Cronache di Epsòdi - Chanerk

di DarkFoxChannel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno - Anno 1104, Sparsinia ***
Capitolo 2: *** Capitolo due - 1 marzo 1104, Fraksa ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre - 2 marzo 1104 ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno - Anno 1104, Sparsinia ***


«Signorino, qui stiamo per chiudere», grugnì il proprietario della locanda da dietro il bancone. Dark alzò confuso lo sguardo dal libro che stava leggendo e si sistemò gli occhiali. «Signorino...», ripeté il proprietario, seccato. «Non mi chiami così. Ho diciannove anni.», rispose Dark, scattando in piedi; poi, farfugliando un “Mi scusi” uscì dalla locanda. Guardò il suo orologio: era mezzanotte. “E anche stavolta, quel dannato non si è fatto trovare... di questo passo non riusciremo mai a pianificare niente...”. 

Il ragazzo tornò a casa, deluso, accompagnato dal silenzio gelido quasi come l’aria di quell’inverno. Sparsinia era una città bellissima. Le case erano eleganti, di materiali pregiati, ordinatamente disposte ai lati delle strade perfettamente curate. Dopo cinque minuti di lenta camminata, Dark arrivò a casa. Entrò. Era immersa nel silenzio come il resto della casa: non si sentiva nemmeno il russare di Oliver. Era partito di nuovo, la mattina prima... Dark Oliversson aveva preso da lui il cognome, essendone il figlio adottivo. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori: era un ladruncolo analfabeta che viveva nei vicoli, fino a nove anni prima, ma a differenza degli altri non si interessava solo alla sopravvivenza. La mente di Dark tornò di nuovo a quel giorno fatidico, in cui tutto era iniziato. 

Anno 1095, Sparsinia

Dark sgusciò fuori dal vicolo, con la pagnotta appena rubata stretta in mano. Il sole era quasi alto. Era l’ora del teatro. Rapidamente mangiò il pane e attraversò la piazza, con il sole che lo faceva sudare da sotto i capelli folti e sporchi. Arrivò al teatro, dalle guglie alte e minacciose, scintillanti di marmo bianco. Quel cantore aveva già iniziato. Dark entrò nella sala, mentre le guardie sbuffavano vedendo che entrava scalzo e con i piedi sporchi. Quando Dark si sedette per terra, l’aedo stava parlando di un certo Alberto I, con la sua voce melodiosa, per essere quella di un vecchio almeno, e accompagnata dalla magnifica lira. Cantava il dolore degli uomini, la loro speranza, i loro sogni, l’adrenalina, la grandezza di Alberto I, il suo genio strategico. La paura dei nemici. La gioia furiosa dei trentacinquemila di Alberto, che vincevano. La desolazione e la tristezza suscitata dal campo di battaglia insanguinato. Dark rimase ancora una volta ipnotizzato dal suono delle parole, finché non finì tutto. Era durato quasi un’ora, ma sembrava non fosse passato nemmeno un istante. Dark si alzò, ma prima che uscisse il cantore lo chiamò. «Ehi, ragazzino. Vieni qui.». Dark fu tentato di scappare all’istante. «Non ti preoccupare. Vieni qui, sono un tuo amico.», ripeté con voce gentile il vecchio. «Che vuoi?», chiese il bambino, acido. «Come cantore», cominciò l’altro, sedendosi sul bordo del palco, guardando Dark negli occhi. «Sono abituato a vedere sempre facce nuove, con cui condivido tutto quel che su. Ma tra tutte le facce... l’unica che vedo sempre è la tua, quella di un ragazzino dei vicoli. Cosa ti spinge qui? Cos’hai in più degli altri?», chiese il cantore. «Non ne ho idea. Non farmi domande.», rispose ancora Dark. «Vieni con me. Ti darò una vita degna di te.», lo invitò ancora una volta quello. 

 

Quel giorno, Dark aveva trovato la fiducia, per la prima volta. Oliver gli aveva davvero dato una vita magnifica. Gli aveva fatto da insegnante in tutte le materie scolastiche, ma non gli aveva insegnato solo la matematica e la struttura della lingua. Da lui Dark aveva imparato come vivere come un essere umano normale. E dalla mentalità aperta e brillante di Oliver in lui era cresciuta una voglia di cambiare ulteriormente il suo mondo. Aveva incontrato due persone, mentre osservava dalla finestra della solita locanda ragazzini Sparsiniani che fumavano sigari nei vicoli e ascoltava le grida degli ubriaconi, due persone che la pensavano come lui. Avevano deciso di avviare il progetto più grande non solo della loro vita, ma della vita di tutti gli Epsodiani, qualcosa che avrebbe cambiato tutto per tutti. E poi c’era quella lettera. 

Dark riprese in mano il foglio stropicciato. In qualche modo, qualcuno aveva scoperto i loro piani. La rilesse a mente:

“Ho sentito ciò che volete fare. Incontriamoci alla locanda il 21 febbraio alle 23. Fatti trovare al solito tavolo. 

Firmato, L.  R.”

Ogni volta che quell’uomo non si faceva vedere, Dark era sia deluso che sollevato. Poteva essere una trappola, ma Dark desiderava tantissimo quell’aiuto. 

Ormai era il 24 febbraio, forse L. R. aveva solo voglia di scherzare... Dark sospirò e inserì la chiave nella serratura della porta di casa. 

La mattina dopo, si svegliò presto e decise di partire anche lui verso il confine. Affidò le chiavi di casa al proprietario della locanda e affittò un carro e un drago asino. Partì da Sparsinia alle otto e mezzo di mattino, portandosi solo una sacca con un po’ di cibo, una borraccia, qualche buon libro e i soldi. Il drago, lungo circa due metri e mezzo, correva a gran velocità e nonostante le dimensioni inferiori a quelle di un cavallo aveva una forza maggiore. Le sue squame grigio-verdi non scintillavano al sole. Aveva piccole corna appuntite che andavano all’indietro, piccoli occhi ambrati dalle pupille sottili e una cresta di spine tondeggianti dalla base del cranio alla punta della coda. Prese la mappa: aveva lasciato da un’ora Sparsinia e aveva percorso circa cinquanta chilometri verso nord, perciò ora era vicino alla città di Fraksa, ma mancavano almeno quattro ore di viaggio costante per raggiungere il confine di Lucasside. 

Mezz’ora dopo arrivò a Fraksa e lasciò alla stazione di posta il drago e il carro. «Faccia riposare il drago, dopo potrei riprenderlo», disse al proprietario, e uscì in città. Fraksa era piccola in confronto a Sparsinia, ma nel suo piccolo era comunque bella. Si avviò per la strada principale, larga una quindicina di metri e cosparsa di lampioni e bancarelle, mentre la luce rendeva difficile vedere attraverso le vetrine dei negozi. La locanda più affollata, Da Caturso, si trovava a qualche isolato dalla stazione di posta. Dark diede uno sguardo a metà tra il disgusto e l’interesse a un ragazzo della sua età lì dentro: capelli castani chiaro corti e spettinati, una camicia a maniche corte bianca e un boccale di birra stretto saldamente nella grande mano destra. Sorrideva con i denti scoperti, mentre gesticolava e parlava a una folla interessata. Dark entrò, sospirando: probabilmente stava inventando tutto ciò di cui parlava. Si sedette all’angolo, in un piccolo tavolo rotondo, e prese il libro che stava leggendo da qualche giorno. “Le leggende che hanno plasmato Epsòdi”, scritto da R. Brodarsson. Era a circa metà libro, al capitolo che parlava di Alberto I: ma viste tutte le storie raccontate da Oliver, sapeva già praticamente tutto di lui. «Vuole ordinare?», gli chiese un cameriere. Dark alzò lo sguardo. «Qualche pezzo della carne migliore che avete e una tazza di miktès caldo.», rispose. «Che carne vuole, signore?», insisté il cameriere. «Mmmh... avete carne di bufalo Frakseio?», si informò il ragazzo, e quando l’altro annuì, concluse la conversazione con un veloce “Va bene quello”. Il ragazzo con il boccale di birra proruppe in una fragorosa risata insieme alla folla che gli si era radunata intorno. «Si sta inventando tutto e se li sta ingraziando con qualche battutina volgare... tipico», mormorò Dark, convinto di non essersi fatto sentire. Eppure quello in camicia aveva sentito eccome. Si alzò e si avvicinò a grandi falcate a Dark: era più basso, ma più robusto e muscoloso, e di certo era meglio non farlo arrabbiare sul serio. «Hai qualcosa da dire su di me? Se sì, ti consiglio di parlarne con me, invece di farti qualche risata nascosto dietro qualche poltrona.», lo incalzò. «Chiedo perdono per la mia insolenza, la prossima volta terrò per me ovvietà come il fatto che qualsiasi storia tu abbia raccontato loro te la sei inventata», Dark rispose, con aria distante, e tornò sul libro. L’altro strinse i pugni, ma poi si rilassò. «Il modo in cui parli e ti comporti mi piace, anche se ti credi un drago orientale. Mi chiamo Enemy, e tu?», disse alla fine, porgendo la mano a Dark. «Dark, piacere mio», rispose lui, e i due si strinsero la mano. «Appena finisci di mangiare, mi piacerebbe fare due chiacchiere con te», gli sussurrò Enemy, e tornò al suo posto con gli altri. Qualche minuto dopo i bocconcini di bufalo Frakseio erano arrivati, insieme al Miktès, una bevanda a base di vari tipi di frutta e latte. Dark gustò il pranzo e lasciò cinquanta Epesòs sul tavolo, senza aspettare il conto. Enemy salutò i suoi e lo raggiunse. I due di tacito accordo uscirono dalla locanda. «Da dove vieni, Dark?», chiese Enemy. «Sparsinia. Ho vissuto tutta la mia vita lì, e comunque non sono mai uscito dalla Lucasside, anche se ho visto tanti tipi di persone, da tutta Epsòdi.», rispose l’altro, e poi aggiunse: «E intuisco tu sia del regno di Henn». «Sì, Hennìpoli. Abbiamo una brutta fama ovunque tranne che nel regno del Sole, lo so», confermò Enemy, mentre continuavano a procedere per la strada principale. Dark, ignorando l’ultima affermazione che condivideva in parte, chiese: «Vivere sotto Spyr VIII è brutto come dicono?». «Anche peggio di quel che dicono. Per questo non torno a casa da anni. Ho cominciato a viaggiare da quando avevo dodici anni, ma prima avevo... dei compagni», rispose Enemy, finendo con un tono malinconico. «Capisco...», mormorò Dark dopo qualche secondo. 

«A volte non desideri che Epsòdi sia tutta unita? Niente più regno di Henn, Lucasside, del Sole - solo il regno di Epsòdi», chiese l’altro, e Dark rimase paralizzato qualche secondo, poi il cuore cominciò a battergli velocemente. «Sì, tutti i giorni desidero sia così. Ma non c’è modo...», rispose, sondando il terreno prima di fare la domanda fatale. «Forse c’è. Certo, ci sarebbe bisogno di reclutare tante persone e di muovere una vera e propria guerra, però... per l’unità di un continente...», rispose Enemy, al che Dark lo prese per la manica della camicia e lo portò rapidamente in un vicolo. Sentiva di potersi - e doversi - fidare di Enemy. «Io e altre due persone stiamo pianificando esattamente questo.», disse, rapidamente e a bassa voce. «Vuoi unirti a noi?», chiese poi. «Sapevo che c’era qualcosa sotto. Sapevo che stavi nascondendo qualcosa. Sarei onorato di partecipare alla rivoluzione», rispose Enemy, annuendo solennemente. 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due - 1 marzo 1104, Fraksa ***


Dark era a Fraksa da cinque giorni e quattro notti. Condivideva la stanza della locanda con Enemy. Aveva inviato una lettera agli altri due, per informarli della sua conoscenza con il ragazzo e del suo interesse verso i loro piani. Ora li stava aspettando insieme ad Enemy alla stazione di posta di Fraksa. A differenza di Sparsinia, la piccola città non aveva mura ed era circondata dalla natura. Un grande fiume che partiva dal confine tra Kittonia e regno di Henn passava accanto alla città. Per raggiungere il confine nord, lo si doveva guadare: ma c’erano posti in cui era poco profondo ed era facile. Dalle sei di mattina, quando Dark ed Enemy avevano cominciato ad aspettare, erano arrivati solo tre viaggiatori. Erano le otto e mezzo quando i due arrivarono. «Beh, Enemy, eccoli.», Dark si alzò dal muretto su cui era seduto e andò incontro ai due, entrambi sullo stesso carro trainato da due draghi asino. «Roger e Lino, vi presento Enemy Adriansson. Enemy, questi sono Lino Robertson e Roger Robertson. Sono fratelli», Dark fece le presentazioni. Roger era il più grande dei due fratelli, aveva ventitrè anni, era un uomo altissimo e forte, con i capelli corti biondi e gli occhi piccoli scuri. Lino, di ventuno anni, era invece abbastanza basso, ma aveva capelli e occhi dello stesso colore. Strinsero entrambi la mano a Enemy. «Nella stanza in locanda di Enemy c’è spazio per altre due persone. Possiamo andare lì», propose poi Dark, e tutti e tre annuirono. «Sono contento che tu abbia conosciuto Enemy, un’altra persona per aiutarci... peccato tu non abbia incontrato nessun altro», Roger sussurrò al ragazzo, poi passò insieme a Lino a fare conoscenza con il nuovo alleato. La locanda di Enemy era poco costosa ma decente, in una stradina secondaria che partiva dalla via principale. Era un edificio antico ma restaurato, di mattoni di pietra liscia. La porta era di una scadente imitazione del prezioso abete Frakseio ed era stata aggiunta in un secondo momento. I quattro entrarono, presero le chiavi e andarono nella stanza di Enemy. «Ovviamente siamo solo in quattro, e questa rivoluzione è impossibile da attuare. Prima di pensare alle strategie per attuarla, dovremmo pensare a reclutare nuovi alleati», Dark cominciò. «Un uomo qualunque non sarebbe mai capace di comprendere i nostri ideali, però», Enemy osservò. Roger annuì. «Dovremmo cercare di attirare intellettuali non corrotti dalla nostra corona», aggiunse. «E come potremmo fare? Dovremmo spargere in tutta la Lucasside avvisi su un incontro per intellettuali...», Lino disse, e Dark annuì. «Non sembra una cattiva idea. Ma per fare in fretta dovremmo dividerci e distribuire gli avvisi nelle maggiori città», suggerì. «Cioè? Sparsinia, Marjudes e Saffstal?», chiese Enemy. «Sì, esatto. E già che ci siamo, qualcuno può rimanere qui a Fraksa... credo resterò io», suggerì Roger. «Ottima idea. L’incontro si terrà in casa mia tra una settimana, abbiamo almeno cinque giorni per spargere la voce», Dark annunciò a voce più alta. «Roger resterà qui, io andrò a Marjudes, Enemy a Sparsinia e Lino a Saffstal. Vi va bene?», aggiunse poi. Tutti annuirono. Passarono un’altra notte a Fraksa, e il giorno dopo di mattina presto andarono alla stazione di posta. «Mi raccomando. Tra sei giorni, a Sparsinia per preparare l’incontro.», disse Lino, serio; poi fu il primo a prendere un carro con drago e a partire, spronando l’animale verso ovest, dove avrebbe guadato il fiume per raggiungere Saffstal, non lontana dal confine. Sia Dark che Enemy dovevano andare a sud, ma il viaggio del primo sarebbe stato molto più lungo, e Marjudes era anche un po’ spostata verso est, rispetto a Sparsinia. Aspettò Enemy prima di partire, dopo aver preso il carro e il drago. «Facciamo il viaggio fino a Sparsinia insieme?», chiese quello dopo averlo trovato fuori dalla stazione di posta fermo. «Sì, ti va?», rispose Dark, e l’altro annuì. Spronarono i draghi e cominciarono il viaggio, verso le sette del mattino. Dark adorava il tragitto tra Fraksa e Sparsinia, bellissimo e incontaminato. L’erba ai lati del sentiero, dato che ormai era marzo, cominciava a prendere il colore dello smeraldo e a quell’ora coperta di rugiada che scintillava d’oro e argento al sole. «Guarda», lo chiamò Enemy fermando il drago e scendendo dal carro. Si inginocchiò per terra. Dark si fermò e lo seguì: c’era un bocciolo bianco per terra. «Questo è il Frakseiolore», osservò meravigliato. Avvicinò una mano e lo sfiorò con le dita per muoverlo: alla base aveva degli archi celesti come disegnati. «Quest’anno cominciano a spuntare presto, eh?», Enemy disse. «Eh già. Di solito arrivano poco prima dell’inizio della primavera... però stavolta mancano venti giorni». Il Frakseiolore era un bellissimo fiore che si trovava solo nelle pianure presso Fraksa: era quindi raro. Dopo essere sbocciato, aveva petali candidi, lunghi e tondeggianti alla base, che finivano in una punta azzurra. Il gambo era lungo e le foglie belle e aggraziate anch’esse. «Va bene. Riprendiamo il viaggio, ora...», si riscosse Enemy dopo un po’ e tornò sul carro. Dark fece lo stesso e proseguirono il viaggio. Al fiume si fermarono di nuovo, per riempire le borracce e far riposare i draghi. Dark si sedette sulla riva. Il fiume era placido e pulito, scorreva senza intoppi e scintillava al sole del mattino. Qualche pesce stava nuotando. Poi il ragazzo notò qualcosa che galleggiava a qualche metro da lì. Era una bottiglia chiusa con cura con un tappo di sughero, e dentro c’era una pergamena. La prese, avvicinandola a riva con un bastone, e la aprì. “Sono venuto a sapere che sei partito un po’ di giorni fa. Ora sarai arrivato a destinazione,” e dopo queste parole Dark rimase intrigato. Non pensava il messaggio fosse rivolto a lui, ma era curioso. “... ma non si sa mai. Spero tu legga questo messaggio. Non so se è quando questo messaggio ti arriverà, ma ti informo che il due marzo, di mattina, sarò ripartito da Sparsinia in direzione Saffstal, perché sono stato informato della presenza di un animale fuori controllo che sta causando molti danni sulla strada.” A Dark si fermò il cuore quando lesse le ultime parole. “Firmato: L. R.” «Enemy!», gridò, facendo sobbalzare l’altro, che stava seduto su un ceppo lontano dall’acqua. Gli spiegò brevemente la situazione, la precedente lettera di L. R. e il contenuto di quella appena trovata. «Sì, interessante. Ma abbiamo altri piani...», Enemy osservò. «Andiamo... aspetto di parlare con L. R. da due settimane. È un aiuto sicuro per la nostra causa», lo implorò Dark. Enemy sbuffò. «E va bene... ma non pensare di lasciarmi andare a Sparsinia. Vengo con te. Tu giri completamente disarmato - se fosse una trappola o se ci fosse davvero un animale fuori controllo, rischieresti la vita in entrambi i casi», disse. «E perché, tu hai qualche arma a parte il pugnale alla cintura?», chiese Dark, ironicamente, mentre saliva sul carro. Ma effettivamente Enemy rovesciò un grosso sacco che aveva portato sulle spalle alla stazione, e con un clangore metallico ne uscirono due spade, un grande arco in legno e uno scudo dello stesso materiale, ma con qualche borchia metallica. «Tieni una spada», disse a Dark, che senza parlare prese una lama. Cominciarono a viaggiare verso Saffstal, dopo aver guadato il fiume nel punto più basso. Lontano da tutti i sentieri c’erano ancora più animali e piante del solito. Alle nove e mezzo arrivarono sul sentiero tra Saffstal e Sparsinia. «Bene, quindi ora dove andiamo? Verso Saffstal o verso Sparsinia?», Enemy chiese. «Io direi verso di là», rispose Dark, indicando una collinetta alta una ventina di metri poco distante da dove si trovavano. Sulla cima c’era una grotta naturale, con muschio e piante che pendevano dall’arco dell’entrata. I due ragazzi andarono con il carro fino alla base, poi li legarono a un albero e cominciarono a scalare e a sentire ringhi e altri rumori sinistri. Arrivarono all’entrata della grotta, e tutto ciò che Dark riuscì a vedere fu un muro di squame verdognole. «Quello... è...», mormorò Enemy, con gli occhi sgranati. «Allontanatevi!», sibilò una voce. Veniva dai cespugli. Dark ed Enemy la raggiunsero. Era un uomo sulla ventina, con una spada e uno scudo e un arco con faretra sulla schiena. «Ma tu...», disse vedendo Dark. «Io cosa?», quello chiese. «Nulla», sussurrò l’altro dopo qualche secondo, scuotendo la testa. «Avete visto che sta mangiando?», chiese l’uomo. Gli altri due risposero negativamente. «Io l’ho visto. Era un uomo. L’ha trascinato nella tana cinque minuti fa... l’aveva ucciso lontano da qui.», spiegò quello, guardando per terra con un’espressione in mezzo tra il disgusto, la determinazione e la paura. «Aspetto torni fuori per piantargli una freccia in fronte e farla finita.», concluse. «Voi allontanatevi.», ma Dark rispose: «No, L. R.. Aspetto di incontrarti da tanto, e non ti lascerò rischiare così tanto», Dark gli rispose determinato. «Allora ci ho visto giusto. Sei tu.», sussurrò L., sgranando gli occhi meravigliato. «Mi presento, sono Lican Rafaelsson, un soldato che viene da Sparsinia. Non ti ho raggiunto in tempo perché sono stato trattenuto al confine per contenere un tentativo d’invasione della Gàllade. Sono arrivato il 27 febbraio, ed eri già partito... sperando fossi ancora in viaggio, per qualche motivo, ho inviato il messaggio il giorno dopo.», spiegò. Si sentì un rumore di ossa spezzate. «Ha finito», sussurrò Lican, mettendosi in posizione. Enemy prese l’arco e una freccia, e Dark strinse la spada, anche se gli tremavano le gambe e non aveva idea di come avrebbe fatto a combattere una creatura del genere. Qualche istante dopo, l’animale uscì dalla grotta. Era lungo almeno quattordici metri, con le gambe relativamente corte e tozze, ma spesse, con artigli enormi e ricurvi. La coda era metà della lunghezza dell’animale, e il collo era lungo tre metri e mezzo circa, con una grossa, lunga e compatta testa. Aveva corna lisce rivolte all’indietro e denti che spuntavano dalla bocca: ma la cosa più impressionante erano le ali da pipistrello, con membrane più scure del resto del corpo, piegate sulla schiena. Gli occhi erano stretti e piccoli, gialli, con pupilla da serpente, e iniettati di sangue. Lican doveva abbattere un drago.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre - 2 marzo 1104 ***


Il drago cominciò a camminare ondeggiando e facendo strisciare la coda per terra. Lican incoccò una freccia, con una goccia di sudore che gli scivolava sulla tempia. Il cuore di Dark batteva come un tamburo, ed Enemy stringeva l’arco tanto forte da avere le dita viola. Il dardo partì e colpì il drago al collo, ma non fu un colpo mortale. L’animale urlò e ruggì ferocemente, poi si voltò verso il cespuglio in cui i tre ragazzi erano nascosti. Lican posò l’arco e sguainò la spada, poi annuì a Dark ed Enemy, che lo guardavano con gli occhi strabuzzati, ed uscì dai cespugli con un urlo. Il drago lo squadrò e alzò una zampa anteriore, massiccia e pesante. Il soldato rotolò di lato e affondò la spada nella gamba del drago, che urlò e agitandosi riuscì quasi a colpirlo con la coda. Dark rabbrividì: se quella coda avesse colpito una qualsiasi persona, l’avrebbe uccisa. Non era un animale che si potesse uccidere in un duello rapido, Lican avrebbe dovuto sfiancare l’animale prima di abbatterlo. E così stava facendo, evitando o parando i sui colpi con il grosso scudo che aveva con sé. Enemy tese l’arco, concentrandosi e mirando. Doveva stare attento, perché spesso l’animale gettava verso il basso la testa per colpire, e avrebbe potuto mancare il colpo. Decise di scoccare quando il drago stava combattendo più con gli artigli, e colpì vicino a dove Lican aveva già conficcato la sua feccia. Ma i draghi occidentali, Dark lo sapeva, avevano una pelle spessa almeno una ventina di centimetri e le squame erano dure. Era praticamente impossibile trafiggerne uno con un singolo colpo. E infatti i colpi che Lican aveva inflitto erano superficiali e non sembravano dare troppi pensieri all’animale. A malapena sanguinavano, solo ogni tanto per i continui movimenti del drago cadeva una goccia di sangue. Il combattimento andava avanti da più di venti minuti quando qualcosa di rilevante successe per la prima volta: e sfortunatamente fu Lican a venire colpito dalla massiccia coda. Volò contro un albero e ci sbatté contro di schiena. Cadde al suolo con una goccia di sangue che gli uscì dalla bocca, e si rialzò a fatica, stordito e traballante, mentre l’animale si avvicinava minaccioso, coperto di ferite, ma tutte poco gravi, e con la bava alla bocca. A quel punto Enemy strappò la spada dalle mani di Dark e con un grido balzò fuori dai cespugli, lasciando l’arco lì. Dark lo guardò e poi decise di prenderlo, nonostante la paura. Era abbastanza bravo nel tiro con l’arco, l’aveva praticato molto quando era più piccolo. La faretra di Enemy però era fuori dal cespuglio, si sarebbe dovuto scoprire per prendere le frecce. Guardò il drago che combatteva. Lican stava cercando di riprendere l’equilibrio, mentre Enemy teneva la bestia occupata colpendola alle zampe, per distrarla. Dark allora si avvicinò al limite del cespuglio, senza sapere se sarebbe stato più conveniente correre a prendere la faretra o strisciare. Enemy gridava e faceva rumore, per distrarre il drago da Lican, quindi magari avrebbe potuto passare inosservato sia di corsa che strisciando, però il drago guardando Enemy guardava anche nella direzione di Dark. Alla fine il ragazzo decise di rischiare e forse fuori, prese la faretra, noncurante delle due frecce che caddero a terra, e tornò nel nascondiglio con uno scatto felino. Poi rapidamente prese una freccia e la incoccò. In quei tre anni di tiro con l’arco agonistico aveva imparato una tecnica più che altro scenica da usare su bersagli grandi: sapeva incoccare e scoccare rapidamente, mettendoci poco a mirare. Il drago era abbastanza massiccio per usarla, ma il ragazzo controllò il vento prima, e con suo sommo sollievo praticamente non ce n’era. Così cominciò a scaricare la raffica di frecce sul drago, che gridò di dolore e sorpresa, distraendosi. Enemy lanciò un’occhiata verso il cespuglio, poi verso la coda del drago, e balzò in avanti menando a tutta forza un fendente. Un pezzo di coda lungo quasi un metro e mezzo cadde sanguinante nell’erba, tagliato via dal resto. Il drago urlò, era la prima ferita seria che gli veniva inflitta. Ma se il drago fosse sopravvissuto non sarebbe stato un problema, la coda gli sarebbe ricresciuta, come ricresceva alle lucertole. Lican in quel momento si riprese e si rimise in posizione. Con la coda gravemente ferita il drago perdeva progressivamente energie, e aveva un’arma in meno. Ma aveva anche guadagnato una furia incontrollabile. Si acquattò come un gatto, in maniera un po’ buffa visto il lungo collo, ringhiando contro Enemy, che gli balzò contro con la spada. Aveva malinterpretato. Pensava fosse un segnale di resa e debolezza. Invece il drago alzò di scatto la testa, ferendo Enemy ai fianchi con le corna e scaraventandolo in aria. Il ragazzo ricadde dietro al drago, vicino alla coda mozzata, e rimase inerme. Dark raggelò. Un colpo del genere poteva averlo ucciso. Di nuovo il drago si acquattò, avvicinandosi al corpo di Enemy. Lican corse in avanti, pronto all’attacco, ma Dark fu più rapido; visto come l’animale stava fermo lanciò in fila tre frecce: una colpì la bestia nell’occhio, le altre due l’una accanto all’altra sul collo. Il rettile proruppe in un ruggito straziante e fortissimo, e si girò verso il cespuglio. Adesso aveva notato Dark, ma Lican gli era addosso e vista la distrazione del nemico ebbe l’occasione di passargli da parte a parte una massiccia zampa anteriore, che era così spessa da lasciar spuntare solo la punta della spada, affondata fino all’elsa nella carne. Lican, in segno di grande abilità e destrezza, estrasse con una sorprendente rapidità la lama e balzò all’indietro, evitando un morso del drago, e approfittando della testa abbassata gli colpì la mascella con l’impugnatura della spada, con tale forza che un dente dell’animale volò via e cadde nell’erba, riempiendo di gocce di sangue l’arco che percorse in aria. Ora la bestia era abbastanza distratta e lontana da Enemy, così Dark corse fuori e trascinò l’amico nel nascondiglio, con il cuore che gli martellava a tutta velocità le costole per lo spavento, terrorizzato e quasi paralizzato dalla sola idea che il drago potesse girarsi e vederlo. Per questo c’era voluto uno sforzo immane per correre e trascinare Enemy sotto il cespuglio, tanto che gli facevano male e gli tremavano gambe e braccia, e non aveva più fiato. Tornò a concentrarsi sulla battaglia in tempo per vedere Lican che trafiggeva di nuovo la stessa gamba di prima, che ormai il drago teneva piegata e alzata da terra. Poi il guerriero la usò come appoggio per saltare e atterrò sulla nuca dell’animale, ma prima che Lican potesse fare qualsiasi cosa, il drago spiccò il volo, lasciando Dark atterrito. Ma nemmeno questo bastava a scoraggiare quel soldato. Avrebbe anche fatto a pugni con la morte, se avesse potuto, noncurante di quella temibile falce ricurva. Affondò la spada nella spalla destra del drago e la spinse in avanti, al che il drago strillando di dolore cominciò ad andare in picchiata. Quando fu abbastanza vicino al suolo, mentre Lican estraeva la spada, il drago roteò su sé stesso disarcionandolo e facendolo cadere con poca eleganza a terra. Il guerriero riuscì di nuovo a rialzarsi, tremando per la stanchezza e per i vari colpi ricevuti, e si preparò. La bestia ora stava volando verso l’alto, poi sembrò stesse volando via, oltre la sua caverna, ma subito dopo tornò indietro, volando a poco più di un metro dal suolo, con le fauci spalancate, contro Lican. Il soldato rotolò in avanti e alzò la spada mentre il drago gli passava sopra, conficcandola nella pancia gialla e squamosa, ed estraendola solo quando aveva creato un taglio di due metri e mezzo nel ventre del rettile. La bestia atterrò goffamente e perse l’equilibrio, cadendo in avanti e rantolando, poi, senza girarsi a guardare Lican, si alzò e spiccò, a fatica, di nuovo il volo. E se ne andò, con le squame verdi rilucenti al sole che cominciava a scendere, con tagli scintillanti di rubino che lasciavano una sottile scia di gocce alle loro spalle.

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