The Thing About Exes

di apollo41
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Immature ***
Capitolo 2: *** Addicted ***
Capitolo 3: *** Better Off ***



Capitolo 1
*** Immature ***


 

Note autrice
Questa storia è nata dalla mia partecipazione al contest Test your might organizzato sul forum di EFP da _Akimi. All’inizio non ero neppure sicura se sarei riuscita a finirla in tempo o se sarei riuscita a finirla e basta, perché era da un po’ che non riuscivo a finire un progetto così lungo, e invece eccola qui.
Era la prima volta che provavo a scrivere qualcosa del genere giallo/poliziesco, ma il pacchetto che ho scelto (l’unico che mi ha davvero chiamato dal primo istante), mi ha portata a esplorare in quella direzione. Perciò, mi scuso in anticipo per le grosse imprecisioni sul funzionamento del sistema investigativo della polizia americana per come viene rappresentato in questa storia. Ho fatto del mio meglio, non sempre con risultati ottimi, realistici o accurati.
Detto questo, godetevi ciò che è uscito dalla sfida tra me e gli elementi del pacchetto Hardcore:

Canzone: Too much too young – The Specials
Genere: Giallo
Prompt: Amore saffico.
(Kinda easter egg perché l’ho inserito, ma non proprio → Luogo: Manila, Filippine)




 

The Thing About Exes



CAPITOLO 1

Immature

You've done too much
Much too young
Now you're married with a son
When you should be having fun with me

[...]

Ain't he cute?
No he ain't
He's just another burden
On the welfare state

[...]

Call me immature
Call me a poser
I'd love to spread manure in your bed of roses

Too much too young – The Specials



Maureen se ne stava in piedi di fronte alla scrivania di Rexton con le braccia incrociate fissandogli la pelata scura con fare deciso, convinta che la forza del suo sguardo prima o poi sarebbe stata sufficiente a fare un buco sulla testa del suo superiore. Il collega però continuò a ignorarla, sfogliando il dannato fascicolo che stava sulla sua scrivania e scribacchiando ogni tanto qualche annotazione con una matita in un angolo del foglio, come era solito fare quando uno dei detective novizi che aveva preso sotto la sua ala protettiva gli consegnava il rapporto di un caso su cui avevano indagato insieme. Maureen sbuffò e portò le mani a sbattere contro la scrivania, facendo sussultare, un paio di scrivanie più in là, l’Agente Wilson, che in quanto novellino non era ancora abituato alle reazioni emotive per cui era tanto conosciuta il Detective Thomas in quella stazione della polizia di San Diego.
Il suo essere impetuosa, comunque, parve funzionare come al solito, perché Rexton alzò infine lo sguardo verso di lei; certo, la guardò con espressione palesemente contrariata e tutt’altro che felice, ma Maureen stessa non era di buon umore, quindi non le importava cosa il Tenente Harris pensasse del suo temperamento in quel preciso istante.
«Rex, sul serio, ho bisogno di un nuovo partner, non ce la faccio più con la palla al piede che hai fatto venire qui dalla stazione dall’altro lato della città. È perfino più inutile di Wilson!» esclamò senza badare di tenere sotto controllo il tono di voce.
Dalle scrivanie intorno a quella di Harris si alzò un coro di sospiri, oltre al rumore di un paio di persone che si alzavano e si sbrigavano a lasciare la stanza quasi avessero all’improvviso il sedere in fiamme. La cosa non stupì davvero Maureen; c’era un buon motivo se al dipartimento non c’era nessuno che voleva essere il suo partner dopotutto. Tutti ormai sapevano che non sopportava la gente che non sapeva fare il proprio lavoro e, in generale, era suo parere che nel distretto ci fosse una percentuale molto limitata di persone che rispettassero i suoi rigidi parametri, la gran parte delle quali suoi superiori che, ora che si erano guadagnati una posizione di maggiore responsabilità, decisamente non avevano tempo per occuparsi dell’ordinario lavoro sporco sul campo con lei.
Rexton sospirò a sua volta, lasciando andare l’angolo del fascicolo che teneva ancora tra le dita e stringendo le braccia al petto, osservandola per un istante. «Continuo a non capire come con il tuo caratteraccio tu riesca a essere ancora uno dei miei detective migliori, ragazza,» borbottò rivolto più che altro a se stesso, facendole comunque portare gli occhi al cielo. Era una cosa che le aveva ripetuto migliaia di volte sin dal primo giorno in cui lei stessa era stata una testarda novizia detective sotto la sua ala protettiva. Le sarebbe piaciuto tornare a lavorare con lui, ma sapeva che al distretto le cose non funzionavano così, quindi rimase in attesa.
«Potrei avere una soluzione al tuo problema degli ultimi anni, ma mentre sono convinto che ne sarai estasiata a livello professionale, sono certo che tutto ciò non andrà a finire per nulla nel modo idilliaco in cui ti immagini sotto il lato personale...» continuò Harris criptico.
«Ti lasceranno finalmente goderti gli ultimi anni prima della pensione senza dover badare ai pivelli?» scherzò Maureen, ridacchiando e poggiandosi con un fianco alla sua scrivania; cercò di sbirciare oltre lo schermo del computer, che nascondeva parte del materiale sul tavolo del Tenente, per vedere se era già disponibile da qualche parte anche il fascicolo di un nuovo caso su cui avrebbero dovuto indagare.
«Peggio. L’agente Hill è rientrata dal suo congedo di maternità.»
Per qualche istante Maureen rimase immobile a fissarlo come se una doccia gelida le fosse appena piovuta addosso, poi gli lanciò un’occhiataccia. «Vuoi sul serio che io e Tala facciamo coppia di nuovo insieme? Dopo quello che è successo tra noi prima che lei...» Si interruppe, neppure in grado di finire la frase.
«È l’unica persona con cui tu sia riuscita a fare coppia per un periodo più lungo di due mesi senza presentarti alla mia scrivania lamentandoti della sua incompetenza o del suo carattere insopportabile,» fece una breve pausa, poi in tono più basso aggiunse: «O senza che al tuo partner venisse un esaurimento nervoso dopo la prima settimana, anche se verso la fine...»
Maureen sbuffò e fece un cenno con la mano come se una mosca l’avesse infastidita, impassibile all’ultima parte del commento, ma decisa a contestare la prima. «Sì, beh, potrei aver da ridire su quanto in effetti abbia funzionato il nostro essere partner. C’erano degli ovvi problemi di comunicazione a quanto pare.»
Rexton alzò gli occhi al cielo. «Non parlavo della vostra relazione personale, quella è affare vostro e dovresti lasciarla al di fuori del dipartimento, come già ti avevo avvertita di fare in passato,» la ammonì con tono freddo, prima di sospirare e continuare in modo più amichevole quando lei sembrò chiudersi a riccio. «Lo sappiamo entrambi che sei la persona più professionale che ci sia in questo cavolo di posto, se c’è qualcuno che può riuscire a essere partner con la propria ex quella sei tu! Sei così testarda che saresti in grado di far parlare perfino un muto!»
Maureen si mise a sedere sul bordo della scrivania, rivolgendogli le spalle e osservandosi la punta degli stivali che indossava sempre sul posto di lavoro; erano parecchio consumati e forse avrebbe dovuto comprarne un paio di nuovi, che fosse pronta a sostituirli o meno.
«Sarà dura, Maureen, lo so, ma sono passati più di quattro anni,» aggiunse il Tenente, che si era alzato e ora le era accanto, una mano poggiata sulla sua spalla, la voce meno severa e il tono più basso, quasi non volesse farsi sentire dai loro colleghi lì vicino. Era difficile a volte, presi dal loro lavoro, ricordare che il suo superiore era anche uno dei suoi migliori amici, ma quando si comportava in quel modo… Beh, diventava all’improvviso più semplice.
«Non sono sicura che mi sia ancora passata del tutto l’incazzatura, Rex. Potrei fare una stronzata e tu lo sai come sono io quando faccio le stronzate,» confessò borbottando e guardandolo con la coda dell’occhio.
Lui le sorrise e le mise un braccio attorno alle spalle. «Le fai con il botto, sì. Non preoccuparti, ci sono sempre io a coprirti le spalle e a riportati in carreggiata quando stai iniziando a sbandare troppo. E poi anche se non te ne accorgi sei cresciuta; fidati del mio e del tuo istinto ogni tanto, okay? Andrà tutto bene, so quello che sto facendo,» concluse con un occhiolino e un sogghigno complice.
Maureen sospirò, pregando un Dio in cui aveva smesso di credere che il suo mentore e migliore amico avesse davvero un piano. Uno che non le sarebbe valso una pallottola in un piede stavolta, se possibile.

 

