo.
"Okay, adesso è ora di dormire. Per stanotte - e solo per stanotte - puoi dormire su di me. Che non diventi un'abitudine, chiaro?", domandò a Kou, la quale sembrava già aver imparato come arruffianarlo. Takumi si distese e portò la bimba sul suo petto. Quest'ultima era già crollata qualche attimo dopo, lui invece aveva pensato bene di telefonare a Soma.
"Ehi, Takumi!"
"Ciao", sussurrò. "Alla fine sono accampato nel soggiorno di Tsukasa e Kuga, hanno insistito affinché rimanessi. Kou sta dormendo. E Hajime invece?"
"Ah, lui invece è sveglio. Lo sai, mi sembra più vispo, gli ho appena dato da mangiare. Sarà una lunga notte in ospedale, però non è così male. Però manchi tu... non mi piace quando stiamo separati"
"Ah, neanche a me", sospirò, accarezzando la testa di Kou. "Domani mattina vengo a darti il cambio. Forse sono un po' più tranquillo"
"Grazie per la fiducia, tesoro. Adesso vedi di dormire un po', coraggio"
"Sì, hai ragione", sospirò chiudendo gli occhi. "Ti amo. Dai un bacio al piccolo da parte mia"
"E tu fai lo stesso con Kou. Ti amo anche io". Chiuse la chiamata, posò il telefono e chiuse gli occhi.  Si sentiva più stanco di quel che credeva . Lentamente la testa si svuotò e si addormentò.
Si svegliò di scatto un paio d'ore dopo. Il display del telefono quasi lo accecò: le tre e trenta, Kou dormiva ancora indisturbata. Era abbastanza certo di aver sentito un rumore, uno scricchiolio e infine dei passi. Era forse Kuga che voleva fargli qualche scherzo? Si alzò subito tenendo stretto a sé Kou: proprio adesso i ladri dovevano entrare? on aveva neanche niente con cui difendersi. Vide nel buio una figura muoversi e allora cacciò fuori un urlo.
E l'altra persona gridò a sua volta.
La luce si accese e Tsukasa e Kuga apparvero rispettivamente con un cucchiaio di letto e un vaso in mano.
"CHI E'?! CHE SUCCEDE?!".
Il presunto ladro non era altro che Rindou, appena rincasata.
"Emh... salve..."
"Rindou?", chiese Eishi. In tutto ciò Kou si era svegliata e aveva preso a piangere. Takumi, indignato, lanciò un'occhiataccia a Simba che dormiva beatamente.
"Farà la guardia? Ma è un cane o un pupazzo?!"

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Capitolo 19
*** Bisogna provarci ***


19 - Bisogna provarci

Kuga aveva posato l'arma di distruzione di massa che teneva in mano. Era notte fonda e Rindou si era presentata in casa sua. Accidenti a lui quando aveva deciso di dargli una copia delle sue chiavi. Cercò di evitare lo sguardo di Takumi, che ovviamente lo guardava male, mentre tentava di tranquillizzare Kou.
"Rindou", chiamò. "Che ci fai qui a quest'ora?"
"Mi dispiace, ma non potevo aspettare domani mattina", sospirò. "Ragazzi...voglio che le cose si sistemino fra noi quattro. Abbiamo un figlio in comune, quindi dobbiamo andare d'accordo e volerci bene. Quindi ho deciso... ceneremo insieme e chiariremo".
Kuga la guardava sconvolto con  le mani poggiate sui fianchi.
"Cioè, tu mi svegli in piena notte solo per dirmi che hai organizzato una cena con Eizan? MA SEI IMPAZZITA?!"
"Kuga!", Tsukasa gli fece segno di abbassare la voce. "I vicini chiameranno la polizia"
"Che la chiamino! Io non voglio vedere quello lì. Mi ha offeso nell'anima". Eishi sospirò. Doveva prendere in mano la situazione, altrimenti non sarebbero andati da nessuna parte.
"Va bene, Rindou. Facciamo questa cosa. Sono disposto a chiarire"
"Cosa, Tsukkasan? Sei serio?"
"Sì, Terunori. Sono molto serio", affermò con un tono e uno sguardo tale da zittirlo. Rindou sembrava sollevata.
"Grazie, ragazzi. Vi prometto che andrà bene E... umh... posso rimanere qui?"
"Certo! Tanto oramai la mia casa è diventata un rifugio", si lamentò Kuga.
"Vedi un po' tu che tipo! Ma se sei stato tu a chiedermi di restare", Takumi imprecò mentalmente. Kuga era pazzo, ma questa non era una novità, fortunatamente c'era quel santo di suo marito ad andargli dietro. Circa venti minuti dopo, Kou si addormentò nuovamente. Certo che oramai non sarebbe più riuscito a dormire, Takumi cercò Soma, inviandogli un messaggio.
"E per stanotte non si dorme. Rindou ha fatto irruzione a casa di Tsukasa e Kuga e hanno discusso un po'. Dovevo aspettarmi che accadesse qualcosa del genere!"
Soma sorrise nel leggere le sue parole piene di disperazione.
"Ovviamente, non si sta mai tranquilli con due in mezzo. Però almeno ti diverti, io qui mi sento un po' solo. Dovresti cercare seriamente di risposare, altrimenti domani crollerai"
"Ah, non fa niente, tanto ormai ci sono abituato. Ehi, Soma... quando questa storia sarà finita... voglio fare qualcosa di speciale"
"Ad esempio?"
"Non lo so, mi basta che siamo tutti e quattro insieme. Beh, comunque abbiamo un po' di tempo per pensarci"
"Giusto. Adesso scusa, do da mangiare al piccolo"
"Certo, fai con comodo". Lasciò cadere il telefono e poi si strinse a Kou, abbracciandola. probabilmente avrebbe finti comunque per addormentarsi, alla fine.

Kuga si era svegliato nervoso. E soprattutto si era svegliato prima del solito, cosa che di solito non accadeva mai. Ma il fatto di sentire un delizioso profumo venire dalla cucina lo aveva  piuttosto insospettito. Quatto come un felino si avvicinò a quest'ultima: Rindou era tutta impegnata a preparare qualcosa. Su tavolo c'erano in bella vista pancakes appena fatti, uova, frutta fresca, spremuta d'arancia. Seriamente si era svegliata prima per fare tutto ciò?. Decise di entrare, schiarendosi la voce.
"...'giorno"
"Buongiorno, Kuga! Ieri sera mi sono dimenticata a dirtelo, ma hai proprio un bel pigiama!". Sono in quel momento Teruori si ricordò di indossare un adorabile pigiama morbido e azzurro con delle stampe di coloratissimi cupcake. Con i capelli in disordine e lo sguardo stanco poi era al completo.
"Beh? Me l'ha regalato Tsukassan, e i cupcake sono buoni. Piuttosto, perchè lavori tanto? Dovresti riposare"
"Ah, non avevo più sonno, così mi sono messa a preparare la colazione. Su, avanti, siediti, altrimenti i pancake si raffreddino". Kuga si portò una mano tra i capelli, confuso. Takumi arrivò poco dopo, tutto di fretta, già vestito, insieme a Kou. Afferrò un pancake e se lo portò alla bocca.
"Scusate se non rimango, ma devo dare il cambio a Soma. Grazie per l'ospitalità Kuga". Dicendo ciò si avvicinò, posandogli un bacio sulla fronte. Terunori arrossì."
"MA LA VOLETE SMETTERE DI TRATTARMI COME UN RAGAZZINO ACCIDENTI!".
Il povero Eishi alla fine non aveva avuto altra scelta che alzarsi anche lui. A differenza di suo marito, dormiva senza maglietta e con dei normalissimi e comodi pantaloni grigi.
"Buognirono, ma cos'è questo banchetto? Pancackaes? "
"Già!", esclamò Rindou. "Volevo in qualche modo farmi perdonare. Purtroppo sono più isterica del solito a causa della gravidanza, ma voglio davvero che andiamo tutti d'accordo". Kuga deglutì a vuoto. Adesso che lei si stava scusando con tanta maturità, doveva ammettere di sentirsi piuttosto stupido. Per non parlare di Tsukasa che lo guardava come per dirgli: "E adesso chi è in torto?".
Terunori si sedette, serio e anche piuttosto ferito nell'orgoglio.
"E va bene, facciamo questa cosa", proferì infine.

Takumi arrivò in ospedale con il fiato corto e con Kou che dormiva beatamente nel suo passeggino. Era stata una notte lunga e movimentata, tuttavia la stanchezza, almeno per il momento, non sembrava pesargli molto. Raggiunse il reparto in cui suo figlio si trovava e fu ben felice quando trovò il piccolo in braccio a Soma.
"Soma", lo chiamò.
"Ehi! Qui c'è qualcuno che sente la tua mancanza"
"Oh, Hajime", sussurrò lui. "Sta... bene?"
"Sta molto meglio, i dottori hanno detto che sta rispondendo bene alle cure. Non che avessi qualche dubbio, ovviamente. A giorni probabilmente potremo portarlo a casa"
"Sono così felice di sentirtelo dire", sussurrò Takumi prendendo in braccio il bambino. "Ci sto io con lui, tu va a casa"
"Oh, no, penso che andrò ad aiutare mio padre al ristorante"
"Ma... Soma! Smettila di fare l'eroe, devi risposare, altrimenti crollerai"
"Andiamo, come se ci volesse così poco per abbattermi, sono una roccia io!", lo rassicurò, posandogli un bacio su una guancia e afferrando il passeggino. "Io e Kou vi salutiamo, ci vediamo dopo, ciao ciao".
Il biondo lo osservò allontanarsi.
"Quello lì  è già esaurito", commentò fra sé e sé.
Takumi poteva dire quello che voleva, ma non era stanco. Assolutamente no! Poteva andare avanti senza dormire per giorni, dormire era per i deboli! E lui era il capofamiglia, quindi doveva esserci. Insieme a Kou andò al ristorante, Joichiro fu ben felice di vederlo - più per la bambina che per lui - che subito prese in braccio e iniziò a coccolare.
"Non mi sembri molto in forma, figliolo, sei sicuro che non vuoi andare casa risposare?"
"Tutti a dirmi le stesse cose", borbottò. "Sto bene, insomma, guardami."
"Sì... non sai che spettacolo", lui alzò gli occhi al cielo. La gente era sempre così esagerata, Soma stava bene, non c'era alcun dubbio, ed era anzi pronto ad una lunga e rilassante giornata di lavoro. Se Takumi fosse stato l' probabilmente lo avrebbe rimproverato dicendogli che non era sicuro tenere un neonato lì tra arnesi e fuoco, ma lui non era nello stesso avviso. E poi, Kou se ne stava tranquilla nel suo seggiolino a guardarsi intorno, mentre lui armeggiava con il coltello.
"Soma, non fare lo spiritoso con quell'affare", lo rimproverò Joichiro.
"Andiamo vecchio, non essere noioso, sono bravo, vedi? Guardami un po' Kou, un giorno lo farai anche tu!"
"Smettila di scherzare e sbrigati"
"Sì... sì...", borbottò il ragazzo. Doveva ammettere che forse un filino di stanchezza la stava anche avvertendo,solo un po'. Gli venne da chiudere gli occhi, e in effetti ciò accadde. E la conseguenza fu unica. Soma spalancò gli occhi di scatto: la lama aveva bellamente tagliato via la punta del suo indice sinistro, da cui ora zampillava sangue a fiotti. Rimase a guardarlo per qualche istante.
"Soma, a che punt s-CHE COSA STA SUCCEDENDO?!", gridò Joichiro.
Faceva male. Piuttosto male.
"Oh, cazzo...", imprecò sottovoce, prima di svenire a causa della stanchezza e dello shock.

