Lontani dagli occhi, vicini col cuore

di Amily Ross
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovi Inizi ***
Capitolo 2: *** Accanto a te, lontano da te... ***
Capitolo 3: *** E tutto va... ma non del tutto va. ***
Capitolo 4: *** La Dura Legge del Goal ***
Capitolo 5: *** Io ci sarò… Un amico è così… (prima parte) ***
Capitolo 6: *** Io ci sarò… Un amico è così… (seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Io non ho finito! ***
Capitolo 8: *** Una su un milione ***
Capitolo 9: *** Tra amore e amicizia: semplicemente noi – nient’altro che noi ***
Capitolo 10: *** L'amicizia è... (prima parte) ***
Capitolo 11: *** L'amicizia è... (seconda parte) ***
Capitolo 12: *** There you'll be ***
Capitolo 13: *** Home sweet home ***
Capitolo 14: *** La Roulette Russa ***
Capitolo 15: *** È tutta questione di destino… ***
Capitolo 16: *** Quando meno te l'aspetti ***
Capitolo 17: *** On the Road... ***
Capitolo 18: *** Mamma & Papà... ***
Capitolo 19: *** Il mio mondo insieme a te ***
Capitolo 20: *** Me la caverò! ***
Capitolo 21: *** Strada facendo... ***
Capitolo 22: *** Memorie di un calciatore ***
Capitolo 23: *** Welcome to Russia ***
Capitolo 24: *** Amici e nemici... anche fuori dal campo ***
Capitolo 25: *** Amici e nemici… anche in campo, la sfida continua ***
Capitolo 26: *** We are the Champions! ***
Capitolo 27: *** E se fosse per sempre? ***



Capitolo 1
*** Nuovi Inizi ***


Note introduttive: eccomi qua, gente, finalmente sono tornata, ebbene sì… dopo un anno ecco qui il tanto agognato sequel del Ritiro, l’ispirazione è tornata, e per i nostri cari calciatori le vacanze sono finite, ora è tempo di ricominciare. Come già detto in precedenza qui verranno spiegate alcune cose lasciate in sospeso nella precedente fiction, ma senza fretta. xD ringrazio ancora tutti voi che mi avete sostenuta con il Ritiro e il Diario di Grace, voi che avete costantemente recensito e voi che avete amato con me questi personaggi – anche Fanny – siete stati davvero fondamentali nella stesura di quelle fiction a me/e a voi tanto care. Non nego di essere un po’ emozionata per questo improvviso ritorno, e tanto felice di pubblicare. Che dire? Vi aspetto e spero che tutto questo vi piaccia. Un ringraziamento particolare e doveroso, va alla mia Darling, reggina. Senza di lei probabilmente non sarei qui a pubblicare, lei, compagna di scleri e notti di puro cazzeggio. ♥ Bien, gente, adesso la smetto di ciarlare e vi lascio alla storia. Un bacione immenso, la vostra affezionatissima Amy.

 

Capitolo 1: Nuovi inizi

 

Le vacanze natalizie sono ufficialmente finite, le università riaprono i battenti e con esse anche i campionati riprendono incessanti. Chi in Francia, chi in Germania, chi in Giappone, i nostri campioni riprendono a dar calci ad un pallone.

Molte cose sono cambiate da quel ritiro, che rimarrà nei cuori per gli anni a venire. Uno tra questi è sicuramente il Baronetto, mai Julian avrebbe immaginato di ritrovarsi la cugina – Fanny – tra lo staff delle managers; così come mai avrebbe immaginato di potersi dichiarare e vivere alla luce del sole il suo amore con Amy – la sua storica manager ora affiancata dalla cugina.

Fanny dal canto suo, mai avrebbe pensato di poter iniziare ad amare il calcio, ha imparato che non tutto è scontato e che a volte le apparenze ingannano. Se quel giorno non avesse incontrato Marshall ora non sarebbe la ragazza di Benji.

Il portiere è dovuto tornare ad Amburgo, mai avrebbe pensato che potesse mancargli così tanto Fanny. Per fortuna, grazie alla tecnologia, possono sentirsi e vedersi in ogni momento libero – nell’attesa di poter stare presto insieme.

Holly e Patty, sono la nuova coppia del momento. Nessuno avrebbe mai scommesso uno yen che il tonto capitano sarebbe riuscito a mettersi con la storica manager maschiaccio, e invece il miracolo è accaduto.

Tom dimenticata velocemente Azumi, ha conosciuto una nuova ragazza, Charlotte, con la quale si frequenta da qualche settimana.

Non tutto va come deve andare, per alcuni c’è aria di tempesta, presto una catastrofe spezzerà l’equilibrio di una coppia e dei loro amici.

***

 

Amburgo: lunedì 10 gennaio, 2018 campo di allenamento, h. 16:00

La seduta di allenamento è appena iniziata, i calciatori stanno eseguendo gli esercizi di riscaldamento, tutto procede normalmente, i ragazzi corrono lungo il perimetro del campo seguiti dal mister. Grace in panchina, da brava manager, sistema tutto con puntiglio.

«Va bene, basta scaldarsi. Indossate le pettorine e schieratevi in campo, oggi faremo una partitella.» dichiara Thomas Schneider. La squadra annuisce, e prontamente, si schiera sul rettangolo verde, l’allenatore fischia l’inizio dell’incontro ed il gioco comincia.

La partitella procede senza grossi intoppi, con la squadre dalle pettorine rosse – capitanata dal Kaiser – in svantaggio per una rete a zero, contro quella dalle pettorine gialle – capitanata da Benji – artefice del goal ai danni di Müller è stato Jara.

Price sorride godendosi il vantaggio della sua squadra, sperando che i suoi due amici/rivali – Karl ed Hermann – non violino la sua porta, ma qualcosa lo turba deconcentrandolo leggermente dal gioco: Karl. Il Kaiser sembra ancora non esser entrato in partita, è lento e non riesce a giocare come è solito fare.

Dopo il goal, il secondo portiere dell’Amburgo rilancia il pallone ai suoi compagni, tutta la squadra marcata, si spinge in avanti, il pallone giunge ai piedi di Schneider –  che affiancato dall’onnipresente Kaltz – raggiunge la porta di Benji.

Il portiere li guarda con un sorriso, l’amico sembra tornato il solito di sempre, e ciò gli permette di rilassarsi e concentrarsi sull’incontro e sulla cannonata che a breve dovrà cercare di non fare entrare nella sua porta.

Karl lo guarda un attimo, uno strano lampo, attraversa i suoi occhi azzurri e sorride passando la sfera ad Hermann che inizialmente finge di tirare in porta, ma poi alza in alto il pallone; Price li guarda confuso, sorride lievemente e li lascia fare, attendendo il tiro. Ormai ha capito che a tirare sarà il Kaiser, che proprio in quel momento spicca un salto e si gira in aria per tentare la rovesciata.

Benji apre lievemente la bocca incredulo, il signorino tedesco, sa benissimo che oltre al suo tiro speciale non riesce a parere nemmeno la nota rovesciata del connazionale Hutton. “Che hai in mente?” si chiede, giusto il tempo di formulare il pensiero, che il pallone in discesa viene violentemente colpito dal biondo. Il bastardo ha unito la potenza della rovesciata a quella del Fire Shot. Una bomba impossibile da parare, insomma.

Ovviamente il portiere ci prova con tutta la sua abilità a non farla entrare, ma è del tutto inutile, il pallone entra facendo una parabola perfetta sotto la traversa – Price si tuffa – ma la palla schizza giù velocemente insaccandosi nell’angolino basso della porta. Benji ricade sbattendo il polso destro sul terreno di gioco, ma non se ne preoccupa più di tanto, si alza e sorride all’amico, mentre il mister fischia decidendo di far finire la partitella al 45’.

Schneider sorride vittorioso ed alza il pugno destro al cielo, Benji sorride e gli si avvicina. «Ammetto che questa non me l’aspettavo, gran bella mossa, bravo, Kaiser.» dice stringendolo. «Mi è venuta al momento di tirare, credo la userò anche domenica contro il Bayer.» risponde Karl. Price sorride assieme ad Hermann, e col resto della squadra, raggiungono la panchina – dove alcuni bevono ed altri si asciugano il sudore.

Grace si avvicina al fidanzato e lo stringe. «Wow! Che tiro, sei stato fantastico, amore mio.» gli sussurra all’orecchio per poi baciarlo, lui sorride, la solleva da terra e ricambia il bacio con infinita dolcezza. «Siete tutti in ottima forma, gran bel tiro, Karl.» dice Thomas Schneider, orgoglioso del figlio e soddisfatto della buona forma fisica dei suoi ragazzi. «Adesso ci spostiamo in palestra.» dichiara avviandosi verso l’interno della struttura.

I calciatori e la manager lo seguono. «Amore come ti senti?» chiede Grace mano nella mano col fidanzato. «Non preoccuparti, Starlet,[1]  sto benissimo nessun mal di testa.» risponde il Kaiser sorridendole, mentre entrano in sala attrezzi.

Arrivati in palestra i calciatori prendono posto sui vari attrezzi, riprendendo così l’allenamento. «Che ti ha detto?» chiede il mister avvicinandosi alla manager. «Ha detto che si sente bene, nessun mal di testa o altri fastidi.» risponde lei. «Capisco. L’ho osservato durante la partitella, nei primi dieci minuti non è stato partecipe, poi si è sbloccato ed ha fatto quel goal sensazionale.» dice Thomas con un sorriso fiero, osservando il figlio sulla panca, mentre esegue degli addominali.

La ragazza annuisce con un sorriso, osservando anche lei il ragazzo, con occhi sognanti perdendosi in quei muscoli che si contraggono e decontraggono appena percettibili dalla maglia aderente. «Grace in ogni caso, anche se oggi sta bene, tutta questa storia mi preoccupa. Stanotte è stato nuovamente male.» sospira l’uomo, seriamente preoccupato per la salute del figlio. Nell’apprendere la notizia gli occhi della manager si velano di lacrime, ma non piange, lei è Grace la forte – perché sì, adesso è tornata ad esserlo.

Guarda ancora un attimo il fidanzato, poi volge lo sguardo ambrato al mister e sorride. «Lo so, anche io e i ragazzi siamo preoccupati. Stai tranquillo, oggi gli parlerò e cercherò di convincerlo a fare delle analisi. Hai la mia parola, Thomas.» sorride Grace decisa, non le importa, ormai ha deciso – o con le buone o con le cattive – lo costringerà a fare un controllo.

L’allenatore sorride riconoscente, è felice che questa dolce e temeraria ragazza sia la manager della sua squadra e fidanzata di suo figlio, soprattutto. L’allenamento continua tranquillamente, tutti i ragazzi sui vari attrezzi, continuano a svolgere i rispettivi esercizi.

Karl inizia ad accusare la fatica dello sforzo, e come ogni volta che ciò accade, arriva il consueto mal di testa, ma non gli dà peso, continua gli addominali imperterrito – non un cenno che lasci intendere il crescente malessere. Sarà solo un eccessivo periodo di stress, così convince se stesso a non fermarsi, spronandosi ad andare avanti, rassicurando così anche gli altri che si preoccupano per lui.

Alle 18:00 in punto Thomas Schneider dichiara finito l’allenamento, gli atleti abbandonano gli attrezzi e vanno a fare le docce. Benji sente un leggero dolore al polso destro, ma non se ne preoccupa più di tanto, associandolo alla botta presa prima, con una pomata passerà tutto nell’arco di due giorni.

I ragazzi ridono e scherzano sotto le docce, Kaltz osserva il suo migliore amico, che non si accorge dello sguardo e a occhi chiusi si sciacqua i capelli, trovando anche sollievo dal potente mal di testa che continua a infastidirlo senza dargli tregua.

Intanto Grace sul rettangolo verde, da brava manager qual è, mette i palloni nella rete, riponendoli poi nel magazzino e le pettorine in un cesto per lavarle, nel frattempo pensa a come convincere il fidanzato a farsi fare un controllo. Sa bene che non sarà facile, ma non ha nessunissima intenzione di arrendersi, non l’ha mai fatto in tutta la sua vita e non intende farlo adesso.

***

Casa Schneider: camera di Karl, h. 19:00.

Il Kaiser è disteso sul suo letto, sebbene abbia preso un analgesico, il mal di testa non è ancora del tutto passato, ma inizia ad attenuarsi. Ha gli occhi chiusi e sta quasi per addormentarsi, quando la suoneria di un messaggio lo costringe a riaprire le sue gemme azzurre.

Allunga la mano destra e prende il cellulare poggiato sul comodino per leggerlo.

«Amore ci vediamo? Devo parlarti.»

Sorride leggendo il messaggio della fidanzata. «Va bene, Starlet, ti porto a cena fuori, passo a prenderti tra un’ora.» risponde Karl sospirando, immaginando già di cosa vorrà parlargli la sua dolce e temeraria manager.

Guarda l’orario sul display e decide di mettere la sveglia per concedersi un’altra mezz’oretta di riposo, nella speranza che il dolore passi definitivamente, posa il cellulare sul cuscino e chiude gli occhi cercando di rilassarsi senza pensare a nulla, poco dopo si addormenta.

Casa Machida: camera di Grace, h. 19:00.

«Ich liebe dich, Kaiser! » gli scrive ancora lei , per poi aprire il contatto del suo migliore amico e mandare un messaggio anche a lui.

«Vado a cena fuori con Karl, ho tutte le intenzioni di convincerlo a fare un controllo.
Potrei aver bisogno di te ed Hermann.» gli scrive. Benji è online, in quanto sta messaggiando proprio su WhatsApp con Fanny, attendendo la risposta della fidanzata risponde all’amica.

«Noi abbiamo deciso di andare al Paulaner’s, come sempre del resto.
Almeno che non abbia intenzioni di portarti in un ristorante di lusso possiamo vederci lì.» scrive il portiere.

«Va bene, allora ci vediamo lì. Dite a Derek di farvi mettere nella sala fumatori, così Karl non si accorgerà della vostra presenza.» risponde ancora Grace.

«Agli ordini!» risponde Benji, rispondendo poi al messaggio della fidanzata.

Grace torna sul contatto del fidanzato e sospira vedendo che l’ultimo accesso è delle 19:00, e a un quarto d’ora dall’invio, non lo ha ancora letto, poggia il cellulare sul letto, prepara i vestiti e va a farsi una veloce doccia.

Automobile di Schneider, h. 19:55.

Karl del tutto ripresosi dal mal di testa, sta aspettando da circa cinque minuti la fidanzata a bordo della sua Porsche Carrera nera, intanto si stranizza del fatto che né Price né Kaltz lo abbiano chiamato per uscire, poi sorride; immaginando il primo al computer a fare Skype con la fidanzata in Giappone, e il secondo che avrà optato di passare la serata alla Playstation in compagnia dell’immancabile birra e stecchino in bocca.

Il candido sorriso del Kaiser si allarga ancora di più quando Grace esce di casa – bellissima come sempre – con indosso una minigonna in velluto nero, i collant color carne, le immancabili ed insostituibili Dr. Martens, un golfino bianco come la sciarpa ed il cappotto nero. I lunghi e morbidi capelli mossi lasciati sciolti sulla schiena, appuntati ai lati con due forcine e i bellissimi occhi ambra liberi dagli occhiali – ormai li indossa raramente – optando il più delle volte per le lenti a contatto.

Grace entra in auto, lo stringe e lo bacia, Karl le carezza  i capelli e ricambia con dolcezza. «Come stai?» gli chiede dopo essersi staccati dal bacio. «Benissimo!» risponde lui con un bel sorriso; lei lo osserva, annegando inevitabilmente nei suoi profondi e meravigliosi occhioni azzurro ghiaccio. Il suo bel viso è rilassato e i suoi occhi sono sinceri, ormai dopo tre anni, è capace di leggere in essi ogni emozione e sensazione. «Va bene, mio bel Kaiser.» dice infine Grace, ancora persa negli occhi del fidanzato.

«Ti sei incantata?» le chiede Karl trovandola dolcissima, dandole un tenero buffetto sul naso. Grace sorride e scuote la testa. «Ammiravo solo i tuoi bellissimi occhi.» mormora, mentre le sue guancie si tingono di rosso, lui sorride e la guarda trovandola bellissima e dolcissima. «Paulaner’s?» chiede. «Come sempre.» ride lei.

«No, sul serio, se vuoi ti porto in un posto più romantico.» dice Schneider mettendo in moto. «Assolutamente no, il Paulaner’s va benissimo. Nessun posto per me è più romantico di quello, non perché negli effetti lo sia, ma perché è lì che ci siamo messi assieme e per me significa molto.» risponde sinceramente Grace, mettendo la mano su quella che lui tiene sul cambio.

Karl sorride e poco dopo parcheggia proprio davanti al locale che ha visto sbocciare il loro amore, proprio tre anni fa. Il biondo esce dall’auto, e veloce, raggiunge la portiera del passeggero, che apre cavallerescamente. «Starlet!» dice con tono dolce, porgendole la mano. Grace sorride divertita, l’afferra ed esce. «Kaiser!» risponde a tono, prendendo la gonna con la mano libera, facendo un lieve inchino.

Schneider sorride e la guarda perso, mai avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe innamorato così perdutamente di una ragazza, tantomeno di una giapponese. Tante ragazze sono entrate nella sua vita – nel suo letto soprattutto – ma mai nessuna è entrata nel suo cuore come solo Grace è riuscita a fare.

Paulaner’s Miraculum: sala fumatori, h. 20:15

Benji ed Hermann sono arrivata con largo anticipo rispetto ai due amici, e per non farsi beccare, oltre ad aver preso posto nella sala fumatori – nella quale si stanno terribilmente intossicando – hanno parcheggiato le moto al garage del figlio del proprietario, il loro amico Derek. «Illuminami, perché siamo qui ad intossicarci di fumo e non nella solita sala?» sbuffa Kaltz sventolando una mano davanti al proprio naso.

«Perché dall’altro lato ci stanno i due piccioncini, Grace vuole costringere Karl a fare un controllo, mi ha detto che potrebbe aver bisogno del nostro aiuto.» spiega Price, non badando al terribile puzzo di fumo, bevendo tranquillamente la sua birra. «E cosa dovremo fare esattamente?» chiede ancora il tedesco. «E cosa vuoi che ne sappia, suppongo intervenire nel caso il caro Kaiser inizi a protestare. E non fare l’esagerato per un po’ di nicotina, non è mai morto nessuno, lo so c’è puzza, ma se Schneider ci vede si incazza.» dice ancora Benji, mentre la cameriera di turno porta loro la cena.

Hermann sorride alla ragazza, la quale purtroppo per lui, ha occhi solo per il bel portiere nipponico – non sapendo che questo si è fidanzato. «Hai ragione, se siamo qui per convincere quella testaccia dura a fare un controllo posso anche sopportare un po’ di fumo, la salute di Karl vale di più di qualche indumento impuzzato.» risponde il biondo, dopo che la cameriera è andata via. Benji annuisce con un sorriso ed inizia a mangiare. Nulla è più importante della salute di un amico, e lui, per i suoi migliori amici è disposto a fare di tutto.

Paulaner’s Miraculum: sala non fumatori, h. 20:15

I due fidanzati sono appena arrivati al locale, Derek li accoglie facendoli accomodare gentile e ospitale come sempre. «Il solito?» chiede, facendo annuire i due amici. Sparisce scrivendo le ordinazioni e torna poco dopo con due birre e degli stuzzichini. «Lizzy sta già preparando per voi.» dice poggiando tutto quanto sul tavolo.

«Grazie, Der.» sorride Karl, prendendo un sorso di birra, poi una manciata di arichidi. Grace sorride guardandolo e mangia qualche patatina, sapendo che nella sala accanto ci stanno già i due amici, in quanto Benji le ha mandato un messaggio poco prima che lei uscisse di casa. «Di cosa volevi parlarmi, amore?» chiede il Kaiser non riuscendo più a trattenere la curiosità.

«Non c’è fretta, Karl, abbiamo tutta la sera per parlare di tutto quello che vogliamo.» sorride dolcemente Grace, bevendo poi un po’ della sua birra.  Il ragazzo sospira e annuisce, sorridendole e sgranocchiando distrattamente stuzzichini, finché Derek non porta loro la cena.

Con un bacio a fior di labbra si augurano buon appetito, ed entrambi iniziano a mangiare, Karl è insolitamente silenzioso e pensieroso, anche Grace mangia in silenzio e pensierosa – pensando a come prendere il discorso – mentre lo guarda e gli sorride per non farlo insospettire più di tanto, in quanto sa che il suo ragazzo non è affatto scemo, e che forse, ha già capito tutto.

La manager ingoia il boccone, prendendo definitivamente il coraggio di esporre la questione, ma il fidanzato l’anticipa. «So già qual è lo scopo di questa uscita e la mia risposta è sempre la stessa: è solo stress, non avete alcun motivo di preoccuparvi così tanto.» dice guardandola dritto negli occhi. «Karl, amore mio.» sussurra Grace stringendogli la mano e ricambiando lo sguardo, riuscendo a stento a trattenere le lacrime.

«Ti prego fallo per me, probabilmente hai ragione tu, ma non ti chiedo chissà cosa, voglio solo che domani fai un prelievo. Ho già preso appuntamento con l’ambulatorio di analisi.» dice in lacrime, stringendogli più forte la mano e non smettendo di fissarlo. Karl la guarda, sospira e chiude un attimo gli occhi. «E va bene, domani farò questo prelievo così starai più tranquilla.» risponde con un sorriso, alzandosi e stringendola forte. «Non piangere, Starlet, poi mi diventi brutta col trucco sbavato.» le dice ancora, cercando di farla ridere, asciugandole gli occhi con un tovagliolo di carta.

Grace lo guarda e sorride stringendolo forte. «Grazie, amore mio. Se non vuoi andare solo posso venire con te.» gli propone con un dolce sorriso. “È andata bene, pensavo avesse fatto più storie.” pensa. Karl la guarda, ponderando la proposta, poi annuisce baciandola teneramente e lei ricambia più sollevata.

«Vado un attimo in bagno a sistemarmi il trucco, dato che sono diventata un panda.» ride la ragazza dopo il bacio, il calciatore ride a sua volta, le dà un bacio sul naso e annuisce tornando al suo posto, riprendendo a mangiare. Grace arrivata in bagno, si sistema il trucco che ormai è un mezzo disastro e ne approfitta per mandare un messaggio a Benji e informarlo della decisone dell’amico.

Poco dopo torna in sala, dove il fidanzato l’accoglie con un sorriso. «Pensavo che dopo il prelievo potremo andare a fare colazione e poi andare direttamente agli allenamenti.» le dice pulendosi la bocca con il tovagliolo e poi bere la birra. Grace lo guarda un attimo assorta, poi annuisce. «Alle 7:30 dobbiamo essere già lì per le analisi.» gli dice. «E sia, alle 7:15 sarò da te e non farmi aspettare mezz’ora in auto come tuo solito.» le risponde lui ridacchiando. Grace per tutta gli risposta sorride e gli esce la lingua.

La cena passa in tutta tranquillità, tra chiacchiere e risate, una volta finita Karl paga e vanno a fare un giro alle bancarelle, lungo il viale che costeggia il fiume Elba. «Se papà me lo concede, anziché andare a Leverkusen con il resto della squadra per la trasferta di domenica prossima, vorrei andarci sabato con te e passare un weekend romantico.» dice Karl fermandosi davanti a una bancarella, mentre osserva dei braccialetti, interessato.

«Va bene, mi piace come idea, amore mio. Spero proprio che tuo padre acconsenta alla tua richiesta.» risponde Grace con un dolcissimo e bellissimo sorriso, il Kaiser ricambia il sorriso e prende una cordicella rossa con delle lettere e un cuoricino in argento, a dividerle. «Potrebbe farmene uno con la K e la G, con in mezzo un cuore e una stella?» chiede al tipo della bancarella, lui annuisce e si mette subito a lavoro.

«Karl…» sussurra Grace guardandolo con occhi lucidi di commozione e colmi di gioia. «Shhh. Non dire nulla, Starlet.» risponde lui baciandola con dolcezza. «Ecco a lei, le piace?» chiede l’uomo mostrando il braccialetto al ragazzo, che annuisce e mette la mano destra dietro la schiena per prendere il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. «Ma lei è Schneider?» chiede ancora l’uomo, riconoscendolo. «In carne ed ossa.» risponde il biondo con un sorriso. «Quanto le devo?» chiede subito dopo, gentilmente, aprendo il portafoglio in pelle nera, pronto a estrarre i soldi.

«Un autografo e siamo in pace. Mio figlio è un suo grande ammiratore, siete il suo idolo.» dice il tipo. Karl sorride, ma scuote la testa. «L’autografo glielo faccio solo se si fa pagare il bracciale.» insiste il calciatore. «Va bene, verrebbe dieci euro, ma per le è cinque.» risponde l’uomo con un sorriso. Karl sospira, capendo che non glielo passerà mai a prezzo intero perché è lui, ma è già un passo avanti, visto che nemmeno voleva farselo pagare; paga e gli fa l’autografo su un taccuino che il tipo gli porge, ringrazia consegnandogli carta e penna e prende il braccialetto, mettendolo al polso sinistro della fidanzata.

Grace osserva il braccialetto che lui le ha appena legato al polso e sorride. «Grazie, amore mio, è bellissimo e tu sei dolcissimo.» gli dice mettendosi in punta di piedi per baciarlo, lui la stringe forte sollevandola, e ricambia pensando che la ama con tutto se stesso.

Passeggiano un altro po’ per le vie di Amburgo, poi verso le 22:30 decidono di prendere l’auto per tornare. Karl guida cercando di non dar troppo peso al mal di testa, che è di nuovo tornato prepotente, non vuole darlo a vedere per non far preoccupare ancora la fidanzata. Accende lo stereo e si ferma davanti a un semaforo rosso, voltandosi a guardarla. «Scegli tu che canzone mettere.» le dice baciandola sulla fronte e ripartendo.

Grace annuisce e cambia le varie stazioni radio, per trovare qualcosa di decente da ascoltare, ma non trova nulla e intanto Schneider si ferma davanti casa sua.  «Allora ci vediamo domani alle 7:15, Starlet?»  chiede spegnendo momentaneamente l’auto, la ragazza annuisce e gli carezza la guancia, lui sorride e chiude gli occhi – provando un lieve sollievo dal dolore. La stringe forte e la tiene tra le sue braccia, inebriandosi del profumo dei suoi capelli. Vorrebbe non staccarsi mai più da quell’abbraccio che lo fa stare bene, ma la vita è fatta anche di altre cose, non solo di coccole. «Ti amo.» sussurra al suo orecchio senza lasciarla, lei sorride e ricambia la stretta carezzandogli i capelli con delicatezza.

«Anche io, troppo.» sussurra Grace allontanando il viso dalla spalla del suo ragazzo, per specchiarsi nei suoi meravigliosi cristalli di neve. Karl la guarda intensamente, le carezza la guancia e la bacia. «Guten nacht, Starlet.»[2] le dice dopo il bacio, Grace sorride facendo brillare i suoi occhioni ambra e poggia la mano su quella di lui sulla sua guancia. «Guten nacht, Kaiser.» risponde baciandolo a fior di labbra, per poi uscire dalla macchina ed entrare in casa.

Karl sorride, aspetta che entra e riaccende l’automobile per tornare a casa sua. La testa gli gira e duole terribilmente, accelera e raggiunge velocemente la sua abitazione, parcheggia l’auto nel vialetto di casa, dietro quella del padre. «Scheiße!»[3] sussurra poggiando le braccia sul volante ed il capo sopra di esse. La testa gli duole più del solito e ha anche una nausea terribile, stringe occhi e denti e si fa forza per uscire dalla vettura, mette l’antifurto ed entra in casa in punta di piedi, chiude pianissimo la porta e corre come un felino in camera sua, al piano di sopra, sperando di non svegliare i genitori e la sorellina.

Casa Schneider: camera di Karl, h. 23:15.

Il Kaiser si chiude in camera sua e poggia il braccio contro la porta, poggiandogli sopra la testa, con la vana speranza di alleviare un po’ il dolore, sospira e alla fine si cambia per mettersi a letto e riposare; un improvviso capogiro però lo costringe a poggiarsi al muro per non cadere a terra, mentre il senso di nausea si fa sempre più intenso.

Reggendosi al muro con la mano sinistra, raggiunge il bagno – che per fortuna ha in camera – tenendo la mano destra premuta sulla bocca, entra, accende la luce e si china sul water rimettendo la cena e anche l’anima. Spera che vomitare allevi il dolore, questa volta sul serio, in genere è sempre così; tira lo sciacquone e raggiunge il lavandino per sciacquarsi viso e bocca, poi si guarda allo specchio: ha un aspetto orribile, gli occhi arrossati per lo sforzo ed è pallido da far paura.

Sospira e torna in camera, si stende sotto le coperte, imposta la sveglia e poggia il cellulare sul comodino chiudendo gli occhi per cercare ristoro nel sonno. Il dolore non accenna a diminuire, il povero Karl si gira e si rigira nel letto iniziando a piangere – non è molto da lui – ma il dolore lancinante lo sta uccidendo; passa così la buona metà della notte, alle 2:30 circa, vinto dal sonno e dalla stanchezza si addormenta esausto.

Amburgo: martedì 11 gennaio, 2018 laboratorio di analisi cliniche, h. 7:35.

Karl e Grace sono arrivati da circa cinque minuti, stanno seduti in sala d’aspetto nell’attesa di esser chiamati dentro, lei si è accorta dell’espressione semistravolta del fidanzato, ma non dice nulla – si limita a stringergli la mano e coccolarlo. Lui sta seduto alla sua sinistra, con la testa poggiata sulla sua spalla e con gli occhi chiusi. «Sto morendo dal sonno, stanotte non riuscivo ad addormentarmi.» dice, Grace lo stringe più forte e lo coccola con tutto il suo amore, finché non vengono chiamati.

Schneider sta disteso sulla lettiga, mentre Grace è rimasta fuori ad aspettare, l’analista dopo avergli fatto qualche domanda di routine inserisce l’ago nella vena del suo avambraccio sinistro e inizia a riempire la prima provetta col sangue del ragazzo. «Senta, sono un calciatore, tra un’ora e mezza ho allenamento. Posso?» chiede. L’analista lo guarda e passa a riempire la seconda provetta. «Certo che puoi, Kaiser, solo fai una buona colazione e non strapazzarti troppo.» risponde con un sorriso paterno, avendolo riconosciuto, e iniziando a riempire la terza e ultima provetta.

Karl annuisce e chiude gli occhi, aspettando la fine del prelievo. «Fatto!» dichiara l’analista poco dopo, sfilando l’ago delicatamente e tamponando la fuoriuscita di sangue, per poi mettere un cerotto. «Rimani disteso due minuti o ti girerà la testa.» gli consiglia, offrendogli una caramella e facendo entrare la ragazza. Il calciatore lo ringrazia e mette la caramella in bocca, sorridendo poi alla fidanzata. Grace gli si avvicina e lo riempie di baci e carezze, finché l’analista non gli dà il permesso di alzarsi e poter andare, non prima di aver fatto le opportune raccomandazioni.

Campo di allenamento, h. 9:30.

La seduta mattutina è iniziata da circa un quarto d’ora, sotto l’attenta supervisione del mister, i ragazzi stanno eseguendo il riscaldamento; finita la corsa – che ha già stancato il Kaiser come se avesse fatto un allenamento intenso di ore. Iniziano a fare stretching, Thomas Schneider osserva i suoi ragazzi soddisfatto, notando però che il figlio è lento e sembra essere stanco. «Grace ha fatto il prelievo?» chiede. La manager annuisce e guarda il fidanzato, che affiancato dai due migliori amici, cerca di dare sempre il suo massimo – non badando alla fatica crescente.

L’allenatore decide di cambiare esercizio, facendo eseguire loro un dribbling, palla al piede con i coni, e degli scatti di velocità. Tutti eseguono, anche il capitano non si tira indietro, nonostante sia esausto. È questione di un attimo, Karl esegue uno scatto e improvvisamente una fitta al polpaccio lo costringe a chinarsi tenendosi la gamba. «Karl!» lo chiama il padre, preoccupato, correndo in campo con la manager e il medico, mentre tutta la squadra si ferma. Price e Kaltz si scambiano uno sguardo, mentre Grace stringe il fidanzato.

«Papà!» dice il Kaiser, che in allenamento non lo appella mai così. «È un crampo al polpaccio.» spiega. Il genitore annuisce e carezza i capelli del figlio, lasciando il posto al medico della squadra, che gli fa allungare il muscolo stirato, iniziando a massaggiarlo. Karl chiude gli occhi e poggia il capo sull’incavo della spalla della fidanzata, baciandole la guancia, Grace sorride gli carezza i capelli e lo stringe più forte; mentre il medico continua il massaggio.

«Tornate ad allenarvi.» ordina il mister al resto della squadra, che esegue immediatamente. «Karl tu adesso ti siedi dieci minuti in panchina, rientrerai in campo per la partitella.» ordina al figlio, senza ammettere repliche. Il ragazzo annuisce e accompagnato dalla fidanzata raggiunge la panchina. «Was für bälle!»[4] sbuffa Karl sedendosi e prendendo una bottiglietta d’acqua per bere. «Dai, amore, lo ha fatto solo per farti  riprendere dal crampo.» risponde Grace con dolcezza asciugandogli il sudore con un asciugamano. Il Kaiser posa la bottiglietta e la stringe. «In ogni caso mi sento benissimo oggi, vedrai che goal segnerò.» dice baciandola, lei ride, lo stringe forte e ricambia.

Dopo dieci minuti di pausa, nella quale i calciatori ne approfittano per bere, rientrano in campo per disputare la partitella – le squadre miste di riserve e titolari – come sempre Kaiser contro S.G.G.K. Le due fazioni sono pari sull’1-1, ma entrambe sono agguerrite più che mai per vincere, nessuna delle due formazioni ha intenzione di perdere o finire con un pareggio.

Schneider e Kaltz si spingono avanti, superando i compagni/avversari con una serie di finte e passaggi, arrivati sotto porta Hermann – che ha già segnato – passa il pallone all’amico, Karl sorride al portiere, che ricambia il sorriso e vedendolo di nuovo in forma si prepara al Fire Shot – che come da copione arriva – insaccandosi in rete. Benji sorride, non gli importa di non aver parato, non questa volta, questo è il più bello che mai  abbia subito – perché l’amico in forma è molto più importante di un goal.

Il Kaiser dopo la rete, alza il pugno in aria in segno di vittoria, guarda la sua manager e le manda un bacio con la mano sinistra, un attimo dopo si accascia al suolo privo di sensi. Kaltz si abbassa e lo solleva, Price lascia i pali e corre dagli amici. «Karl!» dice con voce tremante. Il mister e Grace corrono nuovamente in campo – lei con le lacrime agli occhi – lui sospira, si china sul figlio e lo prende in braccio. «Ragazzi abbiamo finito per oggi.» dice raggiungendo l’infermeria, tenendo il suo bambino svenuto tra le braccia.

Benji, Hermann e Grace lo seguono, il portiere stringe la sua migliore amica – anche il resto della squadra accorre preoccupata – e attendono tutti davanti la porta chiusa dell’infermeria, dove il medico visita il ragazzo. Il Kaiser riprende conoscenza, ma si sente stanchissimo, Thomas Schneider sorride e lo stringe. «Riposa, piccolo mio, sei stato bravissimo.» gli sussurra baciandolo sulla fronte, Karl sorride e si addormenta felice e senza mal di testa, soprattutto.

«Sta bene, tranquilli, ragazzi. È stato solo un calo di pressione dovuto al prelievo, adesso sta riposando.» dice il mister ai ragazzi, che tirano un sospiro di sollievo e vanno a fare le docce, mentre Grace entra in infermeria e lo coccola con tutto il suo amore.

 


[1] Stellina

[2] Buonanotte, Stellina

[3] Merda

[4] Che palle

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Capitolo 2
*** Accanto a te, lontano da te... ***


Capitolo 2: Accanto a te, lontano da te…

 

Furano: mercoledì 12 gennaio, 2018 h. 16:30

Come sempre lo stadio è gremito di gente, la squadra di Callaghan ospita quella di Ross,  nel turno infrasettimanale; mancano ormai solo 30’ alla fine dell’incontro ed il risultato è fermo sull’1-0 a favore della Flynet, artefice della rete il capitano. Adesso si sono chiusi in difesa e cercano di tenere il risultato al sicuro, e perché no raddoppiare, la squadra di Furano ha dato inizio a una fitta serie di passaggi facendo così ubriacare gli avversari. «Dannazione! Non riusciamo a togliergli il pallone.» sbuffa Stephen Mallory – al momento capitano e regista della squadra di Tokyo.

Il Principe del Calcio seduto in panchina, osserva lo scontro con attenzione, attendendo con impazienza il suo ingresso in campo. Sbuffa, calcia il terreno e gioca con la zip della felpa: sembra nervoso per qualcosa e insofferente nel vedere la sua squadra in svantaggio a pochi minuti dalla fine. «Julian entra in campo.» dice finalmente il mister. Le paroline magiche attese con trepidazione a ogni incontro.

Julian non se lo fa ripetere due volte, scatta in piedi, si toglie la giacca della tuta ed entra al posto di Henry Foylers. Il gioco riprende dunque dopo la sostituzione, Philip sorride, finalmente il suo miglior amico è sceso in campo, ora possono sfidarsi e divertirsi insieme. Il capitano della Flynet richiede palla e la riceve, Ross sorride e prontamente va a marcarlo.

I due capitani danno sfoggio della loro abilità in uno scontro a centro campo, Callaghan deciso a conservare il vantaggio, l’altro deciso a pareggiare e raddoppiare. Alla fine è Julian ad avere la meglio, rubato il pallone all’amico – affiancato da Mallory – parte in contropiede liberandosi con maestria degli avversari, tira e segna, beffando Tony Brunor, portando la sua squadra in parità.

Il gioco riprende con la rimessa dell’estremo difensore, la formazione padrone di casa si spinge in avanti, contrastata da quella ospite, Julian è salito rapidamente in difesa: vuole ostacolare personalmente Philip. Callaghan, affiancato dai compagni, giunge in aria, guarda l’amico alzare la mano destra e sorride. Sa bene cosa significhi quel gesto, troppe volte lo hanno messo in atto insieme in Nazionale. “Vuoi fregarmi con la trappola del fuorigioco? Mi dispiace per te, amico mio, ma con me non attacca.” pensa tra sé il capitano della Flynet, gli renderà pan per focaccia. Il ragazzo di Furano sorride, fa un movimento circolatorio col dito, e prontamente, i compagni si dispongono a semicerchio intorno all’aria di rigore – dando inizio ad una fitta serie di passaggi.

La Flynet orchestrata dal suo capitano, neutralizza così l’infallibile tattica di Ross – facendo passare il pallone da piede a piede – sotto il naso dei difensori della Mambo. Julian lo guarda e sospira, in fondo sapeva che con un avversario come Philip sarebbe stato inutile. «E va bene, Phil, lo hai voluto tu.» sbuffa scattando contro di lui, dando inizio a un’interminabile tackle.

Nessuno dei due è intenzionato ad arrendersi: il numero dieci si diverte a spostare la sfera da un piede all’altro e sorride, mentre il numero quattordici sta perdendo il suo proverbiale self-control. Non vuole dargliela vinta, ma conscio del fatto che l’amico è un osso duro, inizia a giocare sporco. «Ma che gli succede oggi? Non è da lui giocare così…» dice Fanny in panchina accanto ad Amy. «È nervoso perché dalle analisi del sangue, sono usciti alcuni valori sballati. Tuo zio lo ha rassicurato dicendo che non è nulla, ma lui è comunque preoccupato.» risponde la rossa.

Julian guarda l’amico, ormai stufo di questo teatrino, entra in scivolata, ma qualcosa va storto. Al 92’ il gioco viene nuovamente interrotto, Callaghan finisce a terra tenendosi il ginocchio sinistro, Julian impallidisce e si china sull’amico – dispiaciuto, quasi in lacrime. «Philip!» urla Jenny dalla panchina, correndo in campo insieme al mister e ai medici sociali, che adagiano il ragazzo sulla barella. «Julian!» urlano in contemporanea Amy e Fanny, mentre i ragazzi della Mambo sono attoniti. Che sta succedendo al loro capitano? Stephen Mellory guarda il suo migliore amico, e inevitabilmente, pensa al peggio. Il dottor Ross scende velocemente dalla tribuna per prestare soccorso – in quanto è il miglior ortopedico del Sol Levante.

L’arbitro fischia il fallo ed estrae il cartellino rosso al capitano della Mambo, Julian china lo sguardo e senza guardare in faccia nessuno corre nello spogliatoio. Il Baronetto ha ricevuto la prima espulsione della sua illustre carriera calcistica, vincendo anche due turni di squalifica. Intanto in campo il gioco riprende, con la sostituzione di Callaghan, la Mambo con un uomo in meno e un calcio piazzato a favore della Flynet. Amy ricevuta l’approvazione del mister, raggiunge il fidanzato nello spogliatoio e lo trova seduto sulla panca, con la testa tra le mani e in lacrime. Lo stringe forte e gli bacia i capelli consolandolo.

Nello spogliatoio accanto i medici della Flynet e il dottor Ross controllano il ginocchio di Philip, che si morde le labbra dolorante e stringe la mano della fidanzata, che prontamente lo ha raggiunto. «Sembra una distorsione, bisogna portarlo in ospedale e fare una radiografia ed eventuali accertamenti.» dichiara Gregory Ross, facendo annuire gli altri medici; mentre la partita si conclude con la vittoria della squadra di Furano e l’animo a terra – da parte di entrambe le formazioni – l’Aquila del Nord viene portata in ospedale, dove anche i compagni e il mister, Julian, Amy e Fanny si recano per sapere la prognosi.

***

Sono passate ormai due ore da quando Philip è stato portato in ospedale: la diagnosi ha confermato la supposizione del dottor Ross, distorsione del legamento crociato anteriore, questo è quanto è uscito fuori dalla radiografia e dalla risonanza magnetica a cui è stato sottoposto il ragazzo; in più il padre dell’amico ha eseguito un artocentesi, ovvero l’aspirazione del liquido per ridurre il gonfiore e il dolore e ha dato al ragazzo degli antinfiammatori, fasciando il ginocchio e mettendo un tutore per immobilizzare l’arto leso.

Medico e paziente escono dall’ambulatorio, Gregory va subito a parlare con il mister della Flynet, mentre Philip gli è dietro e raggiunge gli amici camminando con le stampelle, sorridendo ai compagni e rassicurandoli. Jenny ascolta il medico – padre dell’amico del fidanzato – e vedendo il suo amore ancora in piedi sospira e sorride sollevata, chiedendo maggiori informazioni al dottor Ross.

Callaghan lascia i compagni di squadra e arranca in direzione delle sedie della sala d’aspetto, dove uno stravolto Julian si è abbandonato, accanto a lui la sua Amy. «Baronetto cos’è quello sguardo triste?» chiede Philip al compagno, che alza lo sguardo rosso di pianto e lo fissa. «Mi dispiace, Phil, non volevo colpirti.» mormora.

«Julian non ce l’ho con te, siamo calciatori, ergo soggetti a incidenti del genere. So che non l’hai fatto di proposito, non è da te praticare un calcio violento in perfetto stile Lenders e so anche che eri già nervoso per le tue analisi, inoltre ammetto di averti provocato un po’ troppo con i miei giochetti. Insomma, me la sono un po’ cercato.» dice Philip sorridendo con sincera amicizia. «Phil non è così, io…» inizia il Principe del Calcio, che viene bloccato dall’amico che scuote la testa, sorride ancora e tenendo entrambe le stampelle con la mano sinistra gli poggia la destra sulla spalla.

«Non eri tu quello che quasi un mese fa avrebbe voluto rompermi una gamba? Sii fiero di te, ci sei  quasi riuscito.» dice Callaghan sorridendo e scherzando, tenendo nuovamente le stampelle come si deve. «Anche quella volta non lo avrei mai fatto e ora non volevo.» sussurra Ross con occhi lucidi, col morale sotto le scarpe. «Jualin adesso basta!» lo rimprovera Philip alzando lievemente la voce. «Mettiamola così allora: avrai l’onore di sostenermi e ricambiare il favore di tutte le volte in cui ti sono stato accanto nei tuoi periodi bui. Accetti?» propone sorridente.

Julian lo fissa, soppesando la proposta per qualche istante, alla fine sorride e stringe il suo miglior amico scoppiando in un pianto liberatorio. «Accetto, amico mio.» afferma con un sorriso, tra le lacrime, suggellando il patto. «Bene, fratello. Adesso che ne pensi se andiamo a mangiare un boccone con le ragazze?» sorride Philip porgendogli le chiavi della sua auto. «Dovrai guidare tu però, io sono temporaneamente fuorigioco.» afferma ridendo. Julian prende le chiavi, proprio mentre suo padre si avvicina a loro, assieme a Jenny che posa un dolce bacio sulla guancia del fidanzato.

«Mi piacerebbe, ma non posso Phil, devo tornare a Tokyo con la squadra.» sussurra poco convinto, una parte di lui vorrebbe rimanere nel gelido Hokkaido con l’amico. «Mi raccomando, non esagerate voi due. Julian non preoccuparti, sapevo che sareste venuti qui, il tuo allenatore mi ha dato il permesso di non farvi tornare loro sono già andati, ho detto che vi avrei riportato io a casa, adesso vi do il permesso di rimanere qui. E voi, ragazze, teneteli d’occhio. Amy, Fanny avverto io i vostri genitori.» dice il medico a tutti quanti.

«Julian posso parlarti un attimo?»  chiede subito dopo al figlio, che annuisce e si allontana con lui. «Mi ha chiamato il dottor Smith, i tuoi globuli bianchi sono nella norma, c’è stato uno scambio con la cartella di una ragazza. Julia Kors è lei ad avere la leucemia, non tu.» gli dice Gregory, Julian sorride sollevato e  lo stringe. «Che sollievo!» dice, mentre il padre  gli scompiglia i capelli. «Adesso vai, io torno a casa, ci vediamo domani.» dice ancora il dottor Ross baciandolo sulla fronte e lasciandolo andare.

Julian sorride, saluta il padre e torna dagli amici. «Possiamo andare.» dice stringendo la fidanzata e baciandola. «Non erano i miei esami, c’è stato uno scambio.» le sussurra all’orecchio. Amy sorride e lo bacia di nuovo, felicissima per la bella notizia.

Arrivati al locale i ragazzi, si siedono e iniziano a ordinare, ridendo e scherzando. Philip sta seduto accanto a Jenny, con la gamba infortunata alzata sul divanetto, Julian accanto ad Amy, che parla allegramente con Jenny: spettegolando un po’. Fanny a capotavola, seduta sulla sedia, guarda con fare ossessivo compulsivo il suo cellulare, Benji non le risponde ormai da tre ore, sebbene le abbia detto che è successo un casino con Schneider, lei è preoccupata – perché sa che il tedesco ultimante non brilli di salute – e sa quanto il fidanzato e Grace siano preoccupati.

***

Amburgo: mercoledì 12 gennaio, 2018 h. 17:00.

Grace in camera sua tenta invano di studiare per l’esame che dovrà dare, ma il suo cervello proprio non vuole saperne di collaborare, il suo ragazzo non le risponde ai messaggi dall’ora di pranzo e sta iniziando a preoccuparsi. Sa che è a casa da solo, perché i genitori e la sorellina sono andati a Leverkusen dai nonni, e ciò la preoccupa maggiormente – decide di chiudere i libri, indossa le scarpe e corre giù. «Mamma vado da Karl, rimango a dormire da lui.» le dice prevenendo la peggiore delle ipotesi, indossa il giubbotto, afferra la borsa e corre a perdifiato verso casa Schneider.

Karl dorme profondamente sul divano del salotto il suo cellulare abbandonato sul tavolino, accanto a una scatola di Aspirine, vibra senza essere udito. Grace stacca l’ennesima chiamata a vuoto e inizia a bussare e chiamare il fidanzato, mentre ansia e angoscia le attanagliano lo stomaco e nella sua mente si affacciano pensieri confusi e nefasti.

Il Kaiser apre gli occhi e afferra il cellulare: sono le 17:30, sul display vede una ventina di messaggi e altrettante chiamate, tutte della fidanzata. Sospira, si stropiccia gli occhi, ancora assonnato e va ad aprire la porta trovandosela davanti. Grace gli si fionda tra le braccia, rischiando di farlo cadere e finire a terra con lui e lo stringe in lacrime, lui ricambia la stretta mantenendo l’equilibrio per miracolo e le bacia i capelli. «Non farlo mai più, mi hai fatto spaventare a morte.» sussurra la ragazza, rimanendo attaccata a lui e piangendo sul suo petto forte e scolpito.

«Starlet sto bene, non piangere, mi sono solo addormentato prima di rispondere.» sussurra Karl con dolcezza, le prende il viso tra le mani, le asciuga le lacrime e la bacia sul naso. «Ho pensato ti fossi sentito male, dato che eri solo in casa mi sono preoccupata.» ammette lei con sincerità, accennando un sorriso. «Come puoi vedere sto benissimo.» risponde Schneider infastidito da tutta questa eccessiva apprensione, che sta iniziando a soffocarlo e stancarlo.

«Per fortuna, amore mio. Quando stai male ho paura, non voglio che ti accada nulla…» sussurra Grace. Il ragazzo deglutisce e la guarda male, allontanandola da sé con uno strattone. «Ancora con questa storia? Sto bene, Grace, hai visto anche tu che dalle analisi non è uscito nulla. State diventando tutti paranoici e io mi sono rotto le palle di esser trattato come un malato e avere continuamente il vostro opprimente fiato sul collo.» sbraita Karl.

Grace spalanca gli occhi e lo guarda incredula, non le ha mai risposto così in tre anni che stanno insieme. «Karl… io mi preoccupo perché ti amo.» mormora in lacrime. «Anche io ti amo, Grace, ma sono stanco. Dovete smetterla di essere così ossessivi, tutti quanti, non vi sopporto più.» risponde il Kaiser. «Adesso torna a casa, devo ancora studiare per l’esame della settimana prossima.» aggiunge ancora con tono gelido, infastidito dalla sua presenza. «Anche io devo ancora finire, potremo studiare insieme.» sorride lei.

Schneider scuote la testa. «Amore che ti prende?» chiede Grace confusa e preoccupata. «Nulla! È così difficile da capire? Te ne devi andare, cazzo. Vattene, Grace.» urla lui sbattendole la porta di casa in faccia. «Karl, amore mio…» mormora la ragazza ferita ed esterrefatta. Non capisce cosa gli stia succedendo, la cosa non le piace per niente, sia asciuga le lacrime e bussa di nuovo alla porta, senza però ottenere risposta.

Poco dopo la porta del garage viene aperta dall’interno, Grace sposta il suo sguardo ambrato e lo vede, sulla sua moto col casco calato. Karl l’accende e sfreccia a tutta velocità, in sella alla sua BMW S 1000 RR, lasciandola la fidanzata là come se non esistesse.

Grace cade sulle ginocchia e scoppia in un pianto devastato, disperato, prende il cellulare e compone il numero del suo migliore amico. «Benji…» sussurra scossa dai singhiozzi, non appena il portiere risponde.

«Grace che succede? Dove sei?» le chiede preoccupato, immaginando che la causa di tutto possa essere solo Schneider.

«Karl… è impazzito, Benji, ha preso la moto ed è scappato. Abbiamo litigato e ho paura si faccia male, non era in sé…» mormora Grace, singhiozzando ancora.

«Non ti muovere da lì, arrivo subito e andiamo a cercarlo.» le risponde chiudendo la chiamata, manda un veloce messaggio a Fanny  e salta in auto per raggiungere casa dell’amico.

Grace si siede sul marciapiede e aspetta, con le guance rigate dalle lacrime e lo stomaco in subbuglio, poco dopo solleva il capo sentendo il rombo di un motore. In cuor suo spera sia il suo Kaiser, rinsavito e tornato sui suoi passi, si asciuga gli occhi e nota la Maserati Gran Turismo rosso fiammante del suo migliore amico fermarsi davanti a lei.

Si alza di scatto, apre la portiera e sale fiondandosi tra le braccia di Benji, che prontamente l’accoglie e la stringe forte. «Ci sono io, adesso. Stai tranquilla, lo troveremo sano e salvo e lo riporteremo a casa, te lo prometto, tesoro mio.» le sussurra dolcemente Price, una dolcezza che non gli appartiene, che emerge solo in rari frangenti, uno di questi è la sua migliore amica. Quella dolce e caparbia creatura a cui tiene come una sorellina, colei per cui darebbe anche la sua stessa vita.

Grace inizia a calmarsi pian piano, gli racconta tutto quanto e prega tacitamente che quell’incosciente del suo ragazzo non si ammazzi con la moto in una folle corsa per chissà dove. Benji l’ascolta in silenzio, le carezza i capelli e infine annuisce, partendo subito, sfrecciando per le strade amburghesi alla ricerca dell’amico.

«Hai provato a chiamarlo?» le chiede il portiere. La ragazza scuote il capo. «Non mi risponderebbe, Benji, te l’ho detto, abbiamo litigato ed era furioso.» sussurra. Lui sospira e fa partire la chiamata dal suo cellulare, collegato al dispositivo bluetooth per auto, mentre guida guardandosi attorno, percorrendo Speicherstadt – una zona di magazzini ora per lo più in disuso. La chiamata termina senza risposta e un sospiro affranto di Grace, mentre Benji continua a guidare e cercare l’amico con lo sguardo e la ragazza fa lo stesso.

Sono armai le 21:30 passate quando la Maserati di Price arresta la sua folle corsa per le vie cittadine. La moto di Karl abbandonata lungo il viale Elbchaussee: il Kaiser deve essere per forza vicino. Parcheggiata l’auto i due amici scendono ed entrano a Schröders Elbpark, uno dei tanti parchi che costeggia il fiume Elba, da cui anche la strada prende il nome.

«Benji l’ho trovato!» dice a un certo punto Grace, indicando all’amico uno dei tanti alberi secolari del parco. Karl è poggiato al tronco, al suo fianco quattro bottiglie di birra ormai vuote abbandonate a terra – una quinta bottiglia di vodka liscia stretta nella sua mano destra. «Scheiße!»[1] esclama Price appena lo vede, correndo subito verso di lui, seguito dalla ragazza.

Grace osserva per un attimo le bottiglie ed è tentata di mollare uno schiaffo al fidanzato, ma appena lo vede quasi in stato di semi incoscienza, i suoi occhi si riempiono di lacrime e lo stringe forte. «Karl che cazzo hai fatto? Sei ubriaco fradicio, sei un’idiota.» lo ammonisce Benji, che vorrebbe prenderlo a pugni, ma alla fine sorride all’amica e se lo carica sulla spalla.

«Dobbiamo riportarlo a casa e rimetterlo in sesto, o domani suo padre ci uccide tutti quanti.» dice Benji alzandosi meglio il peso morto del Kaiser. «Dovrai guidare tu la mia auto, io porto la sua moto.» le dice ancora, raggiungendo la macchina. Grace annuisce, gli prende le chiavi dalla tasca dei jeans, toglie l’antifurto e lo aiuta ad adagiare il biondo sul sedile del passeggero mettendogli la cintura di sicurezza, poi gira e si mette al posto di guida. Il portiere prende le chiavi della moto dalla tasca dell’amico e sale in sella.

Casa Schneider, h. 22:30.

Arrivati davanti l’abitazione del tedesco, Benji e Grace parcheggiano davanti al vialetto, il portiere si carica nuovamente l’amico in spalla, mentre Grace gli apre la porta permettendogli di entrare. Price stende il compagno sul divano e con una smorfia di dolore si stringe il polso destro, lo stesso che ha picchiato in campo due giorni prima.

Grace raggiunge il salotto con una bottiglia d’acqua e un bicchiere. «Fallo bere, almeno due bicchieri o rischia la disidratazione con tutto quell’alcool in circolo. Io preparo una tisana allo zenzero e torno anche con qualcosa da fargli mangiare.» dice con tono deciso. Benji annuisce e fa bere l’amico, Karl sorride in modo ebete, lo guarda negli occhi gli sorride e beve. «Amore sei una favola. Ci vieni a letto con me?» sussurra totalmente fuori di senno.

Price rimane un attimo basito a fissarlo, poi gli versa un altro bicchiere d’acqua. «Schneider non sono gay e nemmeno tu lo sei, e non sono nemmeno Grace, lei sta in cucina e tu ti sei preso una sbornia epocale.» risponde. Karl non dice nulla, beve il secondo bicchiere d’acqua e si stende sul divano. «Mi scoppia la testa…» mormora portandosi la mano destra sulla fronte.

«La prossima volta ci penserai due volte a ubriacarti, idiota che non sei altro.» risponde Benji, guardandolo con aria di rimprovero. “Karl perché lo hai fatto? Già per adesso non stai benissimo di tuo, ci mancava anche che ti ubriacassi.” pensa osservandolo mentre chiude gli occhi e annuisce lievemente. Grace ritorna dai due ragazzi, poggia la tazza sul tavolino e si siede sul divano accanto al fidanzato.

«Amore?» sussurra con dolcezza, posandogli un delicato bacio sulle labbra. Karl riapre gli occhi e la guarda con i suoi occhioni azzurri stanchi e le pupille dilatate, Grace gli sorride e gli offre delle fette biscottate, che lui prende controvoglia e mangia. «Scusami, è colpa mia se hai combinato tutto questo casino, mi preoccupo troppo e finisco per stressarti.» sussurra lei carezzandogli la guancia.

«No, Starlet, sono io che ti devo delle scuse. Ti ho trattata male, ho alzato la voce e sono scappato, mentre tu ti sei preoccupata per me. Sono un’idiota.» risponde il Kaiser finendo di mangiare, Benji li guarda e gli passa la tazza con la tisana, che lui prende e sorseggia. «Fa schifo questa cosa.» si lamenta. «Bevi e non protestare, o ti faccio ingurgitare anche la tazza.» risponde Benji.

Grace ride lievemente alla battuta del suo migliore amico e stringe il suo ragazzo. «Ha ragione, amore mio, neutralizza la nausea.» gli sussurra all’orecchio. «Ti amo da impazzire, Kaiser, per questo mi preoccupo per te.» sussurra ancora baciandolo sulla guancia, tenendolo stretto a sé come se fosse il più prezioso ed inestimabile dei tesori.

Il biondo sorride e ricambia il bacio. «Anche io ti amo da impazzire, Starlet.» sussurra finendo di bere la tisana per poi baciarla. Grace ricambia, poi lo aiuta a sdraiarsi. «Adesso riposa.» gli dice con dolcezza, baciandolo sulla fronte, lui sorride e crolla immediatamente stremato.

«Per fortuna sta bene, ho temuto si ammazzasse correndo con la moto.» sospira Grace carezzando quel meraviglioso viso d’angelo disteso e rilassato. «Per fortuna non ha fatto altre cazzate. Piuttosto, ti sei laureata in medicina a mia insaputa e prima del tempo? Dove hai imparato a gestire così egregiamente le sbornie?» dice Benji tenendosi di nuovo il poso stretto nella mano.

«Philip.» risponde Grace. «L’anno in cui Jenny partì per New York conobbe un ragazzo, una volta gli rispose lui a una chiamata e quel gelosone partì in quarta pensando che lo tradisse e decise di ubriacarsi. Solo dopo, quando la sottoscritta lo fece riprendere, chiamai Jenny e le chiesi spiegazioni. Alla fine Steve, l’amico, era gay dichiarato e pure fidanzato. Ecco come ho imparato a gestire le sbornie.»

Benji scoppia a ridere. «Callaghan è geloso pure dell’ombra di Jenny, perché le sta dietro.» dice. «A proposito, di Philip, si è infortunato. Distorsione del legamento crociato anteriore sinistro, opera di  Julian e due settimane di stop.» le dice, Grace sbarra gli occhi stupita. «Julian Ross? Già è impossibile che commetta un fallo, a Philip poi… quei due sono praticamente come me e Jenny. Amici per la pelle.»

Price alza le spalle. «Me l’ha detto Fanny, era nervoso per degli esami, ed ha ricevuto il suo primo cartellino rosso e due turni di squalifica. Non so altro.» risponde sinceramente. Grace annuisce. «Domani chiederemo maggiori informazioni.» dice, poi lo guarda e gli afferra il polso destro. «A quanto pare Phil non è l’unico ad essersi fatto male. È stato alla partitella dell’altro ieri, vero?»

Il portiere sospira e annuisce. «Non è nulla di grave, mi è solo tornato il dolore caricando quel peso morto del tuo ragazzo in auto e guidando la moto.» dice lasciando che glielo massaggi. «Va bene, ti credo, ma ora stai zitto e lascia la tua manager lavorare.» risponde Grace strizzandogli l’occhio.

Benji sorride e la lascia fare, alla fine crollano entrambi esausti: lui sulla poltrona, lei sulle sue gambe, mentre stringe la mano del suo Kaiser. In compagnia del suo migliore amico e del suo ragazzo può dormire tranquilla e serena, sentendosi amata e felice. Sarà anche lontana dalla terra in cui affondano le sue radici, ma non le importa più, ormai la sua vita è in Germania – anche se un pezzetto del suo cuore rimarrà sempre nel gelido Hokkaido.

 

 

***

 

Angolo dell’autrice: eccomi col secondo capitolo, alla fine sono riuscita a scrivere e pubblicare in meno di un secolo. xD Non ho molto da dire: ringrazio tutti coloro che hanno recensito, e che seguono questa storia, un ringraziamento speciale va alla mia Darling, ormai compagna di scleri e deliri. Il dottor Ross – versione ortopedico è suo – me l’ha gentilmente prestato per motivi di trama. I luoghi tedeschi descritti non sono inventati, spero solo di averli descritti correttamente e non aver fatto un disastro, sono stata in Germania, ma non ad Amburgo purtroppo – in ogni caso trovate tutto quanto su Wikipedia da cui ho attinto per le fonti usate. 

 Al prossimo capitolo.

Amy

 

 

 


[1] Merda

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Capitolo 3
*** E tutto va... ma non del tutto va. ***


Note introduttive: eccomi di nuovo, gente, dopo quasi un anno di attesa sono tornata ad aggiornare questa fiction alla quale sono particolarmente affezionata, purtroppo l’ispirazione e la voglia non volevano saperne di farsi vive, adesso finalmente sono arrivate entrambe e sono ritornata attiva e pimpante. Mi scuso ancora per avervi fatto attendere così a lungo, adesso vi lascio al capitolo.

Un bacione a miei cari lettori.

Amy

 

Capitolo 3: E tutto va… ma non del tutto va.

 

È passata una settimana da quando il Kaiser è scappato in moto e si è ubriacato, il suo cattivo umore e i frequenti mal di testa, sembrano essersi attenuati momentaneamente, ma non è tutto oro quello che luccica. Le giornate sono scandite dai soliti ritmi: università, lezioni, esami e allenamenti. 

Amburgo: venerdì 21 gennaio, 2018 casa di Grace, h. 20:00.

I genitori della ragazza sono partiti per il Giappone, il padre deve presenziare a una riunione importante alla sede centrale della ditta per la quale lavora e la moglie lo ha seguito. Grace è rimasta ad Amburgo essendo in piena sessione d’esame. Ora è in cucina, dopo aver passato il pomeriggio a studiare con il fidanzato e gli amici – che sono tornati a casa – sta cucinando, mentre Karl è in bagno a fare una doccia.

Schneider esce dalla doccia, si avvolge un asciugamano alla vita, asciugandosi il resto del corpo con un’altra e tampona un po’ i capelli bagnati; in silenzio scende al piano di sotto, e in punta di piedi, entra in cucina stringendo la fidanzata da dietro.

«Amore non ti ho sentito arrivare.» sussurra Grace, sentendo le braccia del suo uomo cingerle la vita e un delicato bacio posarsi sulla sua guancia sinistra. «Me ne sono accorto.» sorride lui, voltandola e rubandole un bacio.

La ragazza chiude gli occhi e ricambia, poggiando le mani sul suo petto scolpito, carezzandolo dolcemente. «Dai, ora va ad asciugarti i capelli e vestirti, o prenderai freddo, io finisco di preparare.» gli sussurra dopo il bacio, posandogliene un altro all’altezza del cuore.

Il ragazzo sorride e torna in bagno, si veste e asciuga i capelli, poco dopo raggiunge la fidanzata – che ha ormai finito di cucinare. Un cena degna di un re: dall’antipasto al dolce. I due mangiano, tra discorsi seri, coccole e risate, poi si spostano in salotto per guardare il film che hanno scelto.

Una storia d’amore, che si intreccia sullo sfondo della seconda Guerra Mondiale. “Pearl Harbor”. «La canzone è bellissima!» esclama Grace. Karl sorride, baciandole la guancia e stringendola a sé, mentre il film inizia con la tenera scena in cui Danny e Reif – i protagonisti per adesso bambini –  giocano a fare i piloti su un finto aereo fatto di vecchie ferraglie.

Il Kaiser sorride vedendo la fidanzata assorta, e intenerito da cotanta dolcezza, prende il cellulare dalla tasca e scarica “There You’ll Be” – la meravigliosa colonna sonora – cantata da Faith Hill. I due fidanzati guardano il film con interesse, mentre scherzando, Grace fa apprezzamenti sui due protagonisti maschili – così come Karl li fa sulla protagonista.

Man mano che il film entra nel vivo, Grace stringe il fidanzato, sempre di più, ormai ha capito che uno dei due protagonisti maschili perderà la vita; ma ciò non le impedisce di godersi il film tra le coccole del fidanzato. Giunti alla fatidica scena, quando i caccia americani sono in balia del nulla e ormai a secco di carburante; la ragazza si tende, intuendo che questa sarà la parte più triste del film.

Karl la stringe con tutto il suo amore e le bacia la tempia sinistra, mentre impazza l’attacco nipponico. «Danny!» sussurra Grace, nel momento stesso in cui Reif pronuncia il nome dell’amico appena ferito per dei pezzi di lamiera dell’aereo, staccatisi per l’atterraggio d’emergenza; le lacrime iniziano a rigarle il viso, mentre Danny – viene fatto prigioniero, venendo raggiunto subito dopo dal compagno, che spara ai nemici e prende l’amico tra le braccia – ma un altro giapponese gli spara; Danny in punto di morte confessa al compagno di vita che diventerà padre, il quale risponde che il padre tra i due sarà lui, incitandolo a vivere.

Per la ragazza è un crescendo di emozioni, finché Evelyn – la protagonista femminile –  sorride al ritorno degli uomini della sua vita, per scoppiare un attimo dopo in lacrime, vedendo Reif che, con i compagni, regge la bara di Danny;  Grace sorride alla scena finale, Reif ed Evelyn si sono sposati e l’uomo stretto dalla moglie, si china all’altezza del bambino. «Eih, Danny ti va di volare un po’?» gli chiede, facendo scendere altre lacrime sul viso di Grace; hanno dato al piccolo lo stesso nome del padre e l’amico lo sta crescendo anche per lui.

«Che bello!» sussurra Grace, stringendosi al fidanzato, ancora in lacrime; Karl la stringe e la bacia con dolcezza, avviando la canzone precedentemente scaricata. «Andiamo a letto, Starlet?» chiede dopo essersi staccato, facendo annuire la fidanzata che si ritrova presa in braccio, mentre Faith Hill continua a cantare.

«Papà non mi ha dato il suo benestare per partire sabato, dovremo partire domenica mattina con tutti gli altri col pullman sociale.» dice Karl, mettendosi sotto le coperte, accanto alla fidanzata, con indosso solo i pantaloni del pigiama. «Non fa niente, Kaiser, vorrà dire che il nostro weekend romantico sarà solo rimandato.» sorride Grace, baciandolo con una leggera passione, carezzandogli il petto scolpito.

«Grace…» sussurra Schneider, lievemente ansate, con il sorriso sulle labbra. «Voglio fare l’amore, Karl.» gli soffia lei sulle sue labbra, per poi baciarle e scendere sul collo; il ragazzo reclina il capo all’indietro e le carezza la coscia, sollevandole la camicia da notte. «Ti amo, Starlet.» sussurra con dolcezza, mentre la libera da quel leggero indumento, facendola stendere sotto di sé, ammirando quel corpo che gli mozza il fiato ogni volta e che ama con tutto se stesso.

La sua Grace non ha il corpo perfetto di tutte quelle bombe di sesso, modelle, calciatrici e sciacquette varie con le quali è stato; no, affatto. La sua Starlet è molto più bella perché meravigliosa nella sua semplicità e perfetta nelle sue imperfezioni, forse non avrà il loro corpo scolpito nel marmo da perfette Dee greche, ma ha delle curve armoniose e dolci che, agli occhi di Karl, sono quanto di più bello e sexy possa esistere al mondo. «Sei meravigliosa, Starlet.» le sussurra all’orecchio, baciandole poi l’incavo della spalla, scendendo verso i seni tondi e sodi, che bacia e carezza.

Grace sorride e lo lascia fare, totalmente in sua balia, mentre con le mani gli stringe le natiche, calando via i pantaloni che ha ancora indosso e lui continua a darle piacere riempiendola di baci umidi e carezze; ormai entrambi nudi e ardenti di desiderio, si scambiano un altro bacio pieno di passione. Karl la guarda negli occhi e le sorride, iniziando a prepararla, mentre lei annega letteralmente in quegli occhi di ghiaccio che brillano e gioca con quei fili di capelli d’oro, gemendo e sorridendo per il crescente piacere che le provoca il fidanzato.

Dopo averla penetrata con dolcezza e decisione al tempo stesso, inizia a muoversi e a riempirla di baci, prontamente ricambiati, mentre i loro corpi danzano in sincronia in una danza piena d’amore e passione. «Ich liebe dich, meine liebe.»[1] sussurra Grace, poggiando il capo sul petto del suo uomo. «Und ich liebe dich, kleiner Stern.»[2] risponde lui, baciandole la guancia e chiudendo gli occhi, felice di aver trovato una ragazza dolcissima e bellissima, che lo ama per quello che è, e non per chi è.

*** 

La partita di campionato contro il Bayer Leverkusen è stata vinta dall’Amburgo con il risultato di 2-1, artefici delle reti Kaltz e Schneider, che ha giocato una partita memorabile, finalmente senza malori o problemi vari; anche Benji sembra non aver accusato fastidi al polso che aveva sbattuto qualche giorno prima. Finita la trasferta si ritorna alla quotidiana routine. 

Amburgo: lunedì 24 gennaio, 2018 h. 17:00, campo di allenamento.

La sessione di allenamento pomeridiano è iniziata all’insegna del buon umore, i calciatori, carichi della vittoria – che li ha proclamati campioni d’Inverno – confermando il loro primo posto in classifica li spinge a dare il meglio, decisi a vincere il campionato e guadagnarsi la Champions League.

«Ragazzi dieci minuti di pausa.» dichiara Thomas Schneider, fischiando e fermando i suoi calciatori dai vari esercizi; Grace, sempre pronta ed efficiente, distribuisce bottigliette e asciugamani, rubando un bacio al fidanzato, per poi rientrare in panchina a sistemare. Karl, Benji ed Hermann, distesi sull’erba, sorretti sui gomiti, si godono il meritato riposo, parlando e rinfrescandosi.

«Come sta Callaghan?» chiede Kaltz al portiere. «Migliora di giorno in giorno, Fanny mi ha detto che sono rimasti in Hokkaido a sostenerlo e Julian gli fa da infermiere.» risponde Benji. «È un osso duro lui, non si fa certo buttar giù da un banale infortunio.» aggiunge, conoscendo la grinta e la determinazione del connazionale. «Non vedo l’ora che arrivi l’Estate per giocare i Mondiali.» dice Karl, dopo aver bevuto chiudendo gli occhi, sentendo di nuovo la testa pulsare dolorosamente.

«Per adesso pensiamo al campionato ed a guadagnarci scudetto e Champions.» ride Hermann, non facendo caso alla reazione del compagno, prendendolo come un gesto di rilassamento. «E poi tanto saremo noi a vincere il Mondiale, caro Kaiser, rassegnati.» aggiunge Price ridendo, beccandosi uno scappellotto di disappunto da Kaltz. «Ce… certo, come no…» sussurra Schneider con voce strozzata dal dolore, cadendo privo di forze sul terreno, iniziando a tremare. «Karl non fare il cretino.» lo ammonisce Hermann. «Non sta scherzando, idiota, sta male.» ribadisce Benji, avvicinandosi subito al compagno, che trema ancora e non risponde.

«O mein Gott!»[3] urla Grace notando il fidanzato tremare; Thomas, attratto dalle urla della manager si volta e corre immediatamente in campo. «Sono convulsioni.» dice, prendendo il suo cellulare e chiamando i soccorsi – visto che i medici sociali sono assenti, perché impegnati con le analisi della squadra della Primavera. «Cosa dobbiamo fare?» chiede la ragazza terrorizzata, chinandosi accanto al fidanzato. «Nulla, aspettare che finisca la crisi e voltarlo sul fianco, dopo ci penseranno i soccorritori.» risponde Benji, che tempo fa ha letto un articolo a riguardo.

«L’ambulanza sta arrivando.» li informa il mister, chinandosi accanto al suo bambino, attendendo impotente, mentre il figlio soffre e trema. «Piccolo mio che ti succede?» sussurra l’uomo, carezzando la fronte del figlio, che non risponde e ansima. «Amore mio…» sussurra Grace in lacrime, mentre la crisi si placa e il portiere volta il compagno sul fianco sinistro.

«Cosa le ha provocate?» chiede Hermann spaventato quanto tutta la squadra, dando voce al pensiero comune. «Ci sono molte cause che le provocano, non ha febbre, quindi le convulsioni febbrili sono escluse… potrebbero essere altre mille cose.» risponde l’allenatore, mantenendo la calma, ma preoccupato più di tutti. «Che è successo? Dove sono?» chiede Karl guardando confuso Grace e Benji.

«Tranquillo, amore, adesso arrivano i soccorsi.» gli sorride la fidanzata baciandolo sulla fronte, stringendo la mano dell’amico, terrorizzata da quanto accaduto; il Kaiser sorride e chiude gli occhi, confuso e stanco, in quel momento arriva l’ambulanza, i paramedici presi i parametri vitali del ragazzo, lo caricano sul mezzo e partono a sirene spiegate verso l’ospedale.

Thomas Schneider sale in ambulanza col figlio, spiegando ai soccorritori l’accaduto; Benji, Grace ed Hermann corrono con l’auto del portiere, preoccupati e spaventati. «Ragazzi ho paura.» dice la ragazza in lacrime. «Stai tranquilla, piccola, andrà tutto bene.» le risponde Benji, mantenendo la calma e la lucidità al volante. «Magari è solo stanchezza…» sussurra Kaltz, rassicurando se stesso e i compagni.

Giunti al complesso ospedaliero Karl viene subito portato al pronto soccorso con codice rosso, i medici dopo un primo controllo, preoccupati dalle condizioni generali del ragazzo, decidono di portarlo immediatamente a fare degli esami specifici e approfonditi. La tensione tra i compagni, giunti tutti in ospedale, è altissima, l’attesa snervante non fa altro che incrementare la loro preoccupazione, facendo salire ansia e paura. Thomas Schneider ha intanto avvertito la moglie che, preoccupata, si è subito mossa per raggiungere il suo bambino. 

***   

Parigi: lunedì 24 gennaio, h. 18:00, campo di allenamento del Paris Saint Germain.

L’allenamento è appena finito e i calciatori sono rientrati nello spogliatoio per fare le docce. Rosemarie e Azumi sistemano diligentemente il campo, rassettando gli oggetti usati dai ragazzi, mentre una ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi azzurri, sta a osservarle.

Tom ignora le provocazioni di Le Blanc, esce dalla doccia e ritorna in campo; non sopporta più la situazione creatasi col compagno di squadra, dopo che la ragazza lo ha lasciato, sembra che Pierre glielo faccia apposta a vantarsi più del solito perché è stato scelto. «Azumi devi parlargli, sta diventando insopportabile, il tuo ragazzo.» dice Becker raggiungendo le due manager, guardando con curiosità la terza ragazza che, ammira incantata il calciatore, mentre la cugina le si avvicina. «Va bene, più tari gli parlo, anche a me dà fastidio che debba comportarsi così, perché non ha senso ed entrambi abbiamo chiarito la situazione, tornando a essere amici.» sorride Azumi, stringendo l’amico.

«È lui il ragazzo di cui ti ho parlato. Si chiama Tom Becker, viene dal Giappone, ma ha viaggiato molto nella sua vita per seguire il lavoro del padre; è dolcissimo e intelligente.» dice Rosemarie alla cugina. «È carino.» risponde l’atra continuando a guardare il ragazzo, la manager sorride e la prende per mano, portandola dagli altri due. «Tom volevo presentarti mia cugina.»

Becker alza gli occhi castani sulla ragazza, e inevitabilmente, annega nei suoi occhi azzurri e le porge la mano. «Piacere di conoscerti, sono Tom.» le dice educatamente, con la sua dolce voce. «Piacere mio, sono Charlotte.» risponde la ragazza con un sorriso. «Vuoi farli conoscere?» sussurra Azumi all’orecchio della compagna. «Sì, mia cugina è uscita da poco da una storia difficile, ha bisogno di qualcuno che la faccia svagare e Tom con la sua dolcezza e gentilezza è perfetto.» risponde Rosemarie. «Sai, penso che anche a lui farà bene, così darà anche una bella lezione a Pierre.» dice Azumi, che nonostante ne sia la fidanzata, a volte mal sopporta certi suoi atteggiamenti.

«Ti va di prendere una cioccolata e conoscerci meglio?» propone Tom gentilmente, con un dolce sorriso sulle labbra. «Va bene.» sorride Charlotte, rimasta incantata dai comportamenti del ragazzo, sebbene sia rimasta scottata dal suo ex ragazzo, e ora è delusa dagli uomini, Tom le sembra un bravo ragazzo e non è detto che debbano mettersi insieme per forza, potrebbe anche nascere una sincera amicizia; solo il tempo e il destino deciderà e chi vivrà vedrà.   

 

 

 

***

 

Angolo dell’autrice: Qui, per chi volesse conoscere meglio Charlotte, vi lascio la sua scheda. ^_^ Ci vediamo al prossimo aggiornamento, che sicuramente sarà più celere dell’ultimo, a presto. Amy

 

 

 


 

 

[1] Ti amo, amore mio

[2] E io amo te, Stellina

[3] O mio Dio

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Capitolo 4
*** La Dura Legge del Goal ***


Note introduttive: doverose per questo capitolo, come sapete non sono solita scriverne all’inizio, ma qui necessità qualche spiegazione prima di leggere. Ebbene: come potete vedere sin da subito, ho voluto accostare il capitolo a una delle canzoni più belle di un grande della musica italiana – a mio parere un pilastro del Pop anni ‘80/’90, il mitico Max. Ora, so benissimo che questa canzone parla fondamentalmente dell’amicizia, anzi, è proprio quello il tema centrale, ma essendo che in questa fiction parliamo di calcio e Max paragona questo sentimento  proprio a questo sport… beh, per me è stato come un invito a nozze, ho voluto accostare anche io le due cose, facendo emergere profonde amicizie, nate proprio dal calcio; perché proprio come nel finale della canzone si dice che: “Lo squadrone siamo noi” qui non è inteso solo come squadrone di calcio, ma anche, e soprattutto, come squadrone di amici. Vedrete e capirete meglio leggendo cosa intendo. Adesso penso sia meglio lasciarvi al capitolo, ci rivedremo alla fine. Buona lettura, miei cari lettori!  

 

 

Capitolo 4:  La Dura Legge del Goal…

 

 

“Chi le ha inventate le fotografie?

Chi mi ha convinto a portar qui le mie?

Che poi lo sappiamo, scattan le paranoie…”

 

In fondo si sa, quando si è tra amici il tempo scorre diversamente, quasi come se fosse incantato ed eterno. Non importa se si fanno le ore piccole o non si dorme proprio – è vero la mattina successiva si è quasi sempre uno zombie – ma non è qualcosa di così tragico, nulla può regalarti un mondo di emozioni, come quando si è in buona compagnia – oltre al calcio, chiaramente. Gli amici di sempre, i fratelli che si sceglie di far entrare nelle proprie vite e, tutto, assume emozioni uniche e indelebili.

Furano: casa di Philip Callaghan, lunedì 24 gennaio, 2018 h. 2:40, circa.

È proprio quello che sta accadendo in questo momento a casa Callaghan, nonostante l’ora decisamente tarda, nonostante i genitori del ragazzo dormano già da un pezzo; lui è in camera sua, con la fidanzata, Julian, Amy e Fanny. Il tempo è volato senza che se ne rendessero conto, tra battute e risate, rievocazioni di vecchi ricordi: partite memorabili e aneddoti buffi o imbarazzanti, che rimarranno nella storia.

Una lunga notte in memoria dei tempi andati, accompagnata anche da vecchie fotografie, scattate di nascosto e non, per immortalare quegli attimi passati – sfuggenti ma eterni. «Eppure è buffo, e forse anche un po’ brutto da dire, ma è ciò che penso.» esordisce improvvisamente Julian, guardando una foto risalente ai tempi del campionato delle medie, mentre gli altri lo guardano, esortandolo tacitamente a continuare il discorso. «Pensavo, che in tutti questi anni, un semplice sport ci ha regalato una moltitudine di emozioni, ci ha fatto conoscere tantissima gente, ma negli effetti i veri amici sono pochi; perché oltre i compagni di Nazionale – tutti amici speciali a modo loro – tra gli avversari solo con pochi abbiamo instaurato un rapporto amichevole.» conclude Ross.

 «Non posso che concordare con te, amico mio, senza contare gli amici della Nazionale – nonché avversari per il resto dell’anno ma pur sempre amici – tra le file straniere possiamo contare gli amici sulle dita di una mano.» risponde Philip. «Forse, e non penso di esagerare, gli unici amici che abbiamo tra gli stranieri sono tutti in Germania. È innegabile, ragazzi, ma con Benji e Grace che si sono trasferiti lì, automaticamente Schneider e Kaltz sono entranti nella nostra sfera di amicizie e questo grazie anche a Fanny.» aggiunge Jenny.

Amy si limita ad annuire con un sorriso, mentre nella sua testa scorrono milioni di diapositive, immagini che si sovrappongono velocemente l’una sull’altra, facendole rivivere alcuni dei momenti indimenticabili della sua vita – che siano belli o brutti – ma pur sempre unici e indimenticabili, legati al calcio e a tutto quello che esso ha portato nella sua vita, sconvolgendola.

«Ragazzi…» sussurra improvvisamente Fanny, con il cellulare in mano, gli occhi sbarrati e lucidi; i compagni, persi ognuno nei propri ricordi, alzano lo sguardo su di lei e aspettano che continui – anche se dal suo sguardo presagiscono che non sia qualcosa legato al momento, qualcosa riguardante il passato – non solo perché lei non ha vissuto con loro quel passato – almeno non a bordo campo come manager –  ma perché improvvisamente, una sola parola, ha il potere di rompere l’incanto e riportarli al presente.

«Benji mi ha appena scritto che sono tutti quanti in ospedale, Karl si è sentito male durante l’allenamento, non so cosa sia successo, ma penso sia grave… ha detto che ha avuto le convulsioni durante una pausa.» sussurra la ragazza, con occhi ancora più lucidi, mentre le lacrime iniziano a rigarle le guance, silenziose e copiose. Parole che rimbombano nelle orecchie di tutti, pesanti come macigni e piene di angoscia e paura. «Cosa? Oddio… povera Grace, vorrei essere lì con lei.» sussurra Jenny scoppiando in lacrime, stringendosi al petto del fidanzato, che le cinge la vita e la consola come può, anche Philip è sconvolto.

«Julian…» mormora semplicemente Amy, memore di vecchi ricordi, che adesso si mescolano prepotenti a nuove paure; loro sanno bene cosa significhi passare ore, giorni, mesi in ospedale. «Tranquilla, amore… lo so cosa stai pensando, ma non rompiamoci la testa prima di cadere.» sussurra dolcemente il Baronetto, stringendola forte a sé, memore anche lui di quelle infinite e lugubri giornate; il suo sguardo è fisso nel vuoto, rimembra silenziosamente quegli attimi e trema interiormente per la condizione dell’amico tedesco.

«Cosa possiamo fare?» chiede Fanny, guardando con disperazione il suo cellulare, sperando che il fidanzato le scriva dell’altro. «Niente, Benji si è disconesso… ragazzi ho paura, se ben ricordate Karl stava male anche al ritiro.» sussurra. «Vero, Grace mi ha raccontato che stava già male prima del ritiro, non ho mai visto la mia migliore amica disperata  e preoccupata come in quel momento.» dice Jenny tremando tra le braccia del fidanzato. «Non penso possiamo fare molto al momento, ragazzi, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare e capire cosa è realmente successo.» dice Julian con saggezza.

Il gruppo si limita ad annuire, rendendosi conto che al momento, hanno ben poco da fare – se non aspettare nuovi sviluppi e sperare che non sia nulla di grave, anche se da quanto sanno, la speranza è ben poca. Riportati bruscamente al presente si accorgono dell’ora e, mettendo da parte foto e ricordi, decidono di riposare – anche se con gli occhi colmi di lacrime e il cuore in subbuglio – non sarà facile farlo.

*** 

“Voi non capite un cazzo, è un po’ come nel calcio…

è la dura legge del goal, fai un gran bel gioco però,

se non hai difesa gli altri segnano, e poi vincono.

 Loro stanno chiusi, ma alla prima opportunità,

salgon subito e la buttan dentro a noi.

La buttan dentro a noi.”

 

 

Ospedale di Amburgo: lunedì 24 gennaio, 2018 h. 18:40, circa.

È ormai passata un’ora abbondante da quando il Kaiser è stato portato d’urgenza al pronto soccorso, il personale medico non ha ancora finito di visitarlo, e tutti non possono far altro che aspettare, pregare e sperare che non sia nulla di allarmante; magari solo un calo di pressione, o banale stanchezza e stress… se solo non ci fossero di mezzo quei mal di testa lancinanti, forse sarebbe più semplice tenere a bada le preoccupazioni e non far spaziare la mente sui probabili – quanto scongiurati – problemi a esso legati.

«Thomas… amore il nostro bambino è ancora lì dentro, perché nessuno ci dice nulla?» sussurra una terrorizzata Beatrix stringendo il marito. «Non lo so, amore, penso che qualcuno a breve ci dirà qualcosa.» la consola lui, stringendola e carezzandole la schiena e i lunghi capelli di grano; proprio in quel momento gli tornano alla mente i giorni in cui si lasciarono, sempre per il calcio, perché se sei un calciatore o un allenatore, il calcio entra sempre in famiglia: volente o nolente, nel bene o nel male.

Sospira l’uomo, poi nonostante la situazione, sorride sollevato. Come sarebbe stata la loro vita se non si fossero riappacificati? Cosa ne sarebbe stato dei loro figli? Deve tutto alla donna che ha sposato e che ama, che lo ha sempre sostenuto, anche quando non condivideva a pieno le sue scelte; quella donna che gli ha regalato due splendidi figli per i quali darebbe anche la sua stessa vita. Il suo Karl, determinato e fiero Kaiser, stella nascente del calcio tedesco e la sua dolce Marie Käte, l’amata Prinzessin[1] di papà.

E ancora una volta, adesso come allora, la famiglia Schneider si ritrova ad affrontare qualcosa che sconvolgerà le loro vite, ma questa volta – forti del ritrovato amore – tutti insieme riusciranno a superare le avversità. Thomas è terrorizzato, forse più della moglie; eventi passati e nemmeno tanto lontani, che prepotenti hanno sconvolto per sempre la sua vita, tornano inevitabilmente alla mente, sottoforma di ricordi dolorosi, di persone che mai più torneranno, che mai più potrà riabbracciare,  ma non lo dà a vedere è lui il pilastro della famiglia e deve sostenerli tutti quanti; e non è ancora detto che si tratti della medesima cosa, o almeno lui lo spera con tutto se stesso, non riuscirebbe ad affrontare ancora una volta quel dolore straziante causato dalla prematura perdita del fratello, non sopravivrebbe alla morte del suo amato bambino.

«La piccola?» chiede alla moglie, aspettando ancora, cercando di scacciar via i brutti pensieri. «La piccola è a danza, non so se sia il caso di dirle che suo fratello è in ospedale… forse potremo mandarla per qualche giorno a Leverkusen dai tuoi genitori.» sussurra la donna con voce spezzata, facendo sospirare il marito, che non la pensa esattamente come lei. Ormai la loro bambina ha sedici anni, non è più così piccola, da non capire certe situazioni.