*****


Seduta alla sua scrivania, Maureen fingeva di essere impegnata a digitare qualcosa di rilevante di fronte allo schermo del computer; tuttavia, con la coda dell’occhio non faceva che sbirciare dall’altro lato della stanza, dove una Tala dall’aspetto radioso e con un sorriso raggiante si stava godendo le attenzioni di tutti i colleghi, che dopo anni di assenza le stavano dando il bentornato. Anche da seduta a qualche metro di distanza poteva sentirli parlare del marito e del figlio della sua ex partner e, nonostante cercasse di non farsi irritare troppo dalla cosa, la tastiera su cui stava ancora fingendo di digitare qualcosa della massima importanza avrebbe avuto da ridire sui suoi livelli di rabbia.
Era ovvio che l’argomento della conversazione la infastidisse, dopotutto lei e il Detective Pacquaio erano state più che semplici partner sul posto di lavoro fino a poco più di un anno prima che la donna diventasse la signora Hill. Riusciva ancora a ricordarsi, anche a distanza di più di quattro anni e mezzo dall’ultima volta che ci aveva poggiato bocca, il sapore della pelle bronzea di Tala o quanto soffici potessero essere i suoi lunghi capelli neri quando li scioglieva dall’ordinatissima treccia in cui li aveva tenuti raccolti per lavorare… E Maureen rimembrava alla perfezione come si fosse sentita a perdersi in quegli occhi scuri ogni volta che Tala le aveva parlato senza distogliere lo sguardo dal suo mentre se ne stavano sul letto, nude l’una accanto all’altra, quando si era ancora illusa che la sua partner ricambiasse i suoi sentimenti. Oh, ma quanto si era sbagliata, quanto era stata idiota…
Digitò se possibile con ancora più forza, costringendosi a fissare lo schermo, su cui, ovviamente, c’era un vero e proprio disastro di parole senza senso; Maureen aveva avuto, fino a quel momento, la certezza di aver iniziato ad abbozzare qualcosa che potesse somigliare perlomeno in modo vago a un rapporto per uno dei casi che aveva ancora in arretrato sulla sua scrivania. Sbuffò con fare annoiato e chiuse il documento senza salvare, prima di riporre il fascicolo da cui si supponeva stesse copiando le informazioni e di scambiarlo con quello che il novellino le aveva lasciato sul tavolo senza una parola neppure dieci minuti prima.
Lo aprì con fare scocciato, sicura che si trattasse dell’ennesimo rapporto che avrebbe dovuto controllare al posto di Rex perché quest’ultimo lo aveva valutato in condizioni quasi decenti o perché riguardava qualche caso minore, invece si trovò di fronte alle foto di una scena del crimine piuttosto cruenta datate quello stesso giorno.
Alzò gli occhi dal file e con lo sguardo cercò l’Agente Wilson; quando lo trovò, scattò in piedi e andò dritta nella sua direzione, ignorando che per doverlo raggiungere nella sala relax, dove si stava prendendo una tazza di caffè e una fetta della torta che i loro colleghi avevano deciso di comprare per il ritorno di Tala, avrebbe dovuto passare di fronte a quest’ultima, ancora occupata a chiacchierare con metà dei poliziotti presenti alla stazione, che avevano deciso di darsi all’ozio per quella prima ora e mezza del loro turno o erano rimasti alla fine del precedente per chiacchierare. Quello era il genere di comportamenti per cui si domandava come mai Rex ancora non comprendesse il perché delle sue lamentele sull’incompetenza di gran parte della gente con cui lavoravano; a lei sembrava così palese...
Appena passò accanto a quei fannulloni ebbe quasi la certezza di sentirsi addosso lo sguardo intenso della sua ex, ma si costrinse a tenere gli occhi fissi sul suo obbiettivo; quando divenne impossibile resistere alla voglia di girare la testa verso di lei, si costrinse a non cedere alla tentazione richiamando l’attenzione dell’Agente che stava puntando a voce nonostante non fosse ancora entrata nella saletta. «Wilson!»
Quest’ultimo sobbalzò, quasi rovesciandosi mezza tazza di caffè sulla camicia, prima di voltarsi e fissarla con l’espressione di un cucciolo impaurito. Era ancora traumatizzato dall’esperienza come suo partner quindi; ottimo, lo avrebbe reso più preparato per quello che lo aspettava nel mondo vero facendo la loro professione. «Detective Thomas?» chiese lui confuso quando gli fu di fronte.
«La prossima volta che mi porti un fascicolo di un nuovo caso, usa la bocca e comunicami che è un nuovo caso che ha bisogno della mia attenzione immediata. Quando è arrivata la chiamata?» domandò con tono severo.
Il ragazzetto si strinse nelle spalle intimidito, ma annuì arrossendo un po’. «Mi dispiace, Detective Thomas, ha ragione. Ehm… sono stato sulla scena del crimine con gli agenti di pattuglia del turno di notte che hanno risposto alla chiamata fino a meno di quaranta minuti fa. Stavano rimuovendo il corpo dalla scena del crimine quando me ne sono andato, ma abbiamo portato la moglie della vittima qui per essere interrogata. Al momento sembra che possa essere il nostro maggior sospettato,» spiegò tormentando la tazza che ancora teneva tra le mani.
Maureen lo studiò con le braccia incrociate al petto ancora meno impressionata dal suo comportamento. «Quindi c’è un sospettato in custodia che aspetta di essere interrogato e non hai pensato di far sapere a un superiore nulla riguardo la situazione usando le tue dannate parole?»
L’Agente Wilson arrossì ancora di più e spostò lo sguardo sul contenuto della tazza, incapace di sostenere l’occhiataccia. Maureen stava aprendo bocca per ordinargli di andare a occuparsi delle sue scartoffie per un paio di giorni, mettendolo a tutti gli effetti in punizione come avrebbe fatto un adulto con un bambino, quando la voce morbida di Tala le fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale.
«Non ti preoccupare, Ree,» bastò l’uso del suo soprannome per farle provare ancora una volta un nodo di emozioni contrastanti. «Sono passati meno di venti minuti da quando l’Agente Wilson è arrivato. Sono sicura che il sospettato non ci avrà neppure fatto caso,» disse Tala entrando nel suo campo visivo mentre si affiancava a lei, prima di appoggiare una mano sulla spalla del ragazzino che fino a poche settimane prima era stato il partner di Maureen. «Ma il Detective Thomas non ha tutti i torti, esiste un protocollo da seguire per una buona ragione, Agente. Torni alla sua scrivania, ci occuperemo noi del caso adesso.»
Maureen sbuffò; come se le fosse servito un promemoria per ricordasi che avrebbe dovuto ricominciare a passare fin troppo tempo con Tala. Prese un respiro profondo e ripensò alle parole di Rex, al suo supporto sia da mentore che da amico, alla fiducia che aveva riposto in lei e nel suo riuscire a mantenere le cose professionali tra loro. In quel momento non era più tanto convinta di esserne in grado, non quando era combattuta tra l’odiare con tutta se stessa la donna che aveva di fronte e il prenderla per le spalle per stamparle sulla bocca un bacio simile al primo imbranato scambio intimo che c’era stato tra loro molti anni prima.
L’Agente Wilson annuì e si allontanò a passo svelto in direzione della sua scrivania, non senza voltarsi all’ultimo secondo per rivolgere un sorrisino timido verso Tala, che gli rispose in modo simile e con un piccolo cenno della mano. Perfetto, la sua ex era appena rientrata e stava già ricominciando a spezzare cuori con i suoi modi da miss perfettina, pensò con amarezza Maureen prima di aprire di nuovo il fascicolo che teneva ancora tra le mani e leggere con più attenzione le stesse informazioni che Wilson aveva comunicato a voce e gli altri dettagli del caso che aveva soltanto intravisto quando aveva aperto per la prima volta la cartelletta.
«Hai intenzione di mettere al corrente anche me? Dopotutto sono di nuovo la tua partner,» mormorò Tala, ora molto più vicina.
Maureen non alzò neppure lo sguardo; invece si incamminò verso la sua scrivania, sicura che la sua ex l’avrebbe seguita. «La vittima è Thobias Rowe, 36 anni, professore di un liceo della zona. La causa della morte sembra piuttosto ovvia dalle foto...» aggiunse passandone una a Tala, che si imbronciò osservando il corpo dell’uomo steso a terra sulla schiena e pugnalato un numero impressionante di volte più o meno su tutto il corpo.
«Sarà una sfida per il medico legale contarle...» mormorò lei sedendosi dall’altro lato della scrivania di Maureen, mentre quest’ultima si accomodava di fronte allo schermo. «Quindi il sospettato è la moglie?»
«Esatto. Sembra il classico delitto passionale, perciò l’hanno portata qui per le solite domande di routine. Cordelia Rowe, 33 anni, casalinga. Ha chiamato lei i soccorsi dopo essere rientrata da una passeggiata notturna e aver ritrovato il marito in quelle condizioni, ma insomma, chi se ne va a spasso alle tre del mattino?» terminò lei dando un’ultima controllata al fascicolo prima di passarlo a Tala, che lo accettò ringraziandola e iniziando a leggerlo a sua volta in silenzio.
Maureen ne approfittò per osservarla con discrezione per qualche istante, cercando di non sembrare troppo ovvia nel suo comportamento. Tala non era cambiata molto; la gravidanza l’aveva lasciata forse con un paio di chili in più sparsi sul corpo e con i fianchi un po’ più ampi, ma per il resto la donna dalla pelle di bronzo era come la ricordava e questo non era certo di aiuto. Vederla così in forma gliela faceva desiderare proprio come l’aveva desiderata la prima volta che aveva appoggiato lo sguardo su di lei e la cosa al momento era molto meno appropriata di quanto già non fosse stata in passato.
«Beh, direi che è una buona idea andare a interrogare il nostro sospettato di persona allora,» esclamò Tala sorridendo e risvegliandola dalla sua fantasia a occhi aperti. Maureen sobbalzò sulla sedia, ma era piuttosto certa di essere riuscita a nasconderlo con naturalezza alzandosi di scatto.
Non aggiunse parola mentre si dirigeva verso la sala interrogatori, la partner che la seguiva con il fascicolo del caso ancora stretto tra le mani insieme a un blocco per prendere appunti e a una penna, che doveva aver recuperato dal portapenne sulla scrivania. Tala stava già seguendo la loro vecchia routine, eppure, nonostante da un lato quel comportamento fosse rassicurante, Maureen si sentì colta di sorpresa: non aveva previsto che tra loro tornasse a funzionare tutto come una macchina perfettamente oliata sin dal primo istante in cui avrebbero ricominciato a lavorare insieme. In un certo senso le ricordava quanto per loro fosse sempre stato semplice capirsi a vicenda; perlomeno per quanto riguardava le faccende lavorative, aggiunse tra sé e sé con amarezza ricordando il grosso malinteso che era rimasto per mesi a penzolare come una spada di Damocle sul loro rapporto interpersonale senza che lei se ne rendesse conto.
Maureen aprì la porta della stanza degli interrogatori e lasciò passare Tala, che andò a sedersi all’istante, poi la seguì e la raggiunse dopo aver chiuso la porta. Mentre la sua collega apriva il fascicolo e fingeva di studiarlo per l’ennesima volta prendendo appunti sul suo blocco, lei si concentrò sull’osservare il comportamento della moglie della vittima.
Cordelia Rowe, il cui nome da nubile secondo il rapporto preliminare era Cordelia Brown, a un primo sguardo sembrava una donna distrutta dal dolore. Maureen però sapeva che non poteva farsi abbindolare; c’erano delle brave attrici in giro e non poteva farsi ingannare da qualche lacrima di coccodrillo o dalla prima espressione confusa e contrita che qualcuno dal faccino attraente le rivolgeva. La bionda che aveva di fronte, con gli occhi azzurri arrossati dalle lacrime e dalle poche ore di sonno, degli abiti comodi e consunti coperti da una delle giacche a vento della polizia che doveva averle dato l’Agente Wilson quando l’aveva portata al distretto e che ancora teneva stretta intorno alle spalle, poteva nonostante tutto dirsi una donna attraente, seppure stanca e provata dalla situazione.
«Prima che iniziamo, devo chiederle se il mio collega le ha spiegato perché l’abbiamo portata qui e se comprende la sua posizione,» esordì Maureen fissandola negli occhi.
La donna, che fino a quel momento aveva continuato a osservarsi le mani intrecciate sul tavolo che ancora tremavano leggermente, alzò lo sguardo, quasi si fosse accorta solo in quell’istante della loro presenza. Dopo qualche secondo in cui parve aver bisogno di recuperare la voce, rispose: «Ha detto soltanto che è prassi che facciate delle domande a chi ha ritrovato il corpo...»
Non sfuggì alle orecchie di Maureen il modo in cui la sua voce si era incrinata a quell’ultima parola e si accorse che anche Tala lo stava annotando con diligenza tra i suoi appunti.
«Sono consapevole che non sia semplice signora Rowe, ha subito un trauma questa notte. Ma se c’è qualcosa che deve dirci sull’accaduto è più probabile che se ne ricordi ora che è recente. Più aspettiamo e più i ricordi diventeranno annebbiati e confusi,» continuò Maureen. «Ci ripeta ancora una volta come sono andati i fatti per favore.»
La donna annuì ed emise un sospiro. «Ero uscita a fare quattro passi al parco come al solito dopo uno dei miei incubi intorno alle due e mezza e, quando sono rientrata poco dopo le quattro e mezza, la porta di casa era socchiusa. Toby...» si interruppe per deglutire con forza, cercando invano di trattenere le lacrime. «Toby era a terra pochi passi oltre la soglia, vicino all’entrata del salotto. C’era così tanto sangue...» si bloccò ancora una volta per portarsi le mani al viso. «È tutta colpa mia,» mormorò tra le lacrime.
«Cosa intende?» domandò in un sussurro Maureen a quella improvvisa ammissione di colpevolezza.
«Dimenticavo spesso le chiavi quando uscivo di notte e… Toby era così abituato a qualcuno che bussava nel mezzo della notte, o a vedermi rientrare quando lui si svegliava per andare a lavoro! Il suo collega ha detto che la porta non è neppure stata forzata. Toby deve aver pensato che fossi solo io che rientravo, invece…» spiegò con un’espressione contrita sul volto, le lacrime che continuavano a scivolarle sulle guance.
Maureen la osservò per qualche istante, poi si voltò verso Tala; sembrava tutto così costruito alla perfezione per creare un ragionevole dubbio. Eppure, chi mai avrebbe potuto fare del male a un professore di liceo? E in casa non era stato rubato nulla e non c’erano segni di lotta, quindi, oltre alla moglie, chi avrebbe avuto ragione o modo di uccidere quel pover’uomo?
«Signora Rowe, mi dispiace dirglielo, ma non sembra si sia trattato di un tentativo di furto finito male. Al momento le prove non sono molto a suo favore e credo che saremo costretti a tenerla in custodia preventiva qui in centrale se non troveremo nulla per scagionarla. Sa per caso se qualcuno poteva avere dei rancori verso suo marito? C’è qualcun altro che potrebbe aver avuto dei motivi per fare qualcosa di così brutale?» tentò Maureen di spaventarla usando l’approccio più diretto.
La bionda fissò il tavolo riflettendo, poi con un alzata di spalle tornò a guardarla. «Toby era un buon uomo e un ottimo insegnante. Forse qualche ragazzino a scuola si era arrabbiato per dei brutti voti e alcuni genitori potevano averlo minacciato di farlo licenziare per lo stesso motivo, ma non si era mai arrivati neppure ad atti di violenza o di vandalismo. E il nostro è sempre stato un quartiere così tranquillo… Io…»
Maureen la vide esitare, come se stesse pensando a qualcosa in particolare mentre con lo sguardo osservava il vuoto. La donna però non aggiunge nulla, limitandosi a scuotere la testa con un altro cenno delle spalle, ritornando poi a spostare gli occhi sul tavolo.
Tala al suo fianco si agitò sulla sedia, prima di parlare per la prima volta durante l’interrogatorio. «Signora Rowe, lei frequenta una palestra o fa dello sport? Ha mai praticato delle arti marziali?» chiese soltanto, rispettando il loro modus operandi tradizionale che prevedeva che Maureen gestisse l’interrogatorio al 90% e lei facesse, come sempre alla fine dell’interrogatorio, quelle domande all’apparenza irrilevanti o poco sensibili, ma che rivelavano informazioni in qualche modo collegate al caso.
La donna dall’altro lato del tavolo la osservò perplessa. «Ehm… No. Ho provato a frequentare un corso di yoga e di meditazione per qualche mese sotto consiglio del mio terapeuta, ma non ha aiutato con la mia insonnia quindi l’ho lasciato dopo un paio di lezioni.»
Apparentemente soddisfatta dalla risposta, Tala le sorrise contrita, annuì e si alzò. «Ancora condoglianze da parte mia e della mia collega, signora Rowe. Se avrà bisogno di qualcosa o le verranno in mente dei dettagli che vuole farci sapere, chieda a uno degli agenti del Detective Hill o del Detective Thomas. Aspetti qui per il momento.» Detto questo, Tala si avviò alla porta come nulla fosse.
Maureen fece un cenno di saluto con il capo alla signora Rowe, prima di seguire la collega oltre la soglia, parecchio perplessa.
«Non è stata lei,» esclamò subito Tala appena si fu chiusa la porta alle spalle.
Lei la fissò ancora più sconcertata. «Hai intenzione di spiegarmi come sei arrivata a questa conclusione o devo dare per scontato che mentre te ne stavi a casa a sfornare bambini hai ottenuto per magia il superpotere di risolvere i casi al primo sguardo?»
Tala sospirò portando gli occhi al cielo, prima di aprire il fascicolo e indicarle l’altezza e il peso della vittima. «È troppo alto e grosso perché sia riuscita ad atterrarlo. Okay, lui si fidava di lei quindi può averlo colto di sorpresa, averlo colpito alle spalle con un oggetto contundete e averlo atterrato. Ma il corpo è steso sulla schiena, non avrebbe avuto la forza di girarlo a peso morto, non da sola considerata la sua stazza e la stima della forza fisica che potrebbe avere.»
«Perciò o non è stata lei, o c’era un complice ad aiutarla,» ribatté Maureen, cercando di confutare la sicurezza con cui Tala stava difendendo la sospettata. Non le piaceva arrivare a conclusioni troppo affrettate in una o in un’altra direzione; era meglio tenere ogni opzione aperta o si rischiava di lasciarsi prendere dalla propria testardaggine ignorando altre piste per non confutare la propria tesi. Fece un cenno distratto verso uno degli agenti di passaggio -di nuovo Wilson- perché si prendesse cura della donna, le leggesse i suoi diritti e poi la portasse in una delle celle.
Tala sbuffò contrariata. «Okay, forse ho corso troppo, ma sono convinta che ci sia ancora una chance che non sia stata lei! Dovremmo visitare la scena del crimine di persona, parlare con i vicini, raccogliere altre prove… E ho come la sensazione che la signora Rowe non ci stia dicendo qualcosa,» aggiunse infine quasi come un ripensamento, picchiettando la penna con cui aveva preso appunti sulle proprie labbra.
Maureen rimase incantata a fissarle la bocca per qualche istante, prima di scuotere la testa e avviarsi in direzione dell’uscita dell’edificio senza aggiungere parola; l’aria fresca forse le avrebbe fatto bene.

 

