Il torneo

di Ready_to_go
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** prologo ***


~~

1

La stazione di King Cross era sempre affollata ma quell’anno pareva ancora più caotica del solito. Perfino i babbani si erano accorti del bizzarro tripudio di mantelli dai colori eccessivamente sgargianti e dalle voci garrule che parlano in modo così strano da non sembrare neppure inglese. Chi usciva dalla vicina Saint Pancras vedeva come prima cosa adulti con bastoncini in mano e abiti assurdi. Molti viaggiatori si guardavano interrogativamente per poi catalogare ciò che si trovavano davanti agli occhi come semplici bizzarrie. I Londinesi, degni abitanti di una metropoli cosmopolita erano avvezzi alle stranezze. Ma il vero gaudio si trovava una volta superata la barriera tra i binari nove e dieci. Centinaia di minuscoli maghetti si accingevano ad andare ad Hogwarts per la prima volta e guardavano con occhi affascinati e spaventati il grosso e sbuffante treno rosso che sarebbe partito alle undici in punto. Studenti più grandi chiacchieravano in gruppetti più o meno rumorosi, trascinando grossi e pesanti bauli e ingombranti gabbie con i loro preziosi gufi. Decine di gatti pasciuti e dei colori più svariati si strusciavano sulle caviglie dei passanti, lasciando qualche pelo in ricordo. Qualche grasso e bitorzoluto rospo gracidava tra le mani del proprio piccolo padrone. Tantissimi erano i genitori che abbracciavano, ammonivano e salutavano i figli in partenza per la scuola e che non avrebbero rivisto fino a Natale. L’atmosfera era gioiosa, come un giorno di festa, un compleanno collettivo. Il primo rientro a scuola dopo la morte di Voldemort andava celebrato e perfino chi non aveva figli o nipoti da accompagnare all’Espresso per Hogwarts si era avventurato alla stazione lieto di festeggiare la ritrovata libertà dalla paura dell’anno appena trascorso.
Anche Harry Potter, Hermione Granger, Ron e Ginny Weasley, come ogni anno, erano sul binario 9 e tre quarti ma, diversamente dal solito, solo le due ragazze avevano con loro i bagagli perché solo loro avevano scelto di tornare. A dire il vero per Ginny non si era proprio trattata di una scelta quanto piuttosto un’imposizione della madre. Molly, già distrutta per la morte di uno dei suoi figli adorati, aveva a stento accettato che Ron avesse mollato gli studi per dirigere i Tiri Vispi Weasley con George. Non avrebbe certo accettato che la sua bambina non prendesse i MAGO. Hermione invece era entusiasta per quel nuovo anno scolastico e mostrava con orgoglio la nuova, fiammante spilla da caposcuola, già appuntata sulla camicetta della divisa, stirata alla perfezione. Amava Hogwarts quanto amava casa sua ma per tutta la sua carriera scolastica vi aveva rischiato la vita. L’idea di un anno senza rischiare di essere schiacciata da degli scacchi giganti o senza essere baciata da dei dissennatori la elettrizzava. Harry e Ron le sarebbero mancati molto ma dopo gli anni di emozioni folli, rischi assurdi, paure cieche e tensioni, un po’ di noia non le avrebbe certo fatto male. Probabilmente in molti la pensavano come lei perché la maggior parte dei ragazzi del suo anno, anche quelli che avevano vissuto il regime di terrore dei Carrow, erano tornati, per il loro vero, ultimo anno. Per salutare la scuola che per anni era stata la loro casa. A poca distanza dal quartetto c’era Neville che si stava accommiatando da una nonna incredibilmente fiera di quel suo nipote che ancora recava sul viso i segni di una guerra che aveva combattuto in prima linea, senza paura di soccombere e senza che mai la sua integrità vacillasse. Anche lui, sulla camicia, aveva la spilla da caposcuola. Ogni tanto la guardava ancora stupito, come se non meritasse quell’onore. Per anni era stato solo il grassoccio ragazzino che faceva fatica a ricordare anche gli incantesimi più semplici e paciugava con le magie più elementari. Anche Lavanda era tornata, con delle brutte cicatrice sul viso snello, che nemmeno provava a nascondere ma mostrava con coraggio. Vicino a lei Calì e Padma, chiacchierine ma senza la vecchia spensieratezza, camminavano a testa alta con un gran sorriso sui volti dalla pelle color miele.