Si risvegliò qualche ora dopo i un letto di ospedale. Era stato un sonno ristoratore davvero niente male. Immediatamente si guardò la mano: il suo dito era fasciato, che glielo avessero ricucito. E poi... era svenuto?
"Vedo che ti sei svegliato, finalmente". Soma sollevò lo sguardo verso Takumi, il quale aveva semplicemente un'espressione indefinibile.
"Takumi... ehi...". L'altro sorrise, dandogli un pizzicotto su una guancia.
"Non ho bisogno di risposare, eh? Coglione, idiota e spaccone"
"Ahi, ahi, piano!", si lamentò. "Sono convalescente, non ho più il mio dito"
"No quello te l'hanno ricucito, anche se è il tuo cervello che ha qualcosa che non va. Che uomo virile che sei, sei anche svenuto"
"Già...", sorrise imbarazzato. "Mi sa che ho esagerato. I bambini?"
"Con tuo padre. Oramai i bambini siete in tre". Soma allungò la mano - quella buona - verso la sua, afferrandola.
"Se non ci fossi tu... sei il perno di questa famiglia"
"Ruffiano"
"No, lo penso davvero. Io sono la follia e tu sei la ragione, ci completiamo a vicenda"
"Umh... è un modo carino per dirmi che sono noioso?". A Soma venne da ridere.
"Takumi... perché non ce ne andiamo da qualche parte? Io, tu e i bambini, intendo"
"Da qualche parte dove?"
"Non lo so, partiamo. Perché non andiamo in Italia? Dovrebbero conoscere anche l'altra metà delle loro origini. Penso che a Isami farebbe piacere"
"Cosa? Tu davvero vorresti?"
"E perché no, scusa? Praticamente l'ultima volta che abbiamo fatto un viaggio è stato per il nostro viaggio di nozze"
"... E ti è anche venuta un'intossicazione alimentare. Ah, che ricordi", sospirò malinconico. "D'accordo, per una volta hai avuto una buona idea"
"Ma io ho sempre buone idee... all'incirca. Adesso mi dai un bacio?". Takumi gonfiò le guance, sospettoso.
"Non te lo meriti!".


Tsukasa desiderava senza ombra di dubbio scomparire. Sissignore, sarebbe stata la cosa più opportuna da fare. Kuga e Eizan, seduti ai due capi della tavola, si guardavano in truce. In realtà, era più Terunori a lanciargli delle occhiate omicide. Dopotutto non era certo un segreto quanto quest'ultimo fosse permaloso e anche piuttosto vendicativo. Sia Eishi che Rindou, seduti accanto e con lo sguardo incollato al piatto, erano abbastanza certi che Eizan si sentisse a disagio, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
Per non parlare poi del silenzio tombale. Una ridente cena fra amici, senza ombra di dubbio.
"Amh... mi piace questo pollo... anche leggermente piccante", disse Rindou nel tentativo di rompere il silenzio.
"Già", Kuga era serio. "Non è che per caso c'è del veleno dentro, vero?"
"Posso assicurarti di no", rispose Eizan altrettanto serio.
Adesso quello a disagio era Tsukasa. Kuga faceva paura, gli dava tanto l'idea di un boss mafioso pronto a sparare alla sua preda. Davvero una scena inquietante.
"Tagliamo la testa al toro, Eizan. Rindou ha insistito affinchè venissi qui. Per parlare di cosa, esattamente?"
Il diretto interessato si sistemò gli occhiali, guardando poi Rindou.
"Kuga, senti, ci conosciamo da anni, non è il caso di trattarmi come se fossi un estraneo. D'accordo, non sono di certo la persona più amabile del mondo. anzi, la maggior parte delle volte sono proprio un gran bastardo. E ho sbagliato con Rindou, ma ero spaventato. Dopotutto... questa situazione è alquanto bizzarra, ma l'ho accettata"
"Oh, accettata, ma quale onore!", rispose l'altro con sarcasmo.
"Kuga, smettila!", Tsukasa lo guardò male. "Grazie, Eizan. Sappiamo che certe cose spaventano, ma dopotutto noi siamo un'unica famiglia"
"Certo, finché non cambia di nuovo idea", borbottò Terunori.
"Kuga!"
"Insomma, io ti ho già chiesto scusa, che cosa devo fare di più? Tra l'altro, Rindou è adulta, non puoi pretendere di decidere"
"Eizan, no", sussurrò la ragazza.
"Invece sì! Rindou è la mia migliore amica! E grazie a lei stiamo costruendo una famiglia, io non voglio che le capiti niente di male. Tu non mi sei mai piaciuto Eizan, mai"
"Beh, se è per questo è la stessa cosa per me!", disse lui alzandosi di scatto. "Ti ho sempre trovato irritante"
"Solo perché sono migliore di te. Dopotutto sei sempre stato sotto di me, non ti pare?"
"Ancora con quella storia? Oramai non siamo più a scuola!"
"Già, almeno ai tempi ero costretto a vedere la tua brutta faccia, adesso vorrei evitare!".
I due avevano preso a discutere in maniera incontrollata. Tsukasa li guardava senza sapere che fare.
"Ma perché a me? Rindou?".
La ragazza stava però chisa su se stessa con un'espressione stravolta in viso.
"Io... non credo di sentirmi tanto bene"
"C-cosa? Rindou? Che cos'hai?", domandò spaventate. "VOI DUE IDIOTI, PIANTATELA!"
"Cosa c'è?", borbottò Kuga.
"Rindou. Non si sente bene"
"Cazzo", imprecò Terunori. "Portiamola al pronto soccorso, ADESSO".  

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Capitolo 20
*** Una missione importante ***


20 - Una missione importante


Kuga camminava avanti e indietro nel disperato tentativo di scaricare i suoi nervi. Probabilmente Tsukasa era messo peggio. Se ne stava seduto su una sedia, lo sguardo vitreo e immobile, senza neanche il coraggio di dire una parola.Anche Eizan si asteneva dal parlare, se ne stava in piedi, a braccia conserte.Avevano ricoverato Rindou, ma ancora nessuna notizia. Questo li rendeva tutti e tre ansiosi.

"È tutta colpa tua", mormorò Kuga a denti stretti. "Tu hai incasinato la sua vita"

"Sarebbe meglio dire che l'ho sistemata, anche se solo in parte. Io ho provato a fare del mio meglio, ma con te è impossibile parlare. Non sono più quello di una volta!"

"Davvero? Perché non mi è sembrato!".

Tsukasa sospirò. Con il temperamento tranquillo e pacato che aveva, nessuno si sarebbe aspettato una sua reazione tanto violenta.

"Ora basta, silenzio tutti e due!", alzò la voce. "Dico, ma riuscite, anche solo per un secondo, a smettere di pensare solo a voi stessi? L'importante adesso è sapere come sta Rindou, la colpa è di entrambi! Anzi, probabilmente è anche mia, che me ne sono rimasto in disparte".

Kuga era rimasto stupito dall'intervento del marito, tuttavia non aveva trovato la forza di controbattere. L'unica cosa che era riuscito a fare era abbassare lo sguardo.

Odiava piangere. E, soprattutto, odiava piangere davanti ad altre persone, davanti ad Eizan in particolare. Ma non riuscì proprio a trattenersi.

"Eh?! Adesso che ti prende?!", domandò proprio lui, sorpreso.

Kuga sollevò la testa, mostrando le iridi lucide e l'espressione afflitta.

"Io sono proprio una pessima persona. Sono sempre esagerato, scontroso, impulsivo. Ero così impegnato a preoccuparmi per lei che... non mi sono reso conto di quanto effettivamente stesse male".

Eizan alzò gli occhi al cielo. Si sentiva abbastanza a disagio in quel contesto, ma probabilmente era anche arrivata l'ora di comportarsi da adulti.

"Allora siamo in due. Non sono stato esattamente un santo, l'ho lasciata e poi sono tornata da lei. Ma devi credermi quando ti dico che non ho intenzione di lasciarla. La...", si schiarì la voce. "La amo così com'è. E anche se non ho il coraggio di dirglielo, sono sicuro che lei lo sappia già".

Terunori lo fissò. Forse Eizan non era poi il bastardo insopportabile che aveva sempre creduto, probabilmente nascondeva anche del buono, dentro di sé.

Nel vedere i due parlare civilmente come due persone normali, Tsukasa sospirò.

"Finalmente le cose andranno bene... si spera".

Poco dopo la dottoressa uscì dalla porta davanti a loro, ed ovviamente Kuga le fu subito addosso.

"Allora? Come sta? Me lo dica, la prego!"

"Sta bene! Ha avuto soltanto un abbassamento di pressione. Ma mi pare di avervelo già detto, niente stress!".

Abbassò lo sguardo, colpevole.

"Temo che la colpa sia anche a mia", ammise Eizan.

La donna lo guardò curiosa.

"Lei sarebbe?"

"Sarei... il ragazzo di Rindou...", disse lentamente, rendendosi conto di quanto quella situazione fosse strana. La loro felicità dipendeva dalla stessa donna.

"Capisco. Comunque sia, vi prego, dato che il parto è prossimo, cercate di farla stare tranquilla. Davvero..."

"La ringraziamo davvero", Tsukasa sembrava sollevato, mentre circondava le spalle di Kuga con un braccio.

Effettivamente, adesso che si fermavano a pensare... quanto tempo era passato. Quei mesi erano volati senza che se ne rendessero conto, e adesso erano quasi vicini alla meta.

Kuga lo sapeva. Era arrivato il momento di crescere, di diventare grande. Tsukasa potè vedere tale consapevolezza nei suoi occhi. E ne fu ben felice.

 

Soma sapeva che gli sarebbe toccata anche quella seccatura. Joichiro lo stava giustamente prendendo in giro dopo la sua disavventura e dopo che la punta del suo dito era stata tranciata via.