Nessuno dei ragazzi aveva pianificato di concludere la serata in ospedale, magari a casa stanchi dall’allenamento, ma non in un’asettica sala d’attesa ospedaliera. Grace non ha smesso un attimo di piangere, trovando rifugio tra le braccia del suo migliore amico, che sebbene preoccupato, la consola e la coccola come se fosse una sorellina più piccola da proteggere; mentre avverte la fidanzata in Giappone e il suo pensiero vola al compagno, quel biondino all’inizio odioso e presuntuoso – che gli ricordava tremendamente il se stesso bambino – lo stesso biondino che adesso considera come un fratello; perché sì, dopo anni passati a giocare insieme a rivaleggiare tra loro, i suoi due compagni tedeschi, ormai sono al pari di fratelli – così come lo sono Holly e Tom.

Nonostante sia uno che non si lasci intimorire facilmente, adesso è terrorizzato; la visiera del fido cappellino calata sugli occhi, come a voler nascondere quasi le lacrime, ma che lascia spazio allo sguardo di vagare per osservare i presenti. Sono tutti lì: chi poggiato al muro, chi seduto sulla scomoda panca, chi semplicemente in piedi con lo sguardo fisso nel vuoto; poi c’è lui, l’altro suo migliore amico. Hermann, che se ne sta in un angolo, gli occhi chiusi e la mascella serrata attorno allo stecchino – che sembra essere più corto del solito. Kaltz e Schneider sono cresciuti insieme, come lui e Holly, correndo dietro a quel pallone che è la loro vita, lo stesso pallone che gli ha regalato gioie e dolori, sconfitte e vittorie; quella passione che accomuna tutto il mondo senza far distinzioni razziali.

Improvvisamente, il tempo che sembrava essersi fermato, riprende a scorrere s’è possibile ancora più velocemente, come i cuori di tutti i presenti, che con i battiti accelerati dal terrore sembra lo abbiano scandito finora rendendolo incessante e di piombo; uno dei medici esce finalmente dalla sala in cui è stato portato Karl, lo sguardo stanco e preoccupato, ma al contempo fiero e determinato a fare il possibile per salvare una giovane vita ad ogni costo.

Occhi gonfi e arrossati, che contemporaneamente, si sollevano in un’unica direzione, impazienti di conoscere il verdetto di quella visita sembrata interminabile. «Dottore… mi dica, come sta mio figlio?» chiede Thomas, tenendo stretta la moglie, parlando a nome di tutti. «Salve, sono il dottor Brown, il neurochirurgo, nonché primario di neurochirurgia.» si presenta lui, stringendo la mano dei coniugi Schneider, rivolgendo poi uno sguardo paterno a quei ragazzi, che aspettano di sapere come sta il loro amico. «Signori  purtroppo la situazione non è delle migliori, abbiamo sperato fino all’ultimo di sbagliarci o aver interpretato male i risultati… ma parlano chiaro, la situazione è parecchio grave.» esplica il medico, dispiaciuto di dover dare una brutta notizia a due genitori e a dei ragazzi, ma purtroppo è il suo lavoro anche questo.

Grace scoppia in lacrime, più di quanto non lo fosse già, un pianto disperato e singhiozzante e una morsa dolorosa allo stomaco, che quasi le fa venire la nausea; le sembra di vivere un déjà vu – e inevitabilmente – la sua mente ritorna ai loro diciotto anni. Hermann spalanca i suoi occhi verdi,[2] ora colmi di lacrime, che non riesce più a trattenere. No, non è possibile che quel medico sconosciuto stia parlando del suo migliore amico, assolutamente: quello là dentro non può essere Karl Heinz Schneider, il Kaiser, la bandiera dell’Amburgo, quello che per lui è diventato un fratello.  «No… Karl non può essere…» sussurra.

Le mani di Benji tremano, i suoi occhi come quelli di tutti, si riempiono di lacrime e il cellulare gli cade per terra aprendosi. «Non è possibile che sia vero…» sussurra sconvolto e terrorizzato, mandando al diavolo tutto il suo proverbiale self-control, al diavolo l’orgoglio e tutto il resto, quello là dentro è uno dei suoi migliori amici e non può rimanere impassibile a tale notizia. No, assolutamente. Stringe più forte la sua migliore amica, che piange senza riuscire a parlare e la consola come meglio può.

«Dottore grave quanto? Cos’ha il mio bambino?» sussurra Beatrix, con un filo di voce incrinata. «Signora Schneider mi dispiace, ma suo figlio ha un tumore al cervello. Adesso bisognerà fare altre analisi, tra cui una biopsia per appurare la natura della massa tumorale e permetterci di agire nel modo migliore possibile. So quanto possa sconvolgere una notizia del genere, ma faremo tutto il possibile per salvarlo.» risponde il medico con tutta sincerità e professionalità, ma anche con amore paterno, in quanto quel ragazzo ha la stessa età del suo e sa bene cosa significhi.

«No… non è vero…» sussurra sconvolta la donna, dando dei leggeri pugni al petto del medico, che la stringe forte e la consola. «Lo salverò, signora, glielo prometto.» le dice con dolcezza. «No, non di nuovo, non anche tu, piccolo mio…» mormora Thomas sconvolto, cadendo sulle ginocchia. Ricordi che prepotenti ritornano alla mente, riaprendo una profonda ferita sul cuore che mai si rimarginerà e provoca un dolore immenso, che dilania l’anima. «No, non posso perdere anche te, Karl, non per lo stesso motivo per il quale ho perso mio fratello. Bernd mi manchi fratellino…» sussurra ancora tra sé, devastato dal dolore.

«Mio cognato, il fratello di mio marito, è morto due anni fa per lo stesso motivo. Pensa che potrebbe essere rilevante?» chiede Beatrix al medico, essendosi leggermente ripresa, ma ancora distrutta dall’idea di poter perdere il suo amato bambino. «Beh… signora potrebbe essere correlato, perché i tumori possono anche essere ereditari, ma non è sempre così, per questo dobbiamo fare ulteriori accertamenti anche per scoprire con che male abbiamo a che fare e come sconfiggerlo.» risponde il medico.

«Ragazzi andate a casa e riposate, per quanto è possibile farlo, non ha senso che rimanete tutti qui.» dice l’allenatore, ripreso un parziale controllo sulle sue emozioni, asciugando gli occhi e guardando ognuno dei suoi calciatori. «Io resto!» dicono Benji, Hermann e Grace all’unisono, facendo sospirare il mister. «Va bene, ragazzi… ma voialtri andate.» dice ancora. Il resto della squadra, seppur controvoglia annuisce, sono consapevoli del fatto che non possono rimanere tutti quanti lì, e concordano sul fatto che è giusto rimangano la fidanzata e gli amici del cuore.

Benji saluta i compagni e recupera il suo cellulare, che monta e accende, scrivendo poi un messaggio a Fanny – conscio del fatto che nella sua terra natia è ormai notte fonda –  ma ha bisogno di sostegno, ha bisogno di condividere questo momento delicato con la persona che ama. Cosa darebbe per averla vicina in questo momento, per stringerla a sé, sciogliendo ogni sua difesa e poter piangere sulla sua spalla, senza paura di esser giudicato.

Domani sarà un nuovo giorno, in tutti i sensi, tutto sarà diverso e ognuno di loro dovrà esser forte per l’amico, il quale avrà bisogno di tutto il loro sostegno – oltre a quello della famiglia – anche quello degli amici sarà fondamentale, perché gli amici non sono semplici conoscenti, affatto: quelli veri sono come una seconda famiglia, una squadra sulla quale si può sempre contare, senza aver paura che essi ti voltino le spalle da un momento all’altro.

 

“È la dura legge del gol… gli altri segneranno però,

che spettacolo quando giochiamo noi, non molliamo mai.

 Loro stanno chiusi ma, cosa importa chi vincerà…

perché in fondo lo squadrone siamo noi.

Lo squadrone siamo noi…”

 

 

***

 

 

Angolo dell’Autrice: Gente finalmente l’arcano è stato svelato, non voletemene dopo questa, ma non sarò così cattiva come possa sembrare, ve lo assicuro, in fondo voglio davvero bene al nostro caro Kaiser (ed è proprio quello il problema, perché ormai è risaputo che tratto peggio proprio i miei personaggi preferiti.) Vero, Darling? Tu ne sai qualcosa…  

Beh, penso comunque che ormai sia chiaro al mondo che Max Pezzali è uno dei miei cantanti preferiti, un maestro di vita. ♥

Adesso non mi resta che darvi appuntamento al prossimo capitolo, nel quale si vedranno le reazioni del Kaiser e anche qualche sorpresa. ;)

Amy

 

 

 

 

 


[1] Principessa in tedesco. (Per quanto riguarda il nome della piccola di casa Schneider mi sono presa una piccola licenza poetica, modificandolo un po’, Marie, da solo mi sembrava scialbo, quindi ho aggiunto Käte ma probabilmente è una cosa mia. Pardon! E poi, come il fratello, ci sta che anche lei abbia un secondo nome – per chi non lo sapesse Karl tradotto in italiano, si chiama: “Carlo Enrico” Heinz, infatti, è un abbreviazione della meno popolare voce tedesca Heinrich, appunto Enrico.)

 

[2] So che in teoria Hermann ha gli occhi a fessura, come molti là dentro, però… no, dai, povero non si può vedere; altra licenza poetica.

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Capitolo 5
*** Io ci sarò… Un amico è così… (prima parte) ***


 

Note introduttive: ormai mi sa che è diventata una routine, ma anche in questo capitolo sono necessarie; come potrete vedere sin da subito, anche qui è presente una canzone di Max Pezzali – credo proprio che continuerò su questa linea – almeno finché non avrò esaurito le riserve di canzoni. xD Altra cosa che salta immediatamente all’occhio è il titolo: “Io ci sarò… Un amico è così” giustamente vi chiederete il perché, ebbene, non è un doppio titolo, ma un titolo correlato; in quanto questo capitolo è diviso in due parti – principalmente perché lungo – ma anche per creare un po’ suspense, come noterete alla fine della sequenza tedesca, la prima canzone non viene conclusa con l’ultima strofa – che verrà appunto – conclusa in seguito nel capitolo successivo; e per quanto riguarda la seconda, che ancora non è stata inserita, verrà inserita al prossimo pezzo, sempre tra le file tedesche. Questa volta niente canzoni uniche per entrambe le fazioni – e niente canzoni per il gruppo giapponese – anche se volendo, la seconda, potrebbe anche riferirsi indirettamente a loro. L’idea di usare due canzoni nello stesso capitolo, probabilmente è una pura pazzia, ma essendo che io lo sono – e ormai penso lo abbiate capito – ho voluto fare quest’esperimento, spero non renda tutto quanto incasinato e incomprensibile. Se qualcosa non dovesse esservi chiaro vi prego di farmelo presente, sono ben lieta di darvi delucidazioni a riguardo, non mi dilungo più di tanto, ho scritto abbastanza.

Vi lascio al capitolo.

Un bacione immenso, Amy

 

Capitolo 5: Io ci sarò… Un amico è così… (prima parte)

 

“Non posso giurare che ogni giorno sarò bello, eccezionale, allegro,

sensibile, fantastico… ci saranno dei giorni grigi,

ma passeranno sai, spero che tu mi capirai.

Nella buona sorte e nelle avversità,

nelle gioie e nelle difficoltà, se tu ci sarai,

io ci sarò…”

 

Ospedale di Amburgo: lunedì 24 gennaio, 2018 h. 19:40.

È passata un’altra ora da quando Karl Heinz Schneider è stato portato d’urgenza al pronto soccorso, il dottor Brown ha dato ai presenti una parziale diagnosi, in quanto non sa bene nemmeno lui con che tumore ha a che fare nello specifico. La famiglia con Grace e i due amici è rimasta là, sebbene abbiano appreso già da un po’ la notizia, non hanno ancora attutito il colpo, ma non è il momento di piangere e disperarsi: adesso bisogna dare la notizia al Kaiser e loro devono essere la sua forza, il suo sostegno.

Intanto, nella sua camera, Karl attende di poter vedere i suoi cari e anche un medico, che spera gli dica di poter tornare a casa; il mal di testa è passato grazie a un analgesico che il personale gli ha somministrato, ma l’ansia e la paura di scoprire la verità non è per niente passata. Guarda apaticamente la goccia che scende dalla flebo attaccata la suo braccio sinistro, non ha idea di che roba contenga, ma a giudicare dal colore trasparente del liquido e la sua poca conoscenza in campo medico, sembra normale soluzione fisiologica. Sospira, chiude un attimo i suoi occhi di ghiaccio, per poi riaprirli e fissare ancora quella goccia: lenta, ritmica e costante; che fa a botte con il suo stato d’animo, agitato e spaurito.

Non è la prima volta che finisce in ospedale, durante la sua carriera calcistica, è spesso capitato che ci sia finito per degli infortuni più o meno gravi, ma è sempre stato dimesso in giornata… questa volta teme che le cose possano andare in modo diverso. “Perché mi hanno portato in una camera singola e mi hanno attaccato questa flebo? C’è forse qualcosa che dovrei sapere? Che c’entrino i mal di testa?”  con questi pensieri e gli occhi lucidi, il ragazzo non si accorge dei genitori e del medico che sono appena entrati; il viso voltato dal lato opposto, stanco, triste e speranzoso.

«Karl, amore di mamma.» sussurra Beatrix avvicinandosi al letto dove è steso il suo bambino, posandogli un dolce bacio sulla fronte, carezzando quei capelli dorati che ha ereditato da lei; gli occhi verdi della madre – lui li ha ereditati azzurri dal padre – rossi e col trucco lievemente sbavato, gli fanno capire che ha pianto. «Mamma…» sussurra, accorgendosi anche del padre e del medico, più in là fermi sulla porta chiusa: Benji, Hermann e Grace, anche i loro volti sembrano provati dalle lacrime e stanchi. “Perché che cosa è successo? Perché avete pianto? È forse per colpa mia?” si chiede, timoroso di esprimere a voce queste domande.

A parte quella dolce frase di sua madre nessuno dei suoi cari ha ancora aperto bocca, sembrano tutti statue che lo fissano con occhi gonfi e rossi, mentre la sottile mano materna gli carezza i capelli, un gesto lento e delicato, incredibilmente dolce – lo stesso che aveva il potere di rilassarlo da piccolo e farlo riaddormentare dopo un brutto incubo. “Che anche questo sia un incubo?”  pensa ancora, mentre osserva il medico con in mano una cartella, probabilmente la sua, scambiarsi uno sguardo con suo padre che annuisce debolmente e sorride guardandolo – lo stesso sguardo orgoglioso e fiero che ha quando il suo Kaiser segna il goal della vittoria.

«Karl come ti senti?» gli chiede d’improvviso il medico, rompendo finalmente quel pesante silenzio dal quale poteva addirittura sentire il respiro caldo di sua madre. «Bene, mi sento solo un po’ stanco e vorrei tornare a casa.» ammette il ragazzo con sincerità; sente la mano materna bloccarsi sulla sua chioma e il padre sospirare. «Karl so che vorresti tornare a casa, riprendere la tua vita quotidiana ed essere in un campo da calcio piuttosto che qui… ma al momento non posso dimetterti, ragazzo.» dice il medico con voce dolce e paterna, come se stesse parlando con suo figlio.

Parole poco rassicuranti, che dicono tutto e niente, rimbombano nelle sue orecchie come se fossero state urlate, facendolo diventare improvvisamente sordo; la sua mente sembra essersi svuotata, solo quelle parole continuano a rimbalzare prepotenti, aumentando il suo crescente terrore. «Dottore… che significa? Perché non può lasciarmi andare?» chiede fissandolo con i suoi occhi azzurri, profondi e terrorizzati, mentre sente la mano di sua madre riprendere a carezzargli i capelli, questa volta con un gesto meccanico.

Il dottor Brown sospira e chiude un attimo gli occhi, conscio del fatto che ciò che sta per dire sarà anche peggio. «Karl hai un tumore al cervello, ma farò di tutto per farti guarire, tornerai presto a giocare a calcio. Te lo prometto, Kaiser.» dice, diretto e professionale, ancora con voce calda e paterna. Il tempo sembra essersi fermato nuovamente, i respiri sembrano essersi mozzati; Karl con gli occhi sbarrati osserva il volto della madre sopra al suo, senza realmente vederlo. “Tumore al cervello.”  è lì che la sua mente si è fermata, quelle tre parole che rimbombano assordanti nelle sue orecchie come una litania angosciante, preludio di morte.

Un singhiozzo di Grace lo ridesta dai suoi pensieri funesti, sente le lacrime della madre cadergli sul viso, unendosi alle sue che non si è nemmeno accorto  di aver versato, chiude gli occhi e stringe la mano della mamma. «Andrà tutto bene, piccolo mio…» sussurra Beatrix Schneider, con voce incrinata, ma dolce e calda. Karl non dice nulla, annuisce debolmente, ancora con quelle parole nella mente, mentre osserva uno per uno i volti delle persone presenti nella stanza: i suoi genitori, il medico, i suoi due migliori amici e Grace. La sua piccola dolce Grace, la sua Starlet. «Vorrei rimanere da solo.» dice infine con voce chiara e decisa, che non ammette repliche.

«Karl… amore ti prego noi siamo con te, lotteremo insieme a te, non è solo la tua battaglia.» sussurra la ragazza, avvicinandosi al letto e prendendogli la mano; lui la lascia fare e la guarda, non si oppone né ricambia, la guarda e basta. «Starlet… non te la prendere, lo so, ma al momento voglio stare da solo.» dice specchiandosi in quei profondi occhioni ambra che lo hanno fatto innamorare dal primo giorni che hanno incrociato i suoi. Grace ricambia lo sguardo, annegando a sua volta in quei meravigliosi occhi color ghiaccio che l’hanno subito colpita, con un velo di lacrime nei suoi, guarda il fidanzato e annuisce – anche se controvoglia – lo stringe e lo bacia sulla fronte per poi staccarsi e uscire dalla stanza, correre fuori e scoppiare in lacrime.

«Benji, Hermann prendetevi cura di lei…» sussurra Karl, chiudendo gli occhi per non cedere ad altre lacrime davanti ai presenti. «Papà… porta mamma a casa, prenditi cura di lei e di Marie Käte.» dice poi ai genitori. «Tesoro, piccolo di mamma non dire così, noi resteremo qui a prenderci anche cura di te, tua sorella la manderemo qualche giorno dai nonni a Leverkusen…» piange Beatrix, stringendo forte il suo bambino. «Ho detto che non voglio nessuno, cazzo, voglio rimanere da solo. È così difficile da capire? Mamma per favore vattene, almeno per adesso…» urla questa volta il Kaiser allontanandola e voltandosi dalla parte opposta.

Price e Kaltz guardano l’amico sconvolti, ma capiscono che non deve essere facile per lui, sospirano ed escono fuori dalla stanza raggiungendo l’amica in giardino. Thomas guarda il figlio con occhi lucidi, ma non piange, non può piangere. Non deve. Non ora. Stringe le spalle della moglie, che ancora china sul suo bambino, è rimasta paralizzata da quel tono duro. «Andiamo, Bea, per adesso lasciamo che elabori la notizia da solo, il nostro Karl è forte e non si arrenderà così, lotterà come ha sempre fatto durante le sue partite. Questa è la partita della sua vita e deve vincerla a tutti i costi.» dice l’uomo sorridendo al figlio, dandogli un leggero pugno sulla spalla destra; Beatrix stringe le mani del marito, guarda ancora il suo piccolo uomo, lo bacia in fronte e si lascia portar via. «Adesso cerca di riposare un po’, ti farà bene.» dice il dottor Brown congedandosi anche lui.

Rimasto solo Karl, si lascia andare ad un pianto liberatorio, dando un pugno non indifferente alla testata del letto. «Perché cazzo? Perché?» dice tra un singhiozzo e l’altro, mentre le lacrime continuano a rigargli il viso sempre più prepotenti e inarrestabili. Stringe il pugno destro, dolorante per il gesto rabbioso di poco prima e chiude gli occhi, lasciando vagare la mente di qualche anno addietro.

“Solo che la vita non è proprio così, a volte è complicata, come una

lunga corsa ad ostacoli dove non ti puoi ritirare

soltanto correre… con chi ti ama accanto a te.

Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà

se tu ci sarai, io ci sarò…

 

Inizio flashback

Era un caldo venerdì di luglio, quella sera dopo l’allenamento pomeridiano sarebbe dovuto andare con Grace, gli amici e i compagni al Paulaner’s Miraculum, come sempre – ma quella sera del 4 luglio di due anni fa, avrebbero dovuto festeggiare il suo diciottesimo compleanno – ma così non fu. Quell’anno non festeggiò il compleanno.

Finito l’allenamento raggiunse la panchina con i compagni, come sempre, quella volta però qualcosa catturò la sua attenzione particolarmente: suo padre. Nascosto all’ombra del tunnel dello spogliatoio con gli occhi fissi a terra. «Karl va a farti subito la doccia, dobbiamo andare immediatamente a Berlino.» disse senza aggiungere altro, lui lo guardò senza rispondere, ma annui e corse a lavarsi, non poteva immaginare cosa fosse successo di tanto sconvolgente, ma a giudicare dal tono del genitore doveva essere qualcosa di serio.

Associando la città al luogo in cui si teneva la finale degli Europei capi che fosse successa qualcosa… forse suo zio si era infortunato gravemente durante la partita o forse era successo qualcosa ai nonni, che erano lì a seguire la partita del secondogenito, ma solo una volta arrivato capì che non era per loro che erano lì, anche, ma fondamentalmente era un altro parente a star male; dopo aver lasciato Marie Käte dai nonni materni ad Amburgo, Karl con suo padre e sua madre, corse in ospedale. «Thomas…» sussurrò Beatrix, stringendo la mano del marito sul cambio, che non rispose, continuando a guidare in silenzio. Karl non ebbe il coraggio di chiedere cosa fosse successo, lo scoprì una volta arrivati.

Suo zio Bernd Schneider, fratello minore di suo padre, attaccante del Bayer Leverkusen era stato ricoverato d’urgenza dopo aver perso i sensi alla finale degli Europei contro la Francia.  La diagnosi fu brutale: cancro al cervello in stadio terminale; brutale e spietata come i titoli della stampa: “Bernd Schneider, bandiera dell’attacco del Leverkusen, a soli venticinque anni sta giocando la sua ultima partita, quella con la vita, contro un tumore. È la sua fine?”

Esattamente un mese dopo suo zio perse la sua partita più importante, si arrese ad un avversario più forte di lui: la malattia, il suo avversario più temibile, lo strappò per sempre e prematuramente dai campi di calcio e dalla sua famiglia, a soli venticinque anni, all’apice della sua carriera calcistica: Bernd Schneider morì stroncato da un tumore maligno al cervello.

Fine flashback

Questo triste e doloroso ricordo lo riporta improvvisamente al presente; adesso come allora, di nuovo in una camera d’ospedale, con la stessa diagnosi o quasi, due Schneider un solo destino. «No, io non finirò come te zio, non posso, non voglio morire e lasciare ancora un vuoto nel cuore di papà… non posso lasciare mamma col cuore a pezzi per aver perso il suo bambino… non posso lasciare Grace. Non posso...» sussurra come fosse una preghiera, dando un altro pugno al letto.

Stringe i denti per il dolore alla mano e asciuga le lacrime, non ha ancora razionalizzato per nulla la notizia, non è possibile; si siede sul letto tremante di rabbia e con tutto il suo coraggio si stacca l’ago dal braccio. Non è possibile, deve essere soltanto un brutto sogno, la storia non può ripetersi ancora una volta. Si alza dal letto e raggiunge la porta, si guarda cautamente attorno e vedendo la via libera da medici ed infermieri scappa dall’ospedale.

Un uomo nascosto nell’ombra sorride e lo lascia andare, prende il cellulare dalla tasca del suo camice da lavoro e fa partire una chiamata anonima, una chiamata pesante e meschina, solo per una manciata di popolarità.

 

“…Nella buona sorte e nelle avversità,

nelle gioie e nelle difficoltà

se tu ci sarai, io ci sarò…”

 

***

 

Dopo aver mangiato un boccone, seppur con lo stomaco chiuso, ognuno è tornato a casa per farsi una doccia e cambiarsi, con l’accordo di vedersi dopo a casa della ragazza; né Benji né Hermann vogliono che Grace rimanga sola, soprattutto visto che i suoi genitori sono ancora in Giappone. 

Amburgo: Villa Price, 24 Gennaio, 2018 h. 21:30.

Benji rientra a casa, tira malamente il giubbotto sul divano del salotto e lancia letteralmente le chiavi dell’auto sul mobile dell’ingresso. «Alla buon’ora, signorino. Ero venuto a prenderti al campo, ma evidentemente avevate già finito e il tuo cellulare è staccato. Va bene che non sono tuo padre, ma ti avevo detto che sarei arrivato oggi. Un minimo di rispetto, Benji, penso almeno di meritarmelo. Non credi?» dice Freddy Marshall, seduto sul divano in salotto, nascosto dalla penombra.

Il portiere sussulta sentendo la sua voce, essendosi totalmente dimenticato del suo arrivo con tutto ciò che è successo, poi sorride, ringraziando che sia lì. «Ciao, Freddy… scusami, me ne sono dimenticato con tutto il casino che è successo oggi e il cellulare mi si è scaricato.» sussurra con un tono lievemente tremante e parecchio scosso. L’uomo, che gli è vicino da quando era un soldo cacio, conosce ormai benissimo ogni suo tono di voce; in fondo è un po’ come se fosse suo figlio. «Benji ch’è successo?» chiede con tono paterno, alzandosi dal divano per raggiungere il suo pupillo.

Il ragazzo non si  muove e non risponde, rimane immobile nello stesso punto, con la visiera del cappellino calata sugli occhi e lo sguardo fisso a terra. «Benji? Tutto bene?» chiede ancora Marshall, iniziando a preoccuparsi, non avendo idea di quanto possa esser accaduto, nel frattempo gli è arrivato di fronte; a quel punto il ragazzo lo stringe e scoppia a piangere sul suo petto. Le lacrime che ha dovuto reprimere in presenza della sua migliore amica, adesso sono finalmente libere di esser sfogate, perché in fondo anche lui è umano e anche lui ha dei sentimenti, oltre al suo smisurato orgoglio.

Avrebbe potuto piangere anche prima, ma non voleva turbare ancora l’amica, voleva piuttosto darle la sua forza e il suo sostegno – perché lui è Benjiamin Price ed è fatto così – nonostante non sembri, consola sempre le persone a cui tiene, poi una volta in solitaria si lecca le ferite.

«Allora?» chiede ancora l’allenatore, tenendo il suo ragazzo tra le braccia e carezzandogli la schiena scossa dai singhiozzi. «Freddy… sono davvero contento del fatto che tu sia qui.» dice come se fosse un bambino piccolo tra le forti braccia del padre, tirando sul col naso; l’uomo sorride e continua a stringerlo forte contro il suo petto, aspettando che il ragazzo prosegua. «Abbiamo finito prima l’allenamento e siamo corsi in ospedale, Karl si è sentito ancora male, ha avuto le convulsione e lo hanno ricoverato…» inizia il portiere, senza riuscire a proseguire, ancora troppo scosso.

Il buon Freddy Marshall sbarra gli occhi castani sotto le sue lenti e allontana il suo pupillo, giusto quel poco che serve per guardarlo negli occhi. «Scheiße!»[1] si lascia sfuggire, anche se non è solito dire parolacce. «Vieni, sediamoci e raccontami tutto quanto. Spero non sia nulla di grave…» dice preoccupato per il giovane Kaiser, in fondo ormai è un grande amico del suo ragazzo, come lui lo è di Thomas da quando erano ancora entrambi calciatori.

Benji asciuga gli occhi con la mano destra e si lascia sprofondare sul divano, sospirando pesantemente e chiudendo gli occhi, mentre Freddy ritorna con un bicchiere d’acqua che gli porge, sedendosi al suo fianco; il ragazzo accenna un sorriso e beve un po’, posa il bicchiere sul tavolino e lo guarda. «Non sanno ancora di preciso con cosa hanno a che fare, ma dalle prime analisi… è emersa la presenza di un tumore al cervello. Dick,[2] Freddy ti rendi conto? Non è possibile, non può accadere di nuovo…» sussurra riprendendo a tremare.

Il mister lo stringe di nuovo a sé e lo carezza sulla schiena, cercando di calmarlo, non lo ha mai visto così scosso e in lacrime, ma è ben lieto di consolarlo – questo gli fa capire quanto sia alta la considerazione che ha di lui il pupillo. «Lo so, Benji, so a cosa stai pensando, ma non accadrà di nuovo. Hai detto che i medici non sanno ancora con cosa hanno a che fare nello specifico, ma cerca di stare tranquillo e stargli vicino… Karl non farà la stessa fine di Bernd, questa volta andrà tutto bene.» sussurra con una dolcezza che sfodera molto di rado, tenendo quel ragazzo che ha visto crescere – su tutti i fronti – tra le braccia, rincuorandolo e consolandolo.

Dopo aver parlato a lungo con il suo ex allenatore personale, Benji si sente leggermente più sollevato, consapevole del fatto che avrà sempre una spalla sulla quale piangere, che lo accoglierà ogni volta come un padre tra le braccia; lo ringrazia ancora per lo sfogo e sorride, finalmente sorride. «Adesso vado a farmi una doccia e mi cambio, tra un po’ arriva Kaltz, rimaniamo a dormire da Grace dato che i suoi sono in Giappone.» lo informa. «Non è un problema per te, vero?» si affretta ad aggiungere, come se dovesse scusarsi di qualcosa. Freddy scuote la testa e sorride. «Va pure, non preoccuparti, se avrai bisogno io sarò qui. Adesso chiamerò Thomas, tu prenditi cura di Grace e stalle vicino, ha bisogno della tua forza per sostenere il fidanzato e tu ed Hermann dovrete aiutarla. Karl ha bisogno anche dei suoi migliori amici.»

***

Furano: casa di Philip Callaghan, 25 Gennaio, 2018 h. 7:30.

Nonostante sia ancora presto, e hanno dormito veramente poco e male, Amy e Jenny sono già sveglie – anche se non devono preparare la colazione per i calciatori come in ritiro – perché ci penserà la mamma di Philip, le due ragazze non riuscirebbero più a dormire. Amy sospira pesantemente, guarda l’ora e si mette seduta sul letto, guardando il fidanzato ancora addormentato al suo fianco, ma non vuole svegliarlo.

Jenny, sentendo il sospiro dell’altra, e vedendola sedersi sul letto, la imita e si ritrova le braccia di un dormiente Philip alla vita, sorride  guardandolo, poi volge lo sguardo all’amica. «Buongiorno… anche se avrei preferito dormire ancora.» dice. Amy sorride. «Buongiorno. Non dirlo a me, mi sento stanchissima, ma una volta sveglia non riesco più a riprendere sonno.» ammette.

Jenny sospira, si stacca le braccia del fidanzato dalla vita e si alza. «Chissà com’è la situazione ad Amburgo…» sussurra accorgendosi che anche i due Ross stanno ancora dormendo. «Non lo so, sperò davvero non sia nulla di grave. Temo dovremo aspettare che si svegli Fanny per avere altre notizie, penso che Benji le avrà scritto ancora…» sussurra Amy alzandosi piano per non disturbare Julian, consapevole del suo sonno leggero.

Jenny sospira ancora e prende i vestiti e il suo beauty aprendo la porta, aspettando che l’altra la raggiunga, per poi richiuderla piano. «Se non fosse notte fonda da loro potrei chiamare Grace, ma penso stia dormendo dopo una giornata pesante, non voglio disturbarla se è così… potrei chiamarla nel pomeriggio, quando da loro sarà mattina…» dice pensierosa la manager della Flynet, mentre entra in bagno, seguita dalla compagna, che annuisce con un sospiro pesante.

«Immagino anche io stia dormendo, so bene cosa significhi passare ore infinite in ospedale senza che nessuno ti dica nulla, poi se quello che sta male è il ragazzo che ami…» sussurra Amy, persa nei suoi ricordi tristi, mentre Jenny inizia a lavarsi i denti. «In ogni caso penso che le farebbe piacere sentirti più tardi, sei la sua migliore amica, per quanto lì possa avere Benji, tu sei tu e lui sarà sconvolto quanto lei.» aggiunge dopo essersi ripresa, infilandosi sotto la doccia.

Dopo essersi lavate entrambe velocemente, tornano in camera per posare beauty e pigiami, richiudendo silenziosamente la porta, scendono al piano di sotto, dove la signora Callaghan sta preparando la colazione.  «Buongiorno, ragazze. Dormito bene? Quei tre sono ancora a letto?» chiede allegramente la donna. «Buongiono…» sussurra timidamente Amy, che conosce poco la mamma dell’amico.

«Buongiorno, signora Mizuki. Sì, abbiamo dormito bene e gli altri non si sono ancora svegliati.» risponde Jenny, che ormai ha una certa confidenza con la madre del fidanzato; non vuole dirle nulla, non finché non avranno notizie certe, sorride e si  mette tranquillamente ad aiutarla con la preparazione. Amy sorride e poco dopo inizia anche lei a dare una mano.

«Fanculo, stupido cellulare di merda!» sbuffa Fanny svegliandosi e afferrandolo, notando con disappunto che si è spento, sbuffando ancora lo attacca alla carica e intanto che aspetta che si carichi un po’ per riaccenderlo va in bagno a darsi una sistemata, con la sua solita grazia da elefante in una cristalleria entra in bagno facendo un casino assurdo.

«Fanny… ma perché sei sempre così maldestra?» le urla Julian, svegliato dai suoi rumori. «Scusa, cuginetto. Comunque buongiorno, sveglia quel pigrone del tuo amico, sono le otto.» urla lei dal bagno, facendolo sospirare;  Julian si alza e raggiunge il letto dell’amico per svegliarlo, ma lo trova già sveglio.

«Ma sicuro che è tua cugina? Lei è un uragano vivente, tu sei tutto l’opposto…» dice Callaghan sbadigliando, sedendosi sul letto e stropicciandosi gli occhi, Ross ride ed alza le spalle. «Beh, se non sapessi per certo che è la figlia del fratello di mio padre, avrei anche io qualche dubbio.» ammette, facendo ridere anche l’altro.

***

Dopo colazione i coniugi Callaghan si congedano, dicendo ai ragazzi che non ci sarebbero stati per pranzo, avendo delle commissioni da sbrigare a Tokyo. «Che facciamo oggi?» chiede un annoiato Philip, seduto sul divano, con la gamba infortunata alzata sul pouf. «Boh, con te in queste condizioni non è che si possa fare molto.» risponde Julian provocandolo. «Baronetto vorrei ricordarle che è stato lei a ridurmi in questo stato, quindi adesso si assuma le sue responsabilità.» risponde a tono il capitano della Flynet, scatenando le risate di Amy e Jenny.

Fanny colta da un lampo, si alza di scatto dalla poltrona sulla quale stava seduta, e senza avvertire gli altri corre immediatamente al piano di sopra per recuperare il suo cellulare, ormai sarà carico e deve assolutamente accenderlo per vedere se Benji le ha mandato altri messaggi: infatti, come volevasi dimostrare, una volta accesso trova due messaggi su Whatsapp proprio del fidanzato, titubante apre la chat e legge, spalanca gli occhi verdi e rilegge ancora una volta, sperando di aver capito male – purtroppo ha letto benissimo.

Rimane seduta sul letto a fissare il display del cellulare, mentre delle silenziose lacrime iniziano a rigarle il viso, fa un veloce calcolo sul fuso orario e sospira. «In Germania è circa l’una di notte, amore… vorrei risponderti, ma non vorrei svegliarti se stai dormendo.» sussurra tra sé, in questo momento più che mai, vorrebbe essere lì con lui e consolarlo, sospira ancora e alla fine decide di rispondere – male che vada lui le risponderà appena sveglio.

Ancora in lacrime e profondamente scossa, si alza e raggiunge gli amici giù. «Potremo passare la giornata a giocare alla PlayStation.» propone Julian, anche se un po’ gli scoccia, ma non è il caso di uscire, proprio mentre Philip sta per rispondere Fanny rientra in salotto. «Ragazzi…» sussurra con voce tremante e il viso ancora bagnato di lacrime; i presenti si bloccano tutti e la fissano, tornando immediatamente seri, a giudicare dalla sua espressione deve aver avuto altre notizie da Amburgo.

«Fanny non tenerci sulle spine. Che ti ha scritto Benji?» la esorta Jenny, seduta accanto al fidanzato, sentendo un brivido lungo la spina dorsale, stringendosi al ragazzo, che ricambia la stretta e guarda l’altra ragazza, così come Julian e Amy che, la osservano silenziosi, con un leggero terrore negli occhi. «È più grave di quel pensassimo… lo hanno ricoverato, hanno diagnosticato un tumore al cervello, ma devono fare altri accertamenti per saperne di più…» sussurra la Ross, scoppiando nuovamente a piangere.

Quattro paia di occhi si sbarrano contemporaneamente, quelli di Amy si riempiono immediatamente di lacrime, trovandosi le braccia del fidanzato sulle spalle che, prontamente, la stringe forte. «Grace…» mormora Jenny, consapevole di quanto la sua migliora amica possa essere in pena in questo momento. «Dobbiamo andare in Germania, dobbiamo stare vicini ai nostri amici.» dice Philip, profondamente dispiaciuto per l’amica e il tedesco, con cui alla fine – fuori dal campo – hanno sempre avuto un buon rapporto; dicendolo scatta in piedi come se nulla fosse, ricadendo immediatamente per terra data la poca stabilita della gamba infortunata.

«Philip, amore…» accorre subito Jenny, preoccupata del fatto che possa essersi fatto male. «Sto bene, piccola, fa solo un po’ male…» sussurra il ragazzo con voce strozzata dal dolore. «Philip Callaghan sei un completo idiota, capisco benissimo cosa ti passi per la mente, ma non avresti dovuto alzarti così di scatto e senza stampelle.» lo ammonisce Julian alzandosi e raggiungendolo, aiutato da Jenny, lo stende sul divano e gli toglie il tutore per controllare il ginocchio; intanto Amy e Fanny hanno trovato consolazione l’una tra le braccia dell’altra.

«Baronetto è sicuro di sapere quello che sta facendo?» chiede Philip, un po’ per smorzare la tensione, mentre l’altro gli alza il pantalone della tuta fin sulla coscia. «Taci, Callaghan. E comunque sì, ti ricordo che mio padre è il miglior ortopedico di tutta Tokyo, essendo suo figlio saprò pure qualcosa, e poi sai com’è, essendo calciatore conosco questi infortuni, inoltre, vorrei ricordarle che studio medicina» dice Julian non scomponendosi minimante alla provocazione dell’amico, toccando con accuratezza il suo ginocchio sinistro. «Jenny ho bisogno del ghiaccio e di una pomata per i traumi.» dice con un tono serio e professionale.

La ragazza annuisce e corre immediatamente a recuperare quanto chiestole, mentre lui massaggia lievemente la zona intorno al ginocchio dell’amico, che lo guarda tra il serio ed il divertito. «Sembri quasi serio, ti ci vedrei come medico sportivo, od ortopedico come tuo padre.» dice non resistendo. «Che voglio diventare medico e sto studiando medicina non è un mistero, ma non ho ancora deciso su che branca specializzarmi.» risponde Julian, sciogliendogli il quadricipite teso. «Cuginetto…» lo chiama improvvisamente Fanny, mentre Jenny rientra con ghiaccio e Lasonil. «Non adesso, Fanny.» risponde Julian, senza nemmeno voltarsi a guardarla, mentre inizia a spalmare la pomata sul ginocchio di Philip, che ridacchia  e guarda la fidanzata.

«Julian Ross!» tuona Fanny, che odia essere ignorata. «Anche se sei impegnato puoi benissimo ascoltarmi, almeno che tu non lo faccia con le mani anziché con le orecchie.» dice balzando in piedi senza ammettere repliche. Julian sospira. «Dimmi.» dice arrendendosi, non ha per niente voglia di sentire la cara cuginetta urlare; la ragazza sorride trionfante e si siede sul bracciolo del divano. «Guardandoti giocare a fare il medico, come tuo padre, ho avuto l’illuminazione. Potrei dire di Karl a mio padre, sai anche tu che è il neurochirurgo migliore del Giappone.» dice contenta di poter aiutare il miglior amico del fidanzato.

Il cugino la guarda un attimo, poi continua a spalmare la pomata sul ginocchio dell’altro. «Ma siete tutti medici voi Ross?» chiede Philip stupito, non si aspettava che anche lo zio dell’amico lo fosse. Julian annuisce, poi guarda di nuovo la cugina. «Non so, Fanny, potrebbe essere una buona idea, ma penso tu debba parlarne con Benji, che a sua volta dovrà parlarne con i genitori di Karl, che a loro volta dovranno parlane col medico che lo ha preso in cura… potrebbe essere utile, ma non è detto che sia fattibile, senza contare che tuo padre dovrebbe partire per Amburgo.» le risponde, mentre finisce di spalmare la pomata sul ginocchio dell’amico, posandoci poi sopra la borsa del ghiaccio.

«E quindi?» scatta la cugina. «Non mi sembra una cosa tanto impossibile da fare, e sinceramente, non vedo perché quell’altro medico tedesco non debba accettare l’aiuto di un collega. Cosa importa se è giapponese? È la bravura quella conta, e per la cronaca, mister so tutto io, so benissimo che se tutto venisse accolto di buon grado dalla Germania papà dovrebbe partire – e ovviamente io andrò con lui – così potrò stare vicina a Benji.» conclude mettendo su un lieve broncio, mal sopportando il modo di essere perfettino del cugino.

Julian sospira e si siede sul divano. «Fanny fai quello che ti pare, tanto non mi avresti dato retta neppure se ti avessi detto di no. E per la cronaca, non ti ho impedito di farlo, al contrario ho detto che potrebbe essere una buona idea elencando i pro ed i contro della faccende. Parla con Benji e vedi cosa ne pensa lui.» conclude poggiando il capo sul divano, chiudendo gli occhi e sospirando. Sono appena le nove del mattino e già la testa gli scoppia, bell’inizio di giornata.

«Ragazzi siete uno spettacolo mentre litigate, non immaginavo che il nostro caro Baronetto potesse litigare così con la cuginetta.» ride Philip, mettendosi seduto. «Callaghan taci o questa volta te lo rompo davvero il ginocchio.» lo riprende Julian poco carinamente, mentre Amy gli lancia un’occhiataccia e Jenny tira uno scappellotto sulla nuca del fidanzato e Fanny gongola. «Scusa, Phil, solo che con tutto il casino che è successo in dieci minuti mi scoppia già la testa.» ammette Ross. «Ti prendo qualcosa per il mal di testa.» dice prontamente Jenny, scattando in piedi, ma fermandosi subito, non sapendo cosa può prendere e cosa no, visto il suo problema cardiaco. «Jenny va bene la Tachipirina, non interferisce con i suoi problemi.» dice Amy cogliendo il dubbio dell’amica, che annuisce e corre in bagno per prenderla.

Fanny sbuffa, si butta sul divano e sblocca lo schermo del cellulare, andando sul contatto del fidanzato, sbarra gli occhi vedendolo online – addirittura che sta scrivendo – sorride e attende paziente che arrivi il messaggio, rimanendo a fissare lo schermo acceso, mentre Jenny ritorna con la medicina e un bicchiere d’acqua per Julian.

 

«Fuffy mia, vorrei averti qui con me in questo momento, ma non posso pretendere che tu venga con l’università e tutto il resto che avrai da fare a Tokyo.
Spero di poter fare Skype stasera, ho voglia di vederti.
Adesso sono a casa di Grace assieme a Kaltz, non volevamo rimanesse sola.
 Karl ci ha praticamente cacciato fuori non appena ha saputo del tumore; nonostante la gravità della situazione i medici mi sono sembrati molto ottimisti e preparati, so che è in buone mani.»

«Anche io vorrei essere lì con te, amore, forse ho una scusa per venire. Mio padre è un neurochirurgo, potrei parlargli della situazione e venire ad Amburgo con lui.» risponde Fanny felicissima di poter parlare col suo uomo. 

«Potrebbe essere una buona idea, ma adesso devo scappare.
Hanno chiamato i genitori di Karl piuttosto allarmati, appena so qualcosa e posso ti spiego.
Ich liebe dich. ♥»» risponde Benji disconnettendosi.

Fanny sospira e racconta agli amici della conversazione appena avuta col ragazzo. 

 

 

 

 

***

Angolo dell’autrice: non ho molto da dire, dunque non mi resta che ringraziare sempre chi segue e recensisce la storia, chi legge solamente e chi l’ha inserita tra i vari preferiti; come ormai è consueto, un ringraziamento particolare e doveroso, va alla mia fantastica Darling (ti adoro, tesoro. ♥) ormai promossa ufficialmente a mia consigliera personale e compagna di scleri e consigli, colei che un po’ dietro le quinte contribuisce nella stesura di questi capitoli e ha alcune anticipazioni in anteprima. Grazie davvero di tutto. :)

Un bacione grandissimo, al prossimo capitolo, Amy

 

 

 

 


[1] Merda

[2] Cazzo

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Capitolo 6
*** Io ci sarò… Un amico è così… (seconda parte) ***


Note introduttive: come preannunciato nel quinto capitolo, questo è il seguito, le vicende riprendono esattamente da dove erano state interrotte nel precedente; ho concluso “Io ci sarò” e ho inserito anche la seconda canzone “Un amico è così” all’inizio – come avevo scritto nelle note del quinto – avevo pensato di usarla per l’amicizia che lega Benji e Karl, ma poi ho deciso di estenderla anche al gruppo dei giapponesi, in quanto Jenny e Philip sono sempre e comunque i migliori amici di Grace – e nemmeno il tempo e le distanze potranno mai cambiare questo legame di fraterna amicizia. Spero che tutto fili e che le canzoni non siano d’impiccio messe insieme. Come sempre ringrazio tutti quanti e vi auguro una buona lettura.

Un bacione immenso, Amy.

 

 

Capitolo 6: Io ci sarò… Un amico è così… (seconda parte)

 

 

Amburgo: 25 Gennaio, 2018 h. 1:30.

I coniugi Schneider sono stati chiamati nel cuore della notte dal dottor Brown , il quale li ha avvertiti della fuga del figlio, Thomas ha immediatamente chiamato Benji, il quale con Hermann e Grace lo hanno subito raggiunto a casa per organizzarsi e iniziare le ricerche del Kaiser. «Ragazzi avete il secondo casco?» chiede il mister ai due calciatori. «Io sì, ho portato Grace.» risponde Price, mentre Kaltz scuote la testa.

Beatrix davanti la porta di casa, afferra quello del figlio dalla sedia dell’ingresso, lo osserva un attimo con occhi lucidi e lo porge al ragazzo, che lo prende e lo aggancia al sellino. «Bene. Grace tu rimani qui con Bea, Marie Käte sta dormendo e non ce la siamo sentita di svegliarla; noi andiamo a cercarlo, appena lo troviamo ve lo facciamo sapere.» dice ancora Thomas, nonostante sia preoccupato per la fuga del figlio, non avendo la benché minima idea di dove possa essersene andato nel cuore della notte.

La manager, che avrebbe preferito unirsi al gruppo di ricerca, annuisce consapevole del fatto che la signora Schneider è in pena quanto lei – se non di più – in fondo è il suo bambino ad esser sparito. «Ragazzi, dividiamoci, io prendo l’auto. Il primo che lo trova avvertirà gli altri due e lo riporterà indietro, ci vediamo all’ospedale.» dice Thomas, guardando tutti, stringendo la moglie. «Sì, mister!» rispondono prontamente i ragazzi, salutando le due donne, salendo in sella alle loro moto e partendo alla ricerca dell’amico.

Thomas saluta la moglie e la manager, apre il garage, sale sulla sua Audi A7 grigia metallizzata  e parte assieme ai ragazzi; Beatrix richiude la porta del garage, sospira affranta e rientra in casa con la ragazza, nessuna delle due ha voglia di dormire, perciò si accomodano in cucina dove la donna prepara una tisana e si mettono a parlare.

 «Jenny, amica mia, come vorrei che fossi qui con me in questo momento.
Sono sicura che saprete già tutto, ho visto Benji messaggiare con Fanny; adesso sono a casa di Karl con sua madre.
Ci hanno chiamato dall’ospedale dicendo che è scappato…
Benji, Hermann e suo padre sono andati a cercarlo. Ho tanta paura, Jenny, non voglio gli accada nulla, non so dove possa esser andato quel folle.
E se si sentisse male?
Se ricordi ero preoccupata anche al ritiro per questi suoi malesseri, ma non immaginavo che potesse essere qualcosa di così tanto grave…
spero davvero che non sia troppo tardi e che la faccia.
Ho troppa paura di perderlo.»
sconvolta e spaventata, Grace scrive queste parole alla sua migliora amica lontana, parlare con lei e sentirla vicina – almeno telefonicamente –  le darà un po’ più di forza per affrontare la situazione.

Intanto Thomas Schneider, Benjiamin Price ed Hermann Kaltz percorrono  le strade cittadine alla ricerca di Karl, preoccupati e speranzosi di trovarlo presto, sano e salvo; sembra non esserci però nessuna traccia del ragazzo, ma nessuno dei tre demorde, non si arrenderanno finché non lo troveranno. È ormai mezz’ora che girano a vuoto per le vie di Amburgo, il padre prova a chiamarlo al cellulare, sperando che risponda – ma questo squilla a vuoto – probabilmente devo averlo lasciato in ospedale o non vuole rispondere.

Leverkusen: cimitero, 25 Gennaio, 2018 h. 2:30.

Dopo aver vagato senza meta precisa per la strada, Karl Heinz Schneider, è salito sulla metropolitana infischiandosene di esser riconosciuto e ignorando quei pochi passeggeri in viaggio di notte, che lo hanno richiamato per una foto o un autografo. Si è abbandonato su un sedile a caso del treno, calandosi sugli occhi la visiera del cappuccio del giubbotto, nel tentativo di camuffarsi, ma evidentemente – visti i richiami – devono averlo riconosciuto egualmente.

Arrivato nella città natale paterna, ha girovagato ancora, stando attento a non farsi riconoscere – soprattutto da conoscenti dei nonni – stando anche attento di non beccare uno dei due in giro – anche se vista l’ora non c’è molta gente in giro. Distrutto e ancora sconvolto dalla brutta notizia ricevuta poche ore prima, è entrato al cimitero cittadino, correndo in lacrime è giunto davanti la lapide dello zio dove si è seduto, ed è ancora lì – nonostante sia ormai calata la notte – incurante di tutto e tutti.

«Ciao zio… è un po’ che non vengo a trovarti, penso che la notizia sarà giunta anche a te, ovunque tu sia. Sono scappato dall’ospedale nel quale mi hanno ricoverato, so di aver fatto una grandissima cazzata, ma ho paura. Non voglio morire, non voglio che questo male porti via anche me come ha fatto con te, non so nemmeno perché sono venuto qui a dire il vero… forse, nel mio inconscio volevo parlare con te, in un certo senso tu puoi capire come mi sento; anche tu probabilmente ti sarai sentito solo e terrorizzato, nonostante avevi tutti noi e Marika[1] a sostenerti.» sussurra Karl davanti la foto del defunto parente, come se lui potesse sentirlo.

«Ti ricordi di Grace? L’adoravi e dicevi che era perfetta per me. Stiamo ancora insieme, ormai da quasi tre anni, non lo avrei mai immaginato, ma mi sono innamorato di lei dal primo istante che l’ho vista. È stupenda: è la mia vita, è dolce e solare, le piace studiare e ama anche il calcio è la nostra manager. Sono certo che, conoscendola meglio, l’avresti presa ancora più in simpatia di quanto già non fosse, oh zio… come avrei tanto voluto averti al mio fianco per avere ancora i tuoi consigli. Capisci adesso perché non voglio e non posso lasciare che questa bestia mi sconfigga? Non voglio lasciarla, non lo merita… anche papà e mamma, non voglio lasciare questo grande vuoto nei loro cuori, ho visto quanto erano distrutte la nonna e Marika quando sei volato in cielo, quanto anche il nonno e papà lo fossero, ma hanno cercato di essere forti.» continua a parlare il Kaiser, sfogando tutte le sue paure.

Con le gambe ormai intorpidite dalla posizione si alza per sgranchirle, non ha idea di quanto sia stato seduto lì a gambe incrociate a parlare davanti la foto dello zio. Il suo adorato zio Ber, che data la giovane età, ha sempre visto come un fratello maggiore, un compagno di avventure e cazzate; colui al quale sapeva di poter sempre raccontare tutto, ricevendo dei rimproveri – ma mai come quelli che può farti un padre – e dei consigli, con lui poteva sempre essere se stesso come si fa con gli amici. Lui era tutto: uno zio, il suo migliore amico, il suo punto di riferimento, il suo fratellone, il suo idolo.

Arrabbiato e in lacrime, fissa uno dei tanti cipressi presenti al campo santo, e in un impeto di rabbia inizia a prenderlo a pugni – incurante del dolore crescente alle mani – non è nulla rispetto al dolore interiore che prova in questo momento per tutto ciò che lo ha investito nel giro di poche ore. Tira pugni all’albero per chissà quanto tempo, finché le nocche iniziano a sanguinare, ma non gli importa continua, continua fino a quando il dolore fisico supera quello interiore e si lascia cadere sulle ginocchia, avvicinandosi nuovamente alla lapide, sulla quale si china e piange.

Inizia ad avere freddo e la testa inizia a dargli nuovamente fastidio, sente lo stomaco brontolare – effettivamente non ha nemmeno cenato – visto che non ha toccato il cibo che gli hanno portato in ospedale. Si raggomitola ancora di più su quella fredda pietra e piange senza sosta, abbattendo ogni barriera col suo orgoglio; non vuole tornare, non ancora, probabilmente si saranno accorti della sua assenza e, sicuramente adesso lo staranno cercando, ma nemmeno questo gli importa; vuole solo stare lì a piangere, come se lo stesse facendo tra le braccia dello zio. «Mi manchi, zio. Mi manchi da morire, cazzo…» sussurra ancora tremante, singhiozzante e stremato.

“Giuro ti prometto che io mi impegnerò, io farò di tutto però,

se il mondo col suo delirio riuscirà ad entrare e far danni

ti prego dimmi che, combatterai insieme a me. 

Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà,

se tu ci sarai, io ci sarò.”

 

«Non mi arrenderò, zio, te lo prometto: lotterò con tutte le mie forze per vincere questa partita, come ho sempre fatto suoi nostri amati campi di calcio, mi batterò fino alla fine e vincerò. Ti prego, stammi vicino anche tu e aiutami, solo se anche tu sarai al mio fianco io ce la farò.» sussurra Karl, sfiorando con le dita insanguinate la foto dello zio, nella quale è ritratto con indosso la maglia della Nazionale e sorride. Risale a due anni prima che morisse, quell’anno lo ricorda bene anche il Kaiser: 13 luglio 2014 Rio de Janeiro, al Maracanã, la finale della Coppa del Mondo, l’ultima vinta dalla Germania, la prima e l’ultima vinta dallo zio. 

***

Ormai le ricerche vanno avanti da un’ora, ancora nessuna traccia del Kaiser, che sembra esser sparito nel nulla: Kaltz ha perlustrato il campetto della scuola elementare, quello della scuola media, il  Volksparkstadion;[2] ma nulla, del suo migliore amico nessuna traccia. Sbuffa, masticando con forza lo stecchino e riprende a correre in sella alla sua Yamaha YZF-R 125, blu elettrica, riprendendo la ricerca.

Il signor Schneider ha controllato i vari parchi cittadini, qualche pub, compreso il Paulaner’s Miraculum – dove Derek ed Eva preoccupati per l’amico hanno promesso di chiamare nel caso si fosse fatto vivo –  ma suo figlio non è in nessuno di questi posti; sospira preoccupato come mai in tutta la sua vita e si ferma un attimo a riflettere: dubbioso se chiamare o meno la polizia, poi scuote la testa convenendo che non è ancora il caso di allertare le forze dell’ordine, non ancora almeno, e riprende a correre con la sua auto.

“Ok, Benji, rifletti. Dove te ne andresti tu se fossi sconvolto?” pensa tra sé il portiere, continuando a guidare la sua Kawasaki Ninja 300 nera con i dettagli rossi. “Beh, dipende… forse allo stadio.” pensa ancora, in fondo anche quando Julian scappò dall’ospedale dopo la semifinale delle elementari andò al campo, scuote la testa e continua a pensare, improvvisamente un’idea si fa strada nella sua mente, forse è un po’azzardata, ma potrebbe essere plausibile, vista la situazione affine; sorride tra sé, sicuro di aver fatto centro, accelera a tutto gas e imbocca l’autostrada: direzione Leverkusen.

*** 

“È facile allontanarsi sai… se come te, anche lui ha i suoi guai,

ma quando avrai bisogno sarà qui. Un amico è così…

Non chiederà né il come né il perché, ti ascolterà e si batterà per te

e poi tranquillo ti sorriderà.

Un amico è così…”

Il portiere, arrivato a Leverkusen, va nell’unico posto ovvio sapendo con certezza di trovare lì quel cretino del suo migliore amico, dunque fa un attimo mente locale cercando di ricordare l’esatta ubicazione del luogo, infine sorride avendolo ricordato e corre in direzione del cimitero. Parcheggia la moto davanti al cancello e sospira, imprecando mentalmente per l’assurdità della situazione, non che abbia paura di entrare in un luogo simile di notte – sia mai – piuttosto lo urta il fatto di dover passare una notte così.

Sbuffa ancora e scavalca il cancello, saltando dall’altro lato, prende il cellulare, accende il flash e inizia a girare per lapidi e mausolei, guardandosi attorno alla ricerca del compagno. “Pensa te cosa mi tocca fare, stupido Schneider, non mi è mai passato in mente nemmeno da ragazzino di infilarmi in un cimitero di notte. Cosa non si fa per gli amici…” pensa tra sé, continuando a guardarsi attorno.

Non si ricorda in che ala del cimitero sia la tomba di Bernd Schneider, sospira e si prepara ad un’allettante notte di ricerche tra i morti; dopo circa mezz’ora che gira a vuoto fra le lapidi scorge qualcuno chinato su una di esse, sicuro del fatto che nessuno sano di mente dormirebbe su una tomba, sorride tra sé e accelera il passo raggiungendo velocemente la lapide in questione.

Giunto abbastanza vicino da poter vedere con chiarezza sorride vittorioso, come volevasi dimostrare, l’idiota chinato sulla lapide è proprio Karl; a conferma di ciò sono quei capelli biondi che riconoscerebbe ovunque e la scritta che capeggia sulla pietra. “Bernd Schneider, Leverkusen – 25 maggio 1991 – 4 agosto 2016.” cautamente si avvicina e si china accanto all’altro, togliendosi il giubbotto e mettendoglielo sulle spalle. «Sei un totale deficiente, Karl, hai fatto prendere un colpo a tutti, ti stiamo cercando da tre ore. Tuttavia capisco che in questo momento non sei in te e non posso biasimare il tuo gesto… capisco anche perché tu sia venuto qui.» dice con un tono calmo e insolitamente dolce, stringendo le spalle del suo migliore amico. 

“E ricordati che finché tu vivrai, se un amico è con te non ti perderai

in strade sbagliate percorse da chi, non ha nella vita un amico così;

non ha bisogno di parole mai, con uno sguardo solo capirai,

che dopo un no lui ti dirà di sì.

Un amico è così…”

Schneider solleva il viso e fissa l’amico con gli occhi gonfi e lucidi, chiaro segno che ha pianto molto, fa un leggero sorriso e lo stringe forte, cercando disperatamente il contatto con una persona fidata. «Scusami… non volevo farvi preoccupare, ho agito impulsivamente, sono venuto qui senza pensare alle conseguenze. È stupido e sconsiderato, lo so, ma volevo parlare con lui. Ho paura, Benji, ho fottutamente paura…» sussurra tremando e singhiozzando.

Price sorride, ricambia la stretta e gli carezza la schiena. «Lo so, so che non volevi farci preoccupare e che sei venuto qui perché è l’unico posto in cui potevi stare vicino a lui, questo non giustifica la tua follia, ma io sono con te, amico mio. Né io né gli altri ti lasceremo solo ad affrontare questa sfida, la giocheremo insieme, e insieme vinceremo come abbiamo sempre fatto. Siamo una squadra.» risponde alzandosi e facendolo alzare, guardandolo finalmente in viso: è pallido, terribilmente pallido e questo lo preoccupa.

«Mi gira la testa…» sussurra Karl, chinando il capo dispiaciuto, mentre Benji nota le mani sporche di sangue, intuisce che sia il frutto della sua rabbia, che probabilmente avrà sfogato contro qualche malcapitato albero, ma non dice nulla, capisce anche questo gesto. «Lo so, adesso torniamo in ospedale e vinciamo questa partita.» dice sorreggendolo e uscendo con lui da quel luogo, mentre invia un messaggio al mister e a Kaltz, avvertendo di averlo trovato. 

“E ricordati che, finché tu vorrai, per sempre al tuo fianco lo troverai

vicino a te, mai stanco perché, un amico è la cosa più bella che c’è.” 

*** 

Amburgo: cortile dell’ospedale, 25 Gennaio, 2018 h. 3:30.

Arrivato in ospedale, Benji parcheggia la moto e insieme a Karl raggiunge Hermann, già arrivato da un po’, essendo che stava girando poco distante; Thomas Schneider non è ancora arrivato, ha però avvertito di aver bucato una gomma e che avrebbero dovuto pensarci loro, lui li avrebbe raggiunti al più presto. «Sei un gran coglione. Ti rendi conto di quanto ci hai fatto spaventare? Che ti è saltato in mente? Non fare mai più una cazzata del genere.» urla Kaltz, sputando dalla bocca lo stecchino – chiaro segno di quanto sia furioso – colpendolo con un pugno allo stomaco, Karl non risponde né protesta, barcolla solo pericolosamente rischiando di cadere se non fosse per il fatto che Benji prontamente lo sorregge.

«Kaltz smettila immediatamente! Ha capito anche lui di aver fatto una cazzata, ma è spaventato quanto noi se non di più. Dobbiamo stargli vicino e lottare insieme a lui, anche io avrei voluto prenderlo a pugni, ma se sapessi dove l’ho torvato… non lo avresti colpito e rimproverato così.» dice Price guardando l’altro compagno, mentre si avvia dentro la struttura ospedaliera, tenendo tra le braccia il Kaiser ormai allo stremo delle forze.

Hermann china il capo e sospira. «Dove lo hai trovato?» chiede seguendolo. «A Leverkusen, è andato al cimitero a trovare suo zio. Capisci perché non ho infierito? Non potevo, in quel momento non era il Karl spavaldo che siamo abituati a vedere in campo, piuttosto un bambino indifeso e spaurito in cerca di conforto.» risponde Benji entrando, con ancora l’amico tra le braccia, che immediatamente viene steso su una barella per esser riportato nella sua camera. «Oh, Karl… amico mio, ti starò vicino e mi batterò con te.» sussurra Kaltz. 

“È come un grande amore, solo mascherato un po’,

ma che si sente che c’è

nascosto tra le pieghe di un cuore che si dà

e non si chiede perché…” 

Il dottor Brown è subito stato avvertito, adesso è in camera del giovane calciatore e lo sta visitando. «Dottore mi dispiace… non dovevo scappare.» sussurra Karl debolmente, il medico sorride e continua a controllarlo. «Lo so, ma so anche perché lo hai fatto. Non è la prima volta che succede, anche altri prima di te lo hanno fatto. Adesso però sei qui, devi solo riposare e guarire.» sussurra l’uomo con dolcezza, mentre gli attacca nuovamente la flebo al braccio e gli fa un iniezione per il mal di testa e per farlo dormire.

Intanto in sala d’attesa Benji ed Hermann sono seduti sulla panca, silenziosi e stanchi; Thomas li ha finalmente raggiunti e anche Beatrix con Grace e la piccola Marie Käte sono giunte in ospedale, anche Freddy Marshall, avvertito dal portiere, è subito arrivato. «Ragazzi come sta?» chiede la signora Schneider appena scorge i due amici del figlio, che scuotono entrambi la testa, facendo sospirare la donna. «Benji… dove l’hai trovato?» chiede il mister stringendo la moglie.

Price alza il capo e guarda l’allenatore. «A Leverkusen… da tuo fratello.» risponde sinceramente, pensando che non è il caso mentire, mentre si alza per salutare il suo mentore, che lo stringe forte tra le sue braccia. Thomas spalanca gli occhi, poi sorride. «Ovviamente… come ho fatto a non pensare che fosse venuto da te, fratellino?» sussurra tra sé, con un sorriso, mentre la moglie sorride e gli bacia la guancia.

 «Grace ce la farà Karl, vero?» sussurra la piccola Schneider in lacrime, tra le braccia della fidanzata del fratello. «Sì, piccola. Karl è fortissimo e si batterà con tutte le sue forze, come fa in campo.» la rassicura la manager, tenendola stretta e baciandole i lunghi e lisci capelli biondi – così identici a quelli del fidanzato. Guarda i suoi amici e sorride a Kaltz, il quale si avvicina e si unisce alla stretta. «Ha ragione Grace, zwerg.[3] Karl è il Kaiser della Germania e non può arrendersi.» aggiunge, beccandosi un pizzicotto dalla ragazzina, per il nomignolo che ha usato, strappandole però una risata, così come a Grace.

«La situazione è sotto controllo, Karl sta bene. È debole al momento, adesso sta riposando ed è abbastanza tranquillo.» dice il dottor Brown uscendo dalla camera. «Adesso andate a casa anche voi e cercate di riposare un po’, venite più tardi, a Karl farà piacere vedervi. Inoltre, se più tardi si sarà ripreso e non sarà troppo stanco faremo le altre analisi per iniziare subito la terapia adatta.» continua il medico, ai presenti non resta che salutarlo, ringraziarlo e andare a riposare – adesso un po’ più tranquilli e con la speranza nel cuore. 

“Ma ricordati che, finché tu vivrai,

se un amico è con te non tradirlo mai,

solo così scoprirai che,

un amico è la cosa più bella che c’è…”

 

***

Furano: casa Callaghan, 25 Gennaio, 2018 h. 10:30.

Julian e Philip stanno giocando alla PlayStation, come aveva proposto Ross, non che l’idea lo alletti particolarmente, ma è l’unico modo per ingannare il tempo e allentare un po’ la tensione accumulata nelle ultime ore; la partita virtuale procede a favore di Philip, che con la Flynet, sta battendo la Mambo – grazie a una modifica apportata a Fifa – possono usare le loro squadre. «Callaghan non sperare di battermi, non permetterò di farti vincere.» dichiara Julian, aprendo la guerra, portandosi all’attacco con il se stesso virtuale. Amy li guarda e ride, sembra si stiano battendo in campo, con una determinazione che non ammette sconfitte.

«Grace, amica mia, anche io vorrei essere lì con te e sostenerti, anche Phil. Non so se potremo venire a trovarti, ma ti staremo vicini come più possiamo, sei la nostra migliore amica e nessuna distanza può cambiare ciò; gli amici sono i fratelli che si scelgono nella vita e tu per noi se come una sorella. Mi dispiace per Karl, ma sono sicura che riuscirà a vincere anche questa sfida, stagli vicino e sostienilo con tutta la tua forza; noi sosterremo te.

Spero lo abbiate trovato e che stia bene, nonostante tutto, appena leggi il messaggio fammi sapere.

Ps. Non dimenticare mai chi sei, non dimenticare che tu sei Grace la forte, e che noi siamo qui a darti tutta la nostra forza e supporto.

 Pps. Anche Julian, Amy e Fanny sono qui a Furano e sostengono tutti voi.

Ti voglio bene, sorellina. ♥»

«È Grace?» chiede Fanny, seduta sul divano, accanto alla manager della Flynet, Jenny annuisce con un sorriso. «Sì, mi ha scritto che vorrebbe avermi lì con lei e che Karl è scappato dall’ospedale.» risponde. L’altra ragazza annuisce. «Sì, me l’ha detto anche Benji. Per fortuna l’hanno trovato, è stato proprio lui a trovarlo, mi ha detto che era a Leverkusen al cimitero; a quanto pare suo zio è morto per un tumore al cervello. Era un calciatore anche lui.» dice Fanny.

Jenny sospira dispiaciuta. «Sono certa che il Kaiser non si arrenderà e vincerà questa partita.» dice risoluta, guardando i due ragazzi che si sfidano alla Play, in quel momento l’arbitro fischia e l’incontro finisce in parità. «Non è giusto, mi hai fregato con la trappola del fuorigioco.» sbuffa Philip. «Mi dispiace, ma pensavo non si potesse fare nel gioco.» ride Julian. «Adesso tocca a noi simulare una partita.» dichiara Amy annoiata.

Julian si volta a guardare la sua ragazza, sorride e le passa il joystick, curioso di vedere la sua principessa giocare. «Grazie, Baronetto, prometto che non la deluderò e metterò in atto tutto quello che mi ha insegnato in questi anni.» dichiara solennemente la ragazza, facendo sorridere il fidanzato, che per tutta risposta la bacia a fior di labbra.

Philip ride e passa il suo joystick alla fidanzata, che coglie subito la palla al balzo, pronta a sfidare l’amica. Ha bisogno di scaricare la tensione e i videogames sono degli ottimi alleati; ovviamente prendono le stesse squadre dei fidanzati – anche loro fedelissime – e iniziano a darsi battaglia l’un l’altra, cavandosela abbastanza bene: dimostrando da subito che l’esperienza passata sulle panchine non è stata vana.

«Però, sono brave le nostre managers.» sorride Philip, osservando la partita virtuale, nessuna delle due squadre è ancora passata in vantaggio, entrambe le ragazze si tengono testa. «Avevi forse qualche dubbio? Ricorda che il calcio fa parte anche delle loro vite.» risponde Julian con un sorriso, osservando la fidanzata che, mette in atto la tattica del fuorigioco, mentre Jenny ha appena fatto entrare il Callaghan virtuale in aria. «Fregato un’altra volta dallo stesso trucchetto.» ride Fanny. 

«Forse alla PlayStation, il tuo caro cuginetto sa di non potermi fregare sui campi di calcio.» risponde Philip sgomitando l’amico, che ride e annuisce – troppe volte hanno messo in atto quella tattica in Nazionale – ormai anche lui la conosce benissimo. «Chi tra le due vince giocherà con me.» dice ancora Fanny, guardando la tv, mentre Amy fa segnare Julian.

La mattinata procede giocando alla PlayStation, ridendo e scherzando, allentando così la tensione. Verso mezzogiorno le tre ragazze si spostano in cucina per preparare il pranzo, lasciando i due ragazzi in salotto, che hanno dato inizio all’ennesima sfida virtuale. Nel pomeriggio probabilmente sentiranno di nuovo i compagni di Amburgo e avranno modo di parlare come si deve. «Più tardi chiamiamo Grace.» afferma Jenny, facendo annuire Amy. «Io devo dire a Benji di papà, gliel’ho accennato e poi è dovuto scappare a recuperare Karl.» dice Fanny, le due amiche annuiscono e continuano a preparare il pranzo, tutto sommato, ridendo e scherzando.

 

“E ricordati che, finché tu vivrai,

un amico è la cosa più vera che hai

è il compagno del viaggio più grande che fai,

un amico è qualcosa che non muore mai!”

 

 

 

***

 

Angolo dell’Autrice:  un grazie infinito a tutti voi che continuate a seguire e recensire questa storia, e come sempre, uno più grande alla mia Darling, senza la quale non sarei qui. ♥  

Un bacione grandissimo a tutti, ed al prossimo capitolo, Amy

 

 

 

 

 


[1] Fidanzata dello zio di Karl, mio OC

[2] Stadio di Amburgo, in italiano: “Parco del Popolo”

[3] Nanerottola

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Capitolo 7
*** Io non ho finito! ***


Note introduttive: eccovi il tanto atteso settimo capitolo, ormai introdotto dalle consuete note che, sembra siano diventate indispensabili. Anche questa volta è stata introdotta una canzone, dalla quale ho dato il nome al capitolo stesso; questa volta non sarà il buon vecchio e caro Max a tenerci compagnia – ma tornerà presto – “Io non ho finito”: è una canzone di Niccolò Agliardi,  diventata famosa grazie alla fiction televisiva trasmessa dalla Rai, “Braccialetti Rossi” della quale anche io sono stata fan, lo ammetto… magari un giorno potrei anche scriverci su, ma con calma. Tornando al capitolo: nel testo noterete che per le strofe della canzone ho usato due colori differenti, pur trattandosi della stessa traccia, questa differenziazione di colori nasce dal fatto che, ho voluto fossero sia Karl che Grace a dedicarsi la canzone l’un l’altra; quindi il fucsia è la parte che dedica lei, mentre l’azzurro quella di lui. Non avendo altro da aggiungere, se non continuare a ringraziare tutti voi del sostegno e delle recensioni, penso di potervi finalmente lasciare al capitolo e sperare che anche questo rientri nelle vostre aspettative, che finora mi avete detto che non ho deluso, spero di non farlo con questo.

Un bacione immenso a tutti quanti, uno in particolare va alla mia Darling, che proprio mentre scrivevo oggi, mi ha ricordato una scena che sul momento avevo dimenticato.

Grazie a tutti,  con infinito affetto, Amy.

 

Capitolo 7: Io non ho finito!

 

Furano: casa Callaghan, 25 gennaio, 2018 h. 17:00.

«Altra sfida alla PlayStation?» chiede un annoiato Philip. «No, per carità, abbiamo giocato tutta la mattina, non voglio passare anche il pomeriggio a rincitrullirmi davanti ai videogiochi.» risponde Julian, buttandosi sulla poltrona. «Adesso decidiamo cosa fare, intanto noi pensavamo di chiamare Grace.» dice Jenny con in mano il suo cellulare. «Sì, mi sembra una buona idea. Ma che ore sono in Germania?» chiede Philip, sistemandosi meglio sul divano.

«Considerando che qui sono le cinque del pomeriggio da loro sono le dieci di mattina.» risponde Fanny, facendo annuire il cugino, a conferma del fuso orario. «Sì, ci sono sette ore di differenza.» aggiunge Amy, seduta sul bracciolo delle poltrona di Julian. «Forza, allora chiama.» incita Philip la fidanzata; Jenny annuisce e fa partire la chiamata WhatsApp verso il numero dell’amica, mettendo in vivavoce, dopo un paio di squilli arriva la risposta.

«Jenny! Che bello, amica mia, sono davvero felice di sentirti.» risponde la ragazza, sorridendo felicissima di aver ricevuto la chiamata dalla sua migliore amica.

«Ciao, Grace!» dicono in coro tutti quanti. «Anche io sono felice di sentirti, sorellina. Come va? Avete trovato Karl? Sta bene?» dice Jenny, dopo che Grace ha salutato anche gli altri amici, felice di sentirli tutti lì a sostenerla.

«Sì, l’ha trovato Benji stanotte, era andato a Leverkusen a trovare lo zio, sapete, lui è morto due anni fa per un tumore al cervello. Non ha preso molto bene la notizia, ma inizia a razionalizzare, adesso è con i medici che stanno facendo delle analisi.» risponde Grace.

Julian fissa l’amico, che lo fissa a sua volta. «Vuoi vedere che…ۛ» dice Philip sconvolto. «Che è quel Bernd Schneider che ha avuto un malore durante le finale degli Europei a Berlino contro la Francia.» conclude la frase Ross.

«Sì, Julian, proprio così.» conferma Grace.

Philip e Julian sospirano affranti, erano insieme a casa Ross a vedere quella partita sul satellite: ricordano bene entrambi come quel poveretto abbia giocato e perso i sensi in campo, seguendo poi tutti i notiziari sportivi per avere informazioni sullo stato di salute del campione tedesco, non avevano collegato al momento, non pensavano che potesse essere parente del Kaiser. «Grace i medici cosa dicono? Sei con Benji?» chiede Fanny.

«I medici non si sono ancora sbilanciati, in quanto stanno facendo altre analisi, oggi faranno la biopsia per capire la natura del tumore.» risponde la manager dell’Amburgo. «Sono qui con Benji, ho appena messo il vivavoce.» aggiunge.

«Ciao, ragazzi.» saluta il portiere, avendo in risposta un saluto corale.

«Amore sei stato bravissimo a ritrovarlo, sapevo che ci saresti riuscito.» cinguetta Fanny tutta felice.

«Sai, è il mio migliore amico, so sempre dove trovarlo, perché lo conosco.» risponde Benji con ovvietà, facendo ridere tutti gli altri, Grace compresa.

«Senti… ieri ti avevo accennato al fatto che mio padre è un neurochirurgo, potrebbe venire ad Amburgo ad aiutare i medici e io potrei venire qualche giorno con lui. Che dici?» chiede Fanny al fidanzato.

Benji pondera un attimo la proposta, guarda la sua migliore amica che annuisce con un sorriso. «Penso si possa fare, i Ross da quel che so, sono esperti in medicina e avere un amico nello staff medico potrebbe essere vantaggioso.»

«Sì, anche io penso che possa andar bene, adesso ne parleremo con i genitori di Karl e con i medici, tu intanto chiama tuo papà e spiegagli la situazione.» aggiunge Grace.

«Va bene, allora vi farò sapere e voi mi riferirete quel che diranno i medici e i genitori.» risponde Fanny. «Grace tu come stai?» chiede Jenny, riprendendo la parola.

«Insomma, Jenny, mi sento frastornata e stanca, ma sto bene… sono in pena per lui, ma gli starò accanto e lo sosterrò con tutta la mia forza.» risponde con risolutezza.

«E poi non sei sola, amica mia, hai il nostro super portiere a sostenerti, mica roba da poco.» aggiunge Philip, facendo sorridere tutti.

«Hai ragione, Phil, Benji è un ragazzo straordinario, senza il suo appoggio non saprei cosa fare. Come sapete è anche grazie a lui se sono qui oggi, gli devo molto.» risponde Grace, stringendo il suo migliore amico.

«Tranquilli, ragazzi, penserò io alla vostra amica, non la lascerò sola e la sosterrò sempre.» dice il portiere, ricambiando l’abbraccio e baciandole i capelli.

«Sì, ragazzi, fatevi forza a vicenda e datela a Karl, lui ha bisogno di voi, adesso più che mai.» dice Amy, sapendo bene che la posizione degli amici è importantissima per il compagno malato. «Amy ha ragione, stategli accanto, capisco come si senta Karl in questo momento.» aggiunge Julian.

«Non preoccuparti, Ross, sarò la sua ombra.» risponde Benji, facendo ridere tutti.

«Bene, allora ci sentiamo per la questione del papà di Fanny, appena sapete qualcosa sulle analisi fateci sapere.» dice Philip.

«Certo, Phil, vi terremo informati. Grazie della vostra vicinanza, ragazzi, significa molto per me.» dice Grace con le lacrime agli occhi, che vengono prontamente asciugate da Benji.

«Ma cosa dici? Sai che per te ci saremo sempre, nessuna distanza può annullare la nostra amicizia, ogni volta che avrai bisogno noi saremo qui a sostenerti.» le risponde Jenny.

«Grazie, infinite, Jenny. Ci sentiamo presto, un bacione, vi voglio bene.» dice Grace felice e in lacrime.

Anche gli altri salutano e Jenny chiude la chiamata; Fanny si è intanto alzata per andar a chiamare il padre e spiegargli tutta la situazione, l’uomo dopo aver ascoltato con attenzione la figlia annuisce un paio di volte, poi le dice che conosce di fama il medico dell’amico e che si sarebbe premurato lui stesso di chiamarlo e parlargli e che in caso l’avrebbe portata con sé per permetterle di stare vicino al fidanzato. Fanny lo ringrazia e saltella tutta felice in salotto. «Alfred Ross non direbbe mai di no alla sua principessa.» dice Julian ridendo, sapendo quanto suo zio straveda per la figlia. «Esatto, cuginetto, e mi ha anche detto che mi porterà con lui, così potrò stare un po’ con Benji.» risponde lei stringendolo.

Gli altri sorridono alla bizzarra e tenera scenetta familiare, infatti la ragazza fa le fusa al cugino e lo riempie di baci, mentre lui le pizzica i fianchi e si dimena per sottrarsi alla stretta. «Fanny mi stai soffocando, capisco il tuo entusiasmo, ma sai com’è… vorrei vivere ancora un po’.» dice Julian sbuffando. «Che antipatico che sei.» sbuffa di rimando la cugina staccandosi e sedendosi sul divano accanto a lui. «Io lo dico che voi non sembrate affatto cugini.» dice Philip scatenando l’ilarità del gruppo; Julian ridacchia e accende la tv, mettendo un notiziario sportivo.

***

“Oh, oh, oh, oh

Vedi, la vita è una piuma,

si balla e si trema,

Amore mio…”

 

Amburgo: ospedale, 26 gennaio, 2018 h. 10:00.

Nonostante la turbolenta notte, la sveglia è suonata presto per tutti: i coniugi Schneider sono stati i primi ad arrivare in ospedale, dopo aver lasciato a scuola una riluttante Marie Käte, che avrebbe preferito andare dal fratello, ma i genitori sono riusciti a rabbonirla con la promessa di andarla a prendere prima della fine delle lezioni; Benji, Grace ed Hermann – i quali hanno passato la notte insieme a villa Price – sono arrivati poco dopo insieme a Freddy Marshall, e anche Karl è stato svegliato presto dal personale sanitario per fare ulteriori accertamenti.

Dopo una veloce visita generale ed un saluto ai propri cari, il ragazzo è stato portato in sala operatoria per esser sottoposto alla biopsia, un po’ spaventato e ancora scosso e stanco, il calciatore si è straiato sul tavolo operatorio, facendo un respiro profondo e trattenendo le lacrime. «Stai tranquillo, non sentirai nulla e andrà tutto bene, ti ho promesso che farò tutto il possibile.» lo rassicura il dottor Brown, carezzandogli la guancia, Karl annuisce e lascia scendere le lacrime, ma sorride riconoscente, mentre l’anestesista lo prepara e poco dopo il ragazzo si addormenta.

Con la collaborazione del suo staff, il dottor Brown, dà inizio all’esame: dopo aver messo dei piccoli adesivi plastificati e un casco metallico sul capo del ragazzo e aver acceso la macchina della risonanza magnetica, la quale servirà come guida per l’esame – tracciando una perfetta elaborazione tridimensionale del cervello –   il neurochirurgo incide la cute e  crea un piccolo foro sul cranio, inserendo poi un ago speciale, con il quale prelevare un campione tumorale. 

“Non sono per niente vicino a un addio, non essere triste, amore mio… 

ci metto il coraggio, che è parte del tuo. 

A volte ci perdiamo i sottotitoli del cuore, a  volte ci perdiamo, a  volte... 

Io non ho finito…

Io non ho finito! Oh, oh, oh, oh.

Oh, oh, oh, oh.” 

In sala d’attesa non vola una mosca, ognuno dei presenti è immerso nei propri pensieri: Beatrix è tra le braccia del marito, che la stringe forte e le carezza i capelli, cercando di darle conforto e coraggio, nonostante abbia lui stesso paura – data l’esperienza negativa del fratello – ma non si abbatte, deve essere forte per la sua famiglia. Grace non ha aperto bocca da quando il fidanzato è entrato in sala operatoria, è rimasta a fissare la porta e quella lucina rossa, che indica l’operazione in corso, con una stretta al cuore e un groviglio allo stomaco che le dà nausea; Benji ed Hermann, che seppur preoccupati non lo lasciano intendere, non hanno smesso un attimo di tenerle la mano e tranquillizzarla tacitamente, come solo un amico sa fare.

Angelika Wagner e Joseph Schneider, rispettivamente i genitori di Thomas, avvertiti dal figlio, non hanno perso un minuto e hanno lasciato la loro dimora di Leverkusen per correre dal loro nipotino. La donna fissa un punto indefinito in lacrime, ripercorrendo il calvario del figlio minore, che adesso si è nuovamente scagliato contro la sua famiglia come un fulmine a ciel sereno, colpendo il suo adorato Karl; il marito la tiene stretta a sé, mantenendo la calma e sorridendo al figlio di fronte a lui. «Andrà bene, ne sono certo, è vero, questo male ci ha già portato via Bernd, ma non ci porterà via anche Karl.» dice l’uomo sorridendo e facendo brillare i suoi occhi azzurri di speranza e fiducia. «E se così non fosse?» sussurra la moglie, inclinando il capo di lato, per guardarlo in viso, facendo ricadere una lunga treccia di capelli ormai bianchi sulla spalla. «Non accadrà di nuovo, amore mio.» ripete il marito, baciandole la fronte con dolcezza e amore.

«Papà ha ragione, questa volta lotteremo con tutte le nostre forze e riusciremo a vincere, mamma. Karl non morirà, i medici sono molto ottimisti su questo, e a differenza di Bernd non è troppo tardi.» aggiunge Thomas, asciugando le lacrime di Beatrix e baciandole le labbra, per poi alzarsi e raggiungere i genitori, baciando con amore la fronte della madre e stringendo la mano del padre. «Vado a prendere la piccola a scuola, le avevo promesso che l’avrei presa prima per permetterle di stare col fratello.» aggiunge, sorridendo anche ai tre ragazzi. «Stategli accanto, siate la sua forza e il suo coraggio, ha bisogno anche della sua Starlet e dei suoi fratelli.»  dice loro, che annuiscono con un tacito sorriso, pieno di determinazione.

***

Dopo un’ora di snervante attesa, la lucina della sala operatoria è finalmente diventata verde: l’intervento è finito, il primo a varcare la soglia della porta è il dottor Brown, che ancora in camice operatorio, raggiunge i parenti del paziente sfilandosi la mascherina dal viso. «L’intervento è andato bene, abbiamo già mandato i campioni prelevati al laboratorio per esaminarli, avremo i risultati entro oggi pomeriggio. Karl sta bene, ma sta ancora dormendo, adesso lo porteremo in camera e lo terremo sotto monitoraggio.» dice rassicurante, proprio mentre degli infermieri escono con la barella in cui è steso il ragazzo. «La ringrazio, dottore, so che mio nipote è in buone mani.» dice Joseph Schneider con un sincero sorriso. «Grazie per la fiducia. Mi dispiace per suo figlio, il dottor Huber mio mentore, mi ha raccontato; purtroppo era già troppo tardi non si poteva fare più nulla, ma le prometto che con suo nipote farò il possibile, siamo ancora in tempo.» risponde il medico.

La piccola Schneider appena vede il fratello lascia le mani dei genitori e corre verso la barella, prendendo la mano di un addormentato Karl, stringendola piano, mentre gli infermieri la spingono verso la camera. «Amore mio…» sussurra Grace riscossasi dal suo stato di trance, raggiungendo anche lei il fidanzato e stringendo la mano di Marie Käte, che le sorride. Beatrix e Thomas, così come Angelika e Joseph, ringraziano ancora il dottor Brown, che si congeda, dando loro il permesso di stare in camera del ragazzo, che si sveglierà a momenti, dicendo che sarebbe venuto a controllarlo personalmente una volta avuti i risultati del test. 

“Guarda, che cosa mi tocca, cucirmi la pelle poi la bocca…

con gli occhi da grande, più grandi di me;

vinciamo ai rigori… io e te!”

 

«Lo so che non mi lascerai, amore mio, so che vincerai questa partita con tutta la determinazione che possiedi; giocheremo tutti quanti insieme e vinceremo, anche se dovessimo giocarcela fino ai rigori ce la faremo, Kaiser.» sussurra dolcemente Grace, chinata sul letto, all’orecchio del fidanzato, tenendogli stretta la mano, anche se addormentato, lei è sicura che lui possa sentirla. «Lo sai, anche in Giappone abbiamo dei compagni di squadra che giocano al nostro fianco, tu li hai avuti come avversari in campo, ma in questa partita importante siamo tutti una grande squadra. Abbiamo dalla nostra persino Julian Ross, con la sua grande esperienza, la forza e la tenacia di Amy, il sostegno di Philip, la dolcezza di Jenny e l’esuberanza di Fanny.» continua Grace, posando un delicato bacio sulla guancia del suo ragazzo, il quale inizia a muovere le palpebre. 

 

“Ci metto il coraggio.

E il mio domani intero è questo tempo mezzo rotto,

ma nonostante tutto, tutto...

                io non ho finito, perché ho sete ancora…

io non ho finito!

Fuori è Primavera…

Io non ho finito, non ti lascio ora.

Io non ho finito!”

