4.00 a.m- Di caffè ed improbabili incontri

di TheGhostOfYou0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Doveva essere una one shot, ma la cosa è degenerata
sono venute fuori troppe pagine e decisamente troppe parole -spero tutte ben spese -
quindi ho dovuto dividerla in due parti per rendere più agevole la lettura, 
pubblicherò presto la seconda parte. 
Questa è la prima volta che mi metto alla prova con una storia del genere, qualcosa che non sia malinconico, tagico e drammatico, quindi non so, spero di riuscire a strapparvi un sorriso senza scadere nel banale. 

Buona lettura

4.am- Di caffè ed improbabili incontri

Parte prima
 
Denver non era niente male come città.
Certo, a volte quando alzava gli occhi e trovava un grattacielo che torreggiava sopra la sua testa gli venivano i capogiri ed il suo cuore precipitava al solo pensiero di salire su uno di quei cosi, perché lui, che veniva da una cittadina piccola e sperduta da qualche parte in Arizona, non ci si era mai avvicinato tanto.
A Maze i palazzi più alti erano il centro commerciale e la casa dell’uomo ratto, –che tutti chiamavano così perché era brutto da mettere paura e somigliava in maniera incredibile ad un topo- nulla di più che cinque piani di palazzine. Eppure a Thomas non dispiaceva quella non-altezza. Il vuoto lo spaventava, anzi lo terrorizzava.
Teresa diceva che soffriva di vertigini, ma non era vero, era una cosa da ragazzine quella: semplicemente gli piaceva stare con i piedi ben piantati a terra.
 
Ovviamente il suo nuovo appartamento era un quindicesimo piano e in quei due mesi Thomas non s’era mai affacciato alla finestra.
Ma Denver non era niente male come città, grattacieli a parte. Più di ogni altra cosa gli piaceva il numero di chilometri che la separavano da Maze, novemilaseicentoquarantasei per essere precisi. Avrebbe potuto scegliere un’ università più vicina e prestigiosa di quella di Denver, ma la verità è che ogni chilometro di distanza da casa sua era un respiro in più per lui e novantaseimila respiri erano più che sufficienti.
Non era cattiveria la sua, solo non poteva rimanere lì, non ce la faceva.
 Aveva bisogno di ricominciare lontano da sua madre e dal suo nuovo compagno, per rifarsi una vita e permetterlo anche a lei.  Non avrebbe sopportato di vederla con un uomo che non fosse suo padre, anche se erano passati dieci anni dalla sua morte. Thomas lo sapeva, era un suo diritto innamorarsi ancora, eppure non riusciva a non odiare Jorge,  anche se sua madre con lui rideva, anche se dopo tanto tempo era finalmente felice.


Quindi se ne era andato,  perché non voleva odiare, perché voleva solo che sua madre stesse finalmente bene.  
 
Teresa l’aveva seguito a ruota, animata da un profondo desiderio di dare una svolta alla sua vita e soprattutto di rimanere al suo fianco.
Era la sua migliore amica da tempi immemori, forse qualcosa di più.
La verità è che Teresa sarebbe stata probabilmente la sua fidanzata e poi sua moglie e la madre dei suoi figli esattamente come i loro genitori avevano sempre sperato, se non fosse stato per un piccolo, insignificante, inconveniente: a Thomas le ragazze non erano mai piaciute.
Il che era stato un bene sotto una serie infinita di punti di vista, perché non aveva dovuto attraversare periodi di confusione, non c’era stato bisogno che facesse davvero coming-out e non aveva mai provato vergogna per ciò che era.
Era stato insultato, persino picchiato a volte, perché Maze era una città profondamente credente ed anche parecchio retrograda, ma non gli era mai interessato il giudizio altrui.
Thomas Edison viveva bene con se stesso e aveva Teresa al suo fianco, non c’era bisogno d’altro.
 
Quando rientrò a casa quella notte erano circa le due e Teresa era addormentata sul piccolo divano rosso, l’unica cosa sui cui fossero mai stati d’accordo riguardo l’arredamento.
La tv era ancora accesa e trasmetteva una maratona di film di Tarantino.
Nonostante se li avesse visti una dozzina di volte Teresa non perdeva mai un film di Tarantino, continuava a guardare a ripetizione persino quelli che, con aria annoiata, affermava non fossero “niente di che”.
Thomas avrebbe voluto dirle che in realtà nessuno l’aveva mai entusiasmato, ma non appena apriva bocca Teresa lo zittiva.
Lei sapeva sempre quello che stava per dire, a volte prima ancora che lui solo pensasse di farlo. Lo conosceva fin troppo bene, così tanto che Thomas ne era spaventato.
“Siamo telepatici Tom.”
Ed era vero.
 
Si avvicinò all’amica e la osservò con un sorriso appena accennato.
Non aveva molte conoscenze a Denver, ma lei bastava riempire tutti i vuoti del suo cuore, le era grato per essergli sempre rimasta accanto e cercava di dimostrarglielo come poteva. A volte però aveva la sensazione non bastasse, che lei meritasse di più.
Teresa era speciale, con lei non si sentiva mai davvero solo, mai triste o debole, neppure se era praticamente scappato via dalla sua famiglia e dalla sua vita ed ora si ritrovava a seguire corsi impossibili per realizzare il suo sogno ancor più impossibile, senza amici e senza neppure il tempo per trovarsi un lavoro.
A vent’anni era uno studente fuori sede, mantenuto, con palesi difficoltà di adattamento, ma andava bene. Tornava alla due di notte dall’ennesimo appuntamento fallimentare delle ultime settimane, ma c’era Teresa che dormiva sul divano, quindi era okay.
Però l’appuntamento aveva fatto davvero schifo.
Frypan era un caro ragazzo e quella era la terza volta che si vedevano, Fry aveva persino cucinato per lui - anche se poi non è che avessero mangiato molto, troppo presi da altro- ed il sesso non era neppure male, ma come sempre Thomas sentiva che mancava qualcosa.
E quel qualcosa era anche piuttosto fondamentale.
Non c’era interesse, semplicemente.
Il che era frustrante, perché Frypan non aveva nulla che non andasse.
Thomas a volte si sentiva schiacciato da quell’ apatia. Non provava interesse per qualcuno da tre anni ormai, da quando Jason Badburne, il suo primo bacio, la sua prima volta e niente di meno che il suo primo e unico amore, l’aveva lasciato per messaggio, perché un relazione a distanza non era proprio fattibile.
 
Oh, il fatto che Jason studiasse proprio a Denver era un dettaglio trascurabile, tanto che Thomas si era accidentalmente dimenticato di dirlo a Teresa quando avevano scelto l’università. Non credeva avrebbe mai avuto il coraggio di confessarglielo, quell’esperienza doveva essere il loro simbolico modo di rinascere insieme e tagliare i ponti con il passato, invece quel ponte c’era ancora ed era anche piuttosto forte.
Thomas continuava a guardarsi attorno ogni volta che usciva, sperando di vederlo anche solo per sapere com’era diventato,se portava i capelli lunghi, come se la cavava senza di lui e magari parlarci e magari dirglielo, che da tre anni non riusciva a provare nulla per nessuno ed aveva la vaga sensazione che fosse colpa sua.
 
O lo aveva traumatizzato a vita oppure semplicemente Thomas era ancora innamorato di lui.
Non era sicuro di voler sapere la risposta.
 
“Tom.” Mugolò Teresa,mezza addormentata.
“Ei Tess.” La salutò lui posandole un bacio sulla fronte. Lei non rispose, non aprì neppure gli occhi, così Thomas la prese tra le sue braccia e la sollevò dal divano come fosse una principessa. Barcollò leggermente, poi, non appena trovò l’equilibrio, si diresse verso la camera della ragazza e la stese sul letto lentamente, facendola affondare nelle coperte azzurre.
“Buonanotte.” Sussurrò, spostandole i capelli dal volto in un gesto affettuoso.
Lei, per tutta risposta, scacciò via la sua mano e arricciò il naso infastidita, poi borbottò qualcosa di incomprensibile.
Thomas rise, chiuse la porta alle sue spalle il più silenziosamente possibile e quando si sedette sul divano il telefono vibrò nella sua tasca. Alzò gli occhi al cielo e fece un respiro profondo prima di prenderlo.
Non aveva bisogno di leggere per sapere chi fosse, Fry aveva questa bellissima abitudine di scrivergli sempre subito dopo un’uscita.
-“Sono stato bene.”
Decise di non rispondere.
L’ennesimo fallimento era difficile da sopportare.
A volte Thomas pensava d’averlo smarrito, il cuore, e che magari se avesse incontrato Jason sarebbe tornato al suo posto e avrebbe potuto davvero ricominciare ad amare qualcuno.
Qualcuno che non fosse lui.
 