*****


«La ringrazio per le informazioni,» concluse Tala la chiamata, prima di riporre il cellulare in una delle tasche attaccate alla sua cintura e voltarsi verso Maureen, che per tutto il tempo aveva cercato di mantenere lo sguardo sulla strada e di non farsi distrarre dalla sua ex.
«Allora, cosa ha detto il medico legale?» domandò continuando a mantenere l’attenzione sulle strade trafficate di San Diego affollate dalla gente che, al contrario di loro, aveva un orario d’ufficio decente.
«Beh, è solo un rapporto preliminare per il momento, ma è piuttosto sicuro che la causa della morte siano le pugnalate o l’emorragia che ne è derivata. Lo hanno comunque colpito alla nuca come avevamo supposto, quindi per ora sappiamo per certo che è stato colto alle spalle, è caduto a terra stordito o privo di sensi perché non ha chiesto aiuto, è stato rigirato sulla schiena e infine pugnalato almeno una trentina di volte… L’orario della morte è sempre fissato intorno alle tre del mattino, come determinato sulla scena,» ricostruì Tala.
Quando si fermarono a un semaforo rosso, Maureen non riuscì a trattenersi dalla tentazione di lanciarle uno sguardo e si accorse che la collega la stava osservando; riportò subito gli occhi sul traffico, sperando che il gesto fosse sembrato naturale. Si chiese se dopotutto la sua ex fosse ancora attratta da lei, e si scoprì indecisa se sperarci o meno.
«Sembra un grosso numero di pugnalate,» commentò in un borbottio, dandosi poi dell’idiota per l’ovvietà che le era uscita di bocca. Le sembrava di esser ritornata all’improvviso una teenager imbranata in compagnia della sua prima cotta...
«Già, anche l’averlo rigirato per guardarlo in faccia. Sembrano le azioni di qualcuno che provava parecchia ostilità nei confronti di quest’uomo, ma secondo la moglie non c’era nessuno che potesse aver un motivo in particolare per portargli così tanto rancore.»
Con un grosso sospiro Maureen ripartì appena scattò il verde, svoltando per dirigersi nella tranquilla zona residenziale in cui si trovava la scena del crimine. «Non sarebbe la prima volta che scopriamo un passato scabroso di cui il coniuge era allo scuro. O magari questo tipo picchiava la moglie, lei si è stancata della situazione famigliare e si è solo difesa con eccessivo zelo dopo l’ennesimo abuso. In quel caso una reazione molto violenta sarebbe comprensibile...»
Tala mugugnò perplessa e quando Maureen le rivolse uno sguardo notò che stava fissando fuori dal finestrino. «Per qualche ragione continuo ad avere il presentimento che la signora Rowe ci stia nascondendo qualcosa, ma non penso siano degli abusi da parte del marito. Sembrava sinceramente distrutta per la sua morte e non il genere di distrutto di chi è consapevole che finirà in prigione perché scopriremo la sua colpevolezza.»
Rimasero in silenzio per il resto dei pochi minuti di tragitto, l’unico rumore di sottofondo il leggero brusio della radio della polizia e il rombo del motore dell’auto.
Maureen avrebbe davvero voluto parlare del più e del meno, chiederle di preciso come si sentisse, se fosse davvero felice della sua nuova vita con il suo adorato marito e con il figlio meraviglioso di cui tanto aveva parlato con i colleghi al distretto; eppure, per quanto volesse instaurare una conversazione, temeva la sensazione di gelosia che sapeva avrebbe provato quando Tala avrebbe irrimediabilmente risposto che la sua vita era perfetta anche senza di lei. Era egoista a desiderare che non lo fosse? A volere che le cose non fossero andate come Tala aveva sperato anni prima, quando l’aveva lasciata per un uomo? A rivolerla per sé nonostante fosse passato così tanto tempo?
Le sue riflessioni vennero interrotte quando arrivarono sulla scena del crimine. La villetta a un piano dei Rowe si confondeva tra le abitazioni del vicinato non per somiglianza fisica, ma per atmosfera; era una casa come tante altre, all’apparenza tranquilla, dal piccolo giardino frontale ordinato e rigoglioso nonostante fosse la fine di ottobre, com’era comune in quella zona della California, con un vialetto in grosse piastrelle di cemento contornate da una bassa siepe ben curata e ancora fiorita. L’unica cosa che la contraddistingueva, al momento, era l’ovvia segnaletica posizionata dalla polizia nelle prime ore di quella mattina, quando il corpo era stato ritrovato e le autorità erano intervenute.
Una serie di curiosi da poco svegliatisi e usciti a recuperare la posta, fissava la porta della villetta dalla sicurezza del proprio vialetto, indicando la vistosa volante della polizia con cui lei e Tala erano appena arrivate nel quartiere all’apparenza così pacifico e innocuo.
«Vedo parecchi vicini ficcanaso. Dici che possiamo approfittare della loro curiosità per fare qualche domanda subito? Magari siamo fortunate e hanno voglia di condividere i gossip del quartiere di fronte a una tazza di caffè?» propose Maureen sporgendosi verso la collega con un sorriso complice.
Quest’ultima le rivolse un sorriso sincero, prima di annuire e indicare con un cenno quasi impercettibile una donna, che Tala doveva aver notato dallo specchietto retrovisore; la sconosciuta, forse sulla sessantina con i capelli mori, quasi sicuramente tinti, cosparsi da qualche ciocca di grigio, stava osservando con espressione apprensiva la volante della polizia, come se fosse in attesa della loro uscita, pronta a scattare in loro direzione. «Ho già avvistato qualcuno che muore dalla voglia di avere una conversazione con noi. Iniziamo da lei?»
Maureen annuì, poi uscirono dall’auto insieme, prima di tergiversare per qualche momento, fingendo di essere impegnate in altra maniera vicino alla volante mentre si osservavano attorno, per avvicinarsi infine alla donna quando gli occhi di Tala e quelli della mora sconosciuta si furono incontrati per più di un paio di volte.
«Mi scusi agente?» domandò subito la donna appena entrambe le detective furono a portata d’orecchio.
«Detective Hill,» si presentò subito Tala in tono cordiale, «E questa è la mia collega, il Detective Thomas. Possiamo esserle d’aiuto?» chiese. Maureen si sforzò di nascondere un’espressione soddisfatta all’approccio distaccato che stava usando la collega; era vero che tra loro due era lei quella che si occupava degli interrogatori, ma anche Tala non era niente male con le tecniche subdole per estrapolare alle persone le informazioni che voleva. Dopotutto era sempre stata Tala la più brava a creare un collegamento emotivo con le persone, motivo per cui ancora si chiedeva il perché di quell’enorme fraintendimento che c’era stato nella loro relazione… Non che fosse rilevante in quel momento.
«Ecco io... Sono preoccupata per Cordelia. Quella poverina soffre d’insonnia ed esce spesso di notte per prendere una boccata d’aria. Le ho consigliato migliaia di volte di adottare uno di quei grossi cani da guardia per portarlo con sé durante le passeggiate o di tenersi perlomeno uno spray al peperoncino in tasca, ma ha sempre detto che mi preoccupo troppo per lei. Però io mi sveglio tutte le mattine con l’ansia che le sia successo qualcosa e ora c’è quel nastro sulla porta di casa dei Rowe e...» borbottò stringendosi ancora di più nella vestaglia rosa pastello che ancora indossava.
Maureen la fissò con attenzione; a lei sembrava che la donna fosse davvero preoccupata per la sorte della vicina, ma a volte era difficile capire quando la gente era sincera o quando era alla ricerca di un pettegolezzo. O anche peggio, quando cercava di coprire qualcosa con un fiume in piena di parole.
«Signora, purtroppo c’è un certo protocollo in caso di indagini in corso, lo capisce, non è vero?» rispose quindi cercando di testare le acque, interrompendo Tala prima che potesse parlare.
«Lo capisco, voglio solo sapere se Delia e Toby stanno bene. Sono terribilmente preoccupata per loro.»
Tala rivolse verso la collega uno sguardo carico di significato, forse anche un po’ stizzito per averla interrotta, e Maureen sospirò; odiava quando la sua ex si fidava così in fretta delle persone, ma era pur vero che sembrava avere un buon istinto, quindi, anche se Maureen non poteva fidarsi della sconosciuta che si trovava di fronte, sapeva perlomeno di poter fare affidamento sull’esperienza di Tala. Sarebbe comunque rimasta in guardia al posto suo, dopotutto era il suo dovere di buona partner.
«Ci dispiace molto signora, ma il signor Rowe purtroppo è stato assassinato.»
La donna impallidì e sembrò accasciarsi appena contro la siepe sulla quale era già stata appoggiata fino a qualche momento prima. Maureen si chiese, per un istante, se avrebbe dovuto scavalcare i cespugli per soccorrerla, ma dopo un primo momento di stupore, la vicina di casa della vittima parve riprendersi almeno in parte.
«Oddio, la povera Delia sarà distrutta. Lei sta bene? Cosa è successo?» domandò la donna, gli occhi lucidi, ma uno spirito combattivo e determinato nascosto dietro la commozione.
«Siamo qui per scoprirlo. Abbiamo bisogno che risponda a qualche domanda per aiutarci,» aggiunse Tala cercando di sfruttare quello spirito di vendetta che le doveva aver letto negli occhi, badando con saggezza di non menzionare dove fosse al momento la moglie del signor Rowe.
La donna annuì con vigore. «Ma certo! Se posso essere utile risponderò a tutto quello che volete!»
Persero circa un’altra ventina di minuti con quella che alla fine si presentò come la signora Parker; nonostante la donna avesse buone intenzioni, le sue informazioni non si rivelarono così interessanti. La donna aveva parlato loro di quanto la coppia fosse felice, di come stessero addirittura cercando di avere un figlio da un po’ di tempo, motivo per il quale Cordelia stava cercando di affrontare i suoi problemi di insonnia nel modo più naturale possibile e per il quale sembravano in realtà essere peggiorati nell’ultimo periodo, sicura che i loro precedenti tentativi avessero fallito a causa dei medicinali di cui aveva fatto uso in passato per limitare il problema. Aveva aggiunto che il signor Rowe era sempre stato un uomo gentile, di aver a malapena sentito la coppia litigare in tutti i loro anni di matrimonio e che era da escludere che tra loro ci fossero problemi o che lui fosse violento.
Insomma, a sentire la donna, i Rowe erano una coppia felice e stabile, il cui unico problema era la difficoltà nel concepire un figlio e i problemi di insonnia della moglie, al momento tenuta in custodia al distretto.
Anche la breve conversazione con il lato più pettegolo del vicinato non fu molto più utile; un paio di persone pensavano che la signora Rowe fosse sospetta con le sue uscite notturne e si erano convinti che avesse in realtà una doppia vita, ma uno dei vicini, un vedovo sulla cinquantina la cui unica compagnia era una mezza dozzina di cani di piccola-media taglia, aveva confermato di aver visto più volte la povera Cordelia vagare con grosse occhiaie lungo le strade del quartiere in direzione del piccolo parco a un isolato di distanza, e di averle perfino tenuto compagnia in un paio di occasioni per qualche ventina di minuti, quando uno o più dei suoi cani lo aveva costretto a un’uscita fuori programma nel mezzo della notte.
Sembrava davvero, quindi, che non ci fosse nulla di sospetto riguardo le vite della coppia e la cosa rese ancora più frustrata Maureen, che vide tutto quel parlare a vanvera come una grossa perdita di tempo, tanto da farla dubitare che ci fosse qualche utilità nell’andare a parlare anche con i colleghi di lavoro del signor Rowe alla scuola. Di certo non aveva alcuna intenzione di andarci in quella giornata: ne aveva avuto abbastanza di pettegoli.
Quando si diressero di nuovo verso la villetta, si era quasi convinta che quel caso iniziasse a non avere alcun senso e aveva cominciato a credere che dopotutto Tala potesse avere almeno un pizzico di ragione, che la signora Rowe stesse a tutti gli effetti nascondendo qualcosa di rilevante di cui nessuno sapeva nulla. Il tutto la irritò ulteriormente, rendendola se possibile di umore ancora peggiore; le sembrava stupido omettere informazioni, soprattutto quando potevano provare la propria innocenza, cosa verso cui stava puntando al momento l’ago della bilancia per la moglie della vittima.
Tala, forse notando il suo umore così tetro, le poggiò una mano sulla spalla prima che aprisse la porta della villetta con il mazzo di chiavi che aveva fornito loro la stessa donna che era al sicuro alla centrale, probabilmente in una cella in attesa di un avvocato.
«Fai un respiro profondo e concentrati sull’indagine,» disse solo con un’espressione rassicurante in viso.
Maureen più che altro sbuffò e portò gli occhi al cielo, ma cercò di calmarsi e di ritornare il più professionale possibile mentre recuperava un paio di guanti usa e getta da una delle tasche del suo giubbotto e li indossava. Le prove fisiche le avrebbero detto quello che aveva bisogno di sapere se la gente si rifiutava di farle sapere come stavano davvero le cose!
Quando entrarono notarono subito la grossa pozza di sangue che circondava la figura disegnata con il nastro nel punto in cui si era trovato il cadavere del signor Rowe, che dall’ingresso era visibile nonostante si trovasse sulla soglia ad arco del salotto, giusto a un paio di metri di distanza.
Il corridoio d’ingresso si affacciava quasi subito sulla sinistra su un open space con cucina, in un angolo un tavolo e delle sedie che a un primo sguardo dovevano costituire l’unica effettiva sala da pranzo della casa. Proseguì lungo il corridoio oltre l’open space, evitando la pozza di sangue da cui, purtroppo, non partiva alcuna impronta. C’erano soltanto altre tre porte, una per ogni lato del corridoio: quella sulla sinistra portava alla camera da letto della coppia, il letto ancora sfatto dalla notte precedente, ma per il resto tutto in ordine; nella stanza era presente un’altra porta che conduceva al bagno padronale, anch’esso all’apparenza in perfetto ordine.
La stanza sul lato opposto del corridoio al momento era occupata da quello che sembrava un piccolo studio, ma era abbastanza spaziosa per diventare una seconda camera secondaria a giudicare dal divano letto riservato con tutta probabilità a eventuali ospiti che avevano visitato la coppia; tutto, a un primo sguardo, sembrava essere dove si supponeva dovesse stare.
Infine, l’ultima porta, quella in fondo al corridoio, si affacciava su un secondo bagno con un piccolo angolo lavanderia nascosto dietro dei separé di plastica, e anche in quel caso non pareva esserci nulla fuori posto.
Il salotto, con la sua enorme macchia di sangue, sembrava l’unico ambiente intaccato dagli eventi della notte precedente, ma anche in quel caso, solo la pozza di sangue intorno al cadavere mostrava davvero che era accaduto qualcosa di terribile nella villetta. Non c’erano impronte intorno alla grossa chiazza, solo degli schizzi qui e lì… E non c’erano neppure apparenti segni di lotta, ma se davvero l’uomo era morto almeno un’ora prima della chiamata ai soccorsi, l’assassino forse aveva avuto tutto il tempo necessario per riordinare.
Dopo un primo giro della casa per osservare l’ambiente, entrambe si misero a indagare con più attenzione stanza per stanza; analizzarono, prima di tutto, quella che sembrava essere la vera e propria scena del crimine, cioè la prima parte del corridoio e l’entrata del salotto.
Come previsto, non c’era molto altro da vedere oltre a quello che già avevano intuito dalle foto nel fascicolo in realtà: non c’erano segni di lotta e non sembrava che fosse perché qualcuno aveva coperto a opera d’arte le sue tracce a giudicare dalla posizione degli schizzi di sangue; non c’era traccia dell’oggetto contundente con cui l’uomo poteva esser stato colpito alla nuca, proprio come non era stata ritrovata, ore prima, la vera e propria arma del delitto; anche avvicinandosi non c’erano impronte di alcun tipo che partivano dall’enorme chiazza di sangue, ormai coagulato, lasciata dalla vittima sul pavimento di legno. Maureen, perplessa, ripensò alle parole della signora Rowe.
«Sembra davvero solo che il marito sia andato ad aprire alla porta e qualcuno lo abbia colpito alle spalle, ma non ci sono segni di lotta, quindi non ha alcun senso. Non può averlo aggredito uno sconosciuto, avrebbe cercato di difendersi, e anche se ti fidi di qualcuno perché lo conosci, lo lasceresti entrare e poi gli volteresti le spalle alle tre del mattino?» espresse ad alta voce, accovacciata accanto allo stipite dell’arco che si apriva sul salotto. Tala, in piedi di fronte alla porta d’ingresso mentre ispezionava un mobiletto appeso al muro che conteneva una serie di chiavi, sembrava pensierosa.
Maureen rimase a fissarla incantata, godendo del silenzio e perdendosi a contemplarla, dimenticandosi per qualche istante dell’investigazione; quando la collega si voltò verso di lei di nuovo, spostò lo sguardo sulla destra e, in punto in penombra dell’ingresso, notò per la prima volta da quando era entrata l’anta semiaperta di un piccolo ripostiglio, in pratica quasi solo un armadio incassato nel muro in cui riporre il cappotto quando si rientrava.
Si alzò in piedi di scatto e si avvicinò al ripostiglio, sentendo come d’istinto che si trattasse di qualcosa di importante. Tala sussultò sorpresa spostandosi contro il muro del corridoio dal lato opposto; Maureen ignorò la fitta di dolore che provò nel vederla così spaventata dal suo comportamento -o forse spaventata da lei punto e basta?- e continuò imperterrita la sua indagine.
Aprì con cautela il piccolo ripostiglio: era uno spazio molto ristretto, ma grande abbastanza da riuscire a contenere una persona, soprattutto con i pochi cappotti appesi tutti ammassati su un lato com’erano in quel momento, compresi gli appendiabiti vuoti, cosa che sembrava tutt’altro che normale.
Si voltò verso Tala, che parve reputare a sua volta la cosa sospetta e le passò la piccola torcia che teneva sempre alla cintura perché potesse controllare meglio nello sgabuzzino in penombra se ci fossero prove di qualche genere.
Maureen cercò con molta attenzione prima di tutto sul pavimento, sperando in qualche impronta, ma non trovandone alcuna passò a cercare qualche residuo sulle giacche. Stava quasi per perdere le speranze, quando eccolo, quasi impossibile da notare sul nero della giacca su cui era rimasto posato, un lungo e sottile capello solitario, che palesemente non apparteneva ai coniugi Rowe. Poteva non essere nulla di rilevante, magari solo la prova di una relazione extra coniugale, ma era pur sempre qualcosa di interessante in uno sgabuzzino che al momento sembrava sospetto.
Scattò una foto con il proprio cellulare sia delle giacche ammassate sul fondo dello sgabuzzino, che del capello, poi chiese a Tala un sacchettino delle prove e lo ripose al sicuro, prima di riporlo in una delle tasche interne della propria giacca, pronta a consegnarlo in centrale per passarlo alla scientifica.
«Pensi davvero che sia rilevante, quindi?» chiese la collega.
Maureen, ancora sulla soglia dello sgabuzzino, si girò per lanciarle un’occhiataccia e rimase immobile per un istante guardandosi intorno da dov’era, in pratica ancora nascosta nel ripostiglio: aveva un’ottima visuale sulla porta d’ingresso e immaginava che quell’angolo della casa fosse davvero molto buio nel mezzo della notte se era già così scuro di giorno quando c’era così tanta luce naturale. Dalle finestre della cucina entrava parecchia luce, che illuminava anche una parte del corridoio, quindi si chiese se il signor Rowe, che ben conosceva la casa, avesse magari perfino evitato di accendere la luce, seppure fosse in piena notte, per andare ad aprire la porta a quella che pensava essere la moglie. Dopotutto anche Maureen stessa se usava il bagno di notte non aveva l’abitudine di non accendere la luce, sfruttando l’illuminazione della strada che entrava dalla finestra…
«Inizio ad avere una teoria, ma mi è ancora poco chiaro come di preciso qualcuno possa essere entrato senza scassinare la porta,» fu l’unica spiegazione.
Tala la fissò con un sorriso soddisfatto sulle labbra. «Sapevo che l’avresti pensata come me alla fine.»
Maureen sospirò esasperata. «Non sto dicendo che è innocente, la moglie può ancora essere una complice. Può aver fatto entrare l’assassino, che si è nascosto qui nel ripostiglio, poi lei è uscita, ha bussato alla porta e si è nascosta a sua volta fuori. Quando il marito ha aperto e non ha visto nessuno si sarà voltato per ritornare a letto, l’assassino è uscito dal suo nascondiglio, lo ha colpito alle spalle e poi lo ha pugnalato.»
La collega la osservò con le braccia incrociate e un’espressione scocciata. Sapeva il perché di quell’espressione: la sua teoria poteva avere un minimo di senso e la cosa la irritava. Ebbe la sua conferma quando Tala sbuffò e senza aggiungere nulla andò in direzione dello studio, con tutta probabilità per cercare prove che aiutassero a identificare un possibile movente del delitto.
Ridacchiando, e cercando di convincere anche se stessa di non aver guardato in modo poco appropriato il sedere della collega nella sua ritirata, Maureen seguì il suo esempio e tornò alle indagini, dirigendosi verso la camera da letto. Stava per frugare nel comodino della signora Rowe, quando la voce esaltata di Tala la richiamò nell’altra stanza.
«Che c’è stavolta?» borbottò esasperata raggiungendola.
«Non avranno scassinato la porta d’ingresso, ma guarda un po’ qui cosa è sfuggito a tutti?» esclamò Tala mentre teneva scostata la tenda che stava di fronte alla grande porta finestra della stanza, che si affacciava in direzione del cortile della casa della signora Parker.
Maureen estrasse il cellulare per fare un paio di foto, ma Tala le fece cenno di no.
«Me ne sono già occupata io,» disse prima di aprire la finestra. «Non penso sia successo stanotte, comunque. E non credo neppure che i Rowe se ne fossero accorti, perché la finestra si apre e si chiude ancora, anche se con qualche difficoltà. Potrebbero non averci fatto caso se era già problematica o se l’aprivano poco spesso.»
Si guardarono entrambe intorno: la stanza, anche a uno sguardo più approfondito, sembrava essere abbastanza ordinata a esclusione della scrivania, che probabilmente era appartenuta al signor Rowe. La superficie, ancora adesso, era ricoperta di quelli che sembravano compiti da correggere e appunti per le lezioni. In alto, in un angolo della stanza, c’era un climatizzatore, ed entrambe supposero che, in un tentativo di aver un po’ di pace e tranquillità, l’uomo preferisse la climatizzazione artificiale all’aria fresca di una finestra aperta, che trasportava con sé i rumori dell’intero vicinato; decisamente una soluzione migliore per chi aveva bisogno di concentrazione.
«Okay, ammettiamo che tu abbia ragione, se davvero qualcuno è entrato in casa qualche tempo fa e loro non se ne sono accorti, l’intento qual’era? Perché non uccidere il signor Rowe la prima volta che sono entrati?» chiese Maureen.
«Magari l’assassino è stato interrotto. O forse l’intento era quello di incastrare la moglie,» aggiunse afferrandole un braccio e trascinandola di nuovo verso il corridoio, indicando poi il piccolo mobile appeso al muro vicino all’entrata. «Quindi è entrato da qui solo per appropriarsi di un mazzo di chiavi della porta principale.»
Maureen ignorò come il cuore avesse iniziato a batterle furiosamente nel petto, e con un gesto brusco e stizzito obbligò Tala a lasciarla andare. Ignorò anche quanto avesse desiderato che la collega la stringesse in modo alquanto diverso...
«Sono solo supposizioni senza un effettivo mazzo di chiavi mancanti. E continua a sembrare una teoria molto fuori di testa rispetto a quella che proponevo io,» ribatté incrociando le braccia e cercando di non badare a come il suo tono fosse diventato molto infantile al momento.
Tala portò le mani ai fianchi e la fissò con espressione tutt’altro che impressionata. «Ammetti che non abbiamo un movente né tanto meno un colpevole in nessuno dei due casi, punto e basta. Stiamo ancora brancolando nel buio!»
Maureen sbuffò, prima di andare a passo di carica verso l’uscita, decidendo che la scena del crimine le avesse fornito tutte le informazioni che avrebbe potuto darle per quella giornata. «Andiamo a sporcarci le mani altrove. Anche se era notte l’assassino non può essersene andato in giro con i vestiti ricoperti di sangue. Con tutte quelle coltellate si sarà sporcato di sicuro anche se è riuscito a non lasciare impronte. È arrivato il momento di andare a frugare in qualche cassonetto.»