 

«Fuori è pieno di giornalisti, non so come, ma la notizia è trapelata. Non ho rilasciato alcuna dichiarazione, ma non potremo evitarli a lungo, dovremo affrontarli come abbiamo fatto per Bernd.» sussurra Thomas all’orecchio del padre, il quale annuisce e lo stringe per le spalle. «Se vuoi mi occuperò io di loro, figliolo, tu pensa a stare vicino al tuo bambino.» risponde Joseph, che non ha dimenticato come quei maledetti avvoltoi abbiano infastidito la loro famiglia già in passato, per quanto questo possa essere il prezzo della fama, Joseph Schneider, mal sopporta quando la privacy della sua famiglia viene invasa così da sciacalli senza scrupoli, che per un po’ di notorietà venderebbero anche l’anima al diavolo.

«St… Starlet…» sussurra Karl aprendo gli occhi lentamente, trovandosi davanti il dolce viso della sua ragazza, che gli sorride e gli carezza la guancia. «Ciao, mio bellissimo Kaiser.» dice felice di vedere quegli splendidi occhioni azzurri che ama. «Ci sono anche io, fratellone!» dice Marie Käte, sedendosi sul letto; Karl sorride e, senza muover la testa, volta lo sguardo verso la sorellina. «Ciao, Prinzessin, sono felice che anche tu sia qui…» sussurra, richiudendo gli occhi stancamente, ma prendendole la mano che stringe piano, la piccola sorride felice di esser lì con il suo adorato fratellone, ricambia la stretta e lo bacia in guancia, facendolo sorridere ancora di più e riaprire gli occhi.

I due amici, lievemente più distanti dal letto – accanto a Marshall –  gli sorridono incoraggianti. «Grazie anche a voi, ragazzi, e scusatemi se vi ho fatto passare la notte a cercarmi. Benji grazie per esser venuto a recuperarmi, sei un grande amico, così come lo sei tu, Hermann, anche se sei stato un po’ più aggressivo, ma hai avuto le tue ragioni.» dice Karl con un filo di voce, sorridendo anche ai genitori e ai nonni, che lo guardano tutti e quattro con amore. 

“Anche con i crampi, con la fine sulla faccia,

col dolore che mi schiaccia e non lo sai,

anche con la gioia di sapere che, dovunque ce ne andremo,

non ci lasceremo mai.

Io non ho finito, perché ho sete ancora,

Io non ho finito!”

«Non dimenticarlo mai, Kaiser, noi siamo una squadra invincibile, insieme vinceremo.» dice Benji sorridendogli. «Proprio così, finché giocheremo tutti e tre insieme nessuno potrà batterci.» aggiunge Katlz. «E in qualunque posto saremo non ci lasceremo mai, siamo tutti una grandissima squadra, della quale tu sei regista e capitano, perché sarai tu col nostro aiuto a decretare la vittoria.» conclude Grace, baciandolo sulle labbra, facendo sorridere nonni e genitori a questa grande dimostrazione di amore e amicizia. «E anche io non ti lascerò, fratellino.» dice la piccola Schneider, che viene stretta con leggerezza dal fratello, ringrazia tutti con un sorriso, stanco, ma felice e fiducioso. “Vincerò anche per te, zio Bernd, te lo prometto.” pensa allargando il sorriso e riaddormentandosi sereno.

“Anche con i crampi, con la fine sulla faccia,

col dolore che mi schiaccia e non lo sai,

anche con la gioia di sapere che, dovunque ce ne andremo,

non ci lasceremo mai.

Oh, oh, oh, oh

Io non ho finito!”

*** 

Il dottor Brown, in attesa di avere gli esiti delle analisi, si è chiuso nel suo studio dove sta sorseggiando un caffè e fumando una sigaretta, leggendo il giornale, quando una notizia sulla pagina sportiva cattura particolarmente la sua attenzione, nonostante non sia un gran tifoso di calcio.

L’ennesimo scandalo colpisce la famiglia Schneider!
 Dopo la sconvolgente malattia e prematura morte, del campione di fama mondiale, Bernd Schneider – adesso anche il Kaiser –  nipote del defunto calciatore è stato colpito a ciel sereno dalla medesima disgrazia.
Sarà forse riservato lo stesso nefasto destino al giovane campioncino esordiente?
Karl Heinz Schneider, vent’anni compiuti l’estate scorsa, attualmente bandiera dell’Amburgo, soprannominato il Kaiser e considerato uno dei giovani talenti calcistici di tutta Europa è stato ricoverato con urgenza qualche giorno fa, dopo aver avuto un attacco epilettico durante una seduta d’allenamento.
A quanto pare, la diagnosi, non lascia intendere buone notizie:  sembra che anche il giovane Schneider, come lo zio, sia stato colpito da un tumore al cervello; la famiglia non ha lasciato dichiarazioni, e questo ci lascia pensare al peggio… o i medici riusciranno a fare l’impossibile e salvarlo dal suo tragico destino?

«Maledetti avvoltoi, pur di avere l’esclusiva e fare notizia scrivereste la qualsiasi. Con quale criterio ne parlate se non sapete nemmeno di cosa state parlando?» ringhia il medico tra sé, sbattendo il giornale sulla scrivania con rabbia, per poi venir distratto dallo squillo del telefono, sospirando risponde, sentendo dall’atro lato dell’apparecchio una voce inglese, che lo saluta, con un accento giapponese.

«Salve, John; personalmente non ci conosciamo, ma la sua fama è giunta anche a me, io sono Alfred Ross, neurochirurgo giapponese.» dice il papà di Fanny.

«Oh… salve, Alfred, anche la sua fama è giunta in Europa. Mi chiedo come mai questa chiamata, però.» risponde il dottor Brown.

«Diciamo, collega, che ho i miei informatori.» risponde il dottor Ross, cercando di esser più cordiale possibile, per quanto si possa esserlo con uno sconosciuto.

«L’ascolto, collega.» lo incalza il tedesco, accavallando le gambe e riprendendo in mano la sigaretta.

«Ho saputo del giovane calciatore con il tumore al cervello, mia figlia è la ragazza di uno degli amici e mio nipote è calciatore come quel ragazzo. Diciamo che la mia principessa mi ha parlato della situazione dell’amico e pregato, se non ordinato, di fare il possibile per lui… la mia Fanny vorrebbe che facessi parte della sua équipe, le ho detto che le avrei parlato, ma so che non è una cosa facile, deve essere lei a decidere se fidarsi o  meno di uno sconosciuto.» spiega Alfred.

Il dottor Brown si carezza il mento sbarbato, ponderando un attimo la proposta del collega nipponico, poi sorride e risponde. «In genere non mi è mai capitato di collaborare con colleghi di altre nazioni, ma conoscendo la sua fama, sarei ben lieto di averla al mio fianco come spalla.» dice. «Sarebbe un vero piacere, Alfred, poi vista l’amicizia di sua figlia e il legame che ha con uno dei ragazzi penso sarebbe un incentivo in più per loro.» aggiunge.

«Ho pensato le stesse cose, John, nemmeno io ho mai collaborato con colleghi europei, sarebbe per me un onore e un piacere collaborare con lei e aiutare un amico della mia bambina.» risponde il dottor Ross. «Allora è deciso, verrò appena possibile. Adesso cerco dei voli e le faccio sapere appena arriverò.» aggiunge, accendendo il suo portatile, iniziando immediatamente la ricerca.

«Assolutamente sì, io adesso sto aspettando il risultato della biopsia effettuata questa mattina, se mi dà il suo contatto Skype potremo parlarne insieme e conoscerci già meglio.» risponde il dottor Brown.

«Certo, mi sembra un buon inizio di collaborazione.» sorride il dottor Ross, dando al collega la sua e-mail per poter discutere della situazione insieme.

Il dottor Brown appunta tutto quanto sulla sua agenda, ringrazia e saluta il collega giapponese, dandogli appuntamento a dopo; dopo che anche l’altro ha salutato e ringraziato, chiude il giornale e studia gli elementi che ha già a disposizione sul giovane calciatore – che ha già preso a cuore.

 

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Capitolo 8
*** Una su un milione ***


Note introduttive: eccomi qua, finalmente sono riuscita nell’impresa; scusate per il ritardo, ma è stato un capitolo abbastanza difficile da scrivere, non solo perché la situazione medica inizia a farsi intricata ma anche perché ero molto indecisa su come strutturarlo. Come da titolo, abbiamo un’altra canzone, ormai ci sto prendendo gusto. Messo un po’ da parte il caro buon Max, che tornerà, diamo il benvenuto al grande Alex Britti: ho pensato che la canzone possa stare perfettamente con la coppietta litigiosa, che vedrete… ma anche il titolo possa sposarsi con la situazione, in quanto Karl potrebbe essere “uno su un milione”. Detto questo, spero che il capitolo sia abbastanza chiaro, soprattutto per quanto riguarda il campo medico. Erik è farina del mio sacco, con qualche ispirazione ad altri malati di serie tv, che molti di voi conosceranno; a proposito, nella parte di Karl troverete una strofa, anch’essa conosciuta, legata al personaggio che mi ha ispirato Erik nella quale mi sono presa una piccola licenza poetica, modificando il finale. ^^

Adesso vi lascio al capitolo, un grazie a tutti e in particolare alla mia Darling. ♥

Vostra sempre, Amy.

 

 

 

 

Capitolo 8: Una su un milione

 

 

Amburgo: 27 gennaio, 2018 h. 10:00.

Finalmente, dopo undici ore e quarantacinque minuti di volo, il Boeing 777-300ER (77W)  della Japan Airlines atterra all’Aeroporto Hamburg-Fuhlsbüttel di Amburgo alle ore 10:00, ora locale. Dopo aver letto gli arrivi, Benji e Freddy, raggiungono il terminal designato, aspettando che Fanny e suo padre arrivino.

«Ricomincerete a litigare come in ritiro?» chiede il buon Marshall, al suo adorato pupillo, mentre aspettano. Il ragazzo alza lo sguardo, nascosto dalla visiera dell’onnipresente cappellino, e scuote la testa. «No, Freddy, o almeno non come al ritiro, lì era diverso ci odiavamo e basta.» dice semplicemente, con  le mani affossate nelle tasche dei jeans e lo sguardo fisso nel vuoto.

Il suo mentore sorride e lo stringe per le larghe spalle, poggiando il braccio sinistro sulla sua felpa nera e lo attira a sé, come farebbe un padre. «Andrà tutto bene, vedrai.» sussurra con voce pacata e profonda, conscio del fatto che, in questo momento, il suo adorato ragazzo è più fragile di quanto voglia far apparire. «Se litigherete capirò, Fanny è molto esuberante e tu testardo e al momento sei vulnerabile, hai bisogno di sostegno anche tu. Sono certo che lei saprà dartelo, perché ti vuole bene.» dice ancora, battendogli la mano sulla spalla.

Benji sorride ringraziandolo tacitamente, poi tra la folla, scorge il viso della fidanzata, e il suo sorriso si allarga. Fanny lo vede e sorride, vorrebbe saltargli al collo e baciarlo, ma essendo con il padre si limita a salutarlo con la mano – almeno per adesso. «È lui Benji?» le chiede il genitore, scrutando entrambi. «Sì, mentre il signore che gli sta accanto e Freddy Marshall, il commissario tecnico della Nazionale e suo ex allenatore personale, nonché suo quasi tutore, i genitori di Benji sono sempre in giro per lavoro, Freddy l’ha cresciuto ed è come un padre per lui.» spiega la figlia, mentre li raggiungono.

«Salve, Freddy.» sorride Fanny, stringendogli la mano, l’allenatore sorride e ricambia la stretta. «Piacere di conoscerla, signor Ross.» dice Benji, stringendo la mano al padre della fidanzata che, lo scruta con i suoi occhi verdi, ricambia la stretta e infine sorride. «Piacere mio. Tu devi essere il famoso Benji, la mia principessa mi ha parlato molto di te.» dice lasciando intendere più di quanto abbia detto. Il portiere annuisce e sorride. «Spero in positivo.» dice.

Il dottor Ross annuisce e sorride, presentandosi e parlando un po’ con Marshall della situazione, permettendo ai due ragazzi di salutarsi come si deve. Benji sorride e stringe Fanny. «Mi sei mancata.» sussurra con una dolcezza rara. «Anche tu mi sei mancato.» sussurra lei, ricambiando la stretta e baciandolo. 

“Accettami così, ti prego non guardare, 
nella mia testa c’é un mondo da ignorare. 
Voglio che tu sia mia complice discreta, 
accettami e sarai la mia bambola di seta.”

«Come sta Karl?» chiede Fanny dopo il bacio. Benji alza le spalle e accenna un sorriso. «Stabile, con il solito mal di testa e l’umore a terra. Non ha ancora del tutto razionalizzato la faccenda, ma inizia a elaborare. Il medico che lo ha in cura non ha ancora detto nulla di specifico, credo voglia studiare la situazione con tuo padre prima di esplicare tutto quanto.» risponde.

Fanny annuisce e lo tiene stretto a sé. «Andrà bene.» sussurra baciandolo in guancia con dolcezza, facendolo annuire e sorridere, adesso che il suo uragano è accanto a lui, si sente più forte. «Andiamo.» dice Freddy, avviandosi col dottor Ross, il quale ha avvertito la moglie di esser arrivati. «Andiamo a casa prima, vi date una sistemata se volete, posate i bagagli poi andremo in ospedale.» dice ancora, mentre gli altri annuiscono.

“Accettami e vedrai, andremo fino in fondo, 
non pensare a cosa è giusto e cosa sta cambiando. 
Andiamo al polo Nord, o al Sud se preferisci. 
Accettami, ti prego, dimmi che ci riesci…” 

Il viaggio di ritorno verso casa procede in tutta tranquillità, con i due uomini che parlano del più e del meno, vertendo poi il discorso sul calcio. Benji rimane in silenzio, abbandonato tra le braccia di Fanny, che lo stringe e lo coccola con tutto il suo amore: gli carezza la nuca e gli bacia la guancia, facendolo rilassare come può, mentre sulle labbra di lui è disegnato un sorriso rilassato e grato. «Grazie.» le sussurra all’orecchio, baciandole la guancia, rimanendo con la testa poggiata sulla sua spalla.

“Non ho detto mai di essere perfetto, 
se vuoi ti aiuto io a scoprire ogni mio difetto, 
se ne trovi di più, ancora mi sta bene. 
Basta che restiamo ancora così, insieme…” 

***

Amburgo: h. 11:00, ospedale.

«Ma che accidenti succede?» chiede Fanny, arrivati davanti l’ingresso della struttura ospedaliera. «Sono qui da due giorni, aspettano lo scoop, intanto sparano cazzate.» risponde Benji con un sospiro, uscendo dall’auto di Marshall, seguito dagli altri. «Price una dichiarazione su Schneider, per favore.» dice uno dei tanti. «Sì, andatevene a quel paese e lasciateci in pace.» risponde il portiere acidamente, dando una spallata al giornalista, proseguendo per la sua strada.

«Signorina? Lei è amica di Schneider? Può dirci qualcosa a riguardo?» chiede quello imperterrito, rivolgendo l’attenzione su Fanny, che alza i suoi occhi verdi e lo scruta con un sorriso. «Anche se fosse non vi direi  nulla. Siete dei rompi scatole assurdi, non avete fatto altro che rompere anche con mio cugino.» risponde guardandolo male. «Chi è suo cugino?» chiede il giornalista senza scrupoli. «Non credo le interessi saperlo.» risponde ancora la ragazza, alzandogli il dito medio e seguendo il fidanzato.

Alfred Ross sospira, ignora la calca di giornalisti e segue i due ragazzi insieme a Freddy. «Qualcuno dovrebbe dargli una lezione, non possono rimanere qui con le telecamere puntate ventiquattrore su ventiquattro.» sospira il medico, facendo annuire l’allenatore. «Penso che il padre si occuperà di loro più tardi.» risponde Freddy, entrando nell’ascensore, che è appena arrivato.

«Venga, la porto dal dottor Brown.» dice Freddy, una volta arrivati in neurologia, Alfred annuisce e lo segue, mentre Benji prende per mano Fanny e la conduce in camera di Karl, dove bussa; Grace apre la porta e lo stringe felice di vederlo, poi stringe anche la ragazza. «Grazie infinite, Fanny.» dice sinceramente. «Di nulla, amica mia.» sorride lei, ricambiando la stretta e sorridendo a Karl disteso sul letto, che accenna un sorriso.

Benji sorride e bacia la fronte della sua migliore amica, guardando poi l’amico, infine la fidanzata. «Amore ti presento la versione musona del Kaiser.» dice ridacchiando guardando il compagno sottecchi. «Price vorrei vedere te al mio posto.» risponde lui, mettendosi seduto e guardando la ragazza. «Mi dispiace che tu debba sopportalo, il signorino è un gran rompi palle.» le dice ridendo, punzecchiando a sua volta il compagno.

«Eh, lo so, ma sai… all’inizio del ritiro austriaco ci siamo ammazzati come cani, era un continuo vendicarsi a vicende delle azioni dell’altro. A capodanno siamo finiti a letto mezzi ubriachi, ma la mattina dopo nemici come prima, ci siamo dichiarati alla partita.» risponde Fanny, avvicinandosi al letto e sedendosi con un sorriso sulle labbra, iniziando a raccontare tutto quello che hanno combinato al ritiro; Benji ride, suo malgrado, si siede sulla sedia, accanto al letto, facendo sedere Grace sulle sue gambe mentre ascoltano il racconto.

***

«Ben arrivato, collega.» dice il dottor Brown, accogliendo il dottor Ross, che sorride e gli stringe la mano, accomodandosi. «Piacere di conoscerti di persona.» risponde. Il neurochirurgo tedesco sorride e gli passa la cartella clinica del ragazzo. «Io ho già il quadro chiaro, dimmi tu cosa ne pensi.» dice sedendosi sulla scrivania ed accendo una sigaretta, offendo al collega, che l’accende e controlla i documenti. «È un’astrocitoma di II grado.» dice dopo un po’ il dottor Ross, spegnendo la sigaretta.

«Esattamente.» risponde il tedesco. «Visto che abbiamo il quadro abbastanza chiaro penso sia superfluo fare la puntura lombare, direi di iniziare immediatamente con la chemioterapia.» dice. Alfred Ross annuisce. «Vuoi tentare di indebolirlo un po’ e poi asportarlo? Capisco, mi sembra perfetto, direi di procedere subito col primo ciclo.» dice.

John Brown annuisce. «Bene, avverto oncologia e riferiamo ai genitori.» dice prendendo il telefono, chiamando al reparto e riferendo al collega. Dopo aver chiuso la chiamata, raggiunge la famiglia Schneider assieme al collega, insieme spiegano la situazione e come intendono procedere. «Grazie al cielo, non è lo stesso di Bernd, o almeno non è maligno come il suo.» sospira Thomas sollevato, stringendo la moglie, che piange tra le sue braccia. A lei non importa se sia maligno o benigno, il suo bambino sta comunque soffrendo, questo basta e avanza per dilaniarle l’anima. «Visto, Angelika? Il nostro Karl si salverà.» sussurra Joseph Schneider, stringendo la moglie, contento per la bella notizia, che riguarda il suo adorato nipotino.

I due medici sorridono fiduciosi alla famiglia, che ricambia con un sorriso grato, e insieme giungono in camera per parlare anche con i ragazzi e iniziare il processo terapeutico. Fanny e Benji litigano come sempre, su eventi accaduti al ritiro, mentre Grace scuote la testa e sorride, Karl ride di gusto nel vedere il suo miglior amico in questa insolita vesta. «Sono contento di vederti ridere.» esordisce il dottor Brown, entrando in camere con il resto del gruppo. Karl sorride e si dà un contegno, regalando ai genitori e ai nonni uno dei suoi rari e bellissimi sorrisi.

«Papino com’è la situazione?» chiede Fanny, lasciando perdere il fidanzato e correndo tra le braccia del genitore – il suo primo grande amore. «Non è cattiva come pensavo che fosse. Non preoccuparti, principessa, il vostro amico ce la farà.» risponde lui, stringendola e baciandole la fronte. Grace tira un sospiro di sollievo, e istintivamente scoppia in lacrime, stringendo il fidanzato che ricambia e la bacia; il dottor Brown illustra la situazione ai ragazzi che ascoltano in silenzio.

Benji ed Hermann sembrano quasi due statue di sale; Freddy che già sa, si avvicina loro e li stringe. «Andrà bene, da adesso in poi però dovrete essere entrambi dei pilastri fondamentali per lui.» dice, facendo annuire i due calciatori. «L’orario di visita finisce qui, signori, mi spiace.» dice il neurochirurgo, guardando i presenti. «Inoltre Karl deve iniziare immediatamente la terapia.» aggiunge, guardando il ragazzo. «Sono pronto.» risponde il Kaiser, deglutendo un po’ a vuoto, ma facendo appello a tutto il suo coraggio e alla sua determinazione, forte anche del sostegno fondamentale di tutti coloro che stanno intraprendendo con lui questa difficile partita con la vita.

«Ci vediamo più tardi, o domani, amore mio.» sussurra Grace, sulle labbra del fidanzato, il quale sorride e la bacia con dolcezza. «Grazie di tutto, Starlet, ti amo.» sussurra dopo essersi staccati, mentre un infermiere di oncologia è arrivato con una sedia a rotelle; Karl saluta parenti e amici e da bravo – anche se un po’ scocciato, visto che è perfettamente in grado di camminare con le sue gambe – si siede sulla carrozzella lasciando che i medici lo portino incontro al suo destino. Il gruppo aspetta, finché le porte dell’ascensore si chiudono, portando con sé i due medici, Karl e l’infermiere, non potendo far altro ritornano a casa.

Sala chemio: h. 12:00.

Lo spettacolo che si presente innanzi agli occhi azzurri del giovane Schneider è uno dei più atroci che abbia mai visto nella sua giovane vita, ricorda come si ridusse lo zio, ma ora pian piano – vedendo questa gente – capisce di essere lui il protagonista della storia, sarà uno di loro, come loro. Deglutisce, facendo un respiro profondo, cercando di cacciare indietro la paura che gli sta crescendo dentro e traballa sulle gambe alzandosi dalla carrozzella, l’infermiere lo sorregge e lo fa accomodare su una poltrona vuota.

«Lo so che hai paura, ed è anche normale averne, ma devi cercare di rilassarti. Non sarà facile, ma devi essere forte.» gli dice, prendendo la sacca di chemioterapia. «Dovrò fare tutta quella?» chiede il ragazzo con un sussurro, guardando quella sacca con occhi sbarrati. «Sì.» risponde l’uomo, carezzandogli una guancia e preparandogli il braccio; Karl annuisce e chiude gli occhi, avendo un lieve brivido appena l’infermiere inserisce l’ago al braccio e apre la valvola per far defluire il liquido giallognolo. «Bravissimo. Rilassati e pensa a qualcosa di bello, io rimango nei paraggi.» dice l’infermiere occupandosi di altri pazienti presenti.

“Certo, la fai facile tu, amico, sei dall’altra parte mentre sono io quello che se la sta facendo sotto.” pensa Schneider, guardando quel liquido che gli entra dentro, scendendo goccia dopo goccia nel suo corpo, facendo crescere la paura e l’angoscia. «Zio… vorrei fossi qui con me, ho paura.» sussurra, leccandosi le labbra, diventate improvvisamente secche, mentre le lacrime iniziano a rigargli il viso prepotenti, goccia dopo goccia, come la chemio che entra in circolo nel suo sangue.

Improvvisamente la sua attenzione viene catturata da una voce sconosciuta, una voce giovane, che gli chiede come va. Volta lo sguardo azzurro verso di essa e si trova davanti un ragazzo che, a occhio e croce, ha la sua età; gli occhi verdi grandi e luminosi – forse troppo per uno come loro – non ha più i capelli, e questo gli fa subito intuire che è anche lui nella sua stessa situazione, e improvvisamente, realizza che anche lui a breve non li avrà più e si sente vuoto. «Va da schifo.» risponde appena, con voce sottile, mentre il suo corpo inizia ad imperlarsi di sudore.

«La prima volta è sempre la peggiore, fa sempre schifo, ma la prima è più traumatica.» dice il ragazzo, avvicinandosi con la sua carrozzella, stringendogli la mano; un semplice gesto, senza pretese, che strappa un sorriso al calciatore. «Io sono Erik.» dice il ragazzo. «Karl, ma penso lo avrai capito.» risponde Schneider, facendo annuire l’altro con un sorriso. «Cos’hai tu?» chiede il Kaiser, deglutendo e chiudendo gli occhi, sforzandosi di conversare, per non sembrare scortese e anche tentare di distrarsi – per quanto sia possibile farlo.

«Osteosarcoma.» risponde Erik, stringendogli la mano con più forza, sapendo che la chemio inizia a far sentire i suoi effetti indesiderati. «Non… ho idea di cosa sia…» sussurra Karl portando la mano destra alla bocca e tossendo, trattenendo a fatica un conato di vomito; Erik gira velocemente, sempre seduto sulla sua sedia a rotelle e gli porge un secchio per rimettere. «Grazie…» sussurra Karl, poggiando la testa sulla poltrona. «Non mi sono mai sentito così male in vita mia.» dice ancora ansante, chiudendo gli occhi e facendo respiri profondi.

«Mi ricordo.» sussurra Erik, prendendo un panno dal carrello, asciugandogli il sudore dalla fronte, Karl accenna un sorriso. «Scusa, mi stavi dicendo cosa avevi, prima.» sussurra debolmente. «È un tumore osseo maligno, l’ho avuto alla tibia.» risponde Erik, sollevando la gamba destra, mostrando l’arto artificiale. «Cazzo. Mi dispiace…» mormora Karl con le lacrime agli occhi. “Se fosse stato il mio caso mi sarei giocato la carriera.” pensa tremando, ritenendosi quasi fortunato.

«All’inizio è stato terribile, ormai mi sono quasi del tutto abituato ad averla. Sai? Ho anche scoperto che ce ne sono alcune che si possono bagnare, così potrò continuare a fare surf.» dice Erik, sorridente, nonostante tutto. «Sono contento che tu non abbia dovuto rinunciare ai tuoi sogni… se fosse capitato a me avrei dovuto lasciare il calcio.» risponde Karl, riaprendo i suoi occhi di ghiaccio. «Tu invece cos’hai?» chiede Erik, continuando ad asciugargli il sudore e a stringergli la mano.

«Astrocitoma, o qualcosa del genere, di II grado...» risponde Karl a fatica, richiudendo gli occhi e deglutendo ancora, per reprimere un altro conato di vomito. «Bevi un po’.» dice Erik, porgendogli una bottiglietta. «Capisco. Simpatico, non c’è che dire, ma ti è finita bene.» aggiunge. «Lo so, oddio, non ci capisco un cazzo a dire il vero. So solo che ne esistono di quattro tipi e che due anni fa mio zio è morto per uno di IV grado, che se non sbaglio è maligno.» dice Karl, ripresosi lievemente dopo aver bevuto.

«Mi dispiace per tuo zio.» sussurra Erik, guardandolo negli occhi. «Aspetta… Bernd Schneider? L’attaccante e capitano del Bayer Leverkusen? Non pensavo fosse tuo parente. Ho seguito tutta la vicenda, lo stimavo davvero tantissimo, in campo sembrava un leone. Mi è dispiaciuto davvero moltissimo, nonostante non sono un grandissimo appassionato di calcio.» dice ancora con sincerità. «Già, lui, era la punta di diamante dell’attacco e un grandissimo capitano. E sì, era mio zio, il fratello minore di mio padre.» risponde Karl chiudendo un attimo gli occhi e facendo una pausa. «Io l’ho saputo ad allenamento finito, era il giorno del mio diciottesimo compleanno, è stato il giorno più brutto della mia vita. Non lo dimenticherò mai, lui per me era come un fratello maggiore, era tutto. Mi manca terribilmente.»  si lascia andare Karl, come se davanti non avesse uno sconosciuto, ma un amico.

«Immagino.» dice semplicemente Erik, dispiaciuto, stringendogli più forte la mano. «Basta deprimersi, parliamo di altro. Ci sono, facciamo un gioco che mi ha insegnato mio fratello quando feci la chemio per la prima volta.» dice sorridendo. «Cosa?» chiede Karl. «Pensa a un posto nel quale vorresti essere, invece che qui.» spiega Erik. Il Kaiser alza un sopracciglio scettico, ma chiude gli occhi. «No, non ci riesco, sto troppo male.» dice subito. «Fidati, concentrati e pensa solo a dove vorresti essere.» insiste Erik.

Il calciatore sospira e pensa. «Cominci a vederlo?» chiede Erik. «Sì. Sono con mio zio… siamo su un campo di calcio, insieme, entrambi con la Nazionale. È la finale della Coppa del Mondo a Mosca, stiamo giocando contro il Brasile, il risultato è fermo sull’1-1 e manca poco alla fine dei tempi supplementari, si deciderà tutto ai rigori.» racconta Karl, ancora ad occhi chiusi. «Bene, continua.» lo incita Erik.

«Ecco, ci siamo. Sto battendo l’ultimo rigore, lo zio ha segnato il suo prima di me, il Brasile ne ha sbagliato uno, se segno siamo Campioni del Mondo. Sto caricando il mio Fire Shot e ho segnato… abbiamo vinto il Mondiale, insieme.» continua Karl, mentre un sorriso si disegna sulle sue labbra. «Va meglio?» chiede Erik con un sorriso. Karl annuisce e sorride. «Siamo forti.» dice, mentre lacrime di gioia scendono dai suoi candidi occhi azzurri ora ridenti.

“Conta che quel giorno c’eri tu, quando mi hanno detto:

‘questo è il fondo.’ e il fondo era più giù.

Conta il tuo sorriso in faccia al mio.

Restami pure vicino. Restami pure vicino, che forse io non piango nemmeno.

Che forse io non piango nemmeno.

Che forse io non piango nemmeno.

Che forse io non piango più…

Se non di gioia, siamo forti insieme, io e te.

Siamo forti io e te.

Siamo i Campioni del Mondo noi due.”

 

Senza che Karl se ne accorga la flebo è finita, lasciandogli però un incredibile senso di spossatezza e nausea, alleviato però dal nuovo amico: un valido alleato, che sa come ti senti e non ti giudica, ti sostiene e ti dà una mano quando il baratro sembra inesorabile. «E la prima volta è andata. Sei stato coraggioso, Kaiser.» sorride Erik, battendogli il cinque, che Karl ricambia con un sorriso; mentre l’infermiere ritorna e gli stacca l’ago dal braccio, mettendolo sulla sedia a rotelle per riportarlo in camera sua a riposare.

*** 

Amburgo: Villa Price, h. 14:30.

Dopo pranzo Freddy è andato in salotto a leggere il giornale e cercare di svagare un po’ la mente. Fanny ha fatto una doccia e ora si sente meglio, la stanchezza del lungo viaggio, sembra un po’ essersi attenuata; indossa l’accappatoio – giustamente enorme – del fidanzato, avvolge i capelli in un asciugamano e scende in cucina per fumare una sigaretta e godersi il suo attimo di pace, affinché la stanchezza passi del tutto.

“Amo, amo, è qualcosa che si muove, 
su e giù per lo stomaco più freddo della neve. 
Amo, amo, è un buco alla ciambella: 
la sua dolcezza effimera la rende così bella.”

Benji è salito in camera sua a riposare un po’, dopo aver preso una camomilla, che sebbene gli abbia fatto schifo, lo ha sicuramente aiutato… e non solo quella. Fanny giunge in cucina e si versa del caffè, sedendosi e afferrando il pacchetto di sigarette abbandonato lì sul tavolo. «Price! Maledetto bastardo, infame, ladro di sigarette che non sei altro, io ti uccido male per averlo fatto.» urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, facendo precipitare uno sconvolto Freddy che la guarda come uno stoccafisso e destando il fidanzato dal suo sonno.

«Che… che hai detto?» chiede l’allenatore incredulo e sconvolto, sperando di aver capito male. «Ho detto che quel coglione del tuo pupillo, nonché mio fidanzato, si è fregato l’ultima sigaretta e che adesso morirà.» risponde la ragazza su tutte le furie, mentre l’oggetto della sua ira entra in cucina con solo i pantaloni del pigiama indosso, i capelli scompigliati e l’aria assonnata. «Che cazzo ti urli? C’è gente che vorrebbe dormire.» dice, ignaro e dimentico del suo gesto inconsueto di poco prima.

«Cosa urlo? Urlo che ti sei fregato l’ultima sigaretta del pacchetto e questo non avresti dovuto farlo, non avresti dovuto assolutamente farlo.» sbraita Fanny, avvicinandosi pericolosamente a lui, sotto lo sguardo sconvolto e scioccato del povero Marshall, al quale da lì a breve verrà una bella gastrite nervosa accompagnata da una feroce emicrania. «Scusa, amore… hai ragione, non avrei dovuto. Non solo perché era l’ultima, ma anche perché sono un calciatore.» tenta Price di prenderla con le buone, guardando un attimo il suo mentore, che lo guardo esterrefatto e sconvolto.

«Scusa anche tu, Freddy.» aggiunge in sussurro, temendo la risposta della fidanzata furiosa. «Ahhh! Basta ci rinuncio, fanculo tu e anche l’ultima sigaretta.» risponde Fanny dandogli uno schiaffo. «Fanny…» mormora Benji, portandosi la mano sulla guancia colpita. «Mi dispiace, davvero, non pensavo fosse l’ultima, ho fatto una cazzata ma è stato un attimo di debolezza. Cosa credi? Sono stati dei giorni infernali anche per me, non soltanto per Karl.» continua a dire sinceramente, guardandola negli occhi.

“Accettami e vedrai, insieme cresceremo 
qualche metro in più e il cielo toccheremo, 
più alti dei giganti, più forti di Godzilla. 
Faremo una crociera su una nave tutta gialla.”

Marshall sospira pesantemente e si allontana, ritornando in salotto, battendo una mano sulla spalla del ragazzo al passaggio. «Capisco come ti senti, tuttavia ne riparleremo, Benjiamin.» dice chiamandolo con il nome intero, il che non lascia presagire nulla di buono, ma sa che sarà un rimprovero a fin di bene, quindi poco male; annuisce al mister che abbandona la cucina e torna a guardare la fidanzata. «Vieni qui, brutto deficiente rompi palle.» dice lei stringendolo forte tra le sue braccia.

Benji rimane spiazzato e la lascia fare. «Scusa, amore, non avrei dovuto attaccarti così, solo l’agognavo sotto la doccia e mi scocciava aprire la valigia per prendere il pacchetto nuovo.» continua la ragazza, carezzandogli i capelli. «Pensavo non ne avessi più.» sussurra lui rilassandosi a quel gesto e sentendo tutta la stanchezza dei giorni passati addosso. «Ti perdono solo perché so come ti senti, però non farlo mai più e non per l’ultima sigaretta, ma perché tu non devi fumare.» dice Fanny baciandogli la guancia.

“Andremo su un’isola che sembra disegnata, 
con colori enormi e un mare da sfilata; 
per quanto mi riguarda, ho fatto già il biglietto… 
ti prego non lasciarlo accanto a un sogno in un cassetto.”

«Va bene, te lo prometto, ma ti prego stammi vicino. Ho bisogno di te, mia dolce Fuffy.» sussurra Benji, abbattendo tutte le barriere con il suo orgoglio, lasciandosi andare a un pianto liberatorio, tra le braccia della sua ragazza, che non lo giudica male per questo, lo aggredisce, ma lo ama. «Non ti lascerò mai da solo, Benji. Mai!» risponde lei, sollevandogli il viso e guardandolo negli occhi, carezzandogli la guancia schiaffeggiata poco prima. «Vieni, andiamo in camera, sei stanco e devi riposare. Io rimarrò al tuo fianco, amore mio.» sussurra ancora, questa volta sulle sue labbra, sfiorandole leggermente, mentre tenendolo stretto a sé, lo porta al piano superiore accompagnandolo a letto dove lo culla con amore finché non si addormenta.

“Amo, amo, è qualcosa di speciale, 
su e giù per lo stomaco è come un temporale. 
Amo, amo, è il sugo sulla pasta, 
finché non è finito non saprò mai dire basta… 
Amo, amo, è un dono di natura, 
perché la nostra storia non è solo un’avventura… 
Amo, amo, è una semplice canzone: 
e serve a me per dirti che sei una su un milione.”

 

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Capitolo 9
*** Tra amore e amicizia: semplicemente noi – nient’altro che noi ***


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Note introduttive: ormai mi sa che non posso più farne a meno. xD Dunque, ecco il nono capitolo, con esso è tornato anche il caro buon Max Pezzali, con una delle sue canzoni più belle. ♥ Niente, che siano capitoli tragici o meno, vengono sempre lunghi, proprio non ce la faccio a scrivere poco – word tra interlinea e tutto mi segna undici pagine – io giuro che ci provo, ma ogni volta che scrivo prendono vita propria. ;P Molly mi dispiace che tu non abbia recensito il capitolo precedente, immagino che tu sia sommersa di impegni e studio, non vorrei metterti anche questo nuovo, ma se mi fermo la storia non la continuo. :(  Grazie sempre a tutti quanti voi che continuate a leggere e recensire questa storia, e uno particolare alla mia Darling Malefica, che si diverte a torturare i poveri gemellini. Che dici, tesoro, verranno a prenderci a casa i nostri calciatori?  ;P a tal proposito, all'interno del capitolo, sarà presente un mio OC  - Jamie. Il nome che ha non mi appartiene, l'ideatrice di questo vezzeggiativo e reggina, che lo ha usato nella sua fiction con i gemelli Derrik, chiamando così James - che ormai per colpa/merito suo – è diventato il mio cucciolo adorato, e niente,  per questo ho deciso di adottarlo come nome indipendente dal "James" e usarlo, ovviamente con i dovuti permessi della sopracitata autrice. :) 

 

Capitolo 9: Tra amore e amicizia: semplicemente noi – nient’altro che noi.

 

Amburgo: 28 gennaio, ospedale, 2018 h. 10:00.

Dopo una lunga e tranquilla notte di ristoro le energie sono state del tutto ripristinate; la mattina è iniziata presto per Karl, che lasciatosi alle spalle la prima traumatica seduta di chemioterapia, si sente decisamente meglio, anche il solito mal di testa non lo affligge e dopo i consueti controlli mattutini si è lavato e vestito, ha fatto colazione e ora – forte di speranza e positività – corre in oncologia, nessuna seduta è prevista oggi per il giovane calciatore, ma il suo nuovo amico Erik, ha finalmente vinto la sua battaglia: oggi affronta la sua ultima partita, una nuova straordinaria vita lo attende.

Come se fosse sul rettangolo verde – il suo palcoscenico – Karl Heinz Schneider corre per i corridoi dell’ospedale, quasi dimentico di tutta la negatività dei giorni precedenti; il sorriso sulle labbra e gli occhi di ghiaccio che brillano allegri. «Mamma guarda, quello è il Kaiser.» dice un bimbo vedendolo passare di corsa, riconoscendo il suo idolo tra mille volti, la donna sorride al suo piccolo cucciolo malato, mentre il ragazzo – sentendosi chiamare – si volta, lo guarda, gli sorride e lo raggiunge.

«Ciao, piccolo.» dice Karl porgendogli la mano sorridente, che prontamente viene stretta dal bambino con occhi che brillano di emozione. «Lo sai che sono sempre venuto allo stadio a vedere le tue partite finché ho potuto? Anche dopo essermi ammalato non ne ho persa una, anche se le ho viste in tv.» sorride il bambino. Schneider allarga il suo candido sorriso e si siede accanto a lui, dimostrando ancora una volta di non essere un iceberg privo di emozioni, come spesso appare. «Allora è un onore conoscerti, piccolo.» dice, sorridendogli ancora.

Avrà al massimo dieci anni, ma il destino beffardo non si è curato di questo dettaglio, ha stravolto la sua giovane vita con la leucemia, ma ciò non è bastato a portargli via la voglia di vivere, lottare e sorridere. “Sei un campione, piccolo, ammiro davvero la tua voglia di andare avanti e lottare contro la tua malattia, qualunque essa sia.” pensa il Kaiser osservando la donna che guarda il figlio con occhi lucidi, mentre lui con la sua voce strillante e infantile, elogia il giovane calciatore, che è immerso nei suoi pensieri.

«Scusa, mi sono messo a parlare, ma non ti ho nemmeno detto come  mi chiamo per l’emozione di averti incontrato.» dice il bambino a un certo punto, arrestando il suo monologo, contemporaneamente al flusso dei pensieri del giovane calciatore. «Sono Jamie.» dice, ricevendo un sorriso da Karl, ma la sua mente è distratta, ancora una volta quella testa priva di capelli gli provoca una fitta al cuore. “Avanti non fare l’idiota, Karl, sai benissimo che è inevitabile e che ricresceranno, se non ne ha fatto un dramma lui che ha la metà dei tuoi anni perché devi farlo tu? Sii uomo e prendi esempio da questo piccolo ometto coraggioso.” pensa fissando il piccolo, senza in realtà vederlo.

«Perché sei qui?» chiede il bambino, strappando Karl dal suo ultimo pensiero, che lo guarda ancora sorridente, ma ancora distante. «Tesoro adesso basta, lascialo andare, avrà sicuramente da fare.» gli dice la mamma con dolcezza, notando lo sguardo velato del ragazzo. «Non mi capiterà tanto spesso di incontrarlo.» protesta il bimbo, che non ha ancora nemmeno chiesto l’autografo al suo beniamino. La donna sospira, ma il sorriso del figlioletto è quanto di più bello esista la mondo, perciò desiste, mentre Jamie riformula la domanda.

Quella semplice e ingenua domanda rimbomba nella mente di Karl sottoforma di fitta dolorosa, così come al cuore, ma deve accettare la realtà, non ha senso mentire ancora a se stesso e l’unico modo per accettare la realtà è dirlo apertamente a qualcuno. Si morde le labbra, deglutisce a vuoto e guarda il bambino. «Anche io sono come te, sono malato anche io, Jamie…» sussurra appena, ma sia la donna che il bambino riescono a udirlo.

«Oh… davvero?» chiede il bambino sorpreso, ricevendo un cenno di assenso dal Kaiser. «Sì, ho un tumore al cervello.» ammette con voce più forte, più decisa, non vuole che quel piccolino veda il suo mito crollare. «Io ce l’ho al sangue, ma non permetterò mai che vinca lui, lo sconfiggerò e tornerò a giocare a calcio e diventerò forte e bravo come te.» sorride Jamie, stringendolo forte, con la sua empatia è andato oltre scrutando l’anima del più grande, leggendo la paura – la stessa che all’iniziò anche lui provò. «Non devi avere paura, Kaiser, tu sei troppo forte per esser sconfitto.» gli dice semplicemente.

Schneider sorride e ricambia la stretta. «Grazie, Jamie, lo farò, te lo prometto.» dice con un sorriso sincero, suggellando con esso l’importante patto. «Anche io prometto che guarirò e un giorno vorrei allenarmi con te.» dice con entusiasmo il bambino, Karl sorride ancora, annuisce e prende il cellulare dalla tasca della tuta. «Appena saremo entrambi guariti faremo anche questo, promesso. Per adesso l’unica cosa che posso farti è un regalo.» dice facendo partire la chiamata verso suo padre.

Gli occhi del piccolo brillano di felicità, anche la sua mamma sorride, ma non vuole che il calciatore si disturbi a tal punto, non vuole approfittarne.

 «Karl, tesoro mio, dimmi tutto. Come stai?» risponde subito Thomas dall’atro capo del ricevitore.

«Sto bene, papà. Avrei un favore da chiederti.» risponde il ragazzo, alzandosi e allontanandosi per non farsi sentire dal suo piccolo amico, ricevendo l’assenso del genitore continua, esplicando la sua richiesta.

«Certo, campione, ti porterò tutto più tardi.» risponde Thomas.

 «Grazie mille, papà, a più tardi.» risponde Karl salutando e chiudendo, tornando da Jamie e dalla sua mamma.

«Qualsiasi cosa fosse non è necessaria.» dice la donna, mortificata per il disturbo arrecato. «Scherza? Signora, suo figlio è un bravo bambino, siamo sulla stessa barca e per me è un piacere fargli un bel regalo.» risponde Karl sorridendo. Jamie sorride e gli balza in braccio. «Sei fantastico, Karl, anche se tutti dicono che sei gelido come il ghiaccio io ti ho sempre difeso, perché so che non è vero.» dice. «Grazie, campione.» sorride Karl carezzandogli il capo. «Adesso però devo andare a trovare un mio amico che oggi ha la sua ultima chemio, ci vediamo più tardi.» aggiunge strizzandogli l’occhio, ricevendo come risposta un enorme sorriso felice e sincero.

*** 

«Karl Eccoti! Pensavo te ne fossi dimenticato e che non saresti venuto.» dice Erik, seduto sulla poltroncina della sala, mentre la chemioterapia scende inesorabile, entrando nel suo corpo, ma senza scomporlo più di tanto – ormai abituato e forte della vittoria conquistata.

«Scusa, non me ne sono affatto dimenticato. Ero qui fuori già mezz’ora fa per venire da te, sono stato trattenuto da un bambino che mi ha praticamente travolto con il suo entusiasmo e gioia di vivere, strappandomi molti più sorrisi di quanto potessi immaginare. È un paziente anche lui, ha la leucemia ed è un mio tifoso sfegatato.» dice il Kaiser, sedendosi su una sedia lì accanto. «Jamie! Quel bambino ti adora davvero, è una piccola forza della natura, alla sua prima chemio aveva indosso la tua maglietta e diceva di essere imbattibile.» ride Erik.

«Davvero?» chiede Karl con un sorriso e gli occhi che brillano. «Comunque ho notato che ha una grande forza interiore e voglia di vivere, seppur piccolo non ha vacillato un attimo davanti alla sua malattia, mi ha praticamente incoraggiato e travolto e persino obbligato ad allenarci insieme una volta guariti entrambi.» continua con entusiasmo il giovane calciatore. Erik annuisce e sorride. «Ci avrei giurato. E sì, è davvero ammirevole.» concorda. «Alla sua prima seduta è anche stato più bravo di te.» lo prende poi in giro scherzosamente.

«Ma smettila, cretino.» ride Karl, stando allo scherzo. «Comunque veniamo a te. Cosa farai una volta fuori da qui?» chiede cambiando discorso. «Non lo so ancora, penso mi prenderò qualche giorno prima di fare qualsiasi cosa e tornare all’università. Vorrei uscire in mare con la tavola, ma non credo sia il massimo a gennaio, quindi per quello penso che aspetterò l’estate con trepidazione per poter andare in Australia dai miei nonni.» risponde Erik sognate. «Figa l’Australia, mi piacerebbe vederla.» ammette Karl. «Come mai stanno lì i tuoi nonni?»

«Oh, è meravigliosa, sole e mare a volontà. Non sono australiano per metà, i mie genitori sono entrambi tedeschi, i nonni però si sono trasferiti quando mia madre era piccola e ha conosciuto papà mentre lui era lì in vacanza. I nonni si sono innamorati di Sydney e sono rimasti là, mentre mamma è tornata in patria con papà, ma andiamo ogni anno a trovarli.» spiega Erik con entusiasmo e passione.

Karl lo ascolta rapito e sorridente. «Allora un giorno mi farai da cicerone.» afferma. «Affare fatto, ma ci vorrà tempo prima che possiamo farlo. Io sono guarito è vero, ma c’è comunque il periodo di remissione e tu hai ancora un po’ di strada da fare per vincere questa partita, amico.» risponde Erik, senza abbattersi per questo e senza lasciarsi turbare. Karl annuisce fissandolo per un istante senza vederlo, poi sorride risoluto. «Hai ragione, anche io la vincerò. L’Australia sarà la meta delle vacanze estive, ovviamente dopo esser passato dalla Russia e aver vinto il mondiale.» afferma.

«Non amo particolarmente il calcio, lo sai, ma penso che potrei seguire i mondiali per vederti rendere onore alla nostra bandiera.» risponde Erik sorridendo. «Mi farebbe davvero piacere se tu fossi allo stadio per la finale. Oddio, siamo due scemi, stiamo sognando a occhi aperti su un futuro ancora prossimo, parlando di esso come se fosse già accaduto.» dice il Kaiser ridendo in modo cristallino, come solo raramente fa, come non faceva da quando è stato ricoverato. «Beh, poco male, allora. Se c’è una cosa che ho imparato durante la malattia, è che la vita è effimera, oggi puoi fare ogni cosa senza che niente e nessuno riesca a fermarti e domani tutto potrebbe cambiare. Per questo ho deciso di vivere ogni singolo istante della mia vita, senza lasciare ogni occasione che essa mi metta davanti e sognare aiuta a darti speranza nei momenti in cui tutto ti sembra perduto.» dice Erik con un sorriso, strizzandogli l’occhio.

«Sai che non ci avevo mai pensato? Ma hai pienamente ragione, i sogni sono proprio la speranza per un domani migliore.» risponde Karl, facendo annuire l’altro. «Bene, allora è deciso: quest’estate tu verrai in Russia a vedere il mondiale e io poi verrò in Australia con te.» aggiunge Karl, continuando a sognare. «E sia! Allora mi sa tanto che dovremo scambiarci i numeri per tenerci in contato, non prendertela se per un po’ non verrò a trovarti, ma voglio disintossicarmi da questo posto.» dice Erik con tutta sincerità.

Schneider annuisce sorridente, prende il suo cellulare e si scambiano i numeri. «Tranquillo, non mi offendo, non ho mai passato tanto tempo in ospedale prima di adesso, ma non è il massimo. Conosco qualcuno che è stato costretto a farlo, e inizio a capire come si sentiva in quei giorni, mentre i suoi compagni giocavano a pallone.» risponde, mentre l’infermiera di turno si affaccia e sorride ai due ragazzi, togliendo poi la flebo finita a Erik.

I due ragazzi, liberi di poter andare, escono dalla sala di oncologia e tornano in reparto. «Io adesso devo rientrare in camera mia, sicuramente mia madre sarà già arrivata e avrà sistemato tutto.» ride Erik conoscendola. «Sì… non scusarti, io…» sussurra Karl barcollando per un improvviso capogiro che lo destabilizza. «Eih che ti prende?» chiede Erik preoccupato, sostenendolo con prontezza. «Non lo so, mi gira la testa…» sussurra ancora il Kaiser chiudendo gli occhi debole e col respiro affannato. «Ti accompagno in camera tua prima andare nella mia.» si offre Erik.

«Che sta succedendo?» chiede improvvisamente un medico, che Erik non conosce, ma che è il suo nuovo idolo. «John ma è Karl, il nostro paziente.» dice il dottor Ross al collega, riconoscendo per primo il ragazzo tra le braccia dell’altro. «Hai ragione, Alfred, è Karl, finalmente lo abbiamo trovato.» risponde il dottor Brown, sospirando, avvicinandosi ai due ragazzi. «Grazie per averlo sorretto, va in camera tua, pensiamo noi a lui.» dice poi a Erik, che annuisce e lascia l’amico ai due medici.

Il dottor Brown prende Schneider in braccio, il ragazzo lo guarda con due occhioni da cucciolo smarrito, sorride e si abbandona sulla sua spalla debole. «Portiamolo in camera è collassato.» dice il dottor Ross, sentendogli il polso, mentre l’altro luminare annuisce concordante. Il giovane Kaiser, privo di sensi, viene portato nella sua camera; i medici lo stendono sul suo letto e lo fanno riprendere.

«Che mi è successo?» chiede il calciatore, guardandosi attorno frastornato, riconoscendo il viso amico del dottor Brown, il quale gli sorride. «Hai avuto un collasso, Karl, sei debole per la chemio fatta ieri, inoltre andare in giro correndo come se fossi su un campo da calcio non aiuta, soprattutto se unito allo stress di tutta la situazione. Devi cercare di riposare quando non sei impegnato in visite o altro, adesso stai qui buono a letto, più tardi verranno a trovarti i tuoi cari non mi sembra il caso farli preoccupare.» dice con dolcezza carezzandogli la fronte lievemente sudata.

Il ragazzo annuisce e sorride, mentre il dottor Ross, che lo ha visitato, appurando che tutti i parametri sono rientrati nella norma gli mette una flebo per aiutarlo a riprendersi. «Adesso riposa un po’, lo so che a voi calciatori questo verbo non piace, ma se volete tornare a giocare è l’unica cosa che dovete fare quando è necessario. Non so quante volte lo avrò detto a quel testone di mio nipote Julian, per carità, è molto giudizioso e diligente in questo, ma quando di mezzo c’è il pallone…» aggiunge Alfred Ross sorridendo.

Karl sorride ai due medici e annuisce. «Grazie. Scusate se sono corso in oncologia, volevo tener compagnia a Erik che oggi aveva la sua ultima seduta.» sussurra. «Va bene, tesoro, è stato un gesto carino quello di sostenere un amico, ma adesso riposa.» sorride dolcemente il dottor Brown, posandogli un bacio paterno sulla fronte, lasciando la camera col collega, per permettere al ragazzo di riposare come deve.

*** 

Amburgo: 28 gennaio, 2018 villa Price, h. 12:00.

Accantonato il litigio del giorno precedente, dopo aver dormito abbracciati, cullati dal loro amore, Benji e Fanny si svegliano ancora così. «Buongiorno, Fuffy.» sussurra il ragazzo con la voce roca, ancora impastata di sonno e un sorriso sulle labbra. La fidanzata sorride e lo bacia, dandogli il buongiorno nel migliore dei modi. «Freddy oggi sarà impegnato tutto il giorno con delle questioni da sbrigare, abbiamo casa libera. Pensavo che possiamo prendercela comoda, far quello che vogliamo, pranzare con calma e poi andare all’allenamento e dopo in ospedale a trovare Karl.» dice Benji stiracchiandosi, contraendo i muscoli di petto e addome.

«Per me va benissimo, amore… ho già qualche idea su come passare il tempo.» sussurra Fanny con malizia, carezzandogli il petto scolpito con la punta delle dita, mentre ammira quello spettacolo che è l’uomo che ama. Il portiere la guarda e sorride, intuendo perfettamente dove la fidanzata voglia arrivare. «Mmm… se la metti così, signorina Ross, credo non ti lascerò alzare dal letto ancora per un bel po’.» risponde con malizia anche lui, carezzandole la coscia da sotto la maglia larga con la quale ha dormito.

«E io non chiedo di meglio, Price.» gli sussurra Fanny sulle labbra, baciandolo ancora, travolgendolo con la sua passione, Benji ricambia il bacio e le solleva la maglia carezzandole il ventre piatto, salendo lentamente verso seni tondi e sodi. Fanny lo lascia fare, lievemente ansante, totalmente desiderosa di fare l’amore. Perché sì, negli effetti è la prima volta che fanno l’amore insieme, quella volta al ritiro – seppur inconsciamente innamorati – è stato più sesso, complice qualche bicchiere di troppo, e un irrefrenabile voglia di amarsi, ma con l’orgoglio a impedirlo. Si staccano dal bacio travolgente senza fiato, guardandosi intensamente e sorridenti; Benji le accarezza le labbra e gli zigomi, annegando in quei grandi occhi verdi, ascoltando il suo respiro crescere per il piacere e la felicità di stare insieme.

“Potrei stare ore ed ore qui, ad accarezzare,

la tua bocca ed i tuoi zigomi, senza mai parlare…

senz’ascoltare altro nient’altro che,

il tuo respiro crescere, senza sentire altro che noi.

Nient’altro che noi.”

«Benji…» sussurra Fanny sulle sue labbra, specchiandosi negli occhi neri del fidanzato, lui si lecca le labbra e la bacia ancora, continuando a carezzarle il corpo, facendola ardere ancora di più di desiderio, lo stesso che sta crescendo anche i lui. Fanny gli morde le labbra e si stacca, scorrendogli le mani sulla schiena, scendendo fino all’elastico del pantalone, col quale gioca e scivola – insieme ai boxer –  scoprendo le natiche che prende a carezzare e stringere, mentre la virilità del ragazzo inizia a pulsare e ansima lievemente.

Libero dai pantaloni e dai boxer, Benji sorride e la guarda, leccandosi le labbra le toglie la maglia iniziando a baciarle la pancia e il seno, lasciando ogni tanto qualche scia di lingua per farla eccitare ancora di più, mentre preme il suo membro contro la sua intimità ancora celata dai leggeri slip di pizzo nero. «Ti amo…» sussurra Fanny con voce bassa, sfiorando con la mano la virilità del ragazzo, che pulsa. «Anche io.» sussurra lui, trattenendo un gemito a fatica e leccandole il basso ventre, per poi  scivolarle gli slip e iniziare a prepararla.

  “Potrei star fermo immobile, solo con te addosso,

a guardare le tue palpebre chiudersi a ogni passo…

della mia mano lenta, che scivola, sulla tua pelle umida

senza sentire altro che noi, nient’altro che noi.”

 «Amore… ti voglio.» sussurra Fanny sulle labbra del fidanzato, carezzandogli il petto, facendolo rabbrividire e sorridere; la penetra lentamente per non farle male e pian piano inizia a spingere per farla abituare alla sua presenza. Fanny geme, gli cinge i fianchi con le gambe e lo incita a muoversi con ritmo deciso, mentre lo bacia con passione carezzandogli i capelli. Benji ricambia il bacio, carezzandole le spalle e le braccia, spingendo e gemendo insieme a lei.

“Non c’è niente al mondo, che valga un secondo…

vissuto accanto a te, che valga un gesto tuo,

o un tuo movimento, perché niente al mondo,

mi ha mai dato tanto…

da emozionarmi come quando siamo noi,

nient’altro che noi.”

«Non te l’ho detto la nostra prima volta, perché eravamo ancora in guerra, ma ci sai fare da morire a letto. Sei un asso, amore, come quando difendi la tua porta, solo che in questo caso giochi in attacco. Mi fai impazzire, Benjiamin Price.» sussurra Fanny, totalmente rapita dai movimenti del fidanzato. «Nemmeno io te l’ho detto, ma sei bellissima, sensuale e provocante. Mi mandi fuori di testa, Fanny Ross. Ah… e così gioco in attacco?» risponde lui, baciandola e aumentando lievemente il ritmo, facendola annuire. «Sai che non sei la prima che me lo dice?» la provoca dopo il bacio.

«Sappi che non riuscirai a farmi incazzare, signorino, mi dispiace per tutte quelle che ti hanno avuto prima di me, ma tu adesso sei solo ed esclusivamente mio.» risponde Fanny, mordendogli la spalla destra. Benji geme lievemente per il dolore, poi sorride. «Poco male, alcune erano anche bellissime e abili, ma tu sei sicuramente la più bella. Tu sei l’unica che mi ha mandato in confusione, nonostante fossimo nemici la prima volta.» continua, ormai vicino all’orgasmo. «Devo prenderlo come un complimento?» chiede lei scrutandolo con i suoi occhioni verdi, e un finto sguardo furioso.

“Potrei perdermi guardandoti, mentre stai dormendo,

col tuo corpo che, muovendosi, sembra stia cercando

anche nel sonno di avvicinarsi a me…

quasi fosse impossibile, per te, sentire altro che noi.

Nient’altro che noi.”

«Assolutamente sì, sappi che non sono uno dal complimento facile, tendo sempre a dire tutto ciò che penso in faccia, ma raramente faccio un complimento. Chi riesce a strapparmene uno deve meritarselo assieme alla mia stima, alle altre ragazze li avrò fatti per la loro bellezza e bravura, ma tu sei davvero l’unica che è riuscita ad entrarmi dentro così e l’unica alla quale ho detto ti amo.» risponde Benji, uscendo e sdraiandosi al suo fianco ansante, mentre lei gli stringe il membro finché non viene. «Io l’ho detto a un ragazzo, ma lui non ricambiava, è stata la mia prima volta alla quale si sono susseguite tutte le altre, ma la più bella è stata con te in Austria. Ti amavo già la sera di capodanno, ma non te lo avrei detto nemmeno sotto tortura.» inizia Fanny stringendolo a sé e baciandogli la guancia. «Nemmeno io immaginavo potessi entrare nella mia vita così e prendermi come hai fatto, sei davvero stato una sorpresa, rifarei tutto quello che ho fatto al ritiro – sia chiaro – ma averti adesso tra le mie braccia e poterti amare è bellissimo, amore.» continua, stringendolo fortissimo e baciandogli la spalla morsa. «Sei unica, Fanny, davvero, per questo ti amo da morire.» risponde Benji, carezzandole i lunghi capelli castani e la schiena, arrivando fino al tatuaggio sul bacino.

“Non c’è niente al mondo, che valga un secondo,

vissuto accanto a te, che valga un gesto tuo,

o un tuo movimento…

perché niente al mondo, mi ha mai dato tanto,

da emozionarmi come quando siamo noi:

nient’altro che noi.” 

Fanny sorride e si allontana per guardarlo negli occhi, nei quali si specchia e annega, quei profondi occhi neri che l’hanno colpita dal primo istante che lo ha visto. «Sei davvero bellissimo, Benji, non potevo chiedere di meglio. Anche se spesso litighiamo come se non ci fosse un domani, tu sei il mio domani.» sussurra guardandolo. «Anche io sono felice di questo, non avrei mai pensato di poterlo dire, eppure è così. Nonostante i nostri litigi per qualsiasi cosa ti amo e voglio averti accanto, con te posso essere me stesso e non aver paura di esser giudicato.» sussurra lui baciandola con dolcezza e amore.

“Non c’è niente al mondo, che valga un secondo,

vissuto accanto a te, che valga un gesto tuo,

o un tuo movimento…

perché niente al mondo, mi ha mai dato tanto,

da emozionarmi come quando siamo noi:

nient’altro che noi.”

Rimangono così ancora un po’ sul letto a coccolarsi e ad ammettere cose che mai si sarebbero sognati di dire un giorno all’altro, finché non decidono di farsi una veloce doccia – nella quale si provocano – e poi scendono in cucina per preparare il pranzo. Dopo andranno all’allenamento insieme, per la prima volta Fanny assisterà a un allenamento del fidanzato con la sua squadra tedesca, e ciò la eccita da morire e poi andranno in ospedale a trovare il Kaiser – probabilmente con gli altri compagni – e questo le mette allegria, quel ragazzo le sta davvero simpatico. 

*** 

Dopo essersi del tutto ripreso dal malore, Karl ha ricevuto la visita di Erik, che lo ha salutato e incoraggiato a non mollare; sebbene egli sia stato dimesso, e abbia deciso di prendersi qualche giorno per staccare la spina, non dimenticherà il nuovo amico, al quale starà vicino in questa battaglia. Si sosteranno a vicenda e insieme raggiungeranno i lori sogni, iniziando dalla Russia, per poi arrivare in Australia.

«Allora io vado, ma tra una settimana sarò di nuovo qui a romperti le scatole, devo venire per forza a fare dei controlli e passerò a trovarti.» sorride Erik, dando il cinque al calciatore. «Va bene, a me non resta che godermi il soggiorno.» ironizza Karl, battendo il cinque. «Dai, non sei da solo. C’è Jamie, la tua famiglia, i tuoi amici e Grace e io sarò comunque presente telefonicamente.» risponde Erik incoraggiante, stringendolo. «Grazie di tutto, amico. Adesso vai e goditi casa.» risponde Karl ricambiando la stretta. «Io penso riposerò un altro po’ prima di ricevere le visite dei miei.» aggiunge, salutando anche la madre del ragazzo, la quale sorride, facendo gli auguri di una pronta guarigione e andando via col figlio.

Amburgo: 28 gennaio, 2018 ospedale, h. 18:00, circa.

Essendosi addormentato subito dopo pranzo, Schneider, non si è nemmeno accorto dello scorrere del tempo. «Karl?» il suo nome sussurrato da una voce femminile, lo ridesta dal suo sonno intorno alle 17:40, apre gli occhi e sorride alla ragazza di fronte sé, non rendendosi subito conto che non è la stessa del suo sogno, ma una bella e giovane infermiera. «Ciao, ben svegliato. Io sono Hildegard, la tua infermiera personale.» cinguetta la ragazza, sorridendo e ammiccando, mentre gli sente il polso. «Ciao.» risponde Karl, rimanendo impassibile alle sue moine.

«Come ti senti?» continua lei, togliendogli la flebo e scoprendo il petto per controllare meglio il battito con lo stetoscopio. «Bene, grazie.» risponde lui, sempre educatamente, lasciandola fare, ma continuando a ignorare il suo comportamento. Hildegard gli sorride, spostando lo stetoscopio sul suo torace, ammirando quei pettorali scolpiti e quel volto d’angelo. «Sì, stai bene, Kaiser. Ci sono già i tuoi nonni con tua madre e tua sorella, sistemati e li faccio entrare.» sorride la giovane infermiera, abbassando di nuovo la maglia – sfiorandogli il petto con le dita – come se fosse normale. «Grazie, Hildegard, sei gentilissima.»  dice Karl glaciale, guardandola con i suoi gelidi occhi, serrandole il polso della mano che lei tiene ancora sul suo petto. «Sono perfettamente in grado di rivestirmi da solo.» aggiunge ancora gelidamente, togliendole la mano e alzandosi la zip della felpa.

“Che antipatico e presuntuoso.” pensa l’infermiera, sorridendogli comunque; sarà anche un paziente – sarà anche antipatico ed altezzoso – ma è pur sempre un gran bel ragazzo, e di certo, lei è ancora una giovane tirocinante, che non disdegna affatto il fascino del calciatore. «Torno più tardi assieme ai medici.» dice Hildegard, ormai sulla porta sorridendo. Karl la guarda e annuisce appena, senza nemmeno salutarla, o tantomeno, ricambiare il sorriso. “Ma chi si crede essere questa qui? Pensa che bisogna essere una bella ragazza per avermi?” si chiede Karl, alzandosi dal letto e sgranchendosi un po’.

Hildegard è indubbiamente una ragazza bellissima, con i suoi lunghi capelli mogano e gli occhi verdi, per non parlare delle sue forme mozzafiato, ma di certo non è il suo tipo – o almeno non più – forse qualche anno fa non ci avrebbe pensato due volte a starci senza remore, ma ora… ora lui ha occhi solo per la sua dolce Grace – nessuna ragazza ai suoi occhi e più bella di lei – e nessuna mai potrà avere tutto il suo amore. Sospira il giovane calciatore e senza aspettare che lei faccia entrare i suoi parenti apre la porta facendoli entrare da solo. Meno ha tra i piedi quella gallina, meglio è.

Tra baci e abbraccia della famiglia, la fastidiosa infermiera è presto dimenticata e tra un po’ arriverà anche la sua ragazza, e questo non può che rendere Karl felice. «Fratellone lo sai che nonno ha cacciato via tutti quei giornalisti fastidiosi?» dice Marie Käte, dopo che la mamma ha finito di spupazzare il suo bambino. «Davvero?» chiede il calciatore incuriosito, guardando il nonno ridacchiare. «Proprio così.» conferma Joseph Schneider, sorridendo soddisfatto.

«Non li sopporto, quei maledetti stanno lì con le telecamere puntate e sparano false sentenze. Io li odio… quando successe a Ber, inventarono pure che faceva uso di doping e che fu questo a scatenare il tutto, ma il mio bambino era pulito e non aveva bisogna di quelle sostanze. Quella volta non ci ho più visto e ne ho anche picchiato uno, non ne vado fiero, ma se l’è meritato quel bastardo.» continua il nonno, Karl sorride e lo stringe. «Ricordo quanto sono stati fastidiosi quella volta. Grazie, nonno.»

«Adesso c’è la polizia all’ingresso che gli impedisce di girare come avvoltoi.» aggiunge nonna Angelika, carezzando la chioma dorata del nipote e sorridendo, ricordando anche lei il suo bambino Bernd. Grazie al calore e all’affetto che solo la famiglia può dare, il tempo passa allegro e piacevole, poco dopo arriva anche il resto del gruppo e ciò non può che portare ancora più gioia nell’animo del giovane calciatore.

«Eccoci qua, Kaiser.» esordisce Hermann Kaltz, sorridendo allegramente – con l’immancabile stecchino in bocca. «Ciao, ragazzi.» risponde Karl sorridendo, andando a stringere la sua Starlet, che ricambia la stretta e lo bacia con dolcezza e amore. Benji sorride e stringe a sé Fanny, che ricambia il sorriso e guarda l’altra coppia baciarsi. «Sono proprio carini, e Karl al contrario di quanto appaia mi sembra simpatico.» sussurra all’orecchio del fidanzato. Price la guarda da sotto il cappellino e sorride. «Lui è una delle poche persone che ha tutta la mia stima.» sussurra a sua volta.

«Campione ecco quello che mi avevi chiesto.» dice Thomas Schneider consegnando al figlio un sacco. «Grazie, papà. Stamattina ho conosciuto un bambino con la leucemia, che mi ha praticamente travolto in tutti i sensi, sono il suo idolo e voglio fargli un bel regalo.» risponde Karl, controllando il contenuto della busta di carta. «Torno tra un po’, vado dal piccolo.» dice sorridendo, scappando via di corsa, senza dar tempo a nessuno di obiettare.

***

Come la mattina, corre per i corridoi dell’ospedale, rimembrando il collasso, ma scrollando le spalle continua a correre fin nella camera del piccolo amico. «Kaiser sei venuto.» lo accoglie subito il piccolo Jamie con un gran sorriso sulle labbra e gli occhioni verdi che brillano di felicità. «Certo, e come promesso, ti ho anche portato il regalo che ti avevo detto questa mattina.» risponde Karl, salutando la mamma del piccolo, quello che intuisce esser suo padre e un ragazzino biondo che a occhio e croce ha l’età di sua sorella.

Jamie sorride fremente e lo guarda con impazienza; il calciatore ricambia il suo sorriso ed estrae dalla busta un pennarello indelebile e un pallone di cuoio, guarda il piccolo che sprizza felicità da tutti i pori e glielo porge dopo averlo autografato. «E le sorprese non sono ancora finite!» dice continuando a sorridere. «Però se vuoi vedere il prossimo regalo devi prima chiudere gli occhi.» continua, infilando la mano sinistra nel sacco, mentre il cucciolo – da bravo – chiude gli occhi e suo fratello, Klaus, guarda il calciatore assorto in chissà quale pensiero – senza che però Karl si accorga di esser osservato dall’altro ragazzino pensieroso.

Estratto anche il secondo oggetto, scrive su di esso una dedica e infine l’autografo. «Tieni!» dice a Jamie, che riapre subito gli occhi, trovandosi tra le mani la maglia personale del suo idolo; spalanca occhi e bocca e lo guarda al culmine della gioia. «Ma questa è la tua maglia ufficiale.» dice sorpreso, ma felice come mai in vita sua. «Esatto, la  mia maglia ufficiale, con tanto di autografo.» conferma Karl, sorridendogli.

«Anche se a volte la vita cerca di ostacolarci non dobbiamo mai smettere di inseguire i nostri sogni, finché essi non diventeranno realtà. Non smettere di sognare di voler diventare un grande calciatore, continua ad allenarti dando ogni giorno il meglio di te, la tenacia e la forza di certo non ti mancano. Forza, piccolo campione. Con affetto il Kaiser, Karl Heinz Schneider.» legge Jamie, quasi con le lacrime agli occhi, balza in piedi sul letto, indossa la maglia – un po’ gigante per lui –  e gli si butta letteralmente tra le braccia.

«Grazie, Karl, sei fantastico. Mi hai fatto due regali megagalattici. Te lo prometto, non smetterò mai di inseguire il mio sogno, diventerò un grande calciatore e un giorno giocheremo insieme.» dice il piccolo con la sua vocina allegra e squillante. «Ne sono sicuro, e nemmeno io smetterò mai di sognare, tornerò a giocare più determinato di prima e ti aiuterò a diventare un grande campione.» risponde Karl, ricambiando l’abbraccio e baciandolo sulla fronte, come un fratello maggiore fa col minore.

«Grazie.» dice la mamma del bambino, sorridendo al ragazzo. «Lo hai reso felice con poco.» aggiunge commossa. Schneider sorride e scuote la testa. «Le ho già detto stamane che per me è un piacere, signora.» risponde educatamente. «Adesso però devo rientrare in camera mia o è la volta buona che il dottor Brown mi ammazza, piuttosto che curarmi.» aggiunge ridacchiando, facendo ridere anche i presenti.

Salutando ancora lascia la camera per tornare nella sua, dove lo aspettano amici e parenti. «E bravo il mostriciattolo, pallone e maglia autografati da Schneider.» ridacchia Klaus, dando il cinque al fratellino. «Ma lo sai che sua sorella è una mia compagna di classe, o meglio, la mia compagna di banco. Per questo poco fa lo guardavo assorto, pensavo fosse un caso di omonimia, e invece è identico a Katy.» continua il maggiore.

«Che figo! Allora mi sa che diventerò grande amico di Karl per farti i dispetti.» risponde Jamie, sorridendo furbetto – ha già capito che Marie Käte Schneider per il fratello è molto più che un compagna di banco. I genitori sorridono vendendo i loro bambini ridere e scherzare e li osservano stretti in un abbraccio, che profuma di amore e famiglia, la signora Meyer adesso ha collegato – anche grazie alla battuta del figlio maggiore – che quel ragazzo è il figlio della sua amica Beatrix. Klaus per tutta risposta gonfia le guance, il suo fratellino ha fatto centro, ma non gliela darà vinta. «Anche lui ha il tumore, ce l’ha al cervello, ma lo sconfiggerà perché lui è fortissimo, poi ci alleneremo insieme.» dice Jamie, ridacchiando alla smorfia del fratello, consapevole di aver visto giusto.

 

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Capitolo 10
*** L'amicizia è... (prima parte) ***


Note introduttive: ecco qui un nuovo capitolo, introdotto dalle consuete note, ormai indispensabili. ;P Inizio subito col dire che il decimo sarà diviso in due parti, non per la lunghezza, perché è la mia solita, ma perché lo si può dividere in due macro sequenze; come da titolo, il tema sarà l’amicizia per entrambe le parti, ma vista da persone diverse. In questa prima parte non c’è nessuna canzone ad accompagnare il capitolo, mentre sarà presente nella seconda che pubblicherò all’anno nuovo. Il Paulaner’s Miraculum è realmente un locale di Amburgo, dove purtroppo non sono stata, anche i piatti che ordina Fanny sono originali del suddetto locale e sono stati presi dal menù che si trova nella pagina ufficiale (la quale prima era aperta a tutti, adesso,  per qualche arcano motivo chiede un autorizzazione per poter entrare) da quel che ho capito è un risto-pub, anche se non è la pagina ufficiale vi lascio qui una pagina così lo potete più o meno vedere (altrimenti c’è sempre Google Immagini) Derek ed Eva, invece, sono frutto della mia immaginazione. In questo capitolo Fanny parlerà di sua nonna, che mi appartiene però solo al 50%, infatti è un altro dei personaggi della Ross family che ho creato in collaborazione con reggina, la quale non lo ha ancora utilizzato ufficialmente, in quanto ha fatto una comparsa nelle sua fiction “Cuori Spezzati” ma senza entrare nel dettaglio, non aveva nemmeno un nome all’epoca, infatti è stata sviluppata solo recentemente con la creazione fisico/caratteriale della matriarca Ross, gli eventi che racconta Fanny sono frutto dell’immaginazione di entrambe – più di reggina che miei, la quale me li ha scritti in una one-shot, che al momento conosciamo solo noi due. La mia socia è consapevole del fatto che io l’abbia inserita nella storia e che la userò anche in futuro, così come Gregory Ross, che è  la sua versione della fiction sopracitata. Chissà, forse un giorno potremo scrivere qualcosa a quattro mani sulla famiglia di Julian. ^^ Adesso però vi lascio al capitolo, ma prima ringrazio sempre tutti voi che leggete e recensite; mi dispiace per coloro che si sono persi per strada, spero riescano a recuperare. ;) Vi auguro anche un felice e sereno Natale, e vi do appuntamento al nuovo anno con la seconda parte; tantissimi auguri ancora e bacioni. ♥

Vostra sempre, Amy. 

 

 

 Capitolo 10: L’amicizia è… (prima parte) 

 

 

Anche s’è sabato, la mattina del Kaiser è iniziata presto, ed è passata all’insegna di nuove analisi e visite, dopo esser tornato in camera ha trovato Derek ed Eva – la sua ragazza – ad aspettarlo; anche se stanco dalla pesante mattinata, è stato felicissimo di trovare i due amici del Paualaner’s Miraculum – il pub del padre del ragazzo – quello dove Karl e il resto della comitiva sono soliti andare.

I due fidanzati gli hanno tenuto compagnia per un paio d’ore, hanno parlato e riso, facendo tornare il Kaiser di buon umore, nonostante la stanchezza sia rimasta. Con Derek si conoscono dai tempi dell’asilo, fino alle scuole elementari – assieme a Hermann – sono stati un trio inseparabile, alle scuole medie però, il terzetto si è un po’ sfaldato, non che l’amicizia sia finita ma Derek è finito in un’altra sezione – dove ha conosciuto Eva; Kaltz e Schneider sono finiti entrambi nella stessa – nuovi amici ed interessi differenti, hanno fatto sì che il rapporto si allentasse un poco, ma non per questo l’amicizia ha cessato di esistere.

Benjiamin Price, il portiere venuto dal Giappone – arrivato al primo anno delle medie  finito in classe con i due calciatori –  è diventato il nuovo componente del trio, ma è anche lui amico del ragazzo del pub; alle  scuole superiori le loro strade scolastiche si sono del tutto separate, Derek ha scelto un indirizzo professionale inerente alla ristorazione, assieme a Eva che è rimasta affascinata dai racconti del compagno sul pub del padre – dapprima sono diventati grandi amici – poi è nato del tenero e, quando lei casualmente, è andata a lavorare al Paulaner’s si sono messi assieme ed adesso fanno coppia fissa da quasi sei anni.

Il trio dei calciatori, invece, si è iscritto al liceo scientifico; poi c’è Grace, che unitasi al gruppo solo dal quarto anno, è finita in classe con i tre ragazzi. Nonostante la vita a volte porti a fare scelte differenti e ad allontanarsi, è bello restare uniti, soprattutto nelle difficoltà e Karl è felice di avere accanto a sé tutti gli amici di sempre: la sua seconda famiglia.

Amburgo: sabato 29 gennaio, 2018 ospedale, h. 15:00.

Dopo pranzo e dopo aver riposato un po’, Schneider ora è in compagnia di Grace e Fanny, in via del tutto eccezionale il dottor Ross ha concesso alle due ragazze di stare fuori dall’orario di visita. «Come ti senti, amore?» sussurra Grace, carezzando la guancia pallida del fidanzato. «Un po’ stanco, ma bene. Stamattina sono passati a trovarmi Derek ed Eva.» risponde lui sorridendo, baciandole le labbra. «Lo so, Eva mi aveva detto sarebbero venuti, la tua assenza si sente anche al Paulaner’s.» risponde la ragazza, stringendolo e baciandolo.

Fanny li guarda con un sorriso, non avrebbe immaginato che questo weekend in Germania le sarebbe piaciuto da morire – nonostante sia lì perché il miglior amico del suo ragazzo stia male – e suo padre è lì per curarlo, si sta trovando bene con gli amici del fidanzato; l’amicizia con Grace si è molto rafforzata, dopo le incomprensioni e l’avvicinamento al ritiro, adesso sono diventate buone amiche; Hermann si è rivelato davvero simpatico, le sembra di esser tornata alle scuole medie con lui, quando era in classe con Julian, Amy e i ragazzi della Mambo – Kaltz le ricorda un po’ Mellory, per il quale all’epoca si era presa una cotta pazzesca – ma era solo il suo migliore amico. Adesso Fanny non ce l’ha più un migliore amico, dall’asilo fino alle medie è stato Stephen Mellory, poi tutto cambiò; lei se ne innamorò, sono finiti a letto e dopo l’amicizia si incrinò irrimediabilmente, chissà se un giorno riavrà un miglior amico, magari proprio uno degli amici del suo ragazzo.

«Amore io adesso devo andare all’allenamento, spero di riuscire a tornare più tardi con gli altri. Domani abbiamo la partita contro il Borussia Dortmund.» dice ancora Grace, seduta sul letto accanto al fidanzato. «Vero, l’avevo dimenticato.» sussurra Karl, mordendosi le labbra, avrebbe voluto essere presente anche lui e distruggere gli avversari a suon di goal. «I ragazzi mi hanno detto che vinceranno anche per te.» sorride Grace, carezzandogli le labbra e baciandolo sul naso. «E quando ti sarai ripreso del tutto segnerai tantissimi goal bellissimi e ti rifarai da questa astinenza.» continua incoraggiante.

Karl le sorride e la bacia con dolcezza. «Grazie, Starlet, ti amo.» dice dopo essersi staccati. «Anche io, Kaiser.» risponde lei, scompigliandogli i capelli, saluta anche l’amica e va via, lasciando il fidanzato in compagnia di Fanny – sicura che la ragazza del suo migliore amico – riuscirà a tenerlo su di morale con tutta la sua esuberanza. La manager della Mambo saluta, poi volta il suo sguardo sul calciatore che, disteso sul letto, le sorride lievemente imbarazzato. «Sono davvero felice di essere qui, cioè oddio… mi dispiace che tu sia in una camera d’ospedale, ma sono felicissima di essere qui in Germania.» cinguetta allegramente Fanny.

Karl la guarda e le sorride. «Benji mi ha detto che hai un debole per tutto ciò che la riguarda.» risponde. «Come mai?» chiede subito, un po’ curioso, un po’ per distrarsi e conoscersi. «È nato tutto dal calcio, sai, avendo Julian come cugino…» ride lei, incrementando la curiosità del ragazzo. «Avevamo al massimo dieci anni, ed era un noioso pomeriggio, almeno per quanto mi riguarda. Sono andata a casa sua per una cena di famiglia e lui stava davanti la tv a guardare una partita che, nemmeno ricordo, ma era una partita del campionato giapponese. Annoiata a morte mi sedetti accanto a lui, commentando con quel poco che ne sapevo a riguardo, vertendo poi sul fatto che, in entrambe le squadre, non c’era nemmeno un calciatore decente in bellezza. All’epoca sapevo poco e niente del calcio, anche se spesso guardavo le sue partite, ma figurati se mi interessavano le regole.» inizia a raccontare Fanny.

Schneider la guarda e scoppia a ridere, immaginando più Julian che altro. «Un classico di voi ragazze, insomma, vi innamorate di una squadre perché c’è sempre un calciatore che vi piace, indipendentemente dalla fede calcistica e anche di calciatori di campionati esteri.» dice ridendo, avendo praticamente già capito il fulcro del discorso. «Forse ho una vaga idea della fine, ma voglio saperla.» dice allegramente. Fanny arrossisce lievemente, ma fa un sorriso furbetto. «Beh… in effetti hai azzeccato.» ammette ridendo, facendo roteare gli occhi al cielo a Karl, che però ride divertito.

«Dunque dopo la fine delle partita, che è stata di una noia mortale, il mio adorato cuginetto mi ha fatto vedere diversi calciatori di svariati campionati. Qualcuno carino l’ho adocchiato nel campionato italiano e inglese, ma quello che catturò maggiormente la mia attenzione fu uno della Bundesliga, non so perché ma mi colpì subito a pelle.» continua il racconto, ricordando il momento e il divertimento di suo cugino. Karl le sorride, incitandola tacitamente a continuare. Le piace questa ragazza, che ha praticamente appena conosciuto, ma lo ha già catturato col suo modo di fare allegro e non può che esser felice che sia la fidanzata di uno dei suoi migliori amici, la trova assolutamente perfetta per Benji.

«Indubbiamente sono stati i suoi capelli un po’ lunghetti sulle spalle a farmi perdere la testa. “Lui! Sembra un angelo ed è bellissimo e biondo!”  esclamai saltando sulla sedia, scatenando l’ilarità di Julian, che dopo essersi ripreso mi ha detto chi fosse e dove giocasse.» continua Fanny, imitando la scena, salendo in piedi sulla sedia, mettendo su un musetto buffo tipico dei bambini. «Sei esilarante, Fanny. Sto morende dal ridere alle tue performance, e sono felice che Benji ti abbia scelta rispetto ad altre.» dice sinceramente il calciatore, con un bel sorriso. «Dai, ora però dimmi chi era questo calciatore.»

«Grazie. Anche tu mi stai simpatico, al contrario di quanto si dica in giro.» sorride lei, tornando seduta sulla sedia e guardando fuori dalla finestra quasi imbarazzata. «Bernd Schneider, del Bayer Leverkusen.» mormora troppo piano. «Non ho sentito una sola parola.» dice infatti Karl, sedendosi sul letto e guardando a sua volta fuori dalla finestra per capire cosa ci sia di tanto interessante; Fanny si morde le labbra e non risponde. Come al solito ha fatto uno dei suoi casini, la sua linguaccia lunga che mai riesce a tenere a freno, ha parlato senza riflettere e ora – come sempre – deve rimediare all’enorme disastro che ha fatto.

Alza i suoi occhioni verdi, quasi velati di lacrime, e li fissa su quelli azzurri del ragazzo. «Scusa, Karl. Io non lo sapevo, non sapevo che fosse tuo zio, non sapevo nemmeno che fosse morto, l’ho saputo qualche giorno fa dopo che Jenny ha chiamato Grace e Julian e Philip hanno subito collegato lui a te. È stato un amore passeggero e non tifavo nemmeno per il Leverkusen, poi col passare degli anni me ne sono anche dimenticata e non mi è più interessato. Scusa, mi dispiace.» sussurra guardandolo con le lacrime che le colano sulle gote.

Schneider la guarda e deglutisce, anche i suoi occhi sono velati di lacrime, ma sorride e le si avvicina. «Non scusarti, non hai alcuna colpa.» dice stringendola come se fossero amici di vecchia data. «È stato un momento di passaggio caduto poi nell’oblio, l’hai detto tu stessa. Non me la prendo certo per questo o perché lo hai nominato, mi fa un male immenso il fatto che non ci sia più e sarà sempre così, ma lui è parte della mia vita, ed essendo un calciatore famoso è normale che sia stato amato da altri. Capita, la vita a volte è strana e bizzarra e fa accadere fatti che non immagini nemmeno possano correlarsi ad altri a distanza di anni.» continua con voce pacata ed il sorriso sulle labbra, staccandosi leggermente e asciugandole le lacrime col pollice.

Fanny accenna un sorriso e annuisce, completamente d’accordo con le sue parole, ma non dice nulla. «Il mio professore di filosofia delle superiori ci diceva sempre che la vita è come una retta: ogni numero collocato su di essa è ciò che accade durante il suo scorrere e che, la suddetta retta, è parallela ad altre rette, che poi sarebbero le vite di altre persone. La retta di ognuno di noi si incrocia casualmente con le rette di altre persone, dando vita a una retta incidente, che poi si trasforma in un fascio, dal quale centro convergono svariate rette, creando un legame tra le vite, e che volendo si può racchiudere tutto in una circonferenza creando così la cerchia della propria vita con le persone che si reputano importanti per essa.» dice Karl sorridendo.

La ragazza sorride ancora. «Forte. È vero, non ci avevo mai pensato e odio la matematica.» dice ridendo. «E poi c’è Forrest Gump: che dice che la vita è come una scatola di cioccolatini e che non sai mai quello che ti capita.» dice ritrovando il suo buon umore. «Hai ragione.» risponde Karl ridendo in modo cristallino. «Comunque parli bene il tedesco.» dice dopo, staccandosi dall’abbraccio, sedendosi sul letto a gambe incrociate. «Grazie. Mi sono diplomata al liceo linguistico ed è sempre stata la mia materia preferita, adesso frequento la facoltà di Lingue e Letteratura Straniera e Culture Moderne e un giorno mi piacerebbe diventare interprete. E non vedo l’ora di venire qui per la specialistica.» risponde Fanny sorridente, con gli occhi che le brillano di felicità.

«Quindi ti avremo qui tra qualche mese per un lungo periodo. Lo hai detto a Benji?» dice Karl. Fanny scuote il capo e ridacchia. «No, glielo dirò a tempo debito.» dice strizzando l’occhio, il Kaiser ride e viene distratto da un messaggio appena arrivato sul suo cellulare sul comodino, lo prende e lo legge, mentre Fanny guarda l’ora sul display del suo e aspetta che il ragazzo finisca.

«Scusa era un sms di mia nonna. Lei e nonno vivono a Leverkusen e sono tornati a casa per il fine settimana, torneranno ad Amburgo lunedì mattina.» dice Schneider, dopo aver risposto alla nonna e posato il cellulare sul comodino. Fanny annuisce e gli sorride, stiracchiandosi sulla sedia. «La scusa è quella di prendere dei vestiti di ricambio, ma in realtà è che non lascia le sue piante e i suoi fiori troppo a lungo da sole e le mancano i suo adorati gnomi da giardino.» le spiega Karl ridendo per la situazione.