 
Erano le quattro, Thomas era ancora seduto sul divano con la tv accesa ed immagini che scorrevano davanti ai suoi occhi, confuse ed indistinguibili. Aveva gli occhi rossi, semichiusi, li sentiva pesanti e gonfi eppure non riusciva a dormire, anche se gli sembrava di poter crollare da un momento all’altro erano due ore che quel momento non arrivava. Gli ci volle tutto il coraggio del mondo ed una buona dose di masochismo per alzarsi dal divano, le sue gambe protestarono, essendo rimaste immobili per tutto quel tempo, ma non diede loro ascolto. La nottata era bella che andata ormai ed in quel caso c’era solo una cosa che poteva aiutarlo: un caffè, uno forte.
 
Mentre lo preparava guardò fuori e la sua attenzione venne attirata da un movimento, proprio dalla finestra di fronte.
C’era un’altra cosa che poco tollerava di Denver e questa era la vicinanza tra i palazzi, ma Thomas era un ragazzo curioso ed in quel caso non gli diede fastidio, perché si rese conto di avere un’ ottima opportunità di poter ficcanasare un po’ nelle vite altrui.
Socchiuse gli occhi, cercando di mettere meglio a fuoco la figura all’interno dell’appartamento. Non riusciva a distinguere molto di lui per il buio e la distanza, ma era chiaramente un ragazzo, un ragazzo incredibilmente magro che preparava la colazione alle quattro di mattina.
Uno che si svegliava a quella folle ora o che, come lui, non aveva dormito affatto.
Uno che aveva una vita proprio di fronte alla sua.
Inclinò il capo inconsciamente, proprio come faceva davanti ad un problema difficile, quando si concentrava particolarmente e non appena il ragazzo di avvicinò alla finestra riuscì a scorgere meglio i suoi lineamenti.
Il volto era piccolo, proporzionato alla sua esile figura.
Colse un riflesso biondo e ipotizzò fosse proprio quello il colore dei suoi capelli.
Biondo, esile, probabilmente carino.
Cercò di capire se potesse averlo già visto in giro, ma dopo poco scosse il capo. No, non aveva la più pallide idea di chi fosse.
Thomas non avrebbe saputo dire quanto fosse rimasto lì, immobile, a studiare lo sconosciuto, sentiva la macchinetta gorgogliare quasi con disperazione e ancora non si decideva a voltarsi. È che gli piaceva, immaginare la vita degli altri.
Quindi rimase lì, con quel rumore stridulo nelle orecchie, almeno finché non vide il ragazzo alzare il capo. Thomas ci mise un po’ a capire che guardava proprio nella sua direzione e che lui, con la luce accesa, era perfettamente visibile.
E che si, aveva appena fatto un’ enorme figuraccia.
 
Si allontanò rapidamente dalla finestra, in modo che lo sconosciuto non potesse vederlo meglio, ma ormai il danno era fatto.
Thomas era sicuro lo avesse colto in flagrante, avrebbe giurato di aver visto gli occhi dall’altro scintillare nel buio.
 
 
Fu un fatto totalmente casuale ritrovarsi giorni dopo, alle quattro e tre minuti, davanti alla stessa finestra.
Ancora una volta non riusciva a dormire, solo che adesso c’era Teresa a tenergli compagnia nella sua veglia notturna, con il libro di diritto penale aperto sulle gambee l’espressione concentrata. Thomas si chiese come fosse possibile riuscire a studiare davvero ad un orario così improbabile, ma si rese presto conto che non c’era nulla di cui stupirsi.
Teresa era testarda e determinata ed aveva avuto un diverbio tutt’altro che piccolo con il professore che avrebbe dovuto esaminarla solo due settimane più tardi, ciò significava per lei che avrebbe dovuto prendere una A.
“Devo vincere io.” Aveva detto.
Un voto che Thomas, al momento, sognava e che sarebbe rimasto un sogno per un bel po’. Perché se Teresa si sentiva giàpronta a dare il suo primo esame, per di più con un professore che poco la tollerava, Thomas aveva deciso di fingere che l’imminente sessione non esistesse.
Gli sarebbe piaciuto avere la stessa determinazione della sua amica, ma la verità è che non sapeva davvero cosa stesse facendo lì e che, da quando aveva lasciato Maze, s’era reso conto che la sua intelligenza fuori dal comune, a Denver, non era più così impressionante e che le sue proverbiali capacità informatiche non sarebbero bastate a garantirgli una carriera universitaria decente.
Poi c’erano tutti i suoi problemi di inserimento che non aiutavano e Jason, da qualche parte in città, a distrarlo.
In sintesi Thomas annegava nell’inutilità della sua esistenza, ma aveva Teresa accanto e questo gli permetteva di tenere la testa fuori dall’ acqua.
E con Teresa per lo meno fingeva di studiare anche lui, alle quattro di notte, con il libro posato sul tavolo.
Non aveva letto una riga.
“Vuoi un caffè?” Le chiese, stanco di starsene seduto a fissare le pagine che non erano altro se non un groviglio di parole sfocate.
“Oh si ti prego Tom, ti amerei.” Rispose lei, alzando finalmente la testa dopo ore. Aveva gli occhi cerchiati e l’aria distrutta, ma Thomas la conosceva abbastanza bene da sapere che sarebbe potuta andare avanti fino a mattina inoltrata.
E soprattutto che l’avrebbe fatto.
“Mi ami già.” Replicò, dirigendosi verso la cucina.
“Ma lo farei di più.” La sentì gridare.
 
Si avvicinò alla macchinetta del caffè e guardò distrattamente fuori dalla finestra, perché al di là della pessima figura fatta qualche notte prima curiosare rimaneva una della sue attività preferite, e ancora un volta lo vide, solo che quella mattina la luce della sua cucina era accesa così da rendere la figura nel buio un volto ed un corpo e due occhi che Thomas poteva scrutare perfettamente.
Ringraziò mentalmente il suo omonimo, Thomas Edison, per aver inventato la magia della luce artificiale e si fermò, con la bocca semiaperta. 
Poi si avvicinò di più al bordo della finestra senza neppure rendersene conto, perché dannazione, se avesse saputo di avere una creatura come quella a pochi metri di distanza la sua vita negli ultimi due mesi sarebbe stata sicuramente migliore.
Armeggiava con i fornelli e teneva lo sguardo su essi, per questo Thomas si concesse un’occhiata più lunga e discutibile delle precedenti, cercando di cogliere quanto più possibile di lui.
Quel tipo non era solo bello, aveva qualcosa di ipnotico nei movimenti fluidi, sicuri eppure aggraziati, qualcosa che costringeva Thomas a fissarlo.
  Come aveva dedotto qualche sera prima era esile, eppure ora che lo vedeva a petto nudo riusciva ad apprezzare il fisico asciutto ma allenato ed il guizzare dei muscoli delle braccia che si gonfiavano a seconda dei suoi movimenti non era passato inosservato a Thomas. I suoi capelli erano biondi e folti ed il profilo era  delicato, dai lineamenti quasi femminei. Ogni cosa in lui sembrava incastrarsi perfettamente, come fosse un dipinto.
Continuò ad ammirarlo, estasiato. I pantaloni erano abbassati abbastanza da far intravedere l’elastico dei suoi boxer e la V che delineava l’inizio dell’inguine, un piccolo dettaglio che lo fece letteralmente impazzire. Si sentì avvampare, come un ragazzino in preda agli ormoni, allora scosse il capo per cacciare via quei pensieri dalla sua mente.
Non era un bambino e non voleva fare altre figuracce, né passare per il guardone di turno o tantomeno per un ficcanaso.
Anche era entrambe le cose in quel momento.
 
Riprese a preparare il caffè, cercando di non distrarsi dal proprio compito. Caffè.
Solo caffè.
Non guardare il vicino figo Thomas. Ripeteva, come fosse un mantra.
Non guardare il vicino figo.
Non guardare.
Non…
E ovviamente Thomas, che non aveva forza di volontà e neppur la volontà stessa di farlo,  decise che una sbirciatina –rapida, anzi rapidissima-  la poteva pure dare perché infondo, chissà quando gli sarebbe ricapitato di vederlo.
Un sbirciatina non avrebbe portato nessuna conseguenza, lo sconosciuto della finestra di fronte non se ne sarebbe accorto e Thomas avrebbe appagato il suo desidero e tutto sarebbe andato bene.
Non era neppure una cattiva idea la sua, se non fosse stato che Thomas si voltò completamente, ruotando su se stesso di centoottanta gradi e rimase impietrito, con un’espressione sicuramente poco furba stampata in faccia, quando si trovò gli occhi del ragazzo puntati addosso.
Beccato, di nuovo.
Thomas era sul punto di sotterrarsi, con le guance che sembravano andare a fuoco per l’imbarazzo, quando notò un mutamento nell’espressione dell’altro e vi lesse lo stesso, identico imbarazzo che stava provando lui in quel momento e allora capì che questa volta non era lui ad essere stato colto sul fatto.
Il ragazzo lo stava già guardando e chissà per quale motivo questa cosa lo esaltava terribilmente.
 
 “Ti vuoi sbrigare Tom?” Lo rimproverò Teresa dal salone.
“Si si un attimo.”  
Lanciò un ultimo sguardo allo sconosciuto, ancora impietrito, prima di raggiungere la sua amica nella stanza accanto.
 
“Perché sorridi così?” Domandò Teresa, mentre afferrava la tazza fumante dalle sue mani.
“Non sto affatto sorridendo.”
Thomas prese posto accanto a lei e velocemente affondò il volto nella propria tazza, cercando di nascondere quanto più possibile la sua espressione alla ragazza.
Lei avrebbe capito e lo avrebbe costretto a raccontate.
E non c’era nulla da raccontare.
E lui non stava sorridendo.  
“Oh no, certo. Sembri pure parecchio scemo lasciatelo dire.”
A quel puntò quasi si strozzò con il caffè bollente che aveva mandato giù come fosse acqua, bruciandosi ovviamente la lingua, e pregò con tutto il cuore di non aver dato la stessa impressione a quel ragazzo.
Guardone e pure scemo, bel colpo Thomas.
 
  •  
Teresa tornò a casa trionfante quel giorno, lasciò cadere a terra il giacchetto con noncuranza e alzò le braccia al cielo gridando.
Thomas sbucò dalla propria camera in boxer, stropicciando gli occhi e sbadigliando.
“Tu non stavi studiando?” Domandò lei accigliandosi, poi fece un gesto con la mano. “No, non mi interessa, lasciamo stare Tom. Sono troppo contenta per pensare al mio amico nullafacente.”
“Grazie.”Mugugnò lui, ancora assonnato.
“Ti porto a cena fuori stasera.” Annunciò Teresa, con un sorriso che la diceva lunga stampato in volto, Thomas capì immediatamente e aprì le braccia per accoglierla.
Lei non se lo fece ripetere e gli saltò addosso aggrappandosi alle sue spalle.
“Quanto?”Chiese lui.
“A, una A. Alla faccia sua.”
 
La notte prima Teresa non aveva chiuso occhio e Thomas le aveva stretto la mano e tenuto compagnia durante tutte le sue crisi isteriche, continuandole a ripetere che sapeva tutto ed era assolutamente impossibile la bocciassero.
Era convinto di quel che diceva, Teresa aveva studiato duramente per superare quell’esame, il suo era un voto più che meritato.
Ed in cuor suo Thomas si sentì un po’ geloso, perché avrebbe dovuto dare anche lui un esame di lì a poco e non era affatto preparato, non era preparato neppure per iniziare a studiare, non sapeva dove mettere le mani e sentiva il peso delle sue scelte crollargli addosso come un muro di mattoni particolarmente grossi e pesanti. Ovviamente a sua madre raccontava che andava tutto bene, che la vita a Denver era magnifica, che aveva tanti amici e frequentava un ragazzo e “magari te lo porto al Ringraziamento”, ma non aveva nessuno da portare, era tutta una menzogna. Aveva definitivamente scaricato Frypan, continuava a cercare Jason ovunque andasse e da due settimane e qualcosa di più si svegliava ogni giorno alle quattro del mattino solo per spiare un ragazzo che neppure conosceva e sognare scene irrealizzabili come un adolescente alla prima cotta.
Non sapeva neppure perché, non gli era mai capitato prima.
Era patetico e tremendamente vuoto, persino Teresa aveva cominciato a non tollerare il suo continuo commiserarsi e questo era assurdo, perché Teresa lo aveva sopportato persino quando Jason lo aveva lasciato e tutto quello che riusciva a fare era inondare il letto di lei di lacrime e farfugliare frasi sconnesse.
Eppure non lo sopportava ora, che giocava a fare la ragazzina innamorata, come diceva lei, e non aveva neppure il coraggio di salutarlo il guardone della finestra accanto e le raccontava ogni sguardo, ogni movimento, ogni cosa come le avrebbe potuto raccontare la migliore scopata della sua vita.
Ma non erano niente, quegli sguardi e quei gesti, solo curiosità, attrazione fisica al massimo.
Non erano niente.
 
“Ti prego Tom, fattelo almeno tutto questo finirà.” Lo aveva supplicato più di una volta, ma la verità è che Thomas non lo sapeva se sarebbe finito, che in cuor suo s’era fatto un’idea di lui, che in cuor suo non voleva solo farselo, che gli piaceva tenerlo a distanza perché finché era solo un tipo bello come un quadro, lontano metri da lui, non poteva ferirlo, non poteva deluderlo, poteva essere esattamente ciò che Thomas voleva.
Ma non lo disse mai a Teresa.
 
“Bravissima Tess.” Sussurrò posandole un bacio tra i capelli. “E cena sia.”
 
Il locale che aveva scelto Teresa non era affatto lontano, due strade più avanti.
Ci arrivarono a piedi, camminando sottobraccio come una coppia, un po’ perché Teresa continuava a barcollare sui tacchi nuovi, un po’ perché Thomas non sopportava gli sguardi che i ragazzi le lanciavano e aveva bisogno di marchiare il territorio.
Teresa era come una sorella per lui, era la sua perfetta metà e ne era geloso, tremendamente geloso.
“Smettila di fulminare chiunque mi guardi Tom, altrimenti rimarrò single a vita.”
Lo rimproverò lei, rigirandosi tra le dita la collana che portava ed ammiccando a Gally, l’inquilino del piano superiore.
“Ciao Tess.” La salutò, mente usciva dalla caffetteria sotto casa.
“Ciao Gally” Rispose Thomas, sollevando le labbra in un espressione tirata ed irritata.
Quando ripresero a camminare si rivolse a Teresa, improvvisamente serio.
“ Tu devi trovarti un bravo ragazzo, non uno che ti guarda così. Vede solo le tue gambe e le tue tette, a proposito, questo vestito non mi piace. Troppo scollato.”
Teresa rise, facendolo incupire ancora di più.
Gli dava fastidio che non lo prendesse sul serio, per lui era importante,Teresa non immaginava le idee che potevano passare per la mente di un ragazzo quando si trovava di fronte a lei.
A dire il vero neanche lui per ovvi motivi, però le poteva intuire e non gli piacevano per niente.
“Ti devo ricordare che anche tu guardi così una certa persona, ma non per questo sei un cattivo ragazzo.” Incalzò lei.
“È diverso.”
“Giusto, tu sei tipo il suo stalker.”
Thomas abbassò lo sguardo, consapevole che da fuori doveva apparire folle.
“Io preparo solo il caffè e poi…”
E mentre entravano nel locale evitò di ribadire ancora che c’era qualcosa di più, che anche l’altro ragazzo era sempre lì alle quattro in punto, che si guardavano, immobili, tenevano gli occhi puntati l’uno sull’altro per secondi interminabili, che era una specie di appuntamento il loro ormai, che era un’abitudine piacevole e l’unica cosa che gli facesse venire voglia di alzarsi la mattina e che, l’ultima volta, lo sconosciuto gli aveva persino sorriso.
 
Si sedettero al tavolo vicino alla finestra, dove Thomas poteva osservare i passanti distrattamente mentre Teresa gli raccontava delle domande improbabili che il professore le aveva posto e alle quali aveva risposto brillantemente.
Thomas afferrò il menù ed iniziò a sfogliarlo concentrato, cercando disperatamente di superare l’indecisione che lo assaliva ogni volta che doveva scegliere quale pizza ordinare.
“Buonasera signori, siete pronti?”
“Io si, lui non credo. È un po’ lento.” Rispose ridendo Teresa.
“Non è vero, sono pronto.” Disse Thomas, alzando lo sguardo.
Grande, grandissimo errore.
Fu improvvisamente pervaso da un forte desiderio di scappare, perché un paio di occhi scuri lo fissavano, cupi, velati di qualcosa che Thomas non riusciva a riconoscere, ma non aveva nulla a che vedere con la sorpresa da cui invece lui era stato sopraffatto.
Somigliava di più all’irritazione, fastidio, nervosismo.
“Per me una Margherita.” Intervenne Teresa, cercando di attirare l’attenzione del cameriere, ma lui non la degnava di uno sguardo, concentrava la sua attenzione su Thomas come in quella stanza ci fossero solo loro e questo fece sentire Teresa tremendamente a disagio.
 
Thomas lo guardava a bocca aperta, con le guance colorite d’imbarazzo ed un espressione inebetita in faccia.
“Ehm ho detto per me una Margherita.” Ripeté Teresa, cercando di esser il più cordiale possibile.
“Oh si e per lei?” Domandò il cameriere rivolgendosi a Thomas e scrivendo l’ordinazione con più forza e lentezza del dovuto, come stesse in qualche modo trafiggendo il suo povero taccuino.
“Lo..lo stesso.” Balbettò lui, senza riuscire più a guardarlo.
 
 
“Mi spieghi che cosa è appena successo Tom? Vi conoscete?” Chiese Teresa, allungando il braccio sul tavolo così da stringere quello dell’amico, che, paonazzo e confuso continuava a fissare il punto in cui era sparito il cameriere.
“Era lui Tess. Cazzo.”Sussurrò.
“Lui chi?”
“Il mio ragazzo del caffè.”
Lei sorrise e trattenne un urletto di felicità, perché Tom era davvero troppo ossessionato da quel ragazzo.
“È proprio una grande giornata.” Affermò versando l’acqua nei bicchieri di entrambi. “Dovremmo brindare.”
Lui alzò un sopracciglio, contrariato e divertito. “Con l’acqua? Fai sul serio? E poi non c’è proprio niente da festeggiare Tess. Hai visto la faccia che ha fatto quando mi ha visto, probabilmente mi ha preso davvero per uno stalker.”
Lei scosse il capo. “Magari era solo stupito.”
“Anche io lo ero, ma era diverso, sembrava arrabbiato.”
“Aspetta un secondo solo.”
Teresa si alzò velocemente dalla sua sedia e con aria disinvolta e attraversò la sala cercando di intercettare il cameriere, subito gli occhi di lui furono su di lei,a studiarla, soppesarla, giudicarla con uno sguardo che di buono aveva ben poco.
“Scusami sai dov’è il bagno?” Gli domandò, mentre Thomas dal posto tremava al solo vederli parlare.
“Infondo a sinistra.” Rispose a denti stretti lui, indicandoglielo.
 
“Cosa gli hai detto Tess?” La aggredì Thomas non appena tornò al suo posto.
“Oh niente di che, ho solo chiesto dov’era il bagno e ho capito qual è il problema.
Tom quel tipo non ti stacca gli occhi di dosso.”
“Sai lo fa da due settimane, questo lo so anche io” La interruppe lui.
“Lasciami finire dannazione e datti una calmata. Il tuo bello c’è solo rimasto male, sai, del fatto che tu abbia una ragazza.” Spiegò lei, con aria compiaciuta, scoprendo i denti bianchi.
“Ma io non ho una ragazza.” Replicò l’amico, trasformando il sorriso di Teresa in un espressione esasperata.
“E menomale che eri un genio Tom. Io e te, a cena fuori. Soli. Penserà che stiamo insieme e dopo tutti i film mentali che si sarà fatto il poverino ci sarà rimasto male.”
“Oh” Fu tutto ciò che Thomas riuscì a dire, perché lo sconosciuto si stava avvicinando con le loro pizze in mano, la mascella contratta in un espressione dura e gli occhi puntati nei suoi ed era bello, bello come non gli era mai apparso dalla finestra, bello e vicino e questo lo destabilizzava.
 “Sta uscendo Tom.” Teresa gli fece quasi cadere la pizza, scuotendo il suo braccio con forza ed indicando la porta verso cui il biondo si stava dirigendo a passi veloci, la sigaretta già tra le labbra fine pronta per essere accese. “Seguilo che aspetti.” Continuò lei, gli occhi azzurri sgranati in un’espressione che non lasciava spazio a repliche di alcun genere.
Thomas sospirò, alzandosi. “Cosa dovrei dirgli? Ei ciao vicino, è da un po’ che vorrei vederti nudo nel mio letto?”
“Inizia con una cosa soft Tom.” Rise lei e gli passò una sigaretta. “Chiedigli l’accendino.” Consigliò, ammiccando.
Thomas prese un respiro profondo,  perché non era per niente sicuro quello che stava per fare, perché le cose da lontano sono sempre migliori, aveva paura di rimanere deluso e che tutti i suoi castelli crollassero e non voleva, non voleva davvero.
“Dici che la tua vita fa schifo, migliorala invece di piangerti addosso” Aveva detto Teresa poco prima, addentando con ben poca grazia una fetta della sua pizza.
 
Non hai nulla da perdere, Thomas. Pensò.
Sogni, dignità e cuore ormai erano andati.
 
Lo trovò appoggiato contro il muro, con un braccio che circondava il torace ed il gomito su di esso, la sigaretta tra le dita e lo sguardo fisso, fermo, immobile sulle macchine che gli sfrecciavano davanti.
Non si scompose neppure quando Thomas, molto poco silenziosamente e quasi inciampando nei suoi stessi piedi, uscì dal locale.
Si voltò verso di lui, certo, eppure i suoi occhi lo attraversarono come fosse un fantasma.  
Thomas si diede dell’idiota almeno un paio di volte, prima di trovare l’equilibrio e la voce necessaria per porre allo sconosciuto la fatidica domanda.
“Hai da accendere?”
Peccato che la sua voce fosse di due ottave più alta del normale, il tono imbarazzato e ben poco seducente e che l’altro semplicemente annuì e gli passò l’accendino, rendendo la scena molto, molto diversa da quella che s’era immaginato.
Accese velocemente la sigaretta e si accorse, in quel momento, di avere gli occhi di lui puntati addosso.
Li sentì su di se, attenti, curiosi,  allora Thomas alzò lo sguardo e lo incatenò a quello dell’altro, che pareva desideroso e ammaliato, e quasi si strozzò con il fumo rendendo tutta la scena, ancora una volta, diversa dai suoi progetti e decisamente poco sexy.
“ Sei mattiniero, come me.” Disse improvvisamente lo sconosciuto, il suo tono era distaccato e cauto, ma gli stava rivolgendo la parola per la prima volta e andava bene così.
Thomas sorrise, avrebbe voluto dirglielo: “Sono mattiniero per te” ma si trattenne. Glielo avrebbe detto, prima o poi.
 
Fece scivolare a lungo gli occhi su tutta la figura dell’altro, valutando una risposta.
Così vicino sembrava quasi un’altra persona, non era più un dipinto perfetto ed irraggiungibile. Era vero, aveva un lavoro e chissà quali passioni, i capelli spettinati e due dolcissime fossette che venivano fuori solo quando rideva.
E guardava lui.
“ Sai, tra lo studio e tutto il resto dormire è diventato difficile.”
Evitò di puntualizzare che in realtà il problema fondamentale era l’assenza di entrambe le cose: studio e tutto il resto.
Voleva apparire interessante.
“Ti capisco, anche io tra l’Università ed il lavoro qui praticamente mi tengo in vita con il caffè”
“Anche tu alla Metropolitan?” Chiese Thomas speranzoso. L’altro annuì.
“Si, giornalismo. Tu?”
“Informatica, sono venuto dall’Arizona per studiare qui sai lontano da casa insomma io, è meglio no?” Si diede dell’imbecille ancora una volta, perché stava straparlando ed era agitato come mai nella sua vita, gli tremavano le mani mentre aspirava e oddio, stava facendo una pessima figura.
“ Facile con i soldi di mamma e papà.” Replicò lui, improvvisamente duro.
Thomas si rabbuiò, strinse il pugno e contrasse la mascella.
“Di mamma” Sussurrò, con tono velenoso. “Mio padre è morto.”
Non seppe neppure perché lo disse a lui, uno di cui non sapeva neppure il nome, uno che lo spiava dalla finestra, si innervosiva se per caso lo vedeva a cena con una ragazza e si permetteva di giudicarlo, non lo guardava in faccia e poi lo guardava troppo.
Uno che gli piaceva però, che era bello e qualcos’altro che non sapeva definire.
Uno con cui,  se ci avesse creduto, avrebbe detto aver avuto un vero e proprio colpo di fulmine.
Uno che quasi gli faceva credere nel destino.
“Mi..mi dispiace.” Rispose intimidito il biondo.
“ Anche a me.” Thomas si voltò, in modo che non potesse vedere gli occhi velati di lacrime, e quando si fu calmato provò a sorridere verso il ragazzo.
“Non volevo.” Si scusò ancora lui, Thomas annuì. “Tranquillo, voglio dire che ne potevi sapere tu?”
Il ragazzo gettò la cicca e mise le mani in tasca.
“Quindi giornalismo eh?” Esordì Thomas dopo alcuni secondi di imbarazzante silenzio.
“Già, mio padre avrebbe voluto prendessi Legge ma sai, la passione è passione.”
“Anche Tess, cioè Teresa… la ragazza che era con me, fa legge. Lei, lei è…è la mia migliore amica e coinquilina e insomma è bravissima. Siamo venuti a festeggiare per il suo esame e…si lei è la mia coinquilina, non certo la mia ragazza e non mi piace eh, neppure un po’. Lei ecco, si lei fa legge.”
“Ho capito, tranquillo. Non è la tua ragazza, sono felice di saperlo.”
 
Ancora una volta aveva straparlato, ma questa volta non se ne pentì, perché vide un sorriso farsi strada sul volto del ragazzo e allora ricambiò, automaticamente.
Il sorriso dello sconosciuto era simpatico, sincero e contagioso.
Gli piaceva, gli piaceva tantissimo e pensò, per un attimo, che avrebbe adorato vederlo ancora e magari baciarlo, quel sorriso.
“Devo rientrare, grazie della chiacchierata Tommy.”
Quasi sentì il suo cuore spezzarsi in un sonoro crack.
Sapeva il suo nome?
Thomas spalancò gli occhi e la bocca per la sorpresa ed iniziò a balbettare parole casuali e senza senso. Confusione totale.
Era pazzo, insomma cosa diavolo succedeva. Dov’ era la fregatura?
Tommy?
 
Lo sconosciuto rideva, tenendosi la pancia, ma non c’era davvero nulla da ridere.
Thomas incurvò le sopracciglia e strinse i pugni. “Perché cazzo ridi?”  
“Newt. Io sono Newt” Iniziò lui. “E tu hai dormito a casa mia una notte, qualche settimana fa. Ma forse eri troppo ubriaco per ricordarlo.”

Oh, bhe, decisamente questo non se lo ricordava.

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


 Parte Seconda
 

Lo Chapeau era il bar più famoso della zona e preparava i migliori long Island che Newt avesse mai assaggiato, per questo quando non doveva lavorare in pizzeria e riusciva a trovare un po’ di tempo tra un esame e l’altro, trascinava lì Minho, ignorando le sue proteste.
Il suo coinquilino non era certo tipo da pub come quelli, a lui piacevano le discoteche ed i locali chic pieni di belle ragazze, non certo un bar con spogliarellisti troppo maschi ed una percentuale di clienti femmine decisamente bassa.
Bastava però che Newt nominasse Brenda, la nuova barista, che l’asiatico riusciva persino a sorridere mentre afferrava la giacca e si guardava allo specchio, provando il migliore sei suoi sguardi magnetici.
Poi, sentendosi osservato, si affrettava a giustificarsi.
“Lo faccio solo per il tuo amichetto là sotto.”
Allora Newt rideva e con un gesto della manoed un’ occhiatamaliziosa liquidava rapidamente la faccenda.
“Certo, certo.”
 
Puntualmente la nottata si concludeva con Minho che gironzolava solo per la città in cerca di compagnia, mentre Newt portava a casa qualcuno a cui non chiedeva neppure il nome e che cacciava brutalmente fuori non appena concluso l’amplesso, perché non dovevano avere il tempo di porgergli e neppure di pensare la fatidica, tremenda domanda.
“Non è che ci rivediamo?”
No, no, no che non ci rivediamo.
 
Più di ogni altra cosa non permetteva a nessuno di dormire lì, con lui.
È un gesto comunemente sottovalutato, dormire insieme, eppure è proprio mentre dormiamo che siamo più fragili, più scoperti.
Siamo nudi, in qualche modo.
E Newt non voleva dare a nessuno il potere di vederlo debole, tanto meno di distruggerlo.
 
A Minho non piaceva un granché quel via vai di uomini nel suo appartamento, diceva sempre che era una puttana e Newt non se la sentiva neppure di dargli torto.
“Dovresti trovarti un ragazzo vero.” Gli aveva consigliato, più di una volta.
Ma se frequenti giornalismo alla Metropolitan di Denver con una borsa di studio e lavori ed i tuoi hanno a malapena i soldi per mangiare, non puoi permetterti una relazione o sentimenti, perché i sentimenti sono distrazioni e sono impegnativi.
Lo avrebbero allontanato dal suo obiettivo.
No, non poteva permettersi scomode, stupide complicazioni come l’amore.
 
Solo che Newt aveva commesso un errore di valutazione piuttosto importante e quell’errore portava il nome di Thomas Edison.
 
Come ogni venerdì sera lo Chapeu era pieno, Brenda era appena visibile dietro il muro di ragazzi che aspettavano di essere serviti e tutto ciò che Newt riusciva a scorgere erano le sue braccia lunghe che s’agitavano cercando di accontentare tutti.
Minho sospirò profondamente e Newt gli mise una mano sulla spalla annuendo con fare comprensivo e fintamente dispiaciuto.
“La vita è dura amico mio.” Gli disse.
Minho lo spintonò trattenendo un sorriso. “Non prendermi in giro” Poi assunse di nuovo l’aria afflitta e continuò. “Non riuscirò a parlare con lei stasera, chiederle di uscire poi…”
Newt scosse il capo e si avvicinò al bancone, trattenendosi dall’ impulso di dire a Minho che probabilmente avrebbe fatto la cosa migliore rimanendo zitto, perché colpire a suon di pessime battute quella povera ragazza non avrebbe portato a nulla se non un secchio di ghiaccio in testa, esattamente come era successo la settimana precedente.
 
“Ciao ragazzi, sono subito da voi.” Li salutò Brenda.
“Ti aspettiamo bambola.” Rispose prontamente Minho, ammiccando.
Newt nel fra tempo aveva iniziato a guardasi attorno, mentre il cantante della band che suonava quella sera aveva intonato una canzone che sembrava un’enorme, immenso lampeggiante con su scritto “Cantante gay in un locale ancora più gay” .
 
Gli venne da ridere,ma alla fine non era neppure così male.
 
E non lo era neanche il suddetto cantante, che s’agitava attorno al microfonotoccandosi il collo ed il petto, sperando forse che qualcuno iniziasse a prenderlo in considerazione.
Ma la verità è che nessuno andava allo Chapeau per la musica, il più delle volte era pessima.

Newt continuò a guardarsi attorno, spostandosi in cerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione, finché non lo vide.
Era seduto da solo nel più remoto angolo del locale, con la testa bassa tra le mani ed un gran numero di bicchieri vuoti davanti a se, la pelle pallida che risaltava sotto la luce stroboscopica e lo rendeva più simile ad un fantasma che a un uomo.
Nella penombra della sala non riusciva a distinguerlo perfettamente e con le mani messe in quel modo non poteva vedere quasi per niente il suo volto, eppure capì d’averlo trovato, capì che sarebbe stato lui il suo divertimento per quella sera.
 
Ordinò a Brenda un paio di long Island e s’avvicinò al ragazzo, una volta arrivato al suo tavolo posò i drink con ben poca delicatezza e si sedé di fronte a lui, attirando finalmente la sua attenzione.
Uno sguardo bastò a Newt per capire due cose:
Innanzitutto il ragazzo era già piuttosto ubriaco e quella non sembrava essere esattamente la sua serata a giudicare dallo sguardo spento e gli occhi rossi, gonfi e lucidi.
 Quindi o era fatto o era disperato, ed entrambe le cose non erano per niente positive per la sua causa.
In secondo luogo, se tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe stato senza ombra di dubbio il ragazzo più carino che si fosse mai portato a letto. I suoi occhi grandi e scuri lo scrutavano curiosi e stupiti,  i capelli, anche questi scuri, erano spettinati e gli donavano un’aria trasandata che eccitava Newt ai limiti dell’impossibile e la sua pelle chiara creava un fantastico contrasto con i nei che disegnavano intrecci sul suo volto regolare e dai tratti dolci.
 Solo a guardarlo si sentì in colpa per quello che avrebbe fatto, perché non solo il ragazzo non sembrava in buone condizioni, ma trasudava un’innocenza tale che per un secondo prese in considerazione l’idea di lasciar perdere.
Ma poi lui parlò, con un tono sbiascicato e per niente sensuale,  sbatté le palpebre per metterlo a fuoco e toccò la sua mano nel tentativo di afferrare il bicchiere che gli aveva portato, allora non immaginò altro che le mani di lui sul suo corpo e la sua bocca sottile che lasciava tracce infuocate sulla sua pelle e si disse che ne sarebbe valsa la pena.
 
“E tu…chi diaaamine saresti?” Domandò il ragazzo, con voce acuta.
Newt rise, sorseggiando il suo drink con fare disinteressato.
“Newton, ma per te semplicemente Newt.”Rispose. L’altro ci mise un po’ a capire e con lentezza rispose, ridendo come avesse appena sentito la più esilarante barzelletta di tutti i tempi.
Aaaamico”  Si alzò, perdendo quasi l’equilibrio, poi gli mise una mano sulla spalla e si finse serio. “Che cazzo di nome è?”
E poi si lasciò ricadere al suo posto ridendo.
Newt si unì a lui, ubriaco com’era non ci sarebbe voluto molto per portarselo a casa.
“Hai una faccia conosciuta. Ma non riesco a ricordare dove ti ho visto.”  Affermò improvvisamente il biondo, scrutando il ragazzo davanti a se che fissava con intensità il suo cocktail e girava la cannuccia, improvvisamente di nuovo serio.
  Thomas fece spallucce, l’euforia era scesa, lasciando spazio nuovamente ad uno strano senso di vuoto, quello stesso che aveva cercato di attenuare in ogni modo uno shot dopo l’altro.
 “ A che pensi?” Chiese Newt, spostandosi in modo da sedersi al suo fianco sul divanetto.
Thomas lo lasciò fare, persino quando gli mise un braccio attorno alle spalle.
 Newt era un bel ragazzo e poi era tutto lontano, come non stesse capitando a lui.
 Avrebbe voluto gridarlo ai quattro venti, che pensava a Jason come sempre, che era andato in un locale per cercare qualcuno che gli scaldasse il letto e magari il cuore e aveva trovato solo il suo ex, che non solo si baciava con un altro in maniera piuttosto appassionata, ma non l’aveva neppure riconosciuto inizialmente.
L’aveva guardato come fosse trasparente, con indifferenza, mentre Thomas non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Era ingrassato, i suoi capelli erano corti ora, gli era cresciuta la barba e non era più bello come prima, ma era Jason, lo stesso Jason che per lunghi anni lo aveva tormentato in sogno, lo stesso che aveva inseguito, il suo tormento personale ed era lì, a pochi metri, e non lo aveva riconosciuto.
Thomas aveva sentito il cuore sgretolarsi, letteralmente, un dolore al petto simile ad una fitta, una pugnalata violenta e rapida, poi era rimasto il vuoto, che faceva quasi più male.
Quindi era scappato via e s’era rifugiato allo Chapeau, perché era notte ed era solo e non aveva nessuno da amare.
 
“Non mi hai ancora detto il tuo nome.” Sussurrò Newt, il suo respiro caldo solleticava il collo di Thomas e gli provocava brividi, la mano si muoveva tra i suoi capelli, grattando la pelle.
“Thomas.” Bisbigliò con voce roca d’eccitazione, cosa che non sfuggì all’altro il quale gli regalò, non appena si voltò, un ghigno soddisfatto e divertito.
Thomas lo osservò. Era bello, minuto, dai tratti femminei e quasi eterei, con gli occhi enormi e scuri ed i capelli biondi. Emanava grazia da ogni parte del corpo, il suo profumo sapeva di muschio e fumo e Thomas sentiva lo strano bisogno di immergere la testa lì, tra il suo collo e la sua spalla, ed annegare in quel profumo.
 La mano del ragazzo si era spostata nel fra tempo, era scesa fino all’orlo della maglietta e aveva preso ad armeggiare, in un gioco di carezze e strattoni, con i suoi pantaloni, infine era scesa lì, dove un urgente bisogno s’era fatto visibile senza che Thomas se ne rendesse neppure conto. Quando carezzò la sua erezione, gli si spezzò il fiato e Newt rise.
“Ho così tanto potere su di te Tommy?”
Thomas riuscì a farfugliare qualcosa di poco comprensibile, per l’alcol e tutta la situazione, ma doveva somigliare tanto ad un:
“Giochi sporco.”
E Newt pensò che non aveva ancora visto niente su quanto sporco potesse giocare.
 
“Che ne dici andiamo a casa mia?” Gli chiese, posando un bacio bagnato sulla sua mascella e succhiando lentamente.
Thomas non poté far altro che annuire.
 
Il viaggio verso casa non fu dei migliori, con Thomas che continuava ad inciampare nei suoi stessi piedi e chiedeva continuamente di fermarsi e “Facciamolo qua.” Diceva.
Ma lo Chapeau non era lontano da casa e Newt odiava le sveltine in strada, così scuoteva il capo e lo trascinava via.
“Ma come fai a sapere dove abito?” Chiese Thomas guardando il suo palazzo svettare sopra le loro teste. Newt lo scrutò con confusione.
“Io abito qua.” Rispose, indicando il palazzo di fronte.
Allora Thomas sgranò gli occhi e Newt fece lo stesso.
 
Biondo, esile, probabilmente carino.
Allora era lui, il ragazzo della finestra accanto che aveva visto la mattina prima.
“Quindicesimo piano.” Sussurrò il biondo, Thomas annuì.
“Ecco dove ti ho visto, sei il vicino spione.” Continuò Newt. L’altro scosse il capo mentre le sue guance si coloravano di rosa. “Non ti stavo spiando.”
“Che peccato.”
Newt sorrise malizioso, si avvicinò a lui e lo afferrò per il colletto della maglietta.
“Perché io non vedevo l’ora di spiare te.”
Poi lo attirò a se, prese a baciargli il collo mentre lo schiacciava contro il muro e Thomas mugugnava, cercando di afferrare le sue labbra in un bacio passionale.
Newt però si scansava, senza dire nulla.
Il sesso con lui non implicava baci. Mai.
Neppure se ti chiamavi Thomas ed eri il vicino spione.
 
Riuscirono ad entrare in casa con non poche difficoltà, senza staccarsi l’uno dal corpo dell’altro per tutto il tragitto e rischiando di svegliare l’intero palazzo con i gemiti di piacere che Newt si divertiva a distorcere, anche piuttosto facilmente, a Thomas.
“Cazzo” Mormorò contro il collo dell’altro, armeggiando con disperata fretta con la cinta nel tentativo di liberare entrambi da quell’inutile ingombro. Il moro, per tutta risposta, s’era già levato la maglietta e si stava occupando della sua camicia, fermandosi a contemplare, carezzare, baciare ogni centimetro di pelle scoperta.
“Muoviti.” Ordinò il biondo, spingendolo verso il letto.
“Fermati, fermati, fermati.” Disse improvvisamente Thomas, staccandosi da un Newt alquanto stupito.
Non fece neppure in tempo a domandare cosa stesse succedendo che il moro s’accasciò a terra e, tra un colpo di tosse ed un singhiozzo, vomitò proprio ai suoi piedi.
  Gran bella serata.
 
In qualsiasi altro momento, con qualsiasi altra persona Newt avrebbe provveduto a fargli pulire quello schifo per poi cacciarlo via a calci nel sedere nel giro di un nanosecondo, ma c’era qualcosa di diverso nell’aria, qualcosa che il ragazzo non avrebbe compreso per lungo tempo, qualcosa che lo spinse ad ignorare il cattivo odore e la nausea che stava piano piano contagiando anche lui e lo portò ad accucciarsi accanto all’altro, accarezzargli la schiena ed i capelli.
“Va tutto bene, tranquillo. Vedrai che ora starai meglio.” Sussurrò, per rassicurarlo, nel notare che stava piangendo.
 “Grazie.” Rispose lui, tra un singhiozzo e l’altro, continuando però a scuotere il capo.
Si voltò verso di lui e lo fissò dritto negli occhi, con le lacrime che ancora scendevano copiose lungo le sue guance. “Io non starò mai meglio.”
Newt sentì qualcosa di strano proprio all’altezza del petto, ma decise di ignorare la strana sensazione e, asciugandogli le lacrime con le proprie mani, gli sorrise.
“Ci penso io a te.”

Lo aiutò ad alzarsi e a pulirsi in bagno, mentre Thomas continuava a piangere disperato e a ripetere un nome, come fosse una preghiera.
“Jason”
E ancora una vola Newt  non capì se stesso, perché provò lo strano, inspiegabile impulso di trovare questo dannatissimo Jason ed assestargli un bel destro sulla faccia e lo odiò, senza sapere chi fosse, cosa avesse fatto ed in realtà senza neppure conoscere davvero il ragazzo che disperato nel suo bagno.
Ma lo odiò perché era colpa sua se Thomas aveva deciso di ubriacarsi, se aveva vomitato sul pavimento di casa sua, se ora piangeva e non era assolutamente in condizione di riprendere l’interessante discorso che avevano iniziato prima del disastro.
E sopratutto non gli piaceva il volto di Thomas distorto dal pianto e dal dolore.
 
“Che ti ha fatto questo Jason?” Domandò il biondo, mentre Thomas si sedeva sul suo letto con lentezza, come fosse un automa, un corpo senz’anima.
“Con un altro.” Mugugnò.
“Ah, quindi è il tuo ragazzo e lo hai trovato con un altro? Potremmo fargliela pagare se vuoi Tommy, il mio corpo è disponibile per te.” Replicò Newt ridacchiando mentre passava lo straccio a terra.
 Dio, era un vero schifo.
“Ex, è il mio ex.” Lo corresse Thomas, continuando fissare il vuoto con un’intensità tale che quasi spaventò Newt.
“Bhe, direi che ti ha distrutto.”
Thomas annuì e non aggiunse altro, non ne aveva davvero la forza.  
 
Newt non saprebbe dire come in una sera si fosse ritrovato ad infrangere tutte le sue regole, come mai ci fosse questo ragazzo appena conosciuto -che per qualche coincidenza abitava proprio di fronte a lui- addormentato sul suo petto, come mai gli stesse accarezzando le labbra e poi la fronte, come mai gli interessasse tanto che fosse comodo, come mai non lo avesse già cacciato.
Non saprebbe dire neppure come, esattamente, si fosse ritrovato in quella posizione.
Sapeva solo che lo guardava dormire e non aveva il coraggio di svegliarlo e Tommy era bello, bellissimo e spezzato, rotto, con il cuore infranto in mille pezzi, innocente e fragile proprio di fronte a lui e non aveva paura di esserlo ed era esattamente il tipo di persona da cui doveva stare lontano, ma non voleva.
Il suo corpo protestava al pensiero di sentirlo lontano.
 Lo guardò ancora, per ore che parvero istanti, memorizzando i disegni che i nei creavano sul suo volto, la forma del naso, l’espressione serena e poi, senza nessuna logica  o spiegazione, posò un bacio tra i suoi capelli, sugli occhi ed infine, senza esitazione alcuna, lo baciò sulle labbra.
Come scottato, si allontanò e Thomas, grazie al cielo, non si svegliò.
Cosa diamine stava succedendo? Che ne era delle sue convinzioni e dei suoi obiettivi?
Possibile che fosse così debole da farsi incantare da un paio di occhioni lucidi?
C’erano quattro, semplicissime regole fondamentali nella sua vita e lui, in poche ore, lo aveva infrante tutte.
 
Numero 1: Non chiedere il nome, tanto non lo rivedrai mai più.
Numero 2: Niente baci, solo sesso.
Numero 3: Mai, mai, mai lasciar dormire un ragazzo con te.
Numero 4: Non provare niente, per nessuna ragione.
 
Era davvero in un bel guaio.
 
 
Quando Minho tornò Thomas ancora dormiva come un sasso e l’asiatico strabuzzò gli occhi nel vedere Newt mezzo addormentato avvinghiato con fare protettivo –e soprattutto ancora vestito-  al corpo di uno sconosciuto.
Nel sentire i passi dell’amico, il biondo si destò immediatamente, regalandogli uno sguardo che sembrava implorarlo di non fare domande e Minho non gliele avrebbe fatte certamente in quel momento, troppo impegnato a scattare compromettenti foto con cui lo avrebbe ricattato per i prossimi vent’anni.
Aveva un intera giornata per interrogarlo dopotutto.
“Molto carino.” Mimò con le labbra, mentre Newt alzava gli occhi al cielo e gli indicava il corpo di Thomas.
“Dobbiamo portarlo via, non voglio di svegli qui.” Spiegò, cercando di allontanarsi da lui il più lentamente possibile mentre l’altro, per tutta risposta, stringeva sempre di più la presa.
“Abbandoneresti questa dolce fanciulla? Che essere immondo.”  Ridacchiò Minho, continuando a scattare foto.
“Smettila con quelle foto e aiutami qua con Tommy” Lo rimproverò il biondo, esasperato.
“Oh”
“Cosa?”
“Siamo già nella fase dei soprannomi.” Commentò Minho con un sorriso  furbo e per niente rassicurante.
Newt decise di ignorarlo. “Abita al palazzo di fronte, lo lasceremo sulla panchina qua sotto e lo controlleremo finché non si sveglierà.”
E Minho rimase ancora stupito, non solo perché il ragazzo era praticamente il loro vicino di casa, non solo perché aveva dormito con Newt, ma soprattutto perché quest’ultimo sembrava persino umano, si preoccupava per lui ed era addirittura disposto a controllare che nessuno di avvicinasse.
Voleva proteggerlo.
“Amico mio, credo davvero che il destino ti abbia fatto un bel regalo.”
Ma Newt fece finta di non sentire perché il destino, come l’amore, non era altro che una grande, immensa, bugia.
 