"Visto? Te l'avevo detto io che avresti fatto meglio a riposare"

"Andiamo, vecchio. Piantala di prendermi in giro, è stato orribile. Tutto quel sangue, sembrava un film horror, non ci voglio pensare".

Takumi intanto stava inginocchiato a terra. Kou se ne stava seduta e guardava curiosa il suo ciuccio, Hajime invece stava già in piedi sulle sue piccole gambe, ovviamente sempre sostenuto dal ragazzo.

"Vuoi già camminare, eh Hajime? Non ci posso credere, quando li abbiamo adottati erano niente più che due scriccioli e tra poco cammineranno. Poi impareranno a parlare, andranno a scuola, cominceranno a cucinare. E prima che io me ne accorga saranno grandi, si innamoreranno, batteranno i loro rivali in degli shokugeki epici e OH MIO DIO, NON VOGLIO PENSARCI!"

"Ci hai fatto invecchiare di almeno vent'anni in dieci secondi, rilassati", sospirò Soma stanco. "Comunque sia, io e Takumi abbiamo deciso di partire. Andremo in Italia. E poi magari... potremo fare qualche altro viaggio"

"Questo è fantastico, ma non vorrete per caso trasferirvi all'estero, vero?", chiese Joichiro spaventato. "Non voglio rimanere solo"

"Stai tranquillo, torneremo sempre a casa", lo rassicurò Takumi. "Hajime e Kou cresceranno qui, tra la gente che li ama... e frequenteranno anche la Tootsuki. Per noi è importante perché... insomma... è lì che io e Soma ci siamo conosciuti".

Quest'ultimo arrossì di colpo. Non era proprio da Takumi lasciarsi andare a certe "smancerie" davanti ad altre persone, perciò lo aveva piacevolmente sorpreso.

"Lo puoi dire forte!", esclamò. "Accidenti, la mia gamba vibra, chi è adesso?".

La chiamata in arrivo era da parte di Isshiki, che aveva vissuto quegli idilliaci mesi dopo il matrimonio nella calma e nella felicità più totale.

"Somaaa!", esclamò. "Come stai? Ascolta, la prossima settimana vorreste venire a casa mia?"

"Casa tua? Certo, mi sembra una buona idea ma... c'è qualche occasione particolare?"

"Veramente non lo so. Nene mi ha chiesto di invitarvi. Allora ci vediamo la prossima settimana!".

A Soma venne da ridere. Beato Isshiki e la sua dolce ingenuità.

"Chi era?", chiese Takumi.

"Isshiki. Credo che fra non molto tempo ci farà compagnia".

 

Era passato qualche giorno da quando Rindou aveva avuto il suo abbassamento di pressione. Adesso era come se nulla fosse successo, anzi, era addirittura meglio. Quei due testoni di Eizan e Kuga avevano preso finalmente a collaborare – o almeno ci provavano – per accontentarla in tutto e per tutto. E la cosa era piuttosto divertente.

"Ah, questa sì che è vita", affermò lei con un bicchiere di té freddo in mano, seduta sul divano. "Dovrei rimanere incinta più spesso. Anche se ammetto che sta diventando pesante, visto che oltre ad essere enorme, sono stanca e appesantita"

"Dai, Rindou. Ormai non manca tanto. Ammetto che è divertente vedere quei due cercare di andare d'accordo".

"Idiota di un Eizan!", esclamò Kuga nervoso. "Hai preso tu le mie forcine?"

"Che cosa dovrei farmene delle tue forcine?! E poi, con i tuoi ventotto anni addosso non potresti conciarti in maniera un po' più normale?"

"Io mi vesto come mi pare e piace, e comunque sia, perché questo qui è a casa nostra?!"

"Perché deve venire con noi alla cena di Isshiki e Nene"

"Ah, maledizione, me n'ero scordato. Possiamo lasciarlo qui?"

"Guarda che ti sento!", ribatté lui stizzito. Simba, che oramai non era più un cucciolo e la sua stazza era diventata abbastanza importante, ringhiò contro il rivale de suo adorato padrone.

"Che vuole questo affare peloso da me? Non mi morderà, spero"

"Solo se glielo ordine", affermò con un sadico sorriso.

A quel punto Rindou si alzò, stiracchiandosi.

"Su, adesso smettetela. Piuttosto sbrighiamoci, dobbiamo andare"

"Ha ragione lei e... KUGA!", lo chiamò Eishi. "Non puoi più portarti Simba dietro, non è più un cucciolo!"

"Ma non posso neanche lasciarlo a casa, altrimenti si offende!", si giustificò mettendo il guinzaglio al chowchow.

Eizan alzò gli occhi al cielo. Una famiglia di matti, ecco dove erano capitati.

 

Alle sette e mezza di sera si videro tutti a casa di Nene e Isshiki. Quest'ultimo accolse i suoi ospiti come solo lui sapeva fare, ovvero senza vestiti, motivo per cui si beccò una bella strigliata da parte di sua moglie, la quale sembrava più nervosa del solito.

Quando Kuga vide Soma e Takumi, non perse tempo e andò subito ad infierire sulla disavventura del primo.

"Oh, povero piccolo Soma. Neanche quando andavamo a scuola eri così maldestro"

"Me lo rinfaccerai a vita, dì la verità", borbottò. "Piuttosto... vedo che c'è anche Eizan. Avete stipulato un trattato di pace?".

Terunori guardò di sottecchi il diretto interessato.

"Diciamo che abbiamo deciso di darsi una calmata per il bene di Rindou. Ma lui non è mio amico. Neanche un po'", ci tenne a precisare.

Un quarto d'ora dopo giunsero anche Megumi e Shinomiya e Hayama e Ryou insieme a Yukio. Quest'ultimo stava in braccio al corvino, il quale stava dimostrando avere un'indole piuttosto protettiva e attenta.

"Ciao!", lo salutò Soma. "Ma tu guarda che bel quadretto. Ryou, sei così carino"

"Sta zitto, brutto deficiente...!"

"Papi, voglio scendere", lo pregò Yukio.

"... Certo, piccolo. Solo fai attenzione, ok?".

Takumi si portò una mano davanti al viso e riso. I bambini alle volte potevano fare miracoli anche nei casi più disperati.

Una volta a terra, il piccolo Yukio si avvicinò a Megumi, la quale se ne stava comodamente seduta accanto a suo marito. Gli piaceva quella ragazza, era sempre tanto gentile. E poi la sua condizione che gli appariva tanto straordinaria, lo incuriosiva.

"Come sta il bimbo?", domandò.

"Bene, grazie. Sei davvero un tesoro"

"È un maschio o una femmina?"

"In realtà... non lo sappiamo ancora". Yukio annuì e poi guardò Shinomiya. Lui non gli piaceva allo stesso modo, gli incuteva troppo timore, era sempre serio e severo.

Lo indicò.

"Il bambino piangerà quanto ti vedrà", affermò candidamente. E quella fu una vera e propria pugnalata al cuore! Poteva la sua insicurezza essere ancora più esasperata.

"Ha ragione quel ragazzino, mi sa", sbuffò.

"Dai, Kojiro, non dirmi che te la prendi per quello che dice un bambino di quattro anni?"

"Sì, perché è vero. Insomma, guardami, ti sembro un tipo paterno?"

"Emh", lei sorrise. "Pensandoci forse no, ma si può sempre migliorare"

"Lacia perdere", borbottò. "Sono un caso senza speranza".

Isshiki intanto si aggirava per casa tutto contento e allegro, girando attorno a Nene, la quale sembrava pensierosa.

"Nenenuccia mia, tutto bene? Mi sembri un po' assente"

"Non preoccuparti, sto bene", si schiarì la voce. "Piuttosto, tutti voi, c'è una cosa che vorrei dirvi".

Tutti quanti lì avevano già capito la notizia che sicuramente Nene avrebbe dato di lì a poco... tutti tranne Isshiki che non lo immaginava minimamente.

"Emh, emh", si schiarì la voce. "Grazie per essere venuti. Lo so che può sembrare strano tutto ciò, ma considerando che siamo tutti amici... volevo che lo sapeste in un'unica volta", abbassò lo sguardo. "Sì, insomma. Ammetto che inizialmente un'idea del genere mi terrorizzava alquanto, ma penso che una donna capisca quando arriva il momento di... di..."

"Andare al bagno", sussurrò Megumi.

"Non era questo quello che intendevo"

"No, intendo che devo andare al bagno. E subito. Mi sento piuttosto strana".

Shinomiya la squadrò.

"Megumi...?", si alzò per sorreggerla. "Sei certa di farcela?"

"Ah, sì, non c'è niente di strano, dopotutto sono così vicino al termine e...".

Yukio spalancò gli occhi, indicando un punto.

"Perché lì è bagnato?", domandò.

Megumi abbassò lo sguardo.

"Oh, no..."

"Cosa? Cosa "oh no"?!", esclamò Shinomiya già in panico.

"Ma alle sedute del corso, c'eri o no?!", esclamò Rindou. "Le si sono rotte le acque"

"È tremendo!", gridò Kuga. "Dobbiamo chiamare un'ambulanza?"

"Forse faremmo prima ad andare per i fatti nostri"

"Ragazzi", sospirò Megumi. "State calmi, io sto bene. Kojiro, andiamo con la nostra auto, d'accordo? Kojiro...?".

Shinomiya era diventato pallido come un fantasma. Il panico era diventato tanto da avergli addirittura tolto la parola.

"Ora sviene...", commentò Soma a bassa voce.

E infatti, qualche secondo dopo, cadde senza sensi dritto sul pavimento.

Takumi si schiarì la voce.

"Mi sa che un'ambulanza adesso ci vuole".

Nene batté le mani per attirare la loro attenzione.

"Va bene, adesso basta. Megumi viene con me, guido io. Voi ragazzi pensate a a Shinomiya, non so, svegliatelo, caricatelodi forza in auto, l'importante è che vi sbrigate! Satoshi!", guardò suo marito. "Sei a capo di questa spedizione"

"Ma certo, Nenenuccia! Non ti deluderò!".

Così le ragazze si defilarono, lasciando gli uomini da soli e in condizioni avverse.

Fu Ryou a rompere il silenzio.

"Bene. E adesso?".

Yukio si era avvicinato con curiosità a Shinomiya. Stessa cosa fece Simba, il quale pensò bene di leccargli il viso nel tentativo di svegliarlo, senza però molto successo.

"Perché è svenuto?", chiese il bambino.

"Perché ci sono uomini che si fanno prendere dal panico per nulla!", disse Kuga. "Andiamo, dobbiamo fare qualcosa, prendiamolo!"