 

*****


Quando un paio di ore dopo risalirono in auto, erano sudate, stanche, puzzavano entrambe in modo atroce e il loro umore era palesemente tetro; chiunque fosse stato l’assassino certo non peccava di furbizia perché, nonostante una lunga e approfondita ricerca, non avevano trovato nulla di sospetto nella spazzatura del vicinato. Durante le ricerche, la tensione tra le due detective sembrava non essere affatto scemata, neppure considerata la distanza a cui si erano tenute l’una dall’altra mentre cercavano nel quartiere per ottimizzare i tempi.
Era in gran parte per quel motivo che Maureen guidava nel traffico ormai consolidato del mattino inoltrato con i finestrini della volante completamente aperti e la musica della radio a tutto volume nonostante fossero entrambi comportamenti più o meno vietati dal regolamento. Tala sembrava non avere, almeno per il momento, un’opinione al riguardo, forse troppo occupata a ignorare la tensione tra loro o, in alternativa, la tremenda puzza che proveniva da entrambe. Maureen di sicuro non vedeva l’ora di farsi una doccia appena arrivata al distretto ed era certa fosse un sentimento condiviso.
La mancanza di dialogo, comunque, era tutt’altro che piacevole, ma come già in precedenza, Maureen si morse il labbro inferiore un paio di volte per trattenersi dal fare qualche domanda riguardo la vita privata della collega durante la sua assenza. Sapeva quale sarebbe stata la risposta a qualsiasi domanda avrebbe potuto farle, dopotutto aveva origliato lo scambio che aveva avuto con i colleghi alla stazione, anche se aveva cercato di negare anche a se stessa di averlo fatto. Ed era anche consapevole che sentirsi rivolgere direttamente quel genere di discorsi le avrebbe rovinato ancora di più l’umore già pessimo, in quel preciso momento.
Fu comunque Tala a levarle la chance di scegliere se continuare a rimanere in silenzio, quando aprì bocca all’ennesimo semaforo rosso, il viso di nuovo rivolto verso di lei con un’espressione più serena di quella che aveva avuto fino a qualche minuto prima.
«Allora, come te la sei cavata nell’ultimo periodo? Hai indagato su qualche caso più strano del solito?» chiese soltanto.
Maureen la guardò perplessa per un istante, ma poi rispose con una scrollata di spalle. Perlomeno erano ancora in territorio sicuro finché parlavano di lavoro. «Sempre la solita routine in realtà. Questo per il momento sembra il primo omicidio che capita sulla mia scrivania che non è legato alla criminalità organizzata perlomeno nell’ultimo mese, ma in generale per come è San Diego non ne capitano neppure molti punto e basta, lo sai. Principalmente Rexton mi ha relegata a fare la babysitter ai novellini negli ultimi due anni e mezzo.»
Tala ridacchiò, ma poi la osservò con un sorriso più sincero di quello che aveva avuto in precedenza. «Sei sempre così melodrammatica. Sta solo cercando di prepararti al futuro,» affermò pragmatica mentre se ne stava appoggiata contro il finestrino aperto con un gomito.
«Quale futuro? Prepararmi per cosa?» domandò quindi confusa, gli occhi puntati sul traffico che riprendeva a muoversi. Iniziava a pensare che Rex l’avesse incastrata con Tala per qualche suo strano doppio fine…
«Beh, insomma. Il Capitano ha una certa età, sono un paio di anni che si vocifera sia pronto ad andare in pensione. Il Tenente Harris è sempre stato una delle persone più affidabili del nostro distretto, ma se lui prendesse il posto del Capitano, chi prenderebbe il posto di Harris per guidare i nuovi Detective?» spiegò Tala appoggiando il mento sulla mano.
Maureen deglutì rumorosamente, tentata di girarsi verso di lei per vedere se stesse scherzando, ma decise che non era una buona idea considerata la quantità di traffico in cui erano imbottigliate in quel preciso istante.
«Stai per caso suggerendo che io dovrei diventare la nuova responsabile della preparazione per i nuovi detective?» ribatté in tono così scettico che non sembrò neppure una domanda.
«Perché non dovresti esserlo? Io ho imparato da te… Sei una brava insegnante, anche se a volte non la vediamo dallo stesso punto di vista. Rex è convinto sia il motivo per cui funzioniamo come partner: ci teniamo sempre bilanciate durante le indagini. È sicuro tu abbia le capacità di preparare detective che lavorino bene insieme proprio come noi, e io concordo con lui.»
Per un istante Maureen rivolse comunque gli occhi in direzione della collega, poi riportò lo sguardo sul traffico; le era sembrata sincera, eppure era davvero difficile credere che lo fosse. «Tala, sono la persona con meno pazienza nel distretto quando si parla di colleghi. NESSUNO vuole lavorare con me, dicono tutti che sono una rompiballe. C’è gente che nell’ultimo anno e mezzo dopo esser stata assegnata a me ha letteralmente chiesto un trasferimento! Non ho la stoffa per quel genere di lavoro...»
Tala sbuffò. «Stronzate, hai soltanto bisogno che Rex ti dia dei consigli prima che tu cominci sul serio a fare quel lavoro, ma hai di sicuro del potenziale. Cosa pensi che mi avesse fatto venire una cotta per te all’inizio se non una forte ammirazione per come svolgevi il tuo lavoro?»
Maureen stavolta si voltò verso di lei per più di qualche istante, ma Tala stava fissando il traffico sorridendo come se nulla fosse, come se quella frase riguardo la loro relazione ormai finita non la toccasse minimamente, ignara di quanto invece avesse fatto palpitare il suo cuore. Evitò di rispondere e riportò lo sguardo sul traffico, prima di rischiare di sbattere contro l’auto che le stava di fronte, non senza continuare a sbirciare verso la sua ex a intervalli regolari con la coda dell’occhio.
Nell’abitacolo dell’auto si era creata, senza volerlo, una tensione diversa, un’atmosfera di disagio che con tutta probabilità non era neppure condivisa da entrambe le parti; eppure, mentre Tala sembrava essere ora a suo agio nel silenzio assoluto, Maureen aveva ripreso a chiedersi se tra loro due ci fosse ancora potenziale per qualcosa nonostante tutto. Non aveva idea di cosa di preciso avesse visto la sua ex in lei, non ne era mai stata sicura; a dire la verità tutte le sue relazioni precedenti erano durate molto meno di quanto fosse durata quella avuta con la collega e in seguito, beh, non c’era stato nulla se non qualche nottata di pura passione con qualche ragazza conosciuta in un bar dopo qualche drink di troppo...
Si chiedeva ancora, quindi, se ci fosse un modo per riconquistarla. Era una cosa stupida su cui riflettere, dopotutto Tala si era sposata più di tre anni prima e aveva anche avuto un figlio. La loro relazione era palesemente finita; perché era così difficile andare avanti allora? Perché era così difficile dimenticare quel malinteso che c’era stato tra loro? Perché non riusciva a perdonare a Tala di averle spezzato il cuore, eppure la rivoleva ancora per sé?
Nel tentativo di distrarsi dalla matassa di pensieri che le ronzavano nella testa e per evitare di mettersi a fissare di nuovo la sua ex, all’ennesima fermata di fronte a un semaforo rosso cercò di tenersi occupata cambiando con fare compulsivo la canzone che la riproduzione casuale del suo lettore mp3 collegato alla radio stava proponendo, come se stesse cercando qualcosa in particolare o se nulla a tutti gli effetti la soddisfacesse. Dopo un paio di canzoni, comunque, Tala le afferrò la mano e la interruppe, guardandola con espressione contrariata e forse anche un po’ perplessa; se l’intento di Maureen era stato quello di non farle capire che si sentiva a disagio, aveva fallito in pieno.
«Stai bene, Ree?» le chiese infatti Tala lasciandole andare la mano, ma rimanendo un po’ sporta sul sedile verso di lei.
Maureen premette un’ultima volta il tasto per il cambio della canzone, poi riportò le mani sul volante e lo sguardo sul traffico. «Certo,» rispose solo prima di cominciare a canticchiare. Non sapeva se fosse stato per un gioco molto crudele del destino o se a tutti gli effetti quella giornata avesse deciso che le cose tra lei e Tala avrebbero dovuto andare davvero molto male, ma senza accorgersene si ritrovò a canticchiare i versi di Too much too young dei The Specials, forse rivolgendo lo sguardo verso la collega un po’ troppe volte, facendola sentire chiamata in causa considerato parte del contenuto della canzone e il loro passato.
Tala riuscì a restare in silenzio a sobbollire mentre lei canticchiava quasi fino alla fine della canzone, prima di spegnere con fare annoiato la musica e girarsi il più che poteva verso di lei sul sedile senza slacciarsi la cintura.
«Ritiro ciò che ho detto. Pensavo fossi maturata, ma sei immatura se davvero la pensi così, se davvero credi che mio figlio sia solo un peso per la società e che io possa lasciare l’uomo che amo per “divertirmi” con te,» esclamò in tono quasi scandalizzato.
Maureen strinse con forza il volante, senza spostare lo sguardo dal traffico. «Stavo solo cantando una stupida canzone, Tala. Non sono così scema, lo so che tra noi è finita. Ho recepito il messaggio chiaro e tondo quando mi hai detto che volevi smettere di fare sesso con me per iniziare una relazione seria ed esclusiva con Mark: l’unica cretina che pensava le cose tra noi fossero serie ed esclusive da un pezzo mentre tu uscivi da settimane con un altro ero io.»
Tala sbuffò, voltandosi a guardare fuori dal finestrino. «Mi sento ancora in colpa per come è andata quella conversazione, okay? Se avessi saputo che eri innamorata di me non ti avrei parlato di Mark in quel modo...»
«Ah davvero? E come me ne avresti parlato? Ci parlavamo sempre dopo aver scopato come conigli alla fine del turno! Che motivo avrei avuto di pensare che quell’ultima volta sarebbe stata una cavolo di ultima volta in onore dei vecchi tempi perché avevi incontrato l’amore della tua vita in Mark quando io ero convinta lo avessi giù trovato in me?» esclamò con tono acido Maureen.
«Quante volte ancora dovrò ripeterti che mi dispiace? Per quanto tempo mi negherai la possibilità di avere una conversazione normale con una persona a cui ancora voglio bene solo perché non hai accettato che abbiamo commesso un errore di giudizio entrambe? Che non abbiamo mai chiarito come funzionava la nostra relazione?» esclamò innervosita alzando le mani per portarsele nei capelli ancora raccolti in modo ordinato. «Siamo state delle grossissime idiote tutte e due, okay? Ma sono passati in pratica quattro anni e mezzo da quando è finita e prima che iniziasse eravamo amiche oltre che colleghe. Mi piacerebbe poter dire che lo siamo ancora!»
Maureen rimase in silenzio, la mascella rigida e lo sguardo fisso sul traffico; per qualche momento nell’abitacolo cadde la quiete quasi assoluta, poi la collega sospirò amareggiata dalla mancanza di una qualsiasi risposta.
«Perlomeno ti chiedo di essere professionale nei miei confronti. So che puoi farlo, il lavoro è una delle poche cose a cui so per certo che tieni sul serio,» aggiunse solo Tala, prima di tornare a osservare la strada che scorreva lenta fuori dal finestrino.
Maureen strinse ancora una volta con forza il volante dell’auto, chiedendosi se esistesse una macchina del tempo; non voleva necessariamente tornare a qualche anno prima per poter avvertire la se stessa del passato di non innamorarsi di Tala, le bastava ritornare a qualche ora giorno prima, per prendersi a ceffoni e ripetersi che ricominciare a lavorare con la propria ex era la peggiore idea di sempre.

 

*****


Quando Maureen parcheggiò di fronte a casa sua ore più tardi -dopo esser stata costretta a rispondere insieme a Tala a una chiamata per un’aggressione ancor prima di aver raggiunto il distretto per liberarsi della spazzatura di cui erano ricoperte, e aver passato il resto del pomeriggio in ufficio a occuparsi delle scartoffie che ne erano derivate- rimase per un paio di minuti seduta in auto con la fronte poggiata sulle braccia incrociate sul volante chiedendosi dove avesse trovato le forze per fare la doccia al distretto e per rientrare dopo quel doppio turno così stancante.
Avrebbe voluto fingere di essere il tipo di persona che rifletteva sul profondo senso della vita mentre il sole cominciava a scendere all’orizzonte nelle ultime ore del tardo pomeriggio, ma semplicemente era troppo stanca, affamata e tutto sommato ancora sporca; al momento era solo un’ameba che cercava la forza per uscire, per entrare in casa, per scaldare una cosa a caso che stava in frigo forse da troppo tempo per una cena molto anticipata e infine per prepararsi una vasca per un bagno rilassante, nel mezzo del quale probabilmente avrebbe finito con l’addormentarsi.
A interrompere quello che poteva a tutti gli effetti diventare un pisolino involontario sul sedile dell’auto, fu comunque un gentile bussare al finestrino della sua Camaro. Spostò lo sguardo senza neppure alzare la testa da dov’era abbandonata contro le sue braccia, e notò subito la famigliare faccia amichevole della signora Pierce, la sua vicina di casa.
Le sorrise, prima di farle un cenno con la mano e di decidersi a uscire dall’auto. Appena scese, torreggiando in altezza sulla povera donnina di oltre settant’anni, sentì all’istante il profumo dei manicaretti che proveniva dalla cucina della suddetta e lo stomaco di Maureen brontolò con fare tutt’altro che discreto.
«Oh, tesoro, devi essere affamata. E puzzi anche un po’… Giornata pesante, vero? Vieni, quando non ti ho vista rientrare al solito orario ho decido di preparare qualcosa anche per te per cena,» esclamò la donna prendendola per mano e iniziando a trascinarla attraverso il prato ben curato che separava le loro due case.
Maureen sospirò, ma ringraziò mentalmente quella santa donna e le sue mani di fata in cucina. Mai avrebbe pensato che il suo essere gentile nei confronti della signora Pierce le sarebbe valso il suo affetto; dopotutto Maureen aveva visto soltanto una vicina abbandonata a se stessa, troppo vecchia per occuparsi di un prato disordinato e per portare pesanti borse della spesa per quattro o cinque isolati. Le era sembrato il minimo offrirsi di tagliare anche il suo prato o di accompagnarla a fare la spesa quando ne aveva bisogno, dopotutto le loro case condividevano una parete e la signora Pierce le aveva portato una fetta di dolce delizioso il giorno in cui si era trasferita nell’appartamento accanto al suo anni prima.
Non si era aspettata di trovare nella vecchina una nonna acquisita, eppure nel corso del tempo la donna l’aveva presa molto in simpatia e ormai la trattava come la figlia che non aveva mai avuto, viziandola con manicaretti e amorevoli cure dopo lunghi doppi turni di lavoro.
«In effetti una fetta di uno dei suoi dolci al cioccolato non sarebbe una cattiva idea al momento, signora Pierce,» ammise togliendosi le scarpe sull’entrata e riponendo la giacca in ecopelle sull’appendiabiti a muro, prima di chiudersi la porta alle spalle.
La donna si girò a guardarla, mentre si dirigeva verso la cucina. «Cioccolato? Problemi di cuore, tesoro?»
Maureen arrossì appena. «Ehm… Diciamo sì e no. È una situazione complicata.»
La signora Pierce sospirò, prima di continuare la sua lenta missione verso la cucina. «Vai in bagno a lavarti le mani e poi me ne parlerai di fronte a un piatto di arrosto con le patate. Hai bisogno di sostanza e non di cioccolato con il lavoro che fai!»
Maureen ridacchiò e ubbidì dirigendosi verso il bagno; dopotutto era ben felice pure lei di liberarsi di un altro strato di sporco che di sicuro la ricopriva ancora anche dopo la doccia veloce fatta nelle docce del distretto. Eppure non sapeva se voleva davvero parlare di Tala con la signora Pierce. Le aveva raccontato della loro storia in passato e la torta al cioccolato della donna era stata un elemento fondamentale della sua dieta subito dopo la rottura… Tuttavia, per qualche ragione, non era molto dell’umore di parlarne quella sera.
Mentre si lavava le mani fino ai gomiti con il sapone alle rose della signora Pierce, si studiò nello specchio del bagno e decise che, almeno per quella sera, si sarebbe goduta i manicaretti della sua nonna acquisita senza pensare a cose che le avrebbero soltanto rovinato l’appetito: aveva avuto una giornata abbastanza di merda, si meritava un po’ di indulgenza… E possibilmente una generosa fetta di torta.