Solo i Serpeverde, nel tripudio di gioia collettiva, erano seri e dimessi. Erano dimezzati pur essendo la casa con meno perdite. Una manciata di loro era morta. Alcuni, come Tiger e Nott, erano stati arrestati per l’uso di Maledizioni Senza Perdono e stavano scontando la loro pena in una Azkaban priva di dissennatori. Kingsley si era dimostrando un Ministro della Magia assolutamente corretto e incorruttibile e tutti i Mangiamorte avevano avuto la giusta punizione. Altri ancora erano latitanti, fuggiti all’estero con i genitori, il mandato d’arresto pendente sulle loro teste li aveva convinti ad entrare in clandestinità. Malfoy invece era tornato. Tutta la sua famiglia aveva avuto l’immunità grazie al gesto di Narcissa. Con la sua bugia a Voldemort aveva salvato la vita ad Harry, creando un contratto magico vincolante. Quando aveva chiesto la grazia per Draco e Lucius non gliela avevano potuta negare. Dopo di che i due coniugi era parti. Si erano trasferiti nel loro castello in Transilvania, abbandonando Villa Malfoy in tutta fretta alle cure dell’unico figlio. Draco, infatti, era rimasto in Inghilterra per quell’ultimo anno di scuola e pareva aver portato con sé tutta la sua boria. Evidentemente la guerra non aveva lasciato nessun segno nel profondo del suo animo. Anche lui aveva sul petto la spilla da Caposcuola che attirava sguardi perplessi e sorrisi sarcastici da chiunque la notasse.
<< Hermione, sei proprio sicura di voler partire? >> Chiese Ron per la centesima volta. Aveva passato le ultime due settimane cercando di convincere la sua migliore amica a non tornare ad Hogwarts. << La McGranitt e Kingsley ci hanno garantito i MAGO per i Servigi Speciali Resi al Mondo Magico. Perché non li accetti? >>
<< No, Ron, voglio frequentare l’ultimo anno. Sento che la mia preparazione non si è ancora conclusa, ci sono ancora tante cose che voglio imparare. Il lavoro può aspettare ancora un anno. Quando avrò finito gli esami allora sì che sarò pronta. >>  Hermione abbracciò i suoi amici, poi corse sul treno per impedirsi di piangere. Raggiunse Neville, già accomodato in uno scompartimento con Luna Lovegood. La guerra e la prigionia che avevano smunto il suo viso e impallidito le sue guance non avevano cancellato la bontà e la fiducia dal suo sguardo cristallino. Anche la collana con i tappi di burrobirra non era andata perduta e attirava sempre un certo numero di sguardi.
Ginny fece il suo ingresso nello scompartimento, salutò Neville con calore e si sedette accanto a Luna. << Hai trascorso una buona estate, Luna? >>
<< Ciao Ginny, ciao Hermione >> le salutò con la sua solita voce svagata, di chi si trova a passare lì per caso e incontra inaspettatamente un vecchio amico. << Io e papà abbiamo trovato le uova di Humpret. >>
<<… Humchè?>> chiese Neville raddrizzandosi l’amata spilla per forse la centocinquantesima volta.
<< Humpret! Sono dei folletti-uccello molto rari. Le loro uova hanno la forma, la consistenza e il colore dei sassi di fiume. >>
<< Non esistono, Luna >> borbottò sottovoce Hermione, ma senza darsi troppa pena di convincerla: non ci sarebbe mai riuscita. Era certa che la bionda e bizzarra amica non avesse trovato altro che vere e proprie pietre. Si tuffò nella sua grossa borsa a tracolla, ulteriormente espansa con la magia. Riemerse con una copia nuova fiammante di Guida pratica alla trasfigurazione in Animagus.