"Non guardate me", Takumi si tirò subito fuori. "Io ho i bambini"

"Beh, e io ho il cane", rispose Terunori.

"Non preoccupatevi, ragazzi, ci pensiamo noi!", disse Isshiki tranquillamente. "Coraggio, aiutatemi a sollevarlo!".

Cos', lui, Soma, Tsukasa e Hayama gli diedero una mano.

"Accidenti, che rottura", si lamentò quest'ultimo. "Ma non faremmo meglio a svegliarlo?"

"Non c'è tempo per questo!", gli fece notare Eishi.

Kuga allora si avvicinò, lanciando uno schiaffo all'incosciente Shinomiya.

"Ah, non ha funzionato. Scusate, ho sempre desiderato farlo. No, non si sveglia, faremmo meglio a caricarlo in auto, possiamo prendere proprio la sua di auto"

"Quando si sveglierà ci ucciderà...", gli fece notare Tsukasa.

"Beh, è la più grande, adesso seguitemi!"

"No, seguite me!", lo spintonò Isshiki. "Nene ha affidato a me questo compito, non posso deluderla! ANDIAMO!".

Con la stessa delicatezza con cui si tratterebbe un sacco di patate, i valorosi soldati riuscirono a condurre Shinomiya all'auto, Isshiki ovviamente stava alla guida, mentre gli altri stipati nei sedili dietro.

"Kuga, tieni quell'ammasso di pelo lontano da mio figlio, capito?", fece Ryou velenoso.

"Come osi? Guarda che ha un pelo morbidissimo e curato!", ribatté offeso.

"Volete smetterla di urlare?", si lamentò Takumi. "State facendo agitare Kou e Hajime.

Soma sbuffò.

"Isshiki, non puoi andare più veloce?"

"No, non farlo!", lo pregò Eishi. "Rispettare il codice della strada è importante".

Isshiki a quel punto si sentì in difficoltà. Nene comtava su di lui, non poteva deluderla.

Afferrò il cambio.

"TENETEVI FORTE!".

Accellerò all'improvviso, facendo prendere un colpo ai suoi amici, l'unico divertito da quella corsa sembrava proprio Yukio, il quale lo incitava ad andare più veloce.

"Ma come fa questo qui a non svegliarsi con tutto questo casino?!", domandò Kuga. Tsukasa, accanto a lui, aveva spalancato gli occhi, certo che di lì a poco avrebbe avuto un infarto, forse dovuto al fatto che Isshiki passava con l rosso, senza rispettare precedenze, cartelli o...comune buon senso.

"Non voglio morire", sussurrò.

"Isshiki!", lo chiamò Takumi. "Ti ricordo che ci sono dei bambini. Se fai un incidente giuro che TI AMMAZZO!"

"AH!", urlò lui. "SISSIGNORE, CHIEDO SCUSA!".

Ad una velocità un po' più moderata, ma sicuramente sempre troppo alta, il gruppo arrivò ben presto in ospedale. Il primo ad uscire dall'auto fu Tsukasa. Le gambe non ressero e quasi cadde al suolo.

"Io con quello in auto non ci salgo più"

"A me è piaciuto!", gridò Yukio. "Possiamo rifarlo?"

"NO!", risposero subito Ryou e Hayama.

Isshiki uscì tranquillo, con aria soddisfatta.

"E anche oggi ho portato a termine la mia missione"

"Sì, come no", sbottò Takumi. "Piuttosto, seguitemi!".

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Capitolo 21
*** Pronto per una nuova avventura? ***


21 - Pronto per una nuova avventura?

 

Megumi ispirò a fondo e poi espirò. Faceva esattamente male come le avevano detto, ma voleva cercare di mantenere più controllo possibile.

“Tutto ciò è così emozionante”, fece Rindou. “Dimmi, Megumi, cosa senti? Sei felice? Triste? Vuoi spaccare la faccia a qualcuno?”

“Sinceramente adesso sento solo dolore”, si lamentò, mentre stringeva la mano di Nene.

“Avanti, basta starle addosso, sta già soffrendo abbastanza. Ma dove sono finiti quegli stupidi? Qualcuno vada a vedere cosa combinano!”

“Va bene, ho capito, vado”, sospirò Rindou. “Ma torno subito”.

Megumo sospirò. Non avrebbe mai pensato di vivere così quel giorno, proprio no. Però almeno poteva contare sull’aiuto di una preziosa amica.

“Grazie, Nene. Sei davvero dolce con me”

“Questo è il minimo. Dopotutto sono stata io a consigliarti di buttarti in questa pazzia”

È vero, come potermene dimenticare. A questo proposito, Nene, volevo chiederti… vorresti fare da madrina a mio figlio?”.

Le guance della ragazza si colorarono di rosso. Quella era una sorpresa, decisamente.

“I-io? Veramente? Certo! Cioè, è un onore per me, non me l’ha mai chiesto nessuno e… e...”

“Nene?”

“Cosa?”

“Sarai una madre davvero fantastica”.

A quel punto il viso le si colorò di bordeaux. Anche se no aveva ancora detto nulla, era chiaro che praticamente tutti – o quasi- dovevano aver capito. Le sorrise.

“Ti ringrazio. Significa molto per me”.

 

Kuga, come al suo solito, non mancava di far sentire la sua presenza.

“Non ci posso credere, non ci posso credere! Ho anche lasciato il mio povero Simba lì, da solo, a casa di Isshiki, queste sono cose da pazzi”

“Parli tu? A quest’ora potrei trovarmi, non so, in qualche stupenda città italiana con la mia famiglia, invece sono bloccato qui con voi e con “Mister Ho lo svenimento facile!”, si lamentò Takumi

“Ragazzi, andiamo”, Isshiki tentò di mettere la buona. “Non è poi così male. Questi saranno i ricordi migliori della nostra gioventù”

“Io la mia gioventù l’ho persa da un pezzo”, mormorò Tsukasa, decisamente a disagio. “Guardate, piuttosto. Penso che Shinomiya si stia svegliando”.

Il diretto interessato, infatti, stava iniziando a dare segnali di vita. Quando aprì gli occhi, si ritrovò seduto nella sala d’attesa di un ospedale.

“Ma che è successo?”

“Beh, buongiorno! Dimmi, ti sembra il modo di comportarsi?”, fece Kuga. “E io che credevo fossi un uomo tutto da un pezzo”

“Ah, piantala!”, Takumi gli diede una spinta. “Ti informo che Megumi è lì dentro e ha le contrazioni”.

Shinomiya strabuzzò gli occhi. Adesso ricordava tutto, era svenuto per il troppo spavento. I suoi amici glielo avrebbero rinfacciato a vita.

È sveglio!”, gridò Rindou indicandolo. “Si è svegliato! Shinomiya, vieni subito, è così eccitante!”

“Eccitante?”, domandò scettico. “Cosa c’è di eccitante?”. La rossa lo afferrò saldamente per mano e la condusse con sé dalla povera Megumi, la quale stava tentanto in tutti i modi di non tirare fuori la parte peggiore di sé.

“Perché fa così male? Vorrei l’epidurale, ma ho paura degli aghi”

“Vedrai, andrà tutto bene, sta tranquilla”, la rassicurò Nene.

“Ragazzeee!”, cantilenò Rindou. “Guardate chi vi ho portato?”.

“Kojiro”, ansimò Megumi. “Finalmente”

“Mi dispiace, penso di aver perso i sensi”, si scusò. “Come stai?”

“Diciamo che ho avuto dei momenti migliori”, sforzò un sorriso.

“Era ora”, fece duramente Nene. “Qui tutti non possiamo rimanere. Allora? Rimani tu o devo pensarci io?”.

Shinomiya smise di respirare. Che diamine, quella era una sua responsabilità, era un suo dovere rimanerle accanto.

“Ovviamente rimango io”, dichiarò.

 

“Sono finito in un branco di pazzi”, Eizan aveva il mal di testa. “Possiamo andare a casa?”

“Noi non andiamo da nessuna parte finché Megumi non sputa fuori quel bambino. Così ho deciso e così sarà!”, Kuga aveva proclamato la sua sentenza.

Rindou e Nene raggiunsero gli altri poco dopo.

“Nenenuccia!”, la chiamò Isshiki. “Sono stato bravo, hai visto?”

“Ragazzi!”, esclamò invece l’altra. “C’è un’atmosfera lì dentro, sono emozionata per lei. Oh...”, sospirò, poggiandosi al muro.

“Ma stai bene?”, chiese Eizan. “Non è che hai un altro mancamento, vero?”

“No, affatto, in realtà sono piena di energie. Però… adesso che mi ci fate pensare… mi sento un po’ strana”

“Strana? In che senso?”, domandò Terunori.

“Non so, è un dolore che non ho mai sentito prima. È leggero ma insistente”

“Potrebbero essere contrazioni?”, chiese Eizan.

“Ma non mancava ancora un po’ al termine?”

“Forse sarebbe meglio chiedere ad un esperto, visto che siamo in un ospedale”, suggerì Tsukasa. “Ma vado io soltanto, sarebbe inutile che veniste anche voi”

“Inutile? Ah, certo! Mandiamo il “signor Ansia perenne” a svolgere questo compito, che roba”.

Accanto a loro, come se non bastasse, Isshiki e Nene stavano discutendo.

“Nenenuccia, ma perché ce l’hai tanto con me? Io non riesco a capire”

“Fai silenzio e basta! Non capisci nulla se le cose non ti vengono dette direttamente!”.

“Smettetela di fare baldoria!”, li rimproverò Hayama. “Forse noi tre dovremmo andare?”.

Yukio però scosse il capo.

“Io prima voglio vedere il bambino di Megumi”

“Ma potrebbe volerci tutta la notte!”, gli fece notare Ryou.

“Non fa niente, voglio rimanere!”.

Kuga alzò gli occhi al cielo e decise di andarsi a sedere nell’attesa che quei due tornassero. Dovevano essere passati poco più di dieci minuti quando sentì la voce impanicata di Tsukasa.

“KUGA, KUGA!”

“Cosa?!”. L’altro lo afferrò per le spalle.

“Ci siamo”

“Come ci siamo? Com’è possibile?”

“Oh, andiamo, ma siamo seri?!”, si lamentò Eizan.

“Zitto tu, e seguici!”, sbottò Terunori afferrandolo malamente per un braccio.

Tsukasa ovviamente non stava mentendo, quella era stata una sorpresa anche per Rindou, la quale, adesso che si trovava nei panni di Megumi, non era più poi così felice.

“Rindou!”, la chiamò Kuga. “Ma cosa mi combini?”

“E-ehi, ragazzi. A quanto pare qui qualcuno ha fretta di uscire. Mi hanno ricoverato e mi hanno detto che probabilmente mi faranno un cesareo. Sapete, no? Con tutti i problemi che ci sono stati, è meglio non rischiare”.