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Capitolo 2
*** Addicted ***


The Thing About Exes

CAPITOLO 2

Addicted

And all the words that you said
They leave me right back where I started again
You know I crave you
Even though I shouldn't do

You know I like you but
You know I like you but
you just don't know the half of it

Nicotine
You make it obvious you're into me
So why you'd leave me feeling in-between?
Now I'm addicted but I wanna be
I wanna be, I wanna be

They tell me it's time to go
And I know they're right but it's just all that I know
It's so familiar
No one else is similar

You know it hurts me oh,
You know it hurts me but
you just don't know the half of it

Nicotine – Escapades


La mattina successiva Maureen si svegliò con la consapevolezza che l’unica cosa positiva di quella giornata sarebbe stata con tutta probabilità la colazione con la fetta di torta al cioccolato extra che le aveva lasciato la signora Pierce la sera precedente.
Non era il risveglio all’orario indecente del mattino ad averla irritata, dopotutto aveva sempre adorato abbastanza il suo lavoro da riuscire a sopportare senza troppe lamentele anche i turni più gravosi, alzatacce nel mezzo della notte per le emergenze comprese; era più la consapevolezza che ci fosse Tala ad aspettarla al distretto di polizia per continuare la loro indagine che le aveva messo all’istante un senso di inquietudine addosso.
Nonostante tutto, aveva rispettato la sua stretta routine mattutina, aveva guidato la sua adorata Camaro lungo le deserte strade di San Diego con le prime luci del mattino che facevano capolino all’orizzonte, e si era infine accomodata alla sua scrivania con un profondo sospiro. Stava meditando di andarsi a prendere una tazza di caffè prima di controllare se erano arrivati i risultati definitivi dell’autopsia oltre che quelli dal laboratorio sul capello che aveva riconsegnato il giorno precedente, quando qualcuno si schiarì la voce facendole alzare lo sguardo.
In piedi di fronte alla sua scrivania c’era l’Agente Wilson, con in mano un plico di fogli che stavano a malapena all’interno di una cartellina, quasi li avessi consultati fino a pochi istanti prima e li avesse raccolti alla rinfusa prima di portarglieli.
«Detective, ieri pomeriggio stavo registrando i dati del sospettato del suo caso per l’arresto preventivo, quando ho scoperto delle informazioni interessanti e...»
Colta di sorpresa, Maureen lo interruppe, notando in quel momento anche le occhiale del poco più che ventenne che aveva di fronte. «Aspetta, ieri pomeriggio? Non avevi il turno di notte questa settimana? Wilson, sei ancora qui da ieri dopo la chiamata?»
L’agente annuì soltanto, prima di continuare imperterrito con il suo discorso, senza prestare attenzione all’espressione contrariata del suo superiore. «Dicevo, ho trovato delle informazioni sulla signora Rowe. A quanto pare il suo nome da nubile non era il suo nome di nascita. Lo ha cambiato qualche tempo prima di trasferirsi qui e...»
Ancora una volta Maureen lo interruppe. «Okay, okay, ho capito cosa intendi, c’è qualcosa di sospetto e ci ha nascosto un passato problematico, passami il file, poi ce ne occuperemo io e Tala. Ma sul serio, Alan, vai ben oltre il doppio turno, sei qui da oltre 24 ore, non puoi restare ancora in servizio. Vai dal Capitano all’istante e digli che ti ho ordinato io in persona di prenderti il resto della giornata libera. E ti prego, non metterti alla guida, fatti accompagnare da qualcuno che sta uscendo in pattuglia,» lo rimproverò alzandosi in piedi e afferrandogli di mano i fogli che aveva tenuto contro il petto quasi volesse proteggerli.
L’Agente, che fino a qualche istante prima era sembrato un po’ spaventato, ma più o meno di buon umore, si chiuse quasi a riccio intristendosi. «Volevo soltanto rimediare, Detective Thomas...»
Maureen sospirò poggiandogli le mani sulle spalle, cercando di costringerlo a tenere una postura più dritta. «L’intento era buono e hai fatto un ottimo lavoro trovando quelle informazioni. Però cosa sarebbe successo se ci fosse stata un’emergenza e avessimo avuto bisogno di tutto il personale? Se tu fossi stato stanco dopo aver lavorato dopo tutte quelle ore consecutive e avessi commesso un errore per questo durante la chiamata?» cercò di farlo ragionare.
Wilson si mordicchiò il labbro fissando il pavimento, ma dopo qualche istante annuì.
«Bene, spero ti sia valsa di lezione. Lo capisco, okay, Alan? Volevo anche io essere nelle grazie dei miei superiori quando avevo appena iniziato, ma sfinirsi con troppe ore di lavoro non è la soluzione. Ora vai da quel vecchiaccio e prenditi il resto della giornata per riposare. Non voglio rivedere il tuo culo flaccido seduto alla tua scrivania perlomeno per le prossime 24 ore, okay?» esclamò voltandolo di peso in direzione dell’ufficio del tenente e spingendolo per un paio di passi.
Rimase a fissarlo ancora per qualche secondo con le mani sui fianchi, rivalutando per la prima volta la morale di uno dei pivelli con cui Rex l’aveva costretta a lavorare per qualche tempo. Si stava quasi chiedendo se forse più di qualcuno dei ragazzetti che erano passati sotto le sue grinfie in quegli anni avessero fatto la fine di Wilson, a sfinirsi di lavoro a causa dei suoi standard forse esagerati, quando qualcuno interruppe la sua riflessione.
«Visto? Un talento naturale con i novelli che hanno bisogno di essere indirizzati sulla strada giusta,» disse la voce famigliare di Tala alle sue spalle, facendola girare di scatto.
La donna se ne stava appoggiata contro lo stipite della porta di una delle salette per gli interrogatori, al momento vuota, e la stava osservando con un sorriso sornione sulle labbra. Maureen sentì le guance iniziare a scaldarsi appena per l’imbarazzo, quindi la ignorò e tornò in gran carriera alla propria scrivania.
«Abbiamo del lavoro a quanto pare,» rispose soltanto, decidendo di non badare per il momento al commento della collega come quest’ultima sembrava aver deciso di fingere che la loro discussione del giorno precedente non fosse mai avvenuta. Avevano deciso di essere professionali dopotutto, no?
Si misero a sedere alla scrivania di Maureen l’una di fronte all’altra, il fascicolo aperto nel mezzo ed entrambe sporte di lato per riuscire a leggere allo stesso tempo ciò che l’Agente Wilson aveva trovato su quello che, a tutti gli effetti, rimaneva il loro unico sospettato, nonostante anche lei come Tala iniziasse ad avere dubbi sulla sua colpevolezza.
Il fascicolo conteneva una serie di documenti, ma tra tutti risaltavano in assoluto la richiesta per il cambiamento di nome che la signora Rowe aveva fatto nello stato del Texas qualche anno prima di sposarsi, e i continui cambi di residenza nei mesi successivi e precedenti, che passavano di stato in stato da un lato all’altro del paese, prima di fermarsi in modo definitivo nella soleggiata California; era anche rilevante, considerato tutto, che la giovane sembrava aver scelto in ogni trasferimento, città molto popolate, tuttavia mai aree centrali in cui vivere, quasi volesse mimetizzarsi di proposito nell’area residenziale dell’anonima classe media.
«Un comportamento alquanto sospetto, signorina Regina Harper...» commentò Maureen osservando la foto del documento d’identità originale della signora Rowe, prima di continuare a sfogliare il contenuto del file.
C’era poco altro di rilevante; per la maggior parte erano i registri riguardanti i lavori che la donna aveva avuto sia prima di cambiare nome, che in seguito, oltre che il certificato di matrimonio… Quello che però sorprese entrambe fu trovare, sul fondo della pila di documenti, un ordine restrittivo. Maureen avrebbe quasi voluto urlare di gioia per la prima prova fisica che dimostrava quanto la donna potesse a tutti gli effetti essere pericolosa, tuttavia notò immediatamente come l’ordine non fosse nei confronti di Regina Harper, bensì richiesto da quest’ultima nei confronti di una certa Eleanor Vikander.
«Beh, adesso mi è più chiaro perché Alan sia rimasto qui tutta la notte. Ha davvero beccato il jackpot, eh?» esclamò Maureen sospirando e abbandonandosi contro lo schienale della poltrona su cui era seduta.
Tala annuì mugugnando, una mano a sorreggerle il mento, il viso ancora oscurato da quell’espressione che ormai la collega aveva imparato a interpretare: la sua ex stava rimuginando su qualcosa forse con un po’ troppa intensità. «Dovremmo scoprire chi è questa Eleanor e il motivo per cui è stato richiesto l’ordine restrittivo nei suoi confronti,» disse dopo un po’.
«Era implicito che lo avremmo fatto, Tala. Non sono così fissata sulla mia teoria da non vedere che si stanno aprendo altre strade da seguire ora...» ribatté.
Con un altro sospiro, la collega portò gli occhi al cielo, prima di afferrare uno dei tanti fogli che registravano i cambiamenti di residenza della Harper e ne indicò la data. «Dico solo che la poverina ha cambiato residenza la prima volta dopo due settimane da quando ha ottenuto l’ordine restrittivo e ha continuato a spostarsi a intervalli piuttosto irregolari per un po’ prima di cambiare nome. Poi ha proseguito comunque con i trasferimenti ancora per del tempo e infine, quando si è sentita sicura, si è fermata in una città come San Diego, dal tasso di criminalità tutto sommato basso considerata la sua popolazione numerosa. Non sembra il tipo di persona che cerca problemi, sembra il tipo di persona che sta scappando dai guai,» reiterò.
Tala si mise a sedere più dritta sulla sedia. «Certo, ma anche un ex drogato, qualcuno che deve molti soldi al suo allibratore, o un membro di poco conto della malavita potrebbe decidere di voler voltare pagina e di voler mettere radici in un posto più tranquillo. Non è detto che sia per forza una santarellina...»
Rimasero per qualche secondo a fissarsi intensamente negli occhi, con quello sguardo di sfida che anni prima aveva accesso il fuoco della passione nella loro crescente attrazione; non sapeva di preciso perché, ma Maureen sembrava avere un debole per gli animi gentili e un po’ naïve, forse proprio per il suo essere così realista, magari sentiva anche lei il bisogno di un po’ di dolcezza e colore nella sua visione fin troppo disillusa del mondo.
Stava per iniziare a pensare che forse avrebbe fatto una cazzata e si sarebbe sporta sopra la scrivania per afferrare Tala dal bavero della polo che indossava per baciarla, quando Wilson uscì dall’ufficio del Capitano passandosi la mano nei capelli con un’espressione da cane bastonato. «Ehy, Alan!»
A sentire il proprio nome, l’Agente sussultò, ma si voltò verso di lei e si avvicinò a passo svelto. «Nel mezzo del tuo delirio da ricerca di ieri ti sei ricordato di leggere alla signora Rowe i suoi diritti prima di metterla nella cella per la detenzione preventiva come ti avevo chiesto?»
«Certo. Le ho anche ricordato più volte che ha diritto a un avvocato, ma ha solo risposto che è innocente e non ne ha bisogno, che preferiva restare qui per il momento. Oh, e le ho portato da mangiare e da bere un paio di volte, però deve ancora fare colazione stamattina,» aggiunse tormentandosi le mani e spostando lo sguardo tra Tala e Maureen, forse in cerca di approvazione per il suo operato, prima di notare il file aperto sulla scrivania e rimanere bloccato. Tala gli rivolse un sorriso orgoglioso che fece portare gli occhi al cielo alla collega.
«Ottimo, non eri così stordito dalla stanchezza, allora. Suppongo il Capitano ti abbia dato una bella strigliata e ordinato di tornartene a casa adesso, quindi ti conviene sbrigarti e raggiungere Romero e Moore prima che escano per il loro turno di pattuglia senza di te. Non vorrai tornare a casa con i mezzi pubblici!» lo spronò Maureen facendogli un cenno con la mano e scacciandolo quasi come una mosca.
Wilson si guardò alle spalle, notò i due poliziotti che ridacchiavano mentre uscivano dalla porta del distretto e corse a recuperare le sue cose dalla propria scrivania prima di uscire in gran carriera a sua volta, causando una risata tutt’altro che trattenuta in tutti gli agenti abbastanza svegli da notare l’accaduto.
«È un bravo ragazzo...» commentò Tala.
Maureen preferì non risponderle, nascondendo la sua espressione soddisfatta abbassando lo sguardo verso la scrivania mentre riordinava i documenti all’interno della cartellina, per poi aggiungerla al materiale del caso. «Vuoi provare a interrogarla tu con l’approccio gentile quindi? Portiamo la colazione alla signora Rowe?» chiese dopo qualche istante guadagnandosi un cenno di assenso da parte della collega.
«Mi sembra l’idea migliore per farla aprire. Vogliamo che si senta a suo agio, non farle pressioni, sopratutto se ha vissuto esperienze traumatiche...» aggiunse Tala portandosi dietro l’orecchio un ciuffo di capelli che era sfuggito dalla sua treccia ordinata.
«Beh, almeno in un primo momento. Se non sarà disposta ad aprirsi dovrò ricordarle per forza che al momento è l’unica sospettata ufficiale del caso per farla parlare. Solo perché al momento sembra stia collaborando non significa che non possa ancora essere in qualche modo coinvolta,» ribatté portando lo sguardo sulla scrivania e incrociando le braccia al petto, cercando di non restare incantata a fissare le mani di Tala.
Quest’ultima sbuffò, costringendo Maureen a rialzare lo sguardo. «Anche se è molto debole e non ha trovato conferme, la signora Rowe ha un alibi che potrebbe dimostrarsi...» iniziò a controbattere puntando un dito dalla carnagione scura sulla scrivania.
«Okay, okay, ho capito, stiamo per ricominciare a discutere sulla sua presunta colpevolezza o innocenza, ed è soltanto una perdita di tempo,» la interruppe Maureen non volendo trovarsi di nuovo nello stallo di qualche minuto prima. «Io mi occupo di chiedere a qualcuno di farla portare in una delle stanzette per gli interrogatori, tu vai a recuperarle la colazione?» domandò.
Rimasero a guardarsi per qualche istante, prima che Tala annuisse con un espressione arrendevole. Si alzarono quasi in contemporanea e si incamminarono nella stessa direzione nonostante avessero deciso di separarsi, creando quella strana situazione in cui saluti qualcuno, ma alla fine devi fare comunque la stessa strada per andartene. Si scambiarono un sorriso forzato senza aggiungere parola, troppo concentrate nel portare a termine ognuna il proprio compito.
Maureen puntò verso la scrivania di uno degli agenti che avevano appena iniziato il turno del mattino, finalmente separandosi da Tala che proseguì verso la sala relax in direzione opposta. Dopo aver richiesto all’ancora piuttosto assonnato agente di recuperare il sospettato dalla cella in cui era rimasto per tutta la notte -e avergli ordinato di controllare se ci fossero precedenti per una certa Eleanor Vikander appena fosse tornato alla sua scrivania-, si voltò e raggiunse la sua ex nella saletta.
«Quelli del turno del mattino hanno già finito tutto il caffè,» spiegò Tala giustificando il suo essere in attesa accanto alla macchinetta, che ne stava a tutti gli effetti preparando un’altra caraffa. C’era anche un vassoio con una delle ciambelle che qualcuno sembrava far comparire tutti i giorni a un orario imprecisato della notte nella sala ristoro; Maureen era sempre stata convinta che l’angelo tentatore della dieta di tutto il distretto fosse Rex in persona, eppure l’unica volta che il cretino si era fatto sparare a una spalla ed era mancato per qualche settimana, le ciambelle avevano continuato a comparire come sempre, quindi i suoi sospetti si erano subito spostati su Jorge, l’inserviente che tutti i giorni passava a pulire l’ufficio intorno alle quattro del mattino.
Per qualche secondo lei e Tala non si rivolsero parola, solo il rumore della macchinetta a interrompere il silenzio della sala relax deserta, poi, rompendo la promessa che si era fatta di non toccare l’argomento perché consapevole che non sarebbe riuscita a farlo in modo educato, Maureen chiese: «Allora, sei stata nelle Filippine a visitare i tuoi di recente? Sai, con tuo marito?»
La collega la fissò con un’espressione sospettosa e non le rispose, cosa che irritò ancora di più Maureen che strinse le braccia al petto e si schiarì la gola.
«Voglio dire, avevi in programma di andarci quando ancora, ecco, hai capito insomma, e prima del matrimonio mi pareva avessi detto che i tuoi con tutta probabilità non avrebbero potuto esserci alla cerimonia...» aggiunse quindi, guadagnandosi una seconda occhiataccia dalla più giovane, che recuperò la brocca di caffè appena fatto e riempì una tazza.
«Se non fossi stata così infantile tre anni fa, forse saresti stata presente il giorno del mio matrimonio e avresti conosciuto i miei genitori anche tu, quando erano presenti perché io e Mark abbiamo fatto i salti mortali per fargli ottenere il visto per esserci,» fu tutto ciò che rispose Tala prima di recuperare il vassoio con la colazione per la signora Rowe e uscire dalla stanza senza lasciarle neppure una chance di ribattere.
Non che Maureen avesse molto interesse nel farlo; al momento era piuttosto sicura che qualsiasi conversazione personale per loro fosse soltanto un campo minato, quindi si ripromise di continuare a mantenere la bocca chiusa e di limitarsi ad avere conversazioni professionali con la sua partner. Si passò una mano sul viso e prese un respiro profondo, prima di recuperare i documenti dalla sua scrivania e seguire la collega nella sala interrogatori dove era stata portata la signora Rowe.
Quando entrò nella stanza la donna era ancora vestita degli abiti del giorno precedente, giacca della polizia compresa, e stava osservando con sguardo perplesso la colazione che Tala aveva lasciato sul tavolo di fronte a lei.
«Non capisco,» aggiunse. «Credevo di essere in arresto, pensavo che fosse arrivato il mio avvocato d’ufficio o qualcosa di simile.»
Le due detective si guardarono negli occhi. «Ha detto che preferiva restare qui, signora Rowe...» le ricordò Tala sedendosi; Maureen invece preferì rimanere in piedi con la spalla appoggiata al muro e le braccia incrociate al petto, i file del caso stretti con fare quasi annoiato in una mano. Non pensava avrebbe dovuto usare quei documenti per farle pressioni, di solito Tala riusciva a far collaborare le persone che erano ben disposte a farlo, e in realtà non voleva neppure essere costretta a usarli se poteva evitare di traumatizzare una donna già sotto shock; se però la signora Rowe non avesse collaborato avrebbe comunque dovuto farlo per arrivare alla verità. Era il suo lavoro fare le scelte più dure e convivere con le conseguenze che ne derivavano, dopotutto.
«Beh, sì, ma pensavo comunque che entro stamattina me ne sarei tornata a casa o che ci sarebbe stata qualche udienza o qualcosa di simile. Ma l’ho detto anche al vostro collega, non ho motivo per chiedere di avere un avvocato, non ho fatto nulla, ho soltanto trovato mio marito…» blaterò la donna sembrando un po’ confusa, ma decisa perlomeno sulla propria innocenza.
Tala sospirò e le sorrise rassicurante, spingendo di nuovo il vassoio con il cibo verso di lei. «Purtroppo la situazione è un più complicata di come sembra a volte nelle serie tv. Le indagini a volte richiedono tempo e spesso prima di arrivare alla vera soluzione si passa per qualche piccolo intoppo. Come il trattenere la persona sbagliata a volte, per questo di solito anche gli innocenti chiedono aiuto,» spiegò quindi la detective con fare paziente.
Sentendosi forse rassicurata da quelle parole, la signora Rowe annuì e afferrò dal vassoio almeno la tazza di caffè, prima di bere un sorso, guadagnandosi così un sorriso più aperto da parte di Tala.
«Io davvero sono innocente,» disse dopo aver bevuto per qualche secondo, continuando a guardare quasi esclusivamente solo la detective che le stava seduta di fronte.
«Le credo,» la confortò subito Tala poggiandole una mano sulle sue. «Vogliamo solo che risponda a un paio di domande, glielo assicuro. È disposta ad aiutarci?»
«Qualsiasi cosa...» mormorò lei con gli occhi di nuovo lucidi. Maureen si accorse solo in quel momento che erano più arrossati del giorno precedente, così come lo era l’area intorno al suo naso. Doveva aver passato davvero la notte a piangere, quindi perlomeno sembrava aver amato il marito con sincerità.
«Cominciamo da qualcosa di semplice, allora. Ha notato qualche piccola mancanza o furto in casa?» chiese subito Tala, recuperando dalla tasca un piccolo taccuino su cui prendere appunti e una matita così piccola che spesso anche in passato Maureen si era chiesta come di preciso riuscisse ancora a scriverci. Sembrava davvero la stessa che aveva usato anni prima, l’ultima volta che avevano indagato insieme prima che Tala si prendesse quel congedo di maternità.
«Ecco… Non penso. Insomma, un paio di settimane fa credo di aver perso il secondo mazzo di chiavi di casa, ma Toby era sicuro che fosse solo caduto a uno di noi due dentro l’auto o che fosse finito sul fondo di qualche borsa. Non sarebbe la prima volta che succede...»
Tala si limitò ad annuire e ad annotare, senza dare troppo a vedere quanto in realtà l’informazione fosse rilevante. «Ha visto qualcuno di sospetto intorno alla casa o nel quartiere negli ultimi tempi?» proseguì nel chiedere.
La donna, che aveva alzato la tazza per prendere un altro sorso di caffè, la abbassò senza bere. «Io… Non sono sicura di...» si interruppe per sospirare in modo rumoroso, poi chiuse gli occhi e si passò le mani sul viso. «Ero sicura fosse solo frutto della mia paranoia, ma a questo punto credo che ci fosse qualcuno di sospetto, sì...»
Tala girò a malapena il viso per indirizzare un’occhiata significativa verso Maureen, che portò gli occhi al cielo e le fece a malapena un cenno di continuare con la cartellina, quasi ammettendo senza volerlo davvero che stava concordando con lei.
«In che senso la sua paranoia?»
«Diciamo che a causa di alcune esperienze passate ho dovuto fare uso negli ultimi anni di psicofarmaci. Tendevo a vedere fantasmi del passato che mi seguivano anche quando non erano reali,» spiegò la signora Rowe tormentandosi le mani e fissando con intensità il contenuto della tazza di caffè.
«Non c’è nulla di cui vergognarsi, signora,» la rassicurò ancora una volta Tala stringendole una mano con le sue. Lei annuì, ma continuò a tenere lo sguardo basso. «Quindi questa persona sospetta, credeva non fosse reale perché era questo fantasma dal passato? Era una persona che conosce quindi? Potrebbe identificarla?»
La signora Rowe annuì, prima di iniziare a piangere. «È tutta colpa mia...» ripeté di nuovo in un sussurro. «Avrei dovuto avvertire Toby che mi era parso di intravederla un paio di volte con la coda dell’occhio, ma credevo davvero fosse solo la mia immaginazione...»
«Ha smesso di prendere le pillole?» si intromise Maureen ricordando ciò che aveva raccontato la vicina di casa dei Rowe, costringendo la donna a voltarsi per guardarla.
Lei annuì. «Non potevo continuare a prenderle se volevamo avere un bambino,» spiegò. «È anche uno dei motivi per cui la mia insonnia era così peggiorata di recente; ne soffrivo già quando prendevo i farmaci, ma appena ho smesso… avevo gli incubi orribili, ero terrorizzata all’idea che mi trovasse, temevo ciò che avrebbe potuto fare, e ora...» La frase scemò in un sussurro quando la donna scoppiò a piangere.
Rimasero in silenzio qualche istante, la poveretta che singhiozzava in modo sommesso nel tovagliolo che Tala le aveva porto senza aggiungere parola. Dopo lunghi minuti, quando parve essersi calmata un po’, Maureen fece cenno alla collega di riprendere.
«Quindi, perché è così sicura che questa persona dal suo passato sia sospetta? Perché quegli incubi e quella paura che potesse fare qualcosa di orribile?» domandò in tono rispettoso.
La donna sospirò, lo sguardo abbassato sul tavolo. «Eleanor aveva una fissazione malata per me e in generale, da quel che ne so aveva la tendenza a ficcarsi nei guai anche prima che la conoscessi. Non che io lo sapessi al tempo in cui stavamo insieme, anzi, l’aver scoperto del suo consumo di droga e della sua propensione ai furti fu tra i motivi per cui la nostra relazione finì, oltre al suo essere così possessiva nei miei confronti...» fece una pausa, in cui osservò le due agenti, quasi aspettandosi di venire giudicata per l’aver avuto una relazione con una donna prima di sposarsi con uomo, ma non notando alcun tipo di reazione proseguì.
«Quando finì, per mesi lei continuò a seguirmi e a tormentarmi in ogni modo possibile, e la prima volta che provai a uscire con qualcun altro, beh, non so come ci riuscì, ma si presentò all’appuntamento anche lei. Fu abbastanza teatrale e violenta con le sue minacce sia verso di me che verso il tipo con cui ero uscita. L’unica cosa positiva derivata da quell’episodio fu che un tribunale mi concesse un ordine restrittivo, ma per Eleanor si trattava solo di un pezzo di carta senza significato e io continuai a trovarmela di fronte ovunque andassi...» spiegò passandosi le mani nei capelli. Sembrava quasi che raccontare quella storia gliela stesse facendo rivivere e la cosa le stava decisamente richiedendo molte energie, oltre che causando un enorme stress in un momento in cui ne aveva già subito abbastanza. Per la prima volta Maureen si sentì un po’ in colpa per tutto ciò che aveva pensato su di lei.
«Vuole un bicchiere d’acqua?» le chiese Tala, ma lei rispose con un cenno di diniego e proseguì, quasi volesse sbrigarsi a terminare di raccontare la storia, come se volesse liberarsene per togliersi un peso che si sentiva sulla coscienza.
«La goccia che fece traboccare il vaso fu quando riuscì a intrufolarsi in casa mia circa dieci giorno dopo quell’ordine restrittivo; quell’episodio fu ciò che mi convinse a cambiare città. La prima volta non fu un grosso successo, mi spostai di troppo poco, chiesi aiuto a un’amica, tutto troppo rintracciabile; ero convinta che sarebbe stato semplice all’epoca, forse più presa da un momento di ingenua euforia nel sentirmi finalmente libera dall’incubo quando era appena iniziato. Ma imparai dai miei errori, almeno per un po’, suppongo. Ci volle del tempo, però nel giro di qualche mese mi sentii abbastanza sicura di aver fatto perdere le mie tracce abbastanza da poter cambiar nome e poter cominciare una nuova vita altrove. Vedevo ancora il suo fantasma ogni tanto con la coda dell’occhio, ma per quello prendevo dei farmaci e andavo in terapia, sicura che fosse solo la mia immaginazione. Ero convinta sul serio che anche questa volta fosse solo la mia mente che mi giocava brutti scherzi, ma immagino di aver commesso di nuovo un errore da ingenua, di essermi fatta prendere troppo dalla mia vita tranquilla e felice per continuare a stare all’erta...»
Rimasero tutte e tre in silenzio per qualche istante, prima che Maureen intervenisse di nuovo. «Perciò pensa che questa Eleanor fosse potenzialmente abbastanza disturbata da voler uccidere suo marito?» domandò soltanto.
«Non posso averne la certezza, in tutta onestà… Era brusca, certo, e qualche volta violenta quando era sotto l’influenza della droga di turno… Però sono anche passati anni e le persone cambiano...»
«Va bene, signora, ci è comunque stata di aiuto,» la rincuorò Maureen, non volendola far sentire ancora di più in colpa per la sua mancanza di risposte. Non si aspettava certo che avesse continuato a seguire la vita della sua stalker nel corso degli anni, e poi era comunque sicura che avrebbero avuto la risposta a quella domanda appena sarebbero uscite, quando avrebbero avuto tra le mani il file con i precedenti di Eleanor Vikander di cui aveva già fatto richiesta.
Rimasero nella stanza per confermare ancora per qualche minuto le informazioni che già conoscevano dal file che aveva raccolto l’Agente Wilson, oltre che il percorso che la donna aveva seguito la notte dell’omicidio nella sua passeggiata, prima di uscire dalla sala interrogatori con una rassicurazione che qualcuno sarebbe venuto a occuparsi di lei e che presto sarebbe tutto finito.
Nel preciso istante in cui fecero un passo fuori dalla saletta, l’agente che aveva portato la donna nella stanza si alzò dalla sua scrivania e andò loro incontro con un altro plico di fogli in mano, consegnandoli a Maureen con un sorriso. «I risultati del controllo che aveva richiesto, Detective. Devo riportare la signora nella cella?»
Tala guardò Maureen con sguardo espressivo e un po’ contrariato, cosa che la fece sospirare scocciata. Come se avesse bisogno di qualcuno che la facesse sentire ancora di più in colpa in quel momento... «No, non c’è bisogno di restrizioni o di chiuderla in cella. Più che una sospettata al momento la stiamo trattenendo qui al distretto per la sua sicurezza. Se vuole fare una doccia ha il permesso di usare quelle dello spogliatoio della stazione, e se ha bisogno di un cambio di vestiti gliene procureremo uno noi, basta che ci avvisi. Qualcosa mi dice che dopo aver letto questa roba faremo un’altra visitina alla scena del crimine, comunque… Per il resto, può restare nella saletta relax, anzi, che qualcuno la tenga controllata. Ci occuperemo di trovarle una sistemazione più consona il prima possibile...»
L’agente annuì e gli lasciarono spazio per entrare nella sala interrogatori, mentre loro due tornavano alla scrivania di Maureen con i documenti. «Non voglio sentirti dire nulla, okay?» sbottò prima ancora d’essersi accomodata rivolgendosi a Tala.
La collega alzò le mani in segno di resa, ma aveva un’espressione comunque soddisfatta stampata in viso. «Non stavo per dire che avevo ragione, te lo sei solo immaginato.»
Maureen grugnì e portò gli occhi al cielo, prima di concentrarsi sui fogli che aveva di fronte. «Beh, se avessimo avuto questi ieri, forse non avrei avuto molte remore a essere d’accordo con te… Furto con scasso, un paio di accuse per spaccio e possesso di droga, lo stalking di cui siamo già a conoscenza. E in pratica ha appena finito di scontare quattro mesi in carcere per aggressione,» elencò fissando la foto segnaletica della donna; sarebbe di sicuro stata attraente con quei magnetici occhi verdi e quei capelli di un nero profondo, peccato avesse un’espressione stordita nella foto, forse perché quando era stata scattata era sotto l’effetto di qualche droga. Aveva anche un colorito incredibilmente pallido e la faccia così smunta che pareva avesse già passato del tempo in carcere prima ancora d’esserci entrata; si chiese come di preciso una tipa del genere avesse la forza per spostare un uomo della stazza del signor Rowe, ma da qualche parte nei rapporti del suo file c’era scritto che durante uno degli arresti aveva opposto resistenza con delle mosse di qualche arte marziale, quindi supponeva la forza fisica non le mancasse nonostante tutto quando era lucida.
Tala, dall’altro lato della scrivania, la stava fissando con le braccia incrociate al petto e un’espressione che stava esprimendo ciò che le passava per la mente anche senza l’uso delle parole.
«Lo so, è un sospettato migliore della moglie del signor Rowe, ma non abbiamo prove al momento che la collochino sulla scena del delitto, anche se ho il presentimento il capello possa essere suo,» ribatté quindi Maureen chiudendo la cartella e aggiungendo anche quei documenti al resto del materiale del caso.
«Dovremo richiedere ai vicini di casa se hanno delle telecamere di sicurezza e ottenerne i filmati, sia per scagionare la signora Rowe che per incastrare quella che sembra la vera colpevole a questo punto. E speriamo anche che quel capello nel ripostiglio sia davvero una corrispondenza,» aggiunse Tala.
«Già… Credo sia comunque una buona idea tornare sulla scena del crimine per cercare altre prove fisiche. Non può essersi lasciata alle spalle solo un capello, deve esserci ancora dell’altro da trovare,» concluse con testardaggine, recuperando il materiale di cui avrebbero avuto bisogno dal cassetto della scrivania, prima di alzarsi pronta a uscire, seguita a ruota dalla collega.