<< Hermione ma già hai intenzione di studiare? >> Chiese Ginny scandalizzata. << La scuola non comincerà che… >> guardò il piccolo orologio d’oro, dono per i diciassette anni compiuti da poco << Tra sette ore. >>
<< I MAGO sono una cosa seria. Non ho nessuna intenzione di accontentarmi e di ricevere meno di E in tutte le materie che ho scelto per quest’anno. Inoltre sto studiando per diventare Animagus, ma sto facendo molta fatica a trovare il mio animale. Secondo la McGranitt dovrei provare con un uccello, secondo lei l’aquila, ma io odio… >> la strega si interruppe quando si rese conto che nessuno la stava ascoltando. Aprì il libro e, piccata, cominciò a leggere.
Era tanto assorta nella descrizione di quella pratica magica così avanza che il viaggio durò un attimo e non si accorse nemmeno che il treno aveva iniziato lentamente a rallentare con un lieve stridore. << Hermione! >> La riscosse Neville picchiettando con impacciata cortesia sulla sua spalla. << Dobbiamo accompagnare i bambini del primo anno al lago da Hagrid. >>
Hermione ripose con cura il libro nella borsa e si alzò per seguire l’amico nello stretto corridoio del treno. Fuori aveva già iniziato a fare buio e già non si distinguevano più i dettagli della campagna nei dintorni di Hogwarts. Dagli scompartimenti uscivano i capiscuola delle altre case. La Grifondoro incrociò lo sguardo di Draco Malfoy che le sorrise beffardo. Il Serpeverde spinse fuori il petto affinché le luci dello scompartimento illuminassero la sua spilla: anche Malfoy era un caposcuola. Hermione non riusciva a capire come fosse possibile che la McGranitt avesse nominato proprio lui. Cercando di non pensarci iniziò, con gli altri suoi sette compagni, a chiamare tutti i ragazzini del primo anno.
Il treno si arrestò dolcemente e la Grifondoro scese seguita da una dozzina di minuscoli undicenni chiassosi ed eccitati. Tra di loro c’era anche una nanerottola che somigliava molto a lei quando era scesa dall’Espresso per Hogwarts per la prima volta. Si rivide in lei, macroscopica streghetta dall’ego smisurato ma di buon cuore. E si chiese, non per la prima volta, se la guerra le avesse tolto dallo sguardo quella cieca fiducia nel futuro che poteva vedere nella bambina.
il sole era tramontato da un bel pezzo quando, sbrigate le incombenze da Caposcuola, Hermione e Neville raggiunsero le carrozze. Ne divisero una con due studenti di Corvonero che guardavano sconvolti i Thestral. Dopo la guerra l’intero corpo studentesco di Hogwarts era in grado di vedere gli spettrali cavalli con il muso da rettile. Furono tra gli ultimi ad entrare nella Sala Grande, riccamente imbandita e con gli stendardi delle case appese ad ogni parete. Però era così strano vedere la McGranitt sedere al posto Silente e Lumacorno in piedi vicino allo sgabello, con il Cappello Parlante tra le mani. Il gigantesco professore poggiò il vecchio cappello sulla seduta e uno dei rattoppi si tirò nel solito sorriso prima di iniziare a cantare.
<< La battaglia è finalmente finita
e spariam che la lezione infin sia capita.
Non deve più esserci tutto quel rancore,
nella vita deve tornare il colore!
Le case si sono unite per la guerra
E finalmente regna la pace sulla terra.
Avvicinatevi piccoli e nuovi maghetti
Nella nostra scuola siete tutti ben accetti,
ora vi smisto nella giusta casata
proprio alla fine di questa ballata.
Lasciate pure che ve le presenti
Sono quattro e sono accoglienti.
C’è Grifondoro, leone rampante
Che predilige un coraggio fiammante.
Corvonero apprezza soprattutto
del cervello il miglior frutto.
Serpeverde ama l’ambizione e l’arroganza
ma ricordate il sangue non è l’unica cosa ad aver importanza.
Infine Tassorosso accetta senza distinzione
e dell’unità ha la giusta concezione.
La canzone è finita, la scuola è iniziata
Or ora vi smisto nella giusta casata. >>
Quando il Cappello Parlante tacque tutta la Sala Grande scoppiò in un fragoroso applauso. Lumacorno chiamò il primo bambino e lo smistamento incominciò. Diciassette nuovi bambini si unirono, nell’ora seguente, al tavolo dei Grifondoro ma soltanto sei si aggiunsero alla casa di Serpeverde.
Quando finalmente anche l’ultimo maghetto ebbe preso posto, la professoressa McGranitt si alzò per fare il suo primo discorso da preside.
<< benvenuti e bentornati. Che molti, la maggior parte di voi, siano qua è motivo di grande orgoglio per me. Ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare chi mai più potrà varcare le porte della nostra adorata scuola. Fate in modo che il loro sacrificio non sia stato vano. Non piangete le loro morti ma celebrate le loro vite, le loro azioni e i loro nobili gesti. Fate in modo che questa guerra un sia stata combattuta invano. Ricordate che non è il sangue o l’albero genealogico ad essere veramente importanti ma il cuore e la mente. Le Case devono essere uno stimolo per migliorare e non per dividervi. Devono essere una competizione sana ed è per questo che abbiamo indetto un torneo! >> Un brusio si diffuse per la Sala Grande. << Non verranno studenti da altre scuole e posso garantirvi che nessuno rischierà la propria incolumità. Si tratterà semplicemente di prove di abilità nelle arti magiche fondamentali: Pozioni, Trasfigurazione, Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Artimazia, Rune Antiche, Erbologia e Volo. Le prove si terranno il 15 di ogni mese a partire da ottobre e saranno diversificate in base alla classe frequentata. La disciplina verrà estratta il giorno prima. Ogni squadra sarà composta da quattro studenti dello stesso anno ma non della stessa casa. E non sarete voi a scegliere i vostri compagni, le troverete appese nella bacheca delle vostre Sali comuni. La squadra che più si sarà distinta, e non ha alcuna importanza a che anno sia, avrà l’opportunità di trascorrere l’intero mese di giugno nella scuola di Magia e Stregoneria Majikku, di Tokyo. Inoltre i vincitori non dovranno sostenere gli esami di fine anno e saranno promossi con E. Ma ora, senza altri indugi, vi lascio al banchetto. >> la preside schioccò le dita ossute e tutti i grandi tavoli si riempirono di pietanze prelibate.
L’intera Sala Grande, che era rimasta per quasi tutta la durata del discorso in religioso silenzio, esplose in migliaia di voci eccitate, mentre si riempivano i piatti dei propri cibi preferiti. Tutti, ma proprio tutti, non vedevano l’ora di dimostrare il proprio valore e le proprie capacità con la bacchetta magica. I più entusiasti erano proprio gli studenti del settimo anno, sarebbero potuti uscire con i migliori voti senza nemmeno dover affrontare i MAGO. Hermione incontrò lo sguardo di Ginny e le sfiorò la mano con la punta del dito. << Speriamo di essere in squadra insieme, magari è la volta buona che imparo a volare come si deve. >> Le due amiche risero, presto imitate anche da alcuni compagni. Ognuno aveva la propria teoria su quelle che sarebbero state le prove da affrontare e su chi si sarebbe aggiudicato il meraviglioso premio. Quando i dolci comparvero sulle tavole, erano già partite le scommesse sui vincitori ed Hermione era senza dubbio la favorita.
Nessuna cena era stata più rapida perché tutti volevano correre nella propria Sala Comune per scoprire i compagni di squadra. Anche Ginny ed Hermione fecero le scale piuttosto velocemente, tanto che arrivarono alla torre con un gran fiatone. La Signora Grassa non era affatto felice del fatto che nessuno si intrattenesse a fare quattro chiacchiere con lei ma aprì ugualmente il passaggio segreto. La pergamena con le squadre faceva bella mostra di sé nella grossa bacheca per gli annunci. Le due amiche si avvicinarono, facendosi largo tra la folla. Con il dito Hermione scorse il lungo elenco di nomi, scritto con la stretta grafia della professoressa McGranitt, fino a trovare il suo nella squadra sette.

Hermione Granger
Ginny Weasley
Anthony Goldstein
Draco Malfoy

Tutto l’entusiasmo di Hermione le scivolò di dosso come un mantello. Prima che potesse controllarla la sua bocca si spalancò in una smorfia di incredulità. Cercò lo sguardo della sua migliore amica e trovò la stessa espressione sul bel visetto lentigginoso di Ginny.
<< Sarà un anno infernale. >> disse infine Hermione tormentandosi una crespa ciocca di capelli scuri.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


 
Un mese prima.
- Mamma non potete andarvene!
La voce di Draco era quasi lacrimosa mentre supplicava la madre, indaffaratissima a dar ordini agli elfi domestici. Narcissa, impeccabile ed elegante nel mantello da viaggio color grigio antracite, muoveva la bacchetta con movimenti secchi e precisi e ad ogni tocco qualcosa nella grande e lussuosa stanza si spostava. I preparativi erano stati rapidi ed organizzati. Erano nella camera da letto padronale, quella che Lucius e Narcissa dividevano da vent’anni. Sette enormi bauli con le rifiniture in argento e l’imbottitura in pesante broccato di seta verde con l’emblema di Serpeverde ingombravano il pavimento di finissimo marmo bianco. Le luci erano tutte accese nonostante non fossero che le sei di sera e il sole non fosse ancora tramontato. Dalla finestra Draco poteva vedere quella che un tempo era stata una magnifica fontana, ora ridotta ad un ammasso di pietre. Tutta la casa aveva perso gran parte della sua magnificenza durante la guerra e il Ministero della Magia aveva dato il colpo di grazia. Fino a pochi anni prima era stata una delle ville più belle della Gran Bretagna. Lucius aveva fatto arrivare per il laghetto, nel quale galleggiavano bianche ninfee, delle meravigliose carpe koi dal Giappone e decine di bianchi pavoni passeggiavano nel curatissimo giardino con siepi di tasso.  Tutti e tre avevano sempre amato la loro casa elegante, status symbol della loro condizione agiata, del loro tenore di vita molto superiore a quello quasi tutti i maghi.
- Draco, te l’abbiamo già spiegato. -  La voce di Narcissa era secca, forse addirittura più del solito. Aprì l’armadio e con un colpo di bacchetta trasferì gli ultimi due spessi mantelli di velluto blu notte nel baule meno pieno. 
- Non me lo avete spiegato, me lo avete comunicato! – 
Il viso pallido di Draco era rosso per la rabbia e il nervoso, il mento pareva ancora più affilato del solito. Con la mano destra si tormentava l’avambraccio sinistro in un gesto inconscio e convulso. Il Marchio Nero stava lentamente svanendo troppo lentamente. Non gli era dispiaciuto portare il simbolo del Signore Oscuro finché era al culmine del suo potere, finché quel marchio gli portava rispetto, o per lo meno paura, ma ora che era morto gli pareva solo di recare addosso il simbolo di un fallimento. Draco non voleva la morte di Babbani e Mezzosangue ma rimaneva convinto che i Purosangue fossero loro superiori. Vederli tutti al servizio dei veri maghi, i Purosangue, era sempre stata l’unica cosa in cui aveva sempre creduto. Non aveva ucciso durante la guerra e non se ne era pentito, ma non per bontà d’animo. Quando le sorti del conflitto erano incerte e non più a favore dei Mangiamorte aveva lasciato che la sua natura prendesse il sopravvento: si era comportato in modo tale da potersi garantire la sopravvivenza qualunque fosse l’esito della battaglia.
Narcissa si fermò per un momento. Tese la mano al figlio, che tanto somigliava al padre nel corpo, quanto a lei nel carattere, e insieme si sedettero sul materasso nudo, spogliato delle eleganti lenzuola di seta. Narcissa prese tra le sue mani sottili, da pianista, le mani ormai più grandi di quelle di Draco.
- Draco, ho tradito il Signore Oscuro per te. E casualmente questo ha permesso a… - un istintivo moto di repulsione le attraversò il viso - …Harry Potter di vincere la guerra. Devo confessarti che non mi è dispiaciuto. Io condivido le idee del Signore Oscuro, noi maghi Purosangue siamo migliori di tutti gli altri, Babbani, Mezzosague e sudici ibridi. Ma il regime di terrore che aveva instaurato era troppo pressante. Se siamo migliori non dovremmo essere comandati da una sola persona che ha diritto di vita e di morte su di noi e sulle nostre famiglie. Il Signore Oscuro è morto ma siamo comunque in una situazione delicata. Ho salvato la vita a Potter e questo ci ha garantito protezione, ma la nostra famiglia ha perso molto del prestigio che aveva. Tuo padre è stato interdetto da ogni carica all’interno del ministero. Ogni volta che attraversiamo Diagon Alley veniamo additati, vediamo le smorfie. Non possiamo restare qui, Draco. E tu non puoi venire con noi. Devi prima finire la scuola per dare l’impressione che siamo fuggiti.
Draco passò le dita sugli occhi, per scacciare una ciocca dei capelli biondi, camuffando così le due piccole lacrime che minacciavano di scendere sulle guance diafane.
- Mamma, ma voi state fuggendo.
- No, ci stiamo recando nel nostro castello di Transilvania per controllare i lavori di ristrutturazione. È questo che dovrai dire a tutti i tuoi amici.
Draco sogghignò con tristezza. – Amici? Quali amici? Tiger è morto, Goyle e Nott sono stati arrestati e condannati a sette anni di Azkaban. Zabini è riuscito per miracolo ad uscire pulito da tutta questa storia, non che ne dubitassi, e non vuole avere niente a che fare con me. E la sola idea di tenere una conversazione con Pansy mi fa venire il mal di testa.
Le labbra di Narcissa si incurvarono nell’abbozzo di un sorriso freddo, che non coinvolgeva gli occhi di ghiaccio scuro. Lucius aveva sempre insistito sul fatto che Draco doveva uscire con la piccola erede della famiglia Parkinson ma lei aveva sempre trovato quella ragazza sciocca e insulsa, per niente adeguata a stare al fianco del suo perfetto figlioletto.  Ai suoi occhi di madre orgogliosa Pansy non aveva che mancanze: non era bella perché assomigliava ad un carlino, non era simpatica, non era intelligente, non era piacevole. 
- Tesoro, sarà solo per un anno. – Narcissa gli accarezzò la testa come quando era bambino. - E poi saremo solo a quattro minuti di materializzazione da qui, ormai la patente l’hai presa.
- Non è questo il punto. È che non capisco perché dobbiate travasare la vostra vita in un altro stato solo perché qualche bacchettone vi guarda male quando andate alla Gringott. 
Lucius entrò nella stanza, sospeso sopra alla sua bacchetta c’era un grosso mucchio di libri si spostava ordinatamente. La guerra aveva invecchiato in maniera catastrofica del padre. I capelli biondissimi, come quelli del figlio, avevano diverse ciocche bianche, alcune rughe marcate gli segnavano la fronte e due solchi sotto gli occhi acquosi gli conferivano un aspetto affaticato e perennemente stanco. La pelle delle sue guance pendeva floscia e grigiastra e le mani gli tremavano incessantemente, ma il suo sguardo era fiero e arrogante come sempre, lì non c’era alcuna traccia di vecchiaia. Anche i libri finirono in uno dei bauli. 
- Siamo quasi pronti. – disse scompigliando i capelli al figlio in un gesto affettuoso. – Vuoi venire con noi? Potresti stare in Romania finché non dovrai prendere il treno per tornare a scuola. Nel castello lo spazio non manca.
- Nemmeno qui. – mormorò Draco, scuotendo la testa. 
Non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura ma dopo aver avuto, per quasi un anno, la casa invasa da Mangiamorte, lupi mannari e maghi di quart’ordine senza nemmeno il Marchio Nero, la tranquillità non gli dispiaceva, sebbene non fosse ancora pronto a lasciar partire i genitori. Dalla fine della guerra gli inviati del Ministero della Magia avevano fatto ventisette incursioni senza essere invitati. Avevano messo a ferro e fuoco la casa, distrutto letti, rotto pavimenti molto più antichi del casato di quei sedicenti magi, scardinato porte e abbattuto muri alla ricerca di passaggi segreti e materiali oscuri che potessero incastrare quei pochi Mangiamorte di cui non si conosceva il nome. Alla sedicesima perquisizione Lucius aveva smesso di sistemare la sua povera villa ma l’idea di andarsene si era lentamente fatta strada in lui.
- Draco, ci accompagni almeno? – Chiese Narcissa chiudendo l’ultimo baule con un colpo di bacchetta. Poi lanciò uno sguardo ad uno dei due elfi che stavano aiutando i padroni a prepararsi alla partenza. – Porta i bagagli al Castello. Muoviti, scansafatiche. 
L’elfo si smaterializzò insieme a tutti i bauli. Con un altro colpo di bacchetta Narcissa fece volare via un quadro (un grazioso laghetto di montagna) rivelando una cassaforte. Draco guardò i genitori poggiare il palmo destro sulla porticina blindata che si aprì con un colpo secco. Sebbene fosse alta poco più di sessanta centimetri e larga altrettanto, l’interno di quella minuscola camera blindata era incredibile. Non c’era molto denaro, quello era chiuso alla Gringott con i più preziosi tesori di famiglia, ma c’erano i gioielli personali di Narcissa, ed erano incredibili. La donna evocò uno splendido forziere e con calma iniziò a spostare i suoi monili, uno alla volta, con calma, dando al figlio la possibilità di vederli. una collana di diamanti che terminava con uno zaffiro a goccia, grosso come una mandorla, un bracciale a forma di serpente tempestato di smeraldi e con due rubini scarlatti al posto degli occhi, anelli con pietre grosse come monete e orecchini di pietre preziose.
Narcissa tolse tutti i gioielli, lasciando il denaro, circa venticinquemila galeoni d’oro. – Questo sarà sufficiente fino a Natale ma se dovessi aver bisogno scrivici e te ne manderemo altro. – Attirò il figlio in un abbraccio. – Mi mancherai, Draco. Ma ci vedremo presto. 
Draco ricambiò l’abbraccio della madre e strinse, con affettuosa formalità, la mano del padre. Poi guardò con un pizzico di tristezza i genitori che si smaterializzavano.
 
Tutti lo guardavano. Aveva ragione sua madre quando lo diceva. Aveva incontrato sedici persone che conosceva, otto di Serpeverde, e nessuno gli aveva detto una parola o rivolto un sorriso. Chi non lo conosceva personalmente invece lo fissava con marcato cipiglio. 
Era la sua prima uscita da quando, una settimana prima, i genitori erano partiti e l’aveva fatto solo per comprare il nuovo materiale per Hogwarts. Diagon Alley non era più triste e tesa, come l’ultima volta che c’era stato, intorno a febbraio, ma garrula e vivace, nonostante non si fosse ancora ripresa del tutto dal lungo periodo di terrore che aveva vissuto. Non poteva affermare di preferirla prima, quando nemmeno un colore vivacizzava le strade desolate, ma ora avrebbe tanto voluto che non ci fosse nessuno. La gelateria di Fortebraccio era ancora chiusa, ma il cartello sulla porta diceva che la nuova apertura era imminente: un nipote aveva rilevato la fiorente attività dello zio. Olivander era tornato al suo posto e molti nuovi, piccoli maghi aspettavano pazientemente il loro turno per comprare la loro prima, preziosa bacchetta. Dall’interno proveniva rumore di vetri infranti e scatole ribaltate ogniqualvolta un maghetto brandiva la bacchetta sbagliata. Per la sua nuova bacchetta Draco non era andato da Olivander, si vergognava troppo a farsi vedere dall’uomo che per tanti mesi era stato ostaggio in casa sua e che aveva visto torturare da sua zia e dal Signore Oscuro. Kallisperoes era il migliore fabbricante della Grecia e la bacchetta che gli aveva costruito era eccezionale: legno di acero, adatta ai viaggiatori e agli ambiziosi, e crine di unicorno femmina. 
Dai Tiri Vispi Waesley c’era una coda così lunga che Draco per un momento pensò che regalassero scope da corsa. Enormi striscioni animati pubblicizzavano prodotti nuovi che Gazza avrebbe dichiarato illegali al primo sguardo. Lui non era mai entrato in quel negozio e la voglia di andare a sbirciare era forte. Si chiese come se la passasse il gemello senza un orecchio.  Draco era stato al funerale di Fred. C’era andato con la consapevolezza di non averne diritto e senza dirlo ai genitori, nascondendo così al mondo, come una vergogna, la parte buona del suo cuore. Era rimasto in fondo e aveva salutato con il pensiero tutti i maghi che erano morti in quella guerra. Per un attimo aveva disprezzato sé stesso e il marchio che portava impresso sul braccio sinistro. Ma poi l’arroganza e l’orgoglio avevano avuto la meglio. Si era smaterializzato prima che la funzione finisse, senza che nessuno lo vedesse, o così credeva.
Ignorando gli sguardi ostili Draco entrò al Ghirigoro dove acquistò tutti i libri per il suo ultimo anno. Poi andò a comprare le uniformi perché quelle vecchie non gli andavano più bene. Da Madame Malkin aveva passato una lunghissima mezz’ora in piedi a farsi prendere le misure. Chi passava davanti gli lanciava occhiate di disgusto, i genitori tiravano via i figli come se lui potesse morderli e i suoi coetanei lo additavano. Da Mr Mulpepper infine rifornì la sua scorta di ingredienti per la lezione di Pozioni, spendendo una vera fortuna.
Tornò a casa di pessimo umore per maltrattare gli elfi domestici rimasti. 
 
Primo settembre 1998, Hogwarts
Era in camera da solo. Non era mai stato in camera da solo da quando frequentava Hogwarts. Aveva sempre diviso la stanza con Tiger, Goyle e Nott. Ma nessuno di loro era tornato a scuola. Erano così pochi gli studenti del sesto e del settimo anno che in molti avevano la camera singola. Questo sarebbe stato sufficiente a farlo innervosire ma scoprire di dover passare l’anno in squadra con un insulso Corvonero, la Mezzosangue e quella rossa traditrice del proprio sangue l’aveva messo ancor più di cattivo umore. Aveva letteralmente scaraventato i vestiti nell’armadio, senza nemmeno usare la magia e si era disteso sul letto con ancora le scarpe ai piedi. Sentiva le lacrime che premevano agli angoli degli occhi, fin da piccolo aveva usato le lacrime come arma di ricatto per ottenere ciò che voleva. Era stato durante la guerra che aveva scoperto che le sue lacrime erano inutili e aveva smesso di piangere. Con la bacchetta si sfilò le scarpe, scaraventando all’altro lato della stanza e dando fuoco alle pregiate calze di filo di scozia. 
- Aguamenti! 
Dalla bacchetta uscì un forte getto d’acqua che stroncò all’istante il piccolo incendio e ridusse in poltiglia i compiti di Trasfigurazione. Draco prese a pugni il cuscino e qualche leggera piuma d’oca scappò dalla candida federa che profumava di bucato. 
Toc toc.
Draco si voltò verso la porta, quasi deciso ad ignorare il seccatore. Poi, con un sospiro scocciato, si alzò e andò ad aprire la porta. Due minuscoli alunni del primo anno che cercavano di non guardarlo in volto, neanche fosse un Basilisco affamato, gli passarono un foglietto di pergamena piegato in quattro. Draco chiuse loro la porta in faccia senza nemmeno ringraziare. 
"Draco, dobbiamo discutere sulla preparazione del gruppo per il torneo. abbiamo già parlato con Anthony. Vediamoci domani subito dopo le lezioni, alla quercia vicino alla serra numero quattro. Hermione e Ginny."

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