Tsukasa a quel punto era impallidito.

“La cosa mi fa paura. E se accadesse qualcosa?”

“Smettila, non è il momento di essere pessimisti! Rindou, andrà tutto bene, non ti preoccupare. Anche se non potremo essere con te fisicamente...”

“Come no?!”

“… Saremo con te mentalmente”, Kuga chiuse gli occhi. “Devo respirare e mantenere il controllo, altrimenti rischio un attacco di nervi”.

Tsukasa era indietreggiato fino a sfiorare la parete con la schiena. Non si era mai sentito tanto strano in vita sua, gli risultava impossibile perfino respirare.

“Emh… credo che abbiamo anche un altro problema”, gli fece notare Eizan.

“Eh? Tsukassan, cosa c’è?”

“Io… io”, iniziò ad ansimare. “Temo mi stia per venire un attacco di panico. Io non sono pronto, pensavo avrei avuto più tempo… non ce la faccio”

“Su, Tsukassan, andiamo!”, Terunori tentò di rassicurarlo. “Dovresti goderti questo momento, ci abbiamo provato così tanto”

“Io non ce la faccio. Non ce la faccio. Non ce la faccio!”

“Voi due, ma volete smetterla sì o no?!”, sbottò Eizan. “Tsukasa, se devi farti venire una crisi, fattela venire fuori di qui!”

“Tutto bene!”, disse Kuga. “Ci penso io!”.

Eizan si portò una mano sulla testa.

“Quei due...”

“Eh, sono proprio incorreggibili”, sorrise Rindou. “Non dire niente loro, ma ho un po’ paura. Però sono anche eccitata. Sento come se questo segnasse il mio nuovo inizio”.

Lui le si avvicinò, posandole un bacio sulla fronte.

“Lo sai, mi sembri diversa”

“Sono maturata. Diventare madre può fare miracoli. Sono davvero contenta che tu sia qui con me, adesso”.

 

Mentre Kuga si premurava di tranquillizzare il suo nervosissimo marito, Takumi si lasciò cadere accanto a Soma, che teneva in braccio i bambini, mezzi addormentati.

“Quando questa storia sarà finito voglio staccare la spina”, si lamentò il biondo. “Cosa ho fatto di male per avere degli amici così folli? La colpa è tutta tua, tu attiri stranezze”

“Però devi ammettere che è divertente. Cosa faresti senza me?”

“Niente, effettivamente non farei niente. Sarebbe un’esistenza noiosa. E misera. Ma ti ricordi quando eravamo due ragazzini? Sembra passata una vita”

“Beh, più di dieci anni, non è mica uno scherzo. Io ti ho conquistato”

“Non è vero”

“Ma se eri ossessionato da me”

“Ti vedevo come un rivale”

“Ah, sì. Bella scusa, non ha mai attaccato”

“Smettila, stupido”, borbottò dandogli un pizzicotto. “Quando ci siamo messi insieme desideravo silenziosamente che fosse per sempre. Non avrei mai pensato potesse avverarsi”

“Questo non me lo avevi mai detto...”

“Te lo dico adesso”, sussurrò avvicinandosi a lui e facendo per baciarlo.

I lamenti di Tsukasa però interruppero la bella atmosfera.

“Ma come fai tu a non essere nervoso?!”

“Io sono nervoso. Eccome se lo sono. Ma ti giuro che andrà tutto bene!”, afferrò le sue mani.

“Puoi esserne certo?”

“Io… no. Non posso esserne certo, è per questo che ho paura. Ma Tsukassan, siamo arrivati fin qui, coraggio, manca così poco. Io ti starò vicino, se tu starai vicino a me”.

Era sull’orlo di un pianto, ma non voleva lasciarsi andare alle lacrime, quelle voleva conservarle per dopo, per un momento più felice.

Eishi respirò profondamente. La crisi sembrava star passando.

“Certo che ti starò accanto. Sempre”.

Kuga sorrise, abbracciandolo stretto a sé.

“Ragazzi”, li chiamò Eizan. “Scusate se vi interrompo ma… devono portare Rindou in sala operatoria”.

I due si guardarono, facendosi silenziosamente coraggio.

La ragazza stava soffrendo parecchio, ma la consolava la consapevolezza che di lì a poco non avrebbe sentito più nulla.

“Oh, accidenti”, sbuffò. “Perchè deve fare così male? Tsukasa, Kuga, la colpa è vostra!”

“Sì, è vero, effettivamente siamo colpevoli”, rispose il secondo guardandola truce.

“Ragazzi! Ahi! Va meglio?”

“Sì… scusa per la mia scenata, a volte non riesco a controllarmi”, fece Eishi. “Rindou… non credo ti ringrazieremo mai abbastanza per quello che hai fatto per noi”

“Ringraziami quando il pupo sarà finalmente fuori. E detto fra noi, non vedo proprio l’ora. Auguratemi buona fortuna, okay?”, domandò con un leggero tremore nella voce.

Kuga le baciò la testa.

“Buona fortuna”.

 

“Nene, perché non vuoi dirmi cos’hai? Che ho fatto?”.

Isshiki stava in tutti i modi cercando di capire perché sua moglie ce l’avesse tanto con lui. Ma quest’ultima non sembrava molto disposta a collaborare.

“Niente di niente. Sei solo stupido, ecco cosa”

“Perchè mi tratti così male? Ho fatto quello che mi hai chiesto, li ho portati tutti qui”, piagnucolò. “Per caso vuoi lasciarmi? Oh, no! Lo sapevo, lo sapevo!”

“Maledizione, Satoshi!”, sbottò con le guance arrossate. “Ti ci vuole tanto per capirlo? Avevo invitato tutti a casa nostra perché volevo fare un annuncio. Secondo te di che annuncio poteva trattarsi?”.

Isshiki strabuzzò gli occhi, sinceramente confuso.

“Oh, cavolo! Sono incinta, idiota! Si può sapere come diamine hai fatto a non capirlo? Hai un livello di attenzione vergognosamente basso, anche un pesce rosso lo avrebbe capito. Mi stai ascoltando sì o no?!”.

Nene gli stava riservando una valanga di insulti anche abbastanza meritati, ma Isshiki non rispondeva, sembrava essere su un altro pianeta.

“Adesso mi ignori anche? Ma sei serio o cosa? Basta, ci rinuncio!”.

Senza dire una parola, Isshiki si avvicinò a lei, stringendola. E quel gesto la lasciò piuttosto stupita.

“Satoshi?”, sussurrò con un filo di voce. “Che fai? Sono ancora arrabbiata con te, se vuoi saperlo”

“Ci speravo, sai? Avere una famiglia con te era il mio sogno, ma non volevo pressarti troppo. E questo mi rende doppiamente stupido per non averlo capito subito”.

Il suo tono era serio come non mai. Era anche quello che amava di lui, la sua sensibilità e dolcezza.

“Sì… posso capire il perché. Prima di sposarmi ero spaventata all’idea. Ma poi è successo ed ero felice. Sono felice, tutt’ora”.

Isshiki la guardò. La sua espressione seria mutò drasticamente.

“Nenenuccia mia!”, cominciò a piagnucolare. “Mi hai reso l’uomo più felice del mondo! Ehi, ragazzi…!”

“Fermo, ma che fai?!”

“La mia Nene è incinta! Non è meraviglioso?”

“Bella scoperta, lo avevamo capito tutti tranne te”, fece Ryou.

“Anche io lo avevo capito!”, il piccolo Yukio sollevò una mano.

Ma Isshiki non sembrava dar retta a nessuno, troppo perso nella sua felicità assoluta. A Nene venne da sorridere.

Sì, decisamente erano proprio pronti per quella nuova avventura.

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Capitolo 22
*** Fortuna e pioggia notturna ***


22 - Fortuna e pioggia notturna

 

Megumi sospirò profondamente per cercare di immagazzinare più aria possibile nei polmoni. Aveva letto tanto, si era informata, era andata tre volte a settimana al corso pre-parto, oramai avrebbe dovuto essere un’esperta.

Affronterò tutto con calma e tranquillità, si era detta.

Aveva fatto di tutto per cercare di avere un figlio, ma adesso l’unico desiderio che aveva era quello di castrare la povera anima di Shinomiya.

“La colpa è tua, la colpa è tua!”, esclamò. “La colpa è tutta tua!”

“Colpa mia?”, domandò lui mentre le stringeva la mano. “Sei stata tu che ti sei fatta ingravidare a tradimento”

“Kojiro, sta zitto!”, in quel momento Megumi stava tirando fuori la parte peggiore di sé. La sua indole dolce e pacata sembrava scomparsa, e aveva appena fatto posto ad un demone con tanto di corna e zoccoli. “Tu non puoi capire quanto sto soffrendo! Sei inutile in questo momento!”

“E adesso sono anche inutile, bene. Devo andarmene?”

“Come ti viene in mente una cosa del genere? Tu devi rimanere qui con…. Ah!”, un’altra contrazione la zittì e la portò a stringere con ancora più forza la sua mano.

Quella ragazza era piccina ma forzuta.

“D’accordo, niente panico, eh?”, domandò gentilmente un’infermiera, nella speranza di non ricevere qualche brutta risposta.”Se te la senti, puoi cominciare a spingere, oramai ci siamo. Sei fortunata, non hai avuto un travaglio poi così lungo”.

Megumi scosse il capo con dissenso. Non si sentiva affatto fortunata, e come se non bastasse aveva paura del dolore, paura di non farcela. Dopotutto, era sempre stata così fragile.

“Kojiro, non ce la faccio”, biascicò.

“Eh? Che significa che non ce la fai! Hai aspettato questo momento per mesi!”

“Lo so, ma adesso sto iniziando ad avere paura. Dopotutto lo sai anche tu, non sono poi così forte”.

Shinomiya divenne serio e delicatamente le sfiorò il viso, costringendola a guardarlo.

“E tu non saresti forte? Diciamo che me lo hai dimostrato anche abbastanza bene quando eri poco più che una ragazzina quindicenne ed io ero il tuo insegnante”

“Eh… effettivamente mi chiedo come abbia fatto a conquistarti”, rispose sorridendo imbarazzata.

“Te lo dico io come. Proprio per la tua dolcezza e la tua bontà d’animo che nascondono una tenacia e una forza che assai raramente ho visto. Te l’ho già ripetuto un milione di volta, ma… mi dispiace. Con te mi sono comportato in maniera pessima, tutto ciò perché avevo paura. Vedi? Probabilmente sei anche più forte di me sotto certi aspetti. Non intendo lasciarti sola in questo momento, né mai. Sono testardo e mi ci è voluto un pezzo per capirlo ma… tutto quello che voglio è proteggere te e la famiglia che mi stai dando”.

