Oltre il titolo e il prestigio: L'amore

di Diana_96writter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occhi Ossidiana ***
Capitolo 2: *** Tratto Gentile ***
Capitolo 3: *** Stretta Innocua ***
Capitolo 4: *** Voce Malinconica ***
Capitolo 5: *** Verità Nascoste ***
Capitolo 6: *** Amore Eterno ***
Capitolo 7: *** Inganno Mortale ***
Capitolo 8: *** Nemici Svelati ***
Capitolo 9: *** Futuro Radioso ***



Capitolo 1
*** Occhi Ossidiana ***


Il regno di Riusse era nella tranquillità assoluta in quella notte di festa, anche se nei meandri dei vicoli si aggiravano minacce che avrebbero insidiato il castello in ogni dove, la regina era dislocata a Sud assieme al re e aveva lasciato ai due figli il governo del regno principale e di quello a nord, spartendo con il regno vicino la parte ad Ovest delle montagne pericolose da valicare. Il palazzo era in festa, brindavano come ogni anno alla riunione di tutti i nobili in onore dei due fratelli, Principi del regno.
Sebbene le guardie fossero sparse ovunque e altamente competenti riuscì a infiltrarsi con l’agilità di un gatto e attese nascosta la sua preda nel momento più vulnerabile, il sonno notturno. La porta si aprì e le parole di congedo la prepararono ad agire, ascoltò ad occhi chiusi tutti i suoni. Il sospiro stanco ma appagato, la stoffa pregiata che scivolava sulla pelle per lasciarla libera alla stoffa più comoda e leggera per la notte, la spada sfilata dal fodero pulita e riposta, i passi che si avvicinavano al letto e la pressione sul materasso che accoglieva il Principe per prepararlo al giorno a seguire. La luce ancora accesa e le pagine che sfogliavano, finché chiuse le tende, rimase solo il respiro a riempire il silenzio. Lasciò il suo nascondiglio con il rumore di un’ombra e si soffermò a guardare quella vittima così invitante, i capelli biondi e più lunghi di quanto avesse immaginato si adagiavano sul cuscino, i ciuffi sfioravano il respiro e si confondevano con le ciglia degli occhi chiusi, il pallore nobiliare risaltava nell’oscurità protetto dalla spalla, voltato su un fianco: «Una bellezza senza precedenti». Sussurrò senza lasciar uscire un fiato dalle labbra, strinse il pugnale preparandosi a recidere la vita di quel giovane adone, quando gli occhi di ghiaccio sopra di lei la sorpresero, prima ancora che potesse reagire quel ragazzo aveva le aveva afferrato il polso e l’aveva bloccata a terra: «Preferisco incontrarli alla luce del sole i miei ospiti». Forzò la presa per liberarsi, sorpresa alla tranquillità che l’aveva ingannata: «Spiacente, non posso intrattenermi». Gli assestò una ginocchiata liberandosi dalla presa, svanendo nella tenda lanciata in alto dal vento del balcone spalancato. Inseguirla servì a poco, era svanita su quella follata di vento come una fata, massaggiò la spalla sorpreso con un sorriso quasi vendicativo sul volto, non avrebbe lasciato andare quegli occhi come l’ossidiana in cui si era specchiato, sarebbe riuscito a prenderla sebbene avesse avuto l’accortezza di recuperare il pugnale, perso di mano, per non lasciare indizi, a parte quello sguardo limpido e quella voce soffocata dal tessuto.
 
Tolse il tessuto che le copriva il viso prendendo un profondo respiro di libertà, sistemando i capelli lunghi e scuri come il cielo notturno, lasciandoli liberi di vagare sulle spalle: «Già di ritorno?». Sorrise arresa guardando la luna alta nel cielo: «Non sarà facile ucciderlo, ma non preoccuparti devo impedirgli di prendere la corona entro due anni, non sarà un problema, Luke». Il ragazzo si sollevò dal letto della camera singola, avvicinandosi ad accarezzandole i capelli lasciati al vento: «Se avessi voluto ucciderlo lo avresti fatto, Saya». Sussultò abbassando lo sguardo: «Lo sai che non gradisco quel nome». Luke le lasciò i capelli osservandola attentamente nella sua giovane età: «Non vuoi ucciderlo?». Deviò lo sguardo stringendosi nelle spalle con lui non aveva bisogno di fingere: «Ho forse una scelta?». Luke sospirò accarezzandole la nuca per farle forza: «No, ma la cerchi da quando di te ho memoria, ora hai una possibilità». Allontanò la sua mano voltandogli le spalle: «Non è così facile, per fare quel che vuole deve essere eliminato anche il secondo». Luke sorrise arreso e intenerito: «Al secondo posso pensare io, facciamo così, ti darò due mesi, se non avrai preso la tua decisione, porterò a termine io il tuo lavoro». Sussultò voltandosi di colpo verso quello che sapeva sarebbe stato un suicidio: «Perché sei disposto a tanto per me?». Luke si avvicinò di nuovo inginocchiandosi a guardarla dal basso: «Perché non voglio più vedere quegli occhi immersi nella disperazione, ho giurato di proteggerti e di seguirti, è l’unico motivo che mi tiene ancora in vita, hai due mesi». Svanì in un respiro, lasciandola da sola a guardare il cielo oscurato.

In quella settimana nessuno parlò di altro se non dell’attentato al Principe Adren e della fuga del colpevole, a palazzo erano tutti preoccupati per la propria sicurezza e per i reali, sorrise divertita passando tra le divise, nessuno sospettava che quel nemico mangiasse, parlasse e ridesse con loro: «Eveeeee!». La voce squillante la richiamò come un magnete, aveva preso servizio da appena un paio di settimane ma quei capelli color rame e gli occhi chiari come il prato avevano subito legato con lei: «Mi serve dell’acqua calda nell’ala medica presto!». Sussultò alla preoccupazione correndo a prepararla come da una cameriera ci si aspetterebbe, dopo averla versata nella bacinella, la trasportò con attenzione nell’ala medica, dove la ragazza aspettava trepidante: «Eccola, Belle». Le porse un asciugamano sistemando le maniche del camice da medico di corte: «Belle, chi…ahi…». La ragazza arricciò le sopracciglia imponendo al ragazzo seduto sulla sedia di non muoversi: «Ti ho detto di non muoverti Dylan! Evee mentre preparo le bende e la crema potresti pulire la ferita?». Si sporse perplessa entrando nella stanza osservando il ragazzo a petto scoperto, rigido come una statua, rimproverato amaramente per la sua disattenzione: «Cos’è successo?». Belle sospirò invitandola ad avanzare: «Gli allenamenti, si è distratto mentre combattevano e questo è il risultato». Dylan deviò lo sguardo rifiutandosi di ammettere la colpa: «Lei chi è?» Belle avvicinò la ragazza per mostrarla agli occhi celesti come il cielo: «Una delle nuove cameriere Evee, vorrei presentarti il Principe Dylan». Irrigidì le spalle, non era riuscita a conoscere l’aspetto del secondo Principe e si sorprese quando i due ragazzi parlarono come amici di vecchia data, prese l’asciugamano immergendolo nell’acqua ancora calda pronta ad aiutare la ragazza: «Evee lo affido a te». Sorrise osservando le spalle del ragazzo indecisa su cosa fare, anche lui era un suo obiettivo, ma alla fine non fece altro che prendersi cura delle sue ferite: «Quindi sei nuova». Accennò ad un si ancora più sorpresa che avesse rotto il silenzio: « Belle è stata un valido aiuto per ambientarsi a corte, altezza». Il ragazzo negò con un cenno: «Non sforzarti di essere troppo formale, grazie dell’aiuto». Belle rientrò con una ciotola colma di crema verde, dopo aver con attenzione purificato la ferita, espanse la crema ignorando i brividi del Principe, fasciandola a quattro mani: «Torno ai miei doveri». Chinò il capo lasciando l’ala, sapere che i due ragazzi erano amici forse poteva essere d’aiuto a compiere quel gravoso compito che le era stato assegnato, un compito a cui era stata preparata da una vita e che aveva come ricompensa la libertà.

Dopo quell’attacco il primo Principe si era allontanato dal castello e non c’erano stati altri incidenti simili, era passato un mese come se fosse il giro di una lancetta dei secondi così veloce e così divertente, le due ragazze avevano spesso pranzato insieme e tornavano in città ai loro alloggi insieme, ma Evee era costretta a riprendere il turno di prima mattina. Si sollevò stordita dal letto accarezzando la pelle infreddolita dall’assenza degli indumenti, lasciò scorrere l’acqua calda sul corpo accarezzandolo gentilmente, soffermandosi a guardare le cicatrici sui due polsi con malinconia, prese un respiro liberando dalla rugiada mattutina la pelle di nuovo infreddolita, la avvolse con gli indumenti da lavoro, pettinò i capelli umidi passando un asciugamano sulle ciocche e legandoli in due code alte, accarezzandoli con le dita come se fosse seta, sorrise sistemando la frangetta uscendo dalla stanza vuota. Comprò del pane sulla via per rimettersi in forze prima di riprendere il turno, mostrò la targhetta identificativa alle due guardie notando il rafforzo delle stesse in tutto il castello, salutò le altre cameriere prendendo la lista dei suoi compiti, avanzando per il castello a svolgerli come una comune impiegata: «Già a lavoro?». Da quando aveva fatto la sua conoscenza Dylan le rivolgeva parola tranquillamente quando la incontrava nel castello, il suo sincero sorriso era una fonte di energia in più per continuare la giornata, ma non si intratteneva più di qualche minuto per evitare che sospettassero una vicinanza pericolosa: «Come va la ferita?». Dylan mosse la spalla dimostrandole agilità: «Del tutto passata, Belle sa fare miracoli». Evee sorrise fingendosi rasserenata: «Dylan». La voce penetrò nella sua mente come una scheggia ad alta velocità: «Fratello, ero sulla via per incontrarvi». Il primo Principe lo affiancò guardandolo dall’alto contrariato: «Parleremo dopo di quel rapporto, devi…». Si bloccò di colpo quando si accorse che la cameriera aveva ripreso il suo cammino: «Non rammento di te». Dylan si voltò ad osservarla perplesso all’affermazione: «Fa parte delle nuove assunte del mese scorso, a seguito della vostra partenza». Adren arricciò le sopracciglia senza desistere: «Ripercorri i tuoi passi e presentati a me». Evee prese un respiro, a volto basso ripercosse i suoi passi fermandosi davanti all’alta statura del Principe, alzò lo sguardo per poter di nuovo osservare quelle gemme di ghiaccio: «Sono una delle nuove cameriere, il mio nome è Evee, sono a vostra disposizione, Principe Adren». 

Dylan rimase ad osservare il fratello in cerca di una reazione e si soffermò su Evee in attesa di risposta: «Posso fare qualcosa per voi?». Chiese per rompere lo scrutante silenzio in cui era stata immersa: «Puoi, cominciando a spiegare perché hai attentato alla mia vita e chi ti ha mandata a me». Evee sbiancò sorpresa all’accusa affilata: «Non so a cosa facciate riferimento». Dylan si era paralizzato e cercò di intervenire a difesa della ragazza: «Non avevate descritto l’assalitore». Adren accennò ad un lieve movimento del capo, avanzò di un passo verso di lei afferrandole il viso per evitare che si sottraesse all’accusa: «Due perle d’ossidiana così vivida non si trovano ovunque e mai potrei dimenticare il fuoco che le invase e la paura che le incrinò, chiama le guardie». Dylan si arrese chiamando le guardie a prenderla in custodia: «Cosa volete fare?». Non si vide transigente neanche alla richiesta sottointesa del fratello: «Nelle prigioni del castello, sorvegliata costantemente, senza cibo per l’intera giornata». Evee era rimasta scioccata dalla descrizione dell’unica cosa che non avrebbe dovuto riconoscere e che invece l’aveva tradita, sorrise arresa alle grandi capacità e si lasciò portare via senza opporre resistenza.

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Capitolo 2
*** Tratto Gentile ***


Evee era rinchiusa in una cella dispersiva, stretta nelle sue stesse braccia, tremava per il freddo pungente e ancora chiedeva a se stessa perché stesse esitando: «Evee». Sussultò alla voce di Dylan rifiutandosi di ascoltarne la dolcezza: «È vero, sono stata io a tentare di ucciderlo, ti ho mentito, ho mentito a Belle, questo era il mio compito, non avvicinarti». Dylan appoggiò la mano sulle sbarre preoccupato: «Perché?». Evee rimase nascosta rifiutandosi di guardarlo: «Per tanti motivi, lo odio come tante persone e lo vorrei morto come tante altre». Dylan rimase in silenzio a cercare una risposta: «Alza il viso e non rifiutare il mio sguardo se non c’è altro». Dylan si voltò di colpo sorpreso di trovare il maggiore appoggiato nascosto nell’ombra. Adren rimase a guardare Evee, quello sguardo pressante la stava interrogando da qualche tempo ma la ragazza rifiutava di mostrarsi di nuovo ai suoi occhi: «C’è qualcosa che non convince neanche me, alza lo sguardo e affronta il mio se l’unico motivo, per cui hai attentato alla mia vita, è l’odio nei miei confronti». Dylan sospirò cercando di capire perché rifiutasse di lasciarsi solo osservare: «Non ci riesci». Adren sospirò avanzando al suo fianco: «È naturale che non riesca, perché è cosciente che se mi affronterà capirò che c’è dell’altro». 

Evee si strinse nelle spalle tornando a Luke lontano da lì a lavorare per proteggerla, alla sua scelta ora possibile, una scelta coraggiosa che aveva già preso tempo a dietro, smise di tremare alzandosi in piedi per poi osservare i due ragazzi in attesa sulla porta della prigione: «Puoi mai dire che dietro alle motivazioni di qualcuno, non ce ne siano altre e altre ancora che egli stesso non conosce ne riconosce?». Adren arricciò le sopracciglia per scrutarla, fece un cenno alla guardia per aprire la porta: «No, non posso dirlo, ma tu sei fin troppo cosciente di quelle motivazioni che temi ad esporre ma temi anche a nascondere». Evee indietreggiò bloccandosi con le spalle al muro: «Perdi il tuo tempo, Altezza». Adren rimase ferreo e intimò Dylan a non avanzare: «Del tuo tempo sembra che non esista traccia, la stanza in cui hai vissuto conosce appena la tua presenza, il castello stesso è ignaro alla tua presenza, non sei un chi, né un cosa, allora dammi un perché». Evee sospirò sciogliendo le spalle: «Il mio nome è Evee, sono un chi e sono anche un cosa, chiedi il perché, ambisco a qualcosa a cui tutti gli esseri viventi ambiscono, la libertà, ed io non avrò le ali per volare via finché entrambi voi sarete in vita, è sufficiente?». Adren portò la mano all’impugnatura della spada: «Temo che il tuo tempo non sia ancora giunto, sarai scortata in una prigione lontana dal castello, non avrai le ali finché non capirò cos’altro nascondi». Evee si strinse nelle spalle osservandolo indietreggiare un passo alla volta: «Non ho intenzione di allontanarmi da questo castello». Scattò in avanti costringendo il Principe ad estrarre l’arma, i movimenti furono troppo veloci per essere previsti, un colpo secco nello stomaco allontanò il ragazzo ed Evee strinse l’impugnatura della spada sottratta dal fodero. Dylan sussultò portando la mano alla sua quando Adren gli impedì di intervenire, osservando la posizione della ragazza che sapeva gestire una spada nella danza elegante dell’attacco, resse il petto cancellando con la mano la riga di sangue. Riprese posizione affrontandola ma si sorprese quando si lasciò disarmare, con una rincorsa preparò la lama a tagliare il filo della vita, bloccandola davanti al collo. 
Tornò a guardarla perplesso, Evee sembrò rilassarsi e ingoiare la paura indietreggiando di un passo, di nuovo al muro: «Ti ho chiesto un perché! Ami la vita al punto da arrenderti alle lacrime ma quel che cerchi da me è la morte, perché?!». Gli occhi ossidiana erano carichi di decisione, ignoravano il tremore e il freddo della lama ma non avrebbero facilmente ceduto: «Perché a quello che lì fuori mi attende…». Strinse i denti avanzando di nuovo fino a toccare con il collo la punta della lama affilata: «Preferisco la morte». Adren riprese la calma ritirando la lama irritato, le diede le spalle chiudendo la cella, facendo segno di non perderla d’occhio, risalendo di sopra dove lo attendevano tutta una serie di dubbi: «Cosa sai di quella ragazza?». Dylan negò riprendendo fiato allo scontro e alla lama fermata con maestria: «Nulla, anche Belle non è riuscita a sapere di più su di lei». Adren incrociò le braccia perplesso: «Evee, quando ho parlato di un cosa ha inteso che mi riferivo ad un titolo, quale destino lì fuori la spaventa più della morte?». Dylan sospirò lasciandolo proseguire per la sua strada tornando ai suoi doveri. 