Fanny lo guarda e scoppia a ridere come una matta, tenendosi lo stomaco e chinandosi in avanti, facendo ricadere i lunghi capelli castani sul viso. «Io ho mia madre che ha la fissa per gli gnomi, mentre mia nonna li detesta. Ogni volta che viene a  casa mia con la sua Herbie mezza sgangherata, tenta sempre di abbatterne qualcuno, una volta ha fatto saltare la testa a Brontolo.» racconta dopo essersi ripresa. Karl scoppia a ridere immaginando il bolide della nonna e la testa del povero nano volare via. «Io ho perso il conto di quanti ne avrò distrutti col pallone.» dice ricordando un aneddoto della sua infanzia.

Fanny ride, ricordando sua madre che quasi piangeva per il dispiacere. «Racconta!» lo incita. Karl sorride ancora a quel ricordo e si lecca le labbra. «Ero in giardino a giocare con mio zio Bernd, e ho accidentalmente colpito uno gnomo con un calcio rompendolo in mille pezzi. Nonna sentendo il rumore si precipitò fuori brandendo un mestolo e urlando: “Calciatori disgraziati che non siete altro, avete attentato alla vita di uno dei mie gnomi? Spero per voi non diventi un’abitudine.” disse prendendo a inseguirci, poi da quella volta cercavamo sempre di fare attenzione, ma è capitato di averne rotti altri.» racconta ridendo al ricordo. 

Fanny scoppia a ridere immaginando anche lei la scena. «Mia nonna ha una casa che sembra un museo, è piena di oggetti preziosi provenienti da ogni parte del mondo, ma odia profondamente gli gnomi, mentre al contrario ama la sua Herbie caffettiera, che mio padre e mio zio detestano e vorrebbero far rottamare, ma guai a dirglielo, però.» dice ridendo ancora, contagiando anche il calciatore. «Un giorno dovremo far conoscere mia nonna e tua madre, fonderanno il club de: “Salvaguardiamo gli gnomi da giardino vittime di attentati”.» dice Karl, facendo ridere ancora di più la ragazza.

«Sarebbe da ridere.» risponde Fanny. «Però, gnomi a parte, io adoro mia nonna è una donna fantastica e ne combina di tutti i colori, pensa che per i suoi sessant’anni ha fatto un volo con il paracadute. Anche Julian l’adora e lei adora noi e ogni volta che c’è il divertimento è assicurato, soprattutto quando stravolge le cose che dici perche mezza sorda da un orecchio.» continua Fanny, raccontando avventure della sua nonna sprint, facendo ridere di gusto il Kaiser.

Nonna Fancy è davvero un uragano, proprio come la nipote, nonostante sia una donna di classe e molto elegante, ama divertirsi e passare il tempo con i suoi nipotini preferiti per i quali farebbe qualsiasi cosa. Il pomeriggio di Karl e Fanny passa in allegria, raccontandosi vicendevolmente aneddoti divertenti della loro vita, parlando dei reciproci interessi, dello smisurato amore della ragazza per tutto ciò che riguarda la Germania e di lui che le parla delle bellezze della città, o anche più in generale della nazione; iniziando così a conoscersi, tessendo le basi per quella che diventerà una grande amicizia.

Verso le 19:30 fanno un salto a salutarlo gli amici e la fidanzata, anche i genitori e la sorellina sono andati a trovarlo, Beatrix è arrivata con Marie Käte, dopo la lezione di danza e Thomas dopo gli allenamenti con la squadra. Nonostante il Kaiser si senta davvero stanco per la pesante giornata, è anche molto felice per tutte le persone che ha attorno e  che gli stanno dimostrando il loro affetto: la sua famiglia, la sua ragazza e i suoi amici – non potrebbe chiedere di meglio – e come se non bastasse ha passato un pomeriggio allegro e spensierato con Fanny, la quale si è rivelata davvero simpatica e pensa che in futuro potrebbero legare ancora di più.

***

Amburgo: sabato 29 gennaio, 2018 Paulaner’s Miraculum, h. 20:45.

Dopo esser usciti dall’ospedale, Benji, Grace, Fanny ed Hermann, hanno deciso di andare a mangiare un boccone fuori e passare una serata in compagnia – anche se manca un elemento importante del gruppo – sentono il bisogno di dover staccare un attimo la spina – e non c’è nulla di meglio del Paulaner’s Miraculum, nel quale è come se fossero a casa.

«Ciao, ragazzi.» sorride una cameriera dagli occhi azzurri ed i capelli viola. «Ciao, Eva.» rispondono contemporaneamente Grace ed Hermann. Benji le sorride ed alza il cappellino in cenno di saluto. «Price ci pensi tu o ci presentiamo da sole?» chiede Eva ridacchiando, il portiere alza le spalle e sorride voltandosi verso la fidanzata. «Lei è Fanny, la mia ragazza.» dice semplicemente. La Ross lo guarda e lo stringe, notando che è stanco. «Piacere di conoscerti.» dice alla cameriera porgendole la mano; Eva la stringe e le sorride. «Piacere mio e benvenuta. Sono contenta di sapere che il signorino abbia deciso di mettere la testa a posto e non vergognarti, qui sei tra amici.» dice allegramente.

«Nah, tranquilla, non sono una che si vergogna facilmente e grazie per l’accoglienza.» sorride Fanny, baciando poi la guancia di Benji. Eva le sorride, trovandola già simpatica a pelle. «Allora cosa vi porto?» chiede dopo, allegramente, pronta a prendere le ordinazioni. «Per me il solito.» risponde subito Grace, senza nemmeno aprire il menù. «Anche per me.» aggiunge Kaltz subito dopo.  

«Io per iniziare prendo un pretzel, un piatto di squisitezza bavarese, per dolce vorrei strudel di ricotta tiepida con gelato alla vaniglia e panna e  da bere una Paulaner Original Münchner Dunkel da 33.» dice Fanny felice, come una bimba in un negozio di balocchi e dolciumi. Eva le sorride e scrive l’ordinazione. «Benji, tu?» chiede dopo aver finito. «Io? Va benissimo quello che ha preso Fanny.» risponde sorridendole, ma è perso nei suoi pensieri ed è stanco; la fidanzata sorride – è tenero il suo ragazzo in questa versione – lo stringe e gli bacia la tempia.

Eva gli sorride ed aggiunge un 2 all’ordine della ragazza. «Vi porto subito l’antipasto e le birre.» dice allontanandosi. «Eva aspetta.» la ferma Grace, facendola tornare indietro. «Per i ragazzi una Paulaner analcolica.» dice guardando i due amici, proprio mentre Kaltz sbuffa. «Ma Grace…» inizia a protestare Benji, ma lei lo blocca sul nascere. «No, Benji, niente ma. Domani avete la partita e non potete bere, non voglio sentire storie.» dice perentoria, puntando l’indice davanti al suo viso.

Eva ridacchia e cambia le due bibite. «Grace sei perfida.» sbuffa ancora il biondo, mentre Price scrolla le spalle lasciando perdere, a dirla tutta non ha nemmeno tanta fame. «Fa il bravo bimbo, Hermann, non vorrai che dica a una certa Katherine che sei un ragazzaccio…» lo punzecchia la cameriera. «Ka… Katherine? Come fai a conoscerla?» chiede il ragazzo, sorpreso, diventando paonazzo, mentre lo stecchino gli cade sul tavolo.

«E chi lo sa!» risponde Eva, uscendogli la lingua, mandando l’ordine in cucina e poi va al bancone del bar per spillare le birre. Kaltz fissa ancora un punto indefinito, mentre Fanny ridacchia sotto i baffi, trovandolo buffo e tenero al tempo stesso; Grace e Benji lo fissano con interesse. «E chi sarebbe questa Katherine?» chiede il portiere per entrambi. «Io… beh, ecco, l’ho conosciuta la settimana scorsa, prima che Karl finisse in ospedale. È un’amica di mia cugina, ma non ho idea di come faccia Eva a conoscerla.»

«Sono davvero contenta, Hermann. E com’è? Dai, dicci qualcosa che sono curiosa.» lo incalza Grace con occhi a cuoricino, da brava romanticona qual è. «Non stiamo ancora insieme, ci stiamo conoscendo. È timida e dolce, ha gli occhi azzurri ed i capelli castani con le punte colorate di viola. È adorabile.» risponde Hermann con un sorriso che gli illumina il viso. «Ah, però. E bravo il nostro Kaltz, Karl sarà felicissimo appena lo saprà.» sorride Grace stringendolo.

«Aspetta, ma tua cugina chi?» chiede Benji, ricordandone solo una. «Christel, quella che si è presa una cotta per te.» risponde il biondo, sorridendo alla manager. «Ah!» ci resta il portiere, mentre Fanny a quell’ammissione, gonfia le guance. «Ma non è quella che ha quattordici anni?» chiede Grace. «Sì, proprio lei. Katherine è una sua compagna di classe e la sua migliore amica.» conferma Hermann, facendola sorridere.

«Quindi anche Katherine ha quattordici anni.» dice Benji, che a dire il vero, è rimasto un po’ sorpreso. «Non ti preoccupare, non mi interessano le bimbe.» dice poi a Fanny, notando la sua smorfia. «Sì, ma è molto più matura delle ragazzine della sua età.» risponde Kaltz. «Lo so cosa stai pensando, Benji, è anche più piccola della sorella di Karl. Lo so che è piccina, ma sono solo sei anni di differenza, non farò nulla che possa farla soffrire e aspetterò. Forse potrà essere un problema uscire di sera per lei, ma sopporterò anche questo finché non le concederanno di farlo.» dice guardando l’amico negli occhi.

«Guarda che io non ho pensato nulla del genere, solo non pensavo potesse essere persino più piccola di Marie Käte. Sono contento e il fatto che aspetterai paziente ti fa onore, sono contento che hai trovato qualcuna che ti piaccia, amico.» sorride Benji battendogli la mano sulla spalla. Eva ritorna con le birre e gli antipasti, sorride agli amici e scappa a sbarazzare un tavolo che nel frattempo si è svuotato.

Le varie portate si susseguono e il gruppo mangia in allegria, con Fanny che elogia ogni piatto, facendo crescere ancora di più il suo amore per la Germania. «Il secondo giro lo offre la casa.» dice Derek, raggiungendo gli amici al tavolo, con la fidanzata, che si toglie il grembiule e sorride. «Analcolica per i calciatori.» dice ridacchiando e sedendosi. Benji, Hermann e Grace sorridono e salutano l’amico, il quale si siede e ricambia il saluto. «Tu devi essere la famosa Fanny.» dice alla ragazza porgendole la mano. «Sì, piacere di conoscerti, tu devi essere Derek.» sorride lei, stringendola, mentre lui annuisce e beve la sua birra.

«Eva come fai a conoscere Katherine?» le chiede Kaltz, curioso e anche sorpreso, lei posa il suo boccale e lo guarda. «È mia sorella, quindi stai attento a quello che fai, ma sono felice che abbia trovato un ragazzo come te, perché ti conosco e so che tipo sei.» dice sorridendo e stringendo l’amico. «Nel caso in cui la farai soffrire, però dovrai vedertela con me. Uomo avvisato mezzo salvato.» gli sussurra all’orecchio. «La tratterò come una principessa.» risponde il calciatore con un sorriso radioso e sincero.

La serata procede allegramente, parlando e scherzando, ma non dimenticando mai l’amico assente. Tra Eva e Fanny nasce subito una gran sintonia e iniziano a parlare come se si conoscessero da sempre, facendo sentire la ragazza del Sol Levante totalmente a suo agio e felice, anche se domani tornerà a casa, è felice di aver passato questi tre giorni ad Amburgo e non vede già l’ora di tornare e ritrovare i nuovi amici, e ovviamente, il fidanzato.

 

 

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Capitolo 11
*** L'amicizia è... (seconda parte) ***


Note introduttive: come annunciato precedentemente, ecco qui la continuazione. Questa è la seconda macro sequenza, nella quale sono protagonisti il Kaiser ed il S.G.G.K., tutto ciò che descrivo qui è frutto della mia immaginazione, è come ho sempre immaginato e visto il loro rapporto d’amicizia – anche se si dice che Benji sia più amico di Hermann Kaltz – a me è sempre piaciuto immaginarli come un trio fortemente unito, perché diciamocelo sinceramente, io non ho mai visto tutto questo legame tra il portiere ed il suo connazionale Hutton – che ormai è diventato famoso come Tontolo. (amanti di Holly non vogliatemene, ma chi mi conosce, sa quanto io lo detesto) Forse in questo pezzo i personaggi sono un tantino OOC, ma la situazione creata, secondo me, non poteva essere diversa – in ogni caso l’avviso è stato messo per precauzione. Spero che vi piaccia anche questa parte, la quale come detto nelle precedenti note, è accostata a una canzone: “Amico mio” di Alex Britti, non è stata inserita tutta, ma solo alcune strofe, ovvero quelle che si sposano alla perfezione con le scene. Credo di non aver altro da aggiungere, dunque vi faccio i migliori auguri per il nuovo anno, che esso possa esser migliore di quello passato. Un bacione immenso a tutti voi e grazie sempre di essere qui. ♥

Amy

Capitolo 11: L’amicizia è... (seconda parte)

 

L’Amburgo ha perso la partita contro il Borussia Dortmund per 0-3, nonostante avessero promesso di vincerla anche per il loro capitano, non ci sono riusciti; la squadra avversaria li ha praticamente sopraffatti, complice anche la pesante assenza del Kaiser e la preoccupazione dei compagni per quanto gli è successo. È stato proprio un fulmine a ciel sereno.

Nonostante ogni singolo giocatore si sia impegnato per dare il massimo ne sono usciti sconfitti, gli attaccanti non sono riusciti a segnare, e anche le occasioni goal sono state pochissime: Hermann Kaltz, senza il suo compagno, sembrava un pesce fuor d’acqua e ha pianto dopo la sconfitta; Benji, in vece di capitano, ha tentato in tutti i modi di spronare i suoi compagni e parare qualsiasi tiro, lasciandosene sfuggire purtroppo tre, un po’ perché difficili da prendere un po’ per il polso ancora indolenzito.

Anche se sconfitti non si sono persi d’animo, alla prossima partita si impegneranno e daranno il massimo. Grace, da brava manager ha incoraggiato i suoi amici a non arrendersi, sostenendoli e spendendo parole di conforto; Fanny ha consolato il fidanzato, dicendogli che è stato comunque bravissimo, che la prossima partita vorrà vederlo vincitore e che a marzo sarà in Germania per la specialistica. Dopo la partita e i saluti lui l’ha accompagnata all’aeroporto, dato che deve rientrare all’università, e suo padre le ha prenotato il primo volo utile per Tokyo.

Ovviamente la Ross prima di partire è passata a salutare il Kaiser in ospedale, col quale sta nascendo una bella intesa, si sono anche scambiati i numeri di telefono e si terranno in contatto durante la lontananza parlando e conoscendosi meglio telefonicamente, nell’attesa di vedersi ancora – sperando che  nel frattempo lui sia guarito.

***

Amburgo: lunedì 31 gennaio, 2018 campo di calcio, h. 15:30.

Benji, in veste di capitano, dato il ritardo del mister e del suo staff – impegnati in una riunione –  dà ai compagni l’ordine di iniziare il riscaldamento; quando nota un giornalista fuori dal campo che parla davanti la telecamera – come se stesse facendo un servizio. Stringe il pugno, gli si avvicina e lo guarda torvo. «Ha bisogno di qualcosa? L’allenamento è a porte chiuse, non avete il permesso di stare qui oggi.» dice, mentendo la calma.

Il giornalista sorride, fa cenno al cameraman di inquadrare il portiere e lo guarda. «Vorrei avere notizie riguardo la salute del Kaiser.» dice. Benji lo fissa per un istante, stringe ancora di più il pugno, ma decide di esser educato e rispondere. «Ha iniziato la chemioterapia, sta affrontando tutto con la determinazione che ha in campo. Non sta bene, ma nemmeno male, c’è bisogno di tempo.» dice sospirando, odiando profondamente rilasciare dichiarazioni del genere. Il resto della squadra continua il riscaldamento, ma tiene d’occhio il portiere, così come fa Grace, che finge di sistemare le bottigliette.

«Capisco. Ha già perso i capelli?» chiede ancora il giornalista. «No, ma non credo che questo sia affar suo.» risponde ancora Price, mentendo il controllo. «Senta, un’ultima domanda.» sorride l’avvoltoio. «Faccia in fretta, devo allenarmi.» sbuffa il ragazzo, incrociando le braccia al petto, iniziando a spazientirsi. «Si dice che suo zio Bernd si sia ammalato dopo aver fatto uso di sostanze dopanti. Karl ha usato anabolizzanti o cose del genere? Vuole per caso seguire le sue orme?» dice il giornalista come se nulla fosse.

«Ma come diavolo si permette a dire una cosa del genere? Siete tutti dei vermi schifosi voi maledetti giornalisti.» ringhia Benji, guardandolo malissimo. «Su, si calmi, la mia è stata una semplice domanda.» si difende il giornalista. «Una domanda inutile e fuori luogo che avrebbe fatto bene e non farmi.» ribadisce il portiere, dandogli un pugno in guancia. «Non si permetta mai più a parlare di Karl in mia presenza.» dice ancora iniziando a picchiarlo, sfogando tutta la rabbia che ha dentro da quando è successo tutto.

 I compagni attoniti –  cercano invano di farlo smettere – ma se ha reagito così, sanno che è stato toccato un tasto sbagliato. Grace urla e piange. «Benji ti prego smettila.» dice mentre il cameraman cerca di togliere il ragazzo da sopra il collega.  A quel punto, mentre Benji è su di lui che lo picchia, arriva il mister, che sbarra gli occhi corre a bordo campo. «Che sta succedendo?» chiede prendendo di peso il portiere e guardandolo dritto negli occhi.

«È pazzo mi ha aggredito per delle semplici domande. Volevo solo sapere come stava suo figlio.» si difende il giornalista, con un rivolo di sangue che gli cola dalla bocca ed un occhio che inizia a diventare livido. «Penso di esser stato chiaro a riguardo, quando e se lo riterrò opportuno, sarò io stesso a lasciare delle dichiarazioni a riguardo. Adesso sparite.» dice guardandoli severamente e scocciato di averli tra i piedi. «Voi andate ad allenarvi in palestra, Grace vai anche tu.» dice poi ai ragazzi, mentre i due giornalisti vanno via con la coda tra le gambe. «Price tu no.» aggiunge categorico.

«Che diavolo ti è preso? Qualsiasi cosa abbia detto non dovevi reagire così, Benji, lo so che lo hai fatto per Karl e ti ringrazio, ma non è il modo giusto.» dice infine Thomas con dolcezza, capendo le motivazioni del ragazzo, non se l’è sentita di essere duro. «Ha insinuato che tuo fratello si è ammalato dopo aver usato doping e che Karl avesse fatto lo stesso. Scusa, non ci ho più visto appena l’ha detto.» risponde sinceramente Benji, chinando lo sguardo. Il mister sospira, ma sorride. «Spero solo che questa tua azione non abbia delle conseguenze. Capisco le tue intenzioni e non le biasimo, tuttavia per oggi puoi andartene a casa, non sei in grado di allenarti con tutta questa rabbia. Considerala come una punizione.»  dice Thomas Schneider, stringendolo e dandogli una pacca in spalla.

Benji non dice nulla, ma il suo silenzio è un tacito ringraziamento, saluta i compagni e Grace, che non si sono mossi di un millimetro, recupera il borsone nello spogliatoio e si infila nella sua auto. Non ha voglia di andare a casa, ma non sa nemmeno cosa fare, improvvisamente sorride e svolta sinistra, decidendo di fare un’improvvisata al Kaiser, ma prima di dirigersi in ospedale fa una deviazione, ricordandosi di cosa gli avesse detto l’amico il giorno prima. 

 Amburgo: lunedì 31 gennaio, 2018 ospedale, h. 16:30.

«Benji che cosa fai qui?» chiede il dottor Ross, riconoscendo il ragazzo della figlia, seduto nella sala d’aspetto del reparto, attendendo che arrivi l’orario di visite per andare dall’amico. «Salve.» dice il portiere alzandosi e stringendogli mano. «Ho saltato l’allenamento per diversi motivi, e ho pensato di venire a trovare Karl, ma è ancora presto per poter entrare.» risponde, tralasciando la zuffa avuta con il giornalista, non vuole che il padre di Fanny lo giudichi male.

«Capisco.» dice il medico. «Hai ragione, è ancora presto per l’orario di entrata, ma ogni tanto uno strappo alla regola si può fare. Karl oggi ha fatto la chemio, ha avuto una mattinata difficile anche psicologicamente, oltre che fisicamente, quindi avere un amico accanto gli farà bene.» sorride ancora Alfred Ross, portando il ragazzo nella camera del Kaiser, Benji sorride e lo segue. Non lo ammetterà ad anima viva, ma anche lui ha bisogno del suo miglior amico, vorrebbe sfogarsi con lui, ma non è il caso, perciò si accontenterà di stare in sua compagnia e a cercare di tirarlo su di morale – sicuramente farà bene a entrambi la presenza dell’uno e dell’altro.

“Amico mio mi basta che almeno ci sia tu

a ridere se piango e a tirarmi su.” 

 «Nonostante dovrebbe riposare è sveglio, sono stato da lui dieci minuti fa per controllarlo. Sono certo che sarà felice di vederti, stagli vicino, ma non farlo stancare eccessivamente.» dice ancora il medico, aprendo la porta della camera. Schneider si volta e gli sorride. «C’è Benji, te la senti di vederlo?» gli chiede. «Sì, può farlo entrare. Grazie.» sorride Karl, sedendosi sul letto con un po’ di fatica. «Ciao, Kaiser. Come va?» chiede il portiere entrando in camera, con il borsone sulla spalla destra, ed una busta di carta stretta nella mano sinistra.

«Ciao, Benji.» sorride Karl felice di vederlo, mentre il dottore chiude la porta lasciandoli soli. «Che fai qui? Oltre al fatto che è ancora presto per l’entrata, dovresti essere all’allenamento.» dice ancora il Kaiser guardandolo mentre posa il borsone a terra e il sacchetto sul tavolo. «Dovrei, infatti. Ho picchiato un giornalista perché ha detto qualche parola di troppo sul tuo conto, quindi tuo padre mi ha cacciato, anche se non mi ha rimproverato perché ha capito.» risponde Price sedendosi sulla sedia accanto al letto.

«Che odiosi.» sbuffa Karl. «Hai fatto bene, anche se sbagliato. E grazie per aver preso le mie difese.» sorride dopo riconoscente. «Sono felice che tu sia qui.» aggiunge ancora sporgendosi per stringerlo. «Non dirlo nemmeno per scherzo, Karl, mi conosci e sai che per le persone a cui tengo sono disposto a tutto.» risponde Benji ricambiando la stretta. Schneider sorride e si stacca. «Sono stanco, voglio che finisca tutto il più presto possibile…» sussurra, guardando fuori dalla finestra melanconico.

«Finirà presto e tu ne uscirai vittorioso e più forte di prima. Non dimenticare che ci aspetta la finale dei mondiali, e sappi che non ti lascerò vincere.» lo incoraggia Benji. «E ci sarò, dovessi giocare anche solo qualche minuto, ti farò talmente tanti goal in poco tempo che non riuscirete a rimontare facilmente.» risponde Schneider voltandosi di nuovo verso l’amico e sorridendo risoluto. «Questo è il Karl che conosco. Il Kaiser che lotta in campo per vincere e che adesso sta lottando per guarire.» sorride Benji. 

“Le carte del futuro non le ho lette mai

sarà che ne ho paura un po’,

mi basta già il presente mi occupa la mente.”

 Il tedesco sorride e guarda poi il sacco sul tavolo. «È quello che penso?» chiede al compagno. «Sì, se te la senti e sei convinto di volerlo fare lo facciamo.» risponde Benji guardandolo negli occhi. «Sì, sono deciso. Facciamolo!» risponde Karl determinato. Price sorride e si alza tirando fuori la macchinetta, mentre Karl si alza dal letto e va in bagno, dove fissa la sua immagine riflessa allo specchio. Il viso pallido e gli occhi cerchiati dalle occhiaie, ma è sempre lui, e sarà sempre lui anche senza i capelli che ha deciso di rasare prima che cadano da soli.

“Si prende tutti i giorni miei ma è tutto regolare

so già chi è il nemico e cosa farò...”

«Sei sicuro?» chiede Benji entrando in bagno, attaccando la spina alla presa della corrente. «Sì, meglio adesso che quando inizieranno a cadere, sarà traumatico, ma lo sarà ancora di più vederli cadere poco alla volta.» risponde Karl, poggiando le mani sul lavandino e chinando il capo, facendo un respiro profondo. «Vai, sono pronto.» dice deciso, chiudendo gli occhi. Benji accende la macchinetta e inizia a tagliare i capelli, che iniziano a cadere dentro al lavandino.

Il Kaiser non dice nulla, ma stringe le mani sul bordo del lavabo, mentre osserva quelle ciocche bionde – e inevitabilmente – lascia sfuggire le lacrime, tremando leggermente. «Lo sai.» inizia il portiere, notandolo, mentre continua la sua opera, rimanendo tranquillo per non turbarlo ancora di più. «Il nostro Herr Zahnstocher[1] ha trovato una ragazza.» racconta per distrarlo. «Davvero?» chiede subito Karl incuriosito e felice per l’amico.

«Sì. Si chiama Katherine, è un’amica di sua cugina Christel e abbiamo anche scoperto che è sorella di Eva.» risponde Benji, finendo di rasargli la testa. «E chi se lo aspettava. Sono felice che abbia trovato una ragazza anche lui.» sorride Karl, alzando il capo, ma non guardandosi allo specchio. «Ha due anni meno di tua sorella, però, ma Hermann ha detto che a lui non pesa e che avrà pazienza e si prenderà cura di lei.» continua Benji, osservandolo, gli fa strano vederlo calvo, ma gli sorride per dargli tutta la sua forza e coraggio.

«Sono certo che ne  sarà in grado e che deve essere dolce e tenera.» dice ancora Schneider, sfuggendo ancora allo specchio. «Non lo so, ma dalla sua descrizione lo è, però non stanno ancora insieme.» risponde Benji, sfilandosi il cappellino dalla testa, sorride all’amico e lo appende alla maniglia della porta; non dice nulla, solo continua a sorridere guardandolo, si alza una ciocca nera dalla nuca e rasa un pezzettino dei suoi capelli. «Benji ma che cazzo stai facendo?» lo riprende Karl sconvolto.

«Solidarietà, amico mio. Non ti preoccupare, non li raserò tutti, ma solo questo angolino, così da non essere visibile, ma è un modo per dirti che non sei da solo e che io ci sarò sempre.» sorride Price, posando la macchinetta sul lavandino e gettando i suoi capelli scuri in mezzo a quelli chiari dell’altro. «Grazie, anche se non era necessario. Tu ed Hermann siete come dei fratelli.» sorride stringendolo. «E tu lo sei per noi, saremo sempre amici, e condivideremo tutto quanto insieme.» sorride Benji ricambiando la stretta.

“Amico mio per sempre  ti ringrazierò

per tutte le parole che un giorno ti dirò.”

«Grazie di tutto.» dice semplicemente Schneider, piangendo sulla sua spalla, non è da lui, ma in questo momento ne ha bisogno e sa che Benji non lo giudicherà e sempre gli offrirà la sua spalla quando ne avrà bisogno. «Siamo troppo sdolcinati per i nostri standard, ma è quello che sento.» ride Benji, sperando di tirarlo su. «Hai ragione, però ci stava, e per una volta non mi importa.» ride anche Karl, specchiando i suoi occhi di ghiaccio in quelli onice dell’amico.

Benji gli sorride e annuisce, prende il suo cappellino dalla maniglia e glielo mette in testa prima che lui possa dire qualcosa, lo volta verso lo specchio costringendolo a guardarsi. «In fondo non è cambiato nulla, sei sempre Karl Heinz Schneider, il Kaiser, che non si arrende mai.» dice osservandolo, mentre si guarda allo specchio e si toglie il cappellino. «Hai ragione, sono sempre io e ricresceranno.» sorride Karl, voltandosi e porgendogli il cappello.

Benji scuote il capo e sorride. «Te lo regalo. Sai quanto per me sia importante il mio cappellino, ma per un amico posso anche separarmene, inoltre, servirà più a te in quei giorni in cui non vorrai vedere.» dice, con lo sguardo fisso nel suo, mentre lui non dice nulla e lo guarda quasi commosso, conscio di quanto sia quasi impossibile vedere Benjiamin Price senza il cappellino. «Consideralo come un simbolo della nostra amicizia, assieme ai capelli che mi sono rasato, fratello.» aggiunge ancora sorridendo e stringendolo di nuovo. «Grazie di cuore, fratello.» dice Karl commosso e felice, nonostante tutto, ricambia la stretta e rimette il cappellino in testa.

«Portami a letto, sono stanco.» sussurra, rimanendo poggiato sulla spalla del portiere, che lo sorregge e lo fa sdraiare. «Adesso riposa un po’, io aspetto qui fuori gli altri e poi torno.» dice Benji tirandogli su la coperte. «Saremo amici per sempre.» sorride Schneider ringraziandolo così. «Per sempre!» sorride Benji, dandogli un bacio fraterno sulla fronte ed uscendo dalla camera, aspettando in sala d’attesa che arrivino Grace e gli altri. Il Kaiser si addormenta con un sorriso, il cuore colmo di gioia e il cappellino dell’amico che lo fa sentire forte. Non è solo e mai lo sarà.

“Amico mio da sempre amico nuovo come te

a volte sembra niente

ma un amico è importante per me...”

 

 

***

 

                                                                                 

 Angolo dell'autrice: ancora auguri per il nuovo anno, grazie sempre a tutti voi che continuate a seguirmi, ci si vede al prossimo aggiornamento.  Amy

 

 

 

 

[1] Signor Stuzzicadenti/Stecchino

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Capitolo 12
*** There you'll be ***


Note introduttive: come ogni capitolo, ormai immancabili. Dunque, la situazione inizia a farsi pesante un po’per tutti, ma con l’aiuto delle persone care riescono a cavarsela in qualche modo, superando le avversità. Come da titolo, ho inserito la magnifica canzone di Faith Hill, resa famosa coll’altrettanto meraviglioso film Pearl Harbor, (film che Karl e Grace hanno visto a inizio di questa storia e che hanno amato e la canzone è diventata la loro canzone) che io personalmente amo; diciamo anche che è un tributo un po’ speciale alla mia Darling Malefica reggina, che anche lei adora, e ha usato la medesima canzone in una delle sue stupende fiction, la sua prima che ho letto e che ci ha fatto conoscere. Ringrazio sempre tutti quanti delle recensioni, chi legge, chi ha messo la storia tra preferite, ricordate e seguite; un grazie particolare però va a: krys che ha recuperato anche i capitoli precedenti, a Molly, che nonostante gli impegni non mi fa mai mancare i suoi pareri, e in fine – ma non meno importante – alla mia insostituibile compagna di avventure, reggina,  una valida consigliera e amica, sulla quale contare sempre.

Vi lascio al capitolo, vostra sempre! ♥ Amy

 

Capitolo 12: There You’ll be

 

I giorni in ospedale si susseguono, seguendo una routine pressoché identica, giorno dopo giorno; e sono già due settimane che il Kaiser è ricoverato, due settimane nelle quali la sua vita – la loro vita – sembra esser sfuggita di mano, ma insieme lotteranno per riprenderne le redini e vincere anche questa battaglia.

Amburgo: lunedì 7 febbraio, 2018 ospedale, h. 11:00.

Disteso sul suo letto Karl ripensa alla notte appena trascorsa, costellata da strani incubi e tristi presagi, nulla era ben delineato nel suo sogno, ombre di persone a lui care, che correvano senza sosta – come per sfuggire da qualcosa – qualcosa di ormai scritto e inevitabile come il destino; chiude gli occhi e fa un respiro profondo, come a voler cacciar via quei cattivi pensieri che lo hanno fatto svegliare con un senso di inquietudine e paura, li riapre poco dopo e guarda il sole debole di febbraio filtrare dalla finestra, finché il bussare alla porta non lo ridesta; si asciuga le lacrime e si siede sul letto, calandosi in testa il cappellino di Benji, dal quale prende coraggio. «Avanti.» dice, sperando che non sia un medico con qualche brutta notizia – o peggio Hildegard – che con la scusa di controllarlo ci prova, non è dell’umore adatto per sopportare la giovane infermiera.

Quando la porta si apre e scorge la figura di suo nonno sul suo viso si disegna il sorriso, il primo della giornata, che non è proprio iniziata nel migliore dei modi. «Ciao, campione.» sorride Joseph Schneider, chiudendo la porta alle sue spalle e avvicinandosi al letto del nipote. «Ciao, nonno, sono felice di vederti.» risponde Karl alzandosi dal letto e stringendolo forte, bisognoso di conforto e di una persona cara vicina. Il nonno, anche se un po’ sorpreso dall’inconsueta espansività del nipote, ricambia la stretta e lo bacia in guancia, facendolo sedere sul letto. «Come va?» chiede osservandolo con dolcezza, accorgendosi che ha rasato i capelli, ma senza dirgli nulla, leggendo però nei suoi occhioni una nota triste.

Il Kaiser sospira e lo guarda. «Nel contesto bene, ormai mi sono abituato a tutto questo e continuerò a lottare per vincere questa partita.» risponde leccandosi le labbra, distogliendo lo sguardo, tornando a guardare fuori dalla finestra. «Ma qualcosa ti turba, tesoro di nonno.» sussurra con dolcezza Joseph, carezzandogli e stringendogli la mano destra. «È vero, ma nemmeno io so cosa sia… questa notte ho fatto dei sogni strani dai contorni sfocati e confusi, dove inseguivo il fantasma di qualcuno senza riuscire a raggiungerlo, e non era lo zio.» ammette Karl, posando nuovamente lo sguardo – velato di lacrime – sulla figura del parente.

«Shhh. Va tutto bene, bambino mio. Non pensare a quel che hai sognato, non ti accadrà nulla e tu ce la farai, questi brutti sogni sono dettati dalla paura inconscia che hai dentro… anche allo zio succedeva.» lo consola il nonno, stringendolo di nuovo a sé, asciugandogli le lacrime e baciandolo sulla fronte. «Forse hai ragione.» sussurra Karl sdraiandosi sul letto, regolarizzando il respiro che si era lievemente affannato, mentre il nonno continua a carezzargli il viso. «Sto bene, nonno, adesso passa.» dice ancora il giovane calciatore, sorridendo e guardandolo. «Ho un regalo per te.» dice il nonno sorridendo e porgendogli una busta di carta.

Karl sorride e col respiro tornato regolare, si siede sul letto, ringraziandolo e uscendo il contenuto dalla busta, che è stato accuratamente incartato dalla nonna; guarda il pacco, poi il nonno, che gli sorride, incoraggiandolo a scartarlo, mentre trattiene il fiato emozionato anche lui. Tolta la carta si trova davanti una comune scatola di scarpe della Puma, perciò alza lo sguardo confuso sul nonno, che dalla sua continua a sorridere con gli occhi lucidi e non dice nulla, apre la scatola e sbarra gli occhi sorpreso e commosso. «Nonno ma queste…» sussurra con voce tremula, guardando quegli scarpini.

«Sì, Karl, sono gli ultimi scarpini di tuo zio, quelli delle grandi occasioni. Voglio che li abbia tu e che li porterai con orgoglio dopo esser uscito da qui.» sussurra Joseph Schneider con un sorriso, nonostante la voce incrinata; ne prende uno e sorride ancora, lasciando che le lacrime bagnino le sue guance, mentre osserva quello scarpino rosso e nero, con lo stemma della marca in bianco – gli stessi colori della squadra in cui ha militato suo figlio – sorride e accarezza la scritta che capeggia sulla parte esterna del tallone “Bernd Schneider” scritto in bianco sul nero, poi quella sulla punta “Bayer Leverkusen” bianco su rosso e sorride ancora guardando il nipote che è rimasto a fissare le scarpe senza parole.

«Io… non so cosa dire, nonno.» sussurra Karl prendendo l’atro scarpino e  sorridendo. «Non dire nulla, tesoro mio, sono sicuro che lui è felice nel sapere che le abbia tu e sa che le porterai con onore e orgoglio e che vincerai anche in nome suo.» risponde il nonno stringendolo. «Grazie. Le indosserò per le partite importanti, come faceva lui, e non lo deluderò.» sorride Karl, carezzando anche lui il nome dello zio sullo scarpino. «Non ti deluderò, né ora né mai, vincerò il mondiale e ti renderò fiero di me, zietto.» sussurra, lasciando scendere le lacrime e promettendo su quel nome, facendo sorridere il nonno, orgoglioso e fiero dei suoi due campioni.

I due vengono strappati da quel momento fatto di ricordi e promesse dalla porta che viene spalancata. «Kaiser!» urla il piccolo Jamie sulla soglia, con indosso la sua maglia, espressione grave sul dolce visetto e gli occhi verdi – solitamente allegri – sbarrati e pieni di paura. «Cucciolo che succede?» chiede Karl, posando con cura lo scarpino all’interno della scatola, avvicinandosi al bimbo e prendendolo in braccio, baciandolo sulla fronte, mentre nota che ha le lacrime agli occhi. «Erik.» sussurra Jamie, iniziando a piangere, stringendosi forte a lui.

Schneider lo stringe più forte e deglutisce a vuoto, mantenendo la lucidità, mentre il nonno li osserva in silenzio;  i pensieri inquieti della notte riprendono a offuscare la mente di Karl, chiude gli occhi e bacia la guancia del più piccolo. «Non piangere e dimmi cosa è successo.» dice sfoderando il suo miglior sorriso, mentre il suo cuore inizia a battere più forte per la paura. «Non lo so, ero in sala giochi quando l’ho visto sulla barella portato di corsa dai portantini, l’oncologo ed altri medici correre in radiologia dove lo hanno portato.» spiega il piccolo ancora piangendo.

Karl assimila quella spiegazione, mentre un brivido gelido gli percorre la schiena. «Va tutto bene, Jamie.» sorride per incoraggiarlo. «Sono sicuro che Erik sta bene, l’ho sentito ieri e doveva venire in questi giorni per un controllo, magari ha avuto un banale calo di pressione, e giustamente, sono stati allertati tutti i medici competenti.» continua, sorridendo, mentre l’angoscia gli sale sempre più forte. «Non scoraggiatevi, ragazzi, qualunque cosa accada voi uscirete da qui vittoriosi.» dice Joseph, rimasto in silenzio fino a ora, avvicinandosi e poggiando la mano sulla spalla del nipote e sulla manina del piccolo Jamie, che lo guarda e gli sorride.

«Nonno portalo in camera sua, per favore. Io vado a vedere se riesco a capire qualcosa.» dice Karl sorridendo al suo piccolo amico. «Ricordati che i campioni non mollano mai.» gli sussurra all’orecchio, porgendolo poi al nonno, mentre spalanca la porta  corre a perdifiato verso il reparto di radiologia, dove in questo momento stanno visitando l’amico. Sospira dopo aver chiesto ad alcuni infermieri di poter entrare, ricevendo una risposta negativa, si siede su una panca e aspetta, portando le ginocchia la petto iniziando a piangere in silenzio. “Lo so che non ti ho mai chiesto nulla, come so anche di non esser particolarmente credente, ma ti prego, Dio… se è vero che esisti, non portarlo via, non lui, ti prego.” si ritrova a pregare in silenzio, preda della sconforto e della disperazione.

***

Amburgo: lunedì 7 febbraio, 2018 reparto di ortopedia, h. 16:00.

Grace e Benji sono seduti nella sala d’attesa del reparto di ortopedia; Thomas Schneider si è accorto che il portiere ha qualche problema al polso destro, perciò l’ha spedito in ospedale per fare un controllo, mandando con lui la manager, per assicurarsi che non faccia finta di andare. «Sei preoccupato?» gli chiede dolcemente la sua migliore amica, con il suo sorriso solare. «No, più che altro mi scoccia fare la visita e scoprire che qualcosa non va.» ammette Benji, sbuffando e prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans, sbloccandolo e bloccandolo subito – quasi nervosamente.

«Tranquillo, scemo, sono certa che non è nulla. Lo hai sforzato un po’ da quando hai sbattuto, è vero, ma non penso sia qualcosa per la quale stare fermo.» lo rassicura Grace, baciandolo sulla guancia, accendendo il display del cellulare dell’amico, guardando l’ora. «Karl tra un po’ deve andare a fare la chemio…» sussurra poi, accoccolandosi sulla sua spalla e sospirando. «È dura, lo so, è sempre più difficile sostenerlo per i suoi continui sbalzi d’umore, ma ce la faremo.» la rassicura il portiere, baciandole la fronte con affetto fraterno. «Price si accomodi.» l’ortopedico, improvvisamente apre la porta, un medico sulla cinquantina, che a prima vista sembra simpatico.

«Torno tra poco.» dice all’amica, alzandosi ed entrando nello studio, si siede e stringe la mano al dottore. «Qual è il problema?» chiede il medico, mettendolo subito a suo agio con un sorriso. «Il polso destro. Una settimana fa, circa, l’ho sbattuto in campo ma non è stata una botta forte, in due giorni è passato, solo che sforzandolo un po’ e continuando ad allenarmi e giocare il dolore è tornato.» spiega il ragazzo. «Bene, vediamo subito di cosa si tratta.» risponde il medico, alzando la manica della felpa iniziando a tastare il polso a mani nude, e osservandolo con attenzione e professionalità.

Benji attende in silenzio e lo osserva, aspettando che dica qualcosa. «Le ossa mi sembrano al loro posto, per sicurezza facciamo subito una radiografia.» dice il medico, invitandolo a spostarsi; Benji lo segue e si siede, mentre l’ortopedico accende il macchinario, iniziando la radiografia. «Confermo quanto detto prima, potrebbe essere un risentimento muscolare o tendineo.» dice dopo qualche minuto, il portiere annuisce e sospira. «Facciamo anche un’ecografia e confermiamo.» dice ancora il medico mettendo il gel sul braccio e iniziando a muovere la sonda studiando le immagine sullo schermo.

Il ragazzo osserva le immagini senza capirci nulla e trattiene quasi il fiato. «È una tenosinovite, ovvero hai un’infiammazione al legamento ulno carpale.» spiega il medico, spegnendo il macchinario e porgendogli una salvietta per ripulirsi. «Nulla di irreparabile, dovrai però osservare un riposo parziale di quindici giorni, indossare un tutore e assumere antinfiammatori e antidolorifici; potrai anche giocare, ma non sforzarlo troppo o potrebbe peggiorare.» spiega l’ortopedico, mettendogli subito il tutore. «Grazie, lo farò.» risponde Benji scocciato di dover star attento e limitarsi, incazzato per tutte le ultime scocciature di quest’ultimo mese.

«La ringrazio, dottore.» dice il ragazzo, salutandolo e uscendo dallo studio, sorridendo all’amica. «Nulla di cui preoccuparsi, solo una lieve infiammazione, ma potrò comunque giocare.» le dice. Lei lo guarda negli occhi. «Sei sicuro?» chiede senza ammettere repliche. «Sì, dovrò stare attento a non sforzarlo e indossare il tutore, ma posso farlo.» risponde ancora Benji con un sorriso. «Sono felice di sapere che non è nulla di grave.» sorride a quel punto Grace, mettendogli le braccia al collo e baciandolo sulla guancia. «Andiamo a far compagnia a Karl?» chiede subito dopo, mentre lui sorride e le carezza i capelli. «No, vai da sola, io torno a casa. Scusa, ma oggi non me la sento.»

La manager lo guarda, sorride e gli carezza la guancia. «Va bene, non preoccuparti, tornerò a casa con un taxi.» gli risponde dandogli ancora un bacio in guancia, lui sorride e la stringe forte a sé. «Grazie, Grace. Salutamelo.» dice baciandole la fronte, sorride, ed entrambi si allontanano prendendo diverse direzioni: Grace verso il reparto oncologico, Benji verso l’uscita della struttura ospedaliera, dove la sua Kawasaki Ninja è parcheggiata.

***

Amburgo: lunedì 7 febbraio, 2018 sala chemio, h. 17:00.

Gli occhioni ambra di Grace vagano da paziente a paziente, alla ricerca del suo ragazzo; tutta quella gente sofferente, stanca è priva di capelli è per lei come una pugnalata al cuore, ma anche se non li conosce, regala a chiunque guarda un sorriso incoraggiante, fin quando non vede Karl: semidisteso su una poltroncina, il cappellino di Benji calato sulla testa, gli occhi chiusi e una sacca con del liquido giallognolo dalla quale la medicina scende lentamente all’interno del suo braccio sinistro. «Ciao, Kaiser.» sussurra avvicinandosi a lui, gli posa un dolcissimo bacio sulla guancia e si accomoda su uno sgabello, stringendogli la mano.

“When I think back on these times and the dreams

we left behind I'll be glad 'cause.

I was blessed to get to have you in my life

when I look back on these days

I'll look and see your face

you were right there for me.”

Lui rimane in silenzio, con gli occhi socchiusi e non fa nulla, Grace lo guarda dolcemente e gli carezza la mano, facendogli sentire la sua vicinanza, mostrandogli tutto il suo amore. «Non dovevi venire.» dice a un certo punto Karl, gelido come il ghiaccio e distante. «Perché no?» sussurra lei, nonostante tutto con un sorriso, continuando a carezzargli la mano. «Perché no, Grace, non voglio che tu mi veda quando sono uno straccio.» risponde Karl ancora con freddezza, rabbia e tristezza. «Amore a me non importa, io ti amo al di là del tuo aspetto, io amo tutto di te, e ti starò sempre accanto, soprattutto quando non mi vorrai, perché sarà quando ne avrai più bisogno.» continua imperterrita la ragazza, baciandolo sulla guancia.

Schneider si volta a guardarla e accenna un sorriso, un sorriso stanco e tirato, dietro al quale è celata una gran paura e tristezza. «Perché sei così giù? Ieri ridevi e scherzavi…» gli sussurra all’orecchio, continuando a carezzarlo. «Perché sto uno schifo, sto sempre più male e non so più dove aggrapparmi, mi mancano le forze.» risponde il Kaiser in un sussurro lievemente affannato. «Non sei da solo, non lo sarai mai, noi saremo sempre qui a sostenerti.» gli dice Grace con dolcezza, baciandolo con tutto il suo amore sulla guancia.

“In my dreams  I'll always see you soar

above the sky. In my heart

there will always be a place  for you for all my life

I'll keep a part of you with me

and everywhere I am, there you'll be”

«Starlet…» la chiama prendendole la mano e stringendola nella sua, mentre lei lo guarda e ricambia la stretta. «Hai mai pensato alla possibilità che io possa non farcela?» sussurra. «No, e non ci voglio pensare.» risponde la manager con gli occhi che iniziano a diventarle lucidi. «Forse, invece, dovresti iniziare a farlo.» dice ancora lui, posando la mano con l’ago su quella della fidanzata. «Shhh. Shhh. Non dirlo nemmeno per scherzo, tu ce la farai e uscirai da qui.» lo incoraggia la ragazza. Karl chiude gli occhi e stringe i denti, portando la mano destra sulla tempia per una fitta improvvisa, mentre con la mano sinistra pigia il tasto del telecomando per abbassare la poltrona e geme dal dolore, mentre lei lo coccola con amore.

«Ho paura, Grace… ma non solo per me, oggi hanno ricoverato Erik d’urgenza. È grave, sono apparse delle metastasi e le possibilità che possa farcela sono scarse.» sussurra Karl con voce incrinata, iniziando silenziosamente a piangere. «Sono sicura che ce la farà, amore mio.» sussurra Grace con dolcezza, carezzandogli la guancia, e asciugando la lacrima. «Ricordi la nostra canzone, amore?» chiede Grace, facendolo voltare e annuire. «Non dimenticare mai queste parole, qualsiasi cosa accada, non dimenticarle, mai: “nel mio cuore ci sarà sempre un posto per te, in tutta la mia vita, voglio tenere una parte di te in me e ovunque io sia ci sarai anche tu.” Ricordale per sempre, non valgono solo per me che ti amo immensamente e mai ti lascerò, ma anche Erik sarà sempre dentro di te, qualunque cosa accadrà.» sussurra Grace con tutta la sua dolcezza, continuando a riempirlo di dolci attenzioni.

Schneider apre gli occhi e la guarda con intensità. «Non avevo mai pensato che queste parole potessero avere diversi significati, ma hai ragione, Starlet, qualsiasi cosa accadrà Erik vivrà per sempre dentro al mio cuore, e tu sarai sempre la mia metà. Grazie, amore…» sussurra tossendo lievemente, iniziando a sudare. «Va tutto bene, ci sono io qui con te, Kaiser, non ti lascerò mai.» dice Grace, distrutta nel vederlo soffrire così, ma determinata a dargli tutta la sua forza e il suo sostegno. Gli asciuga il sudore dalla fronte con un panno e gli carezza il petto da sotto la giacca del pigiama, sentendo sotto la pelle accaldata il battito irregolare del suo cuore. «Ovunque tu sarai, ci sarò sempre anche io.» sussurra ancora, carezzandolo sul petto, cercando in tutti i modi di rilassarlo. 

“Cause I always saw in you, my light, my strength

and I want to thank you, now for all the ways

you were right there for me

you were right there for me, for always” 

«Anche io, Starlet… te lo prometto, non mi arrenderò e rimarrò sempre al tuo fianco…» sussurra Karl con voce ansante, prendendole la mano e stringendogliela debolmente. «Ti amo, ti amo da morire, mio bellissimo Kaiser.» sorride Grace con le lacrime agli occhi, stringendo forte la sua mano e portandola alle labbra per baciarla, mentre i suoi occhi si specchiano in quei meravigliosi cristalli di ghiaccio, che sono gli occhi del fidanzato. «Ti amo anche io, Starlet…» sussurra Karl guardandola a sua volta in quei profondi e dolcissimi occhi colore dell’ambra, mentre il respiro torna a essere regolare, e il cuore riprende a battere normalmente. 

“In my dreams I'll always see you soar

above the sky, in my heart

there will always be a place for you for all my life

I'll keep a part of you with me

and everywhere I am

there you'll be” 

«Bravo, amore, rilassati e pensa solo che andrà tutto bene, né tu né Erik né Jamie vi arrenderete e realizzerete ogni vostro sogno, per quanto riguarda me sarò sempre al tuo fianco a sostenerti.» sussurra Grace con dolcezza, sorridendo nel vederlo rilassarsi e guardarla dolcemente, nonostante si senta male per la terapia che lo distrugge, il suo Kaiser, bellissimo, non smette mai un attimo di esserlo, lo è anche con le sue debolezze e paure. Rimangono a coccolarsi finché il farmaco non finisce e possono rientrare in camera. 

“In my dreams I'll always see you soar

above the sky, in my heart

there will always be a place

for you for all my life

I'll keep a part

of you with me

and everywhere I am

There you'll be”

 

***

Amburgo: lunedì 7 febbraio, 2018 commissariato di polizia, h.19:30.

Freddy Marshall entra quasi trapelato alla stazione di polizia, scorge il suo pupillo seduto, la visiera del cappellino calata sugli occhi più del solito, abbandonato sulla sedia come se fosse più di là che di qua, sospira e si avvicina all’agente che lo accoglie. «Salve, signor Marshall. Benji ha fatto una bravata, ha guidato in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di droghe leggere schiantandosi con la moto, per fortuna è illeso e non ha coinvolto passanti.» spiega, consegnandogli il rapporto. «Non prenderemo provvedimenti seri, ma solo per questa volta, lo porti a casa ha bisogno di riposare.» aggiunge.

Freddy annuisce e legge velocemente  il rapporto che ha in mano, sospira e si avvicina al ragazzo, ringraziando il poliziotto per aver chiuso un occhio. «Forza, andiamo a casa.» dice prendendolo per il braccio, sostenendolo, mantenendo la calma. Entrati in auto il mister parte, mentre il portiere guarda fuori dal finestrino senza proferire parola; la testa che gli scoppia, la mente incasinata di pensieri e una gran voglia di spaccare tutto ciò che gli capiti a tiro. Sa benissimo di aver fatto una cazzata, ne è pienamente cosciente: voleva solo dimenticare e non pensare a tutti gli eventi che lo hanno stravolto in poco tempo.

«Si può sapere che accidenti ti è saltato in mente? Ubriacarti, fumare spinelli e metterti alla guida, rischiando di ammazzarti e coinvolgere altra gente. Non dico, sei per caso impazzito, Benjiamin Price?» tuona la voce di Marshall, una volta in casa, chiudendosi la porta alle spalle. «Esigo una spiegazione!» tuona ancora, guardandolo severamente. «Scusa, Freddy…» sussurra il ragazzo, tenendo il capo chino, con la visiera del cappellino a celargli lo sguardo. «Scusa? Benji ti rendi conto o no della cazzata che hai fatto? Capisco che sei in pensiero per Karl, ma di certo non lo aiuti facendo certe cazzate, capisco anche che in questo momento stai anche tu male, ma così non concludi nulla.» dice Freddy ancora severo, sa bene quanto il suo ragazzo sia in crisi, ma deve comunque rimproverarlo per farglielo capire.

«Scusa, Freddy, mi dispiace.» sussurra ancora il portiere, senza alzare lo sguardo. «Sai dire solo questo? Ho detto che pretendo una spiegazione.» sbotta Marshall perdendo la sua stoica pazienza, dandogli uno schiaffo. «Freddy… perché l’hai fatto?»  chiede il portiere col capo voltato di lato per la sberla ricevuta, che gli ha fatto anche volare il cappellino. «Perché hai superato il limite, Benjiamin, ti capisco, però non è così che aiuti i tuoi amici che in questo momento hanno bisogno di te. Piantala di fare il bambino viziato ed egoista e cresci un po’, o non mi vedrai mai più.» risponde Marshall guardandolo negli occhi.

«Non è per Karl che l’ho fatto, cioè anche, ma non solo per lui…» sussurra Benji, lasciando scendere le lacrime. Marshall sospira e si siede sul divano. «Sono tutto orecchie.» dice duramente, ma pronto ad ascoltare il suo pupillo. Il ragazzo si poggia alla porta e chiude gli occhi sospirando pesantemente. «Sono stato in ospedale per fare la visita al polso, il medico ha detto che ho un tendine infiammato e che devo stare attento a ogni movimento, ma posso giocare…» dice alzando la manica della felpa mostrando il tutore al polso. «Ho avuto paura, mi sono sentito cadere in un baratro nero, non voglio smettere di giocare.» continua a piangere, come mai ha fatto in vita sua.

Freddy sorride e scuote la testa. «Vieni qua, idiota.» dice però con dolcezza paterna, guardando il suo ragazzo con un sorriso rassicurante. Benji non se lo fa ripetere due volte e corre sul divano fiondandosi tra le sue braccia, che lo avvolgono e lo stringono. «Hai ragione tu, Freddy, sono solo un bambino viziato ed egoista, non sono affatto cresciuto.» sussurra scosso dai singhiozzi. «Non è vero, Benji, lo sei stato, ma sei cresciuto tantissimo in questi anni. Sei un ragazzo d’oro, che farebbe di tutto per le persone care, ma che non riesce a dar sfogo alle emozioni.» lo corregge il mister, carezzandogli i capelli.

Benji accenna un sorriso e solleva il viso per guardarlo. «Grazie di esserci.» sussurra. Marshall sorride, poi sospira. «Senti, penso sia meglio andare in Giappone per un po’, con il casino che hai combinato, l’aggressione al giornalista della settimana scorsa, ti sei esposto un po’ troppo sotto i riflettori. Parlerò io con Thomas, spiegandogli il motivo di questa scelta, con la storia Karl e le insinuazioni che abbia usato sostanze dopanti, potrebbero far controlli a tappeto e tu in questo momento non sei proprio pulito, se dovessero beccarti col sangue sporco finiresti nei guai rischiando la carriera.» dice guardandolo negli occhi, sorridendogli.

«Va bene, però voglio continuare ad allenarmi anche a casa.» dice Benji, asciugandosi gli occhi. «Certo, come ai vecchi tempi, campione.» sorride il buon Marshall scompigliandogli i capelli. «Dirai a mio padre delle bravate che ho fatto?» chiede dopo, sospirando. «No, non glielo dirò, al momento i tuoi genitori sono a Los Angeles per affari, spera solo che le notizie non abbiano già fatto il giro del mondo e che tuo padre non lo venga a sapere tramite la stampa.» risponde il mister guardandolo e ridacchiando.

«Forza, ora va a fare le valigie, io aggiungo un posto al volo che avevo prenotato per me, domani partiamo.» dice ancora. «Grazie infinitamente di tutto, Freddy, sei come un padre per me.» sorride il portiere con sincerità ed affetto profondo. «Beh, un po’ lo sono, visto che i tuoi sono sempre in viaggio ti ho cresciuto e ti conosco come le mie tasche, anche tu per me sei come un figlio.» sorride Marshall stringendolo forte a sé, Benji ricambia l’abbraccio e lo bacia in guancia – un evento più unico che raro – dettato dal profondo affetto che prova per il suo onnipresente allenatore personale. 

 

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Capitolo 13
*** Home sweet home ***


Note introduttive: innanzitutto mi scuso per il ritardo, non è stato voluto, ma purtroppo l’anno non è iniziato nel migliore dei modi e non ho avuto testa per scrivere – nulla di cui preoccuparsi – e si sta risolvendo tutto pian piano. Dunque, in questo capitolo conoscerete finalmente nonna Ross, che come già detto è un personaggio condiviso con reggina, che è a conoscenza del fatto che io lo stia usando e che non vede l’ora di vederlo in azione. ^^ Diciamo che ho preferito scrivere un capitolo tranquillo e far staccare un po’ dalla tensione degli ultimi, anche perché i prossimi potrebbero non essere così soft, questa volta ho anche deciso di dare una tregua al gruppo tedesco – ma torneranno presto – e per la prima volta, ho usato un personaggio che ho sempre amato, ma mai ho usato se non per qualche breve apparizione: Kirk Parson, che si rivelerà un grande amico, e spero di averlo mantenuto IC, per quanto più possibile. Qui trovate il locale in cui passa la serata con Freddy e Qui il quartiere in cui è situato, non sono mai stata a Tokyo, purtroppo, quindi passatemela per buona. (Gente, chiaramente noi qui ridiamo e scherziamo, immaginando mille e più modi per far soffrire i nostri calciatori; ma purtroppo in questi giorni la tragedia ha colpito il nostro calcio, e nulla, volevo solo esprimere il mio cordoglio a tutti i tifosi viola – anche se juventina fino al midollo – in questi casi non esistono bandiere. Rip Capitano! :’( Ora vi lascio al capitolo sperando ce vi piaccia, un bacione. Amy ♥

 

Capitolo 13: Home Sweet Home

 

Casa: non è solo quel luogo in cui si torna la sera e si riposa, anche, ma non solo; casa è ovunque ci si sente al sicuro e dove ci sono persone speciali che ci fanno sentire tali: ogni parte del mondo può esserlo e Benji può ritenersi fortunato – non perché ha due mega ville – ma perché sia in Germania che in Giappone ha delle persone importanti che lo fanno sentire a casa.

A Fujisawa, la sua città natale, ci sono tutti i vecchi compagni e amici della New Team e a Tokyo la sua ragazza; ad Amburgo, la sua città adottiva, ci sono Karl ed Hermann – i suoi fratelli – e Grace, che considera come una sorella; perché i fratelli non devono per forza avere un legame di sangue, anche dei semplici amici possono esser considerati tali ed è questo che sono per il portiere i due compagni tedeschi e la manager.

Fujisawa, mercoledì 9 febbraio, 2018 Villa Price, h. 15:00.  

«Dai, Freddy, per favore.» sbuffa per l’ennesima volta il portiere. «No, Benji, è inutile che mi preghi. Ho detto che non userai né l’auto né la moto per una settimana è così sarà, questa è la tua punizione.» risponde il mister. «E non puoi farla scattare da domani? Per favore, solo per oggi che devo andare a Tokyo.» lo supplica ancora il ragazzo. «Ho detto di no, e non mi farai cambiare idea. Se vuoi prendi un taxi o al massimo ti accompagno io nel pomeriggio, tanto devo vedermi con Kirk.» chiude la questione Marshall, non volendo sentire altre suppliche.

«E va bene, uffa.» si arrende Benji, conscio del fatto che quell’uomo lo adora e lo sta facendo per fargli imparare la lezione. «Allora mi accompagni tu, ci vediamo più tardi, adesso faccio un salto al campo a salutare i ragazzi.» dice mettendo il cappellino. «Posso prendere almeno la bicicletta?» chiede subito dopo.

«Sì, quella te la concedo.» acconsente il buon Marshall. «Alle sei in punto partiamo, regolati per essere qui in un orario consono per sistemarti.» dice ancora il mister, puntando sul fatto che il ragazzo ci tenga ad essere impeccabile. «Sarò qui in tempo per farmi una doccia e sistemarmi.» risponde Benji, infilandosi giubbotto e scarpe. «A dopo.» dice uscendo e prendendo la bici in garage, pedalando verso quel campetto che lo ha visto crescere – lo stesso campetto che lo ha visto protagonista di mille litigi con i compagni della San Francis e della Newppy.

Campetto, h. 15:45.

Come sempre Holly e compagni sono lì ad allenarsi, saranno passati gli anni, ma certe cose non cambieranno mai; Benji si ferma sulla scalinata e li osserva in silenzio, rimembrando i tempi passati: sono tutti lì, i suoi vecchi compagni di squadra, Patty, Evelyn e Susie: managers instancabili e sempre presenti. Continua a osservare gli amici, totalmente immerso nei suoi pensieri e nei ricordi, come se il tempo fosse tornato indietro. «Ragazzi facciamo una pausa di dieci minuti.» annuncia il capitano, lasciando il pallone scivolare via dal suo piede; Harper, come sempre, è il primo a correre verso la panchina, rubando un bacio alla fidanzata e  afferrando la bottiglietta che questa gli porge e bevendo. «Eih, guardate, c’è Benji.» dice alzando lo sguardo e notando il vecchio compagno, ancora fermo sulle scale, immerso nei suoi pensieri.

Il gruppo alza lo sguardo e lo nota, un sorriso appare sulle labbra di ognuno di loro, e le loro menti improvvisamente vengono catapultate ai vecchi ricordi. «Benji!» lo chiama Holly felice, agitando la mano per salutarlo, contento di rivedere quello che considera uno dei suoi migliori amici. Price si ridesta dai suoi pensieri e sorride ai vecchi compagni di squadra, scendendo verso il campo. «È bello rivederti, amico.» lo accoglie Hutton stringendolo. «Anche per me è così.» risponde Benji ricambiando la stretta. «Come mai da queste parti?» chiede una curiosa Patty, anche lei felice di riavere il vecchio amico con loro. Price, dopo aver salutato tutti, sospira e guarda la storica manager. «Come saprete sicuramente, ad Amburgo non stiamo passando un bel periodo: Karl ha iniziato la chemio già da un po’, i giornalisti non ci lasciano un attimo in pace e io non ne posso più.» dice sedendosi sulla panchina sbuffando.

«Vedrai che tutto si risolverà, Schneider si rimetterà presto e questo brutto periodo finirà.» lo rassicura la ragazza, mettendogli il braccio sulla spalla. «Grazie, Patty.» sorride Benji. «Ma non ci hai ancora detto perché sei qui e quanto ti fermi.» lo incalza Bruce. «Due settimane, credo.» risponde il portiere, mordendosi le labbra, guardando uno a uno gli amici: di loro può fidarsi, non ha nessun motivo di mentire. «Beh… ho aggredito un giornalista che ha insinuato falsità su Karl e gli ho spaccato il naso, poi ho un piccolo infortunio al polso destro…» dice mostrando il tutore. «Quindi mi sono scoraggiato un po’, dopo la visita ho bevuto e fumato spinelli e mi sono messo alla guida schiantandomi con la moto, finendo al commissariato – per fortuna gli agenti non hanno preso provvedimenti seri – ma sono in punizione e Freddy mi ha tassativamente proibito di guidare e ha deciso di portarmi un po’ qui per evitare altri casini.» conclude.

Il gruppo lo guarda quasi sconvolto, ma annuiscono, capendo che per l’amico è un periodo difficile. «In breve quel sant’uomo di Marshall ti ha salvato il culo, evitando che la tua cazzata venga a galla o che scoprano che il tuo sangue al momento non è proprio pulito.» riassume Paul Diamond. «Precisamente.» conferma il portiere sospirando. «Nah, non preoccuparti di nulla, amico, andrà tutto bene.» sorride Johnny Mason. «I ragazzi hanno ragione, Benji, e conosco solo un modo per risollevare il morale ad un amico.» dice Holly, dandogli una pacca sulla spalla e indicando il pallone abbandonato in campo. «Come ai vecchi tempi.» sorride Benji alzandosi, annuendo felice di avere accanto gli amici di sempre; i calciatori annuiscono e corrono in campo per disputare una partitella amichevole.

«Sembra proprio di esser tornati indietro nel tempo.» dice Susie, osservando i ragazzi giocare. «Già. Con l’unica differenza che siamo tutti cresciuti e che manca Tom, ma per il resto nulla è cambiato.» sorride Patty, guardando il suo amato capitano correre verso la porta di Price, dando inizio a una nuova sfida. «Beh… ti sbagli, amica mia, qualcosa è cambiato: adesso Holly è il tuo ragazzo.» dice Evelyn, strizzandole l’occhio, mentre guarda il suo Bruce concentrato a difendere la sua area assieme agli altri. Patty sorride e annuisce, diventando lievemente rossa, guardando il fidanzato che tira e segna.

La partita si svolge in tutta tranquillità e allegria, il morale di Benji si è abbondantemente risollevato e – anche se ha preso due goal – sorride a ognuno dei compagni; la partita si è conclusa con un bel pareggio e Hutton si ritiene anche abbastanza soddisfatto dell’allenamento, perciò decide che per oggi può bastare. «Ragazzi io adesso devo rientrare, devo andare a Tokyo da Fanny.» dice Benji, prendendo una bottiglietta dalla cesta e bevendo. «Salutacela e fatti vedere.» sorride Bruce con il solito entusiasmo. «Certo, Harper, tu non fare impazzire troppo Eve nel frattempo.» ride Benji, salutando gli amici e andando a recuperare la sua bici abbandonata in cima alla scalinata per tornare a casa.

Villa Ross, h. 19:30.

«Ciao, amore mio.» cinguetta allegramente Fanny, saltando letteralmente tra le braccia del fidanzato, felicissima di averlo a cena a casa sua, di potergli presentare la sua famiglia e dell’improvviso ritorno in patria, anche se ancora non le ha spiegato il motivo e ciò la infastidisce non poco, ma al momento vuole solo godersi il fidanzato, avranno modo di parlare durante la serata. Benji sorride e la stringe baciandola sulle labbra. «Hai sentito Karl?» le chiede, specchiandosi nei suoi profondi e bellissimi occhi verdi. «Sì, mi ha raccontato di Erik, ed è parecchio giù di morale. Per fortuna ha voi che lo sostenete ogni giorno, vorrei essere anche io ad Amburgo e poterlo sostenere meglio…» sussurra la ragazza.

Il portiere annuisce con un sorriso triste, pensando all’amico malato. «Lo so, purtroppo Erik si è aggravato e lui ha paura anche per se stesso, ma sono sicuro che tutto si risolverà nel migliore dei modi.» dice, carezzandole la guancia con dolcezza. «E non ha solo noi, ma ci sei anche tu, nel tuo piccolo riesci a farlo sorridere anche con un banale messaggio. Grazie, piccola, sono felice che tra voi stia nascendo una bella amicizia.» continua Benji, allargando ancora di più il sorriso. Fanny sorride allegramente e lo bacia; anche lei è felice dell’amicizia che sta instaurando con il miglior amico del fidanzato. «Vieni, adesso ti presento mamma e nonna, suppongo tu già conosca i miei zii.» dice prendendolo per mano, portandolo nel grande salone moderno. «Di vista, l’unico che conosco meglio al momento è tuo padre.» risponde Benji, seguendola tranquillamente, salutando con un gesto della mano Amy e Julian che parlano seduti sul divano.

Dopo le presentazioni ufficiali, la padrona di casa, invita tutti i presenti a spostarsi in soggiorno e sedersi a tavola. Benji osserva i membri della famiglia Ross, sorride e si siede accanto alla fidanzata, ricordando le noiosissime cene con la sua famiglia; sperando che questa non sia altrettanto noiosa. Akane, la cameriera, inizia a servire le pietanze: rigorosamente cucinate dalla matriarca Ross, che a ogni cena di famiglia, si diletta in cucina dando sfoggio di tutta la sua bravura ai fornelli, deliziando la famiglia con i suoi manicaretti. «Allora, Benji, raccontami, come vi siete conosciuti tu e la mia nipotina?» esordisce Fancy Ross, guardando il ragazzo e sorridendogli, dopo essersi pulita con eleganza gli angoli della bocca.

Price guarda la donna e le sorride; è una donna molto bella ed elegante – nonostante i suoi sessantanove anni – è impeccabile nel suo tailleur nero, i capelli raccolti in un raffinato chignon, che li raccoglie lasciandole la chioma argentea morbida ed elegantemente ordinata, incorniciandole perfettamente il viso che, nonostante l’età, è ancora perfettamente liscio e bello. «Ci siamo conosciuti in Austria durante il ritiro natalizio, al quale c’erano anche Amy e Julian.» risponde educatamente il ragazzo. «Proprio così, ma sapessi la guerra che si sono fatti, nonna.» ride Julian, divertendosi ogni tanto a punzecchiare la cugina, che lo guarda e gli esce la lingua. Fancy Ross sorride al suo adorato nipotino, poi posa il suo sguardo verde nuovamente sulla nipote ed il fidanzato, interessata a sentire la storia.

Benji le sorride, sentendosi un po’ in imbarazzo, guarda Fanny che gli sorride e inizia a raccontare alla nonna tutto quello che hanno combinato in una settimana, senza tralasciare il minimo dettaglio, o quasi, suscitando l’ilarità generale – soprattutto della nonna sprint – che va matta per ogni tipo di gossip. «Julian! Oddio mio, perché non mi hai detto di esser finito in ospedale?» dice a un certo punto Elizabeth Ross, portando le mani alla bocca, guardando il suo bambino con il terrore negli occhi, interrompendo il racconto della nipote. «Mamma te l’ho detto, così come ti ho detto che è stato Benji a colpirmi, rinviando il pallone e che io ero distratto dal terremoto di famiglia.» sbuffa l’interessato. «Ha ragione, cara, te l’ha detto e non è colpa di nessuno, sono cose che capitano.» aggiunge Gregory sorridendo al figlio, prendendo la mano della moglie e sorridendo anche a lei, che riprende il controllo e torna a mangiare l’ottima crostata di mirtilli della suocera.

«Ha ragione mio figlio, sono cose che capitano, ma il mio Julian non si lascia certo abbattere da una pallonata.» sorride Fancy, facendo sorridere il nipote. «E ditemi, dopo l’incidente avete fatto la pace?» chiede poi alla nipote e al suo ragazzo. «Ehm… più o meno, c’è stato un periodo di tregue durante il quale Julian è rimasto in ospedale, ma poi siamo tornati ad ammazzarci.» risponde Benji, che pondera attentamente le parole. «Devi essere proprio un tipetto interessante se riesci a tener testa a quella peste di mia nipote, oltre a esser anche un bel ragazzo, ovviamente.» sorride allegramente nonna Fancy, facendo arrossire lievemente il ragazzo, ridacchiare i nipoti e Amy e facendo sospirare il povero Gregory. C’è poco da fare: sua madre è proprio unica nel suo genere.

«La ringrazio, signora.» dice Benji, sfoggiando un sorriso, per poi bere tutta l’acqua nel suo bicchiere in un sorso. «Hai ragione, nonnina, Benji è tosto e bellissimo e riesce a tenermi testa, ma io ho avuto una buona maestra e non gliela do certo vinta.» dice Fanny, baciando la guancia al fidanzato, che la guarda e intuisce il secondo fine della battuta, capendo che la sua ragazza è la fotocopia dell’esuberante nonna. «Eh, modestamente!» ride Fancy, strizzando l’occhio alla nipote. «Eccole che iniziano nonna e nipote.» ride Gregory. «Già, non so se sia peggio tua madre o mia figlia.» gli risponde la cognata. «Sono identiche, Kaori. Fancy è unica e Fanny è la sua copia in tutto e quando si alleano è la fine.» ride Elizabeth.

Finita la deliziosa e allegra cena di famiglia, si spostano tutti al piano di sopra, in salotto, dove continuano a conversare e ridere, passando una bella serata. «Esco in giardino a fumare, scusate.» dice Fanny alzandosi e portando con sé Benji, il quale la prende per mano e, scusandosi, la segue. Sa benissimo che adesso le deve spiegare ogni cosa e spera con tutto se stesso che la sua dolce metà non metta su la solita scenata, ma sa anche benissimo che le sue speranze sono vane.

Fanny esce sul terrazzo del piano inferiore e si siede sul dondolo, accendendo la sigaretta, guarda il fidanzato buttando via il fumo. «Sono tutta orecchie, Benjiamin Cedric Price.» dice fissandolo intensamente, accavallando le gambe e riportando la sigaretta alle labbra. Il ragazzo sospira e si poggia al muro. «Non ho nessuna voglia di litigare.» dice guardandola. «Oh, ma nemmeno io, però se inizi il discorso così vuol dire che hai combinato qualcosa e io non posso garantire le mie reazioni.» risponde lei, guardandolo e aspirando la sigaretta. Benji sospira di nuovo e chiude gli occhi. «Hai ragione, ho fatto una cazzata, e ti chiedo scusa in anticipo.» inizia, riaprendo gli occhi e guardandola. «Continua!» lo esorta Fanny, guardandolo di sbieco.

«Ho un piccolo infortunio al polso destro, la cosa mi ha buttato un po’ giù, oltre alla già pesante situazione di Karl, per cui dopo la visita ho bevuto e fumato, mettendomi alla guida e andando a schiantarmi contro un muro. Sono finito in commissariato, ma gli agenti hanno chiuso un occhio, Freddy mi ha vietato di usare auto e moto per qualche tempo e per evitare casini con la società mi ha portato qui.» confessa Benji, chinando il capo, alzando in automatico la manica destra della felpa e mostrandole il tutore. Fanny spalanca gli occhi e quasi si affoga col fumo, fissa il polso e spegne la cicca nel posacenere, alzandosi e avvicinandosi con due falcate. «Sai di essere un completo deficiente, vero?» gli chiede retoricamente, guardandolo con sguardo truce, stringendo forte i pugni, trattenendo l’impulso di mollargli un ceffone.

«Pienamente consapevole.» sussurra Benji, non sfuggendo a quegli occhi verdi, ora fiammeggianti. «Mi sono lasciato sopraffare dall’angoscia, uscito dall’ospedale avrei voluto spaccare ogni cosa per la rabbia, poi ho avuto la pessima idea di ubriacarmi, fumare e mettermi alla guida. So che avrei potuto ammazzarmi o coinvolgere altra gente, ma in quel momento non m’importava affatto, volevo solo fuggire e dimenticare ogni cosa… in quel momento non m’importava nemmeno della mia vita. Scusami, amore.» sussurra con gli occhi lucidi. Fanny digrigna i denti, facendo un respiro profondo. «Ma sei diventato scemo? Ma ti senti quando parli?» gli urla contro, arrabbiata.

«Fanny… mi dispiace lo so, non avrei dovuto, con questo non voglio giustificarmi, ma è stato un attimo di debolezza. È il modo peggiore per sfogarsi, ma tutta la situazione mi ha fatto perdere la testa, non sono così insensibile, e ho dovuto essere forte per tutti quanti. Alla fine non ce l’ho più fatta e sono esploso, nel modo peggiore, è vero, ma non riesco a mettere a nudo le  mie emozioni con facilità e non riesco a sfogarmi.» sussurra ancora Benji, guardandola con le lacrime agli occhi. Fanny si morde le labbra, accenna un sorriso e gli carezza la guancia. «Perché non me l’hai detto? Ti sarei stata vicina, avrei cercato di farti sfogare in qualche modo, stupido. Sei uno stupido!» urla con rabbia, lasciando che le lacrime le righino le guance, prendendolo a pugni sul petto.

«Non lo so, scusami, amore.» sussurra Benji stringendola forte contro il suo petto, facendola smettere di colpirlo, chinando il capo sul suo, piangendo in silenzio. «Ti perdono, amore, ma la prossima volta che farai una cazzate del genere, senza sfogarti con me, non sarò così accondiscende.» risponde Fanny, sollevando il viso e guardandolo negli occhi; Benji annuisce e le bacia le labbra con delicatezza.

Rimangono stretti e in silenzio per un po’, Fanny gli carezza la schiena e lo bacia ripetutamente sulla guancia sinistra; Benji le stringe la vita e si sfoga in silenzio sulla sua spalla, versando quelle lacrime che tanto gli è difficile mostrare al mondo, ma con lei è diverso, sa di poterlo fare senza esser giudicato – ma consolato.

«Ragazzi tutto bene?» chiede Amy, seguita dal fidanzato. «Vi abbiamo sentito urlare, ma vi abbiamo coperto dicendo che è del tutto normale. Però noi vi conosciamo e sappiamo che c’è qualcosa che non va.» aggiunge Julian. I due si staccano dall’abbraccio e si guardano un secondo; Benji cala la visiera del cappellino sugli occhi, come a voler nascondere il fatto che stia piangendo e non dice nulla.

«Abbiamo avuto un piccolo battibecco, ma è tutto risolto, circa.» risponde Fanny, senza guardare il fidanzato, correndo dentro casa, chiudendosi in camera sua. Amy sospira, guardando Julian, che con uno sguardo capisce e annuisce, sedendosi sul dondolo, invitando il compagno a sedersi al suo fianco. «Non è un bel periodo nemmeno per te, vero?» chiede il capitano della Mambo, fissando gli gnomi da giardino – che sua zia Kaori tanto ama – disposti ordinatamente sul prato davanti casa – gli stessi gnomi che più volte sua nonna ha abbattuto con la sua Herbie caffettiera. «Non è certo il migliore.» risponde Benji, poggiando le braccia sulle cosce e sospirando, raccontando al compagno tutto ciò che è successo e quello che ha combinato.

«Non è stata l’idea migliore del secolo, ma non posso certo biasimarti, Benji.» risponde Julian guardandolo. «So benissimo come ci si sente e conosco la voglia di voler spaccare tutto – e tu ricorderai sicuramente la mia fuga dall’ospedale dopo la semifinale delle elementari – ma col tempo ho imparato a reprimere tutto questo; anche io non riesco a esprimere facilmente tutto ciò che provo,  ma per fortuna ho Amy che capisce tutto da ogni mio gesto o sguardo e in qualche modo riesco a ritrovare il sorriso e la speranza anche nei periodi più neri.» continua Ross, dispensando consigli.

«Già, tu sei quello che tra noi ha più esperienza in questo, non te l’ho mai detto, ma ammiro tantissimo la tua grinta e la tua determinazione, Julian, anche quella volta ti ho ammirato, anche se non è stata proprio una grande idea quella di scappare.» sorride Benji, alzando il cappellino e guardandolo con ancora gli occhi lucidi, uno sguardo sincero e leale, uno sguardo che si riserva a un amico. «Io in Germania non ho molte persone con cui sfogarmi, o forse sono io a non volerlo fare… ma non me la sento di farlo con Grace, devo essere forte anche per lei – che anche se forte – al momento ha bisogno di me; Kaltz al momento si è chiuso a riccio e credo stia scaricando la tensione focalizzando tutto sulla sua ragazza e il calcio. L’unica con cui potrei sfogarmi è Fanny, ma non voglio darle tutte queste preoccupazioni per telefono.» continua il portiere.

«Lo so, lo capisco. Il punto è che al momento sei da solo ad Amburgo; però non sottovalutare mia cugina, è vero, lei è qui a Tokyo, ma ti supporterebbe lo stesso.» sorride Julian. «Fanny è un uragano di forza ed energia, ma anche lei ha i suoi punti deboli – anche se difficilmente li scopre – io la conosco bene e so quali sono: uno dei tanti è la sua famiglia e le persone che ama. Benji, lei ti ama più di quanto voglia farti credere, quindi non nasconderle le tue paure e angosce, se ne farà carico insieme a te e le sconfiggerete.» dice ancora Julian, parlando come farebbe con Philip – il suo migliore amico. Certo, Price non lo è, ma si conoscono da sempre, non hanno mai avuto divergenze, ma non si sono mai parlati se non per questioni strettamente calcistiche o sporadiche occasioni, ma adesso è diverso, la vita li ha avvicinati facendoli diventare quasi parenti.

«Grazie, Julian, avevo proprio bisogno di un amico con cui parlare. Terrò a mente tutto quello che mi hai detto e sappi che anche io amo Fanny con tutto me stesso, le donne non mi sono certo mancate in questi anni, ma lei è la prima a cui ho detto “ti amo” e l’unica che amo veramente, potremo litigare spesso, ma non la lascerò mai andar via dalla mia vita.» dice Benji con occhi lucidi di gioia e un sorriso che brilla sulle sue labbra. Non pensava che un giorno si sarebbe aperto con Julian Ross, non hanno mai avuto chissà che gran confidenza, ma questo potrebbe essere l’inizio di una nuova – e inaspettata –  amicizia, in fondo il capitano della Mambo non gli è mai stato antipatico, solo non ha mai avuto interesse nel conoscerlo meglio, adesso che è il cugino della sua ragazza, ha un motivo in più per farlo. 

Camera di Fanny, h. 22:00.

«Entra, è aperto.» risponde Fanny, sentendo bussare alla porta, sapendo che Amy l’avrebbe seguita, infatti aperta la porta si trova davanti proprio la ragazza dai capelli rossi che le sorride e si avvicina. «Cosa succede?» chiede dolcemente, guardando l’amica negli occhi, rimanendo però in piedi al centro della camera. Fanny si asciuga le lacrime e batte la mano sul materasso, invitando l’altra a raggiungerla, Amy sorride e sale la scaletta del letto a soppalco, sedendosi accanto all’amica, guardandola con un sorriso incoraggiante. «Amy sono una stronza.» sussurra Fanny, scoppiando di nuovo in lacrime, ritrovandosi abbracciata dall’altra. «Sicuramente non sarai Miss carineria, ma non sei poi così tanto stronza quanto vuoi far credere, sei solo impulsiva e spesso reagisci nel modo sbagliato.» la coregge la dolce manager della Mambo.

«Forza, adesso dimmi cosa è successo.» sorride ancora Amy, asciugandole le lacrime e guardandola con dolcezza, Fanny si soffia il naso e le racconta tutto quanto. «Capisci? Stavo per dargli uno schiaffo e l’ho aggredito, io ci ho provato a rimanere calma, ma non ci riesco. È inutile che neghi il fatto che io sia stronza, perché se non riesco a capirlo e confortarlo quando ne ha bisogno sono una pessima fidanzata.» conclude, riprendendo a singhiozzare. «E invece ti sbagli, cara mia. La vecchia Fanny, non avrebbe esitato un secondo a mollargli uno schiaffo, senza pensarci due volte, ma sei cambiata un pochino per lui. E sai perché? Perché lo ami e lo capisci più di quanto pensi, arrabbiarsi per le stupidaggini che fanno è del tutto normale, sapessi quante volte l’ho fatto io con quello stupido di tuo cugino e, non dirglielo, ma gli brucia ancora lo schiaffo che gli ho restituito.»  risponde Amy, sorridendo e capendola benissimo.

«Davvero hai dato uno schiaffo Julian? Sapevo di quello che lui ti diede alle elementari per aver spifferato tutto a Holly… ma non che tu ne avessi dato uno a lui.» dice Fanny incredula e sconvolta. Non immaginava che la dolce Amily Aoba potesse esser capace di una cosa del genere, nonostante sappia bene che l’amica ha anche il suo bel caratterino, nascosto abilmente dal faccino d’angelo e l’incommensurabile dolcezza. «Sì, gliel’ho restituito, se l’è meritato il signorino.» conferma Amy, aumentando la curiosità della compagna. «Racconta, forza, sono curiosa.» la incita Fanny, che dalla nonna ha ereditato anche questo.

«È stato quello stesso giorno. Ricordi quando è fuggito dall’ospedale e lo abbiamo cercato tutti come matti?» inizia Amy, facendo annuire Fanny, che la incita tacitamente a continuare. «Beh… dopo che siamo rientrati in ospedale, voi siete andati via, io sono rimasta con lui, mi ha fatto morire di paura e non mi ha rivolto la parola per una buona mezz’ora. Mi sono arrabbiata urlandogli contro che è stato uno stupido e che non avrebbe dovuto farlo, gli ho anche detto che se ho parlato con Holly l’ho fatto perché volevo vincesse e non perché lui fosse compassionevole nei suoi confronti, lui mi guardava come se volesse darmene un secondo, così l’ho anticipato e gli ho dato lo schiaffo.» racconta Amy.

«Ah! Non ne avevo idea, però hai fatto benissimo, se l’è meritato tutto. Anche io avrei voluto darglielo quando lo abbiamo trovato al campo, non l’ho fatto solo perché sarebbe stato troppo umiliante davanti al mister e ai ragazzi.» ammette Fanny, congratulandosi con lei. Amy sospira, non ricorda con piacere quell’episodio, poi sorride. «Tornando a Benji. Non te l’ha detto per telefono perché non vuole farti preoccupare, anche se poi fa di testa sua e lo fa lo stesso facendo scemenze, ma lui è impulsivo quanto te. In questi anni in Nazionale ho imparato un po’ a conoscerlo, e non è il tipo che riesce a esternare facilmente le proprie emozioni, ma so anche che quando si fida di qualcuno, quella persona per lui è indispensabile. Fanny non arrabbiarti con lui, o almeno se proprio devi farlo, dopo consolalo e stagli accanto, tu per lui sei più importante di quanto voglia lasciar credere.» le dice Amy, non allontanandosi poi tanto dalla discussione che hanno avuto i due ragazzi in terrazza.

«Grazie, Amy. Hai ragione, lo rimprovererò quando serve, ma poi gli starò accanto e lo sosterrò, anche io lo amo più di quanto ammetto e non vedo l’ora di fare la specialistica e poter stare in Germania con lui.» sorride Fanny, ora con i suoi occhioni che brillano di nuovo, pregustandosi già la convivenza con il fidanzato – che seppur sarà costellata da litigi – sarà anche un sostenersi a vicenda e sostenere insieme Karl e gli altri.  Improvvisamente sorride e guarda Amy con una strana luce negli occhi. «Adesso che ci penso, quando Julian è scappato dall’ospedale, c’era anche Benji aveva un’orrida camicia verde vomito, ma io a quell’epoca ero innamorata di Stephen.» dice, facendo annuire la rossa, che ricorda anche lei quel dettaglio, scoppiando a ridere.

Tokyo, Bar Anthem, h. 22:00.

Kirk Parson e Freddy Marshall, dopo aver consumato la cena in un piccolo ristorantino, si sono recati in un luogo più tranquillo per poter discutere senza dar troppo nell’occhio – si sono spostati al quartiere Ginza – rintanandosi nel loro pub preferito, dove ormai sono conosciuti dal proprietario, che riserva loro un tavolo nascosto da occhi indiscreti, dove possono parlare di ogni questione senza esser disturbati. «Come al solito il Presidente mi sta facendo questioni su chi convocare o meno, ma come al solito gli ho risposto che non è competenza sua scegliere la rosa. Io pensavo ai soliti, ma visti gli ultimi eventi voglio parlarne con te, amico.» dice Kirk, sorseggiando il suo cocktail.

«Anche io pensavo alla solita rosa, in fondo i nostri sono tutti in ottima forma.» risponde Freddy, sospirando subito dopo. «A parte Benji, al momento non sta passando un bel periodo, oltre la storia di Schneider ha un leggero infortunio al polso destro. Il medico ha rassicurato che non è nulla di cui preoccuparsi, ma che deve osservare le giuste prescrizioni. Non lo so, Kirk, su di lui sono molto indeciso… se Karl non dovesse guarire in tempo per il mondiale, o peggio non dovesse farcela… non so come potrebbe prenderla il mio pupillo.» sussurra Marshall fissando l’amico, senza realmente vederlo. «Freddy lo so che per lui non è facile, ma Schneider sono certo abbia i migliori medici dell’intera Germania e che ne uscirà vittorioso. Sta accanto al tuo ragazzo e guidalo come hai sempre fatto, ha bisogno di te, adesso più che mai.» lo incoraggia Parson.

