Words and Scars

di Spoocky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Il merito della creazione di questi personaggi è solo ed esclusivamente di Patrick O'Brian, il mio lavoro non vuole essere altro che un omaggio alla sua memoria, per la grande ammirazione che nutro nei suoi confronti come scrittore e storico.

Buona Lettura! ^.^


Con il cuore in gola e lo stomaco annodato stretto in una morsa, Jack Aubrey si diresse a grandi passi verso la scala sotto la quale aveva ordinato al marinaio Davis di trasportare il corpo esanime del Tenente Thomas Pullings.
E fu proprio lì che lo trovò, sorretto dalle braccia dell’impacciato Davis come una sorta di grottesca Pietà.

Jack non dovette avvicinarsi molto per notare che il torace del suo giovane subordinato si alzava e si abbassava ancora ma il sollievo provato fu istantaneamente annullato dalla realizzazione di quanto il buon William Mowett, nell’esaltazione della vittoria, avesse peccato di ottimismo: il volto del suo luogotenente era una maschera di sangue, versatosi copiosamente da un taglio orribile che arrivava dalla tempia sinistra alla guancia destra.

Chinandosi sul corpo del caduto, Aubrey notò immediatamente il rumore che accompagnava ogni respiro affaticato e in cuor suo temette di essere comunque arrivato troppo tardi.
Lesse la stessa preoccupazione negli occhi vacui di Davis e si costrinse a cancellare ogni espressione dal proprio viso mentre, con una delicatezza impensabile per mani tanto poderose, scostava pochi capelli sparpagliatisi sulla fronte insanguinata, avendo cura di non toccare le ferite.
Fu un gesto leggero, quasi tenero, e conteneva tutto il profondo affetto che Jack provava per quel giovanotto timido e impacciato, maturato fino a diventare l’unico Primo Ufficiale che avrebbe mai scelto al proprio fianco.
Un moto di commozione lo sopraffece e la sua mano possente afferrò quella pallida e inerte dell’ufficiale ferito.

Che gelida manina avrebbe scritto qualcuno quasi un secolo dopo, componendo il libretto di un’opera destinata a diventare celebre in tutto il mondo.
Ovviamente il capitano Aubrey non avrebbe potuto saperlo ma fu proprio quella frase ad attraversargli la mente nel momento in cui le sue dita si avvolsero intorno a quella mano, di solito salda e vigorosa, rapida e precisa sulle cime.
Una mano in cui Jack avrebbe riposto la propria vita senza battere ciglio.
Quella stessa mano era spaventosamente pallida, fragile e fredda, come se già il soffio vitale l’avesse abbandonata per avvilupparsi testardo nel petto del giovane dove s’ingegnava a prolungargli l’agonia con ogni rantolo laborioso.

Proprio quando l’ultima speranza stava per abbandonare Jack il Fortunato, dalle labbra socchiuse e macchiate di sangue di Tom si levò un gemito sottile e le sue dita si contrassero su quelle del capitano, tentando senza riuscirci di ricambiare la stretta.
Al primo lamento ne fece seguito un altro più forte e le palpebre dell’occhio destro lottarono per aprirsi, mentre le altre rimasero gonfie e sigillate dal sangue rappreso.
Il pensiero che il suo luogotenente potesse perdere l’occhio sfiorò la coscienza di Jack come una meteora ma fu subito accantonato da un’urgenza più pressante: la Torgud stava affondando e loro con lei.
Dovevano allontanarsi e in fretta.

“Passatemi il Signor Pullings.”

Davis impiegò qualche secondo in più del normale per interpretare l’ordine ma, passati questi, depose il ferito tra le braccia del capitano che accolsero quel carico prezioso con la stessa cura con cui cullavano l’infante George.
Per quanto magro fosse, Tom era comunque di poco più alto di Aubrey ma questi era più robusto e l’ apprensione per la sua sorte gli diede quel poco di forza che gli mancava.
Lo sollevò quasi senza sforzo, stringendolo sul petto ampio con tutta la forza della sua disperazione, proteggendolo durante il salto dal relitto galleggiante al ponte sicuro della Surprise, la cui famigliare stabilità non fece nulla per placare l’animo di Jack finché non ebbe disteso il ferito sul tavolo del Dottore e questi non lo ebbe cacciato via con una serie di improperi, come faceva sempre quando era preoccupato.

Stephen Maturin era ben più che preoccupato: per esperienza sapeva che i feriti più gravi tendevano ad arrivare per ultimi sul suo tavolo e quel giorno aveva già perso tre uomini.
Inoltre la notizia che il Tenente Pullings fosse stato ferito in modo grave se non letale aveva già fatto il giro della nave e l’ansia lo sopraffece nel momento in cui Jack irruppe nella sua infermeria con in braccio il giovane privo di sensi e lo depose sul suo tavolo.
Come al solito manifestò il proprio sconcerto imprecando e cacciando via l’amico in malo modo. Lo fece senza alcun rimorso: sapeva che avrebbe capito, e comunque aveva questioni più urgenti a cui pensare.
Salvare la vita al povero Tom era la prima.

Lo spogliarono rapidamente, lasciandolo con indosso solo le brache di tela che portava sotto i pantaloni.
A parte la sciabolata sul viso, che gli aveva praticamente reciso il naso e squarciato la fronte, aveva una lacerazione a sinistra sul costato, la caviglia destra malamente slogata e le costole che si era già fratturato anni prima si erano spezzate di nuovo, insieme a qualcun’ altra come testimoniavano i lividi scuri che costellavano il fianco destro.
Com’era prevedibile respirava con la bocca e a fatica, ogni respiro un rantolo sommesso che sembrava inciampargli in gola.
Maturin ricompose l’articolazione lussata, ridusse le costole rotte e richiuse la ferita sul fianco ma l’infermeria era troppo buia per ricucire decentemente quella sul volto – un lavoro quanto mai delicato. Avrebbe dovuto aspettare il mattino dopo e suturarlo sul ponte, alla luce del sole.

Sempre ammesso che il ferito avesse passato la notte: nonostante le costole fossero state riposizionate e fasciate stentava ancora a respirare e la ferita al viso aveva sanguinato copiosamente, per quanto ora l’emorragia fosse rallentata.  
A malincuore dovette però rassegnarsi a rimandare la ricucitura: uno squarcio del genere lo avrebbe senza dubbio sfigurato ma i punti avrebbero facilitato la guarigione e ridotto la cicatrice, per non parlare del fermare definitivamente la perdita di sangue.
Ma non poteva permettersi di farlo nella penombra della stiva, ne in quella del crepuscolo ormai imminente e rischiare di commettere un errore che, per quanto piccolo, avrebbe potuto avere conseguenze disastrose.

Si limitò pertanto a lavare quel volto devastato con tutta la delicatezza in suo possesso.
Nel farlo, si accorse di come il danno fosse in realtà minore di quanto avesse temuto all’inizio: il naso non era stato del tutto reciso e avrebbe potuto ricucirlo perfettamente, l’occhio non era stato danneggiato e il cranio presentava solo una frattura superficiale.
Stephen emise un sospiro di sollievo mentre scostava alcuni capelli dalla ferita: se l’emorragia non fosse peggiorata e se avesse evitato gravi infezioni, Pullings sarebbe guarito completamente.

La sensazione dell’acqua sul suo viso richiamò lentamente il ferito alla coscienza: iniziò ad ansimare e gemere, portandosi una mano sul fianco ferito e tentando di muoversi.
Ma era talmente debole che bastò una mano del dottore sulla sua testa per immobilizzarlo, le palpebre dell’occhio destro contratte per il dolore, quelle del sinistro troppo gonfie per reagire in alcun modo.

Con il cuore in gola, Stephen si chinò su di lui e lo chiamò: “Tom? Tom? Riuscite a sentirmi?”
Le palpebre livide si schiusero e l’occhio verde del ferito incrociò quelli cerulei del medico: “D-dottore?” la voce era roca e flebile, poco più che un sussurro.
“Sì, Tom. Come vi sentite?”
“Fa...male...” tentò di alzare una mano e portarsela al viso, ma il chirurgo lo trattenne.
“No. Non cercate di toccare la ferita: potreste infettarla. Vi assicuro che è meno grave di quanto sembri e che guarirà completamente. Ora però lasciate che vi dia qualcosa per il dolore: vi aiuterà a dormire. D’accordo?”
“L’occhio...”
“Shh, shh, shh. Va tutto bene, Tom. Avete solo le palpebre gonfie. Adesso respirate profondamente e cercate di stare tranquillo: guarirete presto. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Starete bene.”

Maturin diluì quaranta gocce di tintura di laudano in mezzo bicchiere d’acqua e lo accostò alle labbra esangui del ferito, sostenendogli la testa perché non gli andasse di traverso.
Gli restò accanto, continuando ad accarezzargli i capelli per tranquillizzarlo, mentre aspettavano che la medicina facesse effetto.

Quando le palpebre ricominciarono a calare ed il respiro rallentò, il medico fasciò con estrema cura la testa di Pullings e fece cenno ai suoi assistenti di trasportarlo su una branda, dove lo avvolse in una coperta che gli rimboccò sul petto.
Rimase accanto a lui, tenendogli una mano sulla spalla, finché non fu sicuro che dormisse.

Solo allora si diresse verso la cabina del capitano.

So che questo fandom è minuscolo ma se vi capita di passare di qui fatemi sapere che ne pensate: dietro questa storia ci sono mesi di lavoro.
Pace, Amore e Caffè per tutti!
Per chi non recesisce...sarebbe che il caffè è finito!

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Disclaimer: non guadagno nulla da questa pubblicazione ed il merito dei personaggi è esclusivamente di Patrick O'Brian, alla cui  opera si vuole offrire omaggio.

Ps: il paragrafo in corsivo fa riferimento ad eventi di "Costa Sottovento", il secondo romanzo della saga ( è un missing moment)

Buona Lettura ^.^

“E’ davvero una brutta ferita.”
“La mia?”
“No, gioia, la tua è un morso di pulce. Quella del povero Tom Pullings. Ne ho viste ben poche di peggiori.”
“Pensi che sia in pericolo di vita?”    
“Ha perso molto sangue e il dolore è tanto forte da togliergli il fiato. Senza dubbio la situazione è molto grave…”
“Non indorare la pillola, Stephen. Tu e io ci conosciamo troppo bene perchéeeEH!”
“Scusa. Qui deve essere leggermente più profonda...”
“Tira via quel dito per l’amor di Dio!”
“Sì, è decisamente più profonda.” Borbottò Maturin, pulendosi le dita sporche di sangue in un lembo della propria camicia “Comunque, c’è effettivamente il rischio che il povero Tom non superi la notte. Ma le probabilità sono in suo favore e sono convinto che, salvo gravi infezioni, dovrebbe fare un recupero completo. Oh! E non azzardarti neanche solo per un momento a pensare che sia stata colpa tua: sarebbe potuto succedere in qualunque momento e sono certo che lui stesso avesse preventivato i rischi nel momento in cui ha deciso di prendere parte all’abbordaggio.”
“Portami da lui, Stephen.”

Cinque minuti dopo erano ai lati opposti della branda di Pullings il cui volto, seminascosto dalle bende, era ora di un pallore quasi cadaverico eccetto per le palpebre, livide ed inesorabilmente chiuse.
La mano di Jack era ora posata sulla stessa spalla che quella di Stephen aveva coperto fino a poco prima, i suoi occhi azzurri e quelli grigi di Stephen erano fissi su quel viso pallido e spaventosamente immobile.

“Com’è potuto succedere?”
“Dillo tu a me.”
“Quando abbiamo abbordato la Torgud i Turchi ci sono saltati addosso immediatamente ed è stato il caos più completo nel giro di pochi secondi. Improvvisamente di fronte a me si è aperto uno spazio e, prima che riuscissi a prendere qualunque iniziativa, Tom ci è saltato dentro. Ma si è impigliato con un piede ed è caduto, si è voltato verso di me e…Dio, Stephen! Era così smarrito, così perso! Sembrava supplicarmi di aiutarlo con lo sguardo. Non ho potuto fare niente perché subito dopo…beh…il fendente è calato. Mi sono gettato nella mischia e ho cercato di proteggere il suo corpo quanto più possibile finché non è arrivato Davis e gli ho ordinato di trascinarlo al sicuro sotto la scala del castello. Credevo fosse morto, Stephen. Dio! Credevo proprio che fosse morto!” si strofinò gli occhi con una mano per nascondere le lacrime che vi si stavano formando e Stephen si allungò oltre la branda per stringergli un avambraccio in un gesto di conforto.
“Non è stata colpa tua. Non c’era davvero nulla che potessi fare. Quello che mi hai raccontato è perfettamente compatibile con le sue ferite: a parte la sciabolata sul viso si è slogato malamente la caviglia destra e nella caduta, o subito dopo, si è rotto di nuovo le costole che si erano già spezzate durante lo scontro con la Bellone - te ne ricorderai, credo – e un paio d’ altre ma nessun danno ai polmoni, a quanto sembra.”
“Sii onesto con me, fratello. Vivrà?”
“In cuor mio ho fatto tutto il possibile, ora è nelle mani di Dio. Ma ti posso dire che, salvo una grave infezione, sono molto fiducioso nella sua guarigione. Domani vorrei suturare quella ferita alla luce del sole...”
“Voglio essere presente. Ti assisterò se necessario.”
“Immaginavo me lo avresti chiesto, fratello: certamente potrai aiutarmi a tenerlo fermo sul tavolo, non fa mai male un assistente in più. Come dicevo: la lacerazione dovrebbe rimarginarsi completamente. Certo: rimarrà una brutta cicatrice, ma guarirà del tutto. Ah! Prima che tu me lo chieda: ti assicuro che l’occhio sinistro non è assolutamente in pericolo.”
“Buono a sapersi. Come sta adesso?”
Maturin si chinò nuovamente sul ferito e gli tastò il polso: “Il battito è leggermente accelerato e la cute è ancora fredda, com’è normale dopo un’abbondante emorragia. Gli ho somministrato una buona dose di laudano per il dolore e dovrebbe dormire fino a domattina. Ti chiedo il permesso di trasferirlo nella mia cabina: dev’essere assistito continuamente e prevedo che possa salirgli la febbre per cui avrà senz’altro bisogno d’aria fresca più che del buio fetore della stiva.”
“Permesso accordato. Ma, Stephen, tu dove dormirai?”
“Non dormirò.”

Vegliò infatti al capezzale del ferito tutta la notte, appisolandosi ogni tanto con le braccia conserte sul tavolo.
Come aveva previsto, Tom dormì fino al mattino: la dose di laudano che gli aveva somministrato non era eccessiva ma doveva risultare piuttosto forte per un corpo così debilitato.
E infatti il ferito rimase tutto sommato tranquillo ma ogni tanto il dolore pareva riaffiorare, manifestandosi con flebili lamenti e sospiri.
Quando cominciò a tremare e sussurrare di avere freddo Stephen gli avvolse un’altra coperta attorno alle spalle, lasciandogli il volto e le mani scoperti.

Nel vedere il giovane ufficiale così immobile e sofferente, a Stephen tornò in mente il calvario che avevano subito anni prima dopo essere stati catturati dalla Bellone

Il giovane Pullings era stato raggiunto da un proiettile di mitraglia nella coscia destra, aveva ricevuto un colpo di spada alla spalla sinistra e si era rotto due costole sul fianco destro, causando una depressione toracica che il medico aveva dovuto ridurre a mani nude, essendo stato privato dei suoi strumenti nel corso della perquisizione.
I tre giorni successivi furono a dir poco un incubo: Jack era caduto da una scala ed aveva battuto la testa, restando incosciente, l’epidemia di influenza spagnola si era diffusa e il vice capitano Azéma aveva pensato bene di tenerli in ceppi.
Maturin si era ritrovato con le mani legate – letteralmente e figurativamente – nel poter assistere i suoi malati.
Ricordava vivamente l’angoscia di quei giorni: incatenati nella stiva, con Jack pallido come un lenzuolo che non dava cenno di vita e Tom, con il colorito altrettanto slavato, rannicchiato accanto a Stephen e talmente indisposto da non riuscire neppure a tenere su la testa.
Il ragazzo era tanto debole che di notte dormiva appoggiandogli la fronte fredda sulla spalla, stravolto dal dolore.
Il dottore non gli aveva mai fatto notare nulla, accettando silenziosamente il suo bisogno di rassicurazione e contatto.
In quelle ore la giovane età del tenente – allora poco più che ventenne - si era manifestata in tutta la sua cruda realtà e il medico non aveva avuto il cuore di respingerlo in un momento di così grande vulnerabilità.
Anzi, gli aveva avvolto un braccio intorno alle spalle e lo aveva stretto a se, cercando egli stesso conforto per l’incertezza sulla sorte del suo amato amico.

Gli sembrava ora di rivivere quei giorni: tormentato dalla precarietà delle condizioni del suo paziente.
Non lo avrebbe mai ammesso davanti a Jack ma il timore che il giovane non superasse la notte aveva contribuito in modo determinante alla sua procrastinazione della sutura: un processo estremamente doloroso che avrebbe voluto risparmiare al suo paziente, preferendo che avesse cessato di respirare nel sonno privo di dolore portato dal laudano.
Rimase quindi decisamente sorpreso nel constatare, alle prime luci dell’alba, che il polso era ancora irregolare ma costante e che respirava ancora, per quanto faticosamente.

Essendo un animale notturno e tutt’altro che mattiniero, Maturin aveva pensato bene di racimolare uno scampolo di tela da vela con cui far realizzare una tenda per la finestra della propria cabina.
Tenda che era convenientemente tirata in quel momento, per proteggere il volto del ferito dal luminoso sole mediterraneo, mantenendo la stanzetta in una confortevole penombra.
Non furono dunque i raggi del sole a svegliarlo ma il dolore che ritornava a fare capolino nel suo corpo, lambendone gli arti con le sue orribili fauci.
Gemette e tanto bastò per attirare l’attenzione del medico che stava consumando la sua magra colazione – caffè e pane tostato – seduto al tavolo accanto alla branda.
Accorse immediatamente al suo fianco e gli prese una mano nella propria.

“Buongiorno, Tom. Come vi sentite?”
Dalle labbra esangui del ferito non uscì che un gemito soffocato.
“Tranquillo, non affaticatevi. Chiudete pure gli occhi e non sforzatevi di parlare. Stringetemi la mano, una volta per dire ‘sì’ due per dire ‘no’. Intesi?”
Le dita fredde di Pullings si strinsero attorno alle sue.
“Molto bene. Avete dolore?”
Una stretta.
“Pensate di riuscire a sopportarlo per un’ora circa?”
Una stretta.
“Siate sincero con me, ne va della vostra salute: è molto forte?”
Due strette.
“Va bene. Pensate di riuscire a mangiare qualcosa? Vorrei che foste in forze prima di ricucirvi.”
Due strette.
“Avete nausea?”
Una stretta.
“Capisco. Ho fatto scaldare a Killick mezzo bicchiere di latte e ci ho mescolato due cucchiai di miele. Avere qualcosa nello stomaco allevierebbe il senso di debolezza e ridurrebbe in parte la nausea.”
Una stretta.

Stephen aiutò il ferito a sollevarsi, sostenendolo con i cuscini perché restasse in posizione semi seduta. Come aveva previsto il giovane ufficiale impallidì immediatamente, per cui attese un momento prima di aiutarlo ad accostarsi il bicchiere alle labbra.
“Piccoli sorsi, mi raccomando.”
Lentamente, guidato dalla mano del dottore, Pullings riuscì a finire il suo latte.

“Vi sentite meglio, adesso?” chiese Stephen dopo aver posato il bicchiere.
“Un po’. Grazie, dottore.”
“Eppure non avete che un filo di voce! Cercate di riposare ancora un poco: a breve inizierà il servizio funebre per i caduti. Il dovere ed il mio senso morale mi impongono di esservi presente. Poi potremo finalmente richiudere il taglio che avete in volto. Se potete cercate di dormire: meglio che non vi somministri altro laudano prima dell’operazione. Volete che vi aiuti a ridistendervi?”
“Ve ne sarei grato.”

Il dottore lo riaccomodò sui cuscini e gli riassestò le coperte prima di uscire.
Non appena si trovò di nuovo in posizione supina, Pullings cominciò ad assopirsi di nuovo. Il latte lo aveva riscaldato e lo stomaco pieno aveva effettivamente ridotto la nausea.
Il mare era calmo ed il quieto rollio della nave faceva leggermente ondeggiare la branda, riaccompagnandolo tra le braccia di Morfeo mentre la campana chiamava a raccolta i marinai per il servizio religioso.

Stephen lo trovò ancora addormentato quando entrò a raccogliere i propri strumenti.
Senza fare rumore, prese la borsa e uscì.


Buona Pasqua a tutti! <3

Sarebbe buona cosa lasciare un commento se la storia vi sta piacendo!
Anche se non vi sta piacendo, commentate comunque
: rischiate l'ira funesta di Preservato Killick!

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Questa storia non mi produce guadagno altro dalla personale soddisfazione e (spero) dall'apprezzamento di chi legge. 
Tutto il merito è di O'Brian!

Buona Lettura ^.^


Tom si riscosse dal suo torpore solo quando Barrett Bonden ed un marinaio altrettanto robusto lo sollevarono dalla branda e lo stesero su una lettiga di fortuna costruita con un pezzo di tela da vele e due aste di legno.

Sebbene lo maneggiassero con la stessa insolita delicatezza con cui manovravano il dottore per trasferirlo fuori bordo o da un’imbarcazione all’altra, non appena lo sollevarono dal suo letto sospeso gridò di dolore: per quanto minimo, il movimento aveva sollecitato le costole rotte e stirato i punti sul fianco, procurandogli una fitta lancinante.

Lo distesero sulla barella che respirava affannosamente e a denti stretti.

Una voce ferma ma tesa dalla preoccupazione squarciò il velo della sua sofferenza per dirigere i marinai nel trasportarlo.
“Bene così ragazzi! Fate piano, mi raccomando.”
“Mowett?” per quanto stordito dagli spasmi e indebolito dalla cospicua emorragia, Pullings non poté non riconoscere la voce dell’amico con cui aveva condiviso tutto fin dai primi giorni da allievo.
“Coraggio, Tom.” Una mano calda e rassicurante si posò sul suo braccio e gli diede una stretta affettuosa “Va tutto bene: ti portiamo dal dottore.”

Appena il tempo di fare un cenno d’assenso col capo e si ritrovarono sul ponte di coperta, dove Maturin era solito operare per sfruttare al massimo la luce. E proprio i raggi solari colpirono impietosi il volto del ferito, ferendone l’occhio troppo sensibile.
Subito quella mano misericordiosa si spostò dal suo braccio per schermargli il viso dalla luce, filtrandone la maggior parte e dandogli sollievo.
La mano di Mowett si posò sui suoi occhi quando il contatto con le tre casse da marinaio – rigorosamente coperte di tela da vela numero otto – lo fece sussultare e gemette per il dolore mentre con le dita si afferrava spasmodicamente i pantaloni.
Percepì che i suoi arti stavano venendo immobilizzati con delle cinghie e tentò debolmente di opporre resistenza ma sentì l’amico chinarsi su di lui e parlargli piano all’orecchio, invitandolo a calmarsi e a lasciare lavorare gli uomini: stavano solo cercando di aiutarlo, non c’era alcun pericolo.
Tom non comprese tutte le parole ma il solo suono della voce lo aiutò a tranquillizzarsi.

Si rese conto di cosa stesse accadendo solo quando dopo averlo legato gli misero addosso una coperta, avvolgendogli le spalle, e senti la voce del dottore:
“Grazie infinite, signor Mowett: potete andare ora. Jack, intervieni tu da qui?”
Pullings sentì i passi di Mowett che si allontanava e la mano robusta del capitano posarsi sulla sua spalla. Trasse un sospiro di sollievo: la prospettiva dell’intervento lo spaventava e sapere di avere il suo superiore accanto gli dava non poco conforto.

Si accorse che un’altra mano, più sottile e delicata, gli aveva avvolto la mascella e con fatica aprì l’occhio e trovò il dottor Maturin chino su di lui, con una macchia dorata alla sua sinistra. Un piccolo spostamento della testa gli confermò la presenza del capitano Aubrey e riuscì ad abbozzare un sorriso prima che la mano del medico gli afferrasse il mento e lo raddrizzasse.
“Se posso avere la vostra attenzione, Tom gradirei beveste questo: allevierà il dolore.”
Gli accostò un bicchiere alle labbra ma il ferito si ritrasse non appena sentì il sapore pungente del laudano sulla punta della lingua.
“Gesù, Giuseppe e Maria! Non cercate di fare l’eroe: sarà terribilmente doloroso e potrebbero volerci anche ore...”
“Prendete la medicina, Tom. E’ un ordine!”
L’intervento del capitano vinse ogni resistenza e Pullings accettò a malincuore il sedativo.
Nel vederlo cooperare, anche Stephen si ammansì: “Jack, tienigli le spalle premute contro il tavolo ma non mettere troppa forza: rischieresti di danneggiare le costole. Signor Wilson voi tenetegli i fianchi ed il braccio destro. Signor MacKenzie, per immobilizzargli le gambe reggetegli le ginocchia e fate attenzione a quella caviglia. Signor Hawkins, preparatevi a tamponare l’emorragia.” Poi, con una voce insolitamente dolce, aggiunse “Tom, ragazzo mio, prima che iniziamo devo pregarvi di restare per quanto più possibile immobile durante l’operazione. So di chiedere molto ma è assolutamente necessario. Cercate di respirare profondamente e mordete questo, stringete i denti il più possibile. Andrà tutto bene.”

Stephen iniziò a sciogliere le bende che avvolgevano il capo del ferito ma dovette fermarsi imprecando: come aveva temuto, durante la notte l’emorragia era proseguita ed il sangue filtrato nei due strati inferiori della fasciatura ne aveva causato la completa adesione alla ferita.
Toglierle fu un processo lento e causò non poco dolore al paziente anche se venne adoperata tutta la cautela del caso.
Il giovane Pullings non emise un lamento ma non poté nulla contro le lacrime che gli inondarono il viso – una pura reazione fisica, come le mani che si contraevano spasmodicamente e i denti stretti sul pezzo di cuoio che gli avevano messo in bocca.
Il dottore le lavò via insieme al sangue rappreso che gli incrostava le palpebre e parte della fronte senza fare commenti.
Nel farlo constatò con gioia l’assenza di qualunque sintomo di infezione e l’ottimo stato dei tessuti circostanti la lacerazione.

Stephen preparò l’ago ed il filo e sigillò i primi punti.
Immediatamente, il corpo di Tom s’irrigidì sotto di lui e gli assistenti dovettero, con tutte le dovute precauzioni, pesarsi su di lui per tenerlo fermo.
Fu un lavoro estenuante che occupò quasi tre ore, una delle quali solo per ricucire il naso.
Data la delicatezza della situazione Maturin decise di procedere con molta calma, a volte ritornando sui propri passi, disfando e rifacendo diversi punti fino a quando non ne fosse soddisfatto.

Per il povero Pullings fu un vero calvario: nonostante la generosa dose di laudano il dolore lancinante si era comunque fatto strada nel suo corpo, accompagnato da brividi e sudori freddi. Fu allora che capì come la coperta gli fosse stata stesa addosso non solo per preservare la sua dignità davanti agli uomini del ponte ma anche in previsione dei suoi sintomi e si ritrovò a benedire interiormente la previdenza del dottore.
Quando però gli spasmi raggiunsero l’apice fu il capitano Aubrey a far scivolare una mano sotto la coperta e ad intrecciarla con la sua, dandogli qualcosa a cui aggrapparsi in quel dolore assurdo.
Tom la strinse più forte che poté finché la sofferenza e la fatica ebbero la meglio sui suoi nervi e perse i sensi.

Finalmente Stephen riuscì a completare una sutura soddisfacente, giusto in tempo per mandare gli uomini a pranzo.

Per Jack fu un vero conforto vedere i lineamenti pallidi di Pullings sparire sotto i diversi strati di bende: non lo avrebbe mai ammesso davanti a nessuno – Stephen compreso – ma quel giovane gli era caro quanto un figlio. In cuor suo sapeva di amarlo come tale, quindi in un modo diverso rispetto a ciò che provava dottore, il cui affetto era diventato per lui ormai indispensabile.
Altra cosa che non avrebbe mai ammesso.

Ad ogni modo, fu per lui un sollievo quando due robusti marinai sollevarono il corpo inerte del ferito - ancora avvolto nella coperta e con un panno leggero sul volto per proteggerlo dal sole - e lo distesero sulla barella per riportarlo alla sua branda, nella cabina del dottore.
“Stephen” con il cuore in gola ma con fare distaccato, apostrofò il chirurgo mentre si lavava le mani “qualche novità?”
“Come anche tu hai potuto constatare, l’intervento è andato bene. Hai notato quanto poco fossero gonfie le palpebre? Ti confermo che quell’occhio è fuori pericolo.” una breve pausa “E anche lo squarcio in fronte si ricucirà completamente. Nel complesso sono più ottimista rispetto a ieri sera, ma è comunque un quadro dannatamente grave.”
“Vuoi che chieda a Killick di preparargli qualcosa di particolare?”
Maturin esitò un momento; mentre continuava ad asciugarsi le mani in uno strofinaccio i suoi occhi quasi incolori corsero verso poppa, verso la sua cabina, dove si posarono mentre le labbra si arricciavano, evidente sintomo di concentrazione.
Rimase sovrappensiero per qualche minuto – evidentemente ponderando le diverse opzioni – prima di rispondere: “Niente di solido, magari una ciotola di minestra. Non subito comunque: per ora è meglio lasciarlo riposare tranquillo. Ha sofferto molto.”
Aubrey annuì gravemente: “Una ciotola di minestra. Nient’altro?”
“No. Sarà già un miracolo riuscire a fargli tenere giù quella. Inoltre, temo che presto possa salirgli la febbre.”

E la febbre arrivò. 

Note:

Avviso che da oggi, questa storia sarà aggiornata a settimane alterne.

Un passaggio alle Galapagos per chiunque recensisca!
Cormorano non incluso (tanto non si muove da lì!)

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Disclaimer al Capitolo 1!

Scusate se ci ho messo un'eternità per pubblicare questo capitolo ma il Kharma, o chi per esso, ha voluto punirmi con una bronchite che non voleva andarsene.
Passata quella, ho avuto un esame.
Ora che sono sopravvissuta ad entrambi, possiamo continuare ^.^

Quella sera, poco prima del tramonto, il povero Pullings cominciò ad agitarsi e lamentarsi pietosamente nella propria branda mentre la temperatura corporea cresceva inesorabile fino a stabilizzarsi in un orrendo 103,1° Fahrenheit[1].
Tutto ciò fu accompagnato da brividi violenti e da conati di vomito che riportarono alla luce i resti del misero pasto di Tom, indebolendolo ulteriormente.
All’inizio al ferito era rimasta sufficiente coerenza per scusarsi con Stephen – ormai avvezzo a scene di gran lunga più turpi – per l’orribile spettacolo ma, nel giro di poche ore, precipitò in uno stato di semi incoscienza intervallato da brividi e conati così violenti che solo l’intervento di Nostra Signora – prontamente evocata da un Maturin sconvolto dalla preoccupazione – preservò i punti dallo strapparsi e le costole dal fratturarsi di nuovo.

Fu una notte infernale.
Tom aveva iniziato a vomitare almeno ogni mezz’ora – non tratteneva nemmeno l’acqua che il medico gli somministrava pazientemente a piccoli sorsi tra un attacco e l’altro - e ogni volta Stephen doveva alzarsi per tenergli la testa ed evitare che si sporcasse i lunghi capelli castani. Quando finiva, ed i conati lo lasciavano ansante e sofferente sui cuscini, il dottore gli asciugava il sudore dalla fronte con un panno umido che poi gli passava sul collo e sul petto nel tentativo di alleviare almeno in parte il suo malessere.
Era palese che il giovane soffrisse molto. La nausea ed il dolore, esacerbati dalla febbre alta, lo facevano gemere quasi senza sosta nonostante le premurose somministrazioni di spugnature e rassicurazioni, gentilmente sussurrate al suo orecchio dal medico.

I suoi lamenti giungevano dalla finestrella aperta fino al castello di prua dove Jack montava di guardia, sostituendo proprio l’invalido Pullings, e straziandogli il cuore. Si sentiva dannatamente in colpa per quanto accaduto: se solo avesse avuto i riflessi pronti, se solo fosse intervenuto più rapidamente, il giovane non avrebbe sofferto tanto orribilmente per di più con la prospettiva di rimanere sfigurato a vita nel caso in cui fosse sopravvissuto.
In un momento di abietto egoismo quasi rimpianse di aver mandato il giovane Mowett sottocoperta ma poi realizzò quanto peggio avrebbe potuto sentirsi nell’essere costretto ad ascoltare i mugolii disperati dell’amico di una via.

Ricordò i giorni e le notti trascorsi al capezzale di uno Stephen delirante dopo essersi estratto una pallottola dal petto con le proprie mani.
Ricordò l’angoscia di quei giorni, le cui ore scorrevano centellinate tra un rantolo affannoso e l’altro, il timore che ciascuno di essi potesse essere l’ultimo che lo feriva più profondamente degli insulti - mormorati a bassa voce o gridati con tutta la misera forza di cui disponeva – che si levavano da quel corpicino dilaniato e stravolto dalla febbre.
Ricordò il dolore che lui stesso aveva provato di fronte a quella sofferenza così cruda e abominevole, arrivata solo pochi mesi dopo che il povero Stephen era sopravvissuto per miracolo alle atroci torture dei Francesi. Osservando le sue mani scheletriche artigliare spasmodicamente il lenzuolo gli era sembrato di vederle ancora contorte e sanguinanti come a Port Mahòn, ferito in modo troppo grave per reggersi in piedi, tanto debole che Jack aveva dovuto trasportarlo in braccio fino alla barella, cullandolo sul petto come un bambino. I ricordi di quel momento orribile si erano fusi al tormento di quella veglia infinita, rendendola intollerabile se non per l’affetto infinito che provava per quell’esserino moribondo: una forza irresistibile che lo teneva inchiodato accanto a quella branda maledetta.   
Ricordò la propria impotenza nell’alleviare le sofferenze dell’amico.
Ricordò gli sguardi comprensivi degli uomini ed i loro gesti impacciati che volevano essere un tentativo di consolazione: nessuno parlava apertamente ma tutti erano consapevoli del profondo attaccamento che legava il loro capitano al medico di bordo, per il quale anche loro nutrivano affetto e genuina preoccupazione.
Ricordò come il giovane Pullings, allora Terzo Ufficiale, si era sobbarcato di doppi e tripli turni per settimane, restando alzato una guardia dopo l’altra per permettere al comandante di vegliare sul malato. Com’era pallido quando Jack lo aveva informato di come la febbre del dottore si era finalmente abbassata! Il poveretto era talmente provato che riuscì appena ad evocare un sorriso timido sul volto stanco; a furia di urlare ordini non gli restava che un filo di voce e non si reggeva in piedi quando lo aveva congedato. Non si sarebbe sorpreso se di lì a poco qualcuno fosse corso in cabina per comunicargli che aveva avuto un collasso.
Cosa che in effetti successe, ma diversi giorni dopo per una ‘malaugurata quanto inspiegabile combinazione tra caldo equatoriale e sovraffaticamento’ come l’aveva definita uno Stephen dall’umore più inverso del solito a causa della convalescenza forzata. Ma si era trattato di un episodio isolato ed entrambi si erano ripresi bene.

Restava il fatto che non poteva sottoporre il povero Mowett alla stessa tribolazione che aveva attraversato egli stesso pochi anni prima. Sarebbe stato ingiusto, anche perché Dio solo sapeva quanto lavoro gli avesse risparmiato a suo tempo il suo zelante Primo Ufficiale che ora meritava almeno qualche guardia notturna come riconoscimento.

Fu una notte infernale per tutti ma poi arrivò il mattino.


[1] 39,5° Celsius

Note:
Le parti in corsivo sono un Missing Moment da "Buon Vento dall'Ovest" perché un po' di Hurt!Stephen in più non fa mai male.

Grazie a tutti i pochi coraggiosi che stanno leggendo questa storia! Tenete alto l'amore per O'Brian!

Sarebbe che per tutti gli altri il caffè è finito!

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Eccoci a metà!
Il Disclaimer è sempre lo stesso.

Buona Lettura ^.^


L’alba portò un abbassamento della temperatura a 101,3° F[1] e Tom poté finalmente riposare un po’, insieme a Stephen che si assopì di nuovo con le braccia conserte sul tavolo.

Jack aveva appena smontato dalla guardia e riuscì a riposare decentemente prima che Killick entrasse di prepotenza con il bacile per radersi e la colazione.
Il comandante Aubrey consumò il pasto rapidamente e si diresse verso la cabina di Stephen.
Entrò senza bussare, piegando automaticamente la testa sotto il basso stipite.

Non fu sorpreso di trovare il povero Pullings addormentato nella branda e Stephen accasciato sul suo tavolo, con un rivolo di saliva che gli colava dalla bocca semiaperta.
Intenerito, il comandante gli appoggiò le mani sulle spalle e lo scosse dolcemente.
Come aveva previsto, si girò brontolando ma Jack si premette un dito sulle labbra e lo spinse fuori dalla porta da dove Killick lo avrebbe trascinato in cabina per ripulirlo e nutrirlo.
Il comandante poi prese la sedia e l’accostò alla branda di Pullings, ancora irrigidito per le sue stesse ferite vi si accomodò come meglio poteva ad aspettare il ritorno del medico.

Non trascorse molto tempo prima che il respiro del ferito accelerasse e l’unico occhio visibile si aprisse: “Capitano?”
Aubrey sorrise, coprendogli una mano con la sua: “Buongiorno, Tom. Come state?”
Il giovane ufficiale tentò di raddrizzarsi per rispetto al superiore ma fallì miseramente, ricadendo sul cuscino: “Non bene temo, signore. Se posso chiedere, perché siete qui voi? Dov’è il dottore?”
“Ho fatto io la seconda guardia stanotte, per questo non sono ancora sul ponte. Quanto al dottore, beh...anche lui ha il diritto di nutrirsi ogni tanto, non credete?”
“Naturalmente, signore! Solo...solo...” quel poco del viso che era ancora visibile sbiancò e i lineamenti si contrassero.
Jack sentì la mano sotto la sua aggrapparsi alla coperta e la strinse leggermente: “Volete che faccia venire qui il dottore?”
Pullings fece un gesto di diniego con la testa e sussurrò: “Ora passa...ora passa...”

L’ ‘ora’ di Tom si tradusse in diversi minuti ma poi la fitta sembrò scemare, lasciandolo pallido e coperto da una patina di sudore freddo: “Scusatemi...”
“Per cosa? Piuttosto, c’è qualcosa che possa fare?” con un sorriso impertinente aggiunse “Non avrete mica bisogno...di usare il vaso?”
Il poveretto, timido come pochi altri in nella Marina di Sua Maestà, avvampò immediatamente: “N-no! N-no davvero, signore!”
Aubrey si lasciò andare ad una risata poderosa, di quelle che riservava per le sue battute migliori, incurante del fatto che facessero ridere praticamente solo lui. La sua allegria contagiosa strappò tuttavia un sorriso all’ufficiale ferito, raggiungendo l’obiettivo che si era prefissato.
Ricompostosi, il comandante proseguì: “Seriamente, c’è qualcosa che posso fare per voi, Tom?”
“Beh signore, se non vi dispiace, dietro di voi ci sarebbe un bicchiere d’acqua...potreste aiutarmi ad accostarlo alle labbra, per cortesia?”
“Ma certo! Ecco. Fate piano.” Il ferito era talmente debole che Jack dovette sorreggergli la testa perché potesse bere, ma ormai aveva maturato una certa esperienza data la sovrannaturale capacità del suo compagno di vita nell’attirare incidenti e disgrazie su di sé e lo fece senza battere ciglio.

Aveva appena posato il bicchiere che uno Stephen imbufalito fece il suo ingresso nella cabina: “Vergogna, Jack, vergogna!”
“Cosa avrei mai fatto questa volta? Sentiamo.”
“Beh, tanto per cominciare...oh! Salve, Tom! Che piacere vedervi sveglio! Un momento e sarò subito da voi. Come dicevo, tanto per cominciare ti sei ingollato tutte le aringhe per la colazione e ti sei scolato tre quarti della caffettiera. Poi sei piombato qui come un cavallo imbizzarrito per dare il tormento al mio paziente...Non ridere! Non c’è assolutamente niente di divertente!”
“Vi sto tormentando, Tom?”
Pullings arrossì di nuovo: “S-signore...i-io...”
“Ignoratelo, Tom! E tu, Jack, vergogna e disonore! Non vedi che il poverino ha la febbre? Dovevi proprio venire qui con la tua finezza da pachiderma a disturbare! E non dire che non è vero: i tuoi muggiti si sentivano fino al maschione di prua!”
A quella Jack scoppiò a ridere di nuovo, e più forte di prima. Sapeva per esperienza che avrebbe solo esasperato l’ira funesta dell’amico ma non poté trattenersi davanti a quella disgraziata ‘i’ di troppo, per non parlare della mancata specifica[2]. Quella povera ‘i’ aveva squarciato la paratia già lesa dal ‘pachiderma’: Aubrey non sapeva l’esatto significato di quest’ultima parola ma il solo sentirla gli faceva venir da ridere.
“Il maschione...il maschione di prua! Per l’amor di Dio! Stephen, questa è proprio bella!”
“Si, si! Ridi pure. Ha! Ha! Ha! Vedremo quanto riderai quando ti si strapperanno i punti e dovrò ricucirti da capo. E adesso fuori di qui, che il Cielo ti strafulmini!”

Ancora piegato in due dalle risa, Jack uscì dalla piccola cabina – non senza aver dato un’ultima pacca d’incoraggiamento al povero Tom – e se ne andò tutto allegro sul ponte di coperta.
Né lui né l’amico avrebbero preso sul serio quelle imprecazioni: tali piccole schermaglie erano all’ordine del giorno, soprattutto quando Stephen non completava il suo ciclo di otto ore di sonno seguite da un litro di caffè per ritornare umano dal vegetale che era appena sveglio.
Ad ogni modo, il piccolo battibecco era servito a Jack per superare l’ansia della notte e a Stephen per sfogare il suo malumore mattutino.
Quanto a Tom, il poveretto era talmente spossato da non aver seguito il filo della conversazione. Forse Stephen aveva ragione, forse aveva esagerato.
Se anche fosse ne sarebbe valsa la pena, se non altro per quel ‘maschione di prua’ che lo avrebbe fatto ridacchiare per il resto della giornata.
Comunque le cose stavano volgendo al meglio.

Le cose non stavano volgendo al meglio proprio per niente.
Tanto per cominciare, il sudore causato dalla febbre aveva fatto attaccare le fasciature ai punti e cambiarle fu un travaglio quasi peggiore di quello del giorno precedente.
E questa volta, tutta la buona volontà di Thomas Pullings non bastò a non urlare.
Lo stesso Maturin era grigio in viso e teneva le labbra tanto strette da scomparire mentre svolgeva quel compito ingrato.

Quando ebbe finito di levare le bende, rasò le guance del paziente – onde evitare che i peli infettassero la ferita – e spalmò sulle suture un leggero strato di unguento alla malva e salice bianco.
Mentre questo asciugava cambiò le medicazioni al torace ed alla caviglia, applicò un cataplasma all’arnica sulle ossa rotte e gli raccolse i capelli con un nastro, per evitare che gli andassero sul volto.
Quando gli ebbe fasciato di nuovo la testa, il ferito aveva appena la forza di reggere il termometro tra le labbra.
102,2° F[3].

Male! Molto male.

E andò peggiorando: già appena dopo mezzogiorno la temperatura era a 104° F[4] e neanche la corteccia di china bastò per abbassarla.
Il povero Tom tremava come una foglia e sudava copiosamente, lamentandosi per il dolore delle ferite esacerbato dalla febbre e agitandosi nella branda, incapace di trovare sollievo.
Poco dopo il tramonto iniziò a sussurrare frasi incoerenti e cercò di alzarsi per salire sul ponte: aveva sentito la campana e credeva di essere di guardia. Stephen non dovette comunque prendere dei gran provvedimenti per trattenerlo dato che riusciva a malapena a stare seduto e non era assolutamente in grado di alzarsi.
Dopo un paio di tentativi falliti, si arrese e ricadde sulla branda, mugolando penosamente.

La situazione si protrasse per giorni e Stephen era sempre più disperato: in condizioni normali avrebbe praticato un salasso o applicato delle sanguisughe per abbassare la temperatura ma Pullings aveva perso quasi due litri di sangue e non poteva assolutamente cavargliene altro senza correre rischi.
Cambiare le medicazioni era un tormento: le bende impregnate di essudato che non si separavano dalle ferite, la pulizia delle suture e gli spostamenti che tutto ciò implicava gli causavano un dolore insostenibile e spesso le sue urla risuonavano per tutta la nave, facendo piangere il cuore a chiunque le sentisse.
Oltretutto non teneva giù niente proprio a causa della febbre alta, non si riusciva a somministrargli altro che pochi bicchieri d’acqua al giorno e, forse, una tazza di tisana.
Non poteva certo gestire le pozioni ed i boli che generalmente somministrava ai suoi pazienti.

Gli faceva le spugnature regolarmente e lasciava impacchi freddi sul collo, i polsi e le caviglie anche per un’ora di seguito ma la temperatura si ostinava a rimanere su quel fatidico 103,1°F. Durante il giorno, il caldo mediterraneo non portava certo beneficio ma era di notte che la febbre poteva alzarsi fino a 105°F[5] e restarci anche per un paio d’ore.
Allora Maturin apriva la finestra e indirizzava la brezza sul volto febbricitante del suo paziente ma non si azzardava a togliergli la coperta e scoprirgli il petto nel timore che potesse ammalarsi: era molto debole e la febbre lo aveva consumato al punto da far temere al medico il sopraggiungere della consunzione.
 
 
[1] 38, 5° Celsius
[2] I masconi sono le paratie della prua. In genere ci si riferisce ad essi come ‘mascone di dritta’ o ‘mascone di sinistra’ al singolare e si chiamano semplicemente ‘masconi’ al plurale.
[3] 39° Celsius.
[4] 40°  C
[5] 40,5°C
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Disclaimer: non mi appartengono ne la canzone ne i personaggi, solo la trama. Temo dovermi barricare al Grapes fino alla domenica per sfuggire ai creditori: nessuno mi ha pagato per questa storia. 

Buona Lettura ^.^


Nonostante l’ansia, Stephen rimase al capezzale di Tom, vegliandolo instancabilmente notte dopo notte. In una mano gli teneva il polso, contando i battiti, con l’altra sgranava un rosario dopo l’altro, pregando la Vergine, San Giuseppe[1], Santa Barbara[2] e San Tommaso perché vigilassero su di lui e lo proteggessero, che riuscissero dove la medicina stava fallendo.
Ormai non usciva quasi più dalla propria cabina e, per quanto entrambi se ne dispiacessero, non vedeva Jack che per pochi minuti al giorno. Entrambi tuttavia erano abbastanza maturi da capirne il motivo ed accettare la situazione.

Durante uno di quei fugaci incontri – Stephen stava finendo la colazione e Jack era entrato nella propria cabina per recuperare un cannocchiale – Aubrey gli chiese cosa potessero fare lui o gli uomini per aiutare il ferito. Qualunque reazione avesse preventivato, di certo non si aspettava il sospiro rassegnato che ottenne e la successiva risposta: “Pregate, Jack. Pregate: non c’è altro.”

Per pregare, pregarono.
Ciascuno a modo suo e senza mettersi d’accordo l’uno con l’altro, ma ciascuno manifestò in modo diverso la propria vicinanza: le squadre addette alle riparazioni facevano meno rumore avvicinandosi alle cabine di poppa, i timonieri pilotavano con attenzione anche maggiore del solito, evitando quanto più possibile di fare manovre brusche.
Mowett iniziò a scrivere un poema in onore dell’impresa contro la Torgud ma fece voto con se stesso di non proclamarlo finché Tom non fosse guarito e addirittura di bruciarlo se fosse morto.

Morto.

Quello che ogni singola anima a bordo della H.M.S. Surprise temette maggiormente era ricevere la notizia che il Primo Ufficiale – al quale alcuni tra i più ignoranti si riferivano come “moribondo” o “povero bastardo”- fosse venuto a mancare.
Niente avrebbe dato più dispiacere a Jack del dover comporre un sermone in memoria del suo giovane ed affezionato braccio destro – una presenza ormai quasi costante dalla sua nomina a comandante – ed una lettera di condoglianze alla famiglia al posto di una raccomandazione all’Ammiragliato per una promozione.
Niente avrebbe distrutto Stephen più di dover abbassare per l’ultima volta le palpebre su quegli occhi verdi, a cui avrebbe sempre voluto accostare un sorriso timido o la luce di una gioia spropositata dopo la nomina ad ufficiale, non certo la vitrea fissità della morte.
Per questo concentrò tutte le sue energie nell’assistere quel giovane sofferente.

Durante la notte, quando la febbre si alzava e gli spasmi diventavano insopportabili, gli accarezzava i capelli e lo rassicurava dolcemente. Nelle rare occasioni in cui riusciva a dire qualcosa sedeva accanto a lui in religioso silenzio, ascoltando i suoi sussurri – non curandosi di quanto incoerenti potessero essere - con l’attenzione di un confessore.
¤

La terza notte dopo l’operazione, verso mezzanotte, quando la febbre raggiunse un picco di 106,7°F[3] - che per fortuna non mantenne a lungo – Pullings cominciò a respirare più faticosamente del solito, la sua mano strinse quella del dottore e aprì gli occhi.
Socchiuse le labbra e Stephen si chinò su di lui per ascoltare.
Tutto ciò che gli giunse fu un flebile singulto, appena più forte di un sospiro: “Ho paura.”

Maturin sentì il cuore stringersi nel petto mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime ed un groppo immane gli si formava in gola.
Tirò su con il naso e ricambiò delicatamente la stretta, prima di posare una mano sulla testa del giovane e accarezzarla, sforzandosi di produrre una parvenza di sorriso: “Tranquillo, Tom. Va tutto bene, figlio mio: ci sono io qui con te.” Il poveretto gemette pietosamente “Shh, shh. Non affaticarti, piccolo. Va tutto bene. Shh. Sono qui. Sono qui. Shh.”
Vedendo che il giovane stava soffrendo molto, il dottore si mise a cantare una breve ninnananna in Gaelico Irlandese che la sua balia era solita cantargli per farlo addormentare.
Seothó seothú ló
Seothó seothú ló
Seothú ló
Seothú ló

Mo ghaol, mo ghrá 'gus m'eadúil thú
Mo stoirín úr is m'fhéirín thú
Mo mhacán álainn scéimheach thú
Chan fiú mé féin
bheith 'd dháil         [4]

Era davvero una cosa piccola e, senza accompagnamento musicale, il chirurgo – che già aveva una voce di per se poco armoniosa – faticava ad intonare la nota giusta per cui il risultato non fu particolarmente gradevole, ma non sembrò fare differenza. L’assonanza delle parole ed il tono dolce riuscirono, insieme alla mano che gli scostava delicatamente i capelli dal volto, a rasserenare il ferito e ad accompagnarlo in un sonno più sereno.

Più tardi, quella stessa notte, alla fine del suo turno di guardia Jack s’introdusse con discrezione nella cabina ed appoggiò una mano sulla spalla di Stephen, con lo sguardo triste rivolto verso il Primo Ufficiale.
“Come sta?”
Maturin sospirò: “Molto male: la febbre è salita ancora. Finora tutti i miei medicamenti sono serviti a ben poco. Sto facendo del mio meglio ma se la temperatura non scende c’è la possibilità concreta che non superi la notte.”
Aubrey si sentì mancare, sia all’idea di poter perdere Pullings sia nel sentire il suo Stephen così abbattuto e stanco, ma non volle cedere alla disperazione: “Quando gliel’hai provata l’ultima volta?”
“Sinceramente non lo so. Forse qualche ora fa?”
“Provagliela ancora.”
“Dici? Beh, male non può fare.”

103,1° F. Deo Gratias!

“Dio sia lodato! E’ scesa! Non di molto ma è comunque più bassa.”
“Che bella notizia, mio caro! Sono davvero contento. Adesso però vai a dormire, anima mia. Da quanto tempo non fai una bella notte di sonno?”
“Da tempo immemorabile.”
“Vai a dormire, allora. Resto io con Tom. Avresti la mia cabina tutta per te.”
“Gioia, per quanto la tua proposta sia davvero, davvero allettante mi vedo costretto a declinarla. La situazione è terribilmente delicata e non potrei perdonarmi se accadesse qualcosa mentre non sono qui.”
“Ma sarebbe solo per poche ore! Sii ragionevole, Stephen: non sarebbe abbandonato a se stesso e ti verrò a chiamare al minimo cambiamento ma tu nel frattempo potrai riposare come sono certo hai bisogno.”
“Ti sono grato per il sostegno, mio caro. Tuttavia devo insistere nella mia posizione: io devo fare solo questo, tu devi comandare una nave di Sua Maestà. E comunque non mi pesa restare sveglio, anche perché tu non sapresti dove mettere le mani ma sono certo che, in buona fede, cercheresti di intervenire in qualche modo, se non altro per non disturbarmi e rischieresti di fare danni."
“Come preferisci, allora. Buonanotte, Stephen.”
“Buonanotte, gioia.”
 
Note:
[1] Speranza degli infermi, Patrono dei moribondi.
[2] Invocata contro la febbre e la morte improvvisa.
[3] 41,5°C
[4] Oh tu sangue del mio sangue, mio amore e mio idolo/ La mia cosa più cara e più preziosa/ Mio bellissimo piccolo figlio/ Con solo me a prendersi cura di te
Tradizionale ninnananna irlandese di datazione alquanto incerta, arrangiata musicalmente nel XX secolo. Il testo sembra però essere più antico.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Disclaimer: Se mi sto ancora nascondendo dai miei creditori vuol dire che nessuno mi paga e io non posso pagare loro, no?

Buona lettura ^.^

Il povero Stephen pagò cara la sua devozione alla professione.

La mattina del sesto giorno di febbre di Tom era appena entrato nella cabina di Jack e, esausto per l’ennesima notte insonne, si era accasciato su una sedia.
Sentendo l’amico entrare, si era voltato per dargli il buongiorno ma dovette averlo fatto con un po’ troppo entusiasmo perché tutto divenne improvvisamente nero.
Aubrey se lo ritrovò tra le braccia prima ancora di riuscire a spiaccicare parola.
Rassegnatosi alla testardaggine dell’amico, Jack lo sollevò delicatamente e lo adagiò nella sua branda, sfilandogli calze, giacca e scarpe e avvolgendolo teneramente in una coperta.

Poi, con la tranquillità dell’abitudine di una nutrice navigata, si sedette a tavola e s’imburrò una fetta di pane tostato.
Prima che potesse addentarla, però gli soggiunse un pensiero improvviso: “Passa parola per il signor Mowett!” gridò, sapendo bene che quando collassava Stephen era perfettamente in grado di dormire anche in mezzo alle cannonate.

Il giovane ufficiale non si fece attendere: Jack aveva appena finito d’imburrare la seconda fetta che entrò togliendosi il cappello.
“Mi avete fatto chiamare, signore?”
“Sì. Avete fatto colazione? Prego, servitevi!”
“Vi ringrazio di cuore signore ma sono a posto, davvero.”
“Come preferite. Siete voi di guardia adesso, giusto?”
“E’ corretto, signore.”
“Bene! Dite al nocchiero di sostituirvi e andate ad assistere il signor Pullings, per cortesia. Il dottore è … indisposto, come potete vedere.”
“Nulla di grave, spero.”
“Non credo” Jack si strinse brevemente nelle spalle “credo sia solo un piccolo mancamento, magari dovuto alle tanti notti insonni …”
“Qual sublime sapienza! Non sapevo foste un luminare in campo medico, emerito Dottor John Aubrey.”
“Buongiorno anche a te, Stephen.” Mormorò Jack, sorseggiando il suo caffè senza scomporsi.

Mowett però sembrava essere a disagio, quindi si alzò e con un cenno gli ordinò di seguirlo accanto alla branda del dottore.
“Come ti trovi a tuo agio in quella posizione di superiorità morale, caro fratello mio.”
“Se hai finito di sputare sentenze, avrei appena ordinato al qui presente William Mowett di sostituirti con Tom, per stamattina.”
“Assolutamente no! No! No e poi no! Posso farcela benissimo da solo: non sono certo in punto di morte!”
“Benissimo allora alzati e cammina, Lazzaro.”
“Certo che mi alzo, e camminerò pure!”

Ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. In questo caso letteralmente visto che, non appena Maturin fu in procinto di levarsi a sedere, il leggero rollio della nave fu più che sufficiente per farlo crollare di nuovo sul suo cuscino con un verso a metà tra un uggiolato ed un grugnito.

Jack fece del suo meglio per non nascondere il suo sorriso saccente e Stephen, che lo percepiva senza vederlo, brontolò: “E va bene! Dormirò, riposerò e mi ristorerò. Ma ascoltatemi bene: chiunque vada al capezzale di Pullings al mio posto dovrà seguire scrupolosamente le mie istruzioni e in nessun caso prendere iniziative di alcun genere. Capito?”
I due ufficiali annuirono, essendo la sua autorità in merito ben più che indiscussa.
 “Perfetto. Prima di tutto non dovete perderlo di vista un momento: la situazione è molto precaria. Spero inoltre non ci sia bisogno di ricordarvi che non dovete assolutamente manipolare le fasciature. Troverete un secchio d’acqua e diversi stracci: fatene degli impacchi da passargli sul viso, sul collo, sul petto e sui polsi. Non toglietegli la coperta, per quanto forte possa lamentarsi, è talmente debole che basterebbe un filo di vento a farlo ammalare. Parlategli pure, se apre gli occhi, ma non forzatelo a rispondervi e non affaticatelo. Se dorme, lasciatelo dormire. Ah! Ogni tanto dategli da bere: è molto debole quindi dovrete sorreggerlo e, soprattutto non dategli altro che acqua. Che non vi salti in mente di fargli bere del vino o quell’ abominevole miscela di cui voi marinai andate tanto fieri[1]! L’alcool diluisce il sangue e Dio sa se quel poveretto non ne ha perso fin troppo. Bene, con questo è tutto. Ora disperdetevi e lasciatemi al mio letargo.”

L’interminabile monologo venne profferto con un tono estremamente affaticato e venne intervallato da pause sempre più lunghe, ma Stephen lottò disperatamente per continuare finché non ebbe spiegato tutto.
Solo allora si abbandonò al proprio giaciglio, completamente esausto.

Jack accompagnò Mowett alla porta, diede un paio d’istruzioni al nocchiero per la guardia e si ritirò di nuovo accanto all’amico.
Osservando quel volto pallido - intervallato da sprazzi di barba non tagliata da due giorni, con la pelle tesa sulle ossa da una settimana di privazioni – si commosse profondamente: per essere una creatura fisicamente minuta e fragile come poche, Stephen aveva una tempra morale davvero incredibile. Sapendo quanto spesso si dimenticasse di mangiare o dormisse a orari improbabili per aver assistito un paziente o squartato chissà quale bestia rara.
Una simile abnegazione non poteva che essere ammirabile ma, in cuor suo, Aubrey temeva che il suo amico un giorno ne sarebbe morto.
Cercando di scacciare quel pensiero, rimboccò amorevolmente le coperte all’amico e si decise a terminare la colazione quanto più silenziosamente e rapidamente possibile: il caffè di Killick era ottimo ma freddo diventava ‘cattivo peggio della peste nera’ come l’aveva definito un giorno Maturin, e non a torto.

La mattina trascorse comunque tranquilla, almeno fino a quando il signor Mowett mandò a chiamare il capitano, poco dopo che gli uomini erano stati convocati per il pranzo.
Aubrey si precipitò immediatamente nella cabina del dottore.

“Quando è successo?”
“Pochi minuti fa, signore.”
“Killick! Fate venire qui il dottore. Subito!”
 
Note:
 
[1]Sarebbe il grog.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Disclaimer: di mio, qui dentro, c'è solo la trama.

Buona Lettura ^.^ 


Sbuffando, brontolando ed imprecando peggio del solito il famiglio si recò presso la branda in questione.
Quando il dottore rispose ai suoi scossoni con una serie d’improperi, estrasse il fatidico: “Sarebbe che è il capitano a farvi chiamare, eccellenza.”
Per tutta risposta Stephen si raggomitolò sul fianco e spremette la faccia contro il cuscino, borbottando oscenità.
Questo genere di reazioni era tuttavia ben noto a Preservato Killick, che non si fece remora alcuna nel districare il dottore dalle coltri, sollevarlo di peso e caricarselo in spalla per portarlo dove non voleva andare.

Nel breve tragitto ebbe un bel tentare di spiegare: “Sarebbe che è per il vicecomandante Pullings, eccellenza. Pare che sia successo qualcosa. E sarebbe anche abbastanza urgente per vossignoria essere li.”
Ma le sue parole furono soffocate da una serie di: “Tiranno! Despota e traditore! Infame cabròn! Lanzadòr! Fill de gran puta!”
Preservato Killick non capiva il Catalano ma anche se lo avesse fatto avrebbe ignorato tranquillamente gli insulti. Non erano comunque niente in confronto a quelli che i marinai si lanciavano tra di loro anche solo per scherzo.
Quindi depositò il dottore di fronte alla sua porta senza tante cerimonie e tornò nella sua tana a fare qualunque cosa facesse quando non lo chiamavano.

Con un ultimo grugnito Stephen aprì la porta.
Una sola occhiata alle espressioni di Jack e Mowett bastò a capire il motivo di tanto trambusto.
Senza fare commenti, inforcò gli occhiali e si chinò sul suo paziente: la pelle era arrossata e madida di sudore ma il respiro era regolare e sembrava dormire serenamente.
Tastandogli il polso fu piacevolmente sorpreso nel trovarlo lento e costante, mentre la cute si era notevolmente raffreddata.

“E’ come penso che sia?”
“Sì, Jack: la febbre è scesa, per questo suda così tanto. Più tardi bisognerà cambiargli le lenzuola, ma per ora è meglio lasciarlo in pace.” Rimboccò la coperta intorno ai fianchi del giovane per controllare le bende e annuì, apparentemente soddisfatto “Lasciatelo pure scoperto, adesso: senz’altro avrà caldo. Fategli delle spugnature e dategli una tazza di tè molto zuccherato non appena si sveglia. Aprite appena la finestra, Mowett. Ecco: così è perfetto. Non fatelo affaticare, mi raccomando.”

Sbadigliò e ritornò sotto le coperte come se niente fosse.

Passò un’ora e Jack sostituì l’ufficiale al capezzale di Pullings.
Si era seduto da poco, quando il giovane iniziò a dare i primi segni di risveglio voltando la testa da un lato all’altro e gemendo.
Aubrey diede immediatamente una voce a Killick perché preparasse il tè e tornò accanto al ferito, chiamandolo dolcemente per aiutarlo a tornare cosciente.
Poco dopo Pullings riaprì gli occhi ed il suo sguardo incrociò quello del capitano, che sorrise: “Salve, Tom. Che bello vedervi finalmente sveglio e sfebbrato! Ecco: lasciate che vi dia qualcosa da bere.”
Gli versò un bicchiere d’acqua e glielo accostò alle labbra, osservando con sollievo come alzasse la mano per tenerlo da se e come questa mano non tremasse.

“Allora, come vi sentite?” domandò Aubrey dopo aver appoggiato il recipiente sul tavolo “Avete fatto prendere un bello spavento a me ed al signor Mowett.”
“William è stato qui?”
“Se n’è andato poco fa. Il dottore era indisposto questa mattina, così è rimasto lui con voi.”
“Il dottore sta bene?”
“Ma sì, ma sì. Era solo un po’ stanco. Vi ha vegliato giorno e notte, sapete.”
“Vi prego, signore mandategli tutta la mia gratitudine quando lo vedete.”
“Senz’altro. Ma ditemi, non avete risposto alla mia domanda.”
“Oh! Certo … beh, signore. Mi sento ancora molto stanco e indolenzito ma nel complesso credo di stare un po’ meglio anche se … qui dentro c’è un caldo infernale.” Fece per togliersi la coperta, ma si accorse di essere in mutande ed arrossì violentemente.
Aubrey scoppiò a ridere: “State pur tranquillo, Tom. Il dottore aveva detto che avreste sentito caldo e potete stare scoperto, se volete. Non sentitevi in imbarazzo.”

Il povero Tom d’imbarazzo ne sentiva parecchio ma venne risparmiato dall’arrivo provvidenziale di Killick con il vassoio del tè, una camicia pulita e le coperte di ricambio.
Il capitano ed il famiglio dovettero vestire il giovane ufficiale perché non poteva ancora reggere una fatica simile da solo.
Riuscirono ad infilargli l’indumento senza che patisse troppo nel procedimento e lui si tranquillizzò, avendo recuperato un minimo di decoro.
Congedato il famiglio, Jack versò ad entrambi una tazza di tè e, dopo aver aiutato il ferito a finire la sua, si sedette di nuovo accanto alla branda.
Ancora prostrato per la febbre e le sofferenze degli ultimi giorni, Pullings era completamente abbandonato sui cuscini che lo sostenevano, con le coperte avvolte intorno ai fianchi ed una mano posata sul ventre. Respirava piano e, se la parte superiore non fosse stata scoperta, il corpo sottile si sarebbe scorto appena sotto le coperte.

‘Dio! Com’è dimagrito!’ Pensò Jack. ‘Non che sia mai stato grasso, però ultimamente si era irrobustito, finalmente sembrava un uomo e non uno spaventapasseri. E adesso è così deperito, povero ragazzo! Anche se non è peggio di quella volta che ha contratto il tifo, poveretto. Quanti anni ha adesso? Ventisei, mi pare. Sì, ventisei. Così giovane e già con una ferita tanto orrenda! Chissà cosa dirà la sua povera moglie, cara creatura. Ah! Se non me lo promuovono questa volta! Povero ragazzo, se lo merita davvero per quanto sta soffrendo.’
“Scusate, signore.” La voce flebile di Tom interruppe il flusso di pensieri del capitano “Il dottore ha detto quanto dovrò restare a letto?”
“Ha detto che non potrete assolutamente poggiarvi su quella caviglia per almeno tre settimane. Comunque” aggiunse vedendo le spalle del giovane sprofondare ulteriormente nei cuscini “ci vorrà almeno un mese prima di arrivare a Malta e, per una volta, non abbiamo fretta. Voi avete bisogno di riposare e rimettervi, l’equipaggio è stanco e a tutti farà bene una traversata tranquilla prima di tornare a La Valletta. Ad ogni modo, nulla vi vieta di salire sul ponte e partecipare ai turni di guardia. Ma solo quando sarete più in forze. Ora dovete solo riposare e guarire.”
“Grazie, capitano.”
“Non c’è di che, Tom. Adesso però cercate di dormire un po’ o il dottore vorrà la mia testa.”
Prima ancora che Aubrey avesse finito di parlare le palpebre di Pullings avevano iniziato a calare sui suoi occhi stanchi e ora si chiusero di nuovo.
L’ultima cosa che vide fu il capitano che gli rimboccava le coperte sulle spalle, dopo che aveva iniziato a tremare leggermente.

Al suo risveglio trovò il dottore con un piatto di minestra e un uovo sbattuto.
“Buonasera, Tom. Come vi sentite?”
“Ancora debole, signore.”
“Perfettamente comprensibile. Comunque avete recuperato un po’ di colore e la febbre è scesa del tutto. Vi sentite di mangiare qualcosa?”
“Va bene.”

Più tardi quella stessa sera Pullings stava riposando tranquillamente nella branda, cullato dolcemente dal famigliare beccheggio della nave e confortato dal tepore delle coperte nella notte fresca, finalmente libero dallo strazio della febbre.
Si godeva beato quello stato di pacifico dormiveglia quando dalla cabina del capitano provenne una melodia allegra e delicata.
Un orecchio più esperto avrebbe riconosciuto il Concerto in La maggiore per archi e basso continuo di Vivaldi[1] ma per il giovane ufficiale ferito significava soltanto che il dottore ed il capitano erano tornati a fare musica nell’alloggio di quest’ultimo.
Significava che erano in pace e potevano navigare tranquilli.
Significava che tutto stava tornando alla normalità.

Il secondo movimento, più dolce e lento, associato al rollio delle onde fece per lui da ninnananna e si ritrovò tra le braccia di Morfeo prima ancora di rendersene conto.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Disclaimer: Sarebbe che è sempre lo stesso.

Buona Lettura ^.^

Il giorno dopo era domenica ma la consueta cerimonia di revisione dell’intera fregata non fece nulla per disturbare il giovane Pullings che dormiva il sonno del giusto, recuperando le energie bruciate dall’emorragia e dalla febbre.
Non lo disturbarono anche perché il dottore aveva minacciato a destra e a manca di contaminare i barilotti del grog con una dose di purgante se lo avessero fatto.
Minaccia del tutto inutile comunque, dato che tutti gli uomini erano affezionati al giovane ufficiale e che i pugni di Barrett Bonden erano un deterrente più che sufficiente.

Si svegliò solo quando Maturin entrò nella cabina per cambiargli le bende: aprì gli occhi e subito li richiuse, sbatté le palpebre diverse volte e mugolò sommessamente per qualche minuto prima di riaversi del tutto.

Il dottore lo osservò con un sorriso accondiscendente sul volto: “Buongiorno, Tom e buona domenica, mio caro. Come state oggi? Avete dormito bene?”
“Come?! E’già domenica? Buon Dio! … ehm, scusate dottore. Ho dormito davvero bene e mi sento un po’ meglio … ma è giorno di ispezione! E la celebrazione? Sono ancora in tempo?”
“Temo di no, ragazzo mio. Tuttavia non avete di che preoccuparvi: il capitano vi ha esonerato dal parteciparvi, date le vostre condizioni. Ora però vedete di stare calmo perché siete ancora debole e non vi fa bene troppa agitazione. Così va meglio. Pensate di riuscire a sedervi o volete aiuto?”
Tom cominciò ad alzarsi da solo ma cedette subito, piegandosi su un fianco e stringendosi il fianco destro con una mano.
Stephen lo sorresse prima che cadesse dalla branda e gli avvolse le spalle con un braccio: “Sono le costole, vero? Devono essere tremendamente dolorose. Coraggio lasciate che vi aiuti adesso. Ecco: così, così. Respirate, Tom. Respirate piano, coraggio. Cercate di fare dei respiri profondi. Dentro e fuori. Così. Il dolore passerà.”
Lentamente il colore si sparse di nuovo su quel volto ingrigito e le membra dell’ufficiale si rilassarono.

“Va meglio?”
Un cenno tremante del capo e il dottore lo riassestò sui cuscini, manovrandoli perché lo sostenessero in posizione semi reclinata.
Quando fu sicuro che non crollasse di nuovo, lo aiutò a togliersi la camicia e applicò immediatamente l’unguento all’arnica sul fianco livido prima di medicare i punti sull’altro e rifare la fasciatura.

Poi venne il momento di cambiare le bende sul volto e Pullings cominciò a tremare, stringendo le coperte con le mani. Maturin gli tenne una mano sulla spalla finché fu di nuovo padrone di se e solo dopo aver ricevuto un cenno dal suo paziente le tolse.
Inaspettatamente, non ci fu il dolore atroce delle volte precedenti solo fastidio quando l’ unguento freddo toccò la sua pelle ma poi il sollievo portato dal balsamo lo tranquillizzò mentre le bende gli avvolgevano di nuovo il capo.

Pulendosi le mani in uno straccio Stephen ricordò improvvisamente cosa fosse il libro che aveva messo sul tavolo appena entrato e perché fosse arrivato lì: “Il capitano mi ha chiesto di darvi questo. Io non me ne intendo ma credo sia un libro di storia della Marina, o qualcosa del genere. In ogni caso credo sia per voi più interessante di uno qualsiasi dei miei saggi. Ora, se vi sentite di restare seduto per un po’ io andrei a pranzo. Più tardi verrà qualcuno a portarvi da mangiare. Può andare bene?”
Dopo una settimana di agonia, finalmente il povero Pullings trovò la forza di sorridere, un sorriso aperto e sincero che contagiò anche il medico.
Appena prima di uscire, Maturin ebbe un’ altra epifania: “Tom!”
L’ufficiale alzò lo sguardo dal libro – un resoconto delle battaglie di Nelson, tratto dalla pressoché infinita collezione del capitano Jack Aubrey – che aveva appena iniziato a leggere e lo guardò con aria interrogativa.
“Dato che avete saltato la celebrazione di oggi … vi dispiacerebbe se vi dessi io una piccola benedizione? Niente di particolare: solo un gesto che i genitori, dove sono nato, compiono per i propri figli prima di metterli a letto. Ne ho parlato con il capitano e non lo ha ritenuto fuori luogo. Voi siete d’accordo?”
Sebbene confuso, il giovane non trovò nulla di male nell’accettare.
“Molto bene. Ora traccerò una piccola croce sulla vostra fronte. Domine te benedicat, te servat a malo et ducat te ad Vita Aeterna[1]. Ecco, ora vi lascio alla vostra lettura. Buona giornata, Tom.”
“Buona giornata a voi, dottore. Che Dio vi benedica, signore.”

Non sembrava essere destino, tuttavia, che quel giorno Thomas Pullings arrivasse oltre la metà del primo capitolo del suo libro.

Una lettura avvincente, davvero. Vi si era però immerso da poco che qualcuno bussò alla porta: “Prego, entrate.”
“Buongiorno a te mio carissimo, letargico amico! E’ un piacere vederti sorgere dal tuo giaciglio, novello Lazzaro!”
Per quanto poco le sue costole rotte glielo permettessero, il ferito rise di cuore: “William! Che piacere vederti! Dove sei stato tutto questo tempo?”
“Sul ponte, per lo più. Ho cercato di venire a trovarti ma il dottore si è insediato accanto a te e ha difeso il suo territorio come un Cerbero. Per essere un uomo quello è davvero una chioccia: giorno e notte accanto al suo pulcino e pronto a prendere a beccate chiunque si avvicini.”
“Una chioccia particolarmente spennacchiata!”
“Vero! E come rizzava quelle tre penne che aveva in testa tutte le volte che anche solo gli si domandava di poterti vedere!”
Mowett si lanciò in un’imitazione di una chioccia inferocita che Pullings, nato e cresciuto in una fattoria dell’Hampshire, non poté non trovare ridicolmente famigliare.

Risero entrambi di gusto fino a quando le ferite di Tom non cominciarono a farsi sentire e si accasciò con un lamento sui cuscini.
“Non dovremmo prenderlo in giro, però.” Rifletté William mentre l’amico si riprendeva “Ha fatto di tutto per te, in questi giorni. Ti ha medicato ed accudito completamente da solo. Credo che tu gli debba la vita.”
“Su questo hai ragione. Una volta a terra mi farò ripagare: lo accompagnerò in lungo ed in largo per le sue scampagnate, qualunque cosa voglia fare.”
“Penso che verrò anch’io: è divertente bighellonare in giro alla ricerca di bestie strane. Soprattutto i pipistrelli: adoro infilarmi nelle grotte e farli scappare. Come urlano!”
“Parlando di cose serie, che mi hai portato di buono?”
“Oh! La solita minestra, temo. Oggi però il dottore è stato magnanimo: ha costretto Killick a preparare del budino di riso apposta per te, sa che è il tuo preferito. Me ne ha dato una ciotola abbondante. ‘Fatelo mangiare, mastro Mowett’ mi ha detto ‘non importa cosa, l’importante è che mangi e recuperi le forze’. Però ha posto come condizione che tu prima finisca la minestra.”
“Quell’uomo è un santo! Will, per favore, potresti aiutarmi? Faccio ancora fatica a muovermi e, con quest’occhio bendato, non ci vedo molto bene.”
“Ma certo, amico mio!”
Tom impiegò quasi mezz’ora per finire la minestra: non avendo ingerito pressoché nulla per una settimana, ora il suo stomaco impiegava veramente poco a riempirsi.
Ci arrivarono però, con molta calma e con il dolce come incentivo.

“Mi dispiace farti perdere tempo così, Will. Dovresti essere di guardia adesso.”
“Oh! Per quello non c’è problema: sono stato di turno io tutta notte ed il capitano mi ha dato la giornata libera. Anche perché vuole qualcuno che resti con te e sostituisca il dottore, è svenuto ieri mattina sai? Niente di grave ma il capitano non vuole che si sforzi troppo, giustamente.”
“Così ti sei offerto tu.”
“Cos’è quell’espressione affranta, Tom? Se la mia presenza ti è così avversa vado a chiamare Killick!”
“No, per l’amor di tutto ciò che è sacro! Killick no!”
“O Davis.”
“Peggio! Mi vuoi proprio morto!”
 “Morto? No. Voglio solo farti tornare il sorriso. E pare che ci stia riuscendo.”
Fece un’ espressione assurda, a metà fra il cipiglio perennemente imbronciato di Killick e quello strabico di Davis, e Pullings rise di nuovo rischiando di rovesciare la scodella che aveva in grembo.

Ebbe di nuovo bisogno di riprendere fiato e, mentre si calmava, William iniziò a sfogliare un  volume che si era portato dietro.
“Che leggi di bello?”
“Questa, amico mio, è niente meno che l’Eneide del sommo poeta Virgilio, con testo a fronte ovviamente.”
“E tu la leggi perché?”
“Io non la leggo. Io l’ho letta. Diverse volte, con testo latino a fronte. Questa è per te: per farti una cultura e non restare a languire nullafacente nel tuo pagliericcio.”
“Nel mio che?”
“Ecco! Se leggessi di più avresti un lessico più forbito!”
“Ho altro da fare nella vita al posto di leggere poeti morti Dio sa quanto tempo fa.”
“Al momento non mi pare. E, in ogni caso, parla di guerre e navigazioni: Enea esule dalla Troia distrutta … non ridere, imbecille! Troia la città non … comunque, fuggito dalla città in fiamme attraversa il Mediterraneo fino ad arrivare in Italia dove si scontra con gli indigeni per fondare Roma. Che ne dici? Vuoi che te lo legga?”
“Se proprio insisti. Non ho modo di sfuggirti, comunque.”
“Ben detto, amico mio! Ben detto! Canto le armi e l’uomo…”
La lettura proseguì per diverse ore mentre dall’alloggio del capitano si diffondevano la Tempesta sul mare[2] di Vivaldi e la Surprise procedeva tranquilla verso Malta.

La sera del giorno seguente Pullings riuscì a strappare al dottore il permesso di salire sul ponte, ma solo al tramonto per evitare che la luce troppo forte lo disturbasse.
Non era ancora in grado di reggersi in piedi e le ferite dolevano ad ogni minimo movimento, per cui gli assistenti di Maturin dovettero sorreggerlo passo a passo, fino alla sedia trasbordante di cuscini che gli avevano preparato al giardinetto.
Si era appena seduto, quando Aubrey diede un segnale a Mowett, che stava adoperando tutte le sue energie per trattenersi fino a quel momento e che ora poté gridare con tutto il fiato che aveva in corpo: “Tre hurrà per il tenente Pullings! Hip! Hip!”
“Hurrà!” i marinai ruggirono tutti insieme, come un’ unica voce.
“Hip! Hip!”
“Hurrà!”
“Hip! Hip!”
“Hurrà!”

Senza che nessuno l’avesse loro ordinato, gli uomini proruppero in un applauso scrosciante, cosa che commosse profondamente il giovane ufficiale.
Quando Jack gli si avvicinò per stringergli la mano, non fu sorpreso nel notare che aveva l’unico occhio visibile lucido ed il volto arrossato, mentre un sorriso storto gli distendeva i lineamenti.
“Congratulazioni, Tom.” Disse, avvolgendo la mano del tenente tra le sue “E’ un piacere riavervi tra di noi.”
“S-sì, signore. Grazie. Grazie mille.”

Purtroppo era ancora molto debole e, nemmeno mezz’ora dopo, Mowett e Bonden dovettero riaccompagnarlo nella cabina del dottore.
Lo aiutarono a spogliarsi e lo distesero sulla branda dove si addormentò immediatamente, stremato dallo sforzo.


Note: 

Arma virumque cano
Troiae qui primus ab oris 

Gli esametri latini spaccano, gente! 

[1] Che il Signore ti benedica, ti preservi dal male e ti conduca alla Vita Eterna.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Disclaimer: è ancora il solito.

Buona Lettura ^.^

Tre giorni dopo venne il momento fatidico di togliere i punti.

Stephen lo fece stendere nella branda, ben avvolto dalle coperte e procedette a sciogliere prima quelli sul fianco e poi quelli sul volto.
L’operazione fu dolorosa ma non durò che pochi minuti e il chirurgo fu felice di constatare che lo squarcio sul viso si stava rimarginando bene e che occhio e naso fossero definitivamente fuori pericolo.

Pullings espresse il desiderio di potersi vedere e, a malincuore, il chirurgo gli porse uno specchio.

Poco mancò che avesse un infarto: come tutti i marinai, Tom non era né sarebbe mai stato particolarmente vanitoso e, in cuor suo, sapeva che quella ferita altro non era che un marchio d’onore, il prezzo di sangue di una vittoria.
Ma la vista di una lacerazione in via di guarigione, una ferita profonda che tagliava il proprio volto a metà, la prospettiva di una cicatrice sfigurante e la consapevolezza di doverla portare a vita sarebbero state troppo per chiunque.
Come Stephen sapeva bene, il suo paziente era un giovane estremamente emotivo quindi non si meravigliò quando si piegò in avanti, nascondendosi il volto tra le mani, ed iniziò a piangere.
Maturin non disse niente, sapeva che anche il più forte degli uomini avrebbe pianto come un bambino dopo un simile trauma.

Lui stesso aveva inondato di lacrime silenziose il proprio cuscino per diverse notti mentre gli incubi gli riportavano alla mente gli orrori delle torture subite dai Francesi. E tutt’ora gli capitava di svegliarsi con gli occhi gonfi ed il viso umido.

Non disse niente ma cominciò ad accarezzare la schiena del giovane con una mano, descrivendo dei cerchi leggeri.
Fino a quando i singulti non divennero frasi sensate, frantumando il cuore del medico: “Come farò a tornare a casa? Cosa dirà la mia povera signora? E’ di nuovo incinta, sapete? Se … se il terrore di vedermi così fosse troppo e … e … il nostro bambino …” una serie di singhiozzi “E il mio povero, piccolo John? E il suo fratellino? Cosa diranno? Avrànno senz’ altro paura e cresceranno pensando che il loro  padre sia un mostro!”
“Via. Via, Tom! Povero figlio mio!” senza pensarci due volte, Maturin raccolse la testa del giovane e se la portò su una spalla, accarezzandogli la nuca e stringendolo in un abbraccio come un padre che consoli il figlio dopo un brutto sogno.
“Andrà tutto bene, figlio mio. Shh, shh. Non piangete. Su: è tutto a posto. Shh.”
Lo strinse a se, per quanto poteva data la differenza di statura, lasciando che si sfogasse senza curarsi delle lacrime che gli bagnavano il colletto della camicia.

Pensò alla signora Pullings: una giovinetta deliziosa, tenera come un cucciolo , il cui primo figlio lo stesso Maturin aveva aiutato a venire al mondo. Una creatura infinitamente dolce ma con carattere incredibilmente deciso ed una forza d’animo che lasciavano pochi dubbi su chi effettivamente portasse i pantaloni in casa.

Sorrise: “Vostra moglie è una donna più forte di quanto sembri e sono sicuro sarà estremamente contenta di vedervi varcare la soglia di casa in carne ed ossa al posto di ricevere il vostro baule da marinaio corredato da una lettera di condoglianze. Credo inoltre che vostro figlio sarà già nato da tempo al momento in cui arriverete a casa. Quanto al piccolo John, all’inizio sarà un po’ intimorito ma se lo prenderete sulle ginocchia e gli racconterete di come avete ricevuto la vostra ferita sono certo che crescerà  reputandovi un eroe e non un mostro. Su, su adesso: non piangete, Tom. Va tutto bene. Se vi fa sentire meglio, scriverò io stesso una lettera a vostra moglie spiegandole l’accaduto.”
Pullings tirò su con il naso, appoggiandosi alla spalla del medico: “Meglio di no: se vedesse arrivare una vostra lettera si spaventerebbe a morte, che Dio la benedica! “
“Scrivetele voi, allora. E nella busta allegheremo una mia carta con tutte le spiegazioni del caso. Può andare bene?”
“Sì.” Si separò dal dottore con movimenti piccoli e misurati “Scusatemi per tutto questo.”
“Non c’è problema, Tom. Ho visto e sentito di peggio. Sapeste quanti hanno un crollo emotivo dopo un’amputazione o una brutta ferita. Dio sa quanto diritto avete di stare male dopo tutto quello che avete passato nell’ultima settimana.”

Lo aiutò a risistemarsi nella branda, tenendogli una mano sulla  spalla fino a quando il suo respiro non si fu regolarizzato.
“Vi sentite meglio? “
“Sì, signore. Grazie.”
“Nulla, ragazzo mio. Nulla. Ad ogni modo, visto che ormai vi muovete senza troppi problemi da domani potreste ritornare nella vostra cabina e prendere i pasti nel quadrato, che ne dite?”
Un sorriso timido illuminò il volto del giovane: “Dico che mi sembra un’ottima idea, signore!”

Quel sorriso lo accompagnò fino a sera, quando si addormentò sereno – nonostante le forti emozioni della giornata – cullato da un’Aria di Bach[1].

La domenica successiva riuscì a partecipare alla cerimonia di ispezione, sostenendosi con una stampella che il carpentiere Lamb aveva fabbricato apposta per lui, ed alla celebrazione religiosa, seduto accanto a Mowett su una sedia assurdamente imbottita di cuscini e posta sotto una tenda che lo proteggesse dal sole.
Vennero poi invitati a pranzo nella cabina del capitano, dove lo aspettavano diverse buone notizie.
Il dolce – budino di riso, stranamente – venne accolto con un brindisi in suo onore prima che Aubrey richiedesse assoluto silenzio: “Bene signori, ricorderete certo l’Hermes, il postale che abbiamo incrociato lo scorso venerdì. Ebbene, su quella nave è partito il mio rapporto sulla missione, con una menzione speciale al nostro signor Pullings ed una particolare raccomandazione per la sua promozione a comandante.”
Mowett propose un brindisi per l’occasione e tutti si unirono compreso il povero Tom, ormai livido dall’imbarazzo.
“A tal proposito, signori. Gradirei proclamare il poema che ho composto per celebrare la nostra gloriosa impresa. Ho aspettato tanto a farmi avanti perché sarebbe stato ingiusto leggerlo senza il nostro signor Pullings ad ascoltarlo, lui che più di tutti ha sofferto per il suo coraggio in quella battaglia.”
“Udite, udite.”
“Udite, udite.”
“Per tanto ora mi accingerei a proclamare le prime strofe, se lor signori me lo vorranno concedere.”
“Prego, William. Parlate pure.”
Andò avanti per un bel pezzo ma nessuno lo ebbe a noia: quando s’impegnava, William Mowett era un compositore di tutto rispetto, e stavolta si era impegnato parecchio.

Nel frattempo lo sciabordio delle onde ed il canto del vento, orchestra del mare, guidavano la H.M.S. Surprise lontano da tutta quella morte e sofferenza, verso un orizzonte aperto ed infinito come l’oceano.
- The End - 

Note:

E siamo giunti alla fine! 

Saluti e benedizioni a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di arrivare fino alla fine! Grazie infinite <3

Fatemi sapere che ne pensate!

 

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