Evee era di nuovo rannicchiata, aveva perso l’occasione per finire quell’esistenza insana: «Non hai toccato cibo, sarai affamata». Sussultò alla voce corsa in aiuto del suo brontolio: «Non dovresti essere qui». Belle avanzò nella prigione allungandole il vassoio: «È vero?». Evee sospirò deviando lo sguardo allo splendido colore del cibo: «Si e tu sei in pericolo, potrei usarti come ostaggio». Belle si sporse in avanti prendendole le mani: «Sono certa che non lo faresti mai, perché tu sei una brava persona Evee e io ti considero un’amica, non faresti mai del male a nessuno». Evee allontanò le mani, allontanandola con dolore: «Non sai di cosa sono capaci le persone, ho solo recitato una parte, dovresti essere più obiettiva». Belle si alzò arrabbiata: «Non credo che tu sia una persona cattiva, perché ti ho lasciata sola con Dylan e non hai fatto nulla, potevi usare anche lui come ostaggio ma non l’hai fatto, sei venuta ad aiutarmi quando avevo bisogno e sei sempre stata gentile con tutti, una persona cattiva non ha un cuore così splendido, Evee io credo in te e anche se sei colpevole dell’attentato al Principe Adren, sono certa che sotto ci sia un motivo molto grande che ti ha spinto a farlo!». Evee deviò lo sguardo alla fermezza nei suoi occhi: «Vorrei poterti ricambiare, ma non ci sono altri motivi». Dylan aprì la cella invitando Belle a uscire: «Se non ci sono, affronta me per primo». Le porse un pugnale riuscendo a scuoterla: «Quel che hai fatto ieri è stato coraggioso, ma io voglio proteggere questo regno accanto al re che presto salirà al trono, e tu sei una chiave che può aprirci molte porte, mio fratello vuole parlarti di nuovo». Evee sospirò sorpresa da quel modo di fare: «Quale Principe che si rispetti convoca una prigioniera anziché ucciderla?». Dylan sorrise porgendole la mano per farle strada: «Il tipo di persona che ama il suo regno e i suoi abitanti, sii sincera, se potremo ti aiuteremo». 

Evee si arrese alla speranza degli occhi verdi seguendo Dylan verso lo studio del fratello, bussò alla porta lasciandola entrare, Adren sospese il suo lavoro tornando a scrutarla:  «Pretendi ancora che chieda?». Sospirò arrendendosi a quell’affilato sguardo in cerca di risposte: «Ad est, diverso tempo fa scoppiò una guerra tra le famiglie di due feudi, potreste chiamarmi una sopravvissuta di quella battaglia». Adren spalancò gli occhi interessato alla storia rimasta con un vuoto: «Cosa successe?». Evee negò spegnendo le sue speranze: «Non ero che una bambina, chiusi gli occhi con la guerra alle porte e li riaprii prigioniera di banditi, l’uomo a capo del gruppo mi fece impartire un addestramento speciale che un giorno mi avrebbe portato qui ad attentare alla vostra vita in cambio della libertà di non essere più a loro sotto messa, non ho potuto fare altro che arrendermi». Mostrò ad entrambi le cicatrici che si mimetizzavano con la piega dei polsi: «Quelle sono…». Evee accennò ad un si accarezzandole: «Ho passato i primi tre anni ammanettata alla ribellione, ma alla fine come avete visto nei miei occhi, volevo vivere ed ho accettato». Adren rimase a guardarla cercando di scorgere il cedimento totale del suo muro: «Sai dove si nascondano?». Evee sorrise appena intendendo ad un si: «Ma non posso rivelarvi dove, se lo facessi una persona a me cara sarebbe messa in pericolo, dovrete con le vostre forze scoprire dove si nascondano e chi siano, io cercherò solo di indirizzarvi sulla giusta strada ammesso che me lo permettiate». Adren sospirò irritato da quel muro che non avrebbe abbattuto, lo sguardo scivolò su Dylan pensieroso, ruotava la penna nella mano indeciso: «Va bene, ma a condizione che passi il tuo tempo a me più vicino». Evee sussultò sorpresa, smontando quel personaggio costruito per ingannarli senza successo: «Certo sei strano, dovresti tenermi lontana e non costringermi a starti vicino, potrei ancora tentare di ucciderti lo sai?». Improvvisamente tutta la formalità e la compostezza che l’avevano accompagnata svanirono: «Ma se è così che vuoi muoverti, farò come volete, con permesso». Lasciò la stanza indisturbata senza prestare ai due attenzione: «Pensate davvero sia una buona idea lasciarla restare al vostro fianco?». Adren sospirò alzandosi a guardare il regno dal balcone: «Nessuno sa ancora cosa successe in quello scontro, è una sopravvissuta ma non sappiamo di che tipo, se era della servitù o se era una nobile, assicurati di non starle troppo vicino e metti in guardia anche Belle, non voglio altri problemi».

A metà della mattinata successiva Adren sospirò lasciando uno dei tanti fogli, qualcuno chiese il permesso di entrare, non attendeva ospiti o rapporti, la guardia le aprì la porta lasciando che entrasse con il vassoio, la squisita fetta di torta sembrava preparata all’occasione e il fumo che usciva dalla teiera era frutto del calore di quel che conteneva: «Cosa stai facendo?». Appoggiò il vassoio sul tavolino davanti ai divanetti sistemando la fetta di torta e riempiendo la tazza di tè, porgendola poi al Principe: «Devo pur avere una scusa per passare qui le mie pause come volevi, sarebbe sospetto all’improvviso, così potrò dire che rinuncio alle mie dovute pause portando qualcosa con cui fare pausa, ragionevole no?». Adren osservò la tazza del tè sorpreso dall’iniziativa: «Preferisco il salato al dolce». Evee sorrise lanciandogli uno sguardo: «Chi ha detto che il dolce sia per te?». Adren accennò una risata riconoscendogli l’astuzia, riprese il suo lavoro degustando l’aroma e il sapore del tè, la piccola pausa era stata rinvigorente, ma la curiosità di sapere cosa stesse facendo spesso lo allontanava dai fogli, Evee girava per la stanza osservando l’esterno, le decorazioni delle pareti, delle porte, la libreria e tutti i titoli che conservava accarezzando un volume: «Non mettere in disordine». Evee sorrise sottraendosi all’idea di leggere quel classico di cui andava fiera: «Non ne avevo intenzione». Riprese ad osservare la stanza chiedendosi a cosa servisse l’altra porta, senza permesso sbirciò nella stanza osservandola con stupore, era una seconda camera da letto, più spoglia di quella che aveva visitato ma invitante come il profumo della camomilla: «Capisco, se il lavoro si accumula e finisci tardi di lavorare, non torni nella tua stanza e resti a dormire qui, interessante». Sussurrò più a se stessa che allo sguardo del ragazzo che malamente la stava fissando, richiuse la porta sedendosi sul divanetto a degustare la torta. 
Passato l’orario riprese tutto uscendo senza accennare una parola, Adren si alzò alla chiusura della porta leggendo il titolo su cui si era soffermata: «Una scelta insolita». Passò anche la pausa del pomeriggio allo stesso modo, restando a guardare il ragazzo lavorare come se la sua presenza non fosse rilevante. 

Il giorno successivo sospirò quando ancora scese il silenzio, e nel pomeriggio decise di darsi da fare per movimentare la sua permanenza, non c’erano visite o rapporti da aspettare, voltò la pagina stringendo la matita che avrebbe colorato di grigio il foglio. Dopo qualche ora qualcuno bussò alla porta attirando l’attenzione del Principe: «Hai tardato». Dylan osservò Evee addormentata sul divanetto perplesso: «Mi stavo chiedendo perché aveste richiesto di portarvi i rapporti di persona e non per mezzi di terzi come solito, è rimasta qui tutto il pomeriggio?». Adren accennò ad un si allungando la mano per prendere il rapporto dalle mani del fratello: «Era in pausa». Dylan accennò una risata al viso stanco: «Probabilmente è esausta, dalle borse sotto gli occhi direi che non dorme granché, considerando dove non mi stupisco». Adren alzò lo sguardo richiamato dall’ironia: «Dove?». Dylan deviò lo sguardo indicandola: «Belle mi ha detto di averla trovata addormentata nella serra avvolta in un sacco pulito che usano per il terreno, credo che non sia mai uscita dal castello». Adren sbiancò alla comprensione: «Ha dormito nella serra?». Dylan sospirò alzando le spalle: «Arrivati a questo punto sarebbe meglio assegnarle una stanza». Adren tornò a leggere il rapporto ignorandolo: «Fratello, non può continuare a dormire nella serra». La presenza improvvisa al suo fianco lo fece sobbalzare: «Mi basta un sacco a pelo, posso dormire ovunque non è un problema». Dylan indietreggiò osservandola ad occhi spalancati: «Sei apparsa dal nulla». Evee sorrise stringendo l’album al petto: «Esistono dei punti ciechi nello sguardo della gente e sfruttati bene impediscono al cervello di recepire le informazioni portandolo a reagire più lentamente, mi lascerete dormire al castello?». Il timbro premuto con forza deviò la conversazione tutt’altro che amichevole: «Vitto e alloggio non sono disponibili senza un ricambio, non sappiamo ancora chi tu sia, né se esista questa banda, non ha informazioni utili e ti rifiuti di approfondire su cosa sei, non meriti nulla di quel che qui abbonda». Evee sorrise malinconica senza smentirlo: «Hai ragione, potremmo iniziare così». Gli porse una serie di fogli staccati dall’album, senza aspettare commenti lasciò la stanza incuriosendo Dylan, aggirò la scrivania per osservare i disegni e rimase sorpreso dai dettagli, l’immagine disegnava del fratello intento a lavorare, il tratto era così gentile da far sembrare l’immagine più concentrata del modello reale: «È stupenda». Adren era rimasto affascinato alle tre immagini in successione, dove nella seconda prendeva un respiro e nella terza guardava verso l’esterno: «È vero, sono superbe». Dylan sorrise ammirato chinandosi per lasciare la stanza e il fratello al lavoro, l’occhio scese su gli altri fogli in successione, scostò i primi tre leggendo la riga: «C’era una volta un fornaio…mi prende in giro?». Sospirò lasciando le pagine incerto su cosa significasse quel disegno, era sempre rimasta concentrata sul foglio e si irrigidì al pensiero che potesse osservarlo così bene senza guardarlo. Tornò a guardare i fogli, curioso della storia, i disegni erano molto dettagliati e sembravano riprodurre qualcosa di reale, la sua abilità con la matita era imparagonabile. 

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Capitolo 3
*** Stretta Innocua ***


I disegni di quella storia erano rimasti appoggiati sulla scrivania, Dylan consegnò gli ultimi rapporti aggiornati sul regno e si soffermò a guardare i disegni sorpreso dai dettagli: «Sembra la città di Loisana». Il commento attirò l’attenzione del Principe a chiedergli cosa accomunasse i disegni alla città: «Si somigliano?». Dylan ignorò la storia concentrandosi sui disegni: «Non solo si somigliano, sono perfetti, questo forno lo conosco, è famoso nell’intera città, sforna un pane che fa invidia al nettare degli dei, e il fornaio…». Fermò la lode sotto intesa accarezzando l’immagine sul foglio: «Il fornaio ha qualcosa che non va?». Dylan sussultò alla ripresa del maggiore porgendogli i disegni: «Non proprio, ecco, il fornaio è il proprietario, è un disegno del vero fornaio, come ho detto ci sono stato, ho fatto una deviazione dalla richiesta che mi era arrivata, sono identici, per caso sono i suoi disegni?». Un’improvvisa illuminazione prese la mente del Principe Adren, rilesse la storia in ordine seguendo i disegni: «È una storia, racconta di un fornaio che al limite della chiusura è costretto a chiedere un prestito a dei loschi individui che di ricambio lo costringono a riciclare denaro rubato, che abbia…». La porta si aprì di nuovo lasciando entrare Evee: «Non pensavo ci fossero ospiti, devo prendere una tazza in più?». Dylan negò sorridendole e indicando i disegni: «Non è la tua fantasia, è la realtà». Evee sorrise fiera che avessero entrambi compreso, Adren accennò una risata ammirato: «In questo modo nessuno potrà accusarti di aver diffuso informazioni che non avresti dovuto, infondo sono solo disegni di una fervida immaginazione». Evee accennò ad un si servendogli la tazza di tè: «Come le leggende hanno un fondo di verità, anche i disegni hanno un’ispirazione reale». Adren osservò il lavoro da portare a termine sfregando con le dita la pagina indeciso: «Conosco il posto, lasciate a me il caso». Guardò Dylan corso in suo aiuto arrendendosi e passandogli i fogli: «Fa attenzione, per la via, all’arrivo e soprattutto nel ritorno». Evee accennò una risata uscendo per svolgere il suo lavoro e Dylan si preparò a partire con una piccola scorta a suo seguito.
 
Al terzo giorno di assenza Evee osservò il cielo incupirsi, Adren lasciò la penna alzandosi: «Seguimi». Lo guardò perplessa all’ordine e allo sguardo che chiedeva una risposta: «E se dicessi di no?». Adren arricciò le sopracciglia irritato: «Il tuo alloggio dipenderà da quel che scoprirà Dylan, per i pasti potrei decidere di sospenderli a tempo indefinito, vuoi tornare a dormire nella serra?». Evee deviò lo sguardo irrigidita al ricordo del freddo pungente che le aveva gelato la schiena: «Ti seguo». Lasciò il vassoio che portava dietro sul tavolo seguendo Adren per il castello deserto, scesero al primo piano nella parte esterna e larga, si perse ad osservarla prima di afferrare l’oggetto di legno che le era stato lanciato contro: «Cosa vuoi fare?». Adren tolse il mantello slegando la spada dalla cintura: «Vieni avanti». Evee sorrise ispirata slacciando il grembiule accarezzando la spada di legno: «Tu hai uno strano modo di trattare i tuoi nemici». Adren agitò l’arma innocua prendendo posizione: «Vieni». Evee scrollò le spalle stringendo la spada e assumendo la posa più elegante che conoscesse: «Non ho errato quando hai assunto quella posa, tipica di chi ha praticato scherma, non di chi è stata allenata da banditi». Evee sorrise all’indizio che volutamente aveva lasciato che intravedesse: «Non sai nulla di me a parte quel che io stessa ti sto mostrando, non ho mai detto di non aver imparato i fondamentali dello scontro di spade». Scattò in avanti cercando di affondarlo ma Adren abilmente la evitò allontanandola con un colpo: «Non trattenerti, attacca come se dovessi uccidermi». Arricciò le sopracciglia all’intensità con cui lo aveva specificato: «Come vuoi». Riprese velocità colpendo e ricolpendo parata e parando, abbandonò la strada dello scontro corretto, lasciando la spada all’attacco e ruotando per colpirlo con un calcio, Adren si allontanò nascondendo la spada dietro la schiena: «Notevole». Decise di imitarla e le spade iniziarono a volare ad allontanarsi, a rimbombare contro il suolo agli attacchi ormai corporali, Adren la fece inciampare bloccandole una gamba con la propria in una posizione poco rassicurante: «Sei scoperta nella tua debolezza». Evee arricciò le sopracciglia avvolgendolo come un serpente e invertendo le posizioni: «Fermi!». La voce di Belle sorprese entrambi, Evee sfuggì all’attacco e Adren sospirò disturbato dall’interruzione: «Principe Adren, Lord Gerard vuole vederla». Senza dir nulla riprese il mantello salendo la scalinata: «Evee, ma che ti è saltato in mente?». Sorrise divertita allo scontro fermato: «È stata una sua idea, grazie per essere intervenuta, Belle».

Nei giorni a seguire la situazione rimase stabile, Adren lavorava, lei lavorava, tutti lavoravano con dedizione. A pomeriggio decise di prendere una pausa e di dirigersi allo studio del Principe, ma svoltando lo trovò a discutere con un altro uomo, al suo passaggio affilò lo sguardo e chinare il capo fu più un istinto: «Altezza, vi sentite poco bene?». Si accorse del viso affaticato ma prima di poter intervenire Adren aveva ripreso la sua strada: «È stata solo una mancanza, non vi crucciate, Lord Gerard, riprenderemo in seguito la questione». L’uomo chinò il capo sospirando e si accorse che al suo fianco Evee stava guardando Adren preoccupata: «Riprendi il tuo cammino». Con quell’affermazione sembrò quasi che le chiedesse di accelerare i doveri per prestare soccorso silenzioso al Principe in difficoltà, Evee accolse la richiesta non udita con un sorriso e un inchino. Appoggiò il vassoio sul tavolino guardando Adren immerso nel lavoro, curiosa di quanto fosse grave, decise di assicurarsi se fosse il caso di fermarlo.
Dopo un po’ Adren chiuse gli occhi stanco prendendo un respiro più corto di quanto riuscisse: «Dovresti riposare». Sussultò alzando lo sguardo alla ragazza appoggiata alla scrivania: «Non dovresti entrare senza permesso». Quella risposta diede conferma alla ragazza sulla sua salute, fermò la penna stretta più del necessario ricevendo uno sguardo affilato di ricambio: «Dovresti riposare Adren, non hai le forze necessarie per proseguire, se non ti sei accorto che ho bussato e sono entrata e uscita un paio di volte prima di disturbarti, non stai bene». Sgranò gli occhi sorpreso: «Entrata e uscita?». Evee sorrise dolcemente accarezzandogli la mano fredda, appoggiando quella libera sulla fronte: «Ho anche scambiato il libro lì aperto con uno diverso, non ti sei accorto di nulla e sembra che tu abbia la febbre, dalle borse ben visibili sul tuo volto direi che sei ancora sveglio per una ferrea volontà, ma non puoi continuare così. Dylan sarà di ritorno tra qualche giorno, se non ti riposi potresti rischiare di commettere qualche errore che farebbe insospettire tutta la corte». Adren allontanò la mano strizzando gli occhi: «Termino questo e poi riposerò, intanto preparami qualcosa di cal…». Bloccò la frase quando Evee appoggiò una tazza fumante accanto ai fogli: «Preparo la stanza accanto, ti avverto, se dovessi svenire prima di arrivare al letto, ti lascerò a terra». Adren sorrise divertito tornando a concludere il lavoro mentre lei entrava in quella camera come se non avesse mai fatto altro. Lasciò la penna alzandosi lentamente, il mal di testa era diventato insostenibile e tutto il corpo era diventato troppo pesante per sorreggere la sua volontà. Raggiunse la porta osservando la stanza preparata a dovere, le tende chiuse, le lenzuola in sua attesa, il cambio pronto ad accoglierlo, Evee sistemò il cuscino sorridendogli: «Vuoi che ti cambi io?». Negò togliendo il mantello che copriva le spalle larghe e mascoline: «Esci». Richiuse la porta sistemando invece la scrivania lasciata in disordine in attesa che riprendesse. Chiuse il rapporto uscendo dalla stanza: «È presentabile?». Negò davanti all’uomo preoccupato porgendogli il fascicolo: «Il Principe chiede di non essere disturbato per la restante giornata». Gerard sospirò prendendo il rapporto e lasciandola andare: «Assicurati di fare il tuo lavoro». Sorrise chinando lievemente il capo di ricambio, tornando nella cucina ad esporre le volontà non esposte del Principe, passò dall’ala medica per prendere una bacinella d’acqua fresca e un fazzoletto di stoffa per abbassare la febbre, se le condizioni fossero peggiorate, avrebbe chiesto aiuto agli medici rimasti in assenza della sua fidata amica.

Belle era stata richiamata dal suo superiore e mandata a comprare dei medicinali fuori città assieme ad alcuni assistenti, sorrise grata dell’assenza, spiegare il motivo per cui servivano quelle precauzioni avrebbe creato problemi al ragazzo. Rientrò nella stanza trovando Adren disteso sul letto con un braccio sugli occhi in balia del riposo: «Lord Gerard sembra aver intuito la situazione quindi non dovrai preoccuparti dei richiami dai ministri». Strizzò il fazzoletto di stoffa girando intorno al letto: «Cosa stai facendo?». Evee alzò lo sguardo al cielo: «Ti sei piazzato giusto al centro, devo per forza salire sul materasso, perché avete bisogno di letti così grandi?». Adren richiuse gli occhi al freddo che accarezzò la fronte: «Perché non a tutti piace dormire in un sacco a pelo». Evee accennò una risata sistemando il fazzoletto accarezzandogli la guancia con la mano ancora umida: «Non dovresti permettermi di vegliarti, ho tentato di ucciderti». Adren sospirò voltandosi appena dalla parte opposta alla sua: «Lasciami riposare». Evee prese posto sulla sedia aprendo il libro, leggendolo alla luce del candelabro appoggiato sul comodino, Adren era piombato nel sonno prima che potesse avanzare una battuta, sorrise appena tornando a leggere in attesa della cena che aveva ordinato di preparare. A distanza di qualche ora Adren sussultò all’ennesimo incubo sollevandosi dal letto ancora stordito: «Mente tormentata?». Evee chiuse il libro, riprendendo il fazzoletto di stoffa e appoggiandolo sulla bacinella, portando dentro il vassoio: «Quella…». Evee sorrise appoggiando la cena sul rialzo per lasciare che la osservasse: «Ti aiuterà a recuperare le energie senza appesantirti, mangia un po’ di tutto anche a metà se non riesci, non puoi restare a digiuno».

Si appoggiò alla spalliera esausto, Evee allontanò il vassoio porgendogli dell’acqua controllando la temperatura: «Sembra scesa, ma sei ancora caldo, riposa ancora un po’ ti sveglierò prima di andare via». Adren accennò ad un si tornando a dormire e ancora una volta gradì il freddo sulla fronte, ma non quello che la sua mente continuava a fargli sognare. Evee si alzò dopo un paio d’ore lasciando il libro sul comodino, le candele erano quasi del tutto consumate, avvicinò la mano per controllare di nuovo la temperatura meditando che forse era meglio non svegliarlo. Adren aprì appena gli occhi sussultando ad un altro incubo, quando la mano minacciosa che si avvicinava lo indusse a difendersi. Affermò il polso del suo nemico capovolgendolo sul materasso. Si bloccò di colpo quando distinse il viso femminile: «Se sono questi i tuoi istinti, non ti sveglierò mai, non posso trattenermi, andrò…». Sussultò quando Adren perse le forze cadendole addosso bloccandola tra lui e il materasso, arrossì di colpo al respiro corto sul collo scoperto: «Asp…Adren non puoi addormentarti così…ehi sei un Principe e io…sono una cameriera, ehi tu sei promesso…Principe Adren, svegliati!». Nulla, era del tutto crollato, con un respiro si arrese al peso e alla posizione per niente comoda per lei, impossibilitata ad alzarsi cercò con le mani libere almeno le coperte per coprirlo e inevitabilmente fu costretta ad accarezzare, tramite gli abiti leggeri adatti al riposo, il corpo del ragazzo. La schiena ricurva che con il respiro si sollevava, i fianchi stretti che scendevano ad allargarsi verso le gambe e poi la coperta, la tirò su con forza coprendolo fino al collo riversato sulla sua spalla.

Deviò lo sguardo all’imbarazzo della gamba che divideva le sue e la seconda che delimitava lo spazio della sinistra, il fianco in contatto con il cavallo dei pantaloni, avvertiva il ventre dei due corpi differenti a stretto contatto, il petto schiacciato da quello del ragazzo e il respiro che li univa più di quanto già non fossero. Il profumo della pelle sudata dalla spalla di fronte ai suoi occhi, quelle spalle larghe che l’avevano avvolta, le braccia che delimitavano lo spazio delle sue spalle impedendole di spostarle senza far scattare il Principe, i ciuffi di capelli riversati sul viso mascolino che le sfioravano la guancia e il calore che la stava riscaldando. Ormai si era arresa a quella stretta, impossibilitata ad uscire senza rischiare di fare del mal al ragazzo, riversato su di lei in tenuta da cameriera. Guardò la porta lasciata socchiusa sperando che nessuno avesse la geniale idea di entrare e che Adren si svegliasse prima che qualcuno chiedesse delle sue condizioni. Il sussulto la riportò al ragazzo e agli occhi stetti, era preda della morsa del terrore forse era il motivo che non riusciva a farlo dormire, sospirò accarezzandogli lentamente i capelli sussurrando una melodia, senza permettere alle parole che conosceva a memoria di uscire, la ninna nanna sembrò calmarlo e scacciare via quegli incubi frastornanti.

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Capitolo 4
*** Voce Malinconica ***


Il corpo che s’irrigidiva al ritorno dal sonno costrinse Adren a svegliarsi ma non a muoversi, il profumo che non gli apparteneva inebriò tutti i sensi inducendolo ad aprire gli occhi per trovare la causa: «È un buon profumo». Mosse il volto per tornare sul morbido sfregando la guancia sul tessuto: «È inebriante, mi è famigliare». Avvertire che qualcosa sotto il viso si irrigidiva lo costrinse a riemergere da quel campo di fiori in cui si era lasciato cadere. La sedia davanti al letto era vuota, l’immagine di lei attraversò i suoi occhi come un petalo di rosa portato dal vento: «Evee». Sussurrò appena senza riuscire a ricordare di averla vista uscire dalla stanza: «Ti sei svegliato?». La domanda cercò ancora di riportarlo indietro, si chiese di chi fosse la voce, se l’avesse solo immaginata, poco a poco riprese sensibilità e i movimenti discordi ai suoi che chiedevano di essere resi liberi lo indussero a verificare perché il materasso sembrasse così diverso. Si sollevò sulle braccia e il corpo bloccato dal suo peso riprese fiato e forma. Osservò perplesso i bottoni bianchi e la pelle rosea al di sotto del tessuto nero e merlettato, lo sguardo accarezzò dolcemente i lineamenti del collo, la forma del mento e si fermò alle labbra rosee dischiuse. Poco a poco riprese fiato alla comprensione di quel che stava osservando, inconsciamente cercò le due perle d’ossidiana, erano in attesa della sua reazione, e sembravano rese più intense dal rossore sulle guance, i capelli erano scombinati e sparsi sul materasso e sul cuscino: «Adren, sei sveglio?». Rimase a guardarla senza parole in cerca di una spiegazione, voltò di colpo lo sguardo sulla sedia nella speranza di averla solo immaginata, ma al movimento che si sottraeva all’immobilità della posizione, indietreggiò portando una mano alla fronte, cercando di ricordare se avesse fatto qualcosa che non doveva. Evee si sottrasse lentamente al suo corpo, stringendosi nelle spalle, abbassando lo sguardo a quella notte passata stretta tra le sue braccia: «Cosa…?». Chiese appena sedendosi sul letto a gambe incrociate e ad occhi spalancati, Evee prese fiato per calmare il battito cardiaco di un risveglio caldo che da tempo immemore non la emozionava: «Quando ho cercato di cambiare il fazzoletto, mi hai afferrato il polso capovolgendomi sul letto, non ho avuto il tempo di liberarmi, mi sei svenuto praticamente addosso, non potevo muoverti, non sono riuscita a liberarmi e sono rimasta immobile, mi dispiace avrei dovuto fare più attenzione». Si alzò dal materasso sistemando la divisa e le scarpe, scuotendo le spalle e sistemando i capelli per rendersi presentabile, chiuse la porta tenendo stretta la mano sul petto, batteva all’impazzata senza darle respiro, doveva calmarsi per spiegare come mai non fosse uscita la sera precedente. Dopo qualche respiro e le guance ormai non più colorate aprì la porta sorprendendo le guardie: «Non vi abbiamo vista entrare». Chiese chi aveva cambiato di turno: «Il Principe era agitato, sono rimasta per controllare le sue condizioni con sua specifica richiesta per evitare di allarmare l’ala medica, evitate di riportarlo, sarebbe per lui un problema, mi congedo temporaneamente».

Camminava verso la cucina con la mente avvolta in quel risveglio, non riusciva ad allontanare dalla memoria la sua presenza, quell’abbraccio le aveva acceso qualcosa nel petto, un dolore che fu costretta a sopportare mentre rientrava per portargli la colazione. La risposta le concesse il permesso di entrare, quasi ad occhi chiusi temette di sorprenderlo in una scomoda immagine, ma il ragazzo era semi steso sul letto a riemergere dalla stanchezza. Appoggiò il vassoio sul comodino confusa sullo sguardo perso del ragazzo, sfiorò appena la sua fronte e non mancò di notare il sussulto al suo tocco: «Sembra che la febbre sia passata, Lord Gerard attende di essere rassicurato e di riprendere la conversazione ieri interrotta, se doveste avvertire ancora stanchezza o spossatezza, vi prego di informare l’ala medica a riguardo, in caso contrario, verrò a portarvi il tè a metà della mattinata». Adren accennò ad un si senza aggiungere nulla, Evee riprese con sé il candelabro ormai consumato privo di candele e il libro lasciato lì, mettendolo a posto dopo essere uscita dalla stanza: «Con permesso». La lasciò andare senza farle notare quanta formalità avesse usato, sospirò appoggiando la testa alla spalliera, i pensieri erano  fermi al ricordo del profumo dolce ormai trattenuto nella sua memoria e a una melodia appena accennata nei suoi ricordi.

A metà della mattinata Dylan entrò dopo aver avvertito della sua presenza consegnando al maggiore il suo rapporto: «Com’è la situazione?». Dylan allungò il foglio sorpreso, lasciando che lo visionasse prima di puntualizzare, quando il maggiore allontanò lo sguardo dal foglio chiedendogli spiegazioni Dylan alzò le spalle: «Le tasse che pagava erano troppo alte per pagare buoni fornitori di materiale primo e con la qualità diminuita anche le vendite sono calate, quando era ormai sul lastrico qualcuno si è offerto di finanziarlo in cambio di copertura per riciclaggio, con la famiglia da mantenere e il matrimonio della figlia da organizzare ha deciso di accettare. La moglie è morta qualche anno fa, e la figlia incinta ha perso il bambino, avremmo voluto sapere di più sul suo finanziatore ma ne era talmente spaventato che ha preferito togliersi la vita anziché riscattarsi, è stata una tragedia. Ho condotto un’indagine a larga scala ma nessuno sapeva nulla di quel che c’era dietro i finanziamenti, gestiva tutto lui, la storia non ha avuto un lieto fine come speravo». Adren chiuse il fascicolo perplesso: «Procediamo con cautela, dei soldi riciclati sai qualcosa?». Dylan negò riprendendo il rapporto: «Non ci sono state rapine di alta taglia, certo impossibile è prevenire tutti i furti ma non ho trovato riscontri che richiedessero un riciclaggio per nasconderne le prove, posso solo ipotizzare che siano state portate al termine fuori dal regno, sarebbe utile sapere se i briganti da cui è stata addestrata abbiano in mente qualcosa di grande o sia solo questo castello nei loro interessi». Adren sospirò alzandosi: «Alla fine si è trasformato in un vicolo cieco». Bussarono di nuovo alla porta, Evee entrò portando dentro un vassoio con due tazze: «Ben rientrato Dylan, sembri infreddolito, vuoi un po’ di tè?». Accennò ad un si perplesso, tornando a prestare attenzione al maggiore: «Ho saputo che ieri avete sospeso il vostro lavoro per riposare, vi sentite meglio?». Adren accennò ad un si senza allontanare lo sguardo dai fogli: «Era solo stanchezza accumulata, Evee…». Bloccò la frase indeciso se farla diventare una domanda, un ordine o semplicemente una frase, la ragazza però anticipò la scelta sorridendo e chinando il capo dopo aver lasciato le tazze sul tavolino: «Ho degli arretrati in cucina, è il mio turno di pulizie, se avete bisogno sarò a vostra disposizione». Salutò con un cenno della mano uscendo, Dylan non si era lasciato sfuggire l’aria tesa e rigida che aveva invaso la stanza: «È rimasta al vostro fianco?».
Adren aveva voltato lo sguardo verso l’esterno, Dylan si sorprese alla malinconia che trasmetteva chiedendosi cosa fosse successo, temette che i due avessero litigato ma la tranquillità con cui si erano risposti mise fuori strada la tesi, al contrario accentuò quella che poteva essere successo qualcosa fuori programma che li aveva improvvisamente allontanati: «Fratello?». Sospirò avanzando verso il balcone: «Quanto conosci dell’incidente tra i due feudi?». Guardò la porta pensando a Evee: «Ricordo che il motivo riguardava il matrimonio dell’erede di una delle due famiglie in contrasto con la seconda che voleva il controllo di entrambi i feudi». Adren accennò ad un no tornando a sedersi sul divanetto di fronte alla tazza fumante: «Il motivo era un matrimonio ma non come lo hai inteso». Dylan prese posto di fronte a lui in attesa della chiarezza che stava per puntualizzare: «Avevo poco più di un paio d’anni, non ricordo molto in merito». Adren chiuse gli occhi rilassando le spalle: «Per rafforzare l’unione che già c’era tra i due feudi, cercarono di sigillare l’accordo con un matrimonio combinato, i rapporti si inasprirono quando una delle due duchesse fu riconosciuta idonea alla candidatura come consorte per la famiglia reale». Dylan sussultò guardandolo ad occhi spalancati: «Non penserete…». Adren accennò ad un si stringendosi nelle spalle: «La guerra scoppiò poco dopo il ballo organizzato in onore del mio incontro con la duchessa candidata». Dylan appoggiò la tazza sul tavolino senza parole alla tesi che stava avanzando il fratello: «Sarebbe una combinazione fortuita se fosse così».  Adren accennò di nuovo ad un no confondendolo: «Ricordo, la prima che doveva andare in sposa all’erede del secondo feudo si chiamava Corine e la seconda…il suo nome era Eveleen, le due erano gemelle ma le distingueva una voce melodiosa, era soave come quella di un angelo, aveva circa quattro anni, con i tempi ci troviamo, ho pensato al fatto che continuasse a ripetere che il suo nome era Evee, se così fosse, vorrei tanto sapere come ha fatto a salvarsi e se sia l’unica sopravvissuta, si dice che i gemelli siano connessi tra loro e che alla perdita di uno soffrano per due vite, ma per quanto cerchi di spronarla non intende dirmi di più. Sul disegno che mi rappresenta, l’intaglio che vedi all’angolo è sostituito con uno stemma, è troppo confuso perché si riconosca e non assomiglia a nessuno dei due feudi, mi chiedo quanto meriti quella storia che la avvolge».  Dylan osservò i disegni che Evee gli aveva lasciato e il particolare della scrivania diverso da quello reale, Adren era più confuso di lui ma non accennò a dire di più, il silenzio divenne quasi un ordine e Dylan si congedò lasciandolo nella malinconia che non era riuscito a nascondere.

Quella tesa situazione si sciolse poco a poco durante la settimana, anche il consigliere Gerard non fece più caso alla presenza costante della cameriera, intrattenne le pause non più con Adren ma con Belle a parlare di ogni tipo di argomento, ormai anche Dylan la guardava come se aspettasse qualcosa. Appoggiò il piatto con un pezzo di torta sul tavolino assieme all’immancabile tazza di tè: «Non ti avevo detto di preferire il salato?». Evee sorrise avvicinandosi alla porta finestra: «È una torta salata, ma se non la vuoi la mangerò io». Adren si alzò dalla scrivania per prendere posto: «Non credi sia ora di un altro di quei disegni?». Evee sussultò sorpresa alla richiesta: «Se proprio ci tieni». Rifiutò la torta tornando a lavorare lasciando alla ragazza la possibilità di disegnare. Dylan entrò dopo aver ricevuto il permesso osservando Evee alzarsi con un foglio in mano, lo porse al Principe uscendo con un cenno: «Un altro?». Adren lo visionò curioso del nuovo caso a cui pensare, ma irrigidì le spalle spalancando gli occhi, quando nell’immagine si trovò rappresentato in quel risveglio che avevano condiviso, dalla prospettiva della ragazza. 
L'espressione sorpresa del risveglio, gli occhi che l’avevano osservata non gelidi ma così caldi da restargli impressi nella memoria, la prospettiva delle braccia che sollevavano il corpo maschile vista dal basso. Adren portò una mano alla fronte per reggerla e impedire ai suoi occhi di guardare il disegno e ricordare invece la ragazza mista tra stupore ed emozione rimasta incastrata sotto di lui. Dylan si avvicinò curioso della reazione osservando sorpreso l’immagine e scendendo a leggere una frase appena visibile alla base della pagina: «Vederti assumere quell’espressione è stato diverte e interessante». Dylan alzò un sopracciglio perplesso guardando il fratello irrigiditosi alla lettura a voce alta: «Quando avrebbe avuto questa occasione?». Adren sospirò ruotando il disegno cercando di nascondere l’imbarazzo con l’irritazione: «Le sono svenuto addosso quando non mi sentivo bene, intontito dalla febbre non ho fatto caso alla situazione in cui ero, pensavo fosse stato un sogno e invece evidentemente mi sono difeso dai miei incubi coinvolgendola». Dylan sorrise allontanandosi accennando una risata: «Auguriamoci che non se ne faccia un vanto». Adren lo guardò sorpreso: «E quella reazione?». Dylan gli diede le spalle incrociando le braccia: «Avete avuto il coraggio di offrire a me e Belle una bicchiere di pregiato liquore senza specificare, il fato vi ha reso il favore». Chiuse la porta scoppiando in una risata silenziosa guardando il corridoio dove Evee lo stava aspettando: «Te ne ha parlato?». Sapeva già di quell’incidente, le guardie non erano riuscite a tenere chiusa la bocca e quando le voci erano arrivata a Dylan, era stata costretta a raccontare a grandi linee la verità: «Belle ha trovato alcune ricette interessanti, vorrebbe mangiare insieme a voi e mi ha chiesto di fare da cameriera personale in cambio di una porzione della sua cucina». Dylan sorrise ormai calmo dalle risate, si fermò davanti al bivio salutandola e cambiando strada: «Ci sarò».

A quell’assaggio culinario erano stati invitati anche Lourens, cavaliere e consigliere personale del principe, Eloise una delle poche donne abili nello scontro con le spade a suo servizio da svariato tempo. Belle entrò assieme a Evee, portava un carrello colmo di portate: «Mi auguro saranno di vostro gradimento». Servì tutti i presenti gustando da sola la sua porzione senza destare troppi sospetti: «Sicura di voler mangiare da sola?». Sorrise lasciando il piatto sul carrello: «Non posso sedete al vostro stesso tavolo». Dylan prese posto di fronte a lei per guardare fuori: «Dylan, ti andrebbe una storia?». Sussultò sorpreso della domanda: «Solo se non è una storia che conosco». Evee sorrise, aveva recepito il messaggio: «Tempo orsù quando la capitale non era ancora Riusse ma Ramona appena ad Ovest del regno, un giovane viandante intraprese l’ardua strada delle montagne per passare i confini tra i due regni, le montagne si rivelarono più insidiose del previsto, il cavallo che guidava da terra fu coinvolto in una caduta mortale accolto malamente nella vallata sottostante assieme a tutto quel che portava, vivande e denaro. Salvo per miracolo si aggirò per la città in cerca di cibo e riposo ma non aveva beni con cui pagare i servizi, vagò per qualche tempo tra le vie affamato e stanco quando si eresse a lui vicino una locanda di legno color ocra, non aveva nome né insegna, preso dalla speranza di essere stato graziato entrò ad esplorare il luogo, nessuno lo accolse all’entrata tranne il bancone impolverato. Il buio spettrale della sala era circondato da un silenzio tetro come il mobilio, voci spaventate e rotte dal dolore discendevano dal piano superiore, sebbene temesse ad avanzare alla fine decise di scoprire cosa quella locanda celava, una sola stanza con la targhetta d’oro sembrò urlargli di scappare ma ignorando gli avvertimenti entrò. Quel che oltre vi trovò lo sconvolse al punto da stordire la sua mente ma tornare indietro non gli fu possibile la porta era svanita lasciandolo preda di quel che aveva scoperto, chiese aiuto al cielo per scampare al pericolo e si nascose nell’unico mobile capace di contenerlo, un armadio, in preda al panico si rifiutò di guardare cos’altro accadeva in quella stanza, l’aquila ferita a morte e un mostro che si stava cibando delle sue carni ancora calde e vive, scalciò con un piede attirando l’attenzione del mostro, terrorizzato alla morte si accorse che il pannello dell’armadio nascondeva una via, non sapeva se lo avrebbe salvato o reso impotente, poteva solo pregare, discese nel cunicolo rigettato nel vicolo maleodorante, non seppe dire se fu grato di essere sopravvissuto ad un mostro o di essere ancora in vita a patire la fame e la stanchezza».

Dylan la guardò affascinato dal modo in cui usando le parole sembrava disegnare davanti a lui la scena come su dei fogli di carta: «E cosa successe all’aquila e al viandante?». Evee sorrise preoccupata osservando l’esterno: «Nessuno dei due sopravvisse». Dylan si strinse nelle spalle, quello era sicuramente un avvertimento, Evee riprese respiro allontanandosi dalla finestra: «Sono di nuovo in servizio». Prima di abbandonare la sala e lasciarlo ai suoi doveri, cercò di dargli una speranza: «Dylan, il finale può essere riscritto, infondo siamo noi a scrivere la nostra storia».

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Capitolo 5
*** Verità Nascoste ***


Quella storia aveva occupato la sua mente l’intera nottata, sapeva di doverla interpretare per capirla ma c’era un punto fondamentale che lo confondeva. Seduto alla scrivania rinunciò al suo lavoro per concentrarsi sulla storia: «Lourens trovami un libro sulla capitale». L’uomo tornò dopo pochi minuti a portargli il libro richiesto curioso di quel che cercava: «Lo sapevo, non esiste una città chiamata Ramona, la capitale è sempre stata Ruisse, qui però dice che in passato era più grande e comprendeva anche la città vicina, poi è stata ridotta e la nuova città affidata ad un ministro, Lourens, Eloise preparate i cavalli devo verificare una cosa».

A metà della mattinata bussò allo studio del maggiore allungandogli la richiesta per uscire dal castello: «È raro che tu venga a chiedere formalmente il permesso per allontanarti, di solito lo fai anche quando non dovresti». Dylan deviò lo sguardo alla giusta osservazione: «Evee mi ha raccontato una storia e vorrei verificarla prima di mettervi al corrente del narrato». Adren sussultò sorpreso che l’avesse raccontata a lui: «Va bene, ma non trattenerti più del necessario». Non era stato difficile trovare quella locanda, era color ocra brillante ma quel che la circondava, intimava alle persone di non avvicinarsi. Anche Lourens aveva avvisato il Principe già pronto ad intervenire, Dylan lo fermò, era troppo sospetto come luogo e tutta la gente che passava sembrava ignorarla: «Attireremmo troppa attenzione in due, vado da solo, se non esco entro cinque minuti, intervenite». Avanzò da solo e con cautela verso quel luogo misterioso, chiuse la porta e la storia prese vita, il bancone buio e impolverato, la sala tetra e inospitale ma nessun rumore di voci, la scala era invece pulita e la via era illuminata da una torcia di fuoco appesa alla parete infondo al corridoio di stanze. La targhetta dorata brillò alla poca luce e Dylan si fermò davanti alla porta, prese un respiro preparandosi a quello che poteva trovare lì dentro, spinse la porta avanzando. Era una normale stanza locandiera, ma priva di letto, i mobili di legno, l’armadio attaccato al muro e due candele sul comodino che illuminavano tutto quel che la luce passante dalle assi di legno alla finestra non riusciva ad evidenziare. Rimase ad osservare tutto perplesso, non c’era nulla né un’aquila ferita né un mostro a divorarla, la voce alle sue spalle lo risvegliò dalla curiosità, cercò la maniglia per uscire a nascondersi, ma non c’era maniglia da afferrare. Gli tornò in mente il particolare del viandante chiuso dentro e istintivamente cercò l’armadio dove si era nascosto. Chiuse l’anta un attimo prima che la porta si aprisse, due uomini entrarono coperti da un mantello: «Ci muoveremo a breve, è tutto pronto?». Il secondo rispose togliendosi il cappuccio, l’anta non gli permise di vedere il suo viso ma la voce era fin troppo famigliare per ignorarla: «Sarà qui a breve, quando arriverà potremo dare inizio al colpo di stato, non aspetteremo oltre». Dylan sgranò gli occhi alla frase appena sentita, coprì le labbra con la mano per evitare di lasciarsi sfuggire anche solo un respiro, un mostro si stava preparando a divorare l’aquila ed era più vicino di quanto pensasse, scalciò con la gamba emettendo un rumore. Fu preso dal panico ma grazie alla storia che quella ragazza aveva descritto a perfezione il cunicolo nascosto nel muro gli salvò la vita. Riprese subito forze rigettato non nel vicolo ma nella stanza al di sotto del piano superiore, uscì di corsa a raggiungere i due cavalieri allarmarti pronti ad intervenire: «Dylan, tutto bene?».  Continuava a riascoltare quella voce in stato confusionale: «È arrivato qualcuno?». Eloise accennò ad un si indicandogli il cavallo nascosto nel vicolo: «Un uomo coperto da un mantello». Il simbolo sulla cinghia lo irrigidì al punto da annebbiargli la mente, Lourens lo sorresse preoccupato: «Rientriamo».

Adren aveva saputo del suo ritorno ma Dylan non arrivava a fargli rapporto, si alzò stanco di aspettare ma non lo trovò nel suo studio, né nella sala di addestramento, si sorprese quando davanti alla stanza del fratello Eloise e Lourens immobili parlavano: «Cosa sta succedendo?». Il ragazzo si voltò di colpo sorpreso: «Principe Adren, da quando siamo tornati, il Principe Dylan ha espresso la sua volontà di non essere disturbato». Adren guardò la porta perplesso: «Cosa avete scoperto?». Eloise negò preoccupata: «Non ha detto nulla di quel che ha trovato in quella locanda o se abbia riconosciuto chi è entrato». Rimasero in silenzio tutti confusi dal comportamento: «Una riunione in corridoio?». Evee era stata chiamata a rapporto dal secondo Principe ma dovette fermarsi quando i tre bloccarono la via: «Perché si comporta cosi?». Adren indicò la porta quasi sicuro che centrasse lei: «Forse per la storia che gli ho raccontato». Eloise si vide incuriosita: «Una storia?». La porta si spalancò di colpo, Dylan afferrò Evee portandola dentro con la forza: «Andate via!». Urlò attraverso la porta richiusa nella speranza che si allontanassero: «Cosa diamine era quel…». Evee alzò lo sguardo al cielo: «Ti rendi conto che hai appena trascinato una cameriera nella tua stanza personale davanti al futuro re?». Dylan sussultò all’accorgimento ma l’argomento aveva la precedenza: «Prima devi spiegarmi cos’era!».

Adren aveva congedato gli altri due ed era rimasto ad aspettare che Evee si allontanasse dalla stanza per tornare ai suoi doveri: «Allora, qual è questa storia?». Evee sospirò con un tenero sorriso sul volto avanzando al suo fianco: «Lo avevo avvertito che poteva spaventarlo, ma non mi aspettavo tanto». Adren la fermò arrabbiato: «Dimmi di più». Evee negò sorridendogli tristemente: «Ho promesso a Vostra Altezza che non vi avrei detto nulla, infondo sono solo una cameriera». Riprese il cammino avvertendo sulla pelle lo sguardo minaccioso: «Ma potrei sbadatamente dimenticarmi di chiudere la cucina dopo aver pulito, per lasciare ad uno stomaco affamato la possibilità di sfamarsi celato agli occhi di tutti».

A notte fonda Dylan avanzò nella cucina con un candelabro, Evee aveva lasciato qualcosa preparato per lui: «Raccontami quella storia». Dylan sussultò stringendo il candelabro come se fosse una spada: «Mi avete spaventato». Adren era seduto al tavolo in attesa del suo arrivo: «Dylan non voglio ripeterlo». Si arrese davanti allo sguardo affilato sedendosi a lui di fronte per ricordare i particolari principali della storia: «Racconta di un viandante capitato per caso in una manomessa locanda, si inoltra per le stanze e decide di entrare in una con la targhetta in oro, al suo interno trova un’aquila ferita che viene divorata da un mostro, preso dal panico, si nasconde nell’armadio dove scopre un condotto che lo porta fuori dalla locanda, perde la vita per la fame e per la stanchezza». Adren si alzò porgendogli un bicchiere d’acqua, era ancora scosso da quella scoperta: «Sai che non gradisco quando parli con me e non mi guardi». Si rifiutò di affrontare il suo sguardo e Adren sciolse l’espressione severa preoccupato: «Quel che hai trovato in quella stanza ti ha così spaventato da non riuscire neanche più a guardarmi?». Dylan strinse il bicchiere rifiutandosi di alzare ancora lo sguardo: «Avevo inteso che l’aquila fosse simbolo di nobiltà, in quanto è chiamata aquila reale, e che il mostro si associava a qualcuno che voleva far del male alla famiglia reale, ma quello che ho trovato…che ho sentito…». Adren rimase in silenzio ad aspettare che prendesse forza: «Un complotto, sapevamo già che c’era qualcuno che stava preparando un colpo di stato…ma, non l’ho visto in volto, però sulla briglia c’era lo stemma distintivo…dei ministri». Adren irrigidì le spalle comprendendo il motivo che lo aveva messo in guardia: «Appena il castello si sveglierà va a prendere quella ragazza e portala a me». Afferrò il suo polso prima che potesse ritirarsi: «Non un ministro qualsiasi, è vicino a noi e in quelle parole non c’era esitazione».

Evee era davanti a lui sotto accusa, Dylan gli aveva raccontato tutto e lo sguardo del Principe non prometteva transigenza: «Sono stanco di queste storie celate, Evee, voglio che parli chiaro da adesso in poi». Dylan deviò lo sguardo quando Evee cercò appoggio nella sua presenza, ma come aveva già fatto fece voto al silenzio. Adren sospirò non sarebbe riuscito a farla parlare neanche con la forza, si alzò attirando entrambe le attenzioni: «Adren, dove stai andando?». Il ragazzo avanzò verso la porta: «A risolvere le cose a modo mio». Evee sussultò cercando di fermarlo: «Non le risolverai così, Dylan…». Non corse in suo aiuto al contrario indietreggiò lasciandolo fare, Adren aprì la porta per affrontare di petto la questione, quando la stretta e il blocco dell'apertura lo sorpresero: «Se vai…impreparato…potresti…non tornare…». Evee era corsa a stringerlo spaventata all’idea che potesse essere così imprudente: «Raccontami tutto e tornerò». Non le stava dando alcuna scelta, la porta aperta e lui in pericolo, o la verità e la prudenza. Evee indietreggiò messa all’angolo lasciandosi cadere a terra, il tuffo al cuore aveva mosso il suo corpo prima che potesse realizzarlo: «Conosce tutto di te, il tuo modo di pensare, il tuo modo di fare, il tuo modo di reagire agli attacchi, ti ha studiato troppo a fondo per poterlo affrontare a viso scoperto, perciò se adesso andassi ad affrontarlo, perderesti». Dylan strinse le mani fermandosi dall’intervenire nella conversazione: «Perché non mi hai detto che il pericolo più grande era proprio qui a corte?!». Evee si rialzò dal volontario cedimento stringendo la mano tremante: «Perché sapevo come avresti agito e so per certo che ti farebbe del male, per questo…». Adren sospirò sorpreso dalla confessione celata: «Hai pensato che se fosse stato Dylan ad occuparsene io sarei stato al sicuro». Dylan sospirò osservando Evee sprofondata nella paura: «Cerchi di proteggerlo, ancora non capisco perché, se noi fossimo uccisi, tu saresti libera». Evee si strinse nelle spalle negando: «Non sono una stupida, non sono stata scelta o risparmiata per caso, Dylan». Adren rialzò lo sguardo a quelle parole curioso di quella risposta: «Evee». Indietreggiò senza lasciarsi avvicinare: «Cerchi la verità? Se è l’unica cosa che può farti capire ed evitare imprudenze, va bene, te la racconterò. Li ho chiamati banditi ma in realtà sono quel che resta del feudo di Simac, Corine...voleva scambiare le nostre promesse, voleva essere lei la consorte della famiglia reale, aveva un progetto preciso della sua vita al mio contrario, ero concorde, sarei stata più adatta ad un piccolo feudo che ad un castello così grande, tutta via non potevo rinnegare quello che provavo. Lei lo voleva per prestigio, io per amore, se adesso…se io permettessi che vi facciano del male…il mio feudo, il feudo di Cora sarebbe riconosciuto come il traditore che ha attaccato quello di Simac, invertirebbero la storia, non c’è libertà per me, se Adren venisse ucciso loro verrebbero a cercarmi, darebbero alla duchessa di Cora l’intera responsabilità, sarebbero riconosciuti come eroi nazionali, poi toccherebbe a Dylan, prenderebbero in ostaggio donne e bambini, prenderebbero possesso dell’esercito imperiale, il territorio a ovest sarebbe conquistato dal regno vicino, Ruisse morirebbe, io sono il detonatore che potrebbe distruggere questo regno!». I due Principi avevano perso il fiato a quell’incidente in parte finalmente svelato: «Evee…». La ragazza riprese contegno stringendo la mano al petto: «Ma in questo regno io ho trovato la vita, nel feudo di Cora sono stata elogiata e sono stata amata, per questo ho deciso, quando mi è stata data la possibilità, di proteggere questo regno e di difendere il ricordo del feudo a cui appartengo, perché finché io sarò in vita anche Cora vivrà, non permetterò che quel luogo che mi ha dato vita e amore venga distrutto da chi non ha accettato le differenze».

Il silenzio disceso nella stanza avvolse i tre ragazzi come un mantello oscuro, solo dopo un lungo sospiro Adren prese l’iniziativa aprendo la porta: «Adren?». Sussultò fermandosi il solo tempo di rivelare le sue intenzioni: «Vado ad allenarmi, devo riflettere». Evee si strinse nelle spalle cancellando dal viso le lacrime che non era riuscita a trattenere: «Non era così che doveva andare, scusami Dylan, non era questo che volevo». Lasciò veloce la stanza prima che Dylan potesse fermarla. Adren era rimasto ad allenarsi tutto il giorno nel tentativo di dilatare i suoi pensieri ma non era riuscito a disfarsene.
Il giorno a seguire non si sorprese di non trovarlo nel suo studio. Le dita accarezzavano i tasti chiari e scuri del piano forte con leggerezza e malinconia, la musica si perdeva in un ricordo sfumato del passato perfettamente nitido nella sua mente. La melodia attirò la ragazza come una falena inducendola ad entrare e ad avvicinarsi alla musica, rimase a guardarlo come se stesse ascoltando la voce di un fantasma: «La ricordi?». Adren sorrise nostalgico: «Rimasi affascinato quando in polifonia la cantaste, vuoi rammentarmi anche le parole?». Evee dischiuse le labbra lasciando che la voce riscrivesse una storia che gli anni avevano cancellato, incantò anche l’aria che come richiamata dalla soavità del tono, l’aveva avvolta in un caloroso abbraccio. Ricongiunse le labbra appoggiando la mano sul cuore, era stata come una ventata d’aria fresca che le aveva regalato un nuovo respiro vitale. Era persa in quella magia e non si accorse di quanto vicino fosse quel ragazzo e quegl’occhi tinti di dolcezza che la reclamavano, si sporse ad appoggiare le labbra sulle sue accarezzandole il viso rimasto immobile: «Per anni ho creduto di averti persa, il sospetto mi è nato quando ho riconosciuto i tuoi occhi, ma mi ero convito che lo avevi fatto perché mi odiavi, perché non eri insieme a Corine per colpa mia, invece tu…per tutto il tempo tu…». Evee bloccò le sue parole con la mano cercando di allontanare il viso da quel dolore risanato: «La persona che conoscevi è morta quel giorno insieme a sua sorella». Adren le prese la mano premendola sul proprio petto: «Quella persona vive ancora dentro di me, quel giorno è entrata nel mio cuore e non ne è più uscita, non so cosa sia successo ma non voglio perderti di nuovo, mi sono visto felice al tuo fianco e fiero del titolo che grava sulle mie spalle perciò, Eveleen, io ti ho scelto». Evee morse il labbro per controllarsi e non crollare al pungente ago che stava minando i suoi occhi: «Sapevo che dirtelo avrebbe reso le cose più difficili, perché mi hai dovuta costringere? Tu non hai più una scelta, non illuderci in questo modo, te ne prego». Fermò quella fuga trattenendola con dolcezza: «È diverso, tu sei un erede e questo cambia tutto». Evee sorrise tristemente sforzandosi di non far tremare la sua voce: «Tu sei un erede Adren, il figlio che darà alla luce la tua consorte sarà un erede, ma io, io sono solo una cameriera che non dovrebbe essere qui, vorrei solo che li fermassi, quando saranno presi io, svanirò, e di me resterà solo un ricordo, infondo io sono già stata dimenticata». Allontanò la mano che l’aveva fermata riprendendo il cammino verso l’uscita e verso il suo lavoro da cameriera lasciandolo alle sue spalle: «Evee anche se gli altri dimenticheranno, ti apparterrà sempre». Si fermò incerta e spaventata al soggetto omesso: «Cosa?». Temette ad ascoltare la risposta dello sguardo deciso che non avrebbe lasciato andare il suo ricordo: «Il mio cuore».
Si strinse nelle spalle mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare, non rifiutò l’affermazione che l’aveva resa felice ma si costrinse a riprendere il cammino per lasciare la stanza, prima che le lacrime sfuggissero al suo controllo: «Anche il mio». Sussurrò appena cercando di seppellire quella conversazione nella sua mente.

Adren era rimasto a guardare la porta come se volesse vederla tornare, sospirò spostando l’attenzione sul pianoforte: «Sua sorella lo voleva per il prestigio, lei perché vi amava». La presenza di Dylan non lo sorprese, aveva ascoltato tutto da dietro la porta e stava chiedendo spiegazioni: «È bastato uno sguardo e un sorriso, anche io l’avevo scelta, la amavo e l'amo ancora». Dylan si avvicinò timoroso di scatenare la sua reazione ma voleva conoscere quella storia che lo riguardava e che ancora bruciava nel suo cuore: «Raccontatemi».

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Capitolo 6
*** Amore Eterno ***


Gli occhi si tuffarono in un mare di ricordi, era difficile farli riaffiorare dopo tanto tempo e sapendo che la ragazza che amava era appena andata via chiedendogli di dimenticarla, riprese il cammino per il castello conducendo Dylan lontano dalle guardie e da orecchie indiscrete, camminarono nel giardino nel totale silenzio della natura e del giorno prima di fermarsi: «Erano due gemelle, Corine ed Eveleen, le due si divertivano a confondere gli ospiti con la loro somiglianza, prima di presentarmi alla loro corte deviai per la città, un semplice giro turistico e mentre osservavo il fiorente feudo mi scontrai contro una bambina che teneva stretta al petto una busta di dolcetti di marzapane, stava scappando da un tutore, mi chiese di non dire nulla e in cambio mi lasciò uno di quei dolcetti, svanendo tra i vicoli. Quando nel pomeriggio giunsi nella loro corte per incontrare la mia possibile consorte si presentò a me Corine, le avevo appena accarezzate con lo sguardo ma compresi subito che non era lei, non rimasi incantato dallo scambio e alla comprensione, Eveleen corse via, ero curioso di sapere in cosa differenziavano e perché non volesse incontrarmi, immaginavo che fosse per imbarazzo e le corsi dietro, cercando di fermarla cademmo entrambi in un laghetto, in quel momento i suoi occhi si illuminarono, alla luce del sole sembravano brillare di un candido bianco e non di un intenso nero ossidiana, erano carichi di entusiasmo e fascino, erano unici e prima di potermi rendere conto di quel che era successo ormai eravamo a un respiro di distanza. Ricordo il viso arrossato come se non avessi mai osservato altro, non la scelsi per questioni legate a titoli e prestigio ma semplicemente perché quegl’occhi mi avevano incantato, quando rientrammo cercai di prendermi la colpa dicendo che l’avevo spaventata ma lei non si fece da parte e prese carico della responsabilità confessando che aveva chiesto a Corine di incontrarmi al suo posto perché provava imbarazzo. La sua sincerità ma anche la decisione che le vidi dipinte sul volto mi portarono ad ammirarla e a desiderare conoscere sempre di più, quando la sera ballammo insieme non ci furono parole eravamo perfettamente sincronizzati, nel respiro, nel battito e nello sguardo, i movimenti erano perfetti, riusciva a farsi portare con una tale limpezza che quasi sperai quel ballo non finisse mai, e la scelsi, un anno dopo scoppiò la guerra, ma non credetti mai che fosse morta senza ribellarsi, infondo se era stata scelta come mia consorte, non si sarebbe lasciata sopraffare così facilmente». Dylan non aveva mai visto sul suo volto un sorriso così felice e dolorante come quello che cercava di celare a lui e al mondo: «Quindi vorreste…». Adren sospirò, per quanto si fosse opposto, era già stato promesso ad un'altra candidata: «Sebbene Lianne sia una perfetta candidata, non sarà mai come Eveleen, Dylan questa conversazione non è mai esistita, l’unica cosa che posso fare per lei è trovare quei banditi». Dylan si strinse nelle spalle conscio al suggerimento che gli sfuggì: «C’è qualcos’altro che potreste fare per lei». Adren si voltò a guardarlo malamente: «Alludi a qualcosa di illecito». Dylan sorrise appena voltandogli le spalle: «C’è qualcosa di lecito nell’amare?».

Chiuse la porta del suo studio soffermandosi ad osservare lo stemma che non riconosceva, decise di provare in biblioteca, qualcuno dei ministri poteva avere famigliarità con quello schizzo: «Principe Adren». Gerard richiese la sua attenzione dagli studi inutili: «La Marchesa Lianne ha espresso il suo desiderio di fermarsi, i ministri hanno insistito per organizzare un ballo in suo onore». Adren sospirò pensando a quella ragazza in arrivo, il messaggio di Dylan su di lei non lo aveva distratto dalla banda di briganti in libertà: «I ministri, eh?». Dylan lasciò lì la lettera arrivata uscendo dalla stanza, Adren si stese sul letto esausto: «Un ballo non è proprio quello di cui avrei bisogno». La carezza incorporea di un vicino ricordo lo fece sussultare, guardò verso l’alto dolorante all’idea di lasciar andare quella perla, strinse a se la mano come se potesse stringere lei.

Si stava osservando allo specchio nel classico vestiario nobile per prendere parte a quel banchetto, sospirò passando una mano tra i capelli, lasciò la sua stanza per entrare accolto dagli sguardi di alti nobili nella sala. Tutti convenevoli che volentieri avrebbe evitato, desiderò che qualcosa accadesse che qualcuno arrivasse a movimentare la sua noia da reale e di risposta un bagliore violaceo brillò nei suoi occhi e li richiamò con il profumo dei fiori. Si guardò intorno nella sala chiedendosi se non fosse stata la sua immaginazione a volerla lì, sorrise divertito al pensiero quando l’improvvisa confusione lo guidò come un faro: «Quella ragazza è splendida, non l’ho mai vista, sarà una nuova Lady, quel colore le sta d’incanto». Avvicinò i commenti spalancando gli occhi, il vestito viola le avvolgeva il corpo in una tenera carezza, i guanti alti fino al gomito racchiudevano le mani che cercavano di allontanare le domande e l’attenzione, i capelli stesi lisci come la corrente di un fiume scendevano oltre i fianchi e il fermaglio fiorato e decorato illuminava l’oscurità in cui si immergevano. Gli occhi erano lucidi, tutta quell’attenzione la stava spaventando e quando incontrarono gli occhi di ghiaccio sciolto sembrarono urlare e chiedere il suo aiuto per scappare lontano. Adren era rimasto ad osservarla nella bellezza di una campanula fiorente: «Altezza». Sussultò al richiamo, le danze dovevano essere aperte e tutti stavano chiedendo la sua attenzione, Adren strinse i denti avvicinandosi e facendosi spazio tra le mani dei Lord che chiedevano quella di Evee: «Perdonate, ma la Lady ha già promesso il primo ballo». Evee si strinse nelle spalle, non era quello che voleva ma lasciar andare quella mano, che la stava guidando alla sala da ballo, poteva metterla più in pericolo di quanto già non fosse. Presero posizione attirando l’attenzione anche di Dylan disperso tra i nobili: «Cosa ci fai qui?». Evee negò perplessa: «Io non dovrei esistere, non chiedere a me perché sono qui, mi hai trascinata a danzare senza pensare a quanto sarà dannoso per te». Adren la avvolse in un giro: «È solo un ballo, non potrà fare danni irreparabili, le attenzioni si concentreranno su di me e potrai allontanarti».

Evee abbassò lo sguardo preoccupata lasciandosi guidare in una danza oltre quella sala e ancora tangibile nei suoi ricordi, il viso spensierato del Principe e la mano calda che prendeva la sua infreddolita, il respiro troppo vicino per due sconosciuti e i due corpi perfettamente in simbiosi: «È stato superbo». Evee fece un inchino stringendosi nelle spalle, rimasero immobili nella sala, stava disperatamente chiedendo di poter scappare via ma i Lord, che li avevano accerchiati volevano sapere chi ella fosse, avevano bloccato la sua strada verso l’uscita. Le voci si sovrastavano, le domande che vagavano anche verso Adren e il rapporto con lei che molti avevano riconosciuto come la cameriera della castello. Strinse la mano al petto quando le voci si abbassarono di colpo fin a svanire del tutto, a quell’improvviso silenzio anche Adren si voltò ad osservare chi poteva mai generare tanta immobilità: «Lianne».  Sussurrò appena sorpreso di vederla apparire senza presentazione dopo il ballo d’apertura, il viso arrabbiato disse da sé che aveva assistito alla danza e che aveva riconosciuto qualcosa in quello scambio di sguardi: «Principe Adren, da voi non avrei mai potuto immaginare un simil gesto, davanti agl’occhi di una corte accorsa per un ballo in mio onore, sono oltraggiata, aprire le danze con una cameriera e non con la vostra consorte». Evee sussultò spaventata alla situazione che si stava creando, approfittò della confusione per correre via, Adren la seguì con lo sguardo fin alla porta, ancora una volta non sarebbe rientrata.

Tornò a guardare Lianne ormai a lui davanti, non oppose resistenza a quei meritati rimproveri, quando il fermaglio di fiori si confuse con i capelli biondi, lo stesso fermaglio che invece aveva illuminato quei capelli scuri come i suoi occhi, comprese: «Sapevate chi ella fosse». Lianne sussultò all’accusa sottovoce accarezzando il fermaglio: «Girava voce nel castello e tra i nobili che vi foste invaghito di una banale cameriera, è stato mio dovere verificare quelle voci e fermarvi prima di commettere uno sbaglio». Adren indietreggiò cercando Gerard con lo sguardo ma era sorpreso e confuso quanto lui: «Tra i nobili…non sarà…Dylan!». Il fratello lasciò cadere il bicchiere preso dallo stesso dubbio, corse fuori dalla sala per ritrovare la ragazza che aveva abbandonato il ballo, senza avere la certezza che dietro di sé avesse lasciato cadere la scarpetta di cristallo per riconoscerla: «Evee!». Urlò senza successo in tutta quell’area: «Dylan!». La voce di Belle lo bloccò di colpo dalla ricerca: «Non dovresti essere qui!». Belle corse verso di lui con il fiatone e il terrore dipinti sul volto: «Evee…l’ho vista in lacrime…le avevo detto…l’avevo lasciata…li…ma lei…». Dylan le afferrò le spalle preoccupato: «Belle calmati, cos’è successo?». La ragazza gli strinse il polso ritrovando la calma: «Le avevo detto che poteva restare nella mia stanza, volevo prepararle qualcosa di caldo, ma quando sono tornata non c’era, l’ho cercata e qualcuno è saltato giù da un balcone, Dylan qualcuno l’ha presa!».

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Capitolo 7
*** Inganno Mortale ***


Adren era rimasto bloccato al centro delle polemiche, ma in tutto quel frastuono una voce lieve come un raggio di sole filtrò tra le tante richiamandolo, si fece strada per la balconata: «Adren!!». La mano distesa verso di lui fu solo un miraggio prima che l’uomo a cavallo saltasse fuori dai cancelli: «Evee!». Dylan era corso al suo seguito ma l’uomo era svanito appena fuori, voltò il cavallo verso il fratello dispiaciuto di non essere riuscito a fermarlo. Adren strinse i denti imponendo alla rabbia di non fuori uscire come avrebbe voluto: «Principe Adren, è d’obbligo una spiegazione». Adren riprese contegno raddrizzando le spalle: «Preparate il mio cavallo». Voleva correre in suo aiuto, il prima possibile pur non sapendo dove fossero diretti, Gerard bloccò il suo cammino: «Non potete andare da solo, potrebbero essere ovunque, dovete a tutti me compreso una spiegazione, se sarete convincente il regno vi appoggerà, ma se correrete al suo seguito senza spiegazioni comprometterete la vostra posizione». Adren strinse i pungi alle mani aveva ragione, non doveva perdere la lucidità, non era con la mente persa che avrebbe salvato Evee: «Riunitevi nella sala del consiglio, vi darò le dovute spiegazioni, Lianne richiedo anche la tua presenza». Lasciò la stanza senza dire altro: «Non sono riuscito a fermarlo». Adren appoggiò una mano sulla sua spalla: «Non ho intenzione di rinunciare a lei, come tu non hai rinunciato alla tua dama, Dylan riconobbi la tua forza e ti promisi supporto, adesso che quella follia sto per emularla, cosa farai?». Dylan sorrise stringendo la spada: «Vi seguirò, vi appoggerò, nel suo salvataggio, nel governo del regno e in tutto quel che verrà, siete il mio re e siete mio fratello, la mia spada combatterà per voi». Chinò il capo sicuro di quella scelta, Adren sorrise fiero di quelle parole: «Voglio mettere le cose in chiaro, poi ti darò degli ordini e non dovrai discuterli».

Avanzò verso la sua stanza, si cambiò d’abiti raggiungendo tutti i ministri nella sala, gli altri ospiti erano rimasti nella sala da ballo perplessi sull’accaduto: «Principe Adren, in primo luogo sono sconcertato, lo siamo tutti dal vostro comportamento, questo ballo era in onore della vostra consorte, è vero quel che si dice su quella cameriera?». Adren prese un respiro per poter affrontare tutte le accuse rivoltagli in silenzio: «Se volessimo dirla tutta, se il ballo era per la mia consorte non c’è stato nulla di sbagliato ad aprire le danze con lei». L’affermazione colse la sorpresa anche della Lady nella stanza: «Principe Adren, è un servitore del palazzo, perché avete una così alta considerazione di lei?». Adren accennò ad un no guardandola duramente: «Non è solo una cameriera, era un ruolo di copertura che l’avrebbe mantenuta al sicuro, è venuta a chiedere il mio aiuto due mesi fa dopo essere scappata da suoi sequestratori, e io decisi autonomamente di aiutarla, averla a me vicino le avrebbe garantito protezione». Gerard si alzò sorpreso da cosa stava cercando di dire: «Questo cosa significa? Chi è quella ragazza di nome Evee?». Adren strinse la spada: «Il suo vero nome è Eveleen, è l’unica sopravvissuta di una guerra avvenuta tempo a dietro, è la duchessa del feudo di Cora che fu scelta come mia consorte».

L’aria nella sala rimase sospesa in aria all’apprendere della notizia, gli occhi malva erano rimasti spalancati, l’aveva costretta a partecipare al ballo per portare allo scoperto il possibile tradimento, mai immaginava potesse essere una duchessa, ancor meno sapeva che era stata promessa prima di lei a quel Re: «Per questo, andrò a salvarla, sono le uniche spiegazioni che vi devo, Lianne seguimi». La ragazza riprese lucidità seguendolo a ruota fuori dalla stanza, Adren chiuse la porta guardandola furioso: «Chi ti ha parlato di lei?».  Lianne indietreggiò spaventata: «Chi?». Il ragazzo si allontanò dal viso che aveva appena appreso la notizia: «Uno dei ministri lavora con il feudo di Simac o quel che ne resta per distruggere questo regno, Eveleen è la chiave per farlo, io andrò anche se sarà per me una trappola probabilmente mortale, voglio che tu non esca da questa stanza e che dica tutto quel che sai a Dylan, così da poter fermare quello che sta per accadere». Lianne si lasciò cadere a terra terrorizzata a come quel piccolo dispetto era diventato pericoloso: «Il vostro cavallo è pronto». Adren si avvicinò a Dylan pronto a seguirlo: «Tu resti qui». Sussultò  non concorde con l’ordine: «Verrò per…». Adren lo bloccò osservandolo dall’alto: «È una trappola Dylan, se verrai anche tu questo regno avrà fine, andrò da solo con i soldati, ho bisogno che resti qui, che fermi quell’uomo, che proteggi le persone qui a palazzo e che mantieni stabile la situazione fin al mio ritorno». Dylan strinse i denti ma dovette arrendersi e lasciarlo andare: «Non preoccupatevi Altezza». Luke saltò giù dal balcone con il fuoco nelle iridi, montò a cavallo seguendo Adren nella sua corsa: «Vi guiderò a loro». Adren lo guardò storto non si fidava ancora di quel ragazzo, che pochi giorni prima aveva dato la sua disponibilità a proteggere Evee e il regno: «Perché dovresti?». Luke arricciò le sopracciglia prendendo velocità: «Perché la sua sicurezza è la mia ragione di vita».  

Arrivati nella foresta scesero dai cavalli in quella che era una vecchia villa abbandonata, avanzarono con la guardia alta, in un attimo ai soldati fu sottratta la vita dalle frecce cadute in una cascata dall’alto lanciate dalle finestre. Adren e Luke riuscirono a ripararsi e a raggiungere la costruzione nascosti dalla boscaglia, salirono le scale guardando anche il più piccolo centimetro per riconoscere i segni dei rapitori. I colpi improvvisi riuscirono ad avvisarli dell’imboscata alle spalle, ma era troppo tardi per scendere a raggiungerla, erano al piano superiore circondati spalle a spalle contro i nemici: «Non mi fido ad averti alle mie spalle». Luke sorrise stringendo la spada: «Avete ragione, Evee è il mio unico obiettivo, potrei lasciarvi qui, ma se lo facessi i suoi occhi affogherebbero nel dolore, non fatevi privare della vita Altezza, Evee non lo sopporterebbe». Si scagliò contro i nemici per aprirgli la strada: «Andate!». Adren corse fuori dal cerchio: «Luke, non morire». Scese le scale con un balzo per correre in direzione dei colpi che aveva sentito, spalancò la porta gettandosi a capo fitto tra i briganti, colpendo uno dopo l’altro nella sola speranza che Evee fosse ancora raggiungibile: «Fermo li!». Si bloccò di colpo quando il pugnale sfiorò la pelle che gli apparteneva: «Adren».

Evee aveva le mani legate ed ostaggio dell’uomo avvolto nel mantello e con l’odio negli occhi: «Getta la spada». Adren strinse il manico, lasciarla andare significava avere la sua resa, i briganti rimasti illesi lo avevano di nuovo circondato: «Getta la spada o la uccido». Strinse i capelli di Evee esponendo il collo alla lama. Evee strinse i denti imponendo alle lacrime di non toglierle la visuale: «Non ti permetterò di fargli del male…». Gli pestò un piede con forza e approfittò del suo dolore per evitare la lama e colpirlo con una testata per liberarsi e dar la possibilità ad Adren di colpirlo, ma i briganti fecero da scudo all’uomo correndogli contro con l’istinto omicida sulla pelle. Luke sfondò la porta, erano di nuovo spalle a spalle contro i nemici, si lanciò nelle fauci della morte con Adren a combattere per vivere.

L’uomo si sollevò stringendo la testa colpita e stordito osservò Evee, cercava di liberarsi delle corde per combattere come poteva, o scappare per lasciare liberi i due ragazzi di colpire senza pietà: «Avresti dovuto ucciderlo e  tutto questo non sarebbe successo, perché non lo hai fatto, Corine?».  Adren sussultò voltando lo sguardo sorpreso verso di loro, Evee strisciò lontano mentre riprendeva la spada: «Non potrei mai uccidere chi amo!». L’uomo si fermò a guardarla attentamente e sorrise in pena per se stesso: «Quindi è questa la verità, sei quella sbagliata, mi hai fatto credere di voler vendicare tua sorella e invece tu sei corsa ad avvertirlo». Scoppiò a ridere terrorizzandola: «Quelle saranno le tue ultime parole, Principessa». Alzò la spada correndole contro per trafiggerla, Evee si rialzò spaventata non era riuscita a liberarsi, ma la mano di uno dei moribondi la bloccò e cadde a terra violentemente, si voltò a guardare quell’uomo con la morte negli occhi, strinse i denti spaventata: «Evee!» Adren colpì un altro uomo senza potersi avvicinare.

Il rumore della spada che attraversava il corpo tinse di rosso l’intera stanza, Evee voltò lentamente lo sguardo senza avvertire dolore e gli occhi ossidiana persero colore quando si accorsero che a proteggerla Luke non aveva esitato, l’uomo a loro di fronte era morto di colpo ma Luke era ancora in piedi, sembrò riprendere fiato ma tossì color rosso lasciandosi cadere di spalle a terra, la spada si estrasse da sola alla caduta lasciandolo inerme: «Lukeeeee!». Adren sistemò l’ultimo combattente correndo a liberare Evee e a controllare che gli sconfitti stesi a terra non potessero minacciarli. Evee usò la spada per strappare il vestito e correre a cercare di fermare il sangue che scorreva sul legno scuro nella speranza che Luke fosse ancora lì: «Perché…». Strinse gli occhi alle lacrime senza trattenerle, Adren la seguì a ruota premendo la stoffa sulla ferita: «Luke, resisti». Il ragazzo sollevò lo sguardo quasi spento allungando una mano ad accarezzare il viso di Evee: «Non piangere così». Evee gli strinse la mano spaventata: «Luke, non puoi andartene senza essere ricompensato, ti prego resisti». Negò appena con le ultime forze, quello era un addio: «Sono felice di essere riuscito a mantenere la mia promessa…Evee non potrò più proteggerti…però potrò tornare da Corine…da lei…non l’ho delusa, ti prego…non la odiare…ha capito troppo tardi quello che provavi…in punto di morte mi ha dato ordine di…proteggerti fino a che saresti…stata al sicuro…ora sei nelle mani del Principe…non posso fare altro per te…ma non piangermi…restarti accanto è stato come…come vivere…accanto a Corine…». Evee strinse la sua mano al petto ormai preda delle lacrime, anche Adren aveva smesso di sperare che potesse sopravvivere: «Non l’ho mai odiata Luke, Corine era mia sorella, le volevo un mondo di bene, le avrei ceduto il mio posto, se non mi fossi…innamorata…». Luke sfilò la mano dalla sua per accarezzarle il viso e cancellare le lacrime dal volto: «Promettimi solo…che vivrai…vivrai anche per lei, tu devi vivere e riportare… riportare alla gloria il nostro feudo…è tuo dovere Eveleen, sono felice di aver compiuto il mio…Principe Adren…». Il ragazzo si avvicinò per ascoltare l’ultima speranza della voce labile che velocemente si stava spegnendo senza paura: «Prendetevi cura di lei…se non lo farete…il mio fantasma verrà a perseguitarvi…». Adren accennò una risata spegnendo il sorriso quando la testa ricadde senza forze sulle gambe di Evee: «Il mio tempo è finito…il mio compito è finito, ma per voi no…dovete andare, Dylan è in pericolo, c’è ancora un traditore…al castello, non lasciate che distrugga questo regno…Eveleen…grazie per essere sopravvissuta». Sorrise appena cercando di fermare le lacrime: «Fa buon viaggio, Luke, porta i miei saluti e il mio affetto a Corine e a tutti gli altri, dì loro di guardarmi, ridarò vita al nostro feudo e che li...vi, porterò sempre nel mio cuore». Luke sorrise felice di quelle parole abbandonando la resistenza sotto gli occhi lucidi, sofferenti e felici di Evee: «Grazie per tutto quel che hai fatto per me, Luke, grazie davvero». Adren rimase in silenzio qualche istante prima di aggirare il corpo del ragazzo e stringere Evee: «Verremo a riprenderlo, ma dobbiamo andare, il regno è in pericolo».
 

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Capitolo 8
*** Nemici Svelati ***


Adren aveva cavalcato veloce per tornare al castello, Evee era rimasta in silenzio ad elaborare il lutto stringendo le redini del cavallo, cancellava le lacrime che ancora scendevano cercando di farsi forza e guardare avanti, verso quel che la aspettava. Adren fermò il cavallo scendendo per primo e aiutando Evee a riprendere la battaglia per terminarla definitivamente. Avanzarono nel castello silenziosi, abbassare la guardia poteva essere per loro la disfatta, nella stanza, dove li aveva lasciati, non c’era nessuno. Dylan stava spiegando l’intera situazione a tutti i Ministri ancora riuniti, dopo aver lasciato a Belle la sicurezza di Leanne. Adren avanzò veloce stringendo l’elsa della spada: «Adren, qualcosa non va?». Si guardava continuamente intorno come se aspettasse che qualcuno corresse ad attaccarlo: «Il castello è troppo tranquillo per la situazione in cui ci troviamo, Dylan dovrebbe aver ordinato alle guardie di pattugliare, ma da quando siamo entrati non ho visto nessuno». Evee si strinse nelle spalle preoccupata.

Dylan stava notando la stessa cosa dalla parte opposta del castello, non c’erano guardie su cui potesse fare affidamento: «Non ci sono». Adren lo raggiunse a grandi passi per coprirsi le spalle a vicenda: «L’ho notato, Leanne?». Dylan strinse l’impugnatura perlustrando con lo sguardo la zona: «È al sicuro con Belle, per ora». Il suono di una lama liberata dal suo custode li fece voltare: «Principe Adren, è la vostra ora». Evee sussultò indietreggiando quando lo sguardo dell’uomo magro, nella piena fase di età adulta, la squadrò malamente: «Ministro Braiden, devo presumere che sia mio nemico». L’uomo scattò in avanti eludendo la difesa del Principe con sorpresa dei due presenti. Evee strinse i denti al graffio tinto di rosso sul viso del Principe, con una scivolata costrinse l’uomo a cadere a terra, afferrò Adren per il polso correndo verso il giardino, Dylan la seguì senza chiedere spiegazioni, aveva capito perché stavano battendo in ritirata. Evee continuò a correre fino a nascondersi in una struttura, che i soldati non usavano più per gli allenamenti, una rovina del castello di tre generazioni prima: «Perché siamo corsi via, adesso…». Evee lo bloccò al muro stupendo Dylan, il suo corpo stava tentando di bloccarlo seduto a terra: «Rifletti Adren, sapevamo che uno dei Ministri era un traditore, ti ha studiato per anni, conosce il tuo modo di pensare, di agire, di attaccare, di difendere, ti ha studiato così attentamente e con tanta costanza, se lo affronterai con leggerezza, ti ucciderà». Adren sospirò contando su Dylan per assicurarsi l’assenza del nemico: «Se conosce tutto di me, come farò a vincerlo?». Evee accarezzò la spada sguainata: «Dovrai evolvere, siamo esseri umani è nella nostra natura cambiare, cambia prospettiva, cambia modo di pensare, cambia modo di agire, cambia senza cambiare, muta senza mutare, evolvi consapevole di quel che guadagnerai, sarai presto un Re, per il tuo regno non ti sarà consentito perdere». Dylan sorrise ammirato da quelle parole di incoraggiamento: «Prima devo informarvi di alcune cose». Voltarono entrambi lo sguardo su Dylan in attesa delle novità: «C’è ben altro sotto alla guerra tra il feudo di Cora e quello di Simac, non è scoppiata per lo scambio delle duchesse, era progettata per eliminare Evee». La ragazza sgranò gli occhi guardando l’ombra di Corine nella sua mente: «Spiegati». Dylan osservò di nuovo la strada ancora libera: «Lady Leanne non conosceva la tua identità, non sapeva fossi una Duchessa e men che meno sapeva che fossi la precedente consorte di mio fratello, le è stato detto che ti eri invaghita del Principe e che stavi cercando di sedurlo, l’informazione le è stata passata da suo padre». Adren sussultò sorpreso dall’evoluzione degli eventi: «Suo padre? Perché le avrebbe detto una cosa simile?». Dylan sospirò preparando la spada allo scontro: «Sospetto che il motivo fosse allontanare Evee e metterla in una posizione scomoda, Lady Leanne ha confessato di avere lontani legami con il feudo di Simac, anche se sono poche le informazioni in nostro possesso, credo che la guerra sia stata una copertura per l’assassinio della vostra consorte, così da permettere a Lady Leanne di prenderne il posto, se prima di prendere la corona voi foste morto ed io in gravi condizioni, a Lady Leanne interdetta al trono per linea diretta, la gestione del regno, in attesa della sua incoronazione, sarebbe passata a suo padre di diritto». Adren si strinse nelle spalle preoccupato: «Progettano un colpo di stato da quasi quindici anni, questo stai ipotizzando?». Dylan accennò tristemente ad un si: «Non potevano agire prima che voi foste prossimo alla corona, ma avevano bisogno di una consorte da sfruttare per salire al trono, Lady Leanne era all’oscuro di tutto, e il ballo…». Adren prese parola sistemando i pezzi di quel puzzle ormai completo: «Era un diversivo per permettergli di entrare a corte e di gestire il regno in nostra mancanza, significa che adesso sta per fare la sua entrata trionfale dichiarando la nostra morte, Dylan devi impedirglielo». Il ragazzo sussultò sorpreso dell’ordine: «Con tutto il rispetto, se il Ministro vi ha studiato, sarebbe logico lasciare che sia io a vincerlo». Evee strinse la spalla di Adren abbassandosi ai passi in avvicinamento: «No, Dylan, devi fermare il Marchese prima che possa fare qualcosa di crudele, è vero che il Ministro ha studiato tutto di Adren ma a variare i suoi attacchi ci sarò io, sarò la sua evoluzione, il suo mutamento, solo così potremo avere una speranza». Dylan si arrese al fuoco nei suoi occhi e corse allo scoperto per raggiungere il castello, deviando il colpo del Ministro in sua attesa, a coprirgli le spalle Adren non ci pensò due volte. Evee corse dalla parte opposta nel vento silenzioso della natura.

Adren allontanò la lama brandendo la spada a due mani, l’uomo sorrise affascinato: «Venite». Evee non aveva torto, l’uomo riusciva ad eludere la sua difesa e ad anticipare i suoi attacchi e lo schema di pensiero, finché riuscì a disarmarlo e a bloccarlo a terra con la lama pronta a trafiggere. Adren sorrise divertito dall’idea fuori dal comune, rotolò di fianco quando l’uomo alzò lo sguardo per controllare cosa lo stava braccando dall’alto. Evee saltò giù disarmandolo, stringendo le gambe intorno al collo per capovolgerlo a terra. Stordito dalla presa e dallo schianto, l’uomo estrasse una spada corta ferendole la spalla. Evee si trasse indietro mentre Adren alle sue spalle,  recuperata l’arma, lo aveva affondato senza rimpianti. Gli occhi femminili erano stati coperti dalla mano calda, le avevano impedito di guardare la terribile scena a cui Adren era invece abituato. Lasciò la spada allontanando Evee all’uomo che barcollava risucchiato dalla morte: «Non pensavo che bastasse così poco». Adren sorrise stringendola: «Con il Marchese non sarà altrettanto facile». La voltò verso di se allontanandola dall’uomo riverso a terra, tolse il mantello appoggiandoglielo sulle spalle, ormai lo splendido abito che l’aveva accarezzata era ridotto uno straccio, con un fazzoletto strinse la ferita per fermare il sangue: «Devo andare». Evee lo fermò accarezzandogli la guancia di nuovo rigata dal rosso: «Adren, non morire». Il ragazzo le strinse la mano, stampandole un bacio: «Tornerò a prenderti». Riprese la spada decolorandola dalla morte, dirigendosi verso il castello ad aiutare Dylan in difficoltà, quasi vinto dalla lama del Marchese.

Apparve dal nulla allontanando l’uomo un colpo dopo l’altro: «Il vostro piano è stato sventato, Marchese, date la resa e sarò magnanimo, riprendete l’arma e quel che vi attenderà, sarà solo la morte». Dylan si rialzò stringendo il fianco dolorante ai colpi subiti, si trasse indietro lasciando che il fratello combattesse per la vita del regno. Adren era abile con la spada e il Marchese riusciva a stento a reggere il confronto, lo maledisse, un affondo mancato dopo l’altro. Adren sbalzò indietro allungando la mano libera verso Dylan, che all’istante gli cedette la spada per terminare quella battaglia durata quasi quindici anni. Una lama colpiva, una difendeva, e un graffio diventava una ferita, la ferita diventava una profonda lacerazione, finché il colpo finale lo affondò al centro del petto: «Avreste dovuto dare la resa, se lo aveste fatto, non avrei dovuto presentarmi a Leanne con le mani sporche del vostro sangue». L’uomo tossì la resa, ma sorrise di sfida: «Avete perso la cosa a voi più importante prima di Leanne, è sufficiente». Adren sorrise vittorioso sfilando la lama: «Per vostra sfortuna, sono l’unico capace di distinguere gli occhi delle due gemelle». Lo sguardo si spense nella comprensione di quella verità che aveva ingannato tutti. Non era stato presente alla riunione dei Ministri, non poteva sapere che quella che credeva Corine fosse invece Eveleen, ma quando comprese lo scambio era ormai inerme, a tingere del suo tradimento, il pavimento della stanza.

Evee strinse la ferita tornando a passi lenti verso il castello, Adren non avrebbe perso, e quella battaglia segnava il suo limite di tempo. Senza rientrare a prendere fiato si diresse verso il cancello incustodito, fermandosi a guardare Leanne a bloccarle la via. Belle corse verso di lei stringendola in un abbraccio: “«Sono grata che tu stia bene, sanguini, aspetta, torno subito». Si allontanò per prendere delle bende lasciando sole le due ragazze, incosciente di cosa fossero: «Sono mortificata, ero all’oscuro di tutto, sono stata usata a mia insaputa, perdonatemi». Evee sorrise appena: «Non sentitevi colpevole Lady Leanne, non potevate sapere cosa vostro padre avesse in mente, adesso è finita, è finita anche per me». La ragazza strinse in un sussulto la mano al petto: «Non volete restare?». Evee negò stringendo il mantello sulle spalle: «Sono stata una Duchessa in passato, ma il mio feudo non esiste più, non ho dote, non ho tesori, non ho titolo, non ho prestigio da poter donare al Principe Adren, al mio contrario voi avete tutto e non sarete imputata responsabile per le azioni del Marchese, è tempo per me di svanire, infondo io non esisto da tempo ormai». Leanne abbassò lo sguardo cercando le parole per fermala, inutilmente: «Lasciate solo che vi faccia una richiesta». Attese la richiesta, osservando stupita le lacrime che le stavano rigando il volto: «Prendetevi cura del Principe, siate per lui una moglie affidabile e amorevole, fate tutto il necessario per renderlo felice». Avanzò sicura senza voltarsi a guardare la ragazza sorpresa dalla richiesta: «Potrete non avere nulla di quel che io possiedo, ma avete qualcosa a cui non potrò mai ambire, avete il suo cuore, non potrò rendere felice una persona che vive d’amore per un’altra». Evee non si fermò alla verità che era riuscita a scorgere: «Non ho bisogno d’altro, sarò per lui solo un problema, lo affido a voi».

Adren e Dylan avevano spiegato tutto quel che nessuno ancora aveva capito: «Andate, ci penso io». Adren voleva correre da Evee, lo pervadeva la sensazione che sarebbe finita solo quando l’avrebbe stretta a se, cercò nel giardino inutilmente, ritrovandosi davanti ai cancelli di nuovo sorvegliati, Leanne era li vicino con lo sguardo oscurato, Belle stringeva le bende guardando l’orizzonte: «Leanne, state bene?». Accennò ad un si consapevole che la stava cercando: «Avete incontrato Evee?». Fece un altro cenno positivo stringendo al petto il secondo fermaglio, unica cosa lasciata alle sue spalle: «Mi ha detto che per lei era tempo di svanire». Adren sussultò indietreggiando guardando il cancello: «Principe Adren, vi devo le mie scuse, ho ignorato i segnali che vedevo negli occhi di mio padre, il regno ha rischiato per colpa sua ed io non posso dirmi degna di diventare la vostra Regina». Adren non tentò di dissuaderla, voleva una sola Regina al suo fianco, Belle strinse le bende al petto incredula: «Non tornerà…».

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Capitolo 9
*** Futuro Radioso ***


Adren stava osservando il corpo del ragazzo inerme da pochi istanti, recuperato insieme a quello dei soldati periti nell’attacco di alcuni giorni prima e improvvisamente il viso tornò a galla nei suoi ricordi: «Ma certo». Uscì dalla stanza stupendo Dylan: «Prepara il mio cavallo, farò un viaggio». Dylan sussultò sorpreso, quasi credette che Luke uscisse dalla stanza scherzando sulla sua morte: «Dove andrete?». Adren strinse la spada speranzoso: «Dov’era situato il feudo di Cora, è il luogo della morte di Corine, Luke era la loro guardia del corpo, non sono mai riuscito a vederlo in volto per poterlo riconoscere, arriverò in due giorni, spero di trovarla ancora lì».

Evee era seduta sull’erba davanti all’albero di quercia che faceva ombra al sole, stringeva tra le mani un pugnale e osservava le due pietre, dove aveva scritto i due nomi di chi era stato importante per lei e l’aveva lasciata: «Speravo di svanire prima che potessi raggiungermi». Adren scese dal cavallo legando le briglie ad un ramo per ascoltare quel che sembrava voler dire: «Era la vostra guardia del corpo, a stento lo vidi quel giorno». Evee strinse il pugnale sorridendo tristemente: «Era particolare, siamo state a lui affidate quando compimmo quattro anni, aveva sempre quell’espressione seria e impassibile sul volto, ci seguiva come un’ombra come se il pericolo si nascondesse tra i fili d’erba, non amava la spada, per lui era troppo pesante da portare e occupava spazio nell’equipaggiamento, per questo portava con sé solo pugnali». Adren si avvicinò di qualche passo ma rimase distante: «È il pugnale che hai usato per attaccarmi». Evee accennò ad un si accarezzandolo la lama: «Non mi apparteneva, fu un’idea di Corine regalarglielo e usarlo come uno scambio di fiducia, non le piaceva essere osservata da tanto lontano, chiamò il pugnale Saya, Luke lo accettò a condizione che quando avessimo urlato quel nome sarebbe accorso istantaneamente a proteggerci, funzionò con Lord troppo invasivi ma Corine cominciò ad usarlo come un richiamo per farlo partecipare ai nostri picnic, alle nostre fughe dal palazzo, alle lezioni di scherma o al tè che prendevamo sulla balconata della nostra camera. Luke veniva sempre anche quando sapeva che non eravamo in pericolo, era come un permesso per entrare a far parte della nostra vita. Era fin troppo permissivo con lei, sospettai subito che ci fosse di più ma Luke lo negò costantemente, certi sentimenti non si riescono facilmente a nascondere, Corine invece sapeva riconoscere quello che il suo cuore provava, voleva fin da subito scambiare i nostri matrimoni. Nella mia famiglia non erano tutti d’accordo sull’entrare nella famiglia reale, Corine era di questo parere per lei un feudo era sufficiente per la felicità, anche io la pensavo allo stesso modo e fin da subito le dissi che poteva fare quel che voleva, se fosse servito a renderla felice, il suo piano era quello di arrivare a corte, chiedere un titolo per Luke e rifiutare la proposta per sposare lui. Ero d’accordo, insieme li ho visti ridere e guardare al futuro, poi incontrai un ragazzo fuori luogo nella mia corsa in città, stavo scappando da Luke, non volevo che vedesse dove prendevo i dolcetti di marzapane, io e Corine amavamo quei dolcetti, non li abbiamo mai ceduti a nessuno, li andavamo a prendere perché non volevamo dividerli con altri, finché quel giorno ne cedetti uno ad un’affascinante ragazzo che guardava le case e le locande come se non ne avesse mai viste. Pensai a lui tutto il giorno chiedendomi se lo avrei rivisto, se fosse lui il mio amore, se un giorno lo avrei trovato anche io, sognavo. Mai mi sarei immaginata di ritrovarlo nel Principe che avrebbe dovuto sposarmi, ancor meno mi aspettavo che riuscisse a trovare l’unica differenza tra me e Corine».

Adren sorrise sussurrando la differenza che aveva scorto all’istante: «Gli occhi, i tuoi sono scuri come l’ossidiana, quelli di Corine erano lievemente più chiari». Evee accennò una risata ancora sorpresa che avesse notato la differenza: «Uno dei pochi capace di guardarmi negli occhi e trovare la differenza, l’unico che non mi avrebbe mai scambiata con Corine, non ci sarebbe stato modo di ingannarti ma diedi la mia approvazione allo scambio, infondo non sapevo chi tu fossi, non ti conoscevo, non volevo rovinare il sogno di Corine con il mio egoismo, per una persona che forse non sarebbe stata quella giusta. Quando finirono di cucire i vestiti per le nostre ufficiali presentazioni, Corine indossò il mio ed io il suo, ma guardandomi allo specchio sorridente, scoppiai in lacrime, piansi perché sapevo che non sarei stata felice, perché al mio fianco avevo visto una sola persona, piansi per Corine, per paura che mi avrebbe odiato, piansi per Luke volevo che fosse felice, piansi per te volevo amarti, fu in quel momento che irruppero a palazzo e scambiarono Corine per me, vidi appena di sfuggita la scena di lei stesa a terra e il vestito che stavo indossando pochi minuti prima, tinto di rosso. Luke mi allontanò dalle scale imponendomi di fingermi Corine, elaborare il mio lutto prima di decidere cosa fare della mia vita. In quei due anni imprigionata, mi fu difficile accettare che era morta, che erano tutti morti e che io ero ancora li, piansi di notte in notte e Luke rimase in silenzio, non si mostrò mai debole. Poi un giorno qualcuno entrò chiedendomi se volevo vivere o se preferivo raggiungere mia sorella. Luke scelse per me la vita e poi mi disse che sarebbe rimasto al mio fianco fino a che non mi avrebbe saputa al sicuro, mi disse che Corine aveva capito che mi ero innamorata e che stava per ritirare l’intero piano, mi disse che se volevo vivere e rinascere avrei dovuto afferrare questo pugnale e usarlo per tagliare le corde che mi avrebbero per tempo legata. Alla fine scelsi la vendetta e Saya divenne il mio nome di copertura, per ricordare ad entrambi che li eravamo in pericolo. Sospettavo che fosse stata Corine a dirgli di proteggermi, Luke non l’ha mai tradita ed è giusto che adesso che non sono più loro stiano insieme, il compito di questo pugnale è terminato quando Luke ha perso la vita».

Scavò con le mani nell’erba al di sotto della pietra depositando il pugnale avvolto in un panno, ricoprendolo di terra restando in silenzio a ringraziare entrambi. Adren rimase in silenzio con lei, Evee si alzò togliendo la polvere di terra dalla gonna alzando lo sguardo all’albero: «Volevo svanire, ma adesso che Luke non c’è più non so a cosa serva svanire, adesso che è finita non so che farmene di quella che sono». Adren si avvicinò abbracciandola da dietro: «Non sei rimasta sola Evee, Belle aspetta il tuo ritorno ogni giorno, e il mio cuore soffrirebbe alla tua assenza». Evee accennò ad un no singhiozzando: «Adren, sono stata una Duchessa in passato ma ora non ho nulla, nulla da poter dare a te o al regno, Leanne è più adatta, non saresti dovuto venire, io non esisto». Adren la voltò verso di sé asciugando le lacrime: «Evee tu esisti ancora, esisti in tutti i cuori che hai sfiorato, e c’è ancora speranza, Leanne ha rinunciato al suo ruolo al mio fianco, lo ha fatto a tuo favore, ha deciso di proteggere il regno sedendo al tavolo con i Ministri e non sul trono, Dylan si è adoperato per rivelare a tutti quanto le tue informazioni siano state utili per arrestare persone malvagie e fermare quei banditi fuggiti, dici di non avere nulla, di non potere nulla, ma nelle vesti di una cameriera tu hai protetto questo regno come una Regina, la corte è salva, Dylan e Belle sono salvi, io sono salvo, tutto grazie a te, non c’è nessun altro che il trono riconoscerebbe adatto, Evee tu appartieni a questo regno e se diventerai la mia Regina, il feudo di Cora continuerà a vivere, è la volontà che Luke e Corine ti hanno lasciato, stanno aspettando tutti il tuo ritorno».

Evee rimase senza parole a guardarlo con gli occhi lucidi e vividi di stupore: «Ma non ho un titolo, non ho prestigio, sono al pari di qualsiasi altra ragazza». Adren negò stringendo la sua mano sul suo petto: «No, Evee, tu sei unica, e per il titolo, Leanne ha voluto farti dono del tuo titolo di Duchessa, i Ministri non si sono opposti, hanno ritenuto opportuna una ricompensa per aver salvaguardato il regno dalle ombre, puoi avere tutto e di più, perciò Evee…». Si allontanò di un passo per indicare il cavallo: «Torna indietro con me, accetta di sedere al mio fianco sul trono che già ti riconosce». Evee deviò lo sguardo incerta, il sole era prossimo al tramonto e si strinse nelle spalle infreddolita, Adren comprese il suo turbamento e deciso di non forzarla: «Troviamo una locanda dove passare la notte». Lasciò che le stringesse la mano mentre proseguivano verso la città più vicina, legò il cavallo nella stalla entrando a chiedere una camera: «Perché è una camera doppia?». Adren sorrise divertito sistemando il borsone sulla sedia: «Perché non voglio lasciarti scappare, non questa volta». Era forse fin troppo evidente cosa volesse fare, rimase a guardarlo sistemare, le spalle, i fianchi, le gambe, il battito nel petto le colorò il viso al pensiero che l’aveva sfiorata. Era soli, un solo letto, amanti senza opportunità, eppure non riusciva a fermare lo sguardo, mordicchiava le labbra pensierosa, cosa avrebbe fatto quel ragazzo che era corso a raggiungerla: «Puoi dormire, non aspettarmi, scendo a parlare con il locandiere». Chiuse la porta e quell’adrenalina le lasciò una delusione dolorosa nell’anima, sospirò stendendosi sotto le coperte.

La stanza era al buio e nel silenzio notturno, il letto non era più vuoto, si voltò per assicurarsi che fosse davvero lì, le dava le spalle: «Perché sembra avermi deluso?». Sussurrò silenziosa avvicinando Adren per assaporarne il profumo, strinse la maglia modesta in confusione: «Perché è così difficile amarti? Perché non riesco a smettere di farlo?». Il movimento la impietrì, non aveva pensato che Adren potesse esser sveglio, si sollevò e senza esitazione le strinse le mani per bloccarla davanti a se: «Perché dovresti smettere? Non c’è altro che desidero, se non averti accanto, non rifiutarmi, non fingere di volerlo, perché so che vuoi restare, perché ti devi opporre se è quel che entrambi vogliamo?». Evee strinse le sue mani senza potersi sottrarre ai suoi occhi: «Ne ho paura…». Adren sorrise scendendo a baciarle la fronte e poi il collo: «Non devi, sarai al mio fianco e non dovrai mai più aver paura di nulla, di amare o di soffrire, perché ti regalerò il sorriso ogni giorni che passerà». Evee irrigidì le spalle al calore che stava scendendo sul petto: «Adren, ti voglio, non conosco modo per liberarmi dell’amore che ho per te, se potessi restare con te…se potessi davvero essere la tua Regina…io…». Non le lasciò finire la frase per baciarla finalmente, e prendere un bacio dopo l’altro come se fossero respiri, accarezzò la sua pelle come fosse una scultura di ceramica, impresse la sua voce in ogni movimento, mai mancò di perdersi nei suoi occhi e di ammirare ogni scintilla che riuscivano ad emanare. Evee riprese fiato osservando il viso sudato impresso nella sua mente e gli occhi così limpidi in cui si stava specchiando: «Eveleen, vorresti essere la mia consorte, per questa vita e per questo regno?». Evee strinse il cuscino lasciando andare le lacrime di gioia: «Solo se al posto dei fiori, mi regalerai dolcetti di marzapane». Adren scoppiò a ridere stringendo il suo corpo che lo riconosceva come la sua metà: «Avrai tutti i dolcetti di marzapane che desideri, la tua risposta?». Evee lo strinse respirando il profumo che avevano mescolato in quella notte fresca: «Si».

Dylan sorrise quando Adren la aiutò a scendere dal cavallo, Belle si precipitò ad abbracciarla e a rimproverarla per essere andata via, Leanne chinò il capo dirigendosi verso il consiglio che aspettava una risposta su chi avrebbe preso il posto accanto al Principe, prossimo all’incoronazione, c’era un futuro radioso ad aspettare quel regno. 

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