Il Commissario Tecnico della Nazionale sospira, porta la mano destra sugli occhi, sollevando gli occhiali e riprende a parlare. «Credo che la situazione mi sia un tantino sfuggita di mano, invece. Benji non è un ragazzo che esterna facilmente i suoi stati d’animo, piuttosto agisce in modo impulsivo, cacciandosi spesso anche nei guai… ed è proprio questa la mia maggiore preoccupazione, nel giro di una settimane ne ha combinate due e mi sono visto costretto a portarlo qui per evitare casini con la Società tedesca, o addirittura rischiare che la sua carriera venga compromessa per sempre.» si sfoga.

Il Dirigente della Federazione lo guarda sbarrando gli occhi da sotto le lenti, posa il bicchiere e prende una sigaretta, che porta alla bocca e accende: un gesto che detta il suo palese nervosismo per un ragazzo che ha visto crescere in quel mondo che lui stesso tanto ama. «Raccontami tutto, anche se penso di sapere già una delle cose che fatto.» dice buttando via il fumo, poggiando la mano libera su quella dell’amico, dimostrandogli il suo totale appoggio. Marshall sospira ancora e racconta della rissa ai danni del giornalista – spiegando che se l’è comunque cercata – e della bravata fatta non appena ha saputo i risultati del suo piccolo infortunio. «Perciò ho deciso che era meglio allontanarlo un po’ da Amburgo, se i medici sociali dovessero fare dei controlli in questo periodo lui rischierebbe una squalifica e, come ben sai anche tu, potrebbe giocarsi l’intera carriera.» conclude.

«Accidenti che situazione.» sospira Kirk, bevendo un sorso del suo drink e aspirando ancora la sigaretta. «Sapevo dell’aggressione al giornalista, me l’ha riferita un collega fidato, ma per fortuna la notizia non ha fatto il giro del mondo, quindi i piani alti ne sono all’oscuro. Non preoccuparti per questo, se il giornalista non denuncia l’aggressione non succederà nulla, in quel caso prenderemo provvedimenti e mi occuperò personalmente della faccenda.» sorride, aspirando ancora una volta il tabacco della sua sigaretta. «Per quanto riguarda l’altra questione, siamo stati fortunati che gli agenti abbiano chiuso un occhio, e tu hai fatto benissimo a portarlo qui per un po’; sei sempre stato un ottimo tutore per lui e continui a dimostrarti tale. Inoltre, penso che gli farà anche bene allontanarsi un po’ dalla situazione di Karl, sono certo che qui avrà modo di distrarsi e gli farà bene anche la compagnia dei ragazzi.» sorride ancora il Dirigente, incoraggiando l’amico e sostenendolo.

«Grazie, Kirk, avevo proprio bisogno di sfogarmi con una persona di cui posso fidarmi ciecamente.» sorride Marshall stringendogli mano. «Per qualsiasi cosa sai che io sono qui, amico mio, e tutto si risolverà per il meglio.» risponde Parson. «Adesso passiamo a questioni più leggere, se così vogliamo dire, dato che c’è comunque Schneider di mezzo.» dice ordinando una birra per entrambi. «Come è giusto che sia, l’intero mondo calcistico è preoccupato per lui e gli è vicino, la nostra Federazione in questi giorni manderà ad Amburgo una lettera per esprimere la nostra vicinanza; inoltre, non c’è ancora nulla di ufficiale, ma stiamo cercando di organizzare un amichevole tra Germania e Giappone, ma è tutto da vedere dipende da come si evolverà la situazione di Schneider.»

Freddy sorride e sorseggia la birra appena arrivata. «Mi piace come idea, spero che possa essere fattibile, sarà un bel modo per festeggiare il ritorno del Kaiser.» sorride. «Dunque non trattandosi di una partita ufficiale Benji dovrà scendere in campo con la Germania, perché non vi sarà nessuna convocazione ufficiale… almeno che tu non decida di farlo.» aggiunge. Kirk sorride ed annuisce. «Ho pensato anche questo, sinceramente, ammetto di aver pensato se fare o meno le convocazioni ufficiali o mandare una lettera ufficiosa. Nel caso in cui dovessi mandare la convocazione ai ragazzi non la manderò a Benji, so quanto è legato ai compagni tedeschi, e penso che in questa occasione possa fargli piacere giocare insieme a loro, in via del tutto eccezionale, non tradendo la maglia ed elogiando l’amicizia tra calciatori di diverse nazionalità – che troppo spesso viene denigrata.» conclude.

Marshall annuisce con un sorriso. «Sono d’accordo con te. Ci aggiorniamo sull’evolversi della situazione e quando avremo la certezza di questa amichevole lo dirò a Benji.» risponde, ricevendo un sorriso d’assenso dall’altro. Sfogata la frustrazione adesso i due possono godersi la serata, parlando di cose più piacevoli, rievocando addirittura anche aneddoti di quando entrambi giocavano insieme in Nazionale: riportando alla mente i momenti folli dei festeggiamenti nello spogliatoio, le strigliate del mister e di come anche loro – nonostante tutto – fossero una squadra unita e determinata; proprio come i giovani campioncini che li fanno gioire ed esaurire. 

 

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Capitolo 14
*** La Roulette Russa ***


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Note introduttive: e io che pensavo che, forse, in questo capitolo avrei potuto farne a meno… e invece no, rileggendo le mie fiction e facendo qualche calcolo, mi sono resa conto che tra le tre storie c’è qualche incongruenza con l’età dei ragazzi e gli anni in cui ho deciso di collocare la cronologia dei fatti, dunque, cercherò in questa nota di rendervi le idee più chiare (anche se forse sono io a esser malata e precisa, tanto da bloccarmi su ogni stupido dettaglio.) Allora, tanto per iniziare, le vicende narrate sono ambientate ai giorni nostri; nel prequel: “Dal diario di una Manager: per fortuna che esiste il calcio” tutti i personaggi, hanno diciassette anni e mezzo, e i fatti narrati – anche se non lo dico esplicitamente – sono temporalmente collocati tra l’autunno e la primavera del 2016; nella fiction principale, che poi sarebbe: “Il Ritiro Natalizio della Nazionale Giovanile” i ragazzi hanno tutti diciannove anni compiuti o quasi, e i fatti si svolgono a fine 2017, quindi appena avrò due minuti sistemerò anche questa mettendo che non vanno più a scuola (adesso non ricordo se ho fatto o meno riferimenti) scrivendo che vanno già all’università; nel seuqel, che poi è l’attuale fiction, hanno ventuno anni – chi già li ha fatti  e chi ancora deve farli –  e siamo nel 2018, dove ovviamente ci sarà anche il Mondiale in Russia; per quanto riguarda la finale dell’Europeo, l’ultima che zio Bernd gioca – la stessa in cui ha il malore – che dà l’inizio alla malattia, Karl & company hanno 18 anni, perché siamo sempre nel 2016 (per l’esattezza  4 agosto 2016, il giorno del compleanno del Kaiser), quindi questo fatto può esser temporalmente collocato nel Diario di Grace; ultimo e non meno importante: sono i Mondiali di Rio de Janeiro, gli ultimi vinti dalla Germania e l’ultimo giocato dallo zio, qui i ragazzi hanno sedici anni ed i fatti si svolgono – ovviamente – il 13 luglio 2014, il giorno della finale.

Con questa nota di chiarimenti, colgo anche l’occasione per dire che è tornato Max Pezzali tra i miei capitoli e che ho preferito dividere la sequenza tedesca tra questo e il prossimo capitolo, per dare spazio ai giapponesi e spiegare alcune questioni rimaste in sospeso. Il dialogo sulla vita e la morte non è mio e non mi appartiene, in quanto è preso da Saint Seiya, però mi piaceva come ci stava ed ho voluto usarlo, sperando che questo non crei problemi a nessuno. Grazie sempre alla mia Darling e grazie anche a tutti voi che continuate a seguire la mia storia, mi dispiace un po’ per chi non è riuscito a recensire, ma sperò possano tornare nei successivi capitoli.

Un bacione, Amy

 

 

 Capitolo 14: La Roulette Russa

 

La vita è un po’ come il gioco d’azzardo: c’è chi vince e c’è chi perde; quotidianamente siamo costretti a fare delle scelte, in base alle quali decidere la sorte degli eventi – così come bisogna tirare a sorte nel gioco e sperare di avere un briciolo di fortuna – poi a volte, capita che il destino è già segnato, e allora – per forza di causa maggiore – per quanto si possa lottare per cambiarlo, a volte non sempre ci si riesce, ci si può impegnare con tutte le proprie forze, aggrapparsi alla vita e sperare… ma a volte, anche la speranza muore, così si è costretti a perdere – nel gioco come nella vita.

***

                 “Perché il destino di chi viene al mondo è segnato dal dolore e dalla sofferenza? Perché?”

“Non è così... dov’è il dolore è anche il piacere e dov’è il piacere è anche il dolore. Come sboccia la chiusa il fiore appassisce; tutto muta, la vita è un perenne cambiamento, ogni causa ha un effetto e ogni inizio condurrà a una fine.”

“Però, in attesa della fine inevitabile, l’uomo vive giorno dopo giorno un’esistenza colma di dolore, e se anche amore e gioia alleviano la sofferenza, la vita come ha avuto inizio così dovrà terminare, ponendo fine a tutto quanto. Perché allora nasciamo? E questa la domanda che non mi dà pace. Perché la vita comincia se prima o poi è destinata a concludersi?”

“La morte non è la fine di tutto, è solo... una trasformazione.[1]

***

Amburgo: mercoledì 15 febbraio, 2018 reparto di terapia intensiva, h. 11:00.

La giornata non è iniziata nel migliore dei modi, e il Kaiser sa di certo – almeno che non avvenga un miracolo – che non si sistemerà; dopo la visita mattutina, nella quale oltre il dottor Brown e il dottor Ross era presente anche quella piattola di Hildegard, gli è quasi andata di traverso la colazione – ancor prima di farla – con la presenza dei medici la simpatica infermiera ha fatto poco la civetta, solo qualche sguardo di troppo, per fortuna.

Adesso sta davanti a una porta di terapia intensiva, col cuore che batte a mille, vorrebbe non essere lì e vorrebbe – soprattutto – che dietro quella porta non ci fosse il suo amico Erik, ma purtroppo non è così; deglutisce a vuoto, chiude un attimo gli occhi, fa un respiro profondo e bussa con mano lievemente tremante. Dopo qualche secondo la porta viene aperta da una donna, che nonostante abbia l’aria stravolta, due evidenti occhiaie sotto gli occhi verdi – gonfi e rossi, di lacrime e dalla notte insonne – i lunghi boccoli color miele un po’ fuori posto, lo accoglie con un sorriso.

«Buongiorno, signora Weber.» dice educatamente il Kaiser, ricambiando il sorriso, cercando di trasmettere positività e ottimismo con esso. «Buongiorno a te, Karl. Vuoi vedere Erik?» sussurra la donna, voltandosi lievemente verso il suo bambino disteso sul letto, per poi riposare lo sguardo stanco sul calciatore di fronte a sé. Schneider annuisce solamente. «Vi lascio soli, vado a prendere un caffè alla macchinetta.» sorride ancora la donna, oltrepassando la soglia della porta, permettendo al ragazzo di entrare. Schneider si avvicina al letto dell’amico e gli sorride, anche se vederlo così lo fa star male, ma non lo dà a vedere.

«Ciao, Karl…» sussurra Erik sorridendo all’amico, che sorride ancora e si siede sulla sedia vicino al letto. «Ciao, campione.» risponde Karl prendendogli la mano e sorridendo ancora. «Che dicono i medici?» chiede senza troppi giri di parole. «Che la situazione è più grave di quel che pensassero, non credo che potrò mantenere la mia promessa di portarti in Australia quest’estate.» risponde Erik, continuando a guardarlo, senza versare una lacrime. «No, non è vero, manterremo entrambi la nostra promessa.» sorride il Kaiser con determinazione. Erik sospira e chiude un attimo gli occhi. «Spero di riuscirci, ma le metastasi come vedi hanno colpito anche i polmoni… e quando arrivano ai polmoni non è semplice.» sussurra ancora, guardando l’amico con gli occhi ora lucidi.

Schneider si lecca le labbra, fattesi improvvisamente secche, e deglutisce a vuoto. «Non arrenderti, Erik, ti prego…» sussurra stringendolo. «Lotteremo entrambi e vinceremo.» sussurra ancora col terrore nel cuore. «Farò del mio meglio, amico mio.» risponde Erik, ricambiando la stretta, mentre il suo respiro si appesantisce, nonostante l’ossigeno. «Tutto bene?» chiede Karl sentendolo affannato, allontanandosi da lui. «Sì, adesso passa, ogni tanto mi succede…» mormora Erik, facendo dei respiri profondi, che gli causano dolore al petto, ma lo aiutano a regolarizzare il respiro. «Vuoi che chiamo un medico?» chiede ancora Karl preoccupato.

Erik scuote la testa, sorridendo, nonostante il dolore al petto e la mancanza d’aria, che nemmeno l’ossigeno riesce ad alleviare; il Kaiser annuisce lievemente, gli carezza la fronte, accorgendosi che è sudata, quindi prende un panno e gliel’asciuga, cercando di dargli in qualche modo sollievo. Erik tossisce e chiude gli occhi, regolarizzando finalmente il respiro, riaprendo i suoi occhioni verdi e sorridendo all’amico. «Erik… ricordati che io ci sarò sempre, nella buona sorte e anche nelle avversità, inoltre non dimenticare mai queste parole: ‘nel mio cuore ci sarà sempre un posto per te, in tutta la mia vita, voglio tenere una parte di te in me e ovunque io sia ci sarai anche tu.’ Sono le parole di There Yuo’ll Be, la canzone mia e di Grace, l’atro giorno mi ci ha fatto riflettere su e ha ragione, non sono solo rivolte solo all’amore, ma anche a un’amicizia profonda.» sorride Karl, con gli occhi lucidi.

«Adesso mi è diventato anche poeta.» ride Erik. «Concordo comunque con la tua ragazza, tienila stretta, è splendida. Io dalla mia ti prometto che ce la metterò tutta, e comunque andrà a finire ci sarà sempre una parte dell’altro dentro di noi.» dice ancora, suggellando questa promessa con un sorriso – sperando che riesca a mantenerla – impegnandosi con tutte le sue forze. Schneider sorride. «Adesso riposa, amico mio, se la chemio non mi distrugge troppo vengo a trovarti più tardi.» sussurra, baciandolo sulla fonte, mentre la signora Weber rientra in camera e sorride. «Grazie di esser venuto, Karl.» dice dolcemente, carezzando la guancia al ragazzo, che sorride e la saluta, rientrando poi in camera sua dove si stende sul letto e piange in silenzio, per poi andare a fare la chemioterapia. 

*** 

 Amburgo: mercoledì 15 febbraio, 2018 casa Schneider, h. 16:30.

In vista del saggio di Primavera, la piccola Marie Käte Schneider, si allena anche a casa sulla coreografia di danza classica, soprattutto per il balletto nel quale sarà la prima ballerina. Nella palestra di casa, sulle note della Primavera di Strauss, la piccola Schneider danza leggiadra come una farfalla, sotto lo sguardo incantato di Klaus, il quale ha una cotta per lei, enormemente ricambiata dalla ragazzina. Non avendo il suo partner, Marie Käte, improvvisa i passi di coppia, non notando lo sguardo del ragazzo su di sé; quando danza è concentrata, anima e corpo. “Sembri una fata, sei bellissima.” pensa Klaus, osservandola, lasciandosi trasportare in luoghi fantastici e incantati ascoltando quella meravigliosa melodia e ammirando quella leggiadra creatura.

La piccola Schneider continua a danzare, fa una piroetta e incrocia lo sguardo di Klaus, al quale regala un dolcissimo sorriso, ampiamente ricambiato dal ragazzino, che un secondo dopo viene distratto dalla suoneria di un messaggio sul suo cellulare – lo prende sblocca lo schermo e apre WhatsApp – leggendo il messaggio della madre; un enorme sorriso spunta sulle sue labbra, gli occhi si fanno lucidi per la gioia, mentre la musica sfuma e Marie Käte si ferma e si volta a guardarlo interrogativamente, avvicinandosi curiosa. «È mia madre, mi ha detto che sono arrivati i risultati delle analisi che ho fatto la settimana scorsa. Sono compatibile con Jamie.» dice Klaus, guardandola con un sorriso e gli occhi che brillano di gioia e commozione. «Ma è fantastico!» esulta la piccola Schneider, mettendosi sulle punte delle scarpette e stringendolo, baciandolo sulla guancia. «Quando sarà l’intervento?» chiede ancora, guardandolo negli occhi.

«Non lo so, mamma non me l’ha detto, mi ha detto però che devo andare in ospedale perché i medici vogliono parlarmi.» risponde Klaus, ricambiando il sorriso e guardandola intensamente negli occhi, nei quali inevitabilmente annega. «Allora puoi venire con me e mia madre, noi dobbiamo andare da mio fratello.» dice Marie Käte, ricambiando lo sguardo, ma con occhi lucidi e tristi. «Non preoccuparti, Katy, anche tuo fratello ce la farà, ne sono certo.» sussurra dolcemente Klaus, sapendo quanto stia soffrendo anche lei della malattia del fratello, dandole un bacio sulla fronte. Si capiscono perfettamente, non solo perché entrambi hanno un fratello malato, ma basta loro uno sguardo per intendersi alla perfezione – essendo compagni di scuola dall’asilo – hanno acquisito negli anni una complicità che va oltre ogni parola.

La piccola Schneider annuisce, regalandogli il suo dolcissimo sorriso – che Klaus adora – e ricambia il bacio, dandoglielo in guancia. «Grazie di esserci sempre.» sorride, stingendolo ancora fortissimo, sentendosi protetta tra le sue braccia. «Allora vado a cambiarmi, tanto è ormai quasi ora di andare.» continua, rimanendo incantata da quegli occhi di smeraldo, ancora col sorriso stampato sulle labbra, spegne lo stereo e corre in camera a sua a cambiarsi, mentre lui raggiunge il soggiorno, dicendo alla signora Schneider che sarebbe andato in ospedale con loro, spiegandole del fratellino e della notizia appena avuta dalla madre.

*** 

Così come le brutte notizie, per fortuna, anche quelle belle si diffondono con la medesima velocità, e anche quella giornata iniziata male può improvvisamente diventare migliore, regalando quella gioia e speranza che si credeva impossibile.

Amburgo: mercoledì 15 febbraio, 2018 ospedale, camera di Karl, h. 17:15.

«Ma è una notizia stupenda, cucciolo, sono davvero felice per te.» dice il Kaiser, stringendo il piccolo Jamie sorridendo alla sua mamma. «Sapete già quando faranno il trapianto?» chiede poi il calciatore alla donna, che guarda il suo figlioletto godersi la stretta del suo idolo. «Penso tra qualche giorno, i medici vogliono prima parlare con Klaus e spiegargli qualcosa.» risponde lei. «E poi potrò finalmente tornare a giocare a calcio e riandare a scuola.» esulta il bimbo, staccandosi e iniziando a saltare sul letto, al culmine della felicità.

«Piano, monello.» ride Schneider, facendolo sedere. «Appena guarirò potrò riprendere anche io l’università e il calcio, poi quest’anno ci sono i mondiali, non posso perdermeli per nessuna ragione al mondo.» dice con sguardo sognante e lucido, ripensando inevitabilmente alla promessa scambiatasi qualche giorno prima con Erik, la stessa promessa fatta sullo scarpino dello zio – è troppo importante per non mantenerla – per questo farà di tutto per esserci e vincere, per onorare lo zio del quale indosserà con onore le scarpe – vincendo anche in nome suo – per Erik la cui vita è appesa ad un filo, e per se stesso – riprendendo in mano la sua vita e vincendo il mondiale e la malattia.

«Anche io quando sarò grande vincerò i mondiali, magari tu sarai il mio allenatore.» dice Jamie con entusiasmo, facendo sorridere la mamma. «Frena, piccoletto, sono ancora nel fiore della mia carriera calcistica, ne riparleremo tra qualche anno e poi tu sei ancora un pulcino.» risponde Karl iniziando a fargli i solletico, facendolo ridere, mentre qualcuno bussa alla porta e la signora Meyer va ad aprire. «Ciao, mamma.» sorride Klaus, stringendola, lei sorride, ricambia la stretta del suo primogenito e carezza la guancia a Marie Käte, che le regala il suo dolce sorriso. «Ciao, Beatrix, grazie per aver preso tu Klaus a scuola e per averlo portato qui.» sorride staccandosi dal figlio – che insieme alla piccola Schneider raggiunge il letto. «Ma non devi ringraziarmi di nulla, Erika, sai che per me non è di alcun disturbo… poi tra amiche ci si aiuta.» sorride la signora Schneider, ricambiando la stretta – essendo i figli compagni di scuola dall’asilo – anche loro hanno ormai instaurato una bella amicizia. «A proposito, Klaus mi ha detto che è compatibile con Jamie, è meraviglioso.» dice con occhi lucidi di gioia, sapendo quanto orribile sia avere un figlio col cancro.

«Basta! Basta!» ride Jamie, sgusciando via dalle torture del Kaiser, che ride e poi stringe la sua sorellina. «Ciao, zwerg.»[2] le dice facendola arrabbiare. «Uffa non ti ci mettere anche tu con questo nomignolo orribile, già ci basta quel cretino del tuo amico Hermann.» risponde la sorellina guardandolo male e mettendo su un adorabile broncio. «Va bene, scusa. In effetti sei la mia Prinzessin.» sorride Karl dandole un bacino sul naso. «Ecco!» ride Marie Käte, stringendolo forte. «Come stai?» gli chiede, rimanendo tra le sue braccia. «Bene, tesoro, sono solo un po’ stanco per la chemio, però sono anche felice per Jamie.» risponde Karl.

«Lo so, me l’ha detto Klaus, però non ho capito benissimo.» ammette la piccola, mentre guarda Jamie parlare allegramente col fratello e le loro mamme parlare sottovoce, davanti la porta. «Non ci capisco molto neppure io…» sussurra Karl, stendendosi sul letto e chiudendo un attimo gli occhi. «Goßer bruder che hai?»[3] chiede la piccola notandolo e stringendogli la mano preoccupata. «Nulla, kleine schwester solo un capogiro.»[4] la rassicura Karl, riaprendo gli occhi e sorridendole. «Come ti dicevo, non ci capisco molto nemmeno io, ma quello che intendeva Klaus è che dovrà dare un pezzetto del suo midollo osseo a Jamie, così potrà guarire del tutto.» le spiega. «Oh… e quindi dovranno essere operati entrambi.» sussurra lei guardando Klaus un po’ spaventata.

«Penso di sì, non so come funziona nello specifico, ma non devi avere paura, andrà bene ed entrambi torneranno come prima.» le sorride dolcemente Karl, prendendole la mano. «Anche io dovrò subire un intervento, e quando tutto sarà finito e avrò vinto il mondiale potremo goderci le vacanze e ti prometto che ci divertiremo come facciamo ogni estate.» dice ancora, guardando la sua sorellina negli occhi, lucidi e spauriti. «Va bene, però non farmi brutti scherzi, Karl, tu devi guarire perché non mi piace vederti così e pensare brutte cose… non voglio nemmeno pensare all’idea che tu potresti non esserci più.» sussurra Marie Käte con la vocina tremante, mentre i suoi occhi si riempiono inevitabilmente di lacrime.

«Non accadrà, Prinzessin, te lo prometto.» le risponde il fratello stringendola forte a sé per calmarla – non sembra – ma i due fratelli Schneider sono molto legati tra loro, anche essendo un maschio e una femmina, anche togliendosi quattro anni e avendo interessi differenti – soprattutto in ambito sportivo –  hanno sempre giocato insieme e hanno condiviso tutto, quando erano più piccoli giocavano anche a pallone insieme, nonostante la ragazzina ami la danza, le piace anche il calcio, non si direbbe ma è anche una tifosa sfegatata del fratello.

***

A casa di nonna Fancy c’è un gran da fare, l’intera famiglia Ross e Amy, è a lavoro per organizzare la festa a sorpresa per il compleanno di Fanny, la quale sospetta già qualcosa, ma non ha detto nulla a nessuno. Julian depenna i vari invitati che chiama per avere conferma della loro presenza; nonna Fancy e mamma Kaori sono impegnate in cucina assieme ad Akane – la cameriera della matriarca Ross – a preparare vari manicaretti e la torta; mentre Amy si occupa di addobbare il grande salone vittoriano della casa, aiutata dal padre del fidanzato.

Tokyo: giovedì 16 febbraio, 2018 h. 12:30.

La festeggiata, in camera sua, sta finendo di truccarsi con la musica dello stereo a tutto volume, prendendosela abbastanza comoda, in quanto deve ancora scegliere cosa indossare per andare a pranzo col fidanzato, al quale forse toccherà aspettare in macchina. Finito il trucco, apre l’armadio e osserva con occhio critico i suoi vestiti, indecisa su cosa scegliere; guarda il vestitino di organza bianco ricamato con dei rami di ciliegio in nero sulla gonna, la fascia di raso sotto il seno del medesimo colore e sorride, immaginando già la faccia che farà Benji nel vederla così; questo è uno dei regali che le hanno fatto mamma e papà per la festa e lo indosserà di sera.

Sfiora con le dita la delicata stoffa del vestito, poi torna ad osservare gli altri vestiti all’interno del suo armadio: optando alla fine per dei jeans stretti, un maglioncino lungo color panna e una giacca di pelle marrone; indossa i capi e si osserva allo specchio – girando anche su se stessa – facendo ondeggiare i capelli. Sorride ancora, cantando dietro a Shakira e prende gli stivali marroni, sedendosi sulla poltrona e indossandoli, torna a guardarsi allo specchio e ritorna all’armadio aperto, prendendo la sciarpa a scacchi rossa, nera e gialla e anche un basco beige, indossa entrambi e si volta nuovamente verso lo specchio. «Perfetta!» esclama soddisfatta del look.

Cantando ancora Whenever di Shakira, rimette a posto la sua camera, proprio mentre la cantante colombiana smette di cantare e la musica sfuma con il magnifico finale di flauto, Fanny finisce; spegne lo stereo, afferra la borsa sulla sedia della scrivania e il cellulare su di essa e corre al piano di sotto, fermandosi davanti lo specchio del corridoio, osservandosi ancora una volta, si sistema alcune ciocche castane sulle spalle e dietro le orecchie e sorride, finché non è distratta dal suono del campanello; mette la borsa sulla spalla, afferra le chiavi di casa ed esce, trovandosi di fronte il fidanzato. «Buon compleanno, Fuffy mia.» le dice Benji con un sorriso, guardandola un attimo incantato per quanto è bella e poi baciarla.

Fanny sorride, immaginando già la sua reazione davanti al vestitino, lo stringe e ricambia il bacio felice di averlo lì il giorno del suo compleanno. Se non fosse stato per il lieve infortunio del ragazzo, per le bravate che ha fatto, il buon Freddy Marshall non lo avrebbe spedito in Giappone, anche se all’inizio si è arrabbiata per la situazione, adesso è felice che lui sia qui con lei e che possano festeggiare insieme; perché ormai negarlo è inutile, Benjiamin Price è una parte importante della sua vita.

***

Dopo aver pranzato in un tipico ristorante giapponese, i due fidanzati, raggiungono l’auto – che in via del tutto eccezionale – Freddy ha concesso a Benji di prendere, solo per permettergli di spostarsi liberamente con la ragazza, ma solo perché oggi compie gli anni. «Grazie, amore, sono stupendi.»  sussurra Fanny con occhi lucidi e il sorriso sulle labbra, osservando incantata il mazzo di camelie e peonie che Benji ha appena uscito dal bagagliaio della sua auto. «Sono contento ti piacciano, spero ti piaceranno anche gli altri regali che ti darò stasera.» le risponde, carezzandole la guancia. «Ne sono certa.» sorride, sollevandosi sulle punte dei piedi e baciandolo con dolcezza. «Andiamo a fare una passeggiata?» chiede il portiere dopo essersi staccati, la ragazza annuisce con un sorriso, per adesso rimette il mazzo di fiori in auto e, salendo entrambi, partono.

Arrivati a destinazione, il ragazzo parcheggia ed entrambi scendono dall’auto. «Ma oggi sei una sorpresa continua.» constata Fanny, prendendolo per mano ed entrando a Senzokuike Park.[5] Benji sorride e si volta a guardarla. «In genere non sono romantico e lo sai, ma siccome ti piacciono i giardini ho pensato di portarti qui.» le dice, specchiandosi nei suoi bellissimi occhioni di smeraldo. «Grazie, grazie di tutto.» sussurra Fanny – stranamente commossa – annegando negli occhi onice del suo uomo. «Non ringraziarmi di nulla, per te farei di tutto.» le risponde conducendola all’interno del meraviglioso giardino, dove passeggiano e parlano – scherzando e ridendo – come una qualsiasi coppia di fidanzati, finalmente – per una volta senza litigi.

***

Verso le sei del pomeriggio i due rientrano a casa della ragazza. «Allora ci vediamo stasera, stamattina per non fare tardi ho dimenticato gli altri regali a casa e devo tornare a Fujisawa a prenderli.» dice Benji davanti la porta. «E pensi che io ci creda?» chiede Fanny ridendo. «Guarda che non sono stupida e ho capito benissimo che state organizzando la festa a sorpresa a casa di nonna. Sai, essere la principessa di papà ha i suoi vantaggi.» continua ridendo furbetta e uscendo la lingua. Benji sorride colpevole. «Hai ragione, ma ne so quanto te. Penso ti verrà a prendere tuo zio o tuo cugino più tardi.» dice guardandola e ridendo. «Comunque non è vero che devo tornare a casa a prendere i regali.» le dice ancora. «Immaginavo. Dai vai, immagino dovrai andare anche tu a sistemarti.» sorride Fanny. Benji annuisce, le dà un bacio sulle labbra e sale in auto, andando a casa di nonna Ross.

Tokyo: giovedì 16 febbraio, 2018 casa di nonna Fancy, h. 20:00.

«Devo fingere di essere sorpresa?» chiede Fanny al cugino – che è andato a prenderla a casa – mentre parcheggia la sua auto nel giardino di casa della nonna. «Sappiamo che ti sei sgamata tutto, come sappiamo che tuo padre ti ha spifferato la sorpresa per metà, ma potresti fingere un po’.» le risponde Julian uscendo dalla vettura, ridendo raggiunge lo sportello del passeggero, che viene prontamente aperto dalla ragazza, che si ritrova la mano del cugino tesa davanti la sua. «Oh, ma che cuginetto romantico e cavaliere che ho.» lo prende in giro Fanny, afferrando la sua mano e ridendo, facendo la riverenza. «Solo perché oggi compi gli anni, befana.» le risponde a tono lui, ridendo e facendole l’inchino.

«Non chiamarmi befana, scemo.» risponde Fanny pizzicandogli la mano. Julian alza le spalle e ride. «Preferisci strega?» le chiede guardandola divertito, lasciandole la mano e allontanandosi da lei, conoscendo già la sua reazione. «Julian Ross!» urla infatti Fanny. «Ripetilo ancora una volta, se hai il coraggio, ed è la volta buona che ti uccido.» continua, urlando, iniziando a rincorrerlo fin davanti la porta di casa, dove entrambi scoppiano a ridere. «Grazie, cuginetto, ti adoro.» sorride dandogli un bacio in guancia. «Anche io, cuginetta.» risponde lui, con un sorriso, suonando il campanello.

Fanny rimane veramente a bocca aperta una volta dentro casa della nonna, non pensava le avessero organizzato una festa così: non pensava di trovare lì tutta quella gente vestita elegante, gli addobbi perfetti attaccati alle pareti, ideati e decorati da Amy – che ha sempre amato disegnare – e  conoscendola si sarà divertita a farli. Sono tutti lì per lei: la sua famiglia – dove l’unico assente giustificato – è il suo adorato papino, la sua dolce mamma, l’esuberante e insostituibile nonna Fancy, i suoi zii e suo cugino, Amy – con indosso un vestitino di macramè verde acqua che le risalta la chioma ramata –   che è un po’ come una sorella, Benji, alcuni suoi colleghi e colleghe di università, i ragazzi della Mambo, nonché suoi compagni di scuola fino alle medie e poi c’è lui… quello che resterà per sempre la nota stonata della sua vita, il suo sbaglio più grande, ma che forse rifarebbe ancora: Stephan Mallory.

La festeggiata guarda tutti i presenti e sorride, ringraziando ognuno di essi per essere lì con quel sorriso, ma non fermandosi da nessuno in particolare; stringe solo la mamma e la nonna. La festa finalmente inizia e ognuno si serve al buffet e beve e mangia, chi più allegramente chi meno, con la musica di sottofondo che allieta l’atmosfera. Benji vicino al camino sente vibrare il cellulare della fidanzata posato sulla mensola e si volta a vedere chi è, sorride nel constatare che è una videochiamata del Kaiser e fa cenno a Fanny dall’altro lato della sala che parla con Amy e Jenny, la ragazza lo raggiunge subito ed escono entrambi sul terrazzo, rispondendo insieme alla chiamata.

«Ciao, Kaiser!» lo salutano entrambi con un sorriso, felici di sentirlo e vederlo, vorrebbero che anche lui fosse lì con loro a festeggiare.

«Ciao, ragazzi, vedo che siete nel bel mezzo della festa.» risponde Schneider scorgendo l’interno della casa gremito di gente.

Fanny annuisce con un sorriso, non facendo trapelare il suo lieve imbarazzo e fastidio.

«Buon compleanno, scema.» continua poi sorridendo a quella che pian piano sta diventando la sua migliore amica.

«Grazie, Karl, mi sarebbe piaciuto avere anche te qui, ma purtroppo non puoi esserci, però sono sicura che per il tuo compleanno festeggeremo insieme.» risponde Fanny con un sorriso sincero e solare, inizia davvero a voler bene al tedesco.

«Il mio compleanno lo festeggeremo in Russia, assieme alla mia vittoria del mondiale.» risponde Karl ridendo, facendo ridere gli altri due.

«Questo lo vedremo, Kaiser, di certo non ti regalerò nulla.» risponde Benji, facendo ridere di più la fidanzata; intanto Stephan Mallory da dentro osserva i due e sente un groviglio doloroso allo stomaco e un senso di gelosia montargli dentro… ma forse, è ormai tardi per piangere sui propri errori, se solo si fosse fermato un attimo in più a pensare, forse non avrebbe mai detto quelle parole, forse avrebbe dato retta al suo cuore senza preoccuparsi di far finire una grande amicizia, che si sarebbe trasformata in amore. Se avesse dato retta al suo cuore e avesse rivelato i suoi sentimenti a Fanny, non l’avrebbe ferita, non l’avrebbe persa e lui non avrebbe sofferto così tanto come adesso – perché è stato quando lei è andata via, quella notte, che lui ha veramente capito di amarla – ma ha anche capito di aver perso la sua migliore amica oltre che l’amata e questo lo devasta più di quanto faccia vedere.

«Allora vi lascio divertire, mi raccomando non litigate anche oggi.» li prende ancora in giro il Kaiser.

«Non preoccuparti, non mi farò rovinare la mia festa.» sorride Fanny, pensando che se non la rovinerà per un litigio col fidanzato lo farà per il suo primo amore. «Tranquillo, stasera farò il bravo ragazzo. Ci vediamo tra qualche giorno, fratello.» risponde Benji strizzandogli l’occhio, ricevendo un sorriso dal biondo, che saluta con la mano e chiude poi la chiamata. Fanny sorride, bacia la guancia del fidanzato, che  le sorride, la prende per mano e rientrano dentro.

«Stephan è bello rivederti, non ti fai vedere più spesso, prima eri sempre insieme ai miei nipoti.» dice nonna Fancy, avvicinando il ragazzo e sorridendogli. Lui la guarda e sorride, nonostante tutto, ha sempre voluto bene a quella donna di classe e allegra, che si è sempre schierata dalla parte dei nipoti e ha sempre accolto i loro amici. «Ha ragione, signora Ross. Purtroppo le nostre vite iniziano a prendere direzioni diverse, gioco sempre a calcio con Julian, ma lo studio mi assorbe il restante tempo, rendendomi impossibile il resto.» risponde Mallory sorridendo, rispondendo con quella che è una mezza verità. «Capisco. Quindi l’amicizia tra te e Fanny non si è incrinata per qualche motivo?» chiede ancora la donna, che di certo non si fa fare fessa da un ragazzino.

“Non c’è la luce senza l’oscurità,

non c’è immaginazione senza realtà,

non c’è l’assoluta grandezza della tua presenza

senza il vuoto completo che mi lascia la tua assenza.”

Stephan si morde le labbra dall’interno, poi sorride e scuote la testa. «No, signora, non è nulla del genere, sono sempre un grande amico sia di Fanny sia di Julian, siamo cresciuti insieme e questo non potrà mai cambiare. Solo la frenesia della vita ci ha allontanato un po’.» risponde, sentendo un macigno doloroso al cuore per la menzogna che ha appena detto – soprattutto a se stesso –  ma di certo non può dire alla nonna degli amici che è ancora amico di Julian, mentre la sua amicizia con Fanny si è rotta perché sono finiti a letto; per quanto Fancy Ross possa essere una donna dalla mentalità aperta, nonostante la sua età, è imbarazzante fare un discorso del genere. «Va bene, allora scusami se ti ho chiesto, ma mi piaceva quando passavate i pomeriggi qui da me a studiare anche con Amy.» sorride la nonna. «Adesso non pensate ad altro, approfittate di questa festa per stare insieme e divertitevi come facevate un tempo.» aggiunge scompigliando i capelli al ragazzo, che sorride e si allontana, incrociando lo sguardo di Fanny che rientra mano nella mano con Price, provocandogli un’altra dolorosa fitta la cuore. 

 “Non c’è il colore caldo dell’estate,

delle nostre anime aggrovigliate,

senza il freddo grigio e cupo del peggior inverno,

in attesa di un messaggio, una parola o solo un segno.” 

«Tutto bene?» le chiede Benji, sentendo la mano della fidanzata tremare nella sua. «Sì, scusa, probabilmente è stato solo un brivido di freddo.» risponde Fanny voltandosi a guardarlo negli occhi e sorridendogli dolcemente, mentre nella sua mente riaffiorano ricordi legati a quel ragazzo che le ha fatto battere il cuore per anni, colui con cui ha passato la sua infanzia e parte dell’adolescenza, lo stesso ragazzo del quale si è innamorata e al quale ha regalato la sua verginità, perdendolo poi per sempre, probabilmente perché entrambi immaturi e timorosi di aver fatto qualcosa di sbagliato – anche se al momento sembrava giusto – e per Fanny è stato bellissimo. «Va bene, amore.» sorride il portiere, baciandole la fronte, raggiungendo poi Julian e Philip al tavolo delle bevande, mettendosi a parlare con loro, raccontando di Karl e poi parlando di calcio.

Fanny lo lascia andare con un sorriso e incrocia per un solo istante lo sguardo di suo cugino, facendogli vedere tutta la sua delusione per averle giocato questo tiro mancino, sospira arrabbiata e raggiunge Amy e Jenny che parlano poco distante con alcune delle sue colleghe. «Fanny… posso parlarti un attimo?» chiede Stephan, intercettandola e afferrandole il polso, prima che possa raggiungere le altre ragazze. Lei lo guarda e deglutisce a vuoto, sentendo improvvisamente il cuore battere forte, osservando la mano del ragazzo stretta sul suo polso sinistro. Da quanto tempo non avevano un contatto fisico? Da quanto tempo i loro occhi non si riflettevano gli uni negli altri? Da quanto non si rivolgevano la parola? «Va bene…» mormora Fanny sgusciando via dalla sua presa e uscendo in terrazza, osservando l’orizzonte senza vederlo.

“Tu come il sole risorgi ogni giorno; io guardo il cielo ed aspetto il ritorno

di te che illumini completamente, la mia vita e la rendi immensa e importante

non c’è il capirsi anche senza parola: con uno sguardo, un gesto, un batticuore

senza sapere quanto il silenzio possa pesare, quando non c’è niente da dire, più niente da fare…

non c’è la pelle al buio che scivola sfiorando pelle, entrando nell’anima

se non c’è stata mai una pelle estranea e inospitale che già dopo un secondo viene voglia di scappare.” 

Anche Stephan volge il suo sguardo verso l’infinito, osservando quelle stelle che rischiarano la notte, identificando la costellazione dell’acquario, gli è sempre piaciuta l’astronomia e i suoi misteri, gli piaceva condividerli con lei e parlarle delle costellazioni – fu lui a farle conoscere la sua costellazione – ci ripensa e sorride al ricordo di quando lei gli disse che le sembrano tanti puntini luminosi buttati lì senza un senso logico e lui le spiegava ogni cosa, facendole conoscere l’acquario. «Cosa vuoi?» chiede Fanny, voltata di spalle davanti a lui, mantenendo un tono neutro e impassibile, distogliendo il ragazzo dai suoi ricordi. «Io… volevo solo dirti che mi dispiace per quello che è successo tra noi, mi dispiace averti persa e mi dispiace di non aver capito in tempo che quello che provavo per te andava ben oltre il legame fraterno che pensavo fosse.» confessa Mallory, avvicinandosi e sfiorandole la mano, sentendola tremare.

Fanny chiude gli occhi e si morde le labbra per trattenere le lacrime, sapeva che se si fossero rivisti tutto questo sarebbe successo, sarebbe stato inevitabile, e forse adesso è il momento di chiarire ogni dubbio. «Stephan… anche io ci sono stata malissimo e ci sto male ancora, perderti è stato orribile, ma sei stato tu a negare il nostro futuro. Cosa avrei dovuto fare io? Forse siamo stati troppo avventati ad andare a letto e io non avrei dovuto confessarti i miei sentimenti, ma sei stato tu a rifiutarli e io non potevo far altro che allontanarmi da te e leccarmi le ferite, perché anche se non te l’avessi detto tu sapevi che io ero innamorata di te dalle elementari.» risponde tremando, mentre le lacrime le rigano le guance. «Mi dispiace, lo so, è colpa mia… ma ho avuto paura di rovinare la nostra complicità, la nostra meravigliosa amicizia. Se per ipotesi le cose non fossero andate bene, cosa ne sarebbe stato del nostro legame fraterno?» sussurra Stephan avvicinandosi e cingendole le spalle, vedendola tremare.

“Tu come il sole risorgi ogni giorno

io guardo il cielo ed aspetto il ritorno

di te che illumini completamente

la mia vita e la rendi immensa, importante.”

«Certo, è facile adesso parlare per ipotesi, vero?» chiede lei voltandosi e guardandolo male. «Se non fosse andata bene saremo rimasti comunque amici, stupido, al di là del fatto che io ti amassi eri troppo importante per lasciare che un amore andato male distruggesse la nostra amicizia, e invece l’abbiamo distrutta lo stesso perché tu sei un deficiente.» gli urla contro con rabbia. «Fanny… scusami, non avevo capito che fosse amore.» risponde Stephan con dolcezza, annegando in quei profondi e bellissimi occhi verdi. «Bene, adesso che l’hai capito immagino tu abbia fatto pace col tuo cervello, ma ormai è troppo tardi. Io sono andata avanti, Stephan, adesso nella mia vita c’è Benji – siamo stati insieme più volte – ed è stato bellissimo, non nego che anche con te lo sia stato, ma fa parte del mio passato, che ti piaccia o no, questa è la mia realtà dei fatti… non potevo stare ad aspettare il fantasma del mio primo amore, sperando che questo un giorno tornasse da me.» risponde Fanny tagliente, scostandosi dal suo abbraccio.

“Non ci si può rendere conto di te,

non ti si può davvero comprendere,

senza sapere quanto è duro esserti lontano…

senza avere cercato e non trovato la tua mano.” 

«Hai ragione, sarei dovuto venire da te il giorno dopo, chiederti scusa e rivelarti i miei sentimenti, ma tu eri troppo importante e ho avuto paura… ma ho rovinato tutto comunque. Mi dispiace, Fanny, perdonami se puoi.» sussurra Stephan, guardandola con occhi lucidi. «Tu adesso stai con Benji e io non posso pretendere che lo lasci per me, ragion per cui mi farò da parte e cercherò di dimenticarti, ma vorrei poter recuperare la nostra amicizia, almeno quella…» continua, trattenendo stoicamente le lacrime. Fanny lo guarda e sorride, gli ha perdonato il fatto di esser stata rifiutata, l’amore che ha provato nei suoi confronti è scemato durante gli anni ed è cessato quando ha conosciuto Benji, ma non gli ha perdonato il fatto di aver troncato la loro meravigliosa amicizia. «Sei proprio uno stupido, Stephan Mallory, uno stupido che però mi è mancato da morire, non sarà facile recuperare quello che abbiamo perso, ma voglio tornare ad essere tua amica… voglio poterti incontrare per strada e salutarti e non guardarci intensamente, fingendo di essere due perfetti sconosciuti e fingere indifferenza.» risponde Fanny stringendolo.

Il calciatore sorride e ricambia la stretta, tutto si è chiarito per il meglio, anche se da adesso in poi dovrà anche lui andare avanti e dimenticare quell’amore che mai più tornerà indietro. La stringe, le bacia la guancia e non dice nulla. «Pensi di riuscire a starmi accanto, sapendo che io non posso darti nulla di più di un’amicizia?» gli chiede lei, allontanandosi e guardandolo. «Non sarà facile, ma col tempo passerà e anche io troverò la ragazza giusta, ma di certo non riuscirei a trovare più un’amica come te.» risponde Stephan sorridendole. «Modestamente io sono unica e inimitabile.» ride Fanny, cacciando fuori la lingua. «Sono contenta di aver chiarito e averti ritrovato, dobbiamo recuperare gli anni persi e chissà… forse potrei presentarti qualche mia collega.» sorride ancora Fanny.

«Grazie per aver compreso, sapevo che ti saresti arrabbiata, ma non saresti stata tu se così non fosse stato.» sorride Stephan. «Cosa vuoi farci, sono fatta così. Prima di mettermi con Benji ci siamo ammazzati come cani al ritiro, e hai avuto modo di vederlo.» risponde lei rientrando in casa, facendo annuire Stephan. Non ha del tutto accettato il rifiuto, ma è quel che si merita e dovrà accettarlo per forza se vuole riavere l’amica di un tempo, inoltre è felice che lei sia riuscita ad andare avanti e che abbia trovato l’amore, è anche contento di sapere che questo è Price – sebbene non siano mai stati grandi amici – e mai lo saranno, lo conosce e questo basta a farlo stare tranquillo. 

“Tu come il sole risorgi ogni giorno

io guardo il cielo e aspetto il ritorno

di te che illumini completamente

la mia vita e la rendi immensa, importante.” 

Julian li vede rientrare insieme e sorride, avvicinandosi a entrambi. «Posso rubarti la festeggiata?» chiede al compagno di squadra, il quale annuisce con un sorriso, lasciando che i due cugini si allontanino per parlare, mentre intercetta lo sguardo del portiere che lo guarda con curiosità, lui si avvicina e decide di parlargli chiaro, per evitare si possano creare inutili incomprensioni. «Non è come pensi, tra me e Fanny non c’è nulla.» precisa Mallory. «Io non ho detto o pensato che tra voi ci sia qualcosa. Sapevo che lei ha avuto un rapporto con un ragazzo prima di me, ma non posso prendermela per questo, non sapevo che quel ragazzo fossi tu.» risponde Benji tranquillo. «Sì, sono stato io quel ragazzo, l’abbiamo fatto e io non ero sicuro dei miei sentimenti, avevo paura di rovinare la nostra amicizia e abbiamo finito per allontanarci.» risponde Stephan.

Price lo guarda e ride scuotendo la testa. «Beh, lascia che te lo dica, Mallory, ma sei stato un completo idiota. Fanny è una ragazza straordinaria, a volte insopportabile e troppo esuberante, ma straordinaria. Io ho avuto un sacco di donne prima di lei, ma se la donna di turno prova qualcosa per te che tu non ricambi o pensi di non ricambiare non andarci a letto per poi rovinare un’amicizia. Lei non mi ha mai detto nulla di tutto questo, ma ho capito tutto quando ha incrociato il tuo sguardo entrando, ho capito che eri tu il suo ex amore.» dice. Stephan annuisce. «Hai ragione nel dire che lei è così, sono felice che tra tanti abbia scelto te, tienila stretta e non farla soffrire come ho fatto io. A me pian piano passerà, troverò una ragazza ed intanto cercherò di ricostruire l’amicizia con lei.» risponde con un sorriso. «A patto che sia solo amicizia, sono sicuro di lei, ma se dovessi scoprire che tu ci provi potrei non essere così calmo e tranquillo come adesso.» risponde Benji porgendogli la mano, che Mallory stringe con un sorriso.

«Sei arrabbiata con me? Prima mi hai lanciato un’occhiataccia da far gelare il sangue nelle vene.» dice Julian sedendosi sul muretto del terrazzo, guardando sua cugina di fronte a sé, in piedi. Fanny sorride scuotendo le spalle e gli si avvicina tirandolo giù. «Ammetto di averti odiato quando ho visto che avevi invitato anche lui, ma so perché l’hai fatto e devo ringraziarti, cuginetto.» sorride stringendolo. «Bene, sapevo che ti avrebbe dato fastidio, ma l’ho fatto perché tu sei mia cugina, lui uno dei miei migliori amici e so quanto siate stati importanti l’uno per l’altra. Il passato è passato, ma volevo chiariste ogni vostro dubbio.» risponde Julian baciandole la guancia.

«Lo so, abbiamo chiarito tutto, convenendo sul fatto che il passato è passato e che tale dovrà rimanere, gli ho detto di Benji e lui non ha potuto far altro che accettarlo, come io ho accettato il suo rifiuto qualche anno fa. Forse ci vorrà del tempo prima che torneremo a essere gli amici che siamo stati, ma abbiamo deciso di provare a esserlo di nuovo; poi lui ha detto che si impegnerà a dimenticarmi e cercherà una nuova fiamma.» sorride Fanny. «Allora mi sa che se il quartetto che eravamo verrà ripristinato  ci tocca aiutare un amico a trovare una ragazza.» ride Julian, facendo ridere anche la cugina che annuisce. «Ho già qualche idea, cuginetto.» ghigna Fanny, tenendolo stretto tra le sue braccia e rientrando insieme.

***

Dopo aver chiarito ogni problema, la festa può procedere nel migliore dei modi: Fanny, finalmente col cuore leggero, regala sorrisi a ognuno dei presenti e rimane incantata quando Akane porta la torta in salotto; dopo aver spento le candeline e averla mangiata, è il momento dei regali, ne ha ricevuti di bellissimi – ma i più belli per lei sono comunque quelli del suo ragazzo. «Questa è per farti perdonare quella che mi hai bruciato al ritiro?» gli chiede, tirando fuori dalla scatola una sciarpa grigia e bianca con i bordi maculati della Liu-Jo. «Sì, è per farmi perdonare quella.» le risponde Benji guardandola e ridendo. Lei gli pizzica la guancia e lo bacia. «Grazie. Anche le Dr. Martens bordeaux sono bellissime, volevo comprarle già da un po’, ma hai pensato tu a metter fine ad ogni mio dubbio.» dice dopo il bacio, guardandolo negli occhi.

«Sono contento ti siano piaciuti tutti regali, mia dolce Fuffy.» le soffia lui sulle labbra, specchiandosi a sua volta nei suoi occhi. «Ho visto che hai parlato con Stephan, e immagino anche di cosa, siete rivali o posso stare tranquilla?» gli chiede lei senza smettere di stringerlo e guardarlo negli occhi. «Non siamo nulla del genere, lui ha sbagliato e ora deve pagare il suo sbaglio, per quanto riguarda noi, so che tu mi ami e mi fido di te, per questo non avrò nessun problema se tu decidessi di tornare a essere sua amica. Gli ho già detto come la penso a riguardo e lui ha capito di non dover andare oltre, perché un po’ mi conosce, e sa che oltre quel limite vado in escandescenza e poi sarà peggio per lui.» risponde Benji con sincerità, non distogliendo lo sguardo dal suo. «Ti amo, amore mio, grazie di tutto.» sorride Fanny con le lacrime di gioia agli occhi, baciandolo di nuovo, con tutta la sua dolcezza e il suo amore – beccandosi un applauso da parte degli altri.

 

 

 

***

Angolo dell’autrice:  nel linguaggio dei fiori, nella cultura giapponese, le camelie sono simbolo d’amore, mentre le peonie di bellezza.

 Alla prossima, miei cari lettori, vostra sempre Amy

 

 

 

 

 

[1] Qui trovate la discussione tra Shaka e Buddha, di cui ho riportato una parte: il pezzo che trascrivo inizia dal secondo 50, ma vi consiglio di ascoltarlo tutto perché è molto profonda tutta la discussione tra il piccolo Shaka e il Siddharta

 

[2] Nanerottola

[3] Fratellone

[4] Sorellina

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Capitolo 15
*** È tutta questione di destino… ***


Capitolo 15: È tutta questione di destino…

 

Amburgo: lunedì 20 febbraio, 2018 ospedale, h. 10:00.

Ormai è tutto pronto in sala operatoria, è solo questione di minuti, al massimo mezz’ora, e Klaus vi entrerà per donare il suo midollo osseo al fratellino Jamie, che in questi quattro giorni è stato preparato per riceverlo. Nella camera in cui il ragazzino è stato ricoverato ci sono tutte le persone care – testimoni di questa disavventura – che presto giungerà al termine; mamma Erika un po’ tesa per l’intervento – prontamente stretta dal marito – ma fiduciosa e speranzosa che il suo figlio minore possa finalmente guarire e tornare a vivere una vita normale come tutti i bimbi della sua età.

Il piccolo Jamie con il visetto coperto dalla mascherina per evitare che possa prendere infezioni, sta seduto sulle gambe del Kaiser che, seduto sulla sedia, lo stringe sorridendo alla sorellina; Marie Käte, seduta sul letto, accanto a Klaus gli stringe la mano e gli sorride: ha passato tutta la notte al PC a fare ricerche sul web per capire come si sarebbe svolto l’intervento, alla fine si è un po’ tranquillizzata appurando che non è nulla di così tremendo come pensava, ma ha comunque una leggera ansia nel sapere che il ragazzo che le piace dovrà comunque subirlo. «Non preoccuparti, Katy, andrà tutto benissimo e appena uscirò dalla sala operatoria sarò sempre il solito Klaus.» la rassicura lui, sentendo la sua mano tremare, gliela lascia e la stringe a sé.

«Me lo prometti?» chiede la piccola Schneider, guardandolo negli occhi e sorridendogli, per dargli coraggio. «Certo che te lo prometto. Ti ho forse mai fatto una promessa che poi non ho mantenuto?» le sorride lui, carezzandole una guancia, dove una leggera lacrima è scivolata. Marie Käte scuote la testa e sorride. «No, non l’hai mai fatto e non lo farai nemmeno adesso. Stai per fare un gesto bellissimo, anche io lo avrei fatto per mio fratello, anche se avrei avuto una paura immensa, ma per il mio goßer bruder[1] farei di tutto.» risponde risoluta la ragazzina, facendo sorridere ancora di più Klaus e tutti i presenti in camera – riempiendo il cuore della mamma e del fratello di orgoglio – nonostante tutte le divergenze passate, l’amore nella famiglia Schneider non è mai mancato, e questa non è che la prova tangibile di quanto siano legati.

«Lo so.» sorride Klaus, baciandole la fronte, mentre un infermiere fa capolino sulla porta, annunciando che è ora; Marie Käte guarda il nuovo arrivato con i suoi occhioni azzurri un po’ spaventati, poi sorride a Klaus. «Ci vediamo dopo.» sussurra, sfiorandogli le labbra con un bacio, il ragazzino sorride e annuisce, saluta tutti gli altri e va via con l’infermiere, mentre tutti si spostano in sala d’attesa. Le due donne sorridono complici nel vedere quel tenero gesto tra i due figli, anche il signor Mayer sorride: la piccola Schneider gli è sempre piaciuta. «Karl?» lo chiama Jamie tirandogli la mano, mentre il ragazzo osserva ancora la sorellina, leggermente interdetto. «Kaiser?» lo richiama il bimbo, vedendolo assorto e distratto.

«Cosa, piccolo?» chiede il calciatore riportato alla realtà e sorridendo all’amichetto. «Ma adesso che Klaus e Marie Käte si sono quasi baciati, noi diventiamo fratelli?» chiede il piccolo con ingenuità. «No, non saremo fratelli se dovessero mettersi insieme.» risponde Karl prendendolo in braccio e sedendosi in sala d’attesa. «Tra me e te non ci sarà nessun legame di parentela, mia sorella diventerà tua cognata, mentre tuo fratello mio cognato.» gli spiega, nonostante tutto questo gli faccia strano. Sta parlando come se la sua sorellina fosse prossima alle nozze, e ancora lui non è pronto nemmeno a vederla col primo fidanzatino – perché non si direbbe – ma il Kaiser è geloso della sua sorellina.

«Capito.» dice il bimbo mogio, sperava che anche Karl diventasse suo fratello. «Cucciolo non importa essere parenti per considerarsi come fratelli. I fratelli possono essere anche degli amici ai quali si è molto legati, sono i fratelli che si scelgono nella vita e che consideri al pari di quelli di sangue. Io considero miei fratelli Benji Price ed Hermann Kaltz, e anche se non lo siamo veramente, è come se lo fossimo.» dice Karl, vedendo quel dolce musetto – un po’ nascosto dalla mascherina – farsi triste. «Inoltre, ho sempre desiderato un fratellino più piccolo col quale poter giocare, soprattutto quando ero bambino, ma ho avuto una sorellina a cui voglio un bene dell’anima, ma non è esattamente la stessa cosa. Quindi potresti essere tu quel fratellino più piccolo.» sorride ancora Schneider, mettendo ancora una volta a nudo le sue emozioni –  dimostrando ancora una volta di non essere un iceberg.

I dolci occhioni verdi del piccolo Jamie si illuminano e brillano, assieme al sorriso nascosto, che tira in su gli angoli della mascherina. «Va bene, Kaiser.» sorride stringendolo forte. «Ti voglio bene.» gli dice all’orecchio. «Anche io te ne voglio, tesoro.» risponde Karl, stringendolo al suo petto e baciandogli la fronte.

***

L’intervento è andato benissimo e il dormiente Klaus viene riportato in camera, dove ad attenderlo ci sono la mamma, il fratellino e la sua dolce Katy; Karl è andato a fare la chemio, accompagnato dalla madre. Marie Käte si siede sul letto e stringe la mano di Klaus carezzandola, facendo sorridere la signora Mayer, che tiene in braccio il figlio più piccolo addormentato. Klaus fa una lieve smorfia e un leggero lamento esce dalle sua labbra. «Mamma…» sussurra.

«Sono qui, tesoro mio, va tutto bene.» sussurra Erika con dolcezza, carezzandogli la guancia, mentre la piccola Schneider – dall’altro lato – gli stringe ancora la mano; Klaus sorride e apre lentamente gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte. «Ciao!» sorride Marie Käte. «Come ti senti?» chiede ancora con dolcezza. «Bene… solo un po’ stordito e dolorante, ma bene e so che anche il mio fratellino starà bene presto.» sussurra Klaus, mordendosi le labbra per il dolore, ma sorridendo subito dopo per poi guardare il piccolo Jamie addormentato tra le braccia della mamma.

Un bussare deciso alla porta li distrae dalle chiacchiere, rivelando un medico, lo stesso che ha effettuato l’intervento. «Come va?» chiede avvicinandosi al letto per controllare il ragazzino. «Tutto bene, dottore. Ha qualche dolore, ma sembra stare bene. Grazie di tutto.» risponde la signora Mayer con un sorriso grato, facendo annuire e sorridere il medico. «Sei stato bravo e coraggioso, Klaus, molti al tuo posto avrebbero avuto paura. Il tuo fratellino è davvero fortunato.» sorride il medico carezzandogli i capelli. «Grazie a lei per aver prelevato parte del mio midollo per salvare Jamie.» sorride Klaus.

Il medico sorride ancora. «Adesso riposa, dopo ti sentirai meglio.» dice guadando poi la madre. «Signora se vuole seguirmi nella camera sterile iniziamo immediatamente con la trasfusione, è tutto pronto ed è meglio iniziare quanto prima, anche se il piccolino dorme non è un problema, avendo inserito precedentemente la picc[2] basta solo attaccare a essa la sacca.» dice, facendo annuire la donna, che si alza con in braccio il figlioletto. «Tesoro ti lascio con Marie Käte, tra un po’ arriverà anche papà.» dice al figlio maggiore, carezzandolo sulla guancia, seguendo poi il medico.

***

Amburgo: lunedì 20 febbraio, ospedale, camera di Karl, h. 16:30.

Seppur la giornata sia iniziata nel migliore dei modi con l’intervento di Klaus, che ha coraggiosamente donato il midollo osseo al suo fratellino, oggi il Kaiser si sente distrutto – e non solo fisicamente. La chemio lo ha stremato,  ed è tornata quella strana sensazione di angoscia e paura a tenergli compagnia mettendogli ansia, stancandolo anche emotivamente – nonostante oggi dovrebbe aver un motivo per cui essere felice. Alla fine della seduta sarebbe voluto andare a trovare Erik, ma gli è stato tassativamente impedito dai medici, dopo aver perso i sensi alla fine dell’infusione chemioterapica, il collasso causato probabilmente dallo scombussolamento fisico-psichico, che ancora adesso lo tiene incatenato al suo letto quasi del tutto privo di forze.

Sospira, chiude gli occhi e si lecca le labbra. «Was für bälle!»[3] sussurra, riaprendoli e sentendo il mal di testa iniziare a dargli fastidio, guarda fuori dalla finestra per cercare di distrarsi, ma sembra inutile, quindi prende il cellulare sul comodino e lo sblocca aprendo Facebook e scorrendo le notizie sulla home sperando che almeno questo possa funzionare. Tra i vari post nota che Benji ha aggiornato la sua immagine del profilo, una foto assieme a Fanny, probabilmente scattata la sera del compleanno della ragazza, sorride e mette il ‘mi piace’ scorrendo ancora le notizie; il mal di testa non lo ha abbandonato – anzi si fa sempre più insistente, in compenso la sua mente è riuscita a distrarsi un po’.

Senza rendersene conto passa mezz’ora, scorge le foto che Fanny ha pubblicato sul suo compleanno e con un sorriso le apre iniziando a guardarle, riconoscendo anche qualcuno dei calciatori della nazionale giapponese; mentre scorre le foto – e ha già messo il ‘mi piace’ all’album, gli arriva una notifica che apre, è un tag della sua migliore amica: una foto sempre del compleanno, nella quale lei e Benji sono abbracciati e sullo sfondo – in ombra – c’è lui sorridente. ‘Auch wenn Sie nicht physisch anwesend waren, war Ihr Herz dabei. Gute Besserung, Champion. Wir lieben dich, Kaiser. [4] sotto la foto Fanny ha lasciato questa dedica; Karl sorride e mette la reazione col cuoricino. ‘Danke, Fanny. Ich habe die Fotos gesehen und stelle mit Freude fest, dass ihr euch amüsiert habt, das nächste Mal werde ich auch dabei sein, versprochen. Danke, dass du an meiner Seite bist, auch wenn wir weit voneinander entfernt sind. Ich hoffe, ich kann dich bald wieder umarmen, mein Freund. ^_^ Ich liebe dich auch!♥’[5] commenta, scrivendo ciò che gli detta il cuore.

Passa ancora un po’ di tempo sul social-network e intanto si sono già fatte le diciassette e trenta, la debolezza non l’ha ancora abbandonato, sospira e chiude gli occhi mordendosi le labbra, mentre lo schermo del cellulare va in stand-bye; si passa la mano sinistra sugli occhi e fa un respiro profondo, riaccendendo il suo smartphone e riprendendo a guardare i post degli amici senza più alcun interesse, finché una foto non lo fa ridere fino alle lacrime: Pierre Le Blanc in sella a Principessa, la sua bianca puledra purosangue, che sorride con in mano una rosa rossa. “Che prima donna!” pensa ridendo il Kaiser. C’è poco da fare, il capitano della nazionale francese e del Paris Saint Germain è sempre eccentrico e ama stare al centro dell’attenzione, nonostante tutto, Karl apprezza il suo talento e la sua bravura in campo e si rivela sempre un grande avversario – e contro ogni aspettativa – anche un amico.

Mentre sta ancora ridendo a crepapelle per la foto di Le Blanc sente una fitta lancinante alla testa, il cellulare gli scivola dalla mano e chiude gli occhi, sentendosi improvvisamente malissimo, al suo malessere si è aggiunta anche una nausea pazzesca. «Scheiße…»[6] sussurra strizzando gli occhi e mordendosi con forza le labbra, suonando il campanello per chiamare qualcuno; poco dopo arriva una sorridente Hildegard, che apre la porta e gli si avvicina. «Hai chiamato?» cinguetta con la sua fastidiosa voce da oca, carezzandogli la guancia. Karl sbarra gli occhi e la fissa. «Chiama il dottor Brown o il dottor Ross, per favore, mi sento malissimo…» sussurra chiudendo di nuovo gli occhi e iniziando a respirare in modo affannato. L’infermiera lo guarda un attimo, vedendolo sofferente, decide di lasciarlo in pace e corre a chiamare entrambi i medici.

Cinque minuti dopo entrambi i medici sono al capezzale del Kaiser che, con gli occhi spalancati trema, preda delle convulsioni e fatica a respirare. Il dottor Ross lo mette subito sul fianco, mentre il dottor Brown gli sente il polso e il medico giapponese gli fa un iniezione per calmarlo. «Mi fa male la testa…» sussurra Karl, iniziando a rilassarsi. «Adesso ti diamo qualcosa anche per quello, tesoro.» risponde Alfred Ross, mentre il collega lo visita; è ancora debole, quindi gli mette una flebo e subito dopo gli inietta un analgesico. «Prova a riposare un po’, oggi non sei stato affatto bene.» gli dice, carezzandogli la fronte sudata, il ragazzo annuisce, fa un respiro profondo e si rilassa del tutto chiudendo gli occhi.

***

Verso le diciannove arrivano i genitori, con Grace e i ragazzi, che vengono fermati dai due medici. «Salve, dottori. Come sta il mio tesoro? Si è ripreso dopo il collasso di oggi?» chiede Beatrix, stretta al marito. «Adesso un po’ sì, nel pomeriggio ha avuto una crisi convulsiva e mal di testa, ha riposato e sta meglio.» risponde il dottor Brown, spiegando la situazione. «In questi giorni c’è qualcosa che lo turba, forse potrebbe essere Erik…» ipotizza il dottor Ross, facendo annuire i presenti. «Possiamo vederlo?» chiede Grace con gli occhi lucidi, stringendo forte la mano di Benji ed Hermann. «Certo.» le sorride il dottor Brown, conducendoli in camera. «Stasera è meglio che qualcuno rimanga con lui.» dice il dottor Ross, fermando un attimo il collega. I presenti si guardano indecisi – vorrebbero rimanere tutti – ma non è possibile. «Rimango io con lui.» dice Thomas Schneider, guardando prima la moglie e poi i ragazzi. «Va bene, mister.» rispondono i due calciatori e la manager, mentre Beatrix annuisce posandogli un bacio sulle labbra.

«Ciao.» sorride Karl, appena vede entrare tutti quanti, con un sorriso – si sente molto meglio. «Ciao, campione.» sorridono i due migliori amici, avvicinandosi e battendogli il cinque; Grace si avvicina e lo bacia sulla fronte. «È bello vedere che stai meglio, amore mio, i medici ci hanno detto che hai avuto le convulsioni.» sussurra stringendolo. «Tranquilla, Starlet, adesso sto bene è tutto passato.» la rassicura il Kaiser, ricambiando la stretta e baciandole la fronte, facendola sorridere, mentre inizia a riempirlo di coccole. Passano il tempo a parlare e scherzare, per cercare di risollevargli il morale, finché l’orario di visita non finisce e sono costretti ad andare. «Amore sei sicuro? Se vuoi resto io…» dice Beatrix seduta ancora sul letto del suo bambino, che coccola con amore. «Sì, Bea, non preoccuparti, rimango io con Karl. Tu va a casa e pensa alla Prinzessin.» risponde il marito, baciandole i capelli.

Karl guarda entrambi i genitori e sorride. «Vi voglio bene, sono felice di avervi ancora insieme.» dice, mettendosi seduto per stringere la madre, che ricambia subito la stretta con le lacrime agli occhi. «Anche noi te ne vogliamo, tesoro.» sussurra. «La mamma ha ragione, campione, tu e tua sorella siete la nostra ragione di vita. Non avrei sopportato di vivere lontano da voi due, anche io sono contento di non aver lasciato la donna che amo e che mi ha dato i miei due tesori più belli.» sorride Thomas, stringendo moglie e figlio e baciando entrambi con tutto il suo amore. Il Kaiser sorride ai genitori e stringe entrambi. «Grazie.» dice baciando la guancia della mamma. Benji, Hermann e Grace sorridono a quella bella scena familiare, rimembrando anche loro la crisi dei coniugi Schneider; dopo i saluti vanno tutti via, lasciandolo in compagnia del padre.

***

Amburgo: lunedì 20 febbraio, 2018 ospedale, camera di Karl, h. 22:00.

«Sei sicuro di non voler mangiare dell’altro?» chiede Thomas, carezzando la guancia del suo bambino. «Sì, papà, non ho molta fame.» risponde Karl col viso voltato dalla parte opposta – guardando fuori dalla finestra. «Cosa c’è, campione? Cosa ti turba?» chiede ancora il padre, sedendosi sul letto, prendendogli le guance con le mani e girandogli il volto con delicatezza, per poterlo guardare negli occhi. Il ragazzo sospira e si lecca le labbra. «Non lo so, forse è paura che qualcosa possa andare storto; mi dispiace che Erik abbia avuto delle complicazioni, ho paura anche per lui.» risponde sinceramente. «Avere paura è normale, ma fino all’ultimo bisogna lottare, non è detto che le cose debbano per forza andar male. Non arrenderti, campione, lotta con tutte le tue forze e vinci questa partita, amore mio.» risponde Thomas, baciandolo sulla fronte.

«Io non mi arrenderò, papà, ho promesso allo zio sui suoi scarpini che vincerò anche per lui.» sorride il Kaiser. «Ho però paura per Erik, oggi volevo andarlo a trovare, però mi sono sentito male e i medici me l’hanno vietato.» aggiunge. «Avrai tempo domani per andare da lui, tesoro. Purtroppo non starai bene ogni giorno, ma fa anche questo parte della sfida, sono certo che dopo una bella dormita domani starai meglio.» sussurra Thomas, specchiandosi negli occhi del figlio, così identici ai suoi. Karl sorride e annuisce stringendolo. «Papà…» lo chiama in un sussurro, non staccandosi dal suo abbraccio. «Dimmi.» sorride Thomas, tenendolo tra le sue braccia, ma allontanandosi un po’ per guardarlo. «Ti manca lo zio?» gli chiede guardandolo anche lui negli occhi.

Thomas sospira e annuisce. «Immensamente. Non c’è giorno in cui non pensi a lui, è stato davvero un fulmine a ciel sereno, quando il nonno mi ha chiamato mi sono sentito morire, speravo potesse farcela… ha lottato con tutte le sue forze, ma era troppo grave. Vorrei fosse ancora qui con noi, ma purtroppo non è possibile, rimarrà però sempre nei nostri cuori.» risponde lasciando scendere le lacrime. «Anche a me manca da morire, vorrei poterlo riabbracciare ancora una volta. Mi mancano i nostri interminabili allenamenti nel giardino della nonna, mi mancano i suoi consigli da fratello maggiore, mi manca tutto di lui.» ammette il Kaiser, con le lacrime agli occhi – anch’egli – ma un sorriso sulle labbra.

 «Lo so, Karl, so quanto eravate legati. Manca a tutti noi, l’unica cosa che possiamo fare è ricordare i bei momenti passati insieme a lui e continuare a vivere anche al suo posto, se ricordi lui amava la vita, la sua famiglia e il calcio.» sorride Thomas, asciugandogli le lacrime. «Lo so, lo ricordo benissimo.» sorride Karl asciugando anche lui le lacrime al padre, facendolo sorridere. «Adesso riposa, campione.» sussurra con dolcezza, baciandolo sulla fronte e adagiandolo sul letto. «Secondo te riuscirò a giocare i mondiali?» gli chiede ancora Karl. «Sì, sono sicuro che ti rimetterai in tempo per giugno e sono sicuro che li vincerai, mio piccolo Kaiser, poi avrai anche gli scarpini dello zio, e sarà come se li vincerete insieme.» sorride il padre, carezzandolo sulla guancia; Karl sorride e annuisce, promettendo tacitamente che si impegnerà al massimo, gli stringe la mano e chiude gli occhi, addormentandosi ora più rilassato e felice di avere accanto suo padre.

Thomas Schneider sorride e rimane accanto al figlio tutta la notte, sa che è dura, ma sa anche che il suo campione non si arrenderà e vincerà – con fatica ma ce la farà. Lo bacia ancora una volta sulla guancia e posa il capo accanto a quel del suo bambino, chiudendo gli occhi e cadendo anche lui tra le braccia di Morfeo. La notte passa abbastanza tranquillamente, il Kaiser riposa senza problemi, stretto tra le braccia di suo padre, che lo ama più di qualsiasi altra cosa al mondo.

***

Purtroppo però, non si può dire la stessa cosa in camera di Erik, a notte inoltrata il ragazzo ha avuto una violenta crisi respiratoria. I medici hanno tentato l’impossibile, ma è stato inutile, i suoi polmoni malmessi non hanno retto e infine sono collassati assieme al cuore; alle tre e quaranta del mattino Erik Weber è stato dichiarato morto per arresto cardiorespiratorio. Sebbene il ragazzo ce l’abbia messa tutta a non arrendersi, le metastasi lo hanno colpito con violenza, per quanto i medici abbiano tentato in tutti i modi di salvarlo, non c’era ormai molto da fare, prima o poi sarebbe arrivata quella crisi violenta dalla quale fosse impossibile salvarlo – per quanto possa esser dolorosa la morte – fa anch’essa parte della vita, non sarà mai facile accettarla, ma non c’è ancora nessun rimedio a essa.

 ***

La mattina seguente il dottor Brown e il dottor Ross hanno avvertito Karl che l’amico non ce l’ha fatta. Il Kaiser ha pianto per ore, e per ore suo padre lo ha tenuto stretto tra le sue braccia per consolarlo. Lui non lo conosceva – se non di vista – ma sa benissimo cosa significhi perdere una persona cara; nel pomeriggio ha accompagnato il figlio a trovarlo e ha espresso il suo più sincero cordoglio alla famiglia del ragazzo. «Erik…» sussurra Karl sfiorando la guancia fredda dell’amico, che è morto col sorriso sulle labbra. «Mi avevi promesso che non ti saresti arreso, dovevamo entrambi vincere la nostra battaglia e andare in Russia e in Australia assieme.» sussurra piangendo. «Però lo so che non è colpa tua, tu ce l’hai messa tutta, amico mio. Ti prometto che non mi arrenderò e lotterò con tutte le mie forze per guarire, forse non andrò mai in Australia, ma ti prometto che sarò in Russia in tempo per il mondiale e che lo vincerò, dedicherò anche te parte della vittoria.» continua Karl, asciugandosi le lacrime e sorridendo, guardando per l’ultima volta Erik.

Stringe i genitori dell’amico e non trova la forza per dire una parola, ma fa capire quanto sia loro vicino e quanto volesse bene a loro figlio – nonostante si conoscevano da poco tempo. «Grazie, Karl, hai regalato a Erik i suoi ultimi momenti di felicità.» sorride la signora Weber, con gli occhi arrossati e bagnati di lacrime, ringraziandolo col cuore e baciandolo sulla fronte – come farebbe col suo bambino. Il calciatore sorride. «Penso davvero quello che ho detto e mi impegnerò al massimo anche per lui.» riesce a dire alla fine, facendo annuire la donna e facendo sorridere suo padre nel vederlo così determinato a vincere contro questo brutto male che lo ha colpito – che ha colpito ancora una volta la famiglia Schneider. Dopo gli ultimi saluti i medici lo accompagnano in camera sua e lo visitano: è solo un po’ scosso per l’accaduto, ma fisicamente sta bene, ma per precauzione è meglio che oggi rimanga a letto e riposi, domani ci saranno i funerali.

***

Amburgo: mercoledì 22 febbraio, 2018 Duomo di Amburgo,[7] h. 10:30.

Parenti, conoscenti e amici sono tutti riuniti per dare a Erik l’ultimo saluto – anche i nonni materni sono arrivati da Sidney per dare l’ultimo saluto al nipote – e anche i medici che lo hanno avuto in cura sono andati. Karl, in via del tutto eccezionale, ha avuto il permesso di uscire dall’ospedale per andare al funerale, accompagnato da suoi due migliori amici e dal padre; il Kaiser si è esposto al mondo per la prima volta da quando sta male – e senza capelli – per  non esser preso di mira dai media che sono sempre all’agguato, ha nascosto il capo con il cappuccio del giubbotto e ha indossato gli occhiali da sole, sia per nascondere le lacrime, sia le occhiaie.

La messa di commemorazione di Erik Weber è tenuta dal vescovo, amico di famiglia; nella chiesa non vola una mosca, i presenti ascoltano in silenzio con le lacrime agli occhi gli elogi e le belle parole che esso dispensa per quel ragazzo, che tanto ha amato la vita e tanto ha lottato per non perderla, fino all’ultimo. Sulla bara, sotto l’altare, una sua foto capeggia – ritraendolo felice e spensierato – con quei suoi grandi ed espressivi occhi verdi e i capelli biondi e ribelli, che cavalca le onde sulla sua tavola da surf, come un qualsiasi ragazzo della sua età; i genitori, il fratello maggiore, e i nonni stretti nel loro dolore, si fanno forza a vicenda, dilaniati dalla perdita profonda che ha stravolto le loro vite e da quel vuoto incommensurabile che mai potrà esser colmato.

Karl piange e ascolta le parole del vescovo, sentendo anche lui un vuoto assoluto nel cuore – sebbene lo conoscesse da poco – gli si era affezionato. Si lecca le labbra e si alza, sorpassando il padre e Benji seduti alla sua sinistra, percorrendo il corridoio centrale della basilica, fino all’uscita e Price prontamente lo segue all’esterno, sorreggendolo. «Non ce la faccio, mi sento soffocare là dentro…» sussurra, togliendo gli occhiali da sole e guardandolo negli occhi. «Lo so, lo immagino, ma devi cercare di essere forte per Erik.» risponde Benji, ricambiando lo sguardo. Schneider si morde le labbra e annuisce, muovendo qualche passo fin dietro l’angolo della chiesa, poggia la mano destra al muro e chiude gli occhi, scosso dai brividi – Benji gli è accanto in un secondo e lo stringe.

Il Kaiser fa un respiro profondo e deglutisce a vuoto, chinandosi, sorretto dall’amico rimette succhi gastrici e bile – stamattina non è riuscito a mandar giù nulla per colazione – per il nervosismo che gli ha creato la situazione. Price sospira e lo sorregge, saldo come una roccia, non lo lascerà mai da solo in questa dura battaglia e nemmeno dopo, quando tutto sarà finito. «Ti senti meglio?» gli chiede appena ha finito, porgendogli un fazzoletto di carta per asciugarsi occhi e bocca. «Più o meno. Vorrei che non fosse successo… vorrei che nemmeno mio zio fosse morto e vorrei non essere malato anche io.» risponde.

Benji lo guarda con dispiacere e lo stringe fortissimo, sapendo perfettamente, quanto ancora soffra la morte dello zio Bernd. «Purtroppo siamo impotenti davanti alla morte, e sempre lo saremo, ma dobbiamo continuare a vivere anche per i nostri cari. Karl ti prego, non arrenderti anche tu alla tua malattia, lotta con tutta la tua forza e sconfiggila, non voglio perderti e piangerti; nessuno di noi lo vuole.» sussurra con voce incrinata, tenendo al suo petto l’amico. «Nemmeno io voglio morire, te lo prometto, Benji, lotterò con tutte le mie forze e non mi arrenderò di fronte a nulla.» risponde Karl, ricambiando l’abbraccio e suggellando la promessa con un sorriso. Dopo essersi ripreso rientra in chiesa più risoluto, quasi sorride ascoltando le parole del vescovo, osservando la foto sulla bara – che sembra quasi ricambiare il suo sorriso. “Non mi arrenderò, Erik, te lo prometto e terrò fede alla promessa che ti ho fatto.” pensa sorridendo ancora, mentre la funzione religiosa termina.

La salma viene dunque trasportata al cimitero, seguita da tutti coloro che hanno partecipato alla messa. Karl cammina in silenzio, sorretto da Benji ed Hermann; Thomas dietro di loro li osserva e sorride, nonostante tutto, suo figlio riesce sempre a trovare la forza che lo contraddistingue, la sua determinazione e la sua forza d’animo, con la quale affronta da sempre le avversità della vita, e lui non può che essere fiero e orgoglioso del suo coraggioso e grintoso Karl. Gli posa una mano sulla spalla e gli sorride. «Sono fiero di te, campione.» gli dice dal nulla, con sincerità e  mille motivi per affermare ciò. «Grazie, papà…» risponde Karl un po’ spiazzato da questo complimento, sorridendo però al genitore.

Veder seppellire Erik, gli ha riportato alla mente il ricordo di suo zio, un dolore incolmabile a cui se ne aggiunge uno nuovo; la testa gli gira e sente le gambe molli – probamente se non avesse gli amici a sorreggerlo – sarebbe già caduto, piange e sorride e cerca di non farsi piegare da quel vuoto che prova. Finalmente la funzione finisce e dopo aver dato l’ultimo saluto all’amico fa ritorno in ospedale, dove ad attenderlo ci sono i due neurochirurghi, che vedendolo distrutto, prontamente lo visitano e gli ordinano di mangiare e riposare. Padre e amici gli sono rimasti accanto, e anche Grace è arrivata in ospedale, sedendosi sul letto e stringendogli forte la mano. Avrebbe voluto accompagnarlo al funerale, ma aveva una lezione alla quale non poteva mancare all’università e non ha fatto in tempo, ma sarà lì pronta a sostenerlo e consolarlo appena si sveglierà.

Anche Beatrix è arrivata in ospedale, dopo aver dato un bacio sulla fronte al suo bimbo addormento, lo ha lasciato con la fidanzata e gli amici ed è andata a mangiare fuori col marito – non lo facevano da tempo – non che sia il momento migliore, ma hanno entrambi bisogno di staccare un attimo la spina e ritrovare tutta la loro forza per sostenere quel figlio che tanto amano e che al momento rischia la vita, consci del fatto che lui ci metterà tutta la sua per lottare fino alla fine a vincere la sua partita con la vita. Karl Heinz Schneider, il Kaiser, non si arrenderà mai dinnanzi alla sua malattia, la sconfiggerà e manterrà le sue promesse fatte a chi resterà per sempre nel suo cuore – anche se fisicamente non è più in terra.

 

 

***

Angolo dell’autrice: Non è stato per nulla facile scrivere questo capitolo, ammetto che mi ha scosso parecchio far morire Erik, ma mi era necessario per motivi di trama; con questo avranno sicuramente inizio i capitoli pesanti, forse a volte potrei intervallare con qualche avventura dei nipponici, ma non è sicuro. Ringrazio come sempre tutti quelli che seguono e recensiscono la mia storia, la mia insostituibile Darling, e spero di ritrovare presto anche krys e Molly, un bacione immenso a tutti, Amy

 

 

 

 


[1] Fratellone

[3] Che palle

[4] Anche se non sei stato fisicamente presente il tuo cuore lo è stato. Riprenditi presto, campione. Ti vogliamo bene, Kaiser

[5] Grazie, Fanny. Ho visto le foto e noto con piacere che vi siete divertiti, la prossima volta ci sarò anche io, promesso. Grazie di essermi accanto anche se siamo lontani, spero di poterti riabbracciare presto, amica mia. ^_^ vi voglio bene anche io!

[6] Merda

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Capitolo 16
*** Quando meno te l'aspetti ***


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Capitolo 16: Quando meno te l’aspetti 

 

È passata una settimana dalla morte di Erik: ed è esattamente una settimana che Karl si è chiuso in se stesso, parla solo se strettamente necessario e non vuole vedere nessuno, risponde quasi a monosillabi ai messaggi che Fanny gli manda e vive ogni giornata come un automa, come se fosse una vecchia videocassetta registrata alla quale mettere play ogni giorno. Nessuna emozione trapela dal suo viso di porcellana, i suoi occhi di ghiaccio non riflettono più la luce della sua Stella Guida, non c’è dolore e non c’è gioia per il Kaiser – non c’è più spazio per le emozioni. Sembra quasi una bambola di pezza che mai potrà mutare la sua espressione in base alle sue emozioni.

Per certi versi sembra quasi sia tornato indietro nel tempo, nel periodo della sua adolescenza, quando niente e nessuno poteva scalfirlo – forte e freddo come il ghiaccio eterno della gelida Siberia: forse c’è stato veramente un tempo in cui lo era, quel tempo in cui pensava solo a giocare a calcio e divertirsi, senza che gli importasse di quel pensavano gli altri… ma poi tutto mutò: arrivò lei, la sua Starlet, che lo cambiò senza che lui se ne rendesse conto, in un certo senso Grace con la sua dolcezza, la caparbietà e spontaneità era riuscita a farlo fiorire; gli aveva insegnato ad amare una donna e non solo a usarla per un suo sfogo, da quel momento gli è sempre stata accanto, lo ha sorretto nel periodo più difficile della sua vita – quando ebbero la terribile notizia della malattia dello zio e quando, sempre nello stesso periodo, i suoi genitori rischiarono di lasciarsi – ed è grazie a lei che è tornato a sorridere, senza lasciarsi cadere nella depressione e nella disperazione.

Adesso come due anni fa però, il Kaiser, è ripiombato nella depressione, questa volta ha deciso di non uscirne e di non lasciarsi aiutare nemmeno dalla sua Starlet – che ovviamente non si arrenderà – e nonostante lui l’abbia rifiutata più e più volte in questa settimana, gli è sempre accanto – e per quanto dura possa essere – non si arrenderà finché Karl non tornerà a essere l’allegro, spensierato e sorridente ragazzo del quale si è innamorata.

***

Amburgo: mercoledì 1 marzo, 2018 Villa Price, h. 8:30.

Freddy Marshall già sveglio da un’ora, lavato e vestito, sta facendo colazione in cucina mentre legge il giornale; Anny, la cuoca, che ha preparato anche per il padroncino, tenendo in caldo la sua colazione – sta controllando se ha a disposizione tutto ciò che le serve per il pranzo. Freddy sorseggia il suo caffè e addenta il croissant, leggendo le varie notizie e godendosi la tranquillità mattutina – il suo pupillo probabilmente dorme ancora – e sorride Marshall, pensando che oggi si prospetta una giornata tranquilla: Benji non ha allenamento, e lui nessun impegno, potrebbero passare una piacevole giornata insieme come ai vecchi tempi.

Benji si è già alzato da dieci minuti, sentendosi letteralmente a pezzi, ha dormito malissimo: passando la notte a coprirsi – tremante di freddo – e scoprirsi, preda dei sudori freddi. Ancora intontito dal sonno e dalla stanchezza si trascina in bagno per fare la doccia, magari riesce a svegliarsi un po’ e riprendersi, essendo libero può riposare anche un pochino nel pomeriggio. Si spoglia sentendo un freddo assurdo e si infila sotto al getto dell’acqua calda, godendo di quel torpore piacevole, lascia che l’acqua gli scorra addosso – scaldandolo – intanto che i suoi capelli si bagnano e sul suo corpo statuario iniziano a scivolare miriadi di goccioline. Dopo un po’ prende lo shampoo e inizia a strofinare i capelli, chiudendo gli occhi e mordendosi le labbra, sente ancora addosso la stanchezza e la testa girare, finisce velocemente di lavarsi e si avvolge nell’accappatoio asciugando i capelli con un asciugamano.