 
*****

Di nuovo in auto sulla strada per la scena del crimine con solo il bollettino del traffico a fare loro compagnia, Maureen si sentì colta da un senso di déjà-vu che la riportò all’istante agli eventi del giorno precedente. Non che fosse difficile dimenticarli o in un certo senso riprodurli; immaginava che quella situazione si sarebbe ripresentata a tutti gli effetti ogni giorno ora che lei e Tala erano di nuovo partner, dopotutto lei e la collega avrebbero avuto sempre gli stessi turni e avrebbero dovuto uscire in auto insieme ogni volta che lo avrebbe richiesto una qualsiasi situazione lavorativa. Prevedeva che di silenzi interrotti soltanto dal brusio della radio ce ne sarebbero stati molti se non avessero imparato a riempirli con qualche argomento che entrambe ritenevano sicuro.
Quello che l’aveva stupita sin dal primo istante in cui Tala si era seduta accanto a lei il giorno precedente, comunque, era quanto fosse stato difficile trattenersi dal toccare quegli argomenti che aveva definito come tabù ancor prima che la collega mettesse piede nel distretto di polizia. Quando ne aveva parlato con Rex in quei giorni di limbo, quando aveva accettato di ricominciare a lavorare con Tala, aveva avuto la certezza che sarebbe stato semplice, che avrebbe soltanto dovuto ricordarsi di quanto le avesse spezzato il cuore e sarebbe riuscita a trattarla come aveva fatto con qualsiasi altro novellino che le era passato sotto le grinfie in quegli ultimi anni, forse solo in modo un po’ brusco senza un motivo preciso. Invece, non era stato per nulla semplice. E ora, eccola lì, sicura di avere di nuovo sulla punta della lingua una domanda personale da rivolgerle, cosa che Maureen aveva la certezza avrebbe creato l’ennesimo vespaio tra di loro, che lei lo volesse o meno.
A salvarla fu per fortuna lo squillare improvviso del cellulare di Tala, che si scusò, spense la radio e rispose al telefono. «Pronto, Cassandra? È successo qualcosa? Hanno chiamato dalla scuola?» domandò subito con tono preoccupato.
Rimase in ascolto per qualche istante, seduta con la schiena tesa contro il sedile, prima di rilassarsi e sorridere. «Non ne sono sicura. Spero di no, ma per sicurezza se non ti chiamo prima delle due dovrai andare a prenderlo tu e dovrà restare da voi di nuovo, sì.»
Maureen le lanciò un’altra occhiata, curiosa di capire con chi stesse parlando. Era una babysitter? Un’amica?
«Sei un angelo, Cassy. Ma ha ragione tuo marito, torna a dormire, tanto è troppo presto per te, e sappiamo entrambe quanto ci tieni al tuo sonno di bellezza. Saluta Gaspar da parte mia,» scherzò ridacchiando, prima di salutare e chiudere la conversazione.
Nell’abitacolo calò all’improvviso un silenzio che a Maureen sembrò da subito scomodo, tanto che sentì che se anche la collega si fosse ricordata di riaccendere la radio non avrebbe comunque smesso di rimuginare sulle mille domande che al momento le stavano passando per la testa.
«Quindi quanti anni ha di preciso tuo figlio?» chiese quando non riuscì più a trattenersi, ma ritenendosi comunque fortunata che tra le tante che stava trattenendo in seguito a quella chiamata le fosse uscita di bocca la più innocente. Avrebbe comunque voluto che la domanda sembrasse sincera o interessata, com’era suonata in un primo momento nella sua testa; invece tenere tutti quegli argomenti tabù stretti tra le sue grinfie doveva averli caricati di sentimenti indesiderati, anche quando si trattava temi innocenti. Dopotutto perché avrebbe dovuto provare rancore o disgusto per un bimbo? Quello di Tala poi? Eppure il suo tono era davvero stato quasi scontroso...
La collega, come aveva fatto in precedenza, le rivolse uno sguardo un po’ contrariato. «Tre a gennaio, ma lo sapresti se ti fossi degnata di rivolgermi anche solo una parola prima che io mi prendessi il congedo di maternità,» ribatté, quasi acida nei suoi confronti Tala.
Maureen sbuffò. «Ero ferita, okay? Ammetto di non esser stata molto matura al tempo, ma...»
«Non molto matura… Beh, direi che stai semplificando un po’ troppo la situazione. Ti rifiutavi di parlarmi perfino sul posto di lavoro e avevi chiesto a Rex di non essere più la mia partner. Prima di scoprire della gravidanza avevo perfino chiesto al Tenente cosa avrei dovuto fare se avessi voluto iniziare il procedimento per il trasferimento in un altro distretto, tanto la situazione era diventata insostenibile. Era la prima volta in cui riuscivo davvero a capire i colleghi che si lamentavano della tua mancanza di professionalità, IO, che avevo sempre difeso la tua etica lavorativa!» esclamò con voce così concitata che Maureen si chiese se avesse preso respiro tra una parola e l’altra.
Era tentata di accostare l’auto per poter parlare con più calma mentre la guardava, ma non era sicura che fosse una buona idea fermarsi… In realtà forse era perfino grata di avere una scusa per non doverla osservare al momento. Boccheggiò per qualche istante, cercando qualcosa da dire in sua difesa, ma quando non le uscì nulla dalle labbra nei primi secondi, Tala colse la palla al balzo per continuare.
«Quando Rex qualche giorno fa mi ha detto che eri pronta a ricominciare, che se fossi tornata saresti stata professionale, speravo davvero che saresti stata diversa, che fossi pronta a lasciarti quello che era successo alle spalle per tornare a essere se non un’amica, perlomeno la collega di cui potevo fidarmi. E invece mi ritrovo di fronte questa persona piena di rancore ancora bloccata ad anni fa...»
Maureen sentì infine la rabbia che era montata dentro di lei fino a quel momento esplodere e trovò le parole per controbattere senza mai distogliere lo sguardo dalla strada, ancora grata di avere quella distrazione che la obbligava a non fissarla negli occhi mentre finalmente confessava ciò che per così tanto tempo aveva represso.
«Solo perché sono passati anni non significa che le cose si siano sistemate per magia. Ho ancora il diritto di essere arrabbiata e di sentirmi tradita, okay? Hai ferito i miei sentimenti! Lo so che ti sei scusata per non aver messo in chiaro le cose, ma ti è anche solo passato per l’anticamera del cervello che magari ho passato questi anni a pensare solo al lavoro perché ero in assoluta negazione di quello che era successo? Ti è mai venuto in mente che l’unico motivo per cui nessuno dei miei partner è mai resistito a lungo è perché non li volevo? Perché non erano te? Ti avrò anche allontanata appena mi avevi ferita, ma non ho mai smesso di pensare a quanto male mi ha fatto perderti, okay?»
Calò di nuovo il silenzio tra loro per qualche istante e Maureen fissò il traffico, ben consapevole del rossore che le era salito alle guance dovuto non alla rabbia, ma all’imbarazzo dell’ammissione che le era appena uscita di bocca. Non sapeva neppure da dove le fossero venute quelle parole, ma non le avrebbe ritirate perché, anche se non le aveva mai ammesse, suonavano giuste e sincere, seppure estremamente patetiche.
«Non puoi restare fissa su di me per tutta la vita, Ree,» ribatté solo in sussurro Tala.
«Lo so, e sono anche conscia che non sia maturo da parte mia aspettarmi che tu prima o poi torni da me. Il punto è che anche se c’è una piccola parte di me che ancora ci spera, che lo ha fatto per tutto questo tempo mentre mi sentivo tradita e ti portavo rancore, sono anche consapevole che non succederà mai. Devi solo… Avere pazienza, suppongo. Per te è passato molto tempo, e hai trovato una ragione per cui andare avanti, ma è come se per me il tempo si fosse fermato, sopratutto perché non abbiamo mai provato lo stesso tipo di affetto l’una verso l’altra. E non abbiamo neppure chiarito del tutto le acque in questi anni. Quindi, mi dispiace se per me andare avanti è stato più complicato, mi dispiace se sto ancora cercando di sistemare questo casino di cose che provo per te.»
Calò ancora una volta il silenzio e per la prima volta in lunghi minuti Maureen si azzardò a rivolgere lo sguardo verso Tala, la quale la stava osservando con un’espressione rassicurante, seppure forse un po’ malinconica.
«Suppongo dovremo continuare entrambe a sforzarci di essere professionali e concentrarci sul lavoro, allora? Riproveremo a essere amiche se e quando ti sentirai più a tuo agio?» le chiese con un sorriso timido.
Maureen si limitò ad annuire, distogliendo lo sguardo il più in fretta possibile; se c’era una cosa che poteva farle venire gli occhi lucidi all’istante, era vedere quell’espressione abbattuta sul viso di Tala. «Non garantisco che funzionerà sempre, però prometto che farò del mio meglio, okay? Abbi solo un po’ di pazienza...» concluse continuando a guidare.
Era un inizio. Non uno dei migliori, ma dopotutto poteva esserle andata molto peggio.