A Megumi vennero gli occhi lucidi. Per un breve istante il dolore era scomparso e tutto ciò che aveva sentito era stata gioa scoppiarle nel petto.

“Oh… Kojiro. Io non ho mai avuti dubbi su questo. Ti amo tanto, lo sai”

“Ti amo anche io”, le sussurrò, baciandola in fronte. Probabilmente non glielo diceva abbastanza. Aveva sbagliato tanto volte, ma forse quello poteva essere il momento anche per lui per rinascere.

“Emh, emh”, l’infermiera si schiarì la voce. “Scusate… possiamo procedere?”.

Megumi annuì.

“Sì… farò del mio meglio”.

 

“Sto iniziando a essere preoccupato”, Tsukasa si dondolava nervosamente sulla sedia.

“Perché ci mette tanto? E se qualcosa va storto? Kuga, dimmi qualcosa”

“Che devo dirti? Anche se ci provo, è tutto inutile”.

Terunori stava seduto tra lui ed Eizan, quest’ultimo era stranamente silenzioso, forse era preoccupato?

“Ah”, borbottò. “Non temere, Rindou è forte, ce la farà. Avete scelto bene, vostro figlio avrà la testardaggine nei geni”

“Già”, Kuga gonfiò le guance, si sentiva evidentemente un po’ a disagio. “Comunque… sì… insomma… beh, grazie per aver accettato la cosa, alla fine! Non è da tutti”

“Non è che avessi molta altra scelta. Io amo Rindou. Quindi va bene”

“Sì, lo so che la ami. Sei sempre stato un bastardo, ma l’amore ti fa bene, ti ha reso più umano”

“Oh, grazie”, alzò gli occhi al cielo. “Andremo d’accordo anche dopo che il bambino sarà nato?”.

Kuga fece spallucce.

“Spero di sì, perché sarai costretto a sopportarmi per il resto dei tuoi giorni”.

Eizan fece una smorfia. Quella sembrava tanto una minaccia.

Di fronte a loro tirava un’aria decisamente più tesa, poiché Isshiki entusiasta a causa della notizia ricevuta poco prima, stava frastornando Soma e Takumi con le sue chiacchiere.

“Ma vi rendete conto? Diventerò padre, io!”

“Effettivamente non so se la cosa mi spaventa o no”, commentò il biondo, stanco. Guardò l’orologio: quasi le due di notte, e loro erano lì, attendevano. Kou stava in braccio a lui, Hajime dormiva in braccio a Soma, il quale era a sua volta ad un passo dal crollare addormentato.

“Ammetto che la cosa mi lascia un po’ turbato”, Isshiki sembrava pensieroso. “Però non ha importanza, tutto ciò a cui devo pensare è la mia Nenenuccia, non è bellissima?”.

La ragazza lo sentì e gli rivolse un sorriso, mentre si ritrovava a parlare, incredibilmente, con il piccolo Yukio.

“Ci saranno tanti bambini tra un po’ di tempo”, costatò. “Ma… ma da dove vengono i bambini?”.

Nene spalancò gli occhi. Perchè proprio a lei?

“La questione è un po’ complicata. I bambini possono arrivare in tanti e modi e per motivi diversi. Tutto quello che devi sapere è che portano comunque una felicità immensa”, rispose spontaneamente, non ci aveva neanche pensato.

Yukio sembrò soddisfatto della risposta.

“Mi piace questa cosa. Sarai una brava mamma, tu hai gli occhi buoni, come Megumi”.

Quell’affermazione così genuina e sincera per poco non la commosse. Non si era mai vista troppo bene in certi panni, ma ora stava iniziando a ricredersi. Sollevò lo sguardo e osservò Ryou con la testa poggiata alla spalla di Hayama, entrambi dormivano indisturbati.

Quei due erano in debito con lei, aveva evitato loro un momento molto imbarazzante!

 

Ancora una volta, Megumi sopportò con pazienza il dolore. Non era qualcosa che si poteva sopportare o evitare, ma sapere di avere accanto la persona che amava e che la sosteneva era già di grande conforto. E per Shinomiya era strano vedere la ragazza che amava soffrire, senza poter fare nulla, se non rimanere lì con lei per quanto possibile. Doveva ammettere di essere nervoso, impaurito, ma quello non era certo il momento per farsi prendere dal panico.

La mano di lei si strinse ancora più forte a quella di lui.

“Coraggio, stai andando benissimo”, la tranquillizzò. Megumi non rispose, troppo concentrata sul respiro. Arrivata ad un certo punto, sentì il bisogno di spingere, ancora più delle altre volte. Chiuse gli occhi e non poté fare a meno di cacciare fuori un urlo e farsi uscire le lacrime, a causa del dolore che aveva raggiunto il suo apice.

E qualche secondo dopo il nulla. Il dolore era passato ed era stata svuotata da ciò che da mesi si portava dentro. Fu soltanto il suono di un vagito che la portò istintivamente ad aprire gli occhi.

“Congratulazioni!”, sentì dire dall’infermiera. “È un maschietto, e sembra forte e in salute!”.

La giovane donna ora posava il piccolo sul seno della madre, la quale era rimasta per qualche istante immobile, con le lacrime agli occhi, a contemplare il piccolo esserino che lei, che loro, avevano messo al mondo.

È qui”, riuscì a mormorare. “Benvenuto al mondo, piccolo. Kojiro…?”.

Quest’ultimo non aveva ancora detto una parola. Dopotutto, in quei casi cosa si poteva dire? Non riuscire a capacitarsi che quel bambino, che all’inizio non aveva voluto, che lo aveva fatto andare nel panico più totale e che aveva sentito scalciare, ora fosse lì.

“Kojiro, ma piangi? Ti sei commosso?”, chiese Megumi.

In realtà non se ne accorse neanche, ma effettivamente una lacrima traditrice aveva lasciato i suoi occhi. Si tolse gli occhi appannati per pulirli.

“Io non piango mai, né mi commuovo!”, chiarì. “Ma immagino che in questo caso…. Vada anche bene così, eh?”.

La ragazza sorrise radiosa, la felicità più totale in volto. Possibile che si stesse nuovamente innamorando di lei, in quel momento?

La strinse delicatamente a sé, sussurrandole:

“Sono fiero di te”

“Sono io ad essere fiera di te”, sussurrò, adesso la stanchezza stava iniziando un po’ a farsi sentire. “Su! Presentati a tuo figlio”.

Il piccolo sembrava impegnato nella ricerca del seno materno, doveva aver fame.

Un po’ a disagio – quel bambino sembrava così piccolo e fragile - accarezzò la sua testolina dai pochi capelli, scuri esattamente come quelli della madre. Effettivamente le somigliava molto.

“Amh… benvenuto”, disse un po’ incerto. “Io non sono molto bravo con queste cose, ma… sono molto felice che tu sia qui. Inizialmente non sono stato proprio un padre, esemplare, eh? Ma adesso che ci sei… prometto di esserci, sempre. Farò del mio meglio e potrai sempre contare su di me”.

Gli aveva sfiorato una manina e quest’ultima si era stretta al suo dito. Se non si fosse trattenuta, probabilmente sarebbe scoppiata di nuovo a piangere. Finalmente aveva tutto quello che aveva sempre sognato.

“Che ne pensi di presentarlo agli altri?”

 

Era calato il silenzio, probabilmente perché il sonno stava iniziando a farsi sentire. L’unico vigile era Tsukasa, perché niente, proprio niente avrebbe potuto distrarlo. Da cosa, poi, non era dato saperlo.

Takumi, accoccolato a Soma, fu il primo ad aprire gli occhi quando sentì dei passi: Shinomiya era uscito dalla stanza d’ospedale, aveva tra le braccia un fagotto avvolto in una coperta azzurra.

“Oh, mio Dio!”, diede una gomitata al marito. “Soma, sveglia!”

“Dove? Cosa?!”.

Il lieve baccano bastò a far svegliare gli altri. Yukio si strofinò gli occhi, mettendo a fuoco l’immagine davanti a sé.

È nato il bambino?!”, esclamò contento. “È maschio o femmina?”

È un maschio. Ragazzi… vi presento Kichiro*”

“Ma è… carinissimo!”, Kuga era già andato in brodo di giuggiole. “Che viso adorabile! Lo sai, non sembra che ti somigli, questo è un bene”

“Non sei spiritoso per niente. Allora… fa strano vedermi così?”

“Umh”, fece Soma pensieroso. “Fa molto strano, però… sai che alla fine ti ci vedo anche bene?”.

Yukio annuì.

“Adesso non fai più paura! Sei più tenero!”.

Tenero. Che aggettivo curioso, non era certo fosse quello giusto. La sua autorità era già andata a farsi friggere nell’olio bollente? Probabile, ma oramai non aveva importanza.

Adesso che Kichiro era lì, con loro, certamente sapeva cosa fare e come comportarsi.

Adesso erano tutti svegli. Il bambino reclamava il latte materno, quindi Shinomiya lo aveva riportato a Megumi.

Kuga si strofinò le mani, sospirando.

“E anche il bambino di Shinomiya e Megumi è arrivato. Manchiamo solo noi, però almeno nasceranno la stessa notte, mi piace questa cosa”

“Già...”, Tsukasa guardò l’orologio che teneva al polso.

“Le tre e mezza… è passato un po’, non credi?”.

Terunori fece spallucce. Si sentiva così stanco e la mente era così poco lucida, che anche se avesse voluto non avrebbe potuto provare paura. Era semplicemente impaziente.

Anche i gemelli si erano adesso svegliati. Kou, per la precisione, aveva voglia di camminare, quindi Takumi era stato costretto ad afferrarle le mani e a guidarla. La bambina si fermò soltanto quando si ritrovò davanti la vetrata trasparente che dava sull’esterno. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione.

“Che c’è, piccola?”, domandò lui. Poi sollevò lo sguardo e la vide: aveva iniziato a piovere. Una pioggia notturna e inaspettata.

Cullato dal dolce suono di quest’ultima, Kuga stava per addormentarsi di nuovo, se non fosse stato per un evento particolare: le porte che parecchio – o almeno a loro parve parecchio – tempo prima si erano chiuse, adesso si erano riaperte.

“Signori Kuga e Tsukasa?”, domandò gentilmente un’infermiera.

Eishi fu il primo a sollevare lo sguardo. Temeva di sentirsi dare una brutta notizia, ma gli bastò poco per capire e per posare gli occhi un po’ più in basso.

“Ma… è… è...”.

Kuga si alzò e con il cuore che batteva forte in petto si avvicinò. Si sentì istantaneamente meglio nel vedere il piccolo fagotto che riposava in braccio all’infermiera.

“Sta bene!”, esclamò. “È qui!”

È una bambina. E sì, sta decisamente bene. Il problema che aveva al cuore non è scomparso, bisognerà tenerlo d’occhio, ma penso proprio che se la caverà. Vuole prenderla in braccio?”.

In verità Kuga era completamente zittito. Anche volendo non sarebbe riuscito a dire una parola. Allungò semplicemente le braccia, con gli occhi lucidi. Fu una sensazione strana, nuova e meravigliosa, tenere per la prima volta vicino a sé la loro bambina.

“Kuga?”, lo chiamò Tsukasa con voce spezzata. Lui si voltò a guardarlo. Era stato bravo a mantenere il controllo delle sue emozioni, ma adesso poteva anche lasciarsi andare.

Eishi vide le lacrime solcargli le guance e quasi d’istinto si avvicinò e lo strinse delicatamente a sé. Poi posò lo sguardo sulla bambina, era perfetta.

“No, non ci credo...”, sussurrò attonito.

“Tsukassan, ce l’abbiamo fatta! Abbiamo una bambina, abbiamo una famiglia. Io… era esattamente questo ciò che volevo per noi. Da sempre”, confidò. A Tsukasa venne da sorridere, e con la stessa delicatezza di poco prima gli afferrò il viso tra le mani, baciandolo.

“Non credevo si potesse provare una felicità così grande”, commentò.

“Ehi, ragazzi!”, Eizan li aveva raggiunti. “Cosa…? Ma… ma…”.

Kuga annuì, sorridendo.

“Eizan… ti ringrazio per tutto”

“Eh? Ringrazi me? Per cosa?”

“Per esserti preso cura di Rindou”.

Era sconvolto. Ma Kuga era sincero, poteva capirlo semplicemente guardarlo. Si limitò ad annuire. Quei tre sarebbero stati proprio una bella famiglia.

Tsukasa intanto aveva preso ad accarezzare la testa di sua figlia, notando i pochi capelli di un certo colore rossiccio. E poi la vide aprire gli occhi, ancora dal colore indefinito”

“Ciao. Benvenuta al mondo… Kuga, ancora non abbiamo deciso come chiamarla?”, domandò ciò nella speranza che suo marito volesse dare un nome quantomeno decente alla loro piccola.

Terunori ci pensò su. E gli bastò guardare fuori dalla finestra per emettere il suo verdetto.

“Amaya**. Lei si chiamerà Amaya. Amaya Lionne”, proclamò infine.

Testardo fino alla fine.

“Amaya, eh?”, sussurrò Eishi. “Sì, penso sia perfetto. Benvenuta, Amaya”.

“Ehi, ehi!”, Soma adesso sembrava sveglio e vispo. “Dunque? Non ci presentate la nuova arrivata?”

“Certo che sì!”, dopo la commozione iniziale, Kuga stava lasciando posto all’orgoglio più intenso. “Eccola, guardatela. Non è bellissima?”

“Sì, lo è davvero”, aggiunse Takumi. “Sono certa che lei e i gemelli diventeranno buoni amici”

“Di più!”, rispose Soma. “Lei si fidanzerà con Hajime un giorno”

“Scusami?”, domandò Tsukasa.

“Cosa? L’avevo detto io, pensavi scherzassi?”

“Ma per favore, smettila!”.

Robe da matti. Sua figlia era al mondo da soli cinque minuti e c’era chi già progettava di portargliela via. Sicuramente avrebbero avuto un gran da fare.

E andava bene così.

 

Qualche ora dopo, Amaya dormiva beatamente in braccio ad Eishi. Quest’ultimo si era reso conto di avere un istinto naturale per certe cose. Inoltre, Rindou si era da poco risvegliata, era giusto che anche lei conoscesse la bambina.

“Ah, che dormita!”, esclamò la ragazza, impedita dallo stiracchiarsi a causa dei punti. “Allora? Allora? Mi fate vedere la bambina? Dai, dai!”.

Non molta gente era così su di giri dopo un intervento, ma lei ovviamente era l’eccezione.

Tsukasa si avvicinò a lei.

“L’abbiamo chiamata Amaya”

“Amaya Lionne”, fece eco Kuga.

“No, solo Amaya”, sbuffò. “Non ha nemmeno un giorno e già la metti in imbarazzo”

“Non so di cosa tu stia parlando!”.

Rindou guardava con gli occhi lucidi la piccola.

“Ma… è incredibile”, sussurrò. “Fa strano pensare che era dentro di me e che adesso è qui. Cavolo… sì, abbiamo fatto proprio un bel lavoro, non ci sono dubbi Sono un po’ triste, devo ammetterlo. Siamo state insieme per nove mesi”

“E allora?”, domandò Kuga. “Tu sei pur sempre sua madre, potrai vederla quando vuoi. Coraggio, su, tienila un po’”.

Un po’ impaurita, Rindou avvicinò a sé Amaya. Quest’ultima non protestava, anzi, sembrava trovarsi proprio bene fra le sue braccia.

Fu nel momento in cui Eizan la vide con in braccio la bambina che capì che sì… doveva essere lei la donna della sua vita.

 

Soma si stiracchiò.

“Finalmente è fatta. I bambini sono nati e possiamo tirare un respiro di sollievo. Come direbbe Isshiki… quanta bella gioventù, eh?”

“Sì, come vuoi”, sbuffò Takumi. “Io sono stanco. Tu e i bambini siete così attivi, ma come fate?”

“Su, non fare così. Fra qualche giorno partiremo. Stavo pensando che dopo l’Italia potremmo visitare qualche altro posto”

“Ma i bambini sono ancora così piccoli, non voglio strapazzarli troppo”.

Soma gonfiò le guance.

“Intendevo solo noi due. Sai, no? Tipo una seconda luna di miele. I bambini possono stare con mio padre. Ma immagino che tu non voglia...”

“Non voglio?!”, esclamò lui. “Stai dicendo sul serio? Voglio eccome!”

“Davvero?”

“Certo che sì!”.

Suo marito sorrise.

“Grazie, Takumi”

“Grazie per cosa?”

“Grazie, perché se non avessi avuto te… non avrei avuto niente di tutto ciò”.

L’altro si strinse a lui.

“La stessa cosa vale esattamente per me”.


*Figlio fortunato
**Pioggia notturna

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Capitolo 23
*** Il dono migliore ***


23 - Il dono migliore

Cinque anni dopo...

"Yukiko! Guardami, guardami! Hai visto, mamma? Sono riuscito di nuovo a farla ridere!".
Kichiro se ne stava in ginocchio a fare facce strane alla sua sorellina di pochi mesi. Yukiko, dai grandi occhi dorati e dai capelli color fiore di ciliegio, sembrava completamente presa dal suo fratello maggiore, verso il cui stava ora allungando le manine paffute.
Megumi sorrise a quella scena, mentre teneva sul grembo la sua secondogenita. Il tempo era piuttosto mite per essere dicembre. Natale per la precisione. L'ennesimo passato insieme. Se si guardava indietro, si rendeva conto che molte cose erano cambiate. Altre invece erano rimaste uguali e in fondo era forse meglio così.
"Ah, ecco dov'eravate tutti e tre", Shinomiya aveva richiuso la porta. "Perché ve ne state qui in veranda? Mi avete lasciato solo in mezzo a tutto quel caos"
"Che ti prende?", lo punzecchiò sua moglie. "Fra Kuga e Takumi che perdono la testa c'è da divertirsi"
"A me fanno tanto ridere", commentò Kichiro accarezzando la manina della sorella. "Mi dicono sempre di tenere d'occhio gli altri, perché sono il più maturo".
Questo era vero. Kichiro non era il più grande per età, ma aveva un temperamento mite ed era capace di mettere d'accordo i suoi piccoli amici. Shinomiya gli accarezzò i capelli.
"I compiti più infausti vanno sempre a noi", sospirò. Yukiko nel frattempo aveva preso ad agitarsi, stava palesemente reclamando le attenzioni del padre.
"Credo che voglia te", disse Megumi.
"La mia piccola!", esclamò lui prendendo in braccio la bambina. Certo che con gli anni si stava davvero addolcendo. Con Kichiro ne aveva fatti di passi avanti, ma Yukiko era stata il colpo finale. Le faceva passare tutto. A Megumi venne da ridere. E pensare che fino a qualche anno prima c'era addirittura stato il rischio di non avere mai una famiglia. Fortunatamente aveva dato retta al suo istinto e al consiglio di Nene.
"A cosa stai pensando?", chiese Shinomiya. Yukiko stava cercando di afferrare i suoi occhiali.
"Nulla", Megumi scosse il capo. "Su, adesso torniamo dentro, è quasi ora di cena".
Dentro casa - la nuova casa di Soma e Takumi, molto più grande e adibita ad ospitare molte più persone - c'era come sempre caos.
Il povero Simba stava cercando di trovare la sua pace, rimanendosene accucciato in un angolo. Peccato che Amaya e Kou non gli dessero tregua.
"Dai, Simba, andiamo!", lo incitò la prima. "Tu sei il mio destriero! E io sono una principessa, quindi sbrigati!".
Kou, molto più tranquilla, si lisciò nervosamente i codini biondi.
"Forse devi smetterla", tentò di convincerla.
Il motivo per cui aveva detto ciò era semplice: aveva percepito l'aura oscura e soffocante di Kuga.
"AMAYA!", sbraitò. "Che cosa stai facendo?! Ti ho detto di lasciare stare il cane, non è un giocattolo! Trovati un altro passatempo!".
La bambina alzò gli occhi al cielo.
"Uffa! Sei stupido!"
"Cosa?! Chi sarebbe stupido? Non ho sentito bene, prova a ripeterlo!"
"Ho detto che sei stupido!", proferì a braccia conserte. Tipico di Kuga non riuscire a far valere la sua autorità genitoriale. Alle volte Tsukasa faceva seriamente fatica a capire chi fosse il bambino dei due.
"Ragazzi, andiamo", sospirò. "Vi sentite solo voi". Amaya aggrottò la fronte.
"Papà è cattivo con me", si lamentò.
"Io non sono cattivo! E tu sei una ruffiana!"
"Kuga, smettila! È natale, non litigate!". Amaya gonfiò le guance.
"E va bene. Posso mangiare dei biscotti?"
"Sì, certo che p-"
"Tsukassan, no! Non ha ancora cenato!", proclamò Kuga fermo.
Amaya allora cambiò drasticamente espressione e i suoi grandi occhioni divennero lucidi.
"Dai, vi prego! Solo due. Faccio la brava, giuro".
Kuga fece una smorfia. Sua figlia non avrebbe mai mantenuto quella promessa, come sempre del resto. Ma d'altro canto, dire di no a quel dolcino faccino sarebbe stato impossibile.
"E va bene, ma non esagerare o ti verrà il mal di pancia!"
"Grazie!", esultò. "Vi adoro!".
Bastava una parola. Un semplice "ti voglio bene" o uno sguardo, e subito sia lui che Tsukasa capitolavano come due sciocchi.
"Ah, rammollito", sospirò Eishi.
"Da che pulpito! Quella ruffiana. Ci ha in pugno. Cavolo, ne farà di strada!", proclamò Terunori con una leggera punta d'orgoglio nella voce.

"Haji! Sei cattivo! Non tirarmi i capelli!", piagnucolò Kou. Tra i due, era decisamente quella più sensibile e timida. Hajime invece era una vera peste, vivace, instancabile e furbo.
Fortunatamente Kichiro si era messo in mezzo per cercare di dividere i due fratelli. Kou si era nascosta dietro il suo salvatore.
"Spostati, Kichiro!", sbuffò il biondino.
"Non posso", lui fece spallucce. "Le femmine non si picchiano, vanno trattate bene"
"Ma lei non è una femmina, lei è mia sorella e basta!", proclamò sbuffando.
Kou si strinse al suo braccio e a quel punto Kichiro le posò una mano sulla testa. A quel lieve contatto, la bambina smise di piangere, perdendosi negli occhi buoni del suo piccolo amico.
Kou raggiunse i tre, tenendo fra le mani un tovagliolo pieno di biscotti.
"Tieni, Haji! Dai, mangialo, veloce!".
Takumi aveva appena finito di sistemare i piatti quando si era voltato e aveva colto suo figlio in flagrante.
"Hajime! Dolci prima di cena? E stai sporcando il tappeto! Soma, dì qualcosa a tuo figlio!".
Ovviamente suo marito era impegnato a gongolare circa il recente viaggio in Australia che avevano fatto. Almeno una volta all'anno si concedevano una pausa, e nell'arco di cinque anni avevano già visitato dei bellissimi posti.
"Credo che la tua dolce metà ti chiami", gli fece notare Ryou.
"Eh? Ah, sì! Dimmi, Takumi caro!"
"Takumi caro" un bel niente! Hajime tira i capelli a Kou", abbassò la voce. "Penso che Amaya lo influenzi giusto un pochino"
"Ti ho sentito!", esclamò Kuga. "Rinunciaci. Amaya e Hajime sono destinati a stare insieme per sempre! Tu cosa ne pensi, piccola?"..
Quest'ultima sembrò pensarci seriamente su.
"Va bene! Io un giorno sposerò Hajime!".
"... Cosa?", domandò Tsukasa, ora sull'attenti.
"Ma...", il bambino indietreggiò. "Io non voglio! Le bambine sono antipatiche, voglio solo aprire un ristorante ed essere ricco!"
"Ha le idee chiare! Mi piace, è un buon partito!", Kuga era fin troppo serio.
"Vuoi smetterla?! Sono solo dei bambini!", lo zittì Eishi già in panico all'idea di dover dire addio alla sua bambina adorata. Takumi sospirò, capendo che era meglio intervenire.
"Va bene, ragazzi, tutti calmi. Perché non iniziate a prendere posto attorno alla tavola? Aspettiamo ancora qualcuno?".
Soma annuì.
"Isshiki, Nene, Rindou e Eizan. Si fanno aspettare un po', ma dopotutto è da capire. Si sa che i bambini portano via un sacco di tempo"
"E manca anche tuo padre. Ti prego, dimmi che non vuole fare la stessa identica cosa che fa ormai da anni!", fece esasperato, ma suo marito gli rispose con un'alzata di spalle, segno che non doveva saperne nulla.

"Satoru!", Yuki strepitava contro suo figlio che, nonostante gli anni, rimaneva sempre estremamente vivace e dispettoso. "Smettila di fare l'asociale, dovresti dare un'occhiata ai tuoi cugini più piccoli.
Per tutta risposta, il bambino gli fece una linguaccia, prendendo sottobraccio Yukio.
"Neanche morto! Io e Yukio siamo troppo grandi per stare con loro, abbiamo i nostri passatempi! Diglielo anche tu!".
Il diretto interessato sospirò, rimanendo in silenzio. Man mano che cresceva il suo carattere andava definendosi sempre di più. E stava andando ad assomigliare sempre più niente meno che a Ryou. Che questa fosse una cosa buona o meno, si sarebbe capitolo solo vivendo.
"Dai, hanno ragione", proferì Hayama. "Lasciamoli pure per i fatti loro"
"Tsk", borbottò Ryou. "Quei due stanno sempre insieme. Mi preoccupa..."
"Hanno otto anni"
"Ma diventeranno grandi e... io non voglio avere niente a che fare con i problemi d'amore di Yukio, d'accordo?! Pensaci tu, visto che sei tanto bravo"
"Ma se non ho detto una parola. Il solito apprensivo esagerato".
Ryou si morse la lingua per evitare di rispondergli in malo modo. Era Natale dopotutto, ci avrebbe pensato il giorno dopo.
Satoru si era trascinato Yukio sotto il tavolo e gli aveva fatto segno di tacere.
"Satoru, perchè siamo qui?"
"Sssh", il bambino si guardò intorno, sembrava visibilmente entusiasta. "Yukio, devo chiederti una cosa. Posso darti un bacio?"
"Eh?", domandò lui. "Un bacio? Ma un bacio come i grandi? Sulle labbra?".
L'altro annuì contento.
"Certo!".
Si protese verso di lui con delicatezza, mentre Yukio rimaneva immobile, con il cuore in gola e i pugni chiusi. Il suo migliore amico gli rubò il primo dolce e innocente bacio della sua vita, magari il primo di tanti altri.

Takumi si era fiondato sulla porta che aveva successivamente aperto.
"Finalmente! Temevano non arrivaste più".
Nene aveva un'espressione stanca e afflitta.
"Chiedo scusa. Ryota mi ha fatto perdere tempo. E con Isshiki, è come se avessi due bambini a cui badare".
Suo figlio, che era praticamente la copia di Isshiki solo in miniatura, si staccò dalla madre.
"Tolgo i vestiti!", esclamò deciso.
"Cosa?! No! Ryota, non farlo! Satoshi, vuoi darmi una mano?!", esclamò Nene disperata. Non riusciva a credere che suo figlio avesse ereditato anche quella strana mania di denudarsi, non era possibile!
"Sta tranquilla!", la rassicurò suo marito. "Ho comprato a Ryota un grembiule uguale al mio, non è divertente"
"... Divertente?", sicuramente Nene sarebbe esplosa di lì a poco. "Divertente? MA CHE RAZZA DI IDEE TI VENGONO IN MENTE?!".
Takumi si schiarì la voce.
"Sì, è sempre un piacere avere a che fare con voi".
Fece per richiudere la porta, ma la voce di Rindou gli giunse poco dopo alle orecchie.
"Aspetta, ci siamo anche noi!"
"Ah, bene, ben arrivati, almeno voi non sembrate sull'orlo di un esaurimento nervoso. Come sta la piccola?"
"Bene, ovviamente", rispose lei fiera. In braccio teneva una bambina di circa due mesi. "Possiamo entrare?"
"Certo, accomodatevi pure, sono già tutti qui".
Non appena Amaya ebbe percepito la presenza di Rindou, si alzò dal pavimento per andarle subito incontro. Le due erano molto unite e si vedevano spesso, oltre ad andare molto d'accordo.
"Rindouuu!", chiamo contenta, saltellando. "Finalmente sei venuta! Ah, ciao anche a te, Eizan!"
"Anche a te"? Ma cosa sono, una comparsa?", si lamentò.
"Non te la prendere, Amaya è fatta così", lo tranquillizzò Kuga. "Come ci si sente ad avere una figlia?"
"È... abbastanza strano"
"Sembra essere diventato più tenero, vero Tsukassan?"
"Confermo"
"Smettetela!".
"Rindou! Fammela vedere, fammela vedere!", la pregò Amaya. La ragazza allora si chinò, sorridendo.
"Su, Miyako. Saluta la tua sorella maggiore!".
Nel sentire quelle parole, il cuore di Amaya si riempì di gioia.
"
È troppo carina! La adoro! Posso tenerla?"
"Certo che puoi!".

Takumi andò a sedersi. Si meritava un po' di sano risposo, aveva passato ore a cucinare, peccato che nessuno adesso volesse darti retta.
Soma gli arrivò da dietro, massaggiandogli le spalle.
"Stanco?"
"Mah, ci sono solo una decina di bambina che urlano, strepitano e corrono per casa, cosa vuoi che sia?"
"Però è più bello così, non trovi?"
"Sì, è vero... senza di loro le nostre vite sarebbero... estremamente vuote", confermò.
Non ci sarebbe stato assolutamente niente che avrebbe cambiato. Erano entrambi felici di essere arrivati a quel punto. C'era ancora tanta strada da fare e non vedevano l'ora.
"Oh-oh-oh, buon Natale!".
Takumi sgranò gli occhi. Non poteva crederci, le sue paure erano state confermate! Joichiro gli stava davanti con addosso l'immancabile costume di Babbo Natale. E sebbene i bambini avessero scoperto da tempo oramai la vera identità dietro quel costume, lui continuava imperterrito.
"C'è il nonno!", gridò Kou. "Hai portati i regali?"
"Regali?!", Satoru sbucò da sotto il tavolo insieme a Yukio. "Dove?!"
"Voi! Che facevate lì sotto?!", li chiamò Ryou.
"No, niente, ci siamo solo baciati! Vieni, Yukio, andiamo!"
"Ba-baciati?", sussurrò il corvino. "Cosa? Di già? Andiamo! Speravo almeno passassero altri sei anni prima di questo momento!".
Alla fine Joichiro si era ritrovato circondato dagli impazienti bambini che non vedevano l'ora di scartare i loro regali. E le loro risate di divertimento e il loro stupore rendeva quell'aria natalizia ancora più bella.
Takumi si soffermò a guardare la neve che cadeva fuori, colto da un senso di pace impagabile.
"Buon natale, Takumi", gli sussurrò Soma. "Spero che il regalo che ti ho preso ti piacerà".
Lui lo guardo. E poi rise.
"Puoi stare tranquillo. Perché mi hai già donato tanto".


Fine

NDA
Ryota: forte
Miyako: bellissima bambina notturna
Yukiko bambina preziosa
Ci siamo! Fin dall'inizio era questo il finale che volevo. Tutti insieme a festeggiare il natale e i bambini che fanno casino e che mostrano le loro personalità.
Personalmente io amo Amaya, perchè è già una queen sin da bambina. E poi ho già creato le ship per questa nuova generazione, quindi sono una persona contenta. Mi sono divertita troppo a scrivere questa storia, è stato bello, divertente e commovente, ma a i lettori l'ultima parola :)

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