Dopo aver asciugato i capelli si veste e lava i denti, sentendo ancora il malessere, che sembra non volerlo abbandonare, rientra in camera sua e indossa una seconda felpa avendo freddo, chiudendo la zip mentre scende le scale per raggiungere il piano inferiore e far colazione – nonostante non abbia per niente fame – forse è meglio mangiare qualcosa per poter prendere un analgesico e riposare un po’. Un capogiro improvviso lo coglie a metà scala, facendogli perdere l’equilibrio, e cade ruzzolando giù dai gradini, finendo per terra sul tappeto in fondo alla scala, puntando istintivamente la mano destra sul pavimento per evitare di sbattere la testa. Una fitta acuta alla tempia destra – che ha comunque sbattuto sull’angolo del gradino – e un dolore lancinante al polso gli tolgono quasi il respiro, si stringe il braccio con la mano sinistra, notando solo adesso di aver dimenticato di indossare il tutore, vorrebbe alzarsi ma non ne ha la forza: la testa gli gira ancora più forte e si sente debole, chiude gli occhi e respira pesantemente, sentendo le forze venir meno.

Freddy sentendo rumore, guarda la cuoca che ricambia lo sguardo preoccupata; il mister si alza immediatamente dalla sedia e si precipita nel salone dove vi sono le scale per raggiungere il piano superiore; vede il ragazzo per terra e impallidisce preoccupato, chinandosi subito su di lui. «Oh mio dio! Benji che è successo?» chiede preoccupato, cingendogli le spalle, mettendolo seduto e notando del sangue colargli dalla tempia destra e la mano sinistra serrata sul polso destro. Intanto, anche Anny e le due cameriere, Christel e Klementina, accorrono – avendo sentito il tonfo – seguite da Sebastian, il maggiordomo.

«Freddy… non mi sento bene. Mi gira la testa, non lo so, ho perso l’equilibrio e sono caduto, mi sono anche fatto male al polso…» sussurra il portiere guardando il suo mentore e la servitù col respiro affannato e gli occhi spalancati. Marshall lo guarda stranito e gli poggia la mano sulla fronte, sentendo che è bollente. «Ma scotti, hai la febbre alta.» dice mantenendo la calma e prendendolo in braccio – con un po’ di fatica – si alza e lo stende sul divano; prende il suo fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e gli tampona le ferita alla tempia. «Chiamo un’ambulanza.» dice il maggiordomo, afferrando il cordless sul tavolino e chiamando immediatamente i soccorsi. «Grazie, Sebastian.» risponde Marshall, sorridendo al suo pupillo.

«Mi dispiace… non volevo farti preoccupare.» sussurra Benji, guardandolo e chiudendo gli occhi brucianti subito dopo. «Non scusarti, può capitare a tutti di avere la febbre, mi preoccupa un po’ la ferita e il polso.» risponde l’allenatore, prendendogli il braccio e toccandolo con delicatezza e decisione – non è medico – ma sa riconoscere fratture, distorsioni o slogature. «Ahhh… Freddy mi fai male…» si lamenta il portiere, lasciandolo però fare, mentre il maggiordomo chiude la chiamata, annunciando l’arrivo dei soccorsi e le tre ragazze guardano dispiaciute il loro padrone. «Lo so, Benji, è rotto.» risponde Freddy sospirando preoccupato.

«Possiamo fare qualcosa, signor Marshall?» chiede Christel, avvicinandosi al divano. «Sì, portami un panno e una bacinella con dell’acqua fredda, per favore.» risponde lui, guardando poi il maggiordomo. «Sebastian potresti portarmi qualcosa per reggere questo braccio?» gli chiede. «Sì, signore.» risponde prontamente, facendo un lieve inchino e correndo via con la cameriera. Benji riapre gli occhi e sbuffa, l’ultima cosa che voleva era rompersi il polso, non è per niente il momento adatto – non adesso che anche il Kaiser è fuorigioco.

Sebastian e Christel tornano con quanto richiesto, la ragazza poggia il panno bagnato sulla fronte del ragazzo e gli sorride rassicurante, ma lui nemmeno la vede, troppo infuriato e anche stordito dalla febbre e dal dolore. Sebastian aiuta Freddy a legargli il foulard al collo e immobilizzare l’arto. «Non sarebbe meglio mettergli il tutore?» chiede Klementina. «No, essendo rotto potrebbe solo peggiorare la situazione, inoltre sta iniziando a gonfiare.» risponde Marshall, finendo e stendendo nuovamente il suo pupillo, facendo annuire la cameriera, mentre il campanello suona e Sebastian corre ad aprire ai paramedici. «Prego, da questa parte. Il mio padroncino è caduto dalle scale per un capogiro causato dalla febbre e ha parato la caduta con la mano, provocando la frattura del polso, il quale era in via di guarigione da un infiammazione.» spiega, conducendoli nel salone.

***

Amburgo: mercoledì 1 marzo, 2018 ospedale, reparto di ortopedia, h. 11:30

Dopo radiografia e risonanza magnetica Benji è stato portato in reparto, il medico del pronto soccorso – che al momento fa le veci dell’ortopedico in congedo parentale – ha ritenuto necessario ricoverarlo, in quanto la caduta ha provocato la frattura tra osso scafoide e osso semilunare, e una lesione completa del legamento scafo-lunato. «Io non sono in grado di operare, inoltre al momento sarebbe impossibile per via della febbre.» esordisce il medico, finendo di sistemare la flebo al braccio sinistro del portiere che lo guarda lievemente stordito. «Capisco.» risponde Freddy, sedendosi pesantemente sulla sedie e sospirando. La giornata che aveva pianificato è letteralmente andata farsi benedire.

«Mi dispiace. Inoltre al momento non abbiamo il primario, perché fuori per motivi familiari, e nessuno dei nostri è in grado di eseguire tale intervento, che richiede maggiore esperienza.» spiega il medico, facendo annuire Marshall. «La ringrazio. Adesso allora chiamo la società, potrebbe operarlo l’ortopedico dell’Amburgo F.C., chiaramente se per voi non è un problema.» dice. «Assolutamente no.» sorride il medico, controllando che tutto sia in ordine e lasciando la camera e il paziente riposare, in compagnia del suo mentore.

Benji si è finalmente addormentato, Freddy sorride e gli carezza la fronte, facendo attenzione a non toccare la benda che ha sulla tempia destra, alla quale è stato necessario dare qualche punto; sospira e si alza, uscendo dalla camera e prendendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni, sblocca lo schermo e scorre i contatti in rubrica nervosamente, chiude gli occhi e fa un respiro profondo riacquistando la lucidità. «Thomas ti disturbo?» dice al telefono, dopo che ha ottenuto risposta.

«No, assolutamente, Freddy. Dimmi.» risponde Schneider, dal dispositivo bluetooth della sua auto.

«Sono in ospedale con Benji, è caduto dalle scale per un capogiro causato dalla febbre e si è rotto il polso infortunato, lo hanno ricoverato.» gli spiega  senza giri di parole.

«Scheiße!»[1] esclama Thomas, inchiodando i freni e fermandosi al lato della strada, prendendo il cellulare dal dispositivo e portandolo all’orecchio. «Non è una bella notizia, proprio adesso che Karl è malato, il suo infortunio non ci voleva.» continua Thomas,  sospirando dispiaciuto e preoccupato per il portiere, pensando inevitabilmente che questo interferirà negativamente sulla squadra – già priva del suo leader. «Ok, manteniamo la calma. Cosa dicono i medici?» chiede all’altro, non scomponendosi.

«Il medico che l’ha visitato dice che deve essere operato, il problema è che il loro primario ortopedico è in congedo parentale per dei problemi e che nessuno di loro è in grado di effettuare l’intervento. Non so che fare, Tom. Forse potresti chiamare i medici sociali e vedere se loro sono disponibili.» risponde Freddy sospirando, portando la mano sulla fronte che inizia a pulsare dolorosamente.

Thomas annuisce, ma rimane un attimo in silenzio, pensieroso. «No, August al momento è malato, ed è lui l’unico chirurgo in grado di effettuare tale intervento, vista la sua esperienza.» sospira poco dopo.

«Allora cosa facciamo?» chiede Marshall disperato.

«Non lo so… aspetta, posso provare a chiamare Joachim e vedere se è disponibile lo staff della nazionale, al momento non mi viene altro, amico. Io sto comunque venendo in ospedale, stavo andando da Karl.»

«D’accordo, grazie, Thomas.» risponde Freddy, sospirando e sedendosi stancamente sulla panca, chiude la chiamata e guarda l’ora, facendo il calcolo del fuso orario, fa partire una seconda telefonata – questa volta per il Giappone.

«Ciao, Freddy. Sono rientrato adesso da una riunione con la Federazione. Come va?» chiede il suo interlocutore aprendo la porta di casa ed entrando.

«Kirk… scusami, non volevo disturbarti.» sussurra Marshall.

«Ma no, quale disturbo? Sono o non sono il tuo migliore amico?» risponde Pearson con un sorriso sedendosi sul divano.

«Lo sei, grazie di esserci.» conferma il commissario tecnico con un lieve sorriso, mentre l’altro lo incalza a dirgli tutto. «Si tratta di Benji…» sospira Freddy.

«Ti prego, dimmi che non ne ha combinata un’altra delle sue.» sospira Kirk, pronto al peggio.

«No, non questa volta. Stamattina si è svegliato con la febbre, è caduto dalle scale per un capogiro e si è rotto il polso. Lo hanno ricoverato e devono operarlo, il problema è che il primario dell’ospedale ha problemi familiari e quindi è assente, e il medico chirurgo dell’Amburgo è malato, quindi non c’è nemmeno lui. Sono disperato, Kirk… non conosco nessun medico che possa aiutarmi,  ho chiamato te nella speranza di un aiuto.» spiega Freddy, cercando di essere il più chiaro e dettagliato possibile.

«Capisco. Forse so chi fa al caso nostro, faccio un giro di chiamate e ti richiamo. Tu nel frattempo non abbatterti, risolveremo tutto.» risponde Kirk, chiudendo la telefonata e chiamando Julian Ross.

Marshall rientra in  camera e si siede, osservando in silenzio il suo pupillo ancora addormentato.

***

Amburgo: mercoledì 1 marzo, 2018 ospedale: camera di Karl, h. 12:00

«Ho detto che voglio esser lasciato in pace. Cosa non ti è chiaro, esattamente? Non è un concetto difficile da capire.» risponde acidamente il Kaiser, voltando le spalle alla fidanzata che, anche oggi, è andata a trovarlo con tutte le sue buone intenzioni – sperando che smetta di tenere il muso lungo al mondo intero – ma a quanto pare la sua speranza è vana, ma di certo lei non si arrenderà finché non avrà ottenuto ciò che vuole. Se il Kaiser vuole fare la guerra, lei sarà ambasciatrice di pace.  «No, che non ti lascio in pace, Karl Heinz Schneider, se qui c’è qualcuno che non ha chiaro il concetto quello sei tu.» risponde a tono Grace, alzando lievemente la voce. «Non mi interessa, non ho bisogno di niente e di nessuno. Voglio solo che ti togli dalle palle e  mi lasci in pace.» risponde lui, tagliente e gelido.

La manager si morde la labbra, rimanendo ferita da quelle parole e da quel tono, ma ricaccia indietro le lacrime e si siede sul letto. «Forse non hai capito: non me andrò da questa stanza finché non la smetterai di comportarti in questo modo infantile e insensato. Lo so come ti senti, tutti lo sappiamo e ti siamo vicini per cercare di aiutarti, ma tu così non sei molto d’aiuto. Inoltre complimenti: è così che mantieni le promesse fatte a coloro che non ci sono più?» gli dice guardandolo negli occhi, dicendogli tutto ciò che pensa, ma restando calma e parlando con dolcezza. Karl si morde le labbra e sospira, guardandola con gli occhi lucidi. «Lo so, hai ragione. È un comportamento idiota e senza senso… solo non mi aspettavo che potesse accadere.» sussurra iniziando ad aprirsi.

 “Luce in fondo al tunnel, boccata d’aria… limpida.

Parole e musica.

Casa dolce casa. Un po’ città, un po’ isola: un po’ New York un po’ Polinesia.

 Siamo qui: tante vittorie, giorni bellissimi, sconfitte stupide, giorni difficili, tristezze ed euforie, gioie e dolori…

ma sento sempre che tu ci sei, che anche quando è dura, non te ne vai…

 e anche coi denti combatterai, sempre accanto a me, non mi abbandonerai.” 

Grace gli sorride e gli carezza la guancia con dolcezza, stringendolo forte al suo seno, iniziando a carezzargli la schiena. «È stato come tornare all’inferno di due anni fa, sapevo che le condizioni di Erik fossero gravi, ma non immaginavo che sarebbe morto così all’improvviso, non l’ho nemmeno salutato… Grace ho paura.» sussurra Karl – stanco, demoralizzato, amareggiato, deluso, da questa vita che gli si è rivoltata contro. «Lo so, ricordo com’eri quando tuo zio si è ammalato ed è morto, ed è normale abbattersi per la morte delle persone care, ma non ci si può far nulla… bisogna solo farsi forza e continuare a vivere anche per loro. Non devi arrenderti, Karl, devi continuare a lottare e vincere anche per loro, tenendo fede alle promesse che hai fatto.» sussurra Grace con un sorriso carezzandogli la guancia.

Il Kaiser la guarda e sorride, con il suo solito meraviglioso sorriso, quello che la ragazza tanto ama. «Sai? La prima volta, quando ci siamo messi assieme al Paulaner’s, ti ho chiamato Starlet perché mi era sembrato un vezzeggiativo carino, ma ripensandoci adesso ti si addice perfettamente. Sì, Grace, perché tu sei davvero la mia Stella Guida: sei stata colei che mi ha fatto conoscere l’amore e capire che c’è una grandissima differenza con il sesso fatto senza sentimento; colei che mi ha aiutato a ritrovare la via di casa quando l’avevo smarrita e a non perdermi nelle tenebre della notte, è grazie a te se sono riuscito a superare la morte di mio zio e ritornare a essere il Karl che ami. Tu sei la mia luce e il mio appiglio, senza te accanto non sarei quel che sono e forse non sarei nemmeno qui adesso. Te lo prometto, Starlet, lotterò con tutto me stesso e non mi arrenderò. Se ci sarai tu a illuminare il mio cammino nulla potrà mai fermarmi, tu sei la mia Stella in mezzo alle tenebre e l’amore della mia vita. Ti amo immensamente, Starlet.»  sussurra aprendole il suo cuore, per la prima volta in due anni e mezzo, come mai ha fatto.

“Sei fantastica! Forte come il rock’n roll.

Una scarica, uno shock elettrico.

Sei la fonte di energia più potente che ci sia: bomba atomica, dritta nello stomaco.” 

«Karl… amore mio, questa è la dichiarazione più bella che una ragazza possa mai desiderare dal proprio fidanzato.» sussurra Grace con le lacrime agli occhi. «Tu sei tutto ciò che ho sempre desiderato, sei stato il mio primo ragazzo e lo sai, e voglio che tu sia anche l’ultimo, perché non potrei mai volere un uomo diverso da te al mio fianco. Tu sei colui a cui mi sono donata, anima e corpo, e non potrei rinunciare a te per nulla al mondo. Sei la mia ragione di vita e non smetterò mai di starti accanto e di brillare per te, ci sarò sempre quando ti perderai nel buio e ti riporterò alla luce, proprio come una Stella che rischiara la più cupa delle notti. Ti prego, Karl, non arrenderti mai… non lasciami mai, amore mio, solo se tu continuerai a vivere al mio fianco io sarò in grado di brillare senza mai spegnermi.» sussurra Grace in lacrime, guardando intensamente quei meravigliosi diamanti di ghiaccio che sono irrimediabilmente la sua rovina – annegando in essi.

Karl sorride con gli occhi lucidi di gioia e commozione, la stringe a sé e la bacia con dolcezza, Grace ricambia subito la stretta e il bacio – emozionata come se fosse il loro primo – ma questo è anche più bello, perché forti del sorriso ritrovato, della complicità che sembrava perduta, consapevoli di essere l’uno il fondamento della vita dell’altra – se saranno insieme niente e nessuno potrà mai distruggerli: nemmeno la malattia che li ha colpiti riuscirà a spezzare questo legame indissolubile. «Sei fantastica, Starlet, adesso che ti ho nella mia vita non riuscirei più a immaginarmi senza di te.» sussurra Karl dolcemente, carezzandole la guancia con l’indice. «Vorrei essere il raggio di sole che, ogni giorno, ti viene a svegliare per farti respirare e farti vivere di me. Vorrei essere la prima stella che, ogni sera, tu vedi brillare perché così i tuoi occhi sanno che ti guardo e sono sempre con te. Vorrei essere lo specchio che ti parla, e che, a ogni tua domanda ti risponda che: al mondo tu sei sempre il più bello[2] sussurra Grace, guardandolo intensamente negli occhi, esternando i  suoi pensieri più intimi. Delle semplici parole dettate dal cuore: profonde, bellissime, sincere, casuali – ma nell’insieme così musicali da sembrar quasi una poesia. Schneider sorride di nuovo commosso e la stringe fortissimo. «E io voglio che tu sia tutto questo, amore mio.» sussurra. Grace, la sua splendida Starlet, è davvero la cosa più bella e preziosa che la vita gli abbia mai regalato. 

“Storia a lieto fine, ai confini della realtà. Favola: bacchetta magica.

Ragione e passione, giovinezza e maturità.

Armonia: tra corpo e anima.

Siamo qui: tante vittorie, giorni bellissimi, sconfitte stupide, giorni difficili, tristezze ed euforie, gioie e dolori…

ma sento sempre che tu ci sei, che anche quando è dura non te ne vai,

e anche coi denti combatterai.

Sempre accanto a me, non mi abbandonerai!”

Ritrovata l’allegria e la complicità, i due fidanzati, possono finalmente ridere e scherzare – come non facevano da una settimana. «Scemo!» lo apostrofa Grace, ridendo come una matta, dopo che lui ha preso una ciocca dei suoi capelli e l’ha posata sulla sua testa calva, ridendo come uno stupido. «Mi dispiace, ma i capelli castani ti stanno malissimo, Kaiser, stonano di brutto con i tuoi bellissimi occhioni azzurri e la tua carnagione chiara.» lo prende in giro la fidanzata, ridendo ancora. Karl la guarda negli occhi e ride felicissimo di averla accanto, le asciuga le lacrime causate dalle troppe risate e la bacia di nuovo, con tutto il suo amore. Grace lo stringe e ricambia il bacio con il cuore che le martella nel petto, colmo di gioia e felicità.

Il trillo del cellulare della ragazza li riporta alla realtà, facendoli staccare, ancora sorridenti e lievemente affannati per il bacio. «Non è possibile! Non può essere…» sussurra Grace leggendo il messaggio incredula, con gli occhi sbarrati, alzando lo sguardo verso il fidanzato, guardandolo con la bocca aperta. «Che c’è?» le chiede lui, guardandola confuso, non sapendo se preoccuparsi o meno. «È un messaggio di tuo padre. Benji… si è rotto il polso cadendo dalle scale e lo hanno ricoverato.» sussurra la ragazza, lasciando scendere le lacrime e guardando il fidanzato preoccupata. Karl la guarda e sbarra gli occhi, immaginando la scena che quasi gli fa venir da ridere, ma la preoccupazione per l’amico prendo il sopravvento sull’ilarità. «Benji è caduto dalle scale?» ripete sconvolto, lasciando uscire una leggera risatina. «Non lo so, non mi ha scritto altro nel messaggio.» risponde Grace leccandosi nervosamente le labbra. «Andiamo a trovarlo.» dice Karl infilandosi le scarpe da tennis e il cappellino che l’amico gli regalò, facendo annuire la fidanzata, che lo prende per mano e lo trascina al reparto di ortopedia dove il portiere è ricoverato.  

“Sei fantastica! Forte come il rock’n roll.

Una scarica, uno shock elettrico.

Sei la fonte di energia più potente che ci sia:

bomba atomica, dritta nello stomaco.” 

 

***

«Se non te la sentivi di portare il peso della fascia da capitano bastava dirlo apertamente, non c’era bisogno di mettere in scena questa commedia. Se solo lo avresti detto il mister avrebbe scelto qualcun altro.» esordisce il Kaiser entrando nella camera dell’amico assieme alla fidanzata, facendo ridere il padre e l’allenatore giapponese. «No, in realtà non è stato il peso della fascia, mi dispiaceva saperti qui solo soletto, quindi ho messo su questa farsa per poterti tener compagnia.» risponde a tono il portiere, facendo ridere ancora i presenti. «Sei un deficiente, quando ho saputo che sei caduto dalle scale mi è venuto da ridere immaginando la scena e successivamente la faccia di Hermann, che appena lo saprà riderà per un’ora.» ammette Karl, ridendo e stringendolo. «Avrei voluto vedere te con la febbre, anzi, ora che ci ripenso: com’era quella volta che ti sei sbronzato? “Amore sei una favola. Ci vieni a letto con me?” Remember, Kaiser?» risponde Price con la battuta pronta, facendo impallidire Karl che ricorda immediatamente e ricevendo uno sguardo interrogativo dai due adulti, che poi riprendono a parlare, senza darci troppo peso.

«Ok, potete anche smettere di fare i cretini tutti e due. Quanto a te Benji, non provare mai più a farmi morire di paura, sembra che tu e tuo compare vi mettiate d’accordo per finire in ospedale in contemporanea.» sbuffa Grace, stringendo il suo migliore amico e baciandolo in guancia, mentre lui ride e le bacia il naso. «Chissà, Starlet…» la prendono in giro entrambi i calciatori, baciandole le guancia contemporaneamente mentre lei scoppia a ridere e pizzica le loro. «Siete due cretini patentati, ma senza di voi non potrei più vivere.» dice felice, ridendo con i due ragazzi.

«Joachim non mi risponde, non so veramente cosa fare.» sospira Thomas, poggiato alla finestra, sussurrando la frase accanto a Freddy. «Non preoccuparti, Tom, anzi grazie. Dopo che ho chiuso con te ho chiamato Kirk  disperato, speranzoso che lui potesse darci una mano e ha trovato un chirurgo disposto a operarlo, è il migliore di tutto il Giappone e una persona della quale possiamo fidarci, il dottor Gregory Ross, è il padre di uno dei miei ragazzi della nazionale, nonché zio di Fanny.» risponde Marshall, sollevato e con un pensiero in meno a cui far fronte. «Meno male, allora la questione è risolta.» sorride Thomas sollevato anche lui, guardando i ragazzi ridere e scherzare. «Quindi a operarti sarò lo zio della tua ragazza?» chiede Karl, avendo sentito la risposta di Freddy, non perdendo occasione di prendere in giro l’amico. «Parli tu che hai suo padre come medico?» risponde Benji ridendo. «Beh, ragazzi… quando si dice il destino.» dice Grace ridendo per la coincidenza.

Il cellulare di Benji inizia a squillare: Fanny, come se si fosse sentita tirata in causa, lo sta chiamando; il Kaiser è però più veloce del portiere e afferra il cellulare e risponde. «Guten abend,[3] Fuffy. Tranquilla, il tuo ragazzo è ancora vivo, forse un po’ delirante di febbre e con un braccio rotto, ma ancora tutto intero.» le dice, facendola scoppiare a ridere.

«Sì, lo so che è ancora vivo, nonostante la febbre, la caduta dalle scale e il braccio rotto. Mio zio mi ha già detto tutto quanto.» risponde Fanny ridendo, mentre Karl mette il vivavoce.

«Parla ti sentono.» le dice, guardando l’amico che lo guarda e ride.

«Ciao, amore… scusami, ma quando lo zio me l’ha detto sono scoppiata a ridere immaginandoti ruzzolare dalla scale, poi mi sono depressa e messa a piangere e volevo correre immediatamente da te, ma non posso, inoltre  mio zio mi ha detto che ti rimetterà in sesto e  mi sono tranquillizzata.» dice la ragazza al fidanzato.

«Ma che simpatica la mia Fuffy, adesso capisco perché vai d’amore e d’accordo con Karl, si sta divertendo quanto te a prendermi in giro per questa faccenda.» sbuffa Benji, fingendosi arrabbiato, ma ridendo.

«Sì, devo dire che mi sta molto simpatico il Kaiser, non a caso è diventato il mio migliore amico in così poco tempo, e anche a distanza.» risponde Fanny ridendo. «Comunque, ora che sei in ospedale, vedi di non farmi preoccupare troppo, adesso devo andare a cena dalla nonna, dopo ti chiamo così la saluti.» continua poi tornado seria.

«Va bene, Fuffy.» le risponde Benji con il sorriso sulle labbra. «Mi manchi, amore…» sussurra subito dopo.

«Anche tu mi manchi, tranquillo, verrò presto e staremo insieme per un bel po’; devo dare gli ultimi due esami qui e poi potrò finalmente venire in Germania per la specialistica.» risponde Fanny, allegra e felice, facendo impallidire il povero Marshall, che immagina già le liti all’ordine del giorno e per ogni scemenza, a cui potrà assistere gratuitamente.

«Non vedo l’ora.» risponde Benji felice. «Fanny… ti amo.» aggiunge.

«Anche io ti amo, Benji.» risponde la ragazza chiudendo la chiamata, dopo aver salutato tutti.

Karl guarda l’amico e inizia a fargli il verso, ridendo come se fosse un bambino. «Ma la smetti? Sei tu quello che delira, nonostante sia io quello ad avere la febbre.» lo riprende Benji, però felicissimo, di aver di nuovo l’amico sorridente, coinvolgendo anche Grace nel loro insolito teatrino, facendo ridere Thomas e Freddy, nessuno sente bussare alla porta, finché essa non viene aperta. «Scusate, non volevo disturbare.» dice Alfred Ross, affacciandosi e guardando i presenti, trovando finalmente anche il suo paziente – ma immaginava fosse corso dall’amico – come ha fatto lui appena ha saputo la notizia dal fratello, in fondo è il ragazzo della sua bambina. «L’ho appena saputo. Mi dispiace, Benji, ma stai tranquillo, mio fratello è bravissimo.» dice avvicinandosi al letto, carezzando la guancia del ragazzo, dopo aver salutato i presenti che hanno ricambiato.

«Lo so, me l’ha già detto Fanny. Grazie per esser passato a trovarmi.» sorride il portiere lievemente in imbarazzo, non si aspettava certo questa visita. «Ma figurati, so quanto tieni alla mia principessa, e poi mi stai simpatico.» risponde il neurochirurgo, facendolo arrossire lievemente, scatenando l’ilarità del Kaiser. «Quanto a te, signorino Schneider, sono felice di vedere che hai ritrovato il sorriso. Adesso però fila in camera tua, tra due ore hai la chemio e vorrei evitare colassi.» lo riprende bonariamente il medico, facendolo smettere all’istante di ridere. «Che palle!» sbuffa Karl, però ubbidendo e alzandosi, prendendo Grace per mano, che gli sorride e bacia l’amico. «Se te la senti e i medici te lo permettono puoi raggiungerci in camera dopo la seduta di chemio.» gli dice, facendolo udire a tutti. «Vedremo, signorina. Dipenderà da come starà Karl e se Benji sarà in grado di alzarsi per la febbre – direi che un polso rotto è più che sufficiente.» risponde Alfred Ross, facendo annuire i tre ragazzi e sorridere gli allenatori, saluta e accompagna il Kaiser e la fidanzata in neurologia.

 

 

 

***

 

Angolo dell’autrice:  E in questo capitolo è tornato a farci compagnia Max. Avevo pensato già da parecchio tempo di inserire “Sei fantastica”, ma non sapevo bene in che capitolo inserirla, è stato un caso sia capitata qui; nemmeno la strofa di “Favola” doveva esserci, anzi nemmeno mi era venuta in mente questa, è stato ancora più casuale della prima. Aggiornamento rapido questa volta, ma che faticaccia questo capitolo, non perché è stato difficile da scrivere, anzi mi è venuto fuori tutto di getto; la cosa tragicomica è che al momento del salvataggio per sbaglio ho cliccato sul “no” e ho perso circa metà capitolo – lascio immaginare a voi la mia disperazione – ho tentato in tutti i modi di recuperare la parte perduta, ma non c’è stato verso, alla fine mi sono rassegnata e ho riscritto da capo la parte perduta; ovviamente non è venuta come la prima, perché per quanto si possa ricordare, le parole non verranno mai identiche – ma sono comunque soddisfatta di questa seconda stesura, dunque per questo è stato un capitolo difficile e lo considero anche uno dei miei preferiti, perché mi è rimasto impresso nella mente in modo particolare. Okay, disavventure a parte, spero vi sia piaciuto – perché il giudizio finale spetta a voi lettori – io, da autrice, non ho voce in capitolo in questo caso. Ringrazio sempre tutti voi che leggete e seguite la mia storia; la mia Darling sempre presente, disponibile, meravigliosa e fantastica. ♥   Bimba questa volta sei stata fondamentale, se non ci fossi stata tu a sostenermi nella tragedia, non so cosa avrei potuto fare. Grazie! Un altro grazie particolare questa volta va alla mia adorata Nee-chan, perché dopo la disavventura con la parte persa sono entrata nel panico, e ho chiesto consiglio a lei sulle due canzoni. Grazie anche a te di esserci sempre e di esistere. Ti adoro! ♥   Ci vediamo al prossimo aggiornamento, vostra sempre, Amy.

 

 

 

 


[1] Merda

[2] nella canzone – Favola dei Modà –  è “la più bella”, ma a me serviva che fosse Grace a dedicare le parole al Kaiser, perché lei è la sua stella, e qui il cantante dice che vorrebbe essere il sole e la stella della principessa. Via di licenza poetica.

[3] Buonasera

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Capitolo 17
*** On the Road... ***


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Note introduttive: se la volta scorsa sono riuscita a risparmiarle, in questo sono necessaria. xD Allora: “On the Road…” è un capitolo particolare, un capitolo transitorio e leggero, prima degli interventi che Benji e Karl dovranno subire; ma è anche parte di un titolo che ho usato per uno spin-off/finale alternativo di questa storia, il cui titolo completo è: “On the road of the life”, ovviamente essendo parte del capitolo finale la pubblicherò solo quando questa fiction sarà conclusa; ma torniamo a questo capitolo e al perché della scelta di questo titolo. Non è un riciclaggio o una mancanza di fantasia, no, è perché tutti i personaggi presenti in questo capitolo – e anche storia se vogliamo estendere la cosa – stanno percorrendo la loro strada – chi più faticosa chi meno – ma sono tutti su di essa: sia la strada irta e faticosa della malattia, sia la strada della vita, sia la strada delle scelte che faranno in futuro… e poi c’è ancora chi la propria strada non l’ha trovata. Inoltre, so che non frega niente a nessuno, ma io sono stata una scout per metà della mia vita – e sì, gli scout proprio quegli scemi che girano in pantaloncini corti anche d’inverno con un freddo assurdo – per lo scout la “strada” letteralmente e figurativamente parlando, ha un gran significato: il significato della crescita interiore della persona che ognuno di noi ha; nel senso letterale, lo scout fa molta strada a piedi e per quanto possa esser faticoso o in salita il cammino, egli non si arrende mai e canta e sorride anche nelle difficoltà, rendendo la fatica un pochino meno pesante, figurando così il fatto che la strada della vita non è mai facile o in discesa, ma è spesso – sempre – faticosa e in salita. Detto questo, penso che anche qui si possa applicare la medesima cosa, perché i personaggi cercano in qualche modo di andare avanti – cercando di superare le difficoltà con l’aiuto degli amici e dei familiari – affrontando tutto con un sorriso.  Adesso vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia, ma ci ritroveremo alla fine con le note – che qui sono parecchie. Amy

 

 Capitolo 17: On the Road…

 

Nonostante le pesanti assenze alle quali deve far fronte l’Amburgo F.C., la Bundesliga di certo non si ferma; la squadra, priva del suo leader e del suo portiere titolare, deve ora stringere i denti e continuare per la corsa al Meisterschale. Thomas incoraggia e sprona i suoi ragazzi come può, ma sa benissimo quanto l’assenza di Karl  e Benji gravi sulle spalle dei compagni, anche Grace – da brava manager – fa del suo meglio per i ragazzi; dunque con Deuter Müller[1] tra i pali ed Hermann Kaltz nel ruolo di capitano: l’Amburgo gioca in casa l’anticipo di campionato contro il Werder Brema di Franz Schester e Manfred Margas, i due dispiaciuti per la tragedia che ha colpito il Kaiser – che tra l’altro è anche un amico, oltre che loro capitano in Nazionale – hanno appreso anche dell’incidente di Price; nonostante la rivalità che comporti il campionato, l’intera squadra di Brema ha fatto gli auguri ai padroni di casa affinché possano giocare una bella partita e perché no cercare di vincerla – sottolineando però il fatto che non gli regaleranno nulla.

L’impegno e la determinazione non sono certo mancati alla squadra ospitante: Kaltz ha segnato al 10’ del primo tempo, dedicando il goal ai suoi due fratelli del cuore; hanno concesso pochissime occasioni agli avversari e difensori e portiere sono stati impeccabili e hanno chiuso i primi 45’ in vantaggio. Nella ripresa il Werder Brema si è subito portato all’attacco, spodestando un po’ l’invalicabile difesa dell’Amburgo, insistendo hanno anche trovato il pareggio al 77’, grazie a un goal della loro bandiera Schester – che conoscendo bene Müller compagno di Nazionale – lo ha beffato. I padroni di casa però, non si sono persi d’animo, guidati da Hermann Kaltz sono tornati all’attacco, creando parecchie occasione, purtroppo infrante dall’estremo difensore avversario. Il rinvio lungo del portiere viene intercettato da Margas, che al fianco del suo capitano, si spinge in attacco impegnando ancora una volta la difesa dell’Amburgo.

Hoeness[2] e Gongers[3] vanno subito a marcare i due attaccanti, che li dribblano fino al limite dell’area, finché il primo commette un fallo involontario ai danni di Margas e l’arbitro è costretto a concedere un calcio di punizione al Werder Brema: Schester si posiziona davanti alla barriera e guarda Deuter, che un po’ infastidito dai compagni piazzati in difesa della porta, dà loro indicazioni sulla disposizione e, sospirando, si prepara a ricevere il tiro; il cronometro segna ormai l’88’ quando l’arbitro fischia per concedere al capitano di battere. Franz calcia il pallone con grande forza, facendolo passare sopra la barriera con una parabola perfetta, Müller è in posizione giusta e si tuffa dando tutta l’impressione di arrivarci, ma il pallone ricade in picchiata verso il basso, rimbalzando sul terreno di gioco davanti al portiere ed entrando inevitabilmente in porta.

«Sich verpissen![4] Mi ha fregato con la Maledetta.[5]» sbuffa Deuter, dando un pugno al palo, raccogliendo il pallone e rinviandolo con rabbia, viene intercettato da Kaltz, che sospira per il goal appena subito a pochi minuti dalla fine, sputa lo stecchino dalla bocca e scatta  a tutta velocità in attacco. “Adesso si fa sul serio.” pensa determinato. Si spinge in attacco con un’azione in solitaria – dribbla tutta la squadra avversaria, si ritrova solo davanti al portiere e carica il destro, ormai vincere la partita è praticamente impossibile, ma vuole almeno pareggiare – solitamente lui è l’uomo assist – ma questa volta gli tocca vestirsi da uomo goal, calcia un potente pallonetto, che purtroppo viene sfiorato dal portiere e si infrange all’incrocio dei pali – mentre l’arbitro fischia dichiarando la fine dell’incontro e la vittoria del Werder Brema.

Hermann Kaltz fissa il pallone in lacrime e si lascia cadere sulle ginocchia. «Perdonatami, amici, non ce l’ho fatta…» sussurra piangendo. Ha fallito nella sua prima partita da capitano, ha fallito non mantenendo la promessa fatta ai due amici in ospedale di vincere anche per loro. «È stata sfortuna, ci rifaremo alla prossima, capitano.» lo incoraggia Briegel,[6] porgendogli la mano per alzarsi, Kaltz alza lo sguardo e lo ringrazia con un sorriso, afferrandola e rialzandosi. «Gran bella partita, complimenti davvero, capitan Kaltz. Sono sicuro che se ci fossero stati anche Karl e Benji avreste vinto voi.» sorride Franz  Schester, stringendogli la mano. «Grazie, amico.» risponde Hermann stringendolo. «Porta i miei saluti al Kaiser e anche a Price. Spero riusciranno a essere entrambi in Russia con noi.» dice ancora il centrocampista del Brema, facendo sorride ancora di più Kaltz e facendolo annuire, mentre escono dal rettangolo verde.

***

Parigi: domenica 5 marzo, 2018, 131  Boulevard Saint-Germain,[7] Restaurant Leon de Bruxelles, h. 13:00.

È una bella e soleggiata giornata in quel dì Parigi: la gente passeggia per le strada o fa sosta per il pranzo nei vari ristoranti che costeggiano la Senna, mentre essa scorre inesorabile lungo il suo letto, rendendo magica quella magnifica città – ignara di esser una delle tante meraviglie parigine – che attirano turisti da ogni parte del mondo.

Tra i tanti che affollano le strade e i locali, spicca una comitiva di ragazzi – all’apparenza amici di lunga data – ma dire amici è un po’ un eufemismo, sono sì amici, ma non di vecchia data né tantomeno così profondamente legati; anche se i tre ragazzi in campo sono un trio molto affiatato e le due ragazze delle ottime managers. Pierre Le Blanc, il capitano elegante, con la fidanzata Azumi; Tom Baker, il fuoriclasse venuto dal Giappone, assieme alla fidanzata Charlotte; e Louis Napoleon, meglio conosciuto per i suoi scatti d’ira in campo, oltre che per la sua bravura.

Ordinato un pranzo leggero, calciatori e managers, iniziano a mangiare. «Avete visto che schifo di partita che hanno fatto quei tedeschi? Io lo dico da sempre che quelle schiappe senza quel presuntuoso di Schneider sono delle mezze calzette… e anche quel Müller che si monta tanto la testa e poi si fa segnare due goal da coglione, certo, non che Price sia meno montato, ma almeno li avrebbe presi.» esordisce Napoleon, mandando giù il boccone, ricevendo due occhiatacce dai  compagni di squadra. «Louis piantala di fare lo stronzo. Karl sta soffrendo parecchio per la malattia e preferirebbe mille volte essere in campo con i suoi compagni, piuttosto che assistere impotente alle loro sconfitte da una camera d’ospedale.» lo riprende Le Blanc, che nonostante i molteplici difetti, non disprezza o sottovaluta gli avversari – a differenza del compagno.

«Ha ragione Pierre, Louis. Sono nostri avversari, ma sono comunque amici accomunati dalla nostra stessa passione. Inoltre ti avrò ripetuto mille volte che non sopporto questo tuo sentirti superiore e screditare tutti gli altri; non ho visto la partita dell’Amburgo, ma posso benissimo immaginare quanto sia difficile ritrovarsi senza il loro capitano – e improvvisamente anche senza il portiere titolare – che vorrei ricordati è un mio grande amico, anche se è l’unico al quale hai quasi fatto un complimento. Müller non sarà sicuramente mister simpatia, questo te lo concedo, ma è innegabile la sua bravura tra i pali. Se solo tu capissi una volta tanto cosa significhi spirito di squadra, forse potresti capire come si sentano quei poverini.» concorda Tom, ricevendo un sorriso dal capitano e un bacio in guancia dalla fidanzata.

«Oh, ma che lagne che siete, io ho solo detto quello che penso della partita che ho visto.» risponde Napoleon con nonchalance come se avesse detto qualcosa di non offensivo. «Certo, siamo in  un paese democratico e ognuno è libero di esprimere la propria opinione, purché essa non arrechi offesa e tu in questo momento stai offendendo una squadra intera.» lo riprende ancora Tom sospirando affranto, ricevendo ancora un bacio dalla fidanzata che lo guarda con un sorriso. Dopo la batosta presa con l’ex fidanzato, Charlotte, è felice di aver voluto dare una chance a questo ragazzo giapponese: la sua dolcezza e bontà d’animo l’hanno fatta innamorare in poco tempo.

«La smetterà mai?» sussurra Azumi all’orecchio di Pierre, che sospira e alza le spalle. «Non lo so, ma è insopportabile quando fa così, con tutto il bene che gli voglio, a volte mi fa venir voglia di spaccargli la faccia, ma non potrei mai fare nulla del genere contro il mio migliore amico.» dice prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans e sbloccandolo, mentre i due compagni di squadra continuano a discutere e le ragazze si guardano sconsolate, apre Messenger aprendo la chat sul contatto di Schneider – che è anche connesso.

«Ciao, Kaiser. Come va?» scrive, riprendendo a mangiare in attesa della risposta, che non tarda ad arrivare.

«Ciao, prima donna. xD» risponde scherzosamente Karl continuando a scrivere. «Potrebbe andare meglio, lo ammetto, come ammetto che vorrei giocare a pallone piuttosto che stare chiuso qui dentro a farmi due palle quanto una casa. 
Ma al momento l’unica cosa che posso fare è guarire e aspettare paziente di poter tornare in campo.» scrive, sapendo che può parlare tranquillamente con il francese.

«Capisco. Immagino quanto sia palloso stare in ospedale, ma so anche che ce la metterai tutta e che tornerai più forte di prima, campione.» risponde Pierre, guardando ancora Tom e Louis battibeccare. «Basta, Napoleon! Hai rotto le palle con queste stronzate. Se vuoi dire qualcosa a Schneider dimmi pure che riferisco, magari ti risponde per le rime.» gli dice guardandolo dritto negli occhi, girando il suo iPhone facendogli vedere la conversazione attiva col tedesco, mentre l’altro rotea gli occhi al cielo e riprende a mangiare in silenzio.

Tom sospira di sollievo per la cessata discussione inutile e si avvicina al capitano. «Stai chattando con lui?» chiede, portando poi un pezzo di carne alla bocca, mentre Le Blanc annuisce e finisce il suo pasto, riprendendo in mano il cellulare. «Ho saputo della partita persa e dell’infortunio di Benji, mi dispiace. Cosa è successo, esattamente?» scrive ancora, mentre il Kaiser lo ringrazia per gli auguri e l’incoraggiamento a non arrendersi.

«I ragazzi si sono un po’ persi d’animo, ma hanno giocato una bella partita nonostante la sconfitta.
Benji… oddio, se sapesse che te l’ho detto posso ritenermi morto, ma chissene… ahaha!
Ha preso la febbre ed è caduto dalla scale di casa, parando la caduta con la mano destra, e il medesimo polso già lievemente infortunato ha avuto il colpo di grazia.
Adesso non ha più febbre e possono operarlo, sarà il padre di Julian Ross a occuparsene per una serie di vicissitudini.»
 gli spiega ridacchiando ancora un po’ alla scena.

«No, vabbè, ma questa è sfiga bella e buona, scusa, ma non posso che ridere immaginando la scena. Ahahah!» risponde Pierre ridendo leggermente assieme a Tom. «Povero Benji, spero non sarà come quella volta alle elementari che fu costretto a saltare tutto il campionato e tornare solo per la finale, ancora convalescente.» sospira, leggendo quello che intanto scrive l’altro. «Scherzi a parte, mi dispiace che si sia infortunato e mi dispiace anche che abbiate perso.
Noi oggi ce la giochiamo contro il Lione, sperando di sorpassarli e accedere direttamente alla Champions.
Se voi riuscirete a qualificarvi non sarà lo stesso giocare contro l’Amburgo senza te e Benji.» scrive il capitano elegante, facendo sorridere il compagno giapponese.

«Ve lo auguro, Pierre. ;) 
No, quest’anno non credo che riusciremo a qualificarci, lo spero per i miei compagni, forse se Benji rientra per tempo potrebbero anche farcela… ma li conosco, ce la mettono tutta e poi basta un niente per scoraggiarli.
Mi farebbe piacere veder vincere voi se dovessi scegliere una squadra, anche se ovviamente prima tifo per il Bayer Leverkusen.» scrive ancora il Kaiser finendo di mangiare e stendendosi annoiato sul letto.

«Vedremo quello che succederà in Champions, allora. Spero, anzi speriamo – c’è anche Tom Baker con me – che entrambi riuscirete a essere in forma per la Russia, il mondiale senza due campioni del vostro calibro non sarebbe lo stesso. Vi auguriamo il meglio e di guarire in tempo. ;) :*» risponde Pierre con sincerità e anche affetto – in fondo il tedesco non sarà un grande amico – ma si rispettano.

«Grazie ancora, Pierre. Saluta Tom da parte mia. ;)» scrive Karl, leccandosi le labbra e ridacchiando, pensando a una cosa per punzecchiarlo. «Ah, comunque, graziosa l’immagine del profilo in sella a Principessa.
Degna della prima donna che sei. ;P» scrive ancora ridendo, beccandosi una pernacchia dal suo interlocutore.

«Beh… te l’ho detto anche io, ma non saresti tu altrimenti.» lo prende in giro anche Baker, avendo letto il messaggio del Kaiser e concordando con lui. «Simpatico anche tu.» ride Le Blanc, dandogli una gomitata, ridendo entrambi. Il gruppo finisce di mangiare con tutta calma, tra una risata e qualche battibecco, pagano il conto e prendendo le auto raggiungono il Parco dei Principi, per la partita casalinga di campionato contro il Lione.

***

 Amburgo: domenica 5 marzo, 2018 ospedale, camera di Benji, h. 18:00.

«Spero non arrivi depresso, già ne ho abbastanza di me e te costretti a star rinchiusi qui, anche lui non lo reggo, oltre al fatto che non ha nulla per cui farlo, hanno giocato tutti benissimo e lui è stato un gran capitano.» sbuffa Benji, stiracchiandosi annoiato e intorpidito. «Troveremo il modo per tirarlo su, ma anche io mi sentirei solo senza voi in campo.» risponde Karl con un sospiro, che fa sorridere il portiere per le sue parole. Ancora una prova della profonda amicizia che lega tutti e tre. «Stamattina ho sentito Pierre, gli ho detto del tuo infortunio…» inizia il Kaiser guardando il parco visibile dalla finestra. «Dunque la mia ruzzolata ha fatto il giro del mondo, immagino come abbia riso quel damerino.» sospira Price, però ridendo, alla fine capita anche ai migliori di fare un passo falso.

«Sì, qualche risata se l’è fatta… e non è stato l’unico, anche il tuo compagno Tom se l’è risa un po’.» ammette Schneider ridendo, beccandosi un pizzicotto in guancia dal compagno. «In ogni caso ci fanno i loro auguri e sperano che riusciremo ad andare in Russia, dicono che senza di noi non sarebbe lo stesso mondiale.» continua, sedendosi sulla finestra e chiudendo gli occhi, poggiando la testa sul vetro. «Che carini, alla fine Pierre non è così antipatico come possa sembrare, quello odioso è Napoleon.» risponde Benji, guardando l’ora sul cellulare. «E quando lo senti digli che noi ci saremo, non ci perderemo un mondiale per nulla al mondo.» continua sbloccando il display e aprendo Facebook.

«Sì… gliel’ho già detto.» risponde Karl con un sussurro, alzandosi e avvicinandosi al letto barcollante, cadendo quasi sull’amico. «Karl che ti prende?» chiede Benji preoccupato vedendolo pallido, posando subito il cellulare e afferrandolo come meglio può – vista la mano destra immobilizzata. «Non lo so… mi gira la testa, mi sento svenire…» soffia il Kaiser guardandolo con occhi vacui. «Scheiße!»[8] esclama Benji stendendolo sul suo letto. «Scommetto che sei scappato un’altra volta dalla tua camera senza di nulla ai tuoi medici.» gli dice mentre gli versa un bicchiere d’acqua.

«No, ho chiesto il permesso al dottor Brown e… me l’ha concesso.» risponde poggiandosi la mano sulla fronte e sugli occhi. «Ti fa male? Vuoi che lo chiamo?» gli chiede ancora Benji, passandogli il bicchiere. «Grazie.» dice Karl mettendosi seduto, afferrandolo e bevendo. «No, non mi fa male e non c’è bisogno di chiamarlo, adesso passa. Non è la prima volta che mi succede, e spero non sia come l’ultima…» continua posando il bicchiere vuoto e stendendosi di nuovo. «L’ultima sarebbe quella in cui hai avuto le convulsioni?» chiede Benji sospirando, sedendosi sul letto, mentre il biondo annuisce guardandolo negli occhi e prendendogli la mano sinistra. «Grazie, amico, va già meglio, davvero. L’altro giorno è stato un insieme di fattori e l’essere in camera da solo mi ha fatto entrare nel panico, ma ora ci sei tu e sto già meglio.» sorride grato.

«Ti avrò detto miliardi di volte di non ringraziarmi di nulla, sei il fratello che non ho, ti voglio un bene dell’anima e non ti lascerò mai da solo. Tu ed Hermann siete parte della mia famiglia.» risponde Benji con un sorriso – seppur lievemente melanconico – e lo stringe col braccio sano. «Lo so, anche tu per noi sei un fratello e anche se i tuoi genitori sono sempre in viaggio e non sono dei genitori esemplari, la tua famiglia siamo noi due, Freddy, Grace e anche Fanny.» dice Karl, notando quello sguardo. «Non dimenticarlo mai, Benji. Mai!» aggiunge ricambiando la stretta. Karl Heinz Schneider, Benjiamin Price ed Hermann Kaltz: tre ragazzi con un sogno in comune, ma legati anche al di là della loro passione da un legame incommensurabilmente profondo e sincero.

***

I due vengono interrotti da qualcuno che bussa alla porta e si staccano dall’abbraccio, sedendosi entrambi sul letto, dicendo di entrare all’unisono – il malore di Karl ormai è solo un ricordo. «Se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà da Maometto.» dice Derek annunciandosi così ed entrando con gli amici. «Tradotto: se due amici non vengono al Paulaner’s, il Paulaner’s andrà dai due amici.» dice Eva, entrando mano nella mano col fidanzato, con dietro Grace che sorride all’amico e al fidanzato nel vederli assieme – felice di vedere che si danno supporto a vicenda.

«Ma che bella sorpresa, sono felice che siate venuti, ragazzi.» sorride Schneider, alzandosi dal letto e andando a baciare la sua meravigliosa Starlet, che lo stringe e ricambia subito. «Avete portato anche le birre?» chiede poi scherzando ai due amici del pub. «No, Kaiser, per quella temo dovrai venire al locale.» risponde Derek ridendo, per poi guardare Eva che si volta verso la porta. «Ragazzi fuori c’è qualcuno che vorrebbe presentarvi una persona.» dice la ragazza, schiarendosi la voce, e in quel momento entra anche Hermann che stringe la mano a una dolce e minuta ragazzina – che è evidente sia più piccola di loro. «Ciao, fratelli.» sorride Kaltz, con l’immancabile stecchino tra le labbra e un sorriso a trentadue denti, mentre la ragazzina tiene lo sguardo basso, imbarazzata, vedendo lo sguardo dei due che salutano l’amico e la guardano curiosi. Hanno ormai capito che lei è la famosa fidanzatina, che a differenza sorella – estroversa e loquace – sembra essere introversa e timidissima.

Karl schiocca uno sguardo a Kaltz e si avvicina alla ragazzina. «Piacere di conoscerti. Io sono Karl Heinz Schneider, il Kaiser, ma puoi semplicemente chiamarmi Karl.» le dice porgendole la mano con un sorriso, che viene stretta timidamente dalla piccola. Le ricorda un po’ la sua sorellina, anche se Marie Käte non è timida come possa sembrare a prima vista. «Piacere, Karl. Io sono Katherine.» risponde lei, guardandolo appena in viso, mentre anche Benji le si avvicina e si presente, facendola imbarazzare ancora di più. «Non essere timida, tesoro.» le sorride Grace, ricordando che anche lei un po’ lo era le prime volte, facendo annuire Katherine con un lieve sorriso. «Grace ha ragione, non ne hai motivo, qui sei tra amici e se Hermann dovesse farti soffrire lo ammazzeremo con le nostre mani.» aggiunge Benji, facendola sorridere, mentre stuzzica l’amico che lo guarda imbronciato.

«Sì, concordo con lui, anche se al momento è un po’ impossibilitato per picchiare una persona, ci penserò io.» aggiunge Schneider, beccandosi una gomitata da Kaltz che sbuffa, ma sorride; Katherine li guarda e scoppia a ridere. «Va bene, ragazzi. Iniziate già a starmi simpatici…» sussurra ancora un po’ impacciata, facendo sorridere Eva. «La mia sorellina è una cucciola timida e dolce, ma appena inizia a far amicizia diventa molto più socievole, poi bisogna trovare il modo per farla star zitta un attimo.» dice agli amici stringendo la sua adorata pulce, che la guarda e le bacia la guancia. «Ah, dunque a differenza della sorella maggiore che è una strega la minore è una fata.» ridacchia Karl, facendo ridere anche Katherine, che guarda la reazione della sorella.

«Kaiser se vuoi morire basta dirlo apertamente.» dice Eva, lasciando la sorellina e avvicinandosi all’amico, che la guarda con un sorrisetto furbo. «Non lo faresti mai, mia cara Eva.» le risponde guardandola negli occhi. «Hai ragione, stupido Kaiser, non potrei mai alzare un dito contro di te.» risponde lei stringendolo e iniziando a piangere. «Eih… lo so che mi vuoi bene, ma non c’è bisogno che piangi, non me la prendo certo per una scemenza simile.» le sussurra Karl stringendola. «Lo so. Scusa è solo che mi dispiace vederti in queste condizioni.» sussurra lei staccandosi per guardarlo negli occhi. Lui le sorride con dolcezza e le asciuga le lacrime. «Mi riprenderò e tornerò quello di sempre.» le promette.

Grace e Derek si guardano e sorridono, consci del fatto di non aver motivo di essere gelosi, nonostante tutto ciò possa sembrare strano e ambiguo a occhi esterni – e visti i trascorsi ne potrebbero anche aver motivo –  ma loro sanno bene quanto quei due siano legati – così come Benji ed Hermann lo sanno. «Non mi avevi detto che mia sorella fosse la migliore amica di Karl.» sussurra Katherine all’orecchio del fidanzato, che distoglie lo sguardo dai due amici ancora stretti l’uno all’altra e la guarda. «Infatti non lo è, ma in passato sono stati molto legati e nonostante adesso ci siano Derek e Grace si vogliono molto bene.» le risponde con sincerità, facendola annuisce un po’ sorpresa, lei non sapeva nulla di tutto questo.

Schneider bacia la guancia di Eva, che sorride e lo lascia alla fidanzata, tornando dal suo; Karl stringe la sua Starlet e le sfiora le labbra con un bacio, la solleva e si siede con lei sul letto di Benji, anche tutti gli altri si siedono e iniziano a chiacchierare – l’unica che rimane in silenzio è la più piccola del gruppo che si vergogna ancora un po’. A parte Derek ed Hermann, Katherine non conosce affatto gli amici di sua sorella e non saprebbe di cosa parlare, perciò li ascolta in silenzio, sentendosi un po’ in più in mezzo alla comitiva affiatata e unita che sono. Grace scende dalle gambe del fidanzato e le si avvicina chinandosi accanto a lei seduta sulla sedia e le sorride. «Lo so come ti senti, piccolina, anche io quando sono arrivata dal Giappone mi vergognavo. Adesso posso non sembrarlo, ma ero molto timida quando arrivai, però di base non sono una ragazza timida e questo mi ha aiutato moltissimo. Tu lo sei, ma se è vero quello che ha detto Eva lascia che esca fuori il tuo lato estroverso, anche se sei più piccola di noi sei la ragazza di un amico e quindi fai parte del gruppo.» le dice la manager con un dolce sorriso, che fa sorridere la ragazzina che le getta le braccia al collo e la stringe. «Grazie, Grace, mi stai simpatica.» le dice.

Eva le guarda e sorride, non avrebbe mai immaginato che un giorno sua sorella potesse mettersi con uno dei suoi amici, n’è contenta ed è anche contenta di vedere che tutti l’hanno accolta come se fosse una di loro, perché non ha molti amici per via della sua timidezza. Sono molto diverse le due sorelle: la maggiore è estroversa, esuberante e solare e a conferma di ciò sono i suoi capelli tinti di viola, che la rispecchiano parecchio; la sorellina invece è molto timida e riservata, e il suo aspetto – per certi versi ancora bambinesco – anche se ormai è una signorina di quattordici anni n’è la conferma. I suoi capelli castani, che porta acconciati con due piccole codine che legano le ciocche più corte, facendo ricadere quelle lunghe ondulate e morbide fin sulle spalle e le mollette colorate a tenerle un lato della frangia – solo di recente le ha chiesto di colorarle le punte di viola e lei non se l’è fatto ripetere due volte: spera che questo possa renderla meno introversa e che anche l’aver trovato un ragazzo e dei nuovi amici – anche se più grandi di lei – possano farla sbocciare.

«Allora Katherine anche a te piace il calcio?» le chiede ad un certo punto Karl, sorridendo nel vederla ridere e scherzare con la fidanzata. «Non proprio, preferisco la danza, ma ieri sono andata allo stadio a vedere la partita della vostra squadra e non è stata così noiosa come pensavo.» risponde lei, ora meno in imbarazzo, iniziando a prendere confidenza. «Anche la mia sorellina ama la danza, però ama anche il calcio e le piace venire allo stadio a vederci giocare, magari appena mi sarò ripreso e uscirò da qui potrei fartela conoscere.» le sorride ancora il Kaiser, facendola annuire felice. Kaltz guarda il suo migliore amico e sorride, poi sospira e si rabbuia. «Anche se la partita di ieri è stata uno schifo totale… scusate, ragazzi, ho deluso le aspettative che avete riposto in me, ho fallito come capitano.» sussurra chinando lo sguardo.

«E invece no, caro il mio Herr Zahnstocher,[9] avete fatto una grande partita. Io e Karl siamo orgogliosi di voi e anche se avete perso vi siete battuti come leoni, avete giocato un primo tempo impeccabile, solo avete avuto sfortuna nel secondo.» gli risponde Benji, dandogli una pacca sulla schiena, facendolo sorridere. «Concordo, siete stati tutti bravissimi e tu sei stato un gran capitano.» aggiunge Karl stringendo i suoi migliori amici. «Esatto, quanto a noi vedremo di tornare in campo il prima possibile.» aggiunge ancora Benji con un sorriso. «Grazie.» sorride Hermann guardandoli. «Però ancora io non ho ben capito che hai combinato tu, caro Herr Hut.[10]» risponde ritrovato il sorriso.

Il portiere sospira e si guarda il braccio destro. «Diciamo che ho fatto la figura dell’imbecille.» ammette, sospirando ancora, facendo alzare un sopracciglio al compagno. «Diciamo che il nostro amico è ruzzolato giù dalle scale per la febbre, e il suo povero braccio già malmesso ha avuto un incontro ravvicinato con il pavimento.» gli spiega Karl, guadando Benji sospirare ancora e Kaltz scoppiare a ridere come un matto. «Scusa, Benji… ahahah! Ma sto immaginando la scena ed è troppo divertente.» dice Hermann tenendosi la pancia e ridendo ancora con le lacrime – anche gli altri ridono – seppur meno sguaiatamente. «No, ma tranquillo fa pure, tanto ormai la mia ruzzolata ha fatto il giro del mondo. Grazie a questa simpatica pettegola del nostro Kaiser lo sanno anche in Francia.» dice Benji, alla fine unendosi alle risate. La restante parte del pomeriggio continua ridendo e scherzando, regalando ai due ragazzi ricoverati dei momenti felici che riempiono i loro cuori di allegria – facendo dimenticar loro i momenti difficili. È questo il magnifico potere dell’amicizia.

***

Tokyo: lunedì 6 marzo, 2018 h. 10:00.

La Mambo guidata dal loro capitano, Julian Ross, sta correndo sulla strada che costeggia il parco per mantenere la forma fisica, ma senza strafare troppo;  Fanny e Amy seguono la squadra in bici. La mora osserva i ragazzi con indosso la loro divisa gialla e sorride, le sembra di esser tornata indietro nel tempo, anche se non era manager prima, le capitava ogni tanto di guardare gli allenamenti dei ragazzi. Amy pedala e osserva in silenzio i calciatori, Julian in particolare, ritornando con la mente a un episodio analogo, rendendola taciturna e distratta.

«Amy che hai? Di solito non sei così silenziosa…» le chiede la mora, distogliendola dai suoi pensieri. «Nulla, Fanny, solo questo posto mi ha riportato alla mente un ricordo infelice e messo addosso un po’ di ansia e paura…» sussurra la ragazza dai capelli rossi, riposando di nuovo lo sguardo su Julian, che corre tranquillo, guidando la sua squadra come ha sempre fatto. «Ovvero?» chiede ancora la Ross, curiosa, ma anche con l’intento di far sfogare l’amica e tranquillizzarla. Non ha idea di che cosa possa esser successo, ma se la conosce – e la conosce abbastanza bene sin dai tempi delle elementari – sa che solo una cosa può spaventarla così tanto: ovvero vedere suo cugino star male.

Inizio flashback.

Era il tramonto di una bellissima giornata di inizio maggio, la Mambo stava concludendo il proprio allenamento pomeridiano con una corsa lungo la strada che costeggia il parco e l’attiguo fiume Edo. «Su, acceleriamo un po’, facciamo un ottimo allenamento, ragazzi.» li esortò Julian, da bravo leader, già in tenera età. «Sì, capitano.» rispose prontamente il resto della squadra, seguendolo; Amy e il mister li seguivano in sella a delle biciclette e non c’èra nulla di più perfetto in quello scenario ideale.

«Sono allegri, sembra che tutto vada bene.» disse la manager con un sorriso allegro e spensierato – degno della bambina di undici anni qual era. «Sì, presto vinceremo il torneo regionale e se la squadra resta in forma abbiamo buone possibilità anche in quello nazionale.» le rispose il mister con un largo sorriso, fiero dei suoi ragazzi. «Eih… ragazzi! Forza! Siete già stanchi? Dovete correre almeno per altri quindici minuti.» li esortò la dolce Amy affiancando i calciatori in sella alla sua bici, facendo voltare Julian in testa al gruppo che sorrise – allegro e spensierato – continuando a correre come se niente e nessuno potesse mai fermarlo.

Fu questione di un attimo, e quel perfetto pomeriggio, si trasformò nel peggiore degli incubi: Julian improvvisamente rallentò, portando entrambe le mani al petto, colpito da una violenta fitta che gli tolse il respiro facendolo boccheggiare alla disperata ricerca d’aria, facendolo gemere e cadere letteralmente al suolo. «Capitano!» urlò la manager, stupita e preoccupata. «Che hai, Julian?» le fece subito eco il mister, preoccupato per il suo leader, mentre egli cadde per terra privo di sensi.

«Ti sei sentito male perché il tuo cuore ha delle dimensioni troppo piccole, insomma… non si è sviluppato come doveva rispetto agli altri organi e agli altri muscoli. È abbastanza strano che tu non abbia avuto malori del genere fino adesso.» disse il medico dopo che lo portarono in ospedale. «Ah… potrò continuare a giocare a calcio?» chiese subito Julian Ross, sorpreso di questa scoperta, ma pensando sempre all’amato sport. «Come medico devo avvertirti che nelle tue condizioni sarebbe molto pericoloso praticare una qualsiasi attività sportiva per più di alcuni minuti.» rispose sinceramente il medico, dispiaciuto.

Julian impallidì e spalancò la bocca, mentre la manager scoppiò a piangere – devastata, sconvolta, disperata. «Dai, non piangere, Amy.» tentò di consolarla il mister poggiandole la mano sulle spalle. «È solo grazie a lui che la squadra potrà giocare il campionato nazionale e Jualin… wuaaah! Non è giusto.» urlò in lacrime la ragazzina, cacciando fuori tutta la sua rabbia e disperazione, stringendo il mister che ricambiò subito la stretta, distrutto e dispiaciuto anche lui.

«Ma cosa dite? Questo non significa che io non giocherò più.» disse improvvisamente il piccolo calciatore, attirando la loro attenzione, distogliendoli dai loro tristi pensieri. «Lei ha appena detto che io non posso fare sport per più di alcuni minuti, quindi per qualche minuto posso giocare, no?» disse poi al medico determinato a non farsi fermare da una malformazione cardiaca. «Ragazzo cerca di non fare pazzie, potresti rimetterci la vita, te ne rendi conto?» lo riprese il dottore, alzando lievemente la voce per dar più enfasi alla frase. «Ma io non posso vivere senza giocare a pallone, non posso rinunciarci, io con un palla tra i piedi mi sento felice. Per favore, mi lasci giocare a calcio, la supplico. Mi ascolti, lei deve soltanto dirmi quanto tempo esattamente posso giocare senza correre rischi. La prego, mi dica quanto tempo.» gridò Julian in lacrime, supplicando il medico di non togliergli quella felicità.

«Aspetta, Julian.» si intromise il mister cercando di farlo ragionare. «Capitano…» aggiunse Amy ancora in lacrime, mentre il medico sospirava e scuoteva il capo. «Vedo che per te è molto importante. Beh…  fammi pensare, il calcio è uno sport duro e faticoso, beh… sì, io direi quindici minuti al giorno e basta, altrimenti rischi un attacco di cuore, capito? Quindici minuti.» rispose. «D’accordo.» rispose Julian con un largo sorriso. Quell’episodio cambiò profondamente le loro vite, i loro legami, da allora nulla fu mai più come prima – da allora Julian e Amy furono costretti a diventare dei piccoli adulti.

Fine flashback[11]

Fu questo l’episodio che ripercosse la mente di Amy: la prima volta che scoprirono la malattia, quella meravigliosa e perfetta giornate, trasformatasi improvvisamente nel più terribile degli incubi. «Ripensavo a quando scoprimmo la malformazione cardiaca di Julian, fu proprio in questo posto…» risponde all’amica, che poi venne in seguito a conoscenza di essa – assieme ai parenti – ma mai era stato specificato il dove o il come. «Non sapevo che fosse successo qui, mi dispiace che ti siano tornati in menti brutti ricordi.» risponde Fanny fermandosi e stringendola, proprio mentre anche i ragazzi si fermano dietro al loro capitano, che fa un respiro più profondo e una leggera smorfia deturpa il suo bel viso. «Capitano…» lo chiama Stephen memore anche lui di quel maledetto pomeriggio, assieme ai compagni che trattengono il fiato – ricordando tutti lo stesso episodio – attirando anche l’attenzione delle due ragazze, mentre gli occhi di Amy si riempiono di lacrime, facendole sembrare di vivere un déjà-vu.

«Va tutto bene, ragazzi, non mi sento male. È stata solo una lieve fitta, ma adesso è passata.» li rassicura Julian sorridendo ai compagni e guardando la cugina e la fidanzata che lo hanno raggiunto immediatamente. «Amore… dimmi che stai bene, ti prego.» sussurra Amy con le lacrime agli occhi, scendendo dalla sua bici che cade per terra, fiondandosi a stringerlo. «Sto bene, mia piccola dolce manager. Lo so cosa stai pensando, il luogo è lo stesso, ma non è come quella volta è già passato.» le risponde Julian con dolcezza, stringendola e baciandole la fronte. «Ho avuto una paura assurda, Julian, appena siamo arrivati qui mi è subito tornato alla mente quel dannato giorno.» sussurra ancora la ragazza, poggiandogli la mano sul petto, sentendo quel cuore capriccioso battere regolarmente e tranquillizzandosi.

«Non accadrà come quella volta.» le sorride ancora Julian, baciandola sulle labbra, mentre i compagni di squadra e la cugina tirano un sospiro di sollievo. «Dio mio che paura, per fortuna è stato solo un ricordo.» sospira Stephen, poggiando il braccio sulla spalla di Fanny che lo guarda con un sorriso. «Scusa…» si affretta a dire il ragazzo togliendo il braccio imbarazzato. «Di cosa esattamente? Io non ho detto nulla…» risponde la ragazza con un sorriso furbetto, che fa sorridere anche il calciatore. «Tu non c’eri quella volta, ma è stato terribile.» ammette Mallory. «Lo immagino, ma ora lo sappiamo e Julian non è così incosciente da ammazzarsi.» risponde Fanny stringendolo – come ai vecchi tempi – e baciandolo sulla guanci facendolo sorride, mentre Julian si schiarisce la voce ed esorta i compagni a riprendere la corsa – che prontamente eseguono – mentre lui prende a camminare a fianco alle ragazze che portano mano le loro biciclette.

***

Dopo esser tornati a casa, fatta una veloce doccia e cambiato gli abiti, Julian è andato a prendere la fidanzata per passare il resto della giornata in tranquillità, rilassarsi insieme e vivere il loro amore come tutti i ragazzi della loro età. La manager ha preparato del delizioso sushi, che entrambi hanno gustato e consumato nel meraviglioso Parco di Ueno[12] seduti sulla coperta stesa sul prato, godendo di quel fresco e piacevole venticello quasi primaverile e di quel meraviglioso spettacolo che è l’Hanami – ovvero la fioritura degli alberi di ciliegio – che puntualmente con i loro petali delicati tingono il paese di rosa, creando un emozionante panorama, molto amato dai giapponesi che ogni anno amano festeggiare l’arrivo della primavera rilassandosi nei parchi cittadini, osservare quella lenta caduta dei Sakura, che rappresentano la bellezza e, allo stesso tempo, la fragilità della vita.

Julian è disteso sulla coperta a occhi chiusi, il bel viso rilassato e l’espressione pensierosa, lo fanno sembrare ancora più bello agli occhi della fidanzata, che lo osserva con un dolcissimo sorriso e gli carezza la guancia con la punta delle dita. «A cosa pensa il mio bellissimo Baronetto?» sussurra con un tono dolce e melodioso. «Pensavo a Benji, tra qualche ora papà lo opererà.» ammette il ragazzo, aprendo gli occhi e specchiandosi nelle iridi verdi della fidanzata, che sorride e gli carezza la guancia con il palmo della mano. «Hai paura che qualcosa possa andar storto?» chiede ancora Amy, ricambiando quello sguardo dolce e intenso. «No, non è paura, so quanto valga l’esperienza e la bravura di mio padre è solo che… tutti gli interventi mi fanno un po’ paura.» ammette ancora Julian, stringendo la mano della sua bellissima e dolcissima manager.

«Oh, Julian, amore mio… lo so e so anche il perché e di certo non posso biasimare il tuo terrore, ma quello a cui verrà sottoposto Benji non è delicato e difficile come quello che subisti tu da piccolo.» sussurra ancora Amy, chinandosi su di lui e baciandolo con delicatezza sulle labbra. «Lo so, la sala operatoria è una mia paura, e credo lo resterà per sempre indipendentemente dal fatto che là dentro ci sia io o un’altra persona.» risponde Julian con sincerità, stringendola forte e baciandola con dolcezza. «Julian… lo sai vero, che un giorno quando anche tu sarai diventato medico, dovrai entrarci per operare. Te la senti di andare avanti per questa strada?»

Il calciatore la guarda negli occhi e annuisce con un sorriso. «Forse i primi tempi non sarà facile, forse all’inizio vedrò sempre il me bambino disteso su quel tavolo operatorio e ciò mi provocherà ansia e paura… ma col passare del tempo e l’acquisizione delle esperienza sul campo, tutto questo rimarrà solo un brutto ricordo dal quale potrò attingere forza e coraggio ed esser in grado di salvare le vite come ho sempre desiderato. Sì, Amy, è questa la strada che voglio percorrere nella vita in parallelo al calcio e al fianco della meravigliosa ragazza che amo e che è sempre stata parte fondamentale della mia vita, in qualunque occasione, e so che tu ci sarai sempre, amore mio.» le risponde guardandola con determinazione e felicità.

«Sono certa che riuscirai a far tutto questo, so quanta forza hai e che questa ti aiuterà a diventare un eccellente medico come tuo padre e tuo zio. Sono fiera di te e orgogliosa di essere la tua ragazza, ti amo di un amore immenso e ti amerò ogni giorno della mia vita di più e starò sempre accanto a te mio bellissimo Principe – anche se la strada sarà difficile e in salita – com’è già capitato, insieme riusciremo ad arrivare in cima mano nella mano, come abbiamo sempre fatto e come sempre faremo.» sussurra Amy, con dolcezza e sincerità, stringendolo forte e baciandolo ancora. «Ti, amo, Amy. Grazie di esserci sempre stata e so che sempre ci sarai.» sussurra Julian dopo il bacio, stendendosi sulla coperte, tenendola stretta tra le sue braccia – come se fosse la più delicata e preziosa delle creature – e un po’ lo è: la sua piccola dolce manager è delicata e incantevole come quei petali rosa, che forse hanno davvero qualcosa di magico e incantato. Amy sorride raggiante, lo guarda negli occhi, lo stringe e lo bacia in guancia, osservando anche lei  quello spettacolo naturale che l’ha sempre affascinata sin da bambina – godendosi il calore e l’amore del fidanzato.

 

 

***

 

Angolo dell’Autrice: una cosa che vorrei precisare: è la parte del dialogo tra Benji e Karl – quando si fa riferimento alla famiglia del portiere – da bambina, non sapendo dell’esistenza del manga – ho sempre immaginato che in quella villa gigantesca ci vivesse solo Benji con Freddy – c’è anche stato un periodo in cui pensavo che l’allenatore fosse suo padre – ma poi ho capito che non era così, poi da grande ho scoperto l’esistenza dei manga e – pur non avendolo letto – ho visto la scan con la famiglia, ma dato che io mi riferisco al cartone, continuerò su questa linea immaginando i suoi genitori sempre in viaggio per lavoro, in chissà quale parte del mondo e lui come figlio unico. Detto questo, ringrazio sempre tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia, un grazie particolare sempre alla mia meravigliosa e insostituibile Darling e uno alla carissima Molly, che nonostante la moltitudine di impegni legge sempre i miei capitoli e recensisce quando può, facendomi provare sempre un immenso piacere nel trovare una sua recensione inaspettata e un altro grazie a Mae Wakabayashi che mi ha sempre seguita e non me ne sono mai accorta, con la quale adesso sono in contatto e sto aiutando a migliorarsi, e infine ma non meno importante, un altro grazie va a Barby_Ettelenie_91 che è entrata a far parte di questo gruppo solo da poco e ha avuto il coraggio di leggere tutto il “Ritiro” e l’attuale sequel tutto d’un fiato, non facendomi mancare i suoi pareri. Grazie infinitamente a tutti quanti, alla prossima. Amy

 

 

 

 

 

[1] lo so benissimo che lui è il portiere dello Stoccarda e della nazionale tedesca, ma dato che gli altri due portieri dell’Amburgo non si sono mai visti, o almeno io non li ho mai visti seppur esistono e hanno anche un nome, ho deciso di mettere lui perché mi piace, ho pensato anche che, il suo soprannome “Portiere Enigmatico” potesse dipendere dal fatto che essendo secondo a Benji molti non sanno come egli giochi

[2] Difensore dell’Amburgo, gioca con il numero 4 (ovviamente riferendosi all’anime)

[3] Difensore dell’Amburgo, gioca il numero 6 (ovviamente riferendosi all’anime)

[4] Vaffanculo

[5] Sì, proprio quella, come probabilmente molti di voi avranno intuito, faccio riferimento alla meravigliosa e magica –     nonché imprendibile – punizione del Maestro, il grande Pirlo

[6] attaccante dell’Amburgo nel Road to 2002 gioca con il numero 9

[7] Trovate tutto Qui

[8] Merda

[9] Signor Stecchino/Stuzzicadenti

[10] Signor Cappellino

[11] Parte presa dall’anime, precisamente dal “Che Campioni”, episodio 17: “Quindici minuti di felicità”

[12] Questa meraviglia, la trovate  Qui

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Capitolo 18
*** Mamma & Papà... ***


 

 

 

 Capitolo 18: Mamma & Papà…

 

Nonostante l’ansia per l’intervento, Benji ha dormito tutta la notte tranquillamente, Freddy gli è rimasto accanto sebbene non fosse necessario – ha preferito non lasciarlo solo – anche se non ha con il ragazzo alcun legame di sangue, lo ha praticamente visto crescere – letteralmente e sotto ogni aspetto –  e lo vede come un figlio. Il mister non ha dormito tantissimo – a differenza del suo pupillo – che è stato un bene sia riuscito a farlo; ha passato parte della notte a ricordare eventi passati: quel lontano giorno in cui conobbe i Price e di conseguenza divenne l’allenatore personale di quel bambino di sei anni – forse un po’ troppo viziato – ma amato dalla famiglia, poi tutto cambiò quando Bryan Alexander Price, il padre di Benji, prese in piena gestione l’azienda di famiglia dopo che suo padre, Benjiamin Aron Price andò in pensione lasciando totalmente la Price Corporation – come suo padre prima di lui – ai sui tre figli, mettendone a capo il primogenito Bryan, che da tredici anni la gestisce al fianco della moglie, Eleonor Patricia Taylor.

 Amburgo: lunedì 6 marzo, 2018 ospedale, h. 7:30.

Benji apre gli occhi e si guarda attorno stordito, poi realizza di trovarsi in ospedale e sospira, guardando la camera deserta con un velo di malinconia nello sguardo onice. “Ti aspettavi forse qualcosa di diverso? Devi rassegnarti all’evidenza dei fatti, Benji, in fondo è così da anni e non puoi cambiare le carte in tavola.” pensa tra sé e sé, mordendosi il labbro inferiore e trattenendo le lacrime, non ne ha versate da bambino e di certo non lo farà adesso; inevitabilmente però la sua mente vaga ai giorni della sua infanzia, facendolo sorridere e facendolo rabbuiare.

La sua infanzia può esser divisa in due parti: la prima dalla sua nascita fino ai sei anni, dove era un bimbo amato dalla famiglia e coccolato da tutti quanti, era l’ometto di papà ed il principino di mamma; poi dai sette anni qualcosa iniziò a incrinarsi, fino agli otto anni quando l’idillio venne spezzato, i suoi genitori si lasciarono assorbire totalmente dal lavoro, dimenticando di avere un figlio e abbandonandolo letteralmente in quell’enorme villa con i domestici e Freddy, giustificandosi con un misero. ‘Papà e mamma devono occuparsi dell’azienda di famiglia, ma ti vogliono sempre bene, e un giorno quando sarai grande anche tu lavorerai con loro.’ certo, facile raccontare palle su palle a un bambino, ma lui non era affatto stupido e non ha mai creduto a una singola parola o promessa fatta dai quei genitori menefreghisti, né ha mai avuto l’intenzione di seguire le orme del padre, a lui non gliene frega nulla di quella maledetta azienda – che seppur non gli abbia mai fatto mancare nulla a livello materiale – e di questo deve ringraziare i suoi avi, soprattutto il suo bisnonno – Bryan Cedric –  e nonno Benjiamin, gli ha strappato via la cosa più importante: l’affetto dei genitori.

Poi improvvisamente tra i ricordi tristi, se ne fa strada uno bello, che lo fa sorridere. “Vorrei che almeno tu fossi qui, nonno, ma non posso pretendere questo da te, almeno so di poter sempre contare su di te a differenza di quello stronzo di mio padre… tu mi sei sempre stato vicino e hai assecondato ogni mia decisione.” pensa e sorride ancora, ricordando con un sorriso ogni giorno passato assieme a nonno Benjiamin, del quale è fiero di portare il nome. Il suo flusso di pensieri viene però interrotto dalla porta che si apre, gira la testa e sorride vedendo entrare l’altro perno della sua vita: Feddy Marshall, il suo allenatore personale, che gli è sempre stato accanto – e continua a farlo anche adesso che non lo è più – colui che lo ha cresciuto meglio di come avrebbe dovuto far suo padre.

«Buongiorno, campione.» sorride l’allenatore, avvicinandosi al letto con in mano un bicchiere con del caffè macchiato. «Ciao. Sei arrivato presto, pensavo arrivassi più tardi.» ammette Benji, mettendosi seduto e ringraziandolo con un tacito sorriso. «Sono rimasto qui tutta la notte, Benji, non volevo lasciarti solo.» risponde Marshall finendo il caffè e sedendosi sul bordo del letto, carezzandolo sulla guancia. «Grazie, Freddy, grazie davvero…» sussurra il portiere stringendolo e non aggiungendo altro, ma il suo silenzio è carico di parole non dette e profonda stima e gratitudine, alla quale forse non riuscirà mai a dar voce – in fondo nelle sue vene scorre il sangue dei Price – e i Price sono orgogliosi e non capaci di esternare facilmente i propri sentimenti, seppur qualche volta e con alcune persone, facciano delle eccezioni.

Freddy sorride e gli bacia i capelli, conscio di cosa sia celato dietro quel silenzio e quanto profondo sia quel grazie, ma non dice nulla a riguardo, sapendo benissimo quanto il suo pupillo soffra della situazione familiare. «Sei pronto per l’intervento? Ho incontrato Gregory Ross in corridoio, mi ha spiegato la dinamica con la quale si svolgerà e anche i tempi di recupero, riuscirai a essere in campo per la fine del campionato.» dice staccandosi e guardandolo annuire. «Perfetto!» risponde semplicemente Benji, per poi prendere il cellulare sul comodino, sbloccandolo e bloccandolo subito, lasciandolo cadere sul letto.

Marshall nota il gesto ma non proferisce parola, sa benissimo cosa stia pensando il suo adorato pupillo, ma non vuole interferire oltre, se sarà lui a prendere il discorso sarà pronto ad ascoltarlo e farlo sfogare – standogli accanto e sostenendolo – come ha sempre fatto e sempre farà, adesso vuole solo che entri in sala operatoria con meno pensieri possibili, che l’intervento vada bene così che quel peso che sente allo stomaco sparisca del tutto.

*** 

L’intervento è iniziato da dieci minuti, Benji dorme sotto l’effetto dell’anestetico e Gregory Ross inizia a incidere il dorso del polso e i tessuti sottostanti per raggiungere il legamento lacerato e poterlo ricostruire: inserisce dunque delle micro-ancore per recuperare il legamento reciso, ricucendolo e reinserendolo correttamente tra le ossa circostanti cui è contenuto, che sono state trapanate da un assistente  e il medico nipponico può procedere.

Intanto in sala d’attesa gli amici attendono la fine dell’intervento: Grace seduta tra il fidanzato ed Hermann, stringe entrambi e spera che il suo migliore amico esca presto e che tutto vada per il meglio; Kaltz le carezza la mano e fissa quella luce rossa sulla porta della sala operatoria, mentre mastica il suo stecchino; Karl stringe la fidanzata con la testa poggiata sulla sua spalla e aspetta impaziente. «Ma quanto ci mette Ross?» chiede Marshall a tutti e a nessuno, camminando nervosamente avanti e indietro per il corridoio. «Freddy vieni, andiamo a fare quattro passi fuori.» dice Kirk – giunto in Germania assieme al medico per sostenere l’amico – alzandosi dalla sedia e mettendo il braccio intorno alle spalle dell’altro, che sospira e si lascia portare fuori.

«Capisco lo stare in ansia per l’intervento, e lo siamo tutti, ma sappiamo anche che non è nulla di rischioso e che il padre di Julian è il migliore del Giappone in questo.» inizia il dirigente delle Federazione, prendendo il pacchetto di sigarette dal taschino della giacca e portandone una alle labbra. «Dunque che altro c’è che ti turba, Freddy? E non dirmi nulla perché ti conosco fin troppo bene, amico.» aggiunge accendendo la sigaretta e guardando l’altro. «Hai ragione, non è solo l’intervento ad impensierirmi, ma non posso farci molto per l’altra questione…» sospira Marshall, avvicinandosi a Pearson e sfilandogli una sigaretta prima che posi il pacchetto. «Da quando fumi tu?» chiede Kirk alzando un sopracciglio, ed accendendogli la sigarette.

Freddy aspira la nicotina e la butta via poco dopo con un sospiro, non rispondendo alla domanda dell’amico, che lo guarda ancora scioccato e aspetta che dica qualcosa, qualsiasi cosa. «Riguarda i genitori di Benji, li ho avverti quando è stato ricoverato dicendo a suo padre che oggi lo avrebbero operato, ma sono a Los Angeles, dove hanno deciso di aprire una nuova filiale dell’azienda di famiglia. Come sempre mettono al primo posto il lavoro, lasciando il figlio da solo…» dice Freddy sospirando e aspirando ancora la sigaretta. «Capisco. La Price Corporation è una grande multinazionale e immagino che non sarà facile gestirla, ma ciò non giustifica la loro assenza come genitori. Però ti dico una cosa, amico, per quanto Benji possa soffrire l’abbandono dei genitori, ha trovato un uomo che gli vuole bene come se fosse suo figlio e quello sei tu, perché sei fondamentale nella sua vita… non so che rapporti abbia con la sua famiglia, ma sono certo di quello che ha con te e so che gli starai accanto in qualsiasi occasione.» risponde Kirk, capendo quanto l’amico è legato a quel ragazzo e quanto gli faccia male vederlo soffrire.

«I rapporti con i suo genitori sono pressoché inesistenti e conflittuali, in quelle rare occasioni in cui si ritrovano insieme. L’unico con cui ne ha uno sincero è suo nonno paterno, ma non potevo pretendere che venisse qui.» sospira ancora Marshall, spegnendo la cicca nel posacenere. «No, infatti, però magari lo chiamerà, la notizia del suo infortunio ha fatto il giro del mondo.» risponde Kirk imitandolo. «Per quel che riguarda i genitori… non so cosa dirti, solo stagli vicino, soprattutto se verranno, anche se è ormai tardi e non avrebbe molto senso a questo punto.» aggiunge vedendo la luce rossa della sala operatoria spegnersi e rientrando seguito dall’amico, che sospira ancora – ma col cuore più leggero per la vicinanza dell’amico e perché il suo pupillo è uscito.

«È andata benissimo, riavrete presto il vostro campione.» dice Gregory uscendo dalla sala operatoria assieme allo staff, che spinge la barella con un dormiente Benji. «Grazie infinite, signor Ross.» sorride Freddy stringendogli la mano grato. «Ma non deve ringraziarmi di nulla, è il mio lavoro e poi so quanto sia importante il calcio per questi ragazzi, iniziando da mio figlio che non vuole mollarlo nonostante la malformazione cardiaca… e poi Benji è ormai di famiglia essendo il ragazzo di mia nipote.» sorride il medico ricambiando la stretta, facendo sorridere ancor di più l’allenatore a quella affermazione. «Sono felice che sia andata bene, non provare mai più a fami preoccupare, brutto scemo…» sussurra Grace al suo migliore amico – che dormendo non la sente – e gli bacia la fronte, facendo sorridere Schneider e Kaltz che sospirano di sollievo, mentre il portiere viene portato in camere.

***

Amburgo: lunedì 6 marzo, 2018 camera di Benji, h. 12:00.

Benji riapre gli occhi dopo un’oretta dalla fine dell’intervento e si guarda attorno totalmente intontito, cercando un viso familiare e sorride nel trovarlo, allungando la mano sinistra – che seppur con la flebo – tende per afferrare quella che cerca. «Bentornato, campione.» sorride Marshall, prendendola tra la sua e stringendola piano. «Freddy…» sussurra il ragazzo con la voce roca e la gola secca, richiudendo gli occhi ancora stordito. «Sì, sono qui, è andato tutto bene e ora devi solo pensare a rimetterti.» gli risponde il mister con dolcezza, baciandolo sulla fronte, facendolo sorridere e riaprire gli occhi. «Grazie…» sussurra Benji, leccandosi le labbra e voltando il capo verso la finestra lasciando scendere le lacrime che non riesce più a trattenere – ci aveva sperato fino all’ultimo minuto prima di entrare in sala operatoria – ma con suo grande disappunto  si rende conto che la sua speranza è stata vana e alla fine non si aspettava che questo.

«Tutto bene?» chiede Freddy, vedendolo voltarsi e immaginando benissimo le lacrime che gli rigano il volto, vorrebbe poter fare di più, ma si rende conto di essere impotente, e non può far più di quello che ha sempre fatto. «Certo… va tutto a meraviglia. In fondo cosa vuoi che sia, sono solo appena uscito dalla sala operatoria e come al solito quella maledetta azienda è sempre più importante di me…» sussurra il ragazzo, tirando su col naso, senza voltarsi. «Benji… mi dispiace che non siano venuti, lo so quanto ti faccia soffrire la loro assenza. Ho chiamato tuo padre il giorno in cui ti hanno ricoverato, mi ha detto che avrebbero messo fine alle trattative con gli americani nel fine settimana e che sarebbero venuti da te, non so perché non siano ancora arrivati…» risponde il mister sospirando dispiaciuto e carezzandogli i capelli sulla nuca.

«Capirai… magari avranno anche messo fine alle trattative, magari saranno anche a casa, ma avranno cose più importanti e divertenti a cui pensare per ricordarsi di avere un figlio in ospedale che li aspetta. Per ricordarsi di essere genitori e che io esisto… ma tanto non ci sono mai stati quando avevo bisogno di loro e non cambia nulla il fatto che anche questa volta non siano qui.» sussurra Benji, voltandosi e guardandolo negli occhi, riprendendo la parola ancor prima che lui possa rispondere. «A volte penso che sarebbe stato meglio non nascere, o forse sarebbe stato più facile da accettare se fossi rimasto orfano.» aggiunge piangendo e non vergognandosi di lasciar scendere quelle lacrime davanti al suo onnipresente e insostituibile mentore.