Ed una perdita di tempo, soprattutto.
 
 
 
Come abbiamo detto, Newt, brillante studente di giornalismo non credeva nell’amore e neppure nel destino eppure Thomas era lì, di fronte a lui, nella pizzeria dove lavorava.
Lo stesso Thomas che abitava nel palazzo di fronte al suo e che, da due settimane, si divertiva a spiare, in un gioco di sguardi e sorrisi che non sapeva neppure dove dovesse portare.
Lo stesso che, ora, gli stava dicendo di frequentare la sue stessa Università e, anche se questo Newt lo sapeva già, si finse comunque sorpreso.
Ogni parola che usciva dalla bocca di Thomas non era un novità per lui, un po’ per via del loro primo ed ultimo incontro, un po’ per le ricerche che Minho, testardo e fastidioso come sempre, aveva portato avanti sul suo conto, nonostante le continue proteste di Newt ed i suoi rimproveri.
Era stato tutto inutile, quando Minho si metteva in testa qualcosa era praticamente impossibile fargli cambiare idea, soprattutto se si trattava di idee stupide ed assolutamente sbagliate come quella.
 
“La smetti di dirmi cose su di lui. Non mi interessa della sua famiglia, delle sue abitudini, dei suoi gusti, della sua media. Non mi interessa, chiaro?” Aveva risposto Newt, all’ennesimo resoconto di Minho, il quale questa volta era riuscito a sapere dal cugino di un amico del loro amico Aris, una versione dei fatti probabilmente distorta della storia tra Thomas e Jason.
Quello stronzo di Jason che aveva fatto piangere Thomas e che gli aveva rovinato la serata, anche.
“Certo Newtie, non ti interessa così tanto che ti svegli la mattina presto solo perché forse  potresti vederlo.” Aveva replicato Minho, inchiodandolo con uno sguardo duro.
Odiava che il suo amico continuasse a negare a se stesso ciò che era evidente ai suoi occhi: a Newt, quel ragazzo, piaceva.
Tanto.
“Non ho sonno semplicemente, smettila di parlare di lui. È stata solo una…”
“Cosa?” Aveva quindi incalzato Minho, con le braccia aperte ed un espressione ebete in volto.
Voleva solo che fosse felice e avrebbe fatto qualsiasi per aiutarlo, anche quando lui, cocciuto e cinico come sempre, non voleva essere aiutato.
 “Non avete neppure fatto sesso . E poi? Vuoi dirmi che è un caso che tu passi le tue giornate a guardare fuori da quella maledetta finestra e hai smesso di andare allo Chapeau? Newt devi parlare con lui.”
Il biondo aveva scosso il capo, contrariato, portando le mani sulle orecchie per cancellare le parole dell’altro.
 “Non so di cosa parli e poi smettila di indagare su di lui, sei inquietante.”
“Quando tu la smetterai di negare l’evidenza.”
Newt a quel punto s’era alzato di scatto, gettando all’aria i libri che aveva davanti e lasciando cadere a terra la sedia con un sonoro botto. 
 “Lui non si ricorda neppure di me Minho.” Aveva gridato, con il volto rosso per la frustrazione.
Thomas era un tipo incasinato e Newt con i sentimenti non ci sapeva fare,  non li voleva eppure Minho aveva ragione, erano lì, forti ed inaspettati.
E ne era spaventato a morte.
 
“Devo rientrare, grazie della chiacchierata Tommy.” Disse Newt, senza neppure rendersi conto di aver lasciato scivolare dalle sue labbra il soprannome che gli aveva affibbiato dal primo momento.
Ma per quanto ne sapeva l’altro loro due non erano altro che sconosciuti.
Sconosciuti che si guardano dalla finestra e non dovrebbero sapere l’uno il nome dell’altro.
 
Si diede dell’idiota, era stato preso dall’euforia di vedere che Thomas aveva seguito lui piuttosto che rimanere con quella là, la sua coinquilina, la stessa di cui si era sentito inspiegabilmente geloso.
Thomas era gay, Newt lo sapeva eppure…eppure aveva odiato vederlo così complice con lei, avrebbe voluto avere lui la libertà di portarlo a cena fuori, di stringergli la mano, di osservarlo imbrattarsi il volto di sugo come fosse un bambino e ridere delle sue battute, ma non poteva, colpa della paura, dell’orgoglio e del suo pessimo carattere.
Codardo, gli sussurrò una vocina nella sua testa.
Aveva combinato un casino.  
Thomas spalancò gli occhi e la bocca per la sorpresa ed iniziò a balbettare parole casuali e senza senso. Newt temette stesse per avere un infarto o qualcosa di simile, e si sentì sconvolto esattamente quanto l’altro, eppure qualcosa in lui si mosse e, preso dal nervoso e dalla paura, scoppiò a ridere tenendosi la pancia.
Ma non c’era davvero nulla da ridere.
Thomas sembrò arrabbiarsi, smise di balbettare ed incurvò le sopracciglia, stringendo i pugni.
“Perché cazzo ridi?” Domandò. 


Newt vide davanti a se un ragazzo che lo guardava dalla finestra alle quattro del mattino e poi lo vide spogliarsi e piangere, dormire sul suo petto, ubriaco e poi stanco,di nuovo davanti alla finestra, poi con gli occhiali intento a studiare in Università e depresso e stressato ed abbracciato a Teresa ed ora, di fronte a lui, confuso e forse spaventato.
E decise che ne valeva la pena e lo aveva saputo dal primo momento.
Non credeva nel destino e neppure nell’amore,  ma credeva negli occhi scuri di Thomas che lo guardavano accusatori, indagatori e forse delusi.
Credeva nel caffè alle quattro del mattino, nei sorrisi timidi e nelle regole che aveva infranto, perchè quando il destino chiama anche uno studente di giornalismo della Metropolitan di Denver, uno con una borsa di studio, pochi soldi ed un pessimo lavoro, anche uno disilluso come lui, deve rispondere.
 
“Newt. Io sono Newt” Iniziò lui. “E tu hai dormito a casa mia una notte, qualche settimana fa Tommy. Ma forse eri troppo ubriaco per ricordarlo.”
 
E lo vide dal volto improvvisamente rosso di Thomas e dallo scintillare dei suoi occhi, quello era solo l’inizio.
 
***
“Abbiamo fatto un grande lavoro, socia.”
Minho si avvicinò a lei lentamente, osservando dalla vetrata della pizzeria Thomas e Newt che parlavano. Erano carini, insieme, e Minho già si vedeva accanto al suo migliore amico, pronto a fargli da testimone qualche anno dopo, perché era un inguaribile romantico ed un gran sognatore.
Teresa sorrideva, accanto a lui, intenerita nel vedere Thomas così impacciato accanto ad un ragazzo. Non succedeva da anni, non succedeva da Jason, non succedeva da quando Thomas aveva alzato un muro con il mondo intero per non essere ferito eppure era lì, con un biondino troppo magro e dall’aspetto malaticcio, un tipo strano che a Teresa neppure piaceva tanto, felice ed impacciato per la prima volta dopo tanto tempo.
“Promettimi che non lo farà soffrire.” Disse, voltandosi verso Minho. Lui le passò un braccio attorno alle spalle.
“Non ti preoccupare, non ti avrei mai cercata se non fossi stato assolutamente certo.”
Teresa annuì. “Hai fatto bene, il destino a volte va aiutato.”
“Oh lo penso anche io.” Confermò l’asiatico, stringendola di più contro il suo corpo. Teresa arricciò il naso in un espressione stupita e vagamente infastidita, ma non si spostò.
“Potrei aiutarlo ancora chiedendo il tuo numero?”
Sussurrò al suo orecchio.
Teresa rise e scosse il capo, perché quando quel ragazzo buffo si era presentato alla sua porta per “fare che il vero amore trionfi”, tanto per citarlo, avrebbe dovuto saperlo che da qualche parte doveva esserci una fregatura.
 

 

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