 
*****

Quando entrarono nella villetta dei Rowe tutto era all’apparenza come lo avevano lasciato; non sembrava che nessuno fosse entrato in casa dopo che ci erano state loro il giorno precedente, ma la consapevolezza che ci fosse un mazzo di chiavi ancora mancante e che Eleanor Vikander fosse una recidiva nell’introdursi senza permesso nelle abitazioni altrui non le rassicurava che la scena del crimine non fosse stata inquinata durante la nottata o che potesse esserlo in futuro. Per questo motivo, Maureen aveva già fatto richiesta che almeno un paio di agenti in borghese fossero appostati a guardia della dimora.
Al momento, comunque, sia lei che Tala erano più occupate a ricontrollare da cima a fondo ogni angolo della casa alla ricerca di qualche indizio del passaggio della Vikander; speravano che la stalker, presa dall’ossessione per la propria ex, avesse lasciato qualche messaggio del suo odio che non fosse il numero consistente di pugnalate sul cadavere del signor Rowe, o che magari avesse raccolto un souvenir con cui ricordare la donna per cui provava ancora un ardente e malato desiderio e avesse così lasciato delle impronte.
Controllarono quindi con particolare attenzione la camera da letto, lo studio da cui si era con tutta probabilità introdotta quando aveva rubato il mazzo di chiavi mancante con cui poi aveva aperto la porta principale la notte dell’omicidio, e lasciarono di nuovo per ultimo il salotto, la vera e propria scena del delitto.
Erano convinte di aver fatto l’ennesimo buco nell’acqua, quando Maureen si abbassò sul pavimento cercando ancora una volta qualche traccia di impronte nel sangue ormai decisamente coagulato che si confondeva quasi con il colore del legno, ancora perplessa dalla precisione con cui sembrava l’assassina fosse riuscita a non pestarlo in nessun punto, quando il suo sguardo venne colto da qualcosa che si intravedeva a malapena nascosto sotto la poltrona proprio lì accanto.
La indicò a Tala, la quale si chinò a sua volta puntando la torcia e aguzzando la vista, prima di girarsi verso di lei con un’espressione stupita, ma soddisfatta.
«Qualcosa di buono?» chiese quindi.
Tala annuì, estrasse il cellulare e scattò una foto, prima di alzarsi e farle segno di aiutarla a spostare la poltrona, facendo attenzione a non pestare nulla. Quando finalmente, con un po’ di sforzo da parte di entrambe, riuscirono a spostarla, Maureen vide, abbandonata a terra, una chiave solitaria con una grossa goccia di sangue ormai secco a macchiarla. A prima vista non potevano vedere se sulla chiave ci fossero o meno delle impronte, ma erano piuttosto sicure che non fosse intento della Vikander lasciarsela alle spalle. Speravano quindi, che, nascoste per il momento alla loro vista, ci fossero almeno delle impronte parziali dell’assassina che potessero piazzarla sul luogo e darle modo di entrare in casa senza bisogno di scassinare l’ingresso principale.
«Bingo...» mormorò, ricevendo un mugugno d’assenso da parte di Tala, che scattò un’altra foto con il cellulare, prima di chinarsi e prendersi cura con molta delicatezza della prova.
«Okay, a questo punto abbiamo un capello e una chiave insanguinata che forse avrà delle impronte a piazzarla sul luogo del delitto. Quelli della scientifica non hanno notato la portafinestra scassinata quando sono stati qui la prima volta, o ci sarebbe stata una menzione nel rapporto preliminare. Dovremmo chiedere loro di passare per vedere se ci sono delle impronte pure lì, giusto per avere una corrispondenza a quelle che potrebbero trovare sulla chiave,» aggiunse Tala elencando il tutto mentre prendeva appunti sul suo solito blocco tascabile.
«Dubito troveranno impronte su quella finestra,» ribatté Maureen scettica. Quando la collega le rivolse un’occhiataccia alzò le mani in segno di resa e proseguì. «Dico solo che la chiave e il capello sembrano errori non calcolati. Non abbiamo trovato né i vestiti insanguinati e neppure l’arma del delitto quando abbiamo cercato nella spazzatura della zona, quindi non era proprio sprovveduta sul come trattare una scena del crimine… Sarà un miracolo se avremo delle impronte anche solo su quella chiave.»
Tala sembrò rifletterci per un attimo, ma poi sospirando aggiunse: «E quando ieri pomeriggio ho letto il rapporto della scientifica non c’era menzione di impronte di persone schedate sulla porta principale. Okay, ammetto che potresti avere ragione, la chiave sotto la poltrona potrebbe essere un errore… Magari le è caduta da una tasca mentre si stava cambiando i vestiti sporchi di sangue? Forse è per questo che ha lasciato la porta socchiusa uscendo? Magari si è accorta in quel momento di averla persa, ma era troppo tardi e ha preferito non rischiare di rientrare a cercarla?»
«Probabile, rischiava anche di inquinare ulteriormente la scena con le impronte delle scarpe appena cambiate, se aveva effettivamente dei vestiti puliti con sé. Comunque, qualsiasi sia stata la dinamica, penso che stavolta non ci siano davvero altre prove fisiche che noi due possiamo tirare fuori da questo posto.» Maureen abbassò lo sguardo sull’orologio che portava al polso, prima di rivolgersi di nuovo alla collega.
Esitò solo per un istante, valutando se fosse o meno una buona idea ciò che stava per fare, poi prese un respiro profondo e decise che l’approccio che aveva avuto fino a quel momento non aveva funzionato e che forse era arrivato il momento di cambiare strategia. «Ti va di andarci a prendere un caffè mentre aspettiamo che sia un orario più consono per andare a suonare ai vicini dei Rowe per chiedere se possiamo avere i filmati delle loro telecamere di sicurezza?» propose.
Per qualche secondo Tala la studiò dubbiosa, e Maureen fu quasi sul punto di correre ai ripari ritirando l’offerta; poi, la collega le rivolse un sorriso timido, stavolta più sincero dell’ultimo che le aveva visto stampato in faccia poco prima in auto.
«Mi sembra un’ottima idea.»
Forse quella cosa dell’essere professionali di nuovo come all’inizio non sarebbe stata così difficile ora che avevano toccato davvero il fondo una volta per tutte…

 
*****

Quando rientrarono al distretto di polizia qualche ora più tardi, Maureen e Tala non ebbero un attimo di pace per il resto del loro turno e, come previsto, furono di nuovo costrette a rimanere fino a ben oltre il previsto.
Si occuparono di richiedere un secondo sopralluogo della scientifica sulla scena del crimine, fecero consegnare al laboratorio le nuove prove richiedendo che a tutte, comprese quelle che sarebbero state eventualmente raccolte nelle ore successive dalla scientifica, venisse data la precedenza rispetto a quelle di altri casi aperti, fecero richiesta di spostare la signora Rowe in un motel e che le fosse assegnato almeno un agente per la sua protezione, perché era ormai ovvio che la poveretta fosse più una vittima che un sospettato e certo non potevano continuare a tenerla al distretto per la sua protezione.
Infine, avevano visionato i video di sorveglianza dei vicini di casa della signora Rowe; avevano così trovato non solo una prova che dimostrava la solidità dell’alibi della moglie della vittima, ma avevano anche quelle che secondo loro erano immagini della Vikander che si incamminava in direzione della scena del crimine con un set di vestiti e uno zaino, e altre di lei che tornava dalla scena con dei vestiti diversi accompagnati dallo stesso identico zaino. Certo, le immagini erano scure e la donna non si vedeva mai in volto, quindi dimostrare che si trattasse davvero di lei sarebbe stato difficile, tuttavia era comunque qualcosa…
Fu comunque abbastanza per convincerle che il procuratore sarebbero riuscito a far ottenere loro un mandato d’arresto nei confronti dell’ex detenuta, soprattutto se i risultati delle analisi del capello fossero arrivati dal laboratorio prima che la richiesta venisse inoltrata la mattina successiva, quindi aggiunsero anche quello alla pila di documenti da compilare.
La quantità di scartoffie che furono costrette a compilare per tutte le richieste che avevano messo in moto solo in quella mattinata, comunque, le costrinse a rimanere in ufficio fino a quando il sole non stava ormai già iniziando a scendere all’orizzonte; avevano quindi, passato a lavoro più tempo di quanto non avessero fatto il giorno precedente, ma erano consapevoli entrambe che era una cosa comune quando c’erano casi delicati come quello dell’omicidio del signor Rowe.
In realtà a San Diego non capitavano neppure così tanti casi di quel genere, Tala sembrava soltanto aver scelto la settimana sbagliata in cui tornare; o forse quella giusta a giudicare da quanto sembrasse felice ed eccitata dal suo lavoro nonostante la stanchezza.
Stavano quasi per andare ognuna per la sua strada in direzione delle rispettive automobili private, quando uno degli agenti che aveva appena cominciato il turno serale uscì di corsa seguito a ruota dalla signora Rowe, che ora indossava dei vestiti puliti che le avevano portato da casa sua.
«Detective Thomas, Detective Hill,» le richiamò a gran voce il poliziotto. Si bloccarono entrambe, girandosi a osservarlo, prima di rivolgersi un’occhiata perplesse. «Ecco, mi hanno assegnato alla protezione della signora Rowe, ma avremmo bisogno di un passaggio fino al motel. Non volevamo dare nell’occhio andandoci con una delle volanti e io non ho un’auto mia...»
Tala e Maureen si fissarono per qualche secondo e quando quest’ultima notò la collega mordicchiarsi il labbro inferiore e abbassare gli occhi sull’orologio che portava al polso, la decisione fu già presa prima ancora che lei potesse razionalizzare ciò che le uscì di bocca.
«Vi ci porto io. Tala ha una famiglia a casa che l’aspetta per la cena, io al massimo ho un frigo vuoto e il menù del ristorante cinese,» scherzò dando una gomitata alla sua ex prima di spingerla appena in direzione del parcheggio, dove sapeva esserci l’orribile monovolume che guidava da quando era diventata mamma.
La collega le sorrise raggiante, quasi soddisfatta dal suo tono scherzoso, ma non canzonatorio, e Maureen si sentì costretta a distogliere lo sguardo per non arrossire. Fece cenno all’agente Ballard e alla signora Rowe di seguirla, poi si girò e a passo svelto andò nella direzione opposta, dove aveva parcheggiato la sua Camaro, il suo gioiellino degli anni ‘70 che aveva ristrutturato con tanto amore nel corso del tempo.
«Non è molto comoda dietro, quindi la signora si siederà davanti con me,» li avvisò, ricevendo in risposta solo un sospiro amareggiato da parte dell’Agente, che però stava comunque fissando con ammirazione la sua auto. Gliela invidiavano tutti al distretto, ed era sicura che l’Agente Ballard si sarebbe vantato di aver avuto il privilegio di fare un giretto sulla sua auto, quando gli unici altri poliziotti che ci erano saliti erano Tala e Rex.
Fece accomodare entrambi, poi salì a sua volta e si mise alla guida, evitando di accendere la radio a tutto volume come faceva di solito, lanciando invece delle occhiate preoccupate verso la signora Rowe, che in quelle ore si era chiusa di nuovo nel suo silenzio di tomba.
«Non è colpa sua, lo sa vero?» mormorò Maureen dopo un po’. Quando non ricevette risposta, proseguì. «Tutti abbiamo i nostri problemi, anche lei ne ha avuti in passato, e ha trovato il modo di affrontarli. Eleanor non ha affrontato i suoi; ha avuto più occasioni di ricevere aiuto, glielo assicuro, ma non ha mai cercato di fermarsi o di cambiare...»
Fece una pausa in cui spostò lo sguardo per un istante sulla donna, che la stava osservando con gli occhi lucidi, eppure sembrava la stesse ascoltando.
«Per esperienza, non ha motivo di sentirsi in colpa di ciò che fa qualcun altro. Lei ha soltanto cercato di continuare ad andare avanti con la sua vita ed Eleanor non l’ha accettato.»
«È una cosa che certe tipi di ex tendono a fare...» s’intromise l’Agente Ballard quasi non badando davvero a ciò che stava dicendo, mentre cercava di scattarsi un selfie dal sedile posteriore -decisamente si sarebbe vantato con i suoi colleghi di quel giretto sulla Camaro.
Maureen percepì un lieve calore salirle sul retro del collo, imbarazzata nel rendersi conto di come il suo comportamento nei confronti di Tala, in un certo senso, fosse stato da ex molto problematica. «Già. Il punto è che certe ex hanno anche problemi un po’ più preoccuparti dell’essere soltanto un po’ appiccicose o del non accettare una rottura...»
Il resto del viaggio fu silenzioso, ma Maureen sperò con tutto il suo cuore che quelle parole, per quanto forse caotiche e con tutta probabilità anche senza capo né coda, l’avessero rincuorata almeno un pochino che davvero non fosse colpa sua se la Vikander l’aveva trovata e aveva ucciso a sangue freddo suo marito.

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Capitolo 3
*** Better Off ***


The Thing About Exes

CAPITOLO 3

Better Off

One day I will remember how it felt
When it was good
I won't feel torn each time I hear your name
[…]

When I look back, I'd like to say
You're better off because of me
And maybe if you asked me to forgive
One day I will, one day

When I look back, I'd like to say
I'm better off on my own
And even though right now I don't feel strong
One day I will, I will

One day I will – Joy Williams



Maureen non fu per niente sorpresa di ritrovarsi seduta nella cucina della signora Pierce anche quella sera. Aveva comunque fatto più tardi, perciò per l’orario in cui aveva parcheggiato l’auto nel vialetto la donna aveva già finito di cenare, gli avanzi lasciati coperti sul tavolo della sala da pranzo ad aspettare la detective mentre l’anziana donna attendeva il suo arrivo alla finestra del salotto.
Non le dispiaceva avere qualcuno che l’accoglieva in quel modo quando arrivava a casa stanca dopo una giornata pesante, e certo non si lamentava di trovarsi nel piatto un delizioso tacos di pesce e verdure fatto in casa dalle manine premurose della signora Pierce invece di essere costretta a ordinare per l’ennesima volta da asporto -il suo portafogli, il suo stomaco e la sua linea ringraziavano sentitamente.
Quello che un po’ la rattristava era il pensiero di essere ormai prossima ai quarant’anni e di essere, beh, tutto sommato ancora piuttosto sola. Si chiese se la signora Pierce, quando aveva avuto la sua età, avesse avuto lo stesso tipo di pensieri e se ora, ormai anziana e sola, avesse dei rimpianti sulle proprie scelte di gioventù.
Mentre mangiava con la testa tra le nuvole fissando la sua nonna acquisita che lavava i piatti nella piccola cucina che si intravedeva dal tavolo della modesta sala da pranzo, si chiese anche se le cose con Tala avrebbero mai potuto essere andate in modo diverso, se ciò che aveva trovato con Mark avrebbe potuto trovarlo con lei, se solo le circostanze fossero state più a suo favore o se si fosse resa conto prima che la loro relazione non era a tutti gli effetti ricambiata a livello sentimentale come avrebbe voluto.
Scosse la testa e riportò lo sguardo sul piatto, consapevole che non fosse una buona idea ricominciare a rimuginare su quel genere di pensieri; Tala aveva ragione, non poteva continuare a restare bloccata su di lei. Se davvero si sentiva sola e voleva qualcuno nella sua vita, era arrivato il momento di trovare qualcuno di nuovo perché non c’era davvero alcuna speranza che Tala tornasse tra le sue braccia. Non c’era mai stata, in realtà...
«Sei molto silenziosa,» mormorò la signora Pierce sedendosi affianco a lei mentre si asciugava le mani con un canovaccio.
Maureen sospirò e le rivolse un sorriso amareggiato. «Ci sono stati nuovi sviluppi nel caso di ieri e… diciamo che mi hanno fatto riflettere su un lato della mia personalità su cui non mi ero mai soffermata. Non mi è molto piaciuto quello che ho visto. Non pensavo che avrei potuto diventare quel tipo di persona, tutto qui.»
La donna le poggiò una mano sulla spalla. «Oh, tesoro, nessuno è perfetto.»
Ridacchiando demoralizzata Maureen continuò, abbandonando per il momento la propria cena nel piatto. «Ne sono certa. Ero solo convinta di essermi sempre comportata in modo consono in base a ciò che era accaduto, pensavo che fosse giustificato ciò che stavo facendo considerato tutto. Invece… No, non ci sono scusanti, mi stavo solo comportando da persona orribile e da pessima collega...»
Per qualche istante calò il silenzio e Maureen pensò quasi che anche la signora Pierce l’avesse etichettata come un vero e proprio caso perso. Invece la donna si alzò e la strinse in un abbraccio; quando alzò lo sguardo verso di lei, si accorse che la sua nonna acquisita aveva perfino gli occhi lucidi.
«Bimba mia, tutti commettiamo degli errori di giudizio a volte. Valutiamo la situazione con le carte che abbiamo in mano e poi paghiamo le conseguenze delle nostre scelte.» Per qualche ragione, Maureen ebbe come l’impressione che stesse parlando per esperienza personale e la cosa quasi le spezzò il cuore. Strinse la signora Pierce ancora di più a sé, affondando il viso contro il suo seno e chiudendo gli occhi, restando in ascolto.
«Mi hai raccontato quello che è successo tra te e Tala, tesoro, e fidati di me quando dico che non hai motivo di addossarti tutte le colpe. Avete sbagliato insieme all’inizio, tu hai solo questo problema d’essere testarda come un mulo e hai perseverato un po’ più a lungo...» la rincuorò lei facendola perfino ridacchiare, anche se Maureen sentiva le lacrime salirle agli occhi.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, la donna che le carezzava i capelli ormai in tremendo disordine dopo una giornata passata alla scrivania ad arruffarseli per la frustrazione mentre compilava documenti d’ogni genere.
Quando qualche minuto dopo si staccarono dall’abbraccio, la signora Pierce le carezzò la guancia e le diede un bacio sulla fronte, prima di continuare. «Vedrai, bimba mia, verrà un giorno in cui non sentirai più quel desiderio che lei ti chieda scusa per averti spezzato il cuore perché non avrai più nulla da perdonarle. Quando succederà sarà tutto sistemato.»
Maureen annuì, ma rimase immobile, mordicchiandosi il labbro. «E nel mentre? Insomma, pensavo di essere abbastanza forte da riuscire a cavarmela, ma non mi sento così forte ogni volta che mi chiama Ree o che mi sorride come faceva prima...»
La signora Pierce le rivolse un altro sorriso triste, quell’espressione saputa in viso di chi aveva di certo avuto il cuore spezzato più volte nella sua vita. «Lo so tesoro, è una sensazione orribile. Però un giorno andrà meglio, te lo prometto. Devi soltanto avere pazienza, prima o poi smetterà di fare così tanto male. E poi sei ancora giovane, sono sicura che il fascino della divisa attirerà qualche altra donzella che ti farà dimenticare questa Tala in men che non si dica ora che sei pronta ad andare oltre.»
Maureen le sorrise e annuì sospirando. «Non porto la divisa da molto tempo, ma suppongo che potrei mostrare in giro il distintivo...»
«Brava ragazza,» esclamò la donna carezzandole di nuovo il viso. «Ora mangia. Hai bisogno di energie dopo quel doppio turno!» Con quelle ultime parole tornò in cucina e Maureen decise di non commentare quando la sentì soffiarsi in modo rumoroso il naso.
Sospirò di nuovo prima di ricominciare a mangiare, anche se ancora troppo presa dai suoi pensieri per gustarsi davvero i manicaretti della sua nonna acquisita. Si chiese se sarebbe bastato sul serio un buon vecchio chiodo scaccia chiodo per dimenticarsi di Tala o se sarebbe bastato ricorrere ancora una volta alla sua pura e semplice testardaggine. Per qualche ragione dubitava che avrebbe funzionato; era piuttosto certa che quell’intera situazione sarebbe stato un cantiere aperto su cui avrebbero fatto continui passi avanti e indietro per molto molto tempo. Sperava solo che sia lei che Tala fossero disposte a investire abbastanza energie da portare a termine il progetto…

 

*****


Quando il cellulare prese a squillarle sul comodino nel mezzo della notte, per poco Maureen non cadde dal letto nel tentativo di recuperarlo prima che la chiamata finisse in segreteria. Appena si raddrizzò e riuscì a rispondere, non la stupì sentire la voce di Rex dall’altro capo; dopotutto le uniche persone che la chiamavano a quell’ora di solito erano colleghi di lavoro dal distretto...
«Sono felice di comunicarti che la tua presenza è richiesta il prima possibile alla tua scrivania per occuparti delle scartoffie per l’arresto di Eleanor Vikander.»
Per un istante Maureen rimase immobile, seduta più o meno scomposta sul letto mentre sbatteva le palpebre nella semi oscurità della propria stanza, confusa da ciò che aveva appena sentito.
«Cosa?»
Al telefono Rex sospirò in modo rumoroso, facendo gracchiare il microfono. «La Vikander! Non so come, deve aver stalkerato la casa o il distretto o qualcuno. Ha comunque trovato il modo di scoprire in quale motel stavamo tenendo la signora Rowe e ha provato ad aggredirla durante il cambio di guardia circa un’ora fa. Per fortuna non è successo nulla, anche se Ballard era assonnato e non si è accorto di niente di sospetto; quindi è merito dell’Agente Wilson, che dopo aver riposato per tutta la giornata quando ha riattaccato il suo turno era abbastanza lucido da riconoscere una persona dal comportamento sospetto e appena l’ha avvicinata, l’ha riconosciuta subito come la nostra sospettata. L’ha bloccata prima ancora che mettesse piede nella stanza della signora Rowe.»
All’improvviso Maureen si sentì del tutto sveglia e, per qualche strano e assurdo motivo, orgogliosa ancora una volta di Alan. «Davvero, è stato Wilson? Aspetta, la Vikander ha opposto resistenza all’arresto? Alan sta bene, vero?» aggiunse poi preoccupata.
Per qualche istante ci fu silenzio dall’altro capo del telefono, prima che Rex scoppiasse a ridere; Maureen spostò il telefono dall’orecchio e fissò lo schermo perplessa per un secondo prima di riavvicinarlo quando lo sentì ricominciare a parlare. «È sano come un pesce. La Vikander ha provato a opporre resistenza, ma Alan se l’è cavata benissimo, anche quando la signora Rowe ha messo il naso fuori dalla sua stanza attirata dal casino e la Vikander ha cominciato a dimenarsi come un’anguilla lanciandosi in una confessione spontanea e molto colorita. Ora vieni a compilare le dannate scartoffie del tuo novellino, Maureen!» lo sentì solo aggiungere ancora tra le risate prima che concludesse la chiamata in modo brusco.
Rimase ancora per qualche istante seduta a letto, osservando la stanza ora un po’ più illuminata dalla luce dello schermo del telefono. Doveva essersi incantata a fissare il nulla, perché un paio di minuti più tardi il cellulare le vibrò tra le mani e quando abbassò lo sguardo notò che era un messaggio di Tala che le chiedeva se avesse bisogno di aiuto per chiudere il caso.
Fu indecisa soltanto per un istante sul da farsi, poi si accorse dell’orario: erano le tre e mezza. Sospirò, quindi le rispose di restarsene a dormire; l’avrebbe rivista alle sei, quando sarebbe cominciato il turno del mattino.
Si alzò dal letto stiracchiandosi e osservando fuori dalla finestra il cielo ancora buio. Tutto sommato quella giornata poteva essere cominciata molto peggio, quindi cercò i vestiti che aveva abbandonato ai piedi del letto la sera precedente pensando a un possibile lato positivo per quell’inizio di turno anticipato: magari sarebbe tornata a casa per l’orario di pranzo ora che stavano chiudendo il caso…

 

*****


Maureen sbadigliò di nuovo, sbirciando nell’angolo dello schermo per l’ennesima volta l’orario. Il suo desiderio di tornare a casa per l’orario di pranzo, purtroppo, era rimasto tale: un desiderio. Rex infatti, nella sua palese crudeltà, aveva fissato con sguardo contrariato e mani sui fianchi la pila di rapporti da controllare che lui le aveva passato e che si era accumulata sulla sua scrivania, prima di lasciare l’ufficio alla fine del suo turno più o meno un paio d’ore dopo che Tala si era presentata in ufficio. Presa quindi dal senso di colpa, aveva finito di scrivere il suo rapporto per il caso Rowe, e aveva poi cominciato a lavorare per sfoltire la mole di lavoro che aveva cercato di ignorare nelle ultime settimane.
Avrebbe voluto dire che stava sbagliando per la noia, ma in realtà era soltanto stanca; aveva davvero rivalutato ciò che le aveva detto Tala sul futuro che aveva in mente per lei Rex, e considerati i nuovi sviluppi con l’Agente Wilson… Era stranamente positiva e motivata riguardo quella situazione! Non era una cosa che le capitava spesso, quindi stava davvero cercando di impegnarsi sulla mansione che il suo migliore amico le aveva affidato. Voleva davvero diventare un’insegnante migliore, cosicché magari prima o poi si sarebbe guadagnata la stessa quantità di rispetto che aveva il Tenente con il resto dei loro colleghi al distretto.
Un brusio concitato le fece alzare la testa all’improvviso dal rapporto che stava leggendo, ma quando notò che non stava succedendo nulla di male tolse la mano da dove si era poggiata d’istinto sulla fondina dell’arma sul suo fianco, cosa che parevano aver fatto anche un paio di altri suoi colleghi.
Il rumore era causato da una donna dai capelli rosso naturale acconciati in uno chignon perfetto, con in braccio un bambino di due o tre anni; la signora stava parlando alla reception in tono forse un po’ troppo alto, attirando l’attenzione di mezzo distretto.
«Cassandra?» chiese Tala dalla sua scrivania poco distante da quella a cui era seduta Maureen, che si girò a osservarla. La vide alzarsi in piedi e camminare verso la donna con un’espressione perplessa in viso.
«Sorpresa!» urlò la donna, seguita in coro dal bimbo, che alzò anche una delle mani, mentre l’altra era ancora stretta alla maglia, che sembrava parecchio costosa, della signora sulla trentina che lo teneva in braccio.
Le due si incontrarono nel mezzo della stanza, attirando l’attenzione di tutto il distretto quando il bimbo passò dalle braccia della sconosciuta a quelle di Tala, affondando il viso nel suo collo e iniziando a tempestarlo di baci. La detective rise e diede al bimbo un bacio a sua volta sulla guancia. «Ciao anche a te, tesoro. Come è andata la scuola?» gli chiese e subito lui iniziò a raccontare con la classica parlata dei bimbi di quell’età, dal vocabolario limitato e con ancora dei problemi nel pronunciare alcune lettere.
La madre, comunque, rivolse un’ovvia occhiata dubbiosa verso l’altra donna, perlopiù ascoltando il figlio in modo passivo, annuendo di tanto in tanto mentre gli carezzava la schiena; la rossa semplicemente scrollò le spalle sorridendo, prima di parlare. «Davvero, non è successo nulla. Hai solo fatto tardi di nuovo e ho pensato che sarebbe stato carino portarlo a vedere dove lavora la sua mamma,» esclamò quest’ultima guardandosi in giro e facendo con una mano piccoli cenni di saluto rivolti a chiunque incontrasse il suo sguardo, mentre con l’altra mano poggiata sulla schiena dell’amica la spingeva in direzione della scrivania da cui l’aveva vista arrivare.
Quando furono accanto alla postazione di Maureen, si fermarono ed entrambe le donne abbassarono lo sguardo verso di lei, che già le stava studiando curiosa.
«Maureen, questa è Cassandra, una cara amica oltre che la mia vicina di casa,» gliela presentò Tala sistemando meglio il bimbo che stava tra le sue braccia. «E questo è mio figlio Arnel. Ma ha ancora qualche difficoltà con le elle, quindi per il momento solo Arny va bene,» concluse facendo il solletico alla pancia del piccolo, che ridacchiò nascondendo la faccia di nuovo nel collo della madre.
Maureen si limitò a sorridere e borbottare quello che era sicura sarebbe passato come un saluto cordiale verso il bimbo; era incredibile come il piccolo somigliasse a Tala. Aveva la sua stessa carnagione, forse appena un po’ più chiara, e i suoi stessi capelli neri, oltre che gli stessi tratti orientaleggianti. L’unica cosa che davvero lo contraddistingueva come il figlio anche di Mark, erano gli occhi verdi. Era sicura che quando sarebbe cresciuto quel piccoletto avrebbe infranto cuori in ogni dove con quegli occhioni.
Quando spostò di nuovo lo sguardo verso l’amica di Tala, quasi sussultò sulla sedia: non s’era aspettata tanta aperta ostilità sin dal primo momento. Non che avesse paura di una civile, dopotutto era armata e addestrata, però l’aveva comunque colta di sorpresa.
Si alzò in piedi e le porse una mano per una presentazione forse più consona. Magari era il tipo di persona che teneva all’educazione e le aveva mancato di rispetto?
«Ehm… È un piacere. Vorrei poter dire che Tala mi ha parlato di lei, ma sono stata una pessima amica di recente, quindi… Non ne ha ancora avuto l’occasione.»
Parve aver detto le parole giuste, perché Cassandra accettò la mano e gliela strinse. «Già, Tala mi ha raccontato delle vostre divergenze. Del vostro passato. Immagino abbiate chiarito, adesso? Acqua sotto i ponti, storia passata, amiche come prima e tutta quella serie di modi di dire che si usano in queste situazioni?» domandò senza peli sulla lingua.
Maureen arrossì e tossicchiò, mentre Tala sospirava e le lanciava un’occhiataccia tutt’altro che impressionata. Sembrava quasi si stesse trattenendo dal commentare in qualche modo colorito solo perché era presente il figlio.
«Suppongo di sì...» fu tutto ciò che riuscì a rispondere Maureen, il tono forse un po’ incerto, ma pur sempre sincero.
Ci furono lunghi istanti di silenzio in cui la rossa la fissò come se stesse studiando una specie molto rara di animale o forse una borsa particolarmente costosa; poi, in uno scatto del tutto inaspettato, le si avvicinò e le mise un braccio intorno alle spalle nonostante fosse quasi cinque centimetri più bassa di lei anche con le alte scarpe col tacco, anch’esse dall’aspetto molto costoso.
«Ottimo! Abbiamo bisogno di un’altra aggiunta per quando a bordo piscina sorseggiamo daiquiri e parliamo d’arte moderna e di pannolini!» Maureen la fissò perplessa boccheggiando, tuttavia decise che assecondarla fosse l’idea migliore a giudicare dall’espressione rassegnata ma sorridente di Tala, quindi borbottò un okay che Cassandra parve ignorare. «Hai più di 35 anni, vero?» aggiunse infatti quest’ultima quasi come un ripensamento qualche istante dopo, osservandola ancora una volta.
Maureen annuì appena. «Sì, 37 compiuti a marzo in realtà, ma...»
«Perfetto, non mi sentirò neppure più come la vecchietta della situazione! Sul serio però, dobbiamo fare qualcosa per quell’orribile ricrescita… Tala, come hai potuto permettere che un’amica si trascurasse in questo modo? Dobbiamo rimediare a questo disastro...» continuò a borbottare tra sé e sé giocherellando con i capelli di Maureen.
Ancora presa del tutto alla sprovvista dal tornado inarrestabile che sembrava essere la vicina di casa della sua partner, si voltò a fissare di nuovo il viso di Tala, che stava sorridendo soddisfatta, stampando ogni tanto dei baci sulla guancia del figlio, il quale sembrava essersi già addormentato tra le braccia della madre.
Quando i loro sguardi si incontrarono, Tala le sorrise radiosa e Maureen, senza sapere perché, rispose con un sorriso altrettanto sentito. Non c’era un motivo in particolare, ma in preciso quel momento ebbe la certezza che la signora Pierce avesse ragione: il tempo di certo avrebbe curato ogni ferita.

FINE.

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