«Lo so, Benji, capisco benissimo la tua delusione e non posso che esser d’accordo con te, da quando tuo padre è diventato il presidente della Price Corporation e tua madre l’amministratrice delegata hanno dimenticato la tua esistenza. Mi dispiace e vorrei poter fare di più, ma non posso mettermi contro tuo padre perché io non sono nessuno per farlo. L’unica cosa che posso fare è starti accanto e sostenerti come ho sempre fatto, ma so che mai potrò colmare la loro assenza.» risponde Marshall con gli occhi lucidi, ma sorridendogli. «Non me ne frega nulla di loro, come a loro non frega nulla di me, se non vengono è anche meglio.» sbuffa il ragazzo arrabbiato, deluso, amareggiato e sofferente. «Quanto a te, non troverò mai il modo per ringraziarti abbastanza per tutto quello che hai fatto e continui a fare per me, nonostante tu sia un estraneo per me sei più importante di mio padre stesso… tu sei colui che ho sempre preso a modello – nonno a parte – ma tu sei colui che mi ha cresciuto come dovrebbe fare un padre col proprio figlio. Quindi, Freddy, grazie infinitamente per tutto quello che hai sempre fatto e che continui a fare nonostante hai smesso da tempo di essere il mio allenatore personale e nessuno ti obbliga più a starmi accanto, ma tu hai deciso di non abbandonarmi nonostante tu non abbia nessun obbligo morale nei miei confronti.»

 «Non avrò nessun obbligo morale nei tuoi confronti e mai ne ho avuto uno, ma ti conosco da quando avevi sei anni e standoti accanto in tutti questi anni nutro un profondo affetto nei tuoi confronti. Ti ho visto crescere fisicamente e caratterialmente, conosco ogni tua cicatrice fisica e morale e posso affermare con certezza che per me sei come un figlio, per questo ho deciso di non lasciarti mai del tutto solo, anche se ormai non ho più nulla da insegnarti, perché mi hai superato alla grande, ma ti voglio un gran bene e questo non potrà mai cambiare, come non potrà mai farmi allontanare del tutto da te.» risponde Marshall stringendolo forte a sé e carezzandogli la schiena.

Benji risponde al gesto affettuoso con un bacio, carico del medesimo affetto, quando entrambi vengono costretti a staccarsi perché il cellulare del ragazzo inizia a suonare e lo afferra con la mano sinistra; sorride leggendo il nome sul display e scorre il pollice sul verde aprendo la chiamata. «Ciao, nonno. Sono davvero contento che tu abbia chiamato.» dice con un sorriso gioioso che gli illumina il viso e fa sorridere anche Freddy, che prende in mano il giornale aprendolo e fingendo di leggere, disinteressato alla conversazione.

«Non potevo non chiamarti, nipotino mio diletto. Mi sarebbe piaciuto venire ad Amburgo, ma sai che dopo quella volta non riesco più a salire su un aereo, spero quindi che verrai presto in Giappone per vederti.» risponde il nonno con un sorriso amorevole – nonostante sia un Price lui è capace di dimostrare amore.

«Lo so, nonno, tranquillo.» risponde Benji, guardando sottecchi il suo mentore, che sa benissimo stia fingendo indifferenza.

«Ma dimmi. Ti hanno già operato? Cosa dicono i medici?  E soprattutto, come stai tu?» chiede a raffica nonno Benjiamin.

«Sì, già operato, sono uscito circa due ora fa dalla sala operatoria; il medico è il padre di un mio compagno di Nazionale ed è molto ottimista a riguardo, dice che riuscirò a rientrare prima della fine del campionato. Per quanto riguarda il come sto, mi sento ancora un po’ stordito, il polso non mi dà fastidio per via degli analgesici che mi hanno dato e… beh, ammetto di aver sperato in cuor mio che quello stronzo di tuo figlio con sua moglie si ricordasse di avere un figlio. Ho sperato arrivassero sino all’ultimo momento prima di entrare in sala operatoria, ma non sono arrivati, ho sperato ancora che li avrei trovati al mio risveglio, ma evidentemente c’è sempre qualcosa più importante di me…» dice Benji senza praticamente prender fiato, incrinando la voce sull’ultima parte, facendo sollevare lo sguardo a Freddy.

Nonno Price sospira, ma non può che dargli ragione. «Lo so, Benji e mi dispiace…» sussurra, quasi sentendosi in colpa per l’aver lasciato l’azienda al comando del figlio. «Sono arrivati venerdì sera a Tokyo, ma sabato erano in azienda per sistemare alcune questioni, ieri sono stati a Kyoto a far non so cosa e oggi sono ripartiti, dicendomi che dovevano andare  alla filiale di Berlino per sistemare alcuni problemi… so che ormai è tardi e non giustifico il loro menefreghismo, ma essendo in Germania potrebbero fare un salto ad Amburgo… o almeno lo spero.» risponde rammaricato e incollerito con quel figlio e quella nuora, che hanno dimenticato di esser due genitori prima che due imprenditori di fama mondiale.

«Capisco.» risponde Benji con tono piatto e un sospiro, che fa sospirare anche Marshall. «A ogni modo non mi importa se verranno o meno, tanto ormai  in sala operatoria ci sono finito e ancora una volta senza che loro fossero lì a rassicurarmi e sostenermi, come è sempre stato per tutti gli eventi più importanti della mia vita nei quali sarebbero dovuti essere al mio fianco. Se dovessero venire adesso solo per recitarmi in faccia il loro amore e la loro preoccupazione fanno prima a partire direttamente da Berlino e andare dove gli pare.» aggiunge acido, ma è quello che pensa, per quanto gli faccia male, è l’evidenza dei fatti. Freddy sospira pesantemente e nasconde il volto dietro al giornale, fingendo ancora di leggere.

«Mi dispiace, piccolo mio. Forse avrei dovuto lasciare il comando a tuo zio Bradley, lasciando a tuo padre più tempo… anche se quando ero il presidente trovavo sempre il tempo da dedicare alla famiglia, nonostante fossi stanco o le cose non andassero sempre nel migliore dei modi.» risponde il nonno, profondamente deluso e dispiaciuto.

«Lo so, nonno, me lo ricordo. Ma non angustiarti, non è colpa tua, hai lasciato a lui la dirigenza perché è il figlio maggiore ed è giusto toccasse a lui… non potevi immaginare che sarebbe successo. Io ti vorrò sempre un gran bene e mai potrò recriminarti questo.» risponde il nipote con un sorriso, ma con le lacrime agli occhi.

«Sì… però inevitabilmente un po’ mi dispiace e vorrei che questa situazione si sistemasse, io voglio che tu sia felice, Benji.» dice ancora il nonno.

«Io tutto sommato sono felice, il sogno della mia vita si è finalmente realizzato, ho degli amici che considero fratelli, una ragazza che non immaginavo di poter amare così e ho anche un nonno stupendo e anche Freddy,  so che mai mi abbandonerà.» risponde Benji, sopperendo così alla mancanza dei genitori.

Il nonno sospira, poi sorride. «Di questo ne sono felice, ragazzo mio. Appena tornerai a casa voglio conoscere questa ragazza, devo approvarla.» dice cercando di alleggerire la tensione, cambiando discorso.

«Certo, appena rientrerò te la farò conoscere. È giapponese è simpatica, parecchio esuberante e impulsiva, ma è anche dolce e generosa. Sono certo ti piacerà.» risponde Benji con un sorriso che gli illumina gli occhi pensando alla sua meravigliosa Fuffy.

«Va bene. Adesso ti lascio riposare, fammi sapere se vengono a trovarti. Rimettiti presto, campione.» dice Benjiamin Aron Price, ricordando i tempi in cui passava molto più tempo con l’amato nipote.

«Certo, lo farò. Grazie per aver chiamato, ci sentiamo. Ti voglio bene, nonno.» sorride il calciatore.

«Anche io te ne voglio, nipotino.» risponde il nonno salutando e chiudendo. 

 Il ragazzo chiude la chiamata, riposa il cellulare e si stende sospirando, ma con il sorriso sulle labbra, che viene ricambiato da Freddy. «Tuo nonno è un grande uomo.» sorride, facendo annuire il suo pupillo, consapevole di quanto egli sia legato a quell’uomo e quanto bene gli voglia. Successivamente Benji ha anche ricevuto una  telefonata dalla fidanzata, con la quale è stato a parlare per un bel po’; e il resto della giornata è passato poi tranquillamente in compagnia degli amici.

***

«Quando rientrerai?» chiede Alfred a suo fratello Gregory, con il quale sta prendendo un caffè alle macchinette del reparto di ortopedia. «Penso non appena lo dimetteranno, ma dovrò comunque tornare tra quarantacinque giorni quando toglierà il gesso.» risponde Gregory, porgendo il bicchierino al fratello minore, preparandone un secondo per sé. «Tu invece, quando pensate di operare quel ragazzo?» chiede mentre attende che la bevanda sia pronta. «Non appena finirà la chemio, poi sicuramente dovrà farne qualche altro ciclo, quindi la mia permanenza si protrarrà ancora per un po’.» risponde Alfred sorseggiando il suo caffè.

«Immaginavo.» annuisce Gregory, estraendo il secondo bicchierino dalla macchinetta e mescolandolo con la palettina. «A casa?» chiede ancora Alfred, sedendosi e continuando a sorseggiare il caffè. «Stanno tutti bene, Fanny deve dare gli ultimi due esami e poi te la ritroverai qui. Julian ha fatto i provini per il Tokyo e aspettiamo una risposta e non ti sto a dire la sua felicità. Spero davvero lo prendano, se lo merita.» risponde Gregory con un sorriso e bevendo un sorso di caffè. «Mamma invece ha distrutto l’ennesimo gnomo di tua moglie con quella sua carretta sgangherata e ha deciso di iscriversi ad un corso di yoga… per non parlare di ciò che vuole fare per i suoi settant’anni.» aggiunge sedendosi accanto al fratello con un sospiro.

Il minore dei fratelli Ross annuisce con un sorriso, poi sbarra gli occhi. «Oddio, che ha in mente?» chiede preoccupato, ma anche divertito, la loro mamma è sempre stata una donna attiva ed esuberante, ma da quando è rimasta vedova si è proprio scatenata. «Ha deciso di voler andare in America e fare un bel viaggio on the road, e giusto per non farsi mancare nulla anche un safari in Africa. Spero non abbia intenzione di partire con la sua auto.» sospira Gregory, ben conoscendo le follie della madre. Alfred sbarra ancora di più gli occhi e sospira. «Partire con quell’auto significa che nemmeno uscirebbe dal Giappone, dobbiamo regalargliene una nuova, questa volta sul serio. Inoltre un viaggio del genere da sola…» dice guardando suo fratello.

«Infatti, Al, è quello che le ho detto anche io, ma ovviamente non vuole saperne di rottamare la sua adorata Herbie e il viaggio ha già deciso di volerlo fare, con o senza la nostra approvazione.» sospira Gregory, gettando il bicchierino ormai vuoto. «Magari il viaggio potremo farlo tutti insieme, o magari potrebbe andare da sola con Fanny e Julian… al massimo anche con Amy e Benji.» risponde il minore pensieroso, gettando anche il suo bicchiere ormai vuoto. «Non lo so, vedremo, tanto c’è ancora tempo.» risponde ancora Gregory, accingendosi a cambiar poi discorso, ma venendo interrotto da un elegante coppia. «Salve, scusate l’interruzione.» dice l’uomo che a occhio e croce ha la loro età e un che di conoscente. «Stiamo cercando nostro figlio, Benjiamin Cedric Price, lo hanno operato al polso.» continua l’uomo, facendo scambiare un occhiata ai due fratelli.

«Oh, allora lei è il signor Price. Io sono il dottor Gregory Ross, mentre lui è mio fratello Alfred.» risponde l’ortopedico, porgendogli la mano e salutando la signora con un galante baciamano. «Gregory Ross… quindi è il miglior ortopedico del Giappone. Ha operato lei mio figlio?» chiede Price. «Piacere comunque di conoscervi. Io sono Bryan Alexander e lei è mia moglie Eleonor Patricia.» continua osservando i due medici e stringendo loro le mani. «Sì, ho operato io vostro figlio.» risponde Gregory, mentre Alfred scruta la coppia, non gli piacciano affatto questi due, e gli piacciono ancor meno se pensa che sono i genitori del ragazzo di sua figlia. «Venite, vi mostro la sua camera.» dice ancora Gregory, non notando il fratello, ma pensando esattamente le stesse cose, ovvero che questi due non saranno affatto dei genitori modello.

Amburgo: martedì 7 marzo, 2018 camera d’spedale di Benji, h. 10:00

La tranquilla mattinata di Benji, fatta di chiacchiere e risate con gli amici, viene improvvisamente interrotta da un deciso bussare alla porta della sua camera. «Sarà il dottor Ross, magari vuole vedere come sta il suo nipotino acquisito.» lo prende in giro Karl, facendo ridere Hermann. «O magari sarà l’altro dottor Ross che cerca il suo paziente fuggiasco.» risponde a tono il portiere, facendo ridere ancora di più l’altro. Freddy ride a sua volta allo scambio delle battute tra i ragazzi e va ad aprire la porta.

Marshall sbarra gli occhi e rimane attonito, anche lui come i ragazzi, si aspettava di trovarsi davanti uno dei due medici, ma non si aspettava minimamente di ritrovarsi davanti i coniugi Price. «Ehm… salve, signori.» sussurra in imbarazzo, facendo voltare i tre ragazzi curiosi. «Salve, Marshall. Siamo venuti a trovare nostro figlio.» risponde Bryan senza scomporsi minimamente, mentre sua moglie sorride. «Oh, ma guarda: i due imprenditori si sono ricordati di essere anche due genitori.» dice Benji con sarcasmo, guardando gelidamente i genitori, che non fanno la minima piega al suo disappunto.

Bryan ed Eleonor sorpassano Freddy ed entrano in camera, guardando il ragazzo – loro figlio – che ricambia lo sguardo duramente. «È meglio tornare più tardi.» dice Karl, sentendosi quasi in imbarazzo, incrociando lo sguardo di Benji e trovando concordante Hermann; entrambi salutano l’amico, facendo cozzare i lori pugni e, timidamente, salutano i nuovi arrivati – riservando loro uno sguardo duro – ma che non viene nemmeno calcolato dai signori Price, che quasi non li degnano nemmeno di uno sguardo; Kaltz e Schneider dunque si dileguano.

«A cosa devo l’onore della vostra visita?» chiede Benji, rizzandosi sul letto, guardando i genitori e sfidandoli. «Come a cosa? Amore io e papà eravamo preoccupati per te, appena lo abbiamo saputo abbiamo immediatamente chiuso le trattative e siamo corsi da te, piccolo mio.» sussurra Eleonor avvicinandosi al letto, sfiorando la guancia del figlio con l’intento di baciarla, ma lui non glielo permette allontanandosi. «Mamma risparmiati i bacini, le coccole e quel finto tono amorevole, non sono più un bambino e non ti perdono tutto con un sorriso.» risponde glaciale, specchiandosi negli occhi neri della madre, che lo guarda dispiaciuta. «Benjiamin non rispondere così a tua madre.» tuona Bryan, guardandolo severamente, non lasciandosi intimidire da quello sguardo. «Altrimenti cosa fai? Mi picchi?» lo provoca Benji per nulla intimorito dal tono paterno; Freddy, poggiato alla finestra, stringe il pugno e freme di rabbia, in questo momento vorrebbe picchiare quell’uomo che nemmeno sa cosa significhi essere un padre. «Non osare sfidare tuo padre, signorino.» tuona ancora il signor Price avvicinandosi al letto quasi pericolosamente.

“Hey, papà, stammi a sentire: ti ricordi quella volta che siamo andati a pedalare

con le biciclette stanche, con le mani sporche e vuote

eravamo come fratelli, uguali come due ruote.

Ti ricordi la domenica mi portavi con te allo stadio,

quella volta che m’hai preso in braccio con la curva sotto assedio,

la gente che scappava, sembrava una guerriglia,

io sembravo un’ostrichetta e tu la mia grande conchiglia.”

«Bryan…» sussurra Eleonor poggiando la mano sul braccio del marito, scuotendo la testa con un sorriso, rivolgendo poi lo stesso al figlio, sedendosi sul letto; Benji si sposta per farle spazio – ma anche infastidito – quasi come se avesse preso la scossa, guarda ancora con astio il padre, che ricambia lo sguardo a braccia conserte. «Benji siamo i tuoi genitori, è normale che ci preoccupiamo della tua salute, sei il nostro bambino e questo non potrà mai cambiare. Quando Freddy ha chiamato papà era in riunione, ha lasciato i soci ed è venuto subito a dirmelo.» dice Eleonor con tutta la sua dolcezza, tentando ancora una volta di carezzarlo, questa volta Benji non si sposta, ma non si lascia abbindolare da quella falsa carezza.

«Certo, ovviamente. Magari prima di venire da vostro figlio avete preferito chiudere l’affare, poi immagino avrete passato una giornate rilassante alle solite terme di Kyoto, poi dovevate fare una scappata alla filiale di Berlino e casualmente, vi siete ricordati di vostro figlio che vive ad Amburgo e prima di ripartire per chissà dove avete pensato bene di andarlo a trovare.» risponde acido Benji, riassumendo il fine settimana dei genitori. «Dunque hai sentito tuo nonno.» dice freddamente Bryan. «Alias tuo padre, sì esattamente, ma lui non c’entra nulla. So benissimo da me che c’è sempre qualcosa di più importante del sottoscritto.» risponde Benji senza degnare il padre di uno sguardo.

Hey, papà, la sera in televisione si guardava di tutto e niente col tuo zapping da campione

e mamma che sbuffava, e noi litigavamo eravamo così uguali eppure non ci capivamo

noi, confusi dalla vita e dal lavoro, da una vita che non si è scelta ma che ci sembrava d’oro

bianco & nero come un film degli anni ‘30

anche se me ne hai fatte tante, la mia fiamma non si è spenta

e sto qui a giocar con un pallone[1] col tuo sangue nelle vene,

me ne hai fatte tante ma ti voglio ancora bene.” 

Bryan Alexander Price sospira, pronto a rispondere a tono a quel figlio impertinente, ma ancora una volta e lo sguardo di sua moglie ad interromperlo. «Benji quello che hai detto è vero, e non è importante se te l’ha detto il nonno o è un tuo pensiero. Adesso mamma e papà sono qui e potremo stare insieme, bambino mio.» sorride Eleonor, guardandolo negli occhi. Benji ride sarcasticamente. «Che carini, dopo tredici anni nei quali vi siete fatti bellamente i cazzi vostri, improvvisamente vi ricordate di me, piombate qui come se fosse la cosa più normale del mondo e pretendete che io vi accolga a braccia aperte e con un sorriso? Non sono più un bambino, mamma, non sono nemmeno più il tuo principino e voi due non sapete nulla di me, non siete nessuno per me. Mi fate schifo, mi fate pena.» dice tenendo la voce ferma e un tono gelido, ma dentro soffre. «Benji…» sussurra Eleonor guardandolo con le lacrime agli occhi.

“Hey, mamma, guardami adesso: sempre lo stesso figlio anche se non parliamo spesso,

come quando da bambino che sembravi mia sorella, ti vedevo in mezzo agli altri ed eri sempre la più bella,

mi ricordo che stavamo praticamente sempre insieme: tua unica missione era farmi stare bene,

anche quando invece non era tutto a posto, mi guardavi sorridendo e soffrivi di nascosto

e quando arrivava l’estate andavamo sempre al mare

con la macchina senza radio pensavamo noi a cantare

le canzoni  degli U2, dei Led Zappelin e dei Nirvana[2]

eravamo sull’asfalto, ma sembrava in mezzo ai fiori

e poi la sera non volevo mai dormire

e tu anche se eri stanca mi venivi a coccolare

e ancora adesso che non stiamo tanto insieme

penso a quei momenti d’oro se ho bisogno di star bene

passa il tempo e siamo grandi in un istante

ma sei ancora la mia voce più importante.” 

«No, è inutile che ora piangi, mi dispiace. Da quando avete preso completamente le redini dell’azienda vi siete dimenticati di me, finché c’era ancora il nonno siete stati dei genitori molto presenti, poi mi avete praticamente abbandonato e io non posso passare sopra a questo come se nulla fosse.» dice Benji, senza che le lacrime da coccodrillo della madre lo scalfiscano. «Ti sembra il modo di trattare tua madre, Benjiamin? Pretendo che tu le chieda scusa.» dice Bryan imperioso. «Come se te ne fregasse qualcosa di lei, come se ve ne fregasse qualcosa di me. Io non chiedo scusa a nessuno dei due e se non ti e chiaro, ribadisco il concetto: voi per me non siete nessuno, non siete voi le persone che mi hanno cresciuto, mi avete messo al mondo, ma non potete vantarvi di quel figlio che avreste voluto al vostro fianco in quella cazzo di azienda, perché io non ho nessunissima intenzione di lasciare il calcio e seguire le vostre orme.» risponde guardando con odio il padre, facendo sorridere Freddy, perché sa che i riferimenti sono chiaramente fatti a lui – in fondo è lui che l’ha cresciuto come un padre.

«Puoi fare quello che ti pare della tua vita, non sarò certo io a importi di lasciare il calcio, ma pretendo che tu sia rispettoso, soprattutto nei confronti di tua madre.» risponde Bryan con astio, avvicinandosi e alzando la mano destra, pronto per dargli uno schiaffo. «Non si permetta ad alzare un dito contro Benji o la denuncio, e non credo le convenga.» interviene Marshall serrandogli il polso con forza, Bryan lo guarda male e si sottrae alla presa. «Tu fatti gli affari tuoi.» dice tra i denti. «No, papà, Freddy può impicciarsi quanto gli pare e prendere le mie difese quanto vuole… sai, dovrebbe essere compito tuo in quanto padre legittimo, ma io considero più lui che te come padre.» dice Benji guardandolo dritto negli occhi – identici ai suoi.

“Quante volte vi ho pensati nei momenti più importanti:

quando solo sopra a un  campo[3] affrontavo i miei giganti,

quando in macchina di notte con l’Europa da scoprire

fare finta di star bene senza voi che mi mancate[4]

quante volte ho detto basta ma chi me lo fa fare,

però poi pensando a voi non riuscivo mai a mollare

questa vita di speranze, ma piena d’emozioni:

questa vita che voi avevate già deciso per me, ma che io ho rinnegato[5]

qualcosa che va oltre la realtà

e che non finirà mai.” 

«Benji noi volevamo ricucire il rapporto, ma evidentemente non sei del nostro stesso avviso, mi dispiace.» sussurra Eleonor, ricevendo uno sguardo di pura commiserazione da parte del figlio. «Pretendete pure che io sia accondiscende? Siete ridicoli. Me la sono sempre cavata da solo, anche quando ero un bambino e si presupponeva dovevate essere voi a guidarmi, adesso sono uomo sono indipendente grazie a i miei sforzi e non ho bisogno di voi. Per quel che mi riguarda potete anche andarvene come siete venuti, io non ho nulla a che spartire con voi.» dice Benji senza remore, conscio del fatto che questo incrinerà ancora di più quel rapporto quasi inesistente.

«Bene, se questa è la tua scelta da uomo adulto, allora fai quello che ti pare. Sappi che non avrai più nessun appoggio da parte nostra né economico né morale. Per quel che mi riguarda non ho più un figlio.» risponde Bryan, guardandolo come se fosse l’ultimo degli sterchi e non sangue del suo sangue. «Come se avessi bisogno dei tuoi soldi, o tantomeno della vostra presenza e supporto, di soldi ne guadagno abbastanza per poter fare ciò che mi pare e la vostra presenza non l’ho avuta quando ne avevo bisogno, pensa se mi mancherà adesso.» risponde tagliente Benji, dando voce ai pensieri di uno schifato Freddy, che guarda male i due presunti genitori.

«Bene, allora arrangiati.» risponde il padre, senza degnarlo di uno sguardo, uscendo dalla camera, senza nemmeno salutare e aspettare la moglie. «Ciao, amore di mamma, mi dispiace per tutto quello che ti abbiamo fatto mettendo il lavoro al primo posto. Sappi che ti amerò sempre, come quando eri il mio principino, sarò contenta se un giorno deciderai di darci una seconda opportunità e sarò felice di poterti abbracciare come quando eri piccolo.» sussurra Eleonor in lacrime, baciandolo sulla fronte, saluta Freddy e corre via dal marito; lasciando sgomenti i due in camera. «Sei stato duro, soprattutto con tua madre, tuo padre è un grandissimo stronzo e se l’è meritato. Sono orgoglioso di te, ma spero che un giorno questo rapporto possa riallacciasi.» dice Freddy stringendolo forte a sé, come se fosse suo figlio.

 

 

 

***

Angolo dell’Autrice: La canzone inserita, questa volta, è: “Mamma & Papà” di Alex Britti, da cui ho anche dato il titolo al capitolo; tuttavia alcune parti non c’entrano nulla con Benji, per cui ho un po’ reinterpretato le parole a mio favore. xD Ok, questo capitolo è assurdamente OOC, ne sono pienamente consapevole, come so anche benissimo di aver praticamente stravolto la famiglia Price. So benissimo che nel manga appaiono e fanno un tifo sfegatato per Benji, degno di Anego nei suoi periodi migliori, ma è anche vero che non avendo letto il manga, non sento mia quella versione – dunque essendo cresciuta col cartone – questo è quello che ho sempre immaginato della famiglia in questione e che continuerò a immaginare; i nomi sono frutto della mia immaginazione e il secondo a Benji l’ho dato perché tutti ne hanno un secondo – quindi anche lui era logico ne avesse uno – ma tanto questo non cambia nulla, resterà sempre il nostro Benji. In breve, questo capitolo è tutto una licenza poetica. xD Ringrazio sempre tutti coloro che mi sostengono in questo delirio, coloro che non riescono a esser presenti per un motivo o per un altro – e in particolare come sempre – la mia insostituibile Darling alla quale appartiene il Gregory Ross ortopedico e che mi ha gentilmente prestato. Alla prossima, Amy

 

 

 

 


[1] E sto qui a cantare

[2] Di Bennato, Battisti e De Gregori

[3] Palco

[4] Per non farvi preoccupare

[5] Questa vita che racconto spesso nelle mie canzoni

 

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Capitolo 19
*** Il mio mondo insieme a te ***


Note introduttive: scusate per il ritardo con il quale aggiorno, ma questo capitolo non era stato messo in considerazione, o almeno nella mia testa era dato per scontato l’arrivo di Fanny – infatti avrei dovuto pubblicare l’intervento del Kaiser – ma tra una richiesta di Barby_Ettelenie_91 e mille dubbi se accontentarla o meno e su come impostare il capitolo, alla fine ce l’ho fatta, anche se mi ci è voluto più tempo del previsto. Ritorna Max a farci compagnia con una delle sue meravigliose canzoni e non c’è nulla di tragico… almeno questa volta, al prossimo – inevitabilmente – Karl andrà in sala operatoria. Grazie sempre a tutti voi che mi seguite ed in particolare alla mia meravigliosa Darling – insostituibile compagna e consigliera. Amy

 

Capitolo 19: Il mio mondo insieme a te

 

È passata una settimana dall’intervento di Benji, il ragazzo è stato dimesso e Gregory Ross è rientrato in patria; Fanny ha superato i due esami con il massimo dei voti ed è finalmente pronta per abbracciare la sua nuova vita in Germania, aveva anche cercato degli appartamenti, ma il fidanzato ha voluto a tutti i costi che andasse a casa sua e così ha deciso di fare la ragazza, avendo anche avuto il consenso dei genitori.

Amburgo: martedì 14 marzo, 2018 aeroporto Hamburg-Fuhlsbüttel, h. 9:00.

Dopo un interminabile viaggio Fanny è finalmente arrivata a destinazione, nonostante la stanchezza non sta più nella pelle, dopo tanto sognare a occhi aperti questo momento, non le sembra vero che sia finalmente arrivato: lo sognava sin dai tempi delle superiori e all’università contava i giorni, ma quel che non sognava all’epoca era che nella sua vita tedesca ci fossero stati un ragazzo e un nuovo amico e questo rende il tutto ancora più bello e la gasa ancora di più.

Messo piede fuori dall’aereo si guarda attorno e sorride, si issa meglio la borsa sulla spalla ed estrae il cellulare dalla tasca dei jeans, accendendolo e avviandosi verso l’interno per recuperare i bagagli; è una bella giornata e il sole brilla nel cielo, ma è freddo, si stringe di più la sciarpa che le ha regalato Benji per il compleanno e sorride, per un attimo la sua mente vola nella sua terra natia – in questo periodo dell’anno – la sua città è tinta di rosa e lei adora quella meravigliosa danza dei ciliegi e un po’ le dispiace non poterla vedere ogni giorno, ma la primavera sta arrivando anche in Germania e sa bene che anche qui è una bellissima stagione.

Dunque sorride ridestandosi dai suoi pensieri e varca la porta degli arrivi, osservando ogni angolo per scorgere chi cerca: miliardi di persone che come lei cercano dei visi familiari, altri che si sbracciano per farsi notare e altri ancora che corrono per prendere una coincidenza o un mezzo per raggiungere la loro meta. A un certo punto, tra la folla, scorge il volto che cerca e sorride, facendosi largo a gomitate lo raggiunge, mentre anche lui la nota e la saluta con la mano in attesa che lo raggiunga. «Uffa! Che faticaccia, a quanto pare hanno deciso di partire tutti oggi.» sbuffa arrivandogli di fronte. Sebastian sorride alla battuta e fa un leggero inchino. «Ben arrivata, signorina Fanny, venga andiamo a recuperare i suoi bagagli e andiamo a casa.» le dice facendola annuire e sorridere.

«Sono contenta di vederti, Sebby! Mi sei mancato anche tu.» dice lei prendendosi pure la libertà di abbreviargli il nome, stringendolo con tutta la sua esuberanza, e facendo irrigidire il povero maggiordomo. «Anche io sono contento che voi siate qui, signorina.» risponde lui con un sorriso, nonostante il lieve imbarazzo dell’inconsueto gesto al quale non è abituato – di certo il suo padrone non è uno che dispensa abbracci e baci – e lui è solo un umile servitore. La ragazza si stacca e sorride ancora, scrivendo poi al fidanzato di esser arrivata e di esser in compagnia di Sebastian, mentre si recano a recuperare le valigie.

Il viaggio verso casa si svolge in tutta tranquillità, Sebastian guida la Cadillac CT 6 nera che Benji ha comprato per la servitù e che guida il maggiordomo. «Come stanno i ragazzi?» chiede Fanny, mentre osserva ogni angolo di strada che percorrono. «Il signorino Benji sta bene, è solo un po’ scocciato dalla limitazione del braccio; su Schneider non so moltissimo, ma credo abbia l’ultima seduta di chemio in questi giorni, prima che vostro padre e l’altro medico lo operino.» risponde il maggiordomo svoltando a destra, introducendosi in un viale alberato, che Fanny riconosce subito – uno dei parchi vicino casa del suo ragazzo.

Sebastian suona il clacson e il cancello automatico viene aperto dall’interno, Fanny sorride vedendo il fidanzato davanti la porta di casa e lo saluta dal finestrino, felice come una bimba. Benji le sorride e aspetta di averla davanti per stringerla e baciarla. È bastato un solo attimo, ed incrociare quegli occhi verdi e allegri, per far sì che tutte le angosce delle settimana appena passata sparissero in un secondo – inevitabilmente – dimesso dall’ospedale è stato due giorni a letto, un po’ indebolito e frastornato, e anche arrabbiato e triste per quegli stronzi dei suoi genitori inesistenti; ma ora che la sua dolce e pazza Fanny è con lui è tutto passato.

«Ciao, amore.» cinguetta allegramente la ragazza, uscendo immediatamente dall’auto, appena il maggiordomo si ferma davanti la porta d’ingresso. «Finalmente sei arrivata, e questa volta non staremo insieme solo una settimana.» risponde Benji con un sorriso, stringendola a sé con il braccio sinistro e baciandole il naso, che lei arriccia e sorride. «Come stai?» chiede baciandolo sulle labbra e guardandolo negli occhi. «Bene, ora che ci sei tu anche meglio.» risponde lui baciandola e stringendola.

Freddy sorride e osserva in silenzio i due ragazzi, felice di vedere il suo pupillo sollevato dalla brutta settimana appena trascorsa; Annie e Klementine sorridono anche loro e aiutano Sebastian con i bagagli della ragazza, che portano dentro. «Sei stanca?» sussurra Benji all’orecchio della fidanzata, che scuote la testa e sorride. «Ho dormito quasi per tutto il viaggio.» ride, baciandolo sulla guancia ed entrando stretta a lui, guardandolo negli occhi e sorridendo persa. «Signorina perdoni l’interruzione.» annuncia Sebastian, chinandosi, ricevendo l’attenzione dei due ragazzi. «Mi permetto di portare tutti i suoi effetti personali in camera, il signorino ha ordinato di sistemarla in camera sua… ma se preferisce, le sistemo la camera per gli ospiti.»

Fanny gli sorride, poi guarda il fidanzato furbetta. «Grazie, Sebastian, va bene anche in camera di Benji.» dice, mentre lui le bacia i capelli, il maggiordomo annuisce e porta in camera del padroncino le valigie della ragazza. Intanto che la sua roba viene sistemata, Fanny ha avvertito il padre e la madre di esser arrivata e va a fare una doccia, mentre Benji l’aspetta in camera, disteso sul suo letto messaggiando con il Kaiser, dicendogli che più tardi andrà a trovarlo, non dicendogli che sarà in compagnia della ragazza, per fargli una sorpresa.

***

«Cosa vuoi fare?» le chiede Benji, appena rientra in camera, guardandola con un sorriso. «Per adesso nulla, voglio stare tra le tue braccia.» risponde Fanny, sedendosi sul letto e togliendogli il cellulare dalla mano, posandolo sul comodino, Benji sorride e la stringe, baciandole la fronte. «Più tardi voglio andare a trovare Karl e stasera voglio andare al Paulaner’s.» sussurra Fanny sulle labbra del fidanzato, per poi baciarle. «Certo.» risponde lui, ricambiando il bacio e stendendosi con lei sopra, mentre le carezza la spalla da sotto l’accappatoio. «Com’è stata la settimana in ospedale?» gli chiede, mentre gli si accoccola sul petto e osserva il gesso.

«Nel contesto una noia mortale, ma per fortuna c’erano i ragazzi ad alleggerire un po’ la tensione. Il giorno dell’intervento non è stato poi così traumatico e tu zio è stato bravissimo, anche simpatico e disponibile.» risponde Benji, tenendola tra le sue braccia e coccolandola, mentre lei sorride e ascolta in silenzio. «I miei genitori si sono ricordati della mia esistenza il giorno dopo e sono venuti a trovarmi… certo, avrebbero fatto meglio a risparmiarsi la visita, inevitabilmente abbiamo finito per litigare, ma non me ne frega nulla, non ci sono mai stati e non mi aspettavo ci sarebbero stati questa volta. Le uniche persone che avrei voluto quel giorno eravate tu e mio nonno, ma non potevo pretendere che lui venisse e tu eri impegnata con gli esami, però Freddy non mi ha mollato un attimo ed è stato un grandissimo sostegno, come un padre.» continua.

Fanny lo guarda negli occhi e sorride, notando quel velo di malinconia. «Certo, in effetti potevano risparmiarsi di venire, visto come si sono sempre comportati, però sono i tuoi genitori, penso ti vogliano bene. Non posso costringerti  instaurare un rapporto con loro, ma vorrei provassi a chiarire le divergenze, se non va amen… almeno ci hai provato, a ogni modo sono fiera di te, sei un ragazzo straordinario e sei diventato un grande uomo anche senza la loro guida.» sussurra, perdendosi negli occhi neri del ragazzo, carezzandogli la guancia e parlando con dolcezza. «Ti ho raccontato di loro, ci sto male, ma me ne faccio una ragione, me la sono sempre cavata da solo ed è quello che continuerò a fare… potrei anche provare a riallacciare il rapporto, ma non so se andrà bene, forse so già in che occasione potrei farlo e tu verrai con me perché te li presenterò e poi tengo in particolar modo a farti conoscere il nonno.» risponde Benji, stringendola fortissimo a sé.

«Certo che sarò con te, amore, muoio dalla curiosità di conoscerli e, soprattutto, voglio conoscere nonno Benjiamin, ogni volta che ne parli i tuoi occhi brillano.» risponde Fanny, con un dolce sorriso, ricambiando la stretta. «Grazie, piccola, sei la mia forza e la parte migliore di me.» sussurra Benji, aprendole il suo cuore ancora una volta, Fanny sorride con le lacrime agli occhi e lo bacia con dolcezza.

“Forse non sarei, come sono adesso…

forse non avrei questa forza addosso…

forse non saprei neanche fare un passo…

forse crollerei, scivolando in basso…

invece tu sei qui e mi hai dato tutto questo.

E invece tu sei qui!

Mi hai rimesso al proprio posto i più piccoli

pezzi della mia esistenza, componendoli, dando loro una coerenza.” 

«No saremo la coppia perfetta, spesso litighiamo, ma ti amo e voglio renderti felice, voglio vivere con te gioie e dolori e voglio essere il tuo sostegno nei momenti importanti.» risponde Fanny dopo il bacio. «Anche io penso questo ed è quello che voglio, mia dolcissima Fuffy.» le dice Benji, carezzandole la guancia e ammirando quei meravigliosi smeraldi che sono gli occhi della sua ragazza. «Nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà, se tu ci sarai, io ci sarò.» risponde Fanny col cuore. «Sempre!» sussurra Benji, ancora perso nei suoi occhi, facendola sorridere e ricevendo un altro bacio, subito ricambiato. «E se ti dicessi che voglio fare l’amore adesso?»

«E se io ti dicessi che non mi va?» chiede a sua volta Fanny per provocarlo, Benji la guarda e gonfia le guance come un bambino, facendola ridere, mentre gliele sgonfia con gli indici e gli bacia il broncio. «Sicuro? Non ti darebbe fastidio al braccio?» gli chiede questa volta con serietà, anche lei ha una voglia assurda, ma la salute del fidanzato ha la priorità. «No, non mi dà fastidio, per evitare di sforzarlo troppo potrei star sotto io…» dice lui, guardandola intensamente, sfiorandole la spalla con la punta dei polpastrelli della mano sinistra, scendendo verso lo scollo dell’accappatoio, sfiorando anche il seno. «Se la metti così, Price… sai che non posso resisterti a lungo.» risponde Fanny leccandosi le labbra e sospirando a quel contatto.   

Benji ride e le scioglie il fiocco dell’accappatoio e ammira la bellezza che è la sua ragazza. «Ma così non vale, tu sei completamente vestito.» lo riprende Fanny indispettita, bloccandogli la mano e pizzicandogli l’addome da sotto la felpa. «Spogliami…» le sussurra sensualmente all’orecchio, mordendole in lobo e mettendosi seduto; Fanny non se lo fa certo ripetere due volte, lo guarda maliziosa e – facendo attenzione al braccio infortunato – gli sfila via la felpa, scorrendo la mano lungo pettorali e addominali, facendogli chiudere gli occhi, Fanny sorride e gli bacia il petto all’altezza del cuore, mentre le sue mani scivolano lente sui suoi fianchi giocando con la cintola dei jeans, Benji ansima lievemente e la guarda divertito.

“Come è bello il mondo insieme a te: mi sembra impossibile,

che tutto ciò che vedo c’è – da sempre solo che –

io non sapevo come fare per guardare ciò che tu mi fai vedere.

Come è grande il mondo insieme a te, è come rinascere

e vedere finalmente che rischiavo di perdere

mille miliardi e più di cose….

se tu non mi avessi fatto il dono di dividerle con me.” 

Fanny si lecca le labbra sensualmente e li sbottona, incrociando lo sguardo del fidanzato, mentre lentamente scivola giù la cerniera sfiorandogli il membro con la punta della dita da sopra i boxer. «Hai deciso di volermi far impazzire?» la provoca Benji, sentendo una gran voglia salire. «E chi lo sa…» risponde Fanny con un sorrisetto; si mette in piedi sul letto e lo guarda, mettendo le mani sul nodo dell’accappatoio  e sciogliendolo con lentezza mentre ancheggia sensualmente. Benji la guarda e trattiene il fiato, conscio del fatto che la sua ragazza è imprevedibile, ma non si aspettava si mettesse a fare lo spogliarello. «Pensi di lasciarmi mezzo vestito?» le chiede mentre osserva la danza della fidanzata, che scopre pian piano le sue spalle.

«No, magari dopo finisco di spogliarti, con i jeans e i boxer addosso sei un pochino inutile.» risponde lei, sfiorandogli il membro col piede, riprendendo poi la sua danza di seduzione e scoprendo le spalle. «Sei terribile…» sussurra Benji col respiro corto, ammaliato dalle sue movenze. «È per questo che mi ami, tesoro.» lo rimbecca Fanny scivolando sempre di più l’accappatoio e scoprendo i seni, iniziando a giocare e a toccarsi per farlo impazzire ancora di più. «Sei perfida, te ne approfitti perché non posso fare quello che vorrei.» le dice lui, osservandola però divertito e anche eccitato. «Lo so, però è divertente vedere la tua faccia da baccalà mentre io faccio questo giochino.» risponde lei, uscendogli la lingua, sembrando ora una bambina dispettosa e non la ragazza sexy di un secondo prima.

Il battito cardiaco del ragazzo è evidentemente accelerato, Fanny riesce a distinguerlo chiaramente dalla velocità dei suoi respiri; sorride riprendendo in mano la situazione, lasciando scivolare del tutto l’accappatoio ai suoi piedi e calciandolo a terra, mostrando tutte le grazie al fidanzato, rimanendo ancora in piedi sopra di lui. «Hai intenzione di rimanere lì tutto il giorno?» le chiede lui sollevandosi a sedere – o almeno a provarci. «Comando io, quindi adesso potrei anche decidere di vestirmi e lasciarti qui.» gli risponde posandogli il piede sul petto e obbligandolo a stendersi, lo guarda maliziosa e finalmente lo libera da quegli ultimi indumenti fastidiosi, mettendosi dopo a cavalcioni sulle sue gambe.

“Forse non avrei mai trovato un posto…

forse non potrei regalarti un gesto…

forse non saprei neanche cosa è giusto…

forse non sarei neanche più rimasto, invece tu sei qui…

sei arrivata per restare, invece tu sei qui, non per prendere o lasciare…

ma per rendermi ogni giorno un po’ migliore,

insegnandomi, la semplicità di amare.” 

Benji la guarda e sorride, togliendole i capelli da sopra la spalla sinistra e la tira per baciarla. «Sicura di volerlo fare così? Non vorrei farti male…» le sussurra sulle labbra con dolcezza. «Non mi farai nulla, stai tranquillo, amore mio.» gli risponde lei, baciandolo sulle labbra e posizionandosi a dovere – e lentamente – sopra la sua virilità che è eretta e pulsante; lui la guarda e le sorride cingendole i fianchi con entrambe mani e guidando i suoi movimenti affinché non si faccia male, mentre lei sorride e chiude gli occhi ansante, lasciando che gli entri dentro pian piano senza sentire dolore. «Sei bellissimo…» sussurra riaprendo gli occhi e guardandolo con dolcezza, mentre ormai abituata alla presenza, lo lascia scivolare del tutto dentro sé, iniziando a muoversi.

«Tu sei bellissima, amore mio…» sussurra Benji, carezzandole i fianchi e muovendosi a ritmo con lei, che sorride e lo guarda con tutto il suo amore e la sua dolcezza, gli carezza l’addome scolpito e continua a muoversi su di lui, finché entrambi non raggiungono l’apice del piacere e lei si solleva, stendendosi al suo fianco e baciandolo velocemente sulle labbra – lo guarda maliziosa – e scende giù a lambirgli il membro, cogliendolo letteralmente di sorpresa, facendolo ansimare  e facendolo venire subito sulle sue labbra, che inevitabilmente si sporcano del suo seme; Fanny sorride, le lecca e si stende nuovamente accanto a lui, stringendolo e baciandolo, mentre gli carezza il fianco e la schiena. «Sono felice di averti qui.» le sussurra Benji all’orecchio, giocando con i suoi capelli. «Anche io, amore. Ho sognato per anni sul come sarebbe stato questo periodo in Germania e non mi sarei mai, nemmeno lontanamente immaginata, che ci fossi stato tu.» risponde lei, stringendolo fortissimo e baciandolo sulla guancia.

«Io non avrei mai immaginato che un giorno fosse arrivata quella ragazza che mi avrebbe fatto perdere la testa, fa un po’ te…» ride Benji, carezzandola e coccolandola. «Sei davvero la cosa più bella che mi sia mai capitata e non smetterò mai di dirtelo. Ti amo da impazzire, Fanny Ross.» le dice ancora guardandola negli occhi, mentre lei sorride e lo guarda commossa. «Anche io ti amo, Banjiamin Price.» sussurra accoccolandosi sul suo petto e chiudendo gli occhi, godendosi il momento.

“Come è bello il mondo insieme a te, mi sembra impossibile,

che tutto ciò che vedo c’è, da sempre solo che,

io non sapevo come fare per guardare ciò che tu mi fai vedere…

come è grande il mondo insieme a te, è come rinascere e vedere finalmente che,

rischiavo di perdere mille miliardi e più di cose

se tu non mi avessi fatto il dono di dividerle con me.”

«E pensare che la prima volta che ti vidi ti odiai da morire.» dice improvvisamente Fanny, rompendo il silenzio, rimanendo accoccolata su di lui. «Ci credo, hai quasi cercato di ustionarmi con quel caffè e mi hai anche detto che tra le mutande non avevo nulla da proteggere.» le risponde Benji ridendo a quel ricordo. «Colpa tua che mi hai spaventato, però mi sono ravveduta sul contenuto delle tue mutande.» ride anche Fanny. «Però non parlavo di quello, ma del nostro primo incontro in assoluto…» aggiunge, guardandolo mentre aggrotta le sopracciglia confuso. «Ovvero?» chiede ora curioso. «Non te lo ricordi? Ci siamo visti per la prima volta alla semifinale delle elementari, quando Julian scappò dall’ospedale e siamo tutti andati a cercarlo. Tu eri con i tuoi compagni e io con i miei, avevi  un’orrida camicia verde vomito – io ero innamorato di Stephen a quel tempo – e mi hai fatto un’antipatia assurda a prima vista e non avrei mai pensato che un giorno saresti diventato il mio ragazzo.»

Benji la guarda un attimo e scoppia a ridere, ricordando l’evento. «È vero, adesso ricordo. Tu sembravi una bimba carina e simpatica, tutta a modo e timida con quel vestitino rosa che ti faceva sembrare un confetto, ma le ragazze non erano ancora nei miei pensieri  a quei tempi… poi al ritiro conobbi una strega e tutti i miei castelli su quella dolce bambina vennero infranti.» le risponde. «Stronzo!» lo riprende Fanny, però ridendo e pizzicandogli il fianco, facendolo ridere. «Scherzo, non me lo ricordavo nemmeno più, e comunque tranquilla, quella camicia l’ho buttata da tempo.» dice Benji ridendo ancora. «Spero tu non ne abbia ancora orride quanto quella…» lo punzecchia Fanny, facendolo ridere. «No, nessuna camicia compromettente.» risponde baciandola.

“Come è grande il mondo insieme a te: è come rinascere

e vedere finalmente che, rischiavo di perdere,

mille miliardi e più di cose…

se tu non mi avessi fatto

il dono di dividerle con me.”

Amburgo: martedì 14 marzo, 2018 villa Price, salotto, h. 14:30

Dopo il delizioso pranzo si sono tutti spostati sui divani, dove Sebastian ha servito il caffè e il dolce. «Allora posso andare a trovare Karl tra un po’? Hai detto che sta bene e io non vedo l’ora di abbracciarlo.» dice Fanny guardando il padre, facendogli gli occhi da cucciola, facendo ridacchiare Benji. «Va bene, principessa, puoi andare a trovarlo. Oggi ha fatto la chemio, ma è libero da controlli, dopodomani avrà l’ultima seduta e poi lo opereremo in questi giorni, al massimo inizio settimana prossima.» risponde Alfred, che proprio non sa dire di no alla sua bambina. «Allora gli starò accanto il più possibile.» dichiara Fanny stringendo il padre.

Benji si irrigidisce a quelle parole e trema, ricordando lo zio Bernd, ha una paura immensa per il suo migliore amico, ma sa che è in buone mani e che non si arrenderà. Non può arrendersi il Kaiser. «Stai tranquillo, Benji, salveremo Karl te lo prometto.» dice Alfred notando la sua reazione, mentre lascia la figlia e le sorride. «Grazie, signor Ross.» sorride il ragazzo, prendendo la mano della fidanzata. «Il mio papino è il migliore e il nostro Kaiser è troppo forte per lasciarsi sconfiggere.» dichiara Fanny, ottimista come sempre, facendo sorridere i presenti, mentre Benji la stringe forte. «Grazie ancora una volta del tuo sostegno.» le dice.

«Sa, signor Ross, non l’avrei mai detto, ma sono felice che sua figlia sia la ragazza del mio pupillo.» ammette Freddy, osservando i due ragazzi abbracciati, facendo sorridere il medico. «Hanno entrambi due caratteri forti, spesso litigano, ma si vede quanto bene si vogliono.» aggiunge, nonostante tutto, felice di avere la ragazza in casa. «La mia bambina è un peste, ma dietro la sua parte esuberante e ribelle è una ragazza dolcissima. Ammetto che all’inizio ero un po’ riluttante quando mi disse che sarebbe venuta qui, ma ho avuto modo di conoscere Benji ed è un bravo ragazzo; non è facile per un padre accettare che la sua piccola sia cresciuta e abbia il fidanzato, ma sono felice che questo sia proprio lui.» ammette il medico con un sorriso, guardando anche lui i ragazzi.

«Benji è un ragazzo straordinario e io ammetto di essere contento che abbia incontrato sua figlia e messo finalmente la testa a posto.» risponde Marshall con un sorriso. «Grazie.» rispondono insieme i due ragazzi per le belle parole dei due adulti. Sapere di avere la loro approvazione è importante. «Io adesso devo andare, vorrei riposare un poco, questa notte sono di turno.» dice Alfred alzandosi. «È stato un piacere pranzare qui, le affido la mia principessa, signor Marshall.» aggiunge, sorridendo ai ragazzi. «È stato un piacere anche per noi, quando vuole può venire, e non si preoccupi, baderò io ai ragazzi.» risponde Freddy stringendogli la mano.

«Mi raccomando, signorina, fai la brava. Studia, altrimenti ti rispedisco a casa col primo aereo, non far disperare il signor Marshall e non litigare con Benji.» dice guardando la figlia, che sorride e annuisce stringendolo. «Certo, papà, farò la brava.» risponde Fanny facendo le fusa, Alfred ride e le bacia la fronte. «Ti voglio bene, piccola mia.» le dice, guardando poi Benji. «L’affido anche a te, non dateci troppo dentro e tu cerca di guarire presto.» gli dice, strizzandogli l’occhio, mentre il portiere arrossisce lievemente. «Certo, signor Ross,  grazie per la fiducia.» dice porgendogli la mano sinistra per salutarlo.

***

Amburgo: martedì 14 marzo, 2018 ospedale, h. 17:00.

«Allora vado, torno a prendervi più tardi, signorino.» dice Sebastian, chinando il capo e rientrando in auto. «Grazie.» risponde Benji con un sorriso, prendendo per mano Fanny, che saluta a sua volta il maggiordomo con la mano. «Ma stasera dobbiamo farci accompagnare anche da lui al Paulaner’s?» sbuffa lei mentre entrano. «Odio anche io esser scarrozzato in giro, ma non posso guidare, quindi immagino di sì…» sospira Benji. «E se guidassi io?» cinguetta allegramente la ragazza, facendo correre un brivido lungo la schiena del fidanzato.

«Sai guidare? Hai la patente?» le chiede guardandola dritta negli occhi. «Certo che so guidare e ovvio che ho la patente, se proprio vuoi saperlo ho anche un auto tutta mia.» risponde Fanny, mettendo le mani ai fianchi e il broncio. «Ok, calmati, stasera decidiamo.» sorride Benji. «Non ti fidi di me?» chiede lei sul piede di guerra, Benji sospira – primo giorno, primo battibecco. «Non ho detto questo, amore.» le risponde con un sorriso, mentre inevitabilmente, trema per l’incolumità della sua Maserati. «Sarà meglio per te non pensarlo nemmeno.» risponde Fanny, guardandolo e gonfiando le guance come una bambina, lasciandogli la mano e precedendolo in camera di Karl.

Benji sospira, alza gli occhi al cielo e infine sorride. Questa è la sua dolce e permalosa Fuffy, che scatta come una molla anche per un niente, ma in fondo lui si è innamorato di lei facendo la guerra e i piccoli battibecchi non possono che movimentare la giornata, purché rimangono piccoli e si faccia la pace subito dopo – anche se subito dopo – implica quando la signorina Ross smetterà di tenere il broncio. «Allora ti smuovi? Hai il braccio rotto, mica la gamba.» lo riprende Fanny, ferma davanti la porta a braccia conserte. Benji sorride e le si avvicina stringendola per la vita, ma dura un secondo, perché lei si scosta come se avesse preso la scossa e bussa alla porta.

Il portiere ingoia il boccone amaro e non dice nulla, non vuole fare scenate in ospedale o davanti al Kaiser e non vuole nemmeno litigare con la fidanzata, che sembra di tutt’altro avviso. «Avanti!» risponde Karl da dentro, e subito la porta viene aperta dalla ragazza – che ignorando del tutto il fidanzato – guarda il ragazzo sul letto di fronte a sé e sorride, sorride nonostante sia un po’ diverso da come l’ha lasciato l’ultima volta, le dispiace vederlo senza capelli e con quello sguardo azzurro stanco cerchiato dal viola delle occhiaie che risaltano sul candore della sua pelle. «Fanny… che bella sorpresa, non sapevo arrivassi oggi.» dice Karl felice, alzandosi dal letto e stringendola forte.

«E invece sono arrivata proprio oggi, ho già avuto un litigio con l’amico tuo, ma lo ignoro perché sono qui per te e non per lui.» risponde Fanny, ricambiando la stretta. Schneider le bacia la guancia e le carezza i capelli, guardando oltre la sua schiena Benji che scrolla le spalle e alza gli occhi al cielo, ma sorride lievemente. «Non dire che sei qui per me, certo sei in questa camera perché ci sono io, ma so benissimo quanto tu sia felice di essere in Germania e di poter stare con Benji.» le dice, scostandola dal suo petto e guardandola nei profondi occhi verdi. «Touché!» risponde lei, chinando lo sguardo e stringendolo di nuovo, facendolo sorridere, il portiere sorride nel vederli e si siede sulla sedia.

«Come stai?» chiede Fanny al suo migliore amico, guardandolo negli occhi e sorridendogli, mentre si stacca e lo lascia sedersi sul letto, sedendosi al suo fianco. «Diciamo bene. Non è facile, soprattutto quando la chemio mi distrugge, ma non mi arrendo… e non mi arrenderò nemmeno durante l’intervento.» risponde Karl stringendole la mano e sorridendo a Benji, che ricambia il sorriso, orgoglioso delle sue parole. «Ormai ti conosco bene da poter affermare con certezza quanto tu sia forte e so che ce la farai.» sorride Fanny. «Certo, ho promesso e io mantengo sempre la parola data.» risponde ancora Schneider sorridente, stringendo entrambi gli amici. «Giovedì ho l’ultima seduta di chemio, immagino che la prossima settimana ci sarà l’intervento…» sussurra, inevitabilmente con un velo di lacrime.

«E sono certo andrà benissimo, fratello, e al tuo risveglio saremo tutti qui.» risponde Benji, stringendolo a sé e baciandolo sulla fronte. Fanny annuisce. «Papà è bravissimo e ce la metterà tutta, poi tu non ti arrenderai a niente e al tuo risveglio saremo tutti qui a festeggiare.» aggiunge sorridendo e unendosi al loro abbraccio. «Magari i festeggiamenti li rimandiamo a data da destinarsi, non sarà il massimo subito dopo l’intervento.» constata Benji, schioccando uno sguardo d’intesa all’amico, guardando poi la fidanzata. «Hai ragione, in effetti…» concorda la ragazza, specchiandosi nei suoi occhi neri, rimanendone ammaliata. «Se non smettete di tenervi questi musi lunghi e guardarvi come due cretini mi arrenderò. Baciatevi!» esclama Karl guardando entrambi, che si girano a guardarlo per poi ridere e baciarsi.

Schneider sorride e fa un piccolo applauso, stendendosi poi sul letto. «Ti senti male?» gli chiede Benji staccandosi da Fanny, che tiene stretta. Karl scuote la testa e sorride. «Sono solo un po’ stanco, ho fatto la chemio stamattina.» risponde leccandosi le labbra. «Tu invece, come va con il polso?» chiede. «È un po’ una scocciatura, ma tutto sommato va bene, non mi dà nemmeno più tanto fastidio.» risponde Benji sinceramente. Karl annuisce e sorride chiudendo gli occhi. «Vuoi che andiamo via e riposi?» sussurra Fanny sfiorandogli la guancia con la punta delle dita.

«No, mi fa piacere se restate, mi annoio già abbastanza qui dentro.» risponde lui aprendo gli occhi e sorridendo, prendendo la mano della ragazza e stringendola nella sua, facendola sorridere. «Allora, perché avete già litigato?» chiede cambiando discorso. «Ma non abbiamo litigato, è stata una scemenza, più un battibecco insensato.» risponde Fanny, guardando un secondo Benji che sorride con ovvietà. «Diciamo che avere un ragazzo impossibilitato a guidare non è proprio il massimo e farsi portare in giro dal maggiordomo è una gran rottura di coglioni.» risponde Fanny, facendo scoppiare a ridere Benji per la sua spiegazione. Karl la guarda un attimo e scoppia a ridere anche lui. «Ma non capisco perché litigare, mica è colpa sua se non può guidare.» dice poi tornando serio.

«Infatti non è per questo che abbiamo litigato.» risponde la ragazza, facendo annuire il fidanzato. «Ma perché stasera vuole andare al Paulaner’s e non vuole che ci accompagni Sebastian, giustamente.» aggiunge Benji, beccandosi un pizzicotto di disapprovazione dalla fidanzata. «Non è nemmeno per questo, ma perché questo qui non si fida delle miei doti automobilistiche.» risponde fintamente stizzita, facendo scoppiare a ridere ancora il Kaiser. «Non è che non si fida, Fanny, non ti ha mai visto guidare ed è un tantino geloso della sua auto. Anche io lo sono della mia e non la faccio mai portare a Grace, sebbene ogni tanto è capitato lo abbia fatto. Per noi ragazzi è un po’ diverso, abbiamo un rapporto morboso con la nostra auto, non è mancanza di fiducia.» le spiega. «Appunto!» concorda Benji.

«Fanatici!» li riprende Fanny ridendo. «E se aggiungete ‘donne al volante, pericolo costante’ non vi parlerò mai più.» aggiunge fintamente seria, i ragazzi alzano le mani a mo’ di resa e ridono. «Mi arrendo, stasera guiderai tu.» acconsente Benji, facendola sorridere vittoriosa; alla fine il piccolo litigio si è risolto ed  è questo l’importante. Ritrovata l’allegria e la complicità, tornano a ridere e scherzare, finché non vengono interrotti dal bussare alla porta che viene aperta subito dopo: dalla quale fa capolino il dottor Brown. «Buonasera, ragazzi.» sorride il medico, sapendo che li avrebbe trovati – in quanto il collega Ross lo aveva avvertito – ma deve controllare il suo paziente.

«Scusate l’interruzione, ma devo visitare Karl.» sorride, facendo annuire tutti e tre, Benji e Fanny si spostano dal letto e Karl annuisce stendendosi e lasciandosi controllare. «Come ti senti?»  gli chiede il medico, mentre gli lega al braccio la fascia per misurare la pressione. «Un po’ stanco, ma tutto sommato bene.» risponde Schneider chiudendo gli occhi, mentre il medico annuisce e sente la pressione. Fanny stringe Benji e aspetta in silenzio, trasmettendogli con uno sguardo tutte le sue paure, lui le sorride e le bacia la guancia, non dicendo nulla, lasciando siano i suoi occhi a parlare per lui. «È un po’ bassa.» afferma il dottor Brown, staccando l’aggeggio dal bicipite del ragazzo che annuisce e riapre gli occhi, il medico sorride e prendendo la lampadina dal taschino del camice gli controlla anche le pupille. «Karl mi dispiace, purtroppo devo mandar via i tuoi amici, hai bisogno di riposare.» sussurra, carezzandogli la guancia.

«Va bene…» sussurra Schneider sorridendo, ma vistosamente stanco. Il medico sorride ancora e si allontana per permettere di salutare. «Torneremo domani, magari non dovendo fare la chemio sarei meno stanco.» dice Fanny stringendo fortissimo il suo migliore amico. «Certo, mi fa piacere e sono felice che tu sia qui con noi.» risponde lui ricambiando la stretta e baciandole la guancia. «Ciao, campione.» sorride Benji, facendo sorridere il compagno, che alza la mano sinistra stretta a pugno, battendola contro il pugno dell’amico. «Non litigate troppo, voi due.» dice strizzando l’occhio a entrambi, che annuiscono ridendo e stringendosi, per poi salutare ancora e uscire assieme al medico, permettendo così al Kaiser di riposare.

***

Dopo esser tornati a casa, Benji e Fanny si sono cambiati per la serata, hanno avvertito di non esserci per cena; il portiere ha preso le chiavi della sua auto ed è andato in garage con la fidanzata e guarda la sua adorata macchina, sfiorandone il cofano con le dita. «Beh… non ti biasimo, se fossi io al tuo posto non la lascerei in mano ad altri.» sorride Fanny prendendogli le chiavi dalla mano e aprendola. «Nemmeno io lascio la mia in mani altrui, la mia piccola e bellissima 500 rossa, non varrà mai quanto questa meraviglia, ma è la mia macchinina adorata.» aggiunge sedendosi al posto di guida, facendo sorridere Benji, che si siede al lato passeggero e allaccia la cintura di sicurezza.

Fanny sorride tutta felice e inserisce la chiave nel quadro, voltandosi verso di lui e sorridendo. «Tranquillo, te la tratto bene.» gli dice, Benji sorride e la bacia sulle labbra, nascondendo dietro quel gesto ansia e  preoccupazione. Non è mancanza di fiducia, è solo che non ha mai concesso a nessuno di guidare il suo bolide – se non al Kaiser e una volta a Grace – non conosce le abilità di guida della fidanzata e questo lo agita un po’, ma vuole darle fiducia e non può far altro – o guida lei o dovranno andare con Sebastian. Fanny sorride ancora, allaccia la cintura di sicurezza e posiziona i piedi sui pedali, rendendosi conto che qualcosa non va: tasta il vuoto col piede sinistro in cerca di un terzo pedale che non c’è, abbassa entrambi i piedi e si china a guardare. «Dove cavolo è la frizione in questa cosa?» chiede voltandosi interrogativa verso il suo uomo.

Benji, inevitabilmente, la guarda sconvolto poi sospira. «Non c’è, ha il cambio automatico.» risponde come se fosse ovvio. «Ah! E potevi anche dirmelo, no?» sbuffa Fanny, riposizionando il piede destro sull’acceleratore e accendendo il quadro – abituata al cambio manuale – sposta la leva pensando di aver ingranato la marcia giusta, ma ha erroneamente inserito la retromarcia andando inevitabilmente indietro anziché avanti. «Verdammt, Fanny!»[1] esclama Benji, che con i riflessi sempre pronti, pianta il freno a mano evitando per miracolo l’impatto con il muro; sospira pesantemente, stacca la cintura in un secondo ed esce per controllare che l’auto non abbia subito danni. «Ops!» mormora Fanny, rimasta seduta, rendendosi conto dell’errore, poi guarda il fidanzato rientrato in auto con occhi da cucciola.

Il ragazzo suo malgrado le sorride. «Non è successo nulla per fortuna, ma stai attenta alle marce che inserisci.» le sussurra con insolita dolcezza, Fanny ricambia il sorriso e annuisce, togliendo il freno a mano e spostando la leva del cambio sulla lettera N, schiacciando l’acceleratore, finalmente con la giusta marcia ingranata, l’auto va avanti – il motore romba che è una meraviglia – e Fanny si sente come un pilota di Formula 1 sul circuito di Monza. Inizia a prendere dimestichezza con la vettura già all’interno del parco della villa e prova anche a cambiare marcia e a frenare e ripartire, sotto lo sguardo vigile e attento di Benji che, ritenendosi soddisfatto del giro di ricognizione, apre il cancello automatico.

«Scusa per prima, non mi sono resa conto di aver inserito la retromarcia.»  dice Fanny, varcando l’uscita e fermandosi per far passare l’auto che arriva da destra. «Tranquilla, ora va.» le sorride Benji, tirando un profondo sospiro di sollievo: il cuore gli è letteralmente balzato in gola, e ha temuto il peggio; osserva la strada e la sua donna alla guida – ora sicura e del tutto a suo agio – e ridacchia, decidendo di provocarla un po’. «Lo sai che se al mio posto ci fosse stato tuo cugino, gli avresti come minimo provocato un infarto?» le chiede, tra il serio e il divertito, mentre lei si ferma a un semaforo rosso. «Hai ragione, ma per fortuna tu non sei Julian.» risponde lei con un sorriso, lo stringe e lo bacia, Benji ride e ricambia con tutto l’amore che prova nei suoi confronti; dimenticato in fretta il semaforo continuano a baciarsi, come se fossero comodamente seduti sul divano di casa, finché il clacson insistente dell’auto dietro li riporta alla realtà – scoppiando inevitabilmente a ridere – Fanny riparte a tutta birra, ormai totalmente padrona di quel meraviglioso gioiello della meccanica. Benji sorride e si gode il suono del motore – che è come musica per le sue orecchie – nonostante il piccolo disastro iniziale, la sua ragazza si sta dimostrando un’ottima guidatrice.

Amburgo: martedì 14 marzo, 2018  Paulaner’s Miraculum, h. 20:00.

Dopo aver parcheggiato è scoppiato un altro battibecco su: in quale delle due sale accomodarsi, alla fine dopo una sequela infinita di imprecazioni e insulti, urlati in giapponese e in tedesco, da parte di entrambi, la spunta ancora una volta la ragazza – che tutta sorridente entra nel pub e svolta verso la sala fumatori. Benji dietro sbuffa e si ferma al bancone della sala non fumatori, salutando Derek, che sta spillando delle birre. «Benji! Che fai qui da solo? Dove sono Grace ed Hermann?» chiede voltandosi, sorpreso di non vederlo in compagnia degli amici.

«Non sono solo, c’è Fanny e mi ha obbligato a stare nell’altra sala.» risponde il portiere alzando gli occhi al cielo, facendo sorridere l’amico. «Alla fine la spuntano sempre loro e noi non siamo capaci di non accontentarle…» dice pensando ai capricci della sua ragazza, che puntualmente asseconda. «Comunque di là c’è Eva, Amber ha la febbre e nessuno degli altri voleva assumersi il ruolo di maître di sala.» spiega Derek, mentre Fanny fa capolino sulla porta sbuffando indispettita, Benji annuisce e si volta a guardarla.

«Scusa, mi sono fermato a parlare un attimo con Der.» si appresta a dire, prima che la fidanzata possa aprir bocca e iniziare di nuovo a bisticciare. Fanny lo guarda intensamente e poi sorride, salutando il ragazzo dietro al bancone. È felice di rivedere anche Derek ed Eva, gli sono stati simpatici sin da subito. «Allora hai deciso di stare di là?» le chiede Benji, facendo cenno con la testa verso la sala. Fanny annuisce. «Ho già salutato Eva e preso il tavolo.» afferma decisa, il portiere le sorride e scrolla le spalle, guardando poi l’amico ridacchiare. «Dai, dopo chiedo a mio padre di sostituirmi e vi raggiungo.» sorride Derek salutando entrambi. Benji annuisce semplicemente e prende per mano una sorridente Fanny, che saluta il ragazzo e lo trascina al tavolo.  

***

Accomodatisi al tavolo una cameriere corre subito da loro, salutando e sorridendo allegramente, chiede gentilmente cosa desiderano. Fanny la osserva e le sorride, notando al suo anulare sinistro una fascetta d’oro bianco con un piccolo diamante, guarda il fidanzato e inizia a frugare nella sua borsa. «Il solito, grazie, Allison.» dice Benji, mentre la ragazza annuisce e scrive l’ordine  sul palmare – essendo clienti abituali – il personale sa già cosa prendono. «Come sta Karl?» chiede la cameriera, inviando l’ordinazione in cucina e al bar. «Benino, giovedì ha l’ultima chemio e poi lo opereranno.» le risponde il portiere. «Capisco, portagli i miei saluti e auguri.» sorride Allison, chiedendogli ancora come va il suo braccio e sorridendo a Fanny, che ricambia il sorriso e accenda una sigaretta.

La cameriera annuisce e sorride ancora, congedandosi perché chiamata da dei clienti. «È stata una delle tue tante avventure?» chiede Fanny al fidanzato, portando la sigaretta alle labbra e guardandolo negli occhi. Benji ride e scuote la testa. «No, eravamo compagni di classe alle scuole medie, è fidanzata da secoli e quest’anno si sposa.» le risponde sinceramente, guardandola negli occhi. «Non è che ora diventi gelosa di tutte le ragazze che saluto?» le chiede scherzoso, benché ne ha avute tante, ma l’unica di cui gli è mai importato veramente ce l’ha davanti. Fanny lo scruta attentamente – rimanendo incantata – davanti a qui bellissimi occhi di pece, che la guardano persi e le scrutano l’anima, sorride dolcemente e scuote la testa, dando un tiro alla sigaretta e baciandolo subito col fumo in bocca.

Benji ride e ricambia, sentendo il sapore della nicotina entrargli in bocca, facendolo sorridere divertito da questo strano giochetto, buttando via il fumo appena si staccano. «Te l’ho già detto, ma te lo ripeterò sempre: ho avuto tante ragazze, ma nessuna di loro è mai stata una cosa seria, tu sei la prima che amo e l’ultima alla quale lo dirò ogni giorno.» dice abbracciandola, Fanny sorride con gli occhi lucidi e gli bacia la guancia. «Scusate, piccioncini.» ride Eva, poggiando sul tavolo birre e stuzzichini. «Grazie.» rispondono entrambi staccandosi, Eva sorride e ritorna dietro al bancone, preparando subito dei cocktail per dei clienti appena arrivati.

«Domani devo andare all’università per compilare alcune scartoffie.» dice Fanny, prendendo una patatina e bevendo un po’ di birra. «Certo, se vuoi ti accompagno, anche io dovrei passare in facoltà.» risponde Benji bevendo. «Mi accompagni a piedi?» ride Fanny, accendendo un’altra sigaretta – la precedente si è consumata quasi tutta da sola. «Guidi tu, no? Ormai hai capito che una Maserati è un tantino diversa da una 500.» le risponde Benji con un sorriso, rubandole la sigaretta e portandola alle labbra, facendo un tiro. Fanny lo guarda male e ne accende un’altra. «Solo per questa sera e che sia la prima e l’ultima.» lo rimprovera bonariamente, puntandogli contro l’accendino.

Benji la guarda divertito e annuisce facendo un altro tiro. «Tranquilla, non ne toccherò altre, non amo fumare e non voglio avere problemi con il calcio.» risponde buttando via il fumo e sorridendole, Fanny annuisce e sorseggia la sua birra, fumando e sgranocchiando patatine, anche il portiere  fa lo stesso – rilassato e felice di averla nella sua vita. Il resto della cena trascorre allegramente e serenamente, un pasto consumato in bella compagnia è sempre più buono; a fine serata – quando il locale è meno affollato – anche Derek ed Eva si uniscono a loro, parlando e  scherzando trascorrendo una piacevole serata in allegria – avendo però sempre un pensiero per quell’amico assente – che completa il puzzle della comitiva, anche se stasera mancano  anche Grace ed Hermann.

 

 

 

 

 

 


[1] Maledizione, Fanny

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Capitolo 20
*** Me la caverò! ***


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Capitolo 20: Me la caverò!

 

La giornata in Germania inizia presto per tutti, oggi è un giorno importante – decisivo – per il Kaiser e per tutte le persone a lui care, un giorno così importante da tener sulle spine l’intero mondo del calcio tedesco… e forse un po’ anche quello europeo, e anche in Giappone c’è gente col fiato in sospeso – nonostante il fuso orario – e poi ci sono i medici: John Brown e Alfred Ross, il primo è il miglior neurochirurgo d’Europa, il secondo il migliore del Sol Levante. Tra qualche ora Karl Heinz Schneider varcherà la porta della sala operatoria e andrà incontro al suo destino.

Non manca nessuno all’appello: la famiglia al completo, gli amici di sempre e quelli che è come se ci fossero sempre stati – anche se fanno parte del gruppo da poco – Grace e i compagni di squadra, immancabili; fuori dall’ospedale i tifosi dell’Amburgo giunti a sostegno del loro capitano e persino le forze dell’ordine, chiamate a tener a bada l’orda di giornalisti.

Amburgo: martedì 20 marzo, 2018 camera d’ospedale di Karl, h. 8:00.

Il Kaiser guarda uno per uno i suoi familiari e sorride, gli occhi lucidi di gioia per il loro fondamentale sostegno e di paura per ciò che lo aspetta, ma non vuole piangere, sorride ancora e stringe la sorellina in lacrime. «Non piangere, Prinzessin, ti prometto che tornerò a essere il tuo fratellone di sempre e che faremo anche quest’estate quello che abbiamo sempre fatto.» le dice con dolcezza, stringendola forte al suo petto e carezzando lei lunghi capelli biondi – che oggi ha lasciato liberi dalle trecce – e baciandole il capo. «Me lo prometti, goßer bruder?[1]» sussurra la piccola Marie Käte, stringendogli forte la maglia. «Sì, kleine schwester,[2] lo sai che mantengo sempre la mia parola.» le risponde ancora con dolcezza, allontanandola dal suo petto e specchiandosi in quei dolcissimi occhi azzurri – così identici ai suoi – eppure diversi.

Thomas e Beatrix, nonostante tutto, sorridono guardando i loro meravigliosi figli così uniti, saldo sostegno l’uno dell’altra – immancabili sono i litigi come qualsiasi fratello e sorella – ma nei momenti importanti si sono sempre sorretti, anche da bambini. Beatrix sorride con le lacrime agli occhi, commossa e anche spaventata, e stringe i suoi tesori – anche Thomas sorride e si unisce all’abbraccio. «Andrà tutto bene, ne sono sicurissimo.» dice con tono deciso e sicuro, nascondendo tutte le sue ansie e paure. Angelika inevitabilmente piange, memore di un giorno analogo, finito in tragedia e stringe più forte al petto la busta che tiene tra le mani. «Non piangere, amore mio, andrà tutto bene… non sarà come per Bernd.» le sussurra suo marito Joseph, stringendola e guardando il figlio che stringe la sua famiglia.

«Karl, tesoro di nonno.» dice dolcemente, facendolo staccare dai suoi e sorridendogli. «Sei un grande campione e io so che non ti arrenderai e ci renderai fieri di te come hai sempre fatto, anche se questa è la partita più difficile della tua vita, la vincerai senza alcun problema. So quanto sia difficile e spaventoso, ma tu sei forte ed affronterai tutto quanto con coraggio come hai fatto finora e ne uscirai vincitore.» dice stringendolo a sé e baciandolo sulla fronte. «Grazie, nonno, non ti deluderò, non vi deluderò.» sorride il Kaiser. «Anche se probabilmente non potrai indossarla in sala operatoria abbiamo pensato di portarti una cosa, è come se fosse acanto a te.» aggiunge nonna Angelika, asciugando le lacrime e  porgendogli la busta con un sorriso.

Karl la guarda e sorride, ha già capito di cosa si tratta, e non può che essere felice – orgoglioso e onorato – di indossare la maglia che appartenne a suo zio nel Bayer Leverkusen, all’apparenza può sembrar solo una semplice maglia, ma per tutti gli Schneider ha un valore infinito, così tanto che hanno chiesto alla società di averla, e loro non hanno fatto obiezioni – si sono subito dimostrati accondiscendi – decidendo anche di ritirare il numero venticinque in onore e in memoria di un grande campione. «Grazie, nonna. Forse non potrò indossarla durante l’intervento, ma posso indossarla adesso.» sorride il ragazzo con gli occhi lucidi, dandole un bacio in guancia, prende la busta ed estrae il capo con mani tremanti per l’emozione, la osserva con un sorriso e, guardando suo padre  commosso, gliela porge per togliersi la maglia che ha addosso.

Thomas Schneider quasi trema e la prende con mani tremule, stringendola poi e sorridendo, lasciando sfuggire le lacrime, porgendola poi al figlio, Karl sorride, la guarda ancora e l’avvicina al viso baciandola e poi la indossa chiudendo un attimo gli occhi – un brivido lungo la schiena – che gli provoca la pelle d’oca in tutto il corpo, una sensazione stranissima e indescrivibile a parole, nell’indossare quella maglia che ha sempre ammirato sin da bambino e che è appartenuta al suo idolo, mentore e guida. «Non ti deluderò, zio, né ora né mai. Vincerò anche per te, immenso campione.» sussurra portando la mano destra sul cuore e stringendo quella stoffa a mo’ di promessa, mentre i suoi familiari lo guardano con orgoglio. «Campione c’è anche un’altra sorpresa.» gli dice il nonno, ricevendo uno sguardo interrogativo dal nipote. «C’è una persona fuori che ti aspetta.» aggiunge Thomas, stringendo suo padre e sorridendo a suo figlio.

Karl non ha idea di chi possa essere, e di certo non è colui che vorrebbe stringere più di tutti in questo momento, li guarda ancora interrogativo e apre la porta della camera: sorride a ognuno dei suoi compagni di squadra, che riconoscono all’istante quei colori sociali e sorridono – sanno quanto significhi quella maglia per il loro capitano – e ciò non è tradire la propria squadra. Il Kaiser intercetta lo sguardo ambra della sua Starlet e il suo sorriso si allarga ancora di più; Benji, Hermann, Fanny, Derek, Eva – non manca nessuno – sono tutti lì per lui e con lui – ma una persona tra tutte lo lascia a bocca aperta, facendogli spalancare gli occhi incredulo, lei sorride con dolcezza e gli si avvicina con passo lento, facendo ondeggiare i suoi lunghi ricci neri guardandolo con quei suoi occhi azzurri che trasmettono tutta la sua emozione – e celano anche un gran dolore.

«Marika!» esclama il calciatore, guardandola sorpreso e felice di vederla, sorride e la stringe fortissimo, ricevendo dalla ragazza un affettuoso bacio sulla guancia e delle carezze sulla schiena. «Quando sei tornata?» le chiede mal celando una certa emozione nella voce. «Due giorni fa, Karl, sebbene lo sapevo già da molto più tempo. Scusami se non sono venuta prima, ma è difficilissimo per me riaffrontare tutto questo…» sussurra la ragazza con gli occhi pieni di lacrime, chinando il capo, profondamente dispiaciuta. Karl le sorride e le asciuga le lacrime con i pollici, stringendola forte a sé. «Non scusarti, non hai alcun motivo per farlo, è difficile per tutti noi.» le dice, carezzandole la lunga chioma ebano, Marika si scosta dal suo petto e lo guarda negli occhi. «Però sono felice di esser qui con voi, mi siete mancati immensamente e tu sei cresciuto tantissimo in questi due anni, kleine stichprobe.[3]» sorride baciandolo sulla fronte.

Il Kaiser le sorride e le carezza la guancia. «Anche tu ci sei mancata in questi anni, per noi farai sempre parte della famiglia Schneider, Marika.» le dice, guardandola negli occhi e facendola sorridere. «Anche per me è così.» risponde lei col cuore. «Sai, sono stata da lui ieri. Lo so, è stupido e non ha senso…» inizia, sedendosi sulla panca, seguita dal calciatore, che le stringe la mano, incitandola tacitamente a continuare. «Sono rimasta seduta davanti alla sua lapide per ore, osservando la sua foto e gli ho parlato tantissimo, immaginando le sue risposte nella mia mente, sentendo la sua voce come se mi fosse accanto. È ancora indescrivibile il sentimento che provo per lui ed è come se non se ne fosse mai andato, a differenza mia che sono scappata come una vigliacca, lui è sempre rimasto accanto a tutti noi.» sussurra piangendo scossa dai singhiozzi.

Karl sorride e si lecca le labbra, stringendola ancora e baciandole i capelli. «Non dire così, non sei affatto una vigliacca, hai avuto le tue ragione come tutti noi. È stato un dolore immenso per ognuno di noi, anche per me è stato orribile accettare la sua morte e riprendere in mano la mia vita – Grace mi ha aiutato tantissimo – ma anche il suo ricordo e il suo amore per il calcio, che mi ha sempre trasmesso, mi ha stimolato a non arrendermi e a continuare a migliorarmi giorno dopo giorno, per realizzare il mio sogno e renderlo orgoglioso del suo campione.» sussurra dolcemente, lasciando libere le lacrime. «Sai, non sei l’unica, anche io quando ho saputo di essere malato sono scappato dall’ospedale e sono andato a Leverkusen da lui – non è stata sicuramente la mia idea migliore – e ho fatto preoccupare tutti, ma in quel momento avevo solo bisogno di sentirlo vicino e parlargli come se mi fosse accanto, in un certo senso è stato catartico e mi ha aiutato moltissimo a razionalizzare la cosa, accettarla e stimolarmi a non arrendermi.» continua il Kaiser, ancora in lacrime, con la voce che trema, ma con un sorriso.

«Sono fiera di te, piccolo mio, lo sono sempre stata e sempre lo sarò. Sei sempre stato coraggioso e determinato sin da bambino e adesso sei un uomo straordinario, non perdere mai tutto questo, Karl, anche lui è sempre stato fierissimo e orgogliosissimo di te e lo sarà ancora di più quando vincerai questa guerra.» sorride Marika, baciandolo sul naso – come faceva quando era piccolo facendolo puntualmente arrabbiare – Karl la guarda e ride, ricordando anche lui quanto questo gesto gli desse fastidio da bambino. «Grazie. È importante per me sapere che nonostante tutto non è cambiato nulla, per me sarai sempre mia zia e non smetterò  mai di volerti bene, sono felicissimo che tu sia qui in questo giorno importante e vorrei che tornassi a far parte della nostra vita come allora, non sarà facile vincere il dolore, ma insieme ce la faremo e continueremo a vivere anche per lui.» dice il Kaiser con il suo sorriso fiero.

«Hai ragione, nipotino, non sarà facile ma uniti ce la faremo anche per Bernd…» sussurra con un soffio di voce Marika, pronunciare il nome del defunto fidanzato le provoca un emozione incommensurabile, ma al contempo le dà una gran carica che pensava di aver perso quel maledettissimo giorno. «Probabilmente non riuscirò mai più ad amare un altro uomo come ho amato lui, ma penso che devo andare avanti anche io e che anche lui lo vorrebbe, so che vorrebbe vedermi felice – anche se la mia felicità era lui e nulla potrà restituirmela – ma il suo ricordo e il mio profondo sentimento nei suoi confronti mi aiuterà ad andare avanti e ricominciare a vivere, ed è qui che voglio vivere, con tutti voi.» sorride ancora Marika, guardando quei dolcissimi occhi azzurri, in apparenza gelidi e privi di ogni emozione, ma immensamente espressivi per chi li conosce bene; quegli occhi così identici a quelli dell’uomo della sua vita.

Karl annuisce e le sorride. «Non ci arrenderemo mai, lotteremo tutti insieme e vinceremo, gliel’ho promesso tantissime volte in questo periodo e non lo deluderò, sai anche tu che non mi sono mai arreso e non ho nessuna intenzione di farlo adesso. Vincerò questa stupida malattia anche per lui e mi rialzerò più forte di prima, realizzerò tutti i miei sogni e vivrò ogni giorno della mia vita come se lui fosse sempre al mio fianco.» afferma con tutta la sua determinazione. «Ci riuscirai, immenso campione.» sorride Marika, ora più forte dallo sfogo e dalla condivisione di dolori ed emozioni. Sorride ancora e carezza la maglia che indossa il ragazzo, quella maglia che il suo uomo indossò sempre con onore, che anche lei stessa indossava a ogni partita del fidanzato. «Amore mio sii fiero del tuo adorato nipotino, è identico a te in tutto e per tutto e non smetterà mai di lottare. Io dalla mia ti prometto che tornerò a essere la ragazza che amavi.» sussurra promettendo su quella maglia e sull’amore che prova per Bernd.

Karl sorride e le stringe la mano con la quale lei tiene ancora stretta la maglia. «Brava, non arrenderti, è quello che lui vorrebbe per te: il meglio. Vinceremo tutti insieme, anche con lui, che vivrà per sempre nei nostri cuori e ricordi.» sorride commosso. «Scusate, non vorrei, ma purtroppo sono costretto a invitarvi ad accomodarvi fuori dall’ospedale. Capisco quanto sia importante per ognuno di voi stare qui, ma siete troppi e non potete rimanere.» esordisce Alfred Ross, dispiaciuto di dover cacciare tutti. Fanny guarda suo padre con gli occhi lucidi, non vuole lasciare il suo migliore amico. «La famiglia, la fidanzata e gli amici più stretti possono rimanere, è già tanta gente.» aggiunge, guardando sua figlia e sorridendole. «Ragazzi mi dispiace, ma voi dovrete aspettare fuori.» aggiunge ancora, ora rivolto alla squadra, che – capisce – e annuisce.

 I calciatori, sfilano uno per uno, stringendo il loro capitano e augurandogli tutto il meglio. Karl abbraccia ognuno di loro e li ringrazia sorridente e felice anche del loro sostegno – sono una squadra sul rettangolo verde – e lo sono anche nella vita ed è questo quello che conta veramente. Benji ed Hermann, che hanno avuto il permesso di rimanere, lo stringono anche loro. «Vinceremo, fratello.» esclamano i due ragazzi. Due semplici parole che racchiudono un immenso significato, intriso di amicizia  e fratellanza. «Grazie anche voi, fratelli miei.» risponde Karl ricambiando la loro stretta. «Lo so che non ci deluderai, Kaiser.» dice Fanny, avvicinandosi e stringendolo, una volta che si stacca dai ragazzi, baciandolo sulla guancia, facendolo sorridere. «Te lo prometto, Fuffy.» risponde lui, chiamandola in quel modo con affetto, facendo ridere il portiere. Successivamente è il momento di Eva e Derek, che lo incoraggiano e abbracciano anche loro.

«Karl adesso però è meglio che tu ti stenda e riposi un po’ prima dell’intervento, non devi stancarti troppo.» gli consiglia il dottor Ross, carezzandogli la schiena in modo paterno. «Certo. Grazie, dottore per aver concesso a loro di rimanere.» sorride il calciatore, rientrando in camera, guardando ancora uno per uno i volti delle persone più importanti della sua vita, soffermandosi poi sulla sua ragazza. «Vieni qua, süẞer kleiner stern.[4]» le sussurra con dolcezza, allungando la mano destra verso di lei, Grace lo guarda con un dolcissimo sorriso, poi guarda il medico, che le dà il consenso, sorridente afferra la mano del fidanzato e lo segue.

«Come ti senti, mio bellissimo Kaiser?» gli chiede Grace, mentre lui si siede sul letto e le stringe ancora la mano. «Bene, amore mio, ho una paura immensa ma non mi lascio sopraffare da essa.» le risponde, guardandola intensamente negli occhi. «Anche io ne ho tantissima, ma so quanto tu sia forte e so anche che vincerai, Karl.» risponde Grace, sedendosi sul letto e baciandolo dolcemente, lui la stringe e ricambia con medesima dolcezza e profondo amore. «Sono felice che Marika sia tornata, per quanto le faccia male, tiene a ognuno di noi inevitabilmente.» dice Karl dopo il bacio con un sorriso sereno. «Marika è una ragazza straordinaria, amava e ama tuo zio con tutta se stessa, come io amo te. Anche io sono felice che sia qui con noi, perché fa parte della famiglia.» risponde Grace sorridente, specchiandosi in quei meravigliosi occhi di ghiaccio.

“Occhi che mi guardano, dallo specchio osservano,

occhi a volte un po’ troppo severi scrutano, per capire quanto c’è

di diverso come se… dalla faccia e dai capelli fosse semplice

intuire se, quello riflesso sono ancora io, se ogni piccolo dettaglio su quel volto è proprio mio;

se ce la farò ogni giorno ad affrontare tutto quello che verrà.

Tutto quello che verrà!” 

Karl le sorride meraviglioso e bellissimo, come nei suoi giorni migliori, lei è il suo tutto e la ama con tutto il suo cuore. «Te l’ho già detto miliardi di volte, ma grazie di esistere e di essere tutto ciò che sei, Starlet.» sussurra, annegando anche lui negli occhi ambra della sua amata. Grace sorride e gli carezza la guancia. «È bello sentirselo dire tutte le volte, anche tu per me sei importantissimo, sei la mia linfa vitale e farò sempre del mio meglio per renderti felice.» risponde con gli occhi lucidi. Il Kaiser sorride e le bacia la mano con la quale lo carezza. «Ti amo.» sussurra con una dolcezza infinita – concessa solo a chi lo conosce nel profondo. «Ich auch.[5]» risponde lei stringendolo forte e iniziando a piangere: lacrime di gioia per aver accanto un uomo meraviglioso, lacrime di paura e ansia per tutto ciò che ha sconvolto le loro giovani vite ancora una volta. Karl la stringe forte al suo petto e le carezza schiena e capelli. «Non reprimere le tue lacrime, buttale tutte via, Starlet. Te lo prometto, Grace, me la caverò e mai mi arrenderò.» le sussurra all’orecchio, baciandole i capelli e poi la guancia.

“Me la caverò, proprio come ho sempre fatto,

con le gambe ammortizzando il botto, poi mi rialzerò: ammaccato non distrutto.

Basterà una settimana a letto, poi verrà da se,

ci sarà anche qualche sera in cui usciranno lacrime…

ci sarà anche qualche sera in cui starò per cedere…

ma poi piano, piano tutto passerà, senza accorgermene, tutto passerà.” 

«Sono anche lacrime di gioia le mie, sono fiera di amare un uomo straordinario come te, so che non ti arrenderai e te la caverai e so che ti rialzerai più forte di prima.» risponde Grace, staccandosi per guardarlo e sorridergli. «Esatto. Ammortizzerò il botto con le gambe, come se fosse un salto in campo, poi mi rialzerò, ammaccato ma non distrutto e quando qualche sera mi usciranno le lacrime o starò per cedere, stringerò forte la tua mano e poi tutto pian piano passerà.» le dice riflettendosi nelle ambre della fidanzata e sorridendo determinato e sicuro.

«Proprio così, amore mio, insieme nel bene e soprattutto nel male.» sorride Grace, spingendolo sul letto per farlo stendere, stendendosi al suo fianco, posandogli la testa sulla spalla, guardandolo negli occhi. «Mi fa strano vederti con questi colori addosso, però hanno un loro perché nel tuo cuore, oltre ad essere la squadra della tua città natia, la tua squadra è l’Amburgo, ma il Bayer Leverkusen ha il suo motivo. So quanto sia importante per te indossarla e ha ragione Marika, è come se fosse sempre accanto a noi.» sussurra Grace. Karl la guarda e ride, ride perché con lei riesce sempre a sentirsi leggero e felice, dimenticando i problemi quotidiani – piccoli o grandi che siano – spesso rimanendo in silenzio e senza riuscire a ringraziarla per tutto come vorrebbe, ma riuscendo a sovrastare quel silenzio a volte più forte del rumore, che le idee gli provocano nel cervello, martellandolo forte. 

“Il silenzio a volte è peggio del rumore che,

perlomeno copre il brulicare delle idee, che di notte vengono,

che di notte affollano, col loro brusio il cervello e lo martellano

e fanno sembrar difficile anche ciò che non lo è.

E  fanno sembrare enormi anche le cose minime,

e così guardo te, che dormi accanto e penso:

che miracolo… vedi a volte accadono.” 

Karl la guarda intensamente negli occhi e smette di ridere. «Ammetto di tifare per il Bayer perché è la squadra della mia città, la squadra in cui ha giocato lo zio e anche papà, è la squadra della nostra famiglia, ma io gioco all’Amburgo e anche lei è la mia squadra del cuore.» le risponde con sincerità, facendola sorridere. «Un po’ come è per me, insomma. La mia squadra del cuore sarà sempre la Flynet, ma l’Amburgo è anche importante perché ci gioca il mio campione personale.» gli sussurra Grace sulle labbra, Karl sorride e gliele sfiora con un delicato bacio. «Sei il mio miracolo, Starlet. Lo sai benissimo che non sono particolarmente credente, ma da quando ho conosciuto te ho iniziato a credere ai miracoli.» sussurra Karl con un sorriso luminoso quanto il sole e con il cuore aperto, come solo di rado accade.

«Sono felice di essere il tuo miracolo e tu sei il mio, Kaiser. È grazie a te se sono ritornata a essere la ragazza allegra e caparbia che ero a Furano, tu sei la cosa più importante della mia vita, quella che solo una volta accade. Un miracolo, appunto.» sorride Grace, bellissima e dolcissima. «E ogni volta che cadrai sarò sempre al tuo fianco, porgendoti la mia mano, aiutandoti ad alzarti e affronteremo tutto in due perché saremo più forti.» sussurra ancora, senza smettere di annegare in quelle magnifiche pozze di cielo che sono gli occhi del fidanzato. «Io… grazie di tutto, Starlet, davvero non so che altro dire.» farfuglia Karl imbarazzato, ma onorato e felice di avere questa meravigliosa creatura al suo fianco come donna della sua vita. 

“Me la caverò, proprio come ho sempre fatto,

con le gambe ammortizzando il botto, poi mi rialzerò:

ammaccato non distrutto.

Basterà una settimana a letto, poi verrà da se,

ci sarà anche qualche sera in cui usciranno lacrime…

ci sarà anche qualche sera in cui starò per cedere…

ma poi piano, piano tutto passerà, senza accorgermene, tutto passerà.”

Grace ridacchia del raro imbarazzo del fidanzato e lo stringe sul suo seno. «Non dire nulla, Kaiser, so di essere importante per te e questo vale più di ogni tua parola. Ich liebe dich unendlich, mein außergewöhnlicher Mann.[6]» dice tenendolo stretto a sé e carezzandogli la schiena con amore e dolcezza, facendolo rilassare – inevitabilmente è un po’ teso per l’intervento – ma lei sa sempre come fare per calmarlo. Non dice nulla Karl, ricambia però la stretta e lascia scivolare via le sue lacrime, che difficilmente sfuggono al suo ferreo controllo, ma questa volta sente di averne bisogno e sa di esser capito del tutto dalla fidanzata.

I due ragazzi vengono interrotti da un impaziente bussare alla porta, Karl trattiene il fiato e la guarda negli occhi, mentre lei gli carezza la guancia e si alza per andare ad aprire a un secondo colpo ancora più impaziente. Sorride nel trovarsi davanti un cucciolo d’uomo, che la guarda con il suo dolce e monello visetto aperto in sorriso. «Ciao!» dice lui guardandola e poi facendo vagare i suoi vispi occhioni verdi dentro la camera, trovando subito lo sguardo del suo idolo, che con un immenso sorriso sulle labbra si alza e lo raggiunge, prendendolo in braccio e stringendolo. «Ciao, Jamie, sono felice che anche tu sia venuto a trovarmi e sono ancora più felice nel vedere che stai meglio.» gli dice, baciandolo sulla fronte.

«Dovevo venire per forza a trovarti oggi, sono stato un’ora a convincere la mamma, alla fine ha chiamato il dottore e lui ha detto che andava bene però devo andare da lui dopo.» racconta il piccolo, stringendolo forte. «Grazie, cucciolo.» sorride il Kaiser stringendolo più forte e baciandolo ancora in guancia. «Tu mi sei stato accanto nei giorni in cui ho fatto il trapianto, io però non posso venire in sala operatoria con te, ma volevo salutarti almeno.» dice ancora Jamie, guardandolo negli occhi e sorridendo, per poi notare i colori del Bayer Leverkusen e storcere un po’ il nasino, facendo ridere il ragazzo. «È la maglia che è appartenuta a mio zio, adesso lui non c’è più.» dice semplicemente Karl, facendolo annuire e sorridere di nuovo. «Ti prometto, piccolino, che appena ci saremo ripresi entrambi ci alleneremo.»

Jamie annuisce ancora con un grande sorriso. «Non importa qual è la squadra del cuore, importa solo il calcio e l’amore per esso.» afferma, dimostrando di esser molto più maturo della sua età. Karl sorride, non può essere più d’accordo. Grace e la signora Meyer sorridono contente per quella dolce scena, vedere due persone amate allegre, nonostante le difficoltà della vita, è la gioia più bella che possa esistere. Adesso la manager è sicura che il suo calciatore entrerà in quella sala operatoria carico della forza di tutti quelli che gli vogliono bene e ne uscirà vittorioso, tornando a essere il campione di sempre.

***

Dopo aver dato un ultimo saluto ad amici e parenti, Karl viene portato in sala operatoria, gli occhi inevitabilmente pieni di lacrime e terrore, ma con un sorriso sulle labbra. «Sarà dura, ma ce la faremo, campione. I prossimi giorni saranno ancora più difficili di questi che hai affrontato finora, ma so che ce la metterai tutta continuando a lottare come hai sempre fatto. Sei bravissimo, Kaiser.» gli sussurra il dottor Brown con dolcezza paterna, mentre lui annuisce disteso sul tavolo operatorio, e gli infermieri lo collegano ai vari macchinari per monitorarlo durante l’intervento. «Non avere paura, tesoro, andrà benissimo.» gli dice anche il dottor Ross, baciandolo sulla fronte. «Va bene, non mi arrenderò.» sorride Karl determinato e coraggioso.

Alle ore dieci e trenta la complessa operazione finalmente inizia, dopo aver aperto una finestrella e il cranio, in corrispondenza della massa tumorale, entrambi i neurochirurghi con l’ausilio di strumenti tecnologici e all’avanguardia iniziano a isolare il tumore e man mano ad asportarlo con il maggior risultato e il minor rischio.

Amburgo: martedì 20 marzo, 2018 sala d’attesa, h. 12:30

Sono già passate due ore dall’inizio dell’intervento, tutti i presenti attendono con ansia la fine e speranza che tutto vada per il meglio. Joseph Schneider tiene stretta sua moglie Angelika, che non ha più detto una parola da quando il nipote è entrato, ricordando quando in quella situazione c’era suo figlio e tutto ciò che ne conseguì; anche Thomas ricorda benissimo quel giorno, ma si fa forza e stringe sua moglie e sua figlia – in lacrime –  ha una paura immensa che la storia possa ripetersi ma sa quanto sia forte suo figlio – il suo campione – e ha piena fiducia nei due medici, che faranno tutto il possibile.

Hermann Kaltz in piedi accanto alla porta mastica con forza lo stecchino che tiene in bocca, ma non una lacrima scende dai suoi occhi; Benji seduto su una sedia lo guarda e gli sorride, mentre stringe tra le sue braccia una terrorizzata Grace – che in assenza del fidanzato – ha dato sfogo a tutte le sue paure e preoccupazioni, sfogandosi con un pianto liberatorio; le bacia la guancia e la culla, mentre osserva Fanny che cammina avanti e indietro per il corridoio con gli occhi rossi di pianto, ma con la consapevolezza che il suo papino salverà il suo miglior amico. Derek – accanto a Hermann – stringe Eva, che in lacrime fissa quella luce rossa sulla porta con una paura terribile, non riuscirebbe a immaginare il fatto che Karl potrebbe non esserci più

Grace la nota e si asciuga le lacrime, sorride al portiere e lo guarda con un sorriso. «Grazie, Benji, avevo proprio bisogno di sfogarmi, ma ora va da Fanny.» gli dice baciandolo sulla guancia, mentre si alza e va a sedersi accanto a Marika, che è rimasta in disparte – assorta nei suoi pensieri e pregando in silenzio. «Andrà bene.» le dice semplicemente, prendendole la mano e stringendola, ricevendo uno sguardo terrorizzato. «Lo so come ti senti, piccola, ci sono passata anche io ed è orribile fissare quella dannata porta dietro alla quale l’uomo che ami si gioca il tutto per tutto.» sussurra Marika, stringendola forte e piangendo ancora sulla sua spalla. «Shhh. Lo so che lo sai anche tu, ed è orribile, vorrei che non fosse mai successo e vorrei stringere Karl più di qualsiasi altra persona al mondo al momento, ma so anche che questa volta andrà bene e che dopo sarà più forte di prima.» sussurra con dolcezza Grace, dimostrando di essere una ragazza molto più matura dei suoi vent’anni.

«Non riesco a pensare che potrebbe accadere di nuovo, non voglio che anche tu soffra quanto ho sofferto e soffro io, non voglio, Grace.» mormora ancora Marika, scossa dai singhiozzi. «Non soffriremo più, Karl rimarrà qui con noi, io ho fiducia in lui. Mi dispiace che con Bernd non sia andata allo stesso modo e vederti distrutta mi faceva malissimo, potevo solamente immaginare quanto fosse orribile, mentre non avrei mai immaginato che mi sarei ritrovata in una situazione simile un giorno. Purtroppo per Bernd è stato fatto tutto il possibile, ma la sua situazione era molto più grave, ma anche lui ha lottato fino alla fine, dimostrando sempre di esser un grande campione nel calcio, ma soprattutto nella vita. Sii orgogliosa di amare un uomo come lui.» le dice ancora Grace, dimostrandosi molto più coraggiosa di quanto pensasse, rassicurando la più grande, la quale paura è doppia.

«Grazie, tesoro. Dovrei essere io a consolare te, sia perché sono più grande e sia perché là dentro c’è il tuo ragazzo… ma proprio non ce la faccio, non riesco più ad essere forte.» sospira Marika, asciugando le lacrime e accennando un sorriso. Grace le sorride e scuote la testa, guarda l’ora e fa un respiro profondo. «Grazie invece per esser venuta, la tua presenza è importante per noi. Karl ha ragione, sarai sempre parte della famiglia Schneider.» le dice, dimostrandole tutto il suo affetto, anche lei è ormai parte della famiglia; guarda la porta della sala oltre la quale il ragazzo che ama sta lottando per vivere e sorride risoluta – fiduciosa e speranzosa – poi sorride a Marika e iniziano a parlare come due qualsiasi ragazze, per ingannare il tempo e rendere attesa e paura un po’ più leggere.

«Basta! Non ce la faccio più ad aspettare, devo uscire a prendere un po’ d’aria o divento pazza continuando a fare su e giù.» sbotta Fanny, arrestando il suo andirivieni, Benji sospira e si alza, stringendola e baciandole la testa. «Andiamo a prendere un caffè.» le sussurra all’orecchio, spingendola dolcemente verso la macchinetta. «Ce la farà, vero?» chiede lei, mostrando la sua paura e debolezza. «Certo che ce la farà, Karl è un campione e non smetterà mai un attimo di lottare e poi non dimenticare che lo sto operando tuo padre.» le risponde lui, prelevando la bevanda dalla macchinetta e porgendogliela.

Fanny sorride e la prende, ringraziandolo con un sorriso, inizia a mescolare il caffè con la palettina di plastica; Benji ripete la procedura per prenderne uno per sé e le sorride, baciandole la fronte e asciugandole quelle leggere lacrime sulle gote. «Voglio vederti sempre allegra e sorridente, Fuffy.» le sussurra sulle labbra per poi baciarle e voltarsi subito per prendere il caffè dalla macchinetta che suona. Fanny ride e lo prende per mano, portandolo fuori, respirando a pieni polmoni l’aria ormai frizzante e primaverile, regalata dall’ultimo giorno d’Inverno; sorseggia il suo caffè e ascolta il cinguettio allegro e spensierato dei primi uccellini, che danno il bentornato alla bella stagione e sorride, iniziando a rilassarsi, complice anche la stretta dell’uomo che ama.

«Mi manca un po’ la nostra bellissima Primavera.» dice improvvisamente Benji, osservando le grandi querce presenti nel giardino dell’ospedale. «Anche a me già manca, la nostra è uno spettacolo stupendo e ineguagliabile, ma anche qui è bellissimo ed è Primavera anche nel mio cuore perché sono finalmente con te.» sorride Fanny, voltandosi tra le braccia del fidanzato, che le sorride e la bacia. «Hai ragione, la Primavera è bella ovunque, ma in ogni paese ha le sue caratteristiche e tu sei la mia.» le dice dopo il bacio, facendola sorride felice e allegra come il più luminoso sole che il giorno abbia mai visto dall’alba dei tempi.

«Adesso mi è diventato anche romantico, ma che ragazza fortunata che sono.» lo prende in giro Fanny, mordendogli le labbra, per poi prendere una sigaretta dal pacchetto e portarla alla bocca, accendendola; Benji ride e le bacia la guancia, osservando l’orizzonte con i suoi occhi di pece e sentendo la tensione alleviarsi pian piano. È incredibile come questa ragazza – il suo uragano Fuffy – gli abbia totalmente stravolto la vita. «Ne vuoi una?» gli chiede Fanny, buttando via una nuvoletta di fumo e voltandosi a guardarlo negli occhi. Ricorda benissimo quello che gli ha detto qualche giorno fa, e continua a pensarlo, ma capisce che anche lui è teso, la sigaretta non sarà proprio salutare – ma almeno rilassa un po’. Benji scuote il capo e sorride, baciandole le labbra, anche lei sorride aspirando poi quell’involucro di carta e tabacco sentendosi ora leggera, lo guarda e gliela avvicina alle labbra, Benji la guarda e ride, facendo un tiro e baciandola subito col fumo in bocca. 

***

Dopo quasi cinque ore, la lunga attesa ingannata in mille modi è finalmente conclusa, tutti possono tirare un sospiro di sollievo: Karl Heinz Schneider è uscito dalla sala operatoria, l’intervento è andato benissimo e i medici sono più che fiduciosi per una veloce ripresa. Ancora addormentato dall’anestesia viene portato nel reparto di terapia intensiva, dove verrà tenuto sotto costante monitoraggio, dove rimarrà almeno per le prossime quarantotto/settantadue ore, collegato a vari macchinari che registreranno con costanza e precisione ogni suo parametro vitale nell’attesa del risveglio e del percorso di ripresa.

Adesso non possono vederlo, ma rassicurati dall’ottimismo dei medici, possono tutti tornare a casa col cuore leggero e colmo di nuova speranza: il periodo peggiore è passato, lentamente inizierà a tornare tutto come prima e ognuno tornerà a vivere la vita di sempre, più forte per questa brutta esperienza e più determinato a dare il meglio di sé. La vita là fuori li attende: nuove sfide e nuove avventure, aspettano solo di esser vissute, e c’è un Mondiale alle porte, che aspetta solo di esser giocato e un ritorno al calcio attende di esser festeggiato.

 

 

 ***

 

Angolo dell’Autrice: ed anche il capitolo più difficile, temuto, e atteso è andato. Pensavo sarebbe stato più difficile da scrivere, invece è quasi uscito di getto – tra un imprevisto e l’altro della quotidianità – ho preferito non dilungarmi moltissimo nella descrizione dell’intervento, come avevo pensato all’inizio, sebbene mi sono informata – per quanto possibile – su internet, ma è sempre meglio non esagerare, perciò ho preferito concentrare l’attenzione su vari stati d’animo dei personaggi lasciando i due medici lavorare dietro le quinte. In questo capitolo ho finalmente introdotto il personaggio di Marika (la fidanzata dello zio Bernd) che nei precedenti era stata solo accennata dagli Schneider, penso che da questo momento in poi sarà molto più presente all’interno della storia, lei nella mia mante è già ben delineata, so come muoverla qui e anche in futuro (ma su questo dovrete aspettare la fine di questa fiction) anche se Bernd è morto lei rimarrà sempre molto legata alla famiglia del fidanzato e anche a Grace, che ha conosciuto in passato quando ancora lui era vivo (ma anche di questo ci sarà modo di approfondire in futuro). Ovviamente, come ormai consueto, anche in questa capitolo è immancabile il caro Max e la canzone non poteva che andarmi a nozze, ovviamente. Strane curiosità e coincidenze: il giorno dell’intervento del Kaiser è il giorno del mio compleanno, ma è stato solo un assurdo caso, non avevo per nulla preventivato la cosa – così come è capitato il 24 gennaio, Barby_Ettelenie_91

 Questo è tutto, spero che il capitolo vi sia piaciuto e non mi resta che darvi appuntamento al prossimo. Grazie sempre a tutti quanti, in particolare alla mia insostituibile Darling.

Vostra sempre, Amy!  

 

 

 

[1] Fratellone

[2] Sorellina

[3] Piccolo campione

[4] Dolce Stellina

[5] Anch’io

[6] Ti amo immensamente, mio straordinario uomo

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Capitolo 21
*** Strada facendo... ***


Capitolo 21: Strada facendo…

 

Sono ormai passate tre settimane da quando il Kaiser è stato dimesso dall’ospedale: la prima l’ha passata praticamente a letto, ancora debole per i postumi dell’intervento e della chemio, ma poco a poco, le forze iniziano a tornare; la strada verso la ripresa è ancora lunga, ma ogni giorno è un passo verso la vittoria e la totale ripresa della sua vita quotidiana. Non è stato affatto facile, ma con l’aiuto e il sostegno dei suoi cari, pian piano riemerge sempre di più.

La seconda settimana di convalescenza con l’aiuto di Benji – ma soprattutto – di Hermann ha ripreso gradualmente a studiare, molto probabilmente darà il prossimo esame all’inizio del nuovo anno accademico, ma anche non potendo seguire le lezioni, ha deciso di rimanere comunque in carreggiata, e l’amico contro ogni aspettativa, si è rivelato un buon compagno di studi – nonostante tra i due sia Karl quello ad avere la media più alta – che pur non dedicando tutte le sue giornate tra i libri, da quando ha iniziato il suo percorso universitario, ha sempre avuto la media del trenta e vuole continuare ad averla, perché lui è un guerriero: non ha permesso al suo male di vincere sulla sua vita e non gli permetterà nemmeno di vincere sui suoi sogni.

Nonostante sia pesante affrontare ogni giorno, cerca sempre di dare il massimo, con i dovuti tempi e un adeguato riposo, sta recuperando del tutto le sue facoltà; anche i medici si sono detti molto ottimisti sulla sua fase di recupero e gli hanno anche detto che – con moderazione – può tornare a fare sport gradualmente e riprendere l’attività agonistica nell’arco di due mesi ed esser completamente in grado di poter affrontare il Mondiale, stando però attento a non strafare troppo e fermarsi quando la stanchezza si fa sentire.

Intanto anche Benji ha iniziato il suo percorso di riabilitazione, seguito da Gragory Ross che è tornato in Germania, ha fatto dei controlli e ha iniziato la fisioterapia sotto la supervisione del medico, seppur dolorosamente – giorno dopo giorno – recupera la mobilità della mano e del polso, anche per lui, Gregory e il fisioterapista, contano di rimetterlo in campo per il Mondiale. Intanto in Giappone, Kirk Pearson, sta lavorando per organizzare un amichevole in onore del Kaiser e spera che possa essere uno stimolo per incentivarlo a tornare – anche se avversario – è sempre bello misurarsi con un grande campione.

Amburgo: mercoledì 11 aprile, 2018 h. 12:00

Fanny, ormai totalmente padrona dell’auto del fidanzato, parcheggia davanti al centro di fisioterapia, prende la sua borsa nella quale è riuscita anche a far entrare un libro e un quaderno per prendere appunti all’università, la mette in spalla e messa l’allarme all’auto entra nell’edificio. Si guarda attorno e sorride: tutti quei poster affissi alle pareti, rappresentanti l’anatomia umana e varie procedure di riabilitazione, le riportano alla mente un aneddoto della sua infanzia. Si rivede nei suoi sei anni, quando era straconvinta che da grande sarebbe diventata un medico, magari un ortopedico come lo zio Gregory, ma poi crebbe e iniziò la passione della lingua e della terra tedesca e tutto cambiò, ma ironia della sorte, è stato il cugino a intraprendere gli studi di medicina, accostandoli alla carriera calcistica ed alla sua condizione di salute, che lo ha portato a voler aiutare sportivi nella sua stessa condizione.

A ridestarla dal suo ricordo è la voce della receptionist, che dietro al bancone delle prenotazioni, la saluta e le chiede di cosa ha bisogno. «Sono qui per il mio ragazzo, sta facendo riabilitazione per il polso, sono venuta a prenderlo.» risponde lei, avvicinandosi. «Benji Price, il calciatore.» sorride la ragazza bionda. «Penso finirà a breve, se vuole può raggiungerlo. Seconda porta a destra.» aggiunge, Fanny non se lo fa ripetere due volte e si affaccia alla porta indicatale. Benji è lì: in ginocchio su un tappetino, l’avambraccio poggiato su una panchetta morbida rivestita in pelle e tiene in mano un pesetto, col polso teso e una lieve fatica sul viso. Sorride, e silenziosa, si poggia allo stipite della porta osservandolo.

Benji continua il suo esercizio, concentrato e determinato a dare il massimo, vuole impegnarsi con tutto se stesso per esser in forma in tempo per il Mondiale. Fanny lo guarda con un gran sorriso e profonda ammirazione, notando solo adesso il fisioterapista che si volta a guardarla e le sorride; lei ricambia il sorriso per gentilezza, poi torna a osservare il ragazzo che ama. A occhio e croce il fisioterapista non ha più di trent’anni, trentacinque al massimo, ed è innegabile il fatto che sia un bell’uomo – che dà l’impressione di saperlo e di tirarsela – i capelli castani, così come gli occhi, espressivi, furbi e magnetici; per non parlare del fisico che è visibile per quel poco da sotto gli abiti da lavoro, anche se fidanzata, la povera Fanny non può che notare tutti questi particolari, ma il suo cuore batte per un solo uomo: il suo bellissimo portiere, che ha abilmente parato il suo cuore.

«Per oggi va bene così, ci vediamo domani, Benji.» dice il fisioterapista, togliendogli il pesetto e rivolgendo un furtivo sorriso alla ragazza poggiata ancora silenziosa – e anche un po’ imbarazzata – allo stipite della porta. «A domani, Patrick.[1] » risponde Benji, notando lo sguardo del fisioterapista e vedendo finalmente la sua dolce Fuffy. “Fossi in te ci penserei due volte prima di provarci, amico,  non solo perché è la mia ragazza, ma perché sa essere più stronza di quanto possa sembrare all’apparenza.” pensa divertito andando incontro alla fidanzata, stringendola e baciandola, giusto per sottolineare il fatto che sia sua.

Fanny sorride, lo stringe e ricambia il bacio, non pensando alle intenzioni del fidanzato – delle quali poi non gliene frega – quello lì potrà anche provarci, ma tanto se la canterà e suonerà da solo. Patrick li osserva e sorride, fingendo indifferenza e rimettendo a posto gli attrezzi e la sala. «Torniamo a casa?» chiede Fanny dopo il bacio, lanciando ancora uno sguardo a Patrick, che le sorride e le strizza l’occhio. «Sì, amore mio.» risponde Benji, prendendola per mano e fulminando con lo sguardo il fisioterapista. 

Dopo pranzo Benji e Fanny sono saliti in camera vogliosi e bisognosi di stare assieme. «Simpatico quel Patrick.» lo provoca Fanny, leccandosi le labbra. «Sì, ho notato, ma anche le ragazze sono molto simpatiche s’è per questo.» risponde a tono Benji, beccandosi un pizzicotto dalla fidanzata. «Ma la mia ragazza non la supera nessuno.» aggiunge baciandola. «Ovviamente! E poi quel belloccio non può competere con te.» risponde Fanny dopo il bacio, poggiandosi sul suo petto e coccolandolo. Benji le bacia la guancia, sospira e chiude gli occhi.

«Che hai?» chiede dolcemente la ragazza, carezzandolo. «Pensavo al fatto che tra qualche giorno è il compleanno del nonno e dovrò andare a casa, ma che non ho nessuna voglia di vedere i miei genitori.» sussurra Benji, rimanendo a occhi chiusi, tra le braccia della fidanzata. «Immaginavo lo avresti detto, ma ti ho detto che verrò con te e affronteremo tutto insieme, amore. Inoltre ti ho anche detto che vorrei facessi pace con loro, ma so quanto sia complicato e non voglio obbligarti e vederti soffrire, solo che ci provi e se non va niente, saranno loro ad aver perso.» gli risponde Fanny con dolcezza, carezzandolo amorevolmente sulle guance. «Grazie, piccola mia.» sorride il portiere, riaprendo i suoi occhi neri e guardandola intensamente e con riconoscenza. Il suo meraviglioso uragano personale si sta rivelando molto più fondamentale di quanto potesse immaginare all’inizio e forse non riuscirà mai ringraziarla abbastanza.

Amburgo: mercoledì 11 aprile, 2018 casa Schneider, h. 16:00

Karl seduto in giardino assieme alla madre e a Marika, osserva in silenzio sua sorella, che danza leggiadra come una farfalla, ripassando la coreografia del prossimo saggio – mentre nella mente del Kaiser si affollano milioni di pensieri e una voglia assurda di giocare a pallone. «Sai già quando rientrerai?» gli chiede la zia Marika, distogliendolo dai suoi pensieri, facendolo voltare. «No, lo chiederò ai medici quando andrò a controllo, mi hanno già detto che potrò giocare il Mondiale, ma io vorrei rientrare anche in campionato.» risponde alzandosi e stirandosi la schiena intorpidita, sgranchendo anche le gambe.

«Tesoro non sforzati, ti prego.» gli dice Beatrix guardandolo e sorridendo, nonostante tutto, sa benissimo che suo figlio non riesce a non pensare al calcio. Karl sbuffa e non risponde a sua madre, per tutta risposta inizia a fare qualche piegamento, facendola sospira ma sorridere. Marie Käte piroettando incrocia lo sguardo di suo fratello e gli sorride, smettendo di danzare e raggiungendolo. «Mi cambio e facciamo quattro tiri ti va?» gli chiede con la tutta la sua dolcezza, il Kaiser sorride. «Certo che mi va, Prinzessin, prendi il pallone in camera mia.» le risponde baciandole la fronte e sorridendo, iniziando a correre un po’.

«È una reazione esagerata la mia?» chiede Beatrix con un sospiro, continuando a guardare il figlio correre per il giardino. «No, Bea, non lo è, hai le tue ragioni per essere apprensiva.» la consola la quasi cognata, guardando il ragazzo, rivedendo per un attimo il fidanzato. «Però guardalo, sta bene e vuole solo riprendere in mano la sua vita, Karl non è uno stupido e sa che non deve esagerare e io sono certa che tornerà più in forma di prima.» aggiunge con un sorriso, mentre la piccola di casa ritorna in giardino con indosso tuta e scarpe da tennis e il pallone in mano. «Eccomi, Karl.» sorride calciando la sfera di cuoio verso di lui, Karl le sorride e la stoppa di petto, iniziando poi a palleggiare.

Marie Käte sorride e lo osserva incantata, nemmeno stando fermo per mesi suo fratello ha perso il suo tocco di palla e lei adora vederlo con un pallone tra i piedi, sorride ancora e gli si piazza di fronte; Karl le sorride e le tira il pallone, calibrando il tiro ed evitando la cannonata per non farle male, la piccola aspetta che ricade per terra e rilancia al fratello, sebbene abbia un buon destro la piccolina, non sa stoppare il pallone e nemmeno calciarlo al volo. Il Kaiser la osserva e sorride  tirando al volo, questa volta con più potenza, scagliando il pallone oltre la testa della sorellina facendolo sbattere contro un albero. «Non vale il Fire Shot. Uffa!» si lamenta la piccola, mettendo il suo tenero broncio, che il calciatore tanto adora. «Scusa.» le dice andando a recuperare lui stesso il pallone e ritornando palleggiando con maestria.

Marika sorride e osserva ancora il suo piccolo campione. «È molto cresciuto in questi due anni, adesso ha la portata di un uomo e sorride molto di più rispetto a prima, somiglia molto a Bernd.» sussurra la ragazza, facendo annuire e sorridere la signora Schneider, che osserva commossa suo figlio. «Sai? Credo che sia molto merito di Grace, da quando stanno insieme è molto più espansivo e solare, e credo sia grazie a lei se è riuscito a superare quella tragedia e tutte le avversità, anche se lui è forte tende a chiudersi in se stesso e tenersi dentro il suo dolore, ma lei in qualche modo riesce a farlo sfogare e a farlo emergere in tutta la sua bellezza.» continua, osservando anche lei i nipoti giocare. «Sì, hai ragione, Grace è una ragazza straordinaria, quella che ogni madre vorrebbe per il proprio figlio.» risponde Beatrix stringendole la mano. «Anche tu sei stata questo per Bernd, Angelika ti adorava per suo figlio e ti adora ancora adesso, da questo punto di vista è come se non fosse mai cambiato nulla.» sorride stringendola.

Marika sorride e annuisce, è felice di far ancora parte di questa bellissima famiglia, nonostante tutto. «Quelle di prima erano parole sue, ma le condivido appieno, lui ha sempre adorato quella dolce ragazza ed era felicissimo quando ci hanno detto di essersi messi assieme. Loro erano al Paulaner’s e noi siamo andati casualmente lì quella sera, ce l’ha presentata e i suoi occhi brillavano come stelle, appena Bernd gli ha dato la sua approvazione si è illuminato ancora di più e lo ha stretto fortissimo. Karl lo ha sempre visto come un modello e credo abbia considerato la sua benedizione più di quella di tuo marito.» racconta la ragazza con un sorriso, ricordando quella serata. I due piccoli Schneider continuano a giocare, ma senza esagerare, finché non arriva Thomas rientrato dagli allenamenti e sorride vedendo suo figlio con il pallone tra i piedi.

***

Amburgo: mercoledì 25 aprile, 2018 h. 9:00

Karl sgomma lievemente davanti casa della fidanzata e suona il clacson, Grace scosta le tende di camera sua e lo saluta con la mano, per poi correre giù, salutare la madre  e raggiungere il fidanzato in auto. «Buongiorno, amore.» sorride allegramente lei, annegando già di prima mattina in quei meravigliosi iceberg che sono gli occhi dell’uomo che ama. «Buongiorno a te, Starlet.» risponde il Kaiser stringendola e baciandola; oggi per tutti loro è un giorno importante, il giorno della verità e lui è inevitabilmente un po’ teso e preoccupato, ma la vicinanza della sua meravigliosa ragazza riesce a tranquillizzarlo, perché sa che qualunque sarà il risultato delle analisi lei gli starà accanto e lotterà con lui.

«Vuoi che guidi io fino all’ospedale?» gli chiede dolcemente Grace, carezzandogli la guancia e guardandolo negli occhi. Karl scuote la testa e sorride, baciandole la mano. «No, lo sai che mi piace guidare e mi è mancato non poterlo fare, adesso finalmente posso farlo di nuovo ed è bello sentire la mia bella macchinina.» risponde facendola ridere. «Lo so, allora andiamo, e dopo la bella notizia andremo a festeggiare da qualche parte per pranzo.» risponde Grace con un allegro e solare sorriso, Karl ricambia il sorriso ma non dice nulla – apprezza l’ottimismo della fidanzata – ma lui in questo momento ha paura che i medici possano dirgli qualcosa di brutto; le bacia la guancia e parte per raggiungere l’ospedale.

La sala d’attesa del reparto di oncologia è piena di persone che attendono di fare una visita o di ricevere i risultati delle proprie analisi e scoprire il loro destino: uno di questi è il Kaiser, si guarda attorno, fa un respiro profondo come a voler scacciare via l’ansia e si siede su una sedia libera, rimanendo in silenzio con il cappellino e gli occhiali da sole. «Andrà bene, amore.» sussurra Grace, sedutasi al suo fianco, stringendogli la mano e baciandogli la guancia, lui annuisce solamente e osserva tutta quella gente sconosciuta, provando a immaginare il perché siano lì ad aspettare, mentre la sua mente torna indietro nel tempo, quando aspettavano di sapere le sorti dello zio e anche al giorno in cui scoprì lui stesso di esser malato.

L’attesa sembra infinita e l’ansia non può che salire ancora di più, ma la mano di Grace, che stringe e carezza la sua in qualche modo riesce a calmarlo; il dottor Brown entra in sala d’aspetto, li saluta con la mano ed entra in una delle tante stanze, Karl ricambia il saluto con un sorriso, poi sospira ancora. «Tranquillo, Kaiser, penso che tra un po’ toccherà a noi e andrà benissimo.» gli sussurra Grace all’orecchio, baciandogli la guancia con amore. «Schneider si accomodi.» dice poco dopo l’infermiera. Karl si alza assieme alla fidanzata e raggiunge la stanza in cui poco prima è entrato il neurochirurgo con il cuore che batte a mille.

«Buongiorno, ragazzi, accomodatevi.» li accoglie il medico, dietro la scrivania, accanto all’oncologo. Karl accenna un sorriso e si siede, osservando entrambi col cuore in gola. «Sono contento di vederti, campione, e sono anche contento di vedere che sei in ottima forma.» sorride l’oncologo. «Come ti senti? Come sono stati questi giorni?» chiede invece il dottor Brown. «Grazie.» risponde Karl togliendosi gli occhiali sole e guardando i due medici. «Sto bene, a parte l’ansia di sapere i risultati delle analisi, mi sento benissimo e penso di esser anche pronto per rientrare in campo.» risponde il Kaiser con sincerità, facendo sorridere Grace, che gli stringe la mano e osserva i due medici in attesa di sapere.

«Ottimo!» sorride il dottor Brown, prendendo in mano la cartella con i risultati e sorridendo ai due ragazzi. «Karl le analisi sono impeccabili, hai risposto benissimo alla terapia e all’intervento, non c’è più traccia del tumore.» inizia il medico, facendo sorridere il ragazzo al quale diventano gli occhi lucidi e Grace lo stringe felicissima. «Tuttavia, campione, il periodo di remissione dura cinque anni nei quali potrebbe anche tonare, ma non è detto, in ogni caso puoi continuare a vivere normalmente la tua vita e dovrai fare controlli con regolarità per i prossimi anni che man mano andranno allontanandosi.» gli spiega l’oncologo, facendolo annuire. «E posso tornare in campo?» chiede il Kaiser.

Il dottor Brown guarda il collega e sorride. «Direi che possiamo anticipare i tempi sulla tabella di marcia e farlo rientrare.» dice ricevendo l’approvazione del collega. «Quando ti ho dimesso ti avevo dato la mia parola che saresti tornato in tempo per il Mondiale, adesso ti dico che puoi anche rientrare in campionato, ma non esagerare è meglio iniziare con una manciata di minuti a partita e pian piano potrai tornare a giocare un intero incontro.» aggiunge con un sorriso paterno. «Grazie, grazie infinite, dottore.» sorride Karl alzandosi e stringendogli la mano, il medico ricambia la stretta e lo attira a sé per stringerlo. «Non ringraziare me, merito della guarigione è anche tuo e della tua determinazione. Adesso voglio vederti spaccare il mondo e… mi piacerebbe vederti vincere in Russia, motivo per cui – anche se non amo particolarmente il calcio – verrò a vederti giocare.» gli dice.

Karl sorride con tutta la sua determinazione. «Ovvio che diventerò campione del mondo, l’ho promesso a molte persone e ora lo prometto anche a me stesso.» dice allargando ancora di più il suo sorriso. «Sarei venuto a prescindere, in quanto tuo medico assieme al dottor Ross, avevamo già deciso di seguirti e tenerti d’occhio, ma non abbiamo nulla di cui preoccuparci e sappiamo ci renderai orgogliosi di te, campione.» sorride il medico, carezzandogli la guancia. «Adesso andate a festeggiare questo bel momento, ragazzi, e se più tardi hai allenamento vai pure, ma non strafare troppo.» aggiunge l’oncologo, alzandosi e stringendogli la mano, facendogli i migliori auguri per tutto, salutando poi anche la ragazza; entrambi i ragazzi ringraziano ancora e prendendo la cartella si congedano.

Varcata l’uscita dell’ospedale Karl fa un profondo sospiro di sollievo e alza lo sguardo al cielo sorridendo, mentre le lacrime di gioia gli rigano le guance, alza in alto anche il pugno destro in segno di vittoria – come ogni volta che fa in campo dopo aver segnato. «Sono felicissima, amore mio.» sussurra Grace, cingendogli la vita, mentre lui guarda ancora il cielo sorridente. «Ce l’ho fatta, zio.» sussurra stringendo poi la fidanzata e baciandola con gioia e felicità, un senso di leggerezza che non provava da tempo; si specchia nelle ambre che sono gli occhi della sua Starlet e mette più passione nel bacio, tenendola sempre stretta tra le sue braccia e sollevandola da terra. «Siamo tutti fieri di te, campione, anche lui lo è.» dichiara Grace dopo il bacio, guardandolo e perdendosi nella bellezza di quello sguardo tornato a brillare e in quel meraviglioso sorriso che tanto ama.

«È anche merito vostro.» risponde Karl, sorridendo ancora e rimettendola a terra. Grace sorride e gli prende la mano. «Dove vuoi andare adesso per festeggiare?» chiede, mentre prende il cellulare dalla borsetta e manda un messaggio a Benji e uno a Beatrix, per dire che è andato tutto benissimo. «Non lo so dove voglio andare a pranzo, ma so che voglio festeggiare insieme a tutti, ma per questo dobbiamo aspettare Benji e Fanny che rientrano dal Giappone e lo faremo al Paulaner’s, ovviamente.» risponde Karl prendendo le chiavi della macchina dalla tasca del giubbotto. «Ovviamente!» concorda Grace. «Ma penso che stasera tua madre organizzerà già qualcosa.» dice mentre lui toglie l’antifurto all’auto e sorride. «Adesso però, prima di andare da qualche parte a mangiare voglio fare il tatuaggio che ti dicevo l’altro giorno.» dice sedendosi, chiudendo lo sportello e mettendo in moto, appena anche lei si è sistemata.

«Allora andiamo a fare questo tatuaggio, mio immenso campione.» sorride Grace, stringendogli la mano destra sul cambio e accendendo lo stereo, prende un cd dal cruscotto e sorride inserendolo alla radio, guardando sottecchi il fidanzato lo fa partire, lui sorride riconoscendo all’istante quella musica che è diventata la colonna sonora del loro amore. «When I think back on these times and the dreams we left behind I’ll be glad ‘cause. I was blessed to get  to have you in my life when I look back on these days. I’l look and see your face you were right there for me.»[2] canta allegramente Grace, osservando il suo bellissimo uomo guidare, che le sorride e inizia a cantare anche lui.

***

«Ecco qui il tatuaggio che voglio.» dice Karl al ragazzo, consegnandogli il disegno che lui stesso ha fatto; il tatuatore lo osserva e sorride, iniziando a copiarlo sulla carta da lucido per riportarlo. «È un bel tatuaggio, molto particolare e con un grande significato, Kaiser.» sorride il ragazzo, che è da sempre un grandissimo tifoso degli Schneider. «Grazie.» sorride Karl, togliendosi il cappellino e la felpa. «Lo voglio sulla nuca, che scende verso il collo.» gli dice, facendolo annuire. Il ragazzo sorride e, avendo riportato il disegno sul punto indicato, inizia a ricalcare la stella più grande, i puntini e le due stelle minori, per poi passare alle tre scritte all’interno delle tre stelle. ‘25 aprile 2018 Kaisersieg’ in quella più grande, ‘Erik 21/2/18’ all’interno di quella di sinistra e ‘zio Bernd 4/8/16’ in quella di destra.

Finito il tatuaggio, il ragazzo lo ripulisce e lo osserva. «Ottima scelta, è un tatuaggio insolito ma mi piace.» gli dice prendendo uno specchio e facendoglielo vedere tramite il riflesso di un secondo specchio. Grace sorride e osserva anche lei il disegno sul collo del fidanzato, gli sta benissimo e significa molto per entrambi: le stelle rappresentano lei e le scritte all’interno sono degli eventi importanti che hanno segnato per sempre le loro giovani vite in modo irrimediabile. Non ama particolarmente i tatuaggi la ragazza, ma questo è un modo indelebile per sancire delle vittorie importanti, stampate sulla pelle e portate nel cuore, sconfitte e vittorie che rimarranno per sempre nella memoria.

«Grazie, è venuto bene.» sorride Karl, osservandolo attraverso gli specchi e sorridendo felice di aver scelto questo disegno, intriso di significati, sottintendendo anche l’amore per la sua magnifica Starlet. «Dovrai mettere una crema lenitiva e dovrai tenerlo coperto per una settimana.» gli dice il tatuatore, facendolo annuire. «Certo, grazie ancora.» risponde Karl, aspettando che il ragazzo gli metta la crema e lo copra, per poi rivestirsi e pagare. «Adesso andiamo a mangiare, amore, ho fame.» dice prendendo Grace per mano, salutando e ringraziando ancora il ragazzo. «Mi piace, sai che non li amo, ma questo è speciale, amore.» sorride Grace, baciandolo in guancia e camminando allegra e felice verso l’auto, mano nella mano col fidanzato.

***

Fujisawa: mercoledì 25 aprile, 2018 villa Price, h. 19:00

Mano nella mano con Fanny, Benji con un finto sorriso sulle labbra, saluta i parenti e presenta la fidanzata a zio Bradley e zia Camille, entrambi sorridono e si presentano alla ragazza. Sono felici di rivedere il nipote e di sapere che ha finalmente messo la testa sulla spalle e ha trovato la ragazza giusta.  «Lei è Allison, la mia ragazza.» dice Bradley, afferrando per la vita una ragazza con i capelli rossi e gli occhi castani. «Piacere di conoscerti, Fanny.» le dice stringendole la mano, sorridendo al fidanzato e salutando Benji con un abbraccio, ricambiato con affetto dal portiere. La festa di compleanno del patriarca Price è sempre stata molto sentita in famiglia, anche se lui stesso non ama festeggiare il suo compleanno, è sempre felice di aver accanto la famiglia, quell’adorato nipote lontano, e spera in cuor suo che un giorno possa risolvere le divergenze con i genitori. Benjiamin Aron Price proprio mal sopporta il comportamento indecoroso del suo primogenito e da una parte si sente anche responsabile e in colpa verso il suo amato nipote.

Gli invitati arrivano poco alla volta, per lo più sono amici del nonno e tutta la Price Corporation è stata invitata; Benji saluta gli zii e cerca il festeggiato – l’unica persona per il quale è tornato – incrocia lo sguardo di suo padre che poggiato alla porta sorseggia il suo liquore, lo ignora, stringe più forte la mano della fidanzata e, avvistato il nonno, lo raggiunge. «Scusatemi.» dice Benjiamin Aron allontanandosi dai suoi ospiti e sorridendo al nipote e alla ragazza accanto a lui. «Ciao, campione, sono felice di vederti.» gli dice stringendolo. «Anche io, nonno, sono venuto solo perché non potevo mancare al tuo compleanno, per il resto non avevo nessuna voglia di vedere certe facce.» risponde il ragazzo, ricambiando l’abbraccio.

«Lo so, ragazzo mio.» sospira il nonno, notando lo sguardo del Bryan che li osserva. «Dunque non mi presenti la tua bella accompagnatrice?» chiede subito dopo, distogliendo lo sguardo duro dal figlio, addolcendolo subito una volta rivolto al nipote e alla ragazza. «Certo che te la presento.» sorride Benji, dimenticando dei genitori, aspettava questo momento dal giorno dell’intervento, quando gli disse di lei per telefono. «Lei è Fanny, il mio uragano personale.» sorride, guardando la fidanzata e baciandola in guancia. Fanny sorride e stringe la mano dell’anziano. «È un piacere conoscerla, signor Price, Benji mi ha sempre parlato benissimo di lei e quasi mi sembra di conoscerla da sempre, da quel che mi ha raccontato ho capito che è una persona straordinaria e sono contenta di sapere che ha lei come nonno.» dice educata e sorridente.

«Anche io sono felice di conoscerti finalmente, piccola, mi ha parlato molto di te e sei perfetta per lui.» sorride il nonno, strizzando l’occhio al nipote, osservando poi la ragazza, che sorride. Sta per dire che gli ricorda una donna, ma viene interrotto dal suo vecchio socio in affari, che gli porge un bicchiere e lo stringe come un vecchio amico. «Parlerai con i tuoi genitori?» chiede Fanny a Benji, allontanandosi dai due. Benji sospira e posa lo sguardo sul padre – ancora poggiato alla porta – che sorseggia il suo drink e alla madre che parla con sua zia. «Non che ne abbia voglia, ma sì, lo farò.»  risponde lui baciandole la fronte. Fanny sorride, poi una donna di mezza età cattura la sua attenzione. «Nonna?» chiede alzando un sopracciglio, facendo voltare anche Benji che, scorgendo Fancy Ross, alza le spalle e la raggiunge con la fidanzata.

«Nonnina!» sorride Fanny, stringendola con tutto l’affetto che prova per lei. «Fanny, Benji, che bello vedervi, pensavo non sareste venuti, soprattutto tu, Benji.» dice Fancy, carezzando la guancia a entrambi. «Sono venuto solo per il nonno.» risponde Benji. «Ma tu cosa fai qui?» chiede Fanny alla nonna, che sorride e guarda il festeggiato discutere con degli amici di vecchia data. «Conosco Benjiamin da quando avevo la vostra età, io lui e nonno eravamo grandi amici da ragazzi, loro mi venivano entrambi dietro e io non filavo nessuno, mi divertivo a vederli competere tra loro, ma ero già innamorata di tuo nonno e diedi loro la mia risposta alla fine della guerra dalla quale per fortuna tornarono entrambi.» racconta. «Come mai non mi avevi detto che conoscevi suo nonno?» chiede la nipote sorpresa, ma felice di saperlo.

«Non lo so, non mi è venuto in mente le altre volte che ci siamo visti.» risponde la nonna con un sorriso colpevole, che fa ridere entrambi i ragazzi. Benjiamin Aron liberatosi dai vecchi amici sorride notando una persona speciale e si avvicina, poggiando le braccia sulle spalle di Benji e Fanny, che si voltano a guardarlo. «E così i nostri nipoti stanno insieme.» sorride, guardando Fancy, ritornando per un attimo alla sua adolescenza, quando ne era perdutamente innamorato. La donna sorride, annuisce e lo stringe con grandissimo affetto. «Buon compleanno, Ben.» dice baciandolo in guancia. «Io conoscevo già Benji, ma no avevo collegato fosse tuo nipote.» dice. «Io ho conosciuto adesso tua nipote, non avevo idea di chi fosse, ma il suo viso mi ha ricordato subito una ragazza, è identica a te da giovane.» risponde Benjiamin con un sorriso.

«Non lo avrei mai detto.» ammette Benji, guardando entrambi e sorridendo, tenendo Fanny per la vita. «Nemmeno io.» aggiunge lei, sorridendo alla nonna, guardandola con sguardo furbetto. «Figuratevi noi, ma è bello sapervi insieme, anche noi eravamo molto legati da giovani.» sorride l’uomo, voltandosi a guardare l’amica che – nonostante l’età – è ancora una bellissima donna. Benji sorride e schiocca uno sguardo d’intesa con suo nonno. «Sì, ma sono cambiate molte cose da allora, Ben.» precisa Fancy, guardando i ragazzi e poi l’uomo che la stringe ancora per il fianco. «Certo che sono cambiate, Fancy, ma la tua bellezza è rimasta incantevole in tutti questi anni.» le sussurra guardandola nei bellissimi occhi verdi.

«Benjiamin…» sussurra Fancy, ricambiando lo sguardo, specchiandosi in quegli occhi onice; Benji e Fanny si lanciano un’occhiata d’intesa e sorridono. Sarebbe forte se i loro nonni si mettessero insieme. «Fancy… è passato tanto tempo da allora, entrambi abbiamo amato e sposato altre persone, ma non c’è nulla di male nel provare adesso a stare insieme.» le risponde Price, carezzandole la guancia. «Albert ed Amalia sono ormai morti da anni, ma resteranno sempre gli amori della nostra vita… io non vorrei far loro un torto, Benjiamin.» sussurra Fancy continuando a guardarlo. «Fancy sei sempre dolce e sensibile come da ragazza, ma questo non significa tradire il loro amore… tuttavia, se questa è la tua scelta, la rispetterò in memoria delle nostra vecchia amicizia.» le dice dolcemente Benjiamin, baciandola sulla fronte.

«Vieni, andiamo a prendere da bere.» sussurra Fanny all’orecchio di Benji, tirandolo verso il tavolo del buffèt, per lasciar intimità ai due nonni. Benjiamin guarda ancora Fancy e le sorride, carezzandole la guancia, lei sorride e lo stringe. «No, invece voglio provare, Ben.» dice guardandolo ancora negli occhi e perdendosi in essi, Benjiamin Aron Price le sorride, le carezza le guance e poggia le labbra su quelle morbide e delicate della donna che ha amato da giovane. Fancy ricambia il  bacio e lo stringe. «Ben, non ti prometto nulla però, lo sai che sono uno spirito libero, proviamo e se non va niente.» gli dice dopo staccandosi; Benjiamin sorride e annuisce, ricordando perfettamente il carattere pazzerello dell’amica.

«Ciao, Benji. Non mi presenti la tua ragazza?» cinguetta una voce femminile, facendo voltare Fanny indispettita e Benji – riconoscendola – infastidito. «Ciao, Dorothea.» risponde gelidamente, stringendo a sé la fidanzata e sorseggiando il suo cocktail in tutta tranquillità. «Lei è Fanny, la mia ragazza, ma non credo che la cosa ti riguardi dato che non fai parte della famiglia.» le dice ancora glaciale, mal sopportandola. «Adesso se vuoi scusarmi.» aggiunge piantandola lì e allontanandosi con la fidanzata. «Chi è?» gli chiede Fanny, avendola già catalogata come antipatica. «La segretaria di mio padre, nonché sua amante. Loro pensano che io sia scemo, ma so benissimo che stanno insieme da poco prima che partissi per la Germania, li ho visti una volta; non ho mai capito però se mia madre lo sa e finge di non saperlo solo per facciata o non lo sa davvero.» si sfoga il portiere.

Fanny sospira e lo stringe, baciandogli la guancia, e osservando Eleonor Patricia Price parlare con la cognata, mentre tiene tra le mani un bicchiere ormai vuoto, posando a intervalli lo sguardo onice sul marito e sul figlio. «Vieni, ti presento mia madre, in fondo ti avevo promesso ci avrei provato, e questo potrebbe essere un buon nuovo inizio.» le dice Benji, distogliendola dai suoi pensieri; mentre lui schiocca un’occhiata al padre che si alza dal divano, recupera da bere ed esce in giardino. «Possiamo interrompervi?»  chiede Benji, sorridendo alla zia e guardando sua madre; Camille sorride alla ragazza e guarda la reazione della cognata, che sorride e guarda il figlio. «Posso abbracciarti?» gli chiede Eleonor guardandolo con occhi lucidi e sorriso sulle labbra. Benji non risponde, ma sorride e la stringe. «Benji… amore mio.» sussurra la donna con voce tremante, lasciando scendere le lacrime e baciandolo in guancia, Benji l’allontana dal suo ampio petto e la tiene tra le sue braccia sorridendole e asciugandole le lacrime. «Sono sempre arrabbiato con voi, però voglio darvi una seconda possibilità, se sbaglierete ancora ognuno andrà per la sua strada.» le dice guardandola negli occhi; Fanny osserva madre e figlio sorridendo in silenzio.

Eleonor sorride e carezza la guancia del suo bambino, ormai uomo. «Mi dispiace davvero averti trascurato, piccolo mio, vorrei anche io ricostruire il mio rapporto con te. Non mi importa di quello che farà tuo padre…» sussurra vedendo il marito fuori con la sua segretaria. «Lui l’ho già perso anni fa, non voglio perdere del tutto anche mio figlio.» aggiunge in lacrime, osservando il marito baciare Dorothea; Benji annuisce e volge lo sguardo nella stessa direzione e sospira, sentendosi disgustato dal fatto che  quell’uomo non si crei alcun problema, sospira e bacia la fronte della madre. «Dunque lo sai anche tu?» chiede retoricamente. «Certo che lo so, ormai non ci amiamo più da tempo… io non l’ho mai tradito, però, giochiamo a fare la coppia felice per il bene dell’azienda.» risponde amaramente la donna. «Mamma mi dispiace.» le dice Benji con sincerità. «Io li ho visto poco prima che partissi per la Germania, non te l’ho mai detto perché non mi importava nulla di voi.» ammette.

La signora Price non dice nulla ma gli sorride, posando poi lo sguardo su Fanny rimasta in silenzio. «Immagino non mi avrà mai descritto come la madre migliore del mondo.» le dice per cercare di sdrammatizzare, facendo sorridere il figlio, suo malgrado; Fanny la guarda e scuote la testa. «Io non sono nessuno per giudicarvi, ma penso che siete stati dei pessimi genitori… sono stata io a dire a Benji di provarci, adesso sta a voi.» dice senza peli sulla lingua. «Non vi conosco e vorrei poterlo fare, lei sembra aver colto i suoi errori da pessima madre e si vede che adesso vuole ritrovare suo figlio. Per quanto riguarda suo marito, penso solo sia un grandissimo stronzo, che non ha mai capito che moglie e che figlio ha accanto.» continua, dicendo tutto ciò che pensa.

Eleonor la guarda, prendendosi qualche minuto per elaborare il discorso. «Fanny dice sempre quello pensa, ma non voleva offenderti in alcun modo.» si sente in dovere di precisare Benji, la mamma gli sorride e scuote la testa. «Ha ragione lei.» risponde al figlio, sorridendo poi alla ragazza. «Sono contenta di conoscerti, tesoro, si vede che sei una brava ragazza, dai tuoi occhi si capisce subito quanto tu sia furba e intelligente, e col tuo bel caratterino sei perfetta per Benji.» le dice, facendola sorridere. «Mi chiamo Fanny ed è un piacere conoscerla, signora Price.» le dice sorridendo ancora e stringendole la mano. «Chiamami pure Eleonor.» risponde la donna, ricambiando la stretta e sorridendo al figlio, che ricambia.

L’attenzione di tutti i presenti viene attirata dalla servitù che porta la torta. Benji si avvicina con Fanny al nonno per fargli gli auguri, ma prima incrocia il padre sul suo cammino. «Ciao, papà. Volevo presentarti la mia ragazza.» dice guardandolo e decidendo di provarci, mettendo da parte l’orgoglio. «Ciao.» risponde freddamente Bryan, posando lo sguardo sulla ragazza e squadrandola dalla testa ai piedi. «Piacere di conoscerti, divertitevi.» dice girando i tacchi e andandosene, lasciando entrambi di stucco, prima che possano dire qualcosa. «Che grandissimo stronzo e bastardo.» si lascia sfuggire Fanny, stringendo il fidanzato che è rimasto a fissare il padre allontanarsi. «Io ci ho provato, ma evidentemente non è del mio stesso avviso. Non mi importa più niente di lui, però sono contento che con mamma sia andata meglio.» dice Benji voltandosi a guardarla, Fanny sorride e gli mette le braccia al collo. «Sono fiera di te, amore mio.» gli sussurra sulle labbra, guardandolo negli occhi.

«Ti devo ringraziare, Fanny, forse senza te non lo avrei mai fatto.» dice Benji, carezzandole i capelli e facendola sorridere. «Io non ho fatto nulla, ti ho solo spronato a farlo e ti sono stata accanto, il resto lo hai fatto tu.» risponde lei baciandolo con amore e dolcezza. Benji la stringe e ricambia il bacio stringendola a sé, mentre una lacrima di gioia sfugge al suo controllo, e in quel preciso istante il suo cellulare vibra nella tasca del pantalone, facendo ridere Fanny e facendola staccare, il portiere lo prende e apre il messaggio su WhatsApp: è del Kaiser, sorride vedendo la foto del tatuaggio, mostrandola anche a Fanny che sorride, lui le bacia la guancia e manda una faccina sorridente all’amico. La serata del settantacinquesimo compleanno del patriarca Price continua tra il divertimento generale, qualche occhiata di fuoco tra Benji e suo padre e una rinata complicità con la madre.

 

***

Angolo dell’Autrice: ho odiato con tutta me stessa questo capitolo, non è stato affatto facile scriverlo e per un attimo l’idea di passare a quello successivo mi ha anche sfiorata, ma mi sono messa d’impegno e l’ho finito nonostante le difficoltà – forse è un po’ noioso – soprattutto all’inizio, ma era necessario scriverlo per far tornare alla quotidianità i protagonisti di questa storia. A fine note vi lascio la foto del tatuaggio che ha fatto Karl così che possiate farvi meglio un’idea, è un mio disegno che ho fatto apposta per l’occasione. Finalmente in questo capitolo Benji ritrova i suoi genitori,  più la madre, visto che suo padre si è rivelato un grande stronzo… per tutti coloro che seguono questa storia, ricordo che questa è la mia personale visione della famiglia Price, che ho da prima che scoprissi l’esistenza del manga e continuerò a vederli così anche dopo aver visto la scan in cui sembrano una bella e felice famiglia unita. xD Volevo mettervi le foto della famiglia dato che nella mia mente Benji è figlio unico ed ho deciso di fargli due zii ed un nonno, volevo metterle su Charahub il sito che uso per le schede dei miei OC, ma al momento ha qualche problema e per qualche astrusa ragione non mi fa caricare le immagini, vedrò in futuro se troverò il modo per farveli vedere. Che altro dire? Grazie sempre a tutti voi che seguite questa storia, grazie a chi continua a recensirla e grazie sempre un pochino di più alla mia insostituibile Darling – che ogni giorno sopporta i miei deliri – li asseconda e mi regala sempre preziosi consigli. Un bacione immenso a tutti, al prossimo capitolo. Amy

 

 

[1] Non ha nulla a che vedere con Patrick Everett, nemmeno il nome è stato messo per mancanza, lui esiste davvero, è un fisioterapista che ho conosciuto quest’anno e che ha seguito mia sorella dopo la frattura alla gamba – per motivi di privacy – non lo vedrete mai, ho cercato di descriverlo per com’è realmente, e credetemi, Fanny ha più di un motivo per rimanerne incantata e affascinata… ma tanto lei ama solo Benji

[2] Per chi non lo ricordasse, o non la conoscesse: la strofa che cantano Karl e Grace e la prima della canzone “There yuo’ll Be”, colonna sonora del film “Pearl Harbore” e, da me adottata, come colonna sonora del loro amore

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Capitolo 22
*** Memorie di un calciatore ***


Capitolo 22: Memorie di un Calciatore

 

L’amichevole tra Germania e Giappone, organizzata di Kirk Pearson, per festeggiare il ritorno del Kaiser sui campi di calcio è finalmente arrivata: lo stadio è gremito di tifosi – come se fosse la finale di un Mondiale – gente giunta da ogni angolo del paese per assistere al ritorno di uno dei più grandi campioni che il calcio tedesco abbia mai avuto. In via del tutto eccezionale, il portiere nipponico Benjiamin Price, scenderà in campo con la Nazionale tedesca, perché molto amico di Schneider – e ciò non vuol dire tradire la maglia del proprio paese – ma è un inno all’amicizia, troppo spesso sottovalutata nel mondo calcistico.  Anche se il periodo di remissione dura cinque anni, Karl Heinz Schneider è ormai guarito ed è già rientrato in campionato, giocando scampoli di partita – anche il portiere è ormai rientrato a pieno ritmo – dopo l’infortunio al polso destro.

Leverkusen: venerdì 25 maggio, 2018 BayArena, h. 20:30

Ormai è tutto pronto e anche le due Nazionali sono pronte a scendere in campo e giocare, ma questa è una partita particolare e, prima del fischio d’inizio, c’è ancora qualcosa da dire: le due squadre nelle rispettive panchine, lo stadio con le luci spente e avvolto nella semioscurità, delle candele sul cerchio di centro campo e la scritta ‘Schneider’ all’interno, il maxi schermo – che illumina con la sua luce bianca – e il medesimo cognome scritto in rosso; in sottofondo iniziano a risuonare le note dell’inno del Bayer Laverkusen[1] – e non è un caso – così come non lo è la scelta dello stadio.

«È inusuale iniziare una partita di calcio con un discorso, ma questo è un evento speciale: una partita amichevole i cui incassi dei biglietti saranno devoluti in beneficenza per sostenere la ricerca contro il cancro.» inizia a parlare una voce maschile in inglese, così che tutti possano grossomodo capire. «Gli stessi Schneider hanno voluto questa donazione, proprio perché hanno provato sulla loro pelle cosa significhi, e per ben due volte…» continua la voce, sul maxi schermo compaiono due maglie: una del Bayer Leverkusen, l’altra dell’Amburgo, la prima con il numero venticinque la seconda con l’undici, ma entrambe accomunate dallo stesso cognome – l’unica differenza oltre ai colori sociali – è l’iniziale di un nome su quella del Leverkusen.

L’intero stadio, riconoscendole, si alza in piedi e si scatena in un caloroso e affettuoso applauso, mentre una luce illumina il possessore della voce, fermo sulla linea di centro campo. «Come dicevo siamo qui per festeggiare il ritorno del Kaiser, il quale rientrerà ufficialmente stasera al calcio giocato, dopo aver sconfitto un tumore al cervello.» riprende Kirk Pearson, alzando lo sguardo al cielo e sorridendo. «Anche la scelta dello stadio non è stata casuale, in primo luogo perché città natale della famiglia, ma anche perché è qui che è nato e cresciuto un altro grande campione, che merita davvero di esser ricordato in questo giorno: l’immenso Benrd Schneider, la bandiera di questa squadra e per un periodo anche della Nazionale, un valido avversario in campo, ma anche un grandissimo amico nella vita privata…» continua l’ex calciatore nipponico, ora Dirigente della Federazione, mentre inevitabilmente la sua voce si spezza e sul maxi schermo compare Bernd Schneider che alza al cielo la Coppa del Mondo alla finale del 2014 di Rio de Janeiro al Maracanã e un nuovo applauso si innalza dalla platea e dalle panchine.

«Un grandissimo campione e amico, che come il nipote Karl, è stato colpito dal medesimo male il quale lo ha prematuramente privato della vita, stroncando a soli venticinque anni la sua già illustre carriera calcistica.» continua ora Freddy Marshall, affiancando l’amico ed ex compagno di Nazionale, Kirk sorride e lo stringe. «E proprio perché nulla è stato lasciato al caso, nemmeno questo giorno lo è, perché il 25 maggio di ventisette anni fa nasceva quello che l’intero mondo calcistico ricorderà sempre con un sorriso e come un immenso campione.» riprende Pearson, mentre sul maxi schermo compare una nuova foto, che ritrae quattro calciatori con indosso le rispettive maglie di Nazionale: Kirk Pearson e Freddy Marshall e Thomas e Bernd Schneider – avversari sul campo da gioco – ma grandi amici nella vita.

Intanto anche Thomas scende sul rettangolo verde, venendo accolto con un abbraccio dagli altri due. «Io più di Kirk ho avuto modo di conoscere Thomas e Bernd, avendo giocato parte della mia carriera prima al Bayer come compagno e poi all’Amburgo come avversario. È stato per me un grande onore avere Bernd come compagno, nonostante la sua giovane età, ha sempre dimostrato il suo talento esordendo in massima serie a sedici anni e a diciotto nella Nazionale maggiore, sorprendendo allenatori e colleghi più anziani ed esperti – come me Kirk e Tom – rendendo orgoglioso quest’ultimo e tutta la sua famiglia.» riprende Marshall, con un sorriso sulle labbra e voce emozionata e tremula.

Thomas Schneider osserva la foto sullo schermo e sorride, asciugando gli occhi, voltandosi e sorridendo alla platea, poi al figlio in panchina. «Io… intanto volevo ringraziare tutti voi per essere venuti questa sera per festeggiare con questa partita il ritorno di mio figlio Karl…» inizia con emozione l’allenatore dell’Amburgo. «Un ringraziamento ancora più speciale volevo spenderlo a favore di Freddy, che è sempre stato un grande amico, e per Kirk, anche lui grande amico e vero artefice di questa magnifica serata. Davvero, non trovo le parole adatte per esprimere tutta la mia gratitudine, è per me una grandissima emozione calpestare l’erba di questo campo assieme a quelli che considero i miei migliori amici, questo stesso campo che ci ha visti compagni e avversari, cha ha lanciato me e il mio fratellino… questa è indubbiamente una grande emozione dopo  la nascita dei miei figli e le vittorie calcistiche.» continua Thomas, mentre l’ennesimo applauso si scatena.

«Le parole da spendere questa sera sarebbero tantissime, così come le persone che avrebbero qualcosa da dire su mio fratello o su mio figlio. La famiglia, gli amici, i compagni di squadra, gli avversari, gli allenatori e magari anche voi tifosi… ma tra tutti, c’è una persona che vorrei mi raggiungesse, una persona che ammiro e che merita davvero tutto il meglio dalla vita, questa persona è mia cognata Marika che avrebbe dovuto sposare mio fratello l’anno in cui si ammalò.» riprende Thomas, cessato l’applauso, facendo cenno a una ragazza di raggiungerlo; Marika si avvicina con passo lento, osservando il maxi schermo, che ora la mostra assieme al fidanzato: lei con indosso la sua maglia del Leverkusen, lui a petto nudo che la stringe e la bacia dopo aver vinto la Champions League nel 2010 contro la Juventus. Sorride e piange la ragazza, mentre raggiunge il centrocampo e osserva il sorriso dell’uomo che ha amato e ama, indossando con orgoglio anche questa sera la sua maglia. 

“Sono gocce di memoria, queste lacrime nuove,

siamo anime in una storia… incancellabile!

Le infinite volta che, mi verrai a cercare, nelle mie stanze vuote.

Inestimabile!

È  inafferrabile… la tua assenza che mi appartiene.” 

Thomas le sorride dolcemente e la stringe con affetto, baciandole la guancia e consegnandole il microfono – che afferra con mano tremante – mentre il cognato la tiene ancora tra le sue braccia. «Scusate le lacrime, ma quel meraviglioso uomo sullo schermo rimarrà sempre un enorme ferita aperta nel mio cuore.» esordisce Marika, asciugando la guancia destra e sforzandosi di sorridere. «Che dire? Innanzitutto grazie a tutti per esser qui stasera, per ricordare un campione e festeggiarne un altro del medesimo valore. Quando Benrd vinse il Mondiale in Brasile, Karl lo perse in Francia contro il Giappone con la Nazionale Under 16. Fu quel giorno… in albergo durante la festa per la vittoria che mi chiese di sposarlo, tra vari impegni lavorativi di entrambi impiegammo quasi un anno e mezzo per organizzare le nozze… poi quel maledetto 4 luglio del 2016 le nostre vite cambiarono per sempre, lasciandoci con molti sogni e poche speranze… ed esattamente un mese dopo lui perse la sua partita più importante, lasciando una ragazza devastata a un mese dal suo giorno più bello… lasciando anche un grande vuoto nei cuori della sua famiglia, dei tifosi e di tutti coloro che lo hanno conosciuto fuori e dentro i campi da gioco…» dice con voce spezzata, stringendo forte il cognato e piangendo sul suo petto. 

“Siamo indivisibili, siamo uguali e fragili e, siamo già così lontani!

Con il gelo nella mente, sto correndo verso te, siamo nella stessa sorte, che tagliente ci cambierà…

aspettiamo solo un segno, un destino, un’eternità.

E dimmi come posso fare per raggiungerti adesso… per raggiungerti adesso!

Per raggiungere te!” 

Thomas la stringe forte a sé e le bacia la fronte, carezzandole i boccoli neri sulla schiena, prendendole il microfono dalla mano e sorridendo, nonostante tutto. «Ci terrei a precisare che questa donna meravigliosa sarà sempre parte della nostra famiglia e anche se non ha potuto sposare mio fratello – anche se un domani deciderà metter su famiglia con un altro uomo – per noi rimarrà comunque una Schneider: sarà sempre una cognata per me e mia moglie, una nuora per i miei genitori e una zia per i miei figli.» dice baciando ancora la testa della ragazza, sussurrandole un ‘ti voglio bene’ all’orecchio, facendola sorridere. Marika lo ringrazia per le belle parole e lo bacia a sua volta in guancia, riprendendo il microfono e voltandosi a sorridere con le lacrime agli occhi verso la foto – ora da solo – del suo uomo sul maxi schermo, che sorride, come se la stesse guardando e ricambiando. 

“Siamo gocce di un passato che non può più tornare, questo tempo ci ha tradito, è inafferrabile.

Racconterò di te… inventerò per te, quello che non abbiamo.

Le promesse sono infrante, come pioggia su di noi, le parole sono stanche, so che tu mi ascolterai…

aspettiamo solo un viaggio, un destino, una verità

e dimmi come posso fare per raggiungerti adesso.

Per raggiungerti adesso!

Per raggiungerete!” 

Asciuga gli occhi Marika, mentre le sue labbra mimano un ‘ti amo’ e sul maxi schermo appare la foto del Kaiser, che innalza al cielo la coppa dalle grandi orecchie, che ha vinto nel 2015 con l’Amburgo. «Oltre che a ricordare Bernd, siamo qui soprattutto per festeggiare la più grande vittoria del mio kleine stichprobe[2] il mio adorato nipotino Karl che ha sconfitto la malattia che ha ucciso quello stesso zio che adorava; questa sera ritorna più forte di prima su quel campo da calcio che li ha sempre accomunati e visti come protagonisti.» dice sorridendo commossa e felice, applaudendo lei stessa Karl, che dalla panchina sorride tra le lacrime stretto dai suoi migliori amici, mentre sugli spalti parte la olà e, a un solo coro, urlano:  ‘Willkommen zurück  bei Kaiser.’[3]

«Ancora grazie a tutti per essere qui e bentornato, Karl!» dice Freddy, che ha visto crescere anche il ragazzo tedesco, come il suo pupillo Benji. «Adesso vorrei invitare qui un’altra persona, giuro questa è davvero l’ultima, poi lasceremo il campo ai calciatori. Vorrei che a concludere questo elogio fosse una persona che ha avuto l’onore di allenare tutti e tre gli Schneider, il Commissario Tecnico della Germania Joachim Löw.[4]» conclude mentre il collega lo raggiunge accolto da un applauso. «Grazie a tutti quanti per essere qui questa sera. Sono enormemente orgoglioso di aver allenato tre grandi campioni  tutti e tre della stessa famiglia: Thomas ormai valido allenatore; Bernd, che anche se giovane, è sempre stato un grandissimo campione e un degno capitano in Brasile; e infine il piccolo Karl, che oggi ritorna tra noi e continuerà a emozionarci con i suoi meravigliosi goal, la sua immensa bravura e sono certo che in Russia farà grandi cose. Bentornato in campo, Kaiser!» conclude Löw applaudendo il suo ritrovato campione, seguito da tutti i presenti che si alzano in piedi e le luci dello stadio vengono finalmente accese.

***

L’ingresso in campo delle due formazioni viene accolto calorosamente da tutto lo stadio, le due squadre, disposte ordinatamente sulla linea di centro campo, salutano i tifosi assieme alla terna arbitrale e gli inni nazionali possono esser suonati e cantati con sentimento dai calciatori. Karl Heinz Schneider, tra i due migliori amici Benji Price ed Hermann Kaltz, sorride commosso e dopo l’inno tedesco alza il braccio destro al cielo – la fascia da capitano in bella mostra – la consapevolezza di esser rinato e il  cuore colmo di gioia e una grande emozione e profondo orgoglio traspaiono dai suoi occhi di ghiaccio. «Il calcio d’inizio è battuto dalla Germania, Schneider e Kaltz si passano il pallone e sembra abbiano la consueta simbiosi di sempre, come se il Kaiser non fosse mai stato assente. Che spettacolo rivederlo in campo!» commenta il telecronista, mentre i due calciatori tedeschi vengono marcati da Callaghan ed Mellow; Karl per conservare il possesso, alza la sfera di tacco e la passa all’indietro verso i compagni, sorridendo agli avversari e stringendo la mano al numero dodici nipponico. «Come già detto abbondantemente, questa di stasera è una partita particolare, intrisa di ricordi e carica di emozioni, esclusivamente per l’occasione il Kaiser non indossa la sua maglia numero undici, ma  la numero diciannove che appartenne a suo zio – contraddistinta dalla B iniziale del nome – per distinguerlo dal fratello quando giocavano entrambi in Nazionale. La suddetta maglia è stata ritirata in memoria del campione deceduto e nessun altro calciatore tedesco vuole indossare per rispetto il numero appartenuto a Bernd Schneider, dunque solo per stasera è stato concesso di usarla in suo onore, facendola indossare al nipote.»

Margas stoppa il pallone passatogli dal Kaiser, e in coppia con Schester, si spinge in avanti; Karl si libera sulla fascia e richiede palla, il compagno di Brema gli serva un assist perfetto, Schneider prende al volo il pallone e calcia di sinistro imprimendo tutta la sua forza nel Fire Shot che sfugge a Warner, a cinque minuti di gioco la Germania sigla il primo goal della partita – un boato si alza da entrambe le curve che si scatenano in un applauso – Karl sorride e alza il pugno destro al cielo, mentre i compagni gli si stringono attorno, Benji in porta sorride nel vedere il suo migliore amico in grande forma; Thomas, in panchina al fianco di Löw,[5] sorride orgoglioso – così come la mamma e la nonna in tribuna – Marika sorride tra le lacrime e Marie Käte la stringe felice. «Sono fiero di te, campione.» sussurra Joseph Schneider stringendo la moglie – Grace e Fanny si stringono ed esultano come se avesse segnato il Giappone.

Ed Warner tutto sommato sorride e rinvia il pallone, che viene stoppato da Harper che dà inizio al contropiede, affiancato dai compagni, evita un avversario passando a Callaghan, il quale continua l’azione dribblando Maghat,[6] finché non passa a Patrick che si scontra con Max,[7] Everett con una finta riesce a vincere il tackle e passa a Holly, che affiancato da Tom, corre verso la porta tedesca dove il suo amico Benji lo aspetta con un sorriso; la difesa è rientrata e sta impedendo al capitano nipponico di tirare – anche il Kaiser è salito in difesa – Hutton gli sorride e iniziano a scontrarsi al limite dell’area di rigore, il numero dieci giapponese finge il tiro, ma passa a Backer e liberatosi da Schneider, riceve di nuovo palla dal compagno – tira di potenza – Benji si tuffa e para, sorridendo a Holly e rinviando lungo con un calcio fino alla metà campo avversaria.

Hermann Kaltz salta e stoppa di petto, voltandosi e trovandosi accanto il suo migliore amico, dopo essersi liberato da Clifford, gli passa il pallone e Karl si trova addosso Philip Callaghan, Bob Denver e Ralph Peterson che gli ostacolano lo specchio della porta, il Kaiser non ha perso la sua maestria, seppur in svantaggio numerico non si arrende alza il pallone in alto e oltrepassando la difesa, salta e colpisce al volo il pallone di testa, Warner lo blocca con facilità e rilancia ai suoi che ripartono in contropiede; la difesa e il centrocampo magnificamente orchestrati dall’immenso Callaghan servono palla alle punte pronte a pareggiare i conti.

 Kevin Schmidt[8] entra in scivolata togliendo il pallone a Backer mandandolo però in fallo laterale, approfittando del momento Löw sostituisce Schneider al 30’ del primo tempo – non ha senso affaticarlo troppo – Karl rientra in panchina e indossa la giacca della tuta sospirando, ritrovandosi stretto da suo padre e un bacio in fronte che lo fa sorridere; Everett nel frattempo rimette in gioco il pallone, Holly lo intercetta, ma sia lui che Tom sono marcati e non hanno opportunità di tiro – riesce però a trovare uno spazio libero – e passa a Lenders in posizione favorevole, l’attaccante della Juventus stoppa di petto e lancia uno sguardo di sfida al portiere eterno rivale, Benji ricambia con un sorrisetto pronto al tiro, Mark carica il destro  e per un soffio il suo Tiro della Tigre sfugge a Price, segnando la rete del pareggio.

“Maledetto gattino spelacchiato.” pensa Benji sbuffando e rinviando il pallone ai suoi compagni che ripartono alla carica, dando inizio a nuove sfide cercando di segnare e passare nuovamente in vantaggio; alla fine del primo tempo le squadre rientrano negli spogliatoi in parità, oltre a Karl e Mark non ha segnato nessuno. Durante la pausa sul maxi schermo viene proiettato un video di Bernd Schneider, che lo vede protagonista dei suo svariati successi sia al Bayer Leverkusen che in Nazionale, alcuni assieme al fratello maggiore e ai due ex calciatori giapponesi – il video è stato personalmente realizzato da Kirk in collaborazione con Freddy e Thomas – e si conclude con Bernd che innalza la Coppa del Mondo al cielo e una scritta: ‘Memorie di un calciatore, a te: grande campione, fratello, amico, fidanzato, zio, uomo, guerriero…’

La ripresa inizia senza sostituzioni, col calcio d’inizio affidato al Giappone, Paul Diamond e Sandy Winters a centrocampo impostano l’azione, marcati subito dagli avversari – con finte e passaggi – la palla giunge ai piedi del capitano che tira in porta, ma ancora una volta Benji blocca il suo tiro, facendo sbuffare Holly. «Il secondo tempo è appena iniziato, non abbatterti, riuscirai a segnare.» gli dice Tom, mettendogli la mano sulla spalla e sorridendogli, mentre il portiere rilancia il pallone e i tedeschi ripartono in contropiede. La partita è in una fase di stallo, nessuna delle due squadre riesce a violare la porta avversaria – i due portieri nipponici stanno dimostrando grandi abilità – non capiterà probabilmente mai più di vedere in campo sia Warner che Price, ma entrambi stanno dimostrando di esser due grandi campioni – i migliori nella loro patria – e nessuno è secondo all’altro.

A metà del secondo tempo il risultato è ancora fermo sull’1-1, nessuna delle due squadre riesce a superare i portieri e nessuna vuole concedere occasioni all’altra; a un corner per i tedeschi fischiato al 67’ Freddy Marshall manda in campo Julian Ross al posto di Ralph Peterson, il libero imposta immediatamente il gioco prendendo le redini della squadra – a quanto pare Hutton oggi è in giornata no – dopo il rinvio di Warner la nipponica Nazionale verticalizza immediatamente l’azione: la difesa guidata da Ross e Callaghan non sbaglia un colpo, e al centrocampo ancora il numero ventiquattro guida i compagni spingendosi anche in attacco, il pallone giunge ai piedi di Holly, che trovandosi marcato assieme a Tom è costretto a passare di nuovo all’indietro. «Marcate Lenders e Ross!» ordina Benji ai compagni, e anche l’attaccante viene bloccato, mentre il libero riesce a sfuggire e intercetta il pallone – sorride al ragazzo di sua cugina e si ritrova addosso Katlz che gli impedisce il tiro; Julian lo guarda e alza il pallone non ha altra scelta – salta in alto e tenta la rovesciata – segnando il goal del vantaggio.

Amy in panchina saltella felice e sorride al fidanzato, stringendo Fanny, che esulta anche lei alla rete del cugino – divisa tra amore per la patria e amore per il fidanzato tra le schiere tedesche assieme al suo migliore amico – non riesce a tifare per una o per l’altra squadra. Benji rilancia lungo e il pallone viene intercettato da Shester, che affiancato da Margas entra in area, ma già prima che possa tirare il guardalinee alza la bandierina e l’arbitro fischia il fuorigioco, ancora una volta il Principe del Calcio ha beffato l’avversario di turno con la sua infallibile trappola. Franz sbuffa e il Giappone riparte in attacco, la difesa tedesca però non lascia spazio e Benji sorride in direzione della panchina al Kaiser che osserva i compagni.

Creatosi uno spazio il capitano nipponico tenta il tiro, ma ancora una volta Price para, facendo perdere ogni speranza all’altro di segnare. Löw al 75’ fa rientrare in campo Karl, che viene riaccolto con un grandissimo applauso, Schweil Teigerbran[9] rimette il pallone e lo lancia proprio al capitano appena rientrato, che stoppa e affiancato dai compagni si spinge in attacco, ma nemmeno questa volta la Germania riesce a segnare, Julian gli ruba il pallone e lancia lungo ai due componenti della Coppia d’Oro, Tom aggancia il pallone e passa a Holly, vuole che sia lui a tirare – oggi non ha segnato – e sa quanto questo sia pesante per l’amico; Hutton tira e il pallone vola oltre la traversa, sfiorato dalla mano di Benji; un nuovo pallone viene rimesso in campo e la Germania riparte in contropiede, passandosi il pallone ed evitando gli avversari, giungono al margine dell’area – Julian è già pronto a far scattare la trappola del fuorigioco – ma il Kaiser non si lascia fregare, gli sorride e torna indietro, scontrandosi a centrocampo con Patrick Everett.

Schneider non vuole lasciargli il pallone, mentre il numero diciotto nipponico è deciso a conquistarlo e correre a segnare, dopo un tackle infinito è il tedesco a spuntarla, si apre lo spazio scavalcando l’avversario e tira un destro micidiale fuori dall’aria di rigore, fregando Ross e Warner con il suo Fire Shot, che brilla in aria e regala il pareggio alla sua squadra – seppur hanno preso un goal i giapponesi sorridono – e ancora una volta lo stadio si scatena, mentre il Kaiser sorride e alza il pugno al cielo come ogni volta. Il gioco riprende ormai al recupero, i calciatori si passano il pallone da piede a piede e si marcano, ma nessuno raggiunge l’area avversaria, le azioni si svolgono a centrocampo, finché l’arbitro non decreta la fine dell’incontro col triplice fischio e lo stadio scoppia in una standing ovation.

Nonostante si sia fatto tardi è stato deciso dagli Schneider di tenere un piccolo rinfresco a casa dei genitori di Thomas, entrambe le Nazionali sono state invitate, il Kaiser ha ripreso in mano la sua vita ed è tornato in campo nel migliore dei modi – e ancora una volta – ha dimostrato di avere stoffa siglando una doppietta; la serata di festa prosegue in allegria insieme ad amici di sempre, famiglia e avversari – che per una volta vengono considerati amici.

 

 

 ***

Angolo dell’Autrice: grazie a tutti quanti per esser arrivati a questo punto, all’inizio di questo sequel non avevo preventivato sarebbe venuto così lungo e invece… beh, forse, visti gli eventi e le innumerevoli cose da spiegare e raccontare un po’  sì e sono felice di come stia uscendo fuori e grazie infinite e voi per sostenermi in questa impresa.  Adesso che il peggio è passato, autrice sadica a parte, la storia è quasi giunta al termine… non so quanti capitoli verranno ancora fuori, ma finalmente si parte per la Russia e che vinca il migliore. xD La prima parte del capitolo è un tributo a Bernd, che ho voluto mettere  perché rimarrà sempre nel cuore di tutti, Kirk e Freddy così come Thomas sono più grandi, ma essendo Bernd un piccolo prodigio, ha avuto modo di giocare con loro (forse anche facendo bene i conti i numeri non tornano ma – come sempre – andiamo di licenze poetiche. xD) Freddy che ha giocato in Germania, prima al Leverkusen e poi all’Amburgo è tutta una mia invenzione – perché ho sempre avuto di lui questa visione di amico del padre di Karl – nel quale facevo già riferimento alla mia prima fiction, ma quella è una storia a parte scritta secoli fa e che avrebbe bisogno di una bella sistemata; ma tornando a noi, questo è quello che ho sempre immaginato.

Al prossimo capitolo, dunque, vostra sempre Amy

 

 

 

 

[1] L’inno del Bayer Leverkusen, per chiunque volesse ascoltarlo lo lascio: Qui

[2] Piccolo campione

[3] Bentornato, Kaiser

[4] Ebbene sì, proprio lui, ho voluto inserire il Commissario Tecnico della Nazionale tedesca perché mi sta simpatico e perché…

[5] …perché non so se lo avete visto, ma ai Mondiali c’era proprio Thomas Schneider al fianco di Löw, come allenatore in seconda e io appena l’ho visto sono letteralmente andata in brodo di giuggiole, perché lo adoro e quindi sì, in Russia Thomas avrà il ruolo di secondo allenatore della nazionale, anche se penso che il mio sarà più un caso – dato che allena l’Amburgo e forse non può essere allenatore di entrambe le squadre

[6] Difensore delle giovanili tedesche, ma io l’ho portato anche in Nazionale maggiore

[7] Centrocampista della nazionale giovanile tedesca. Indossa il numero 4, stessa cosa per il compagno

[8] È uno dei due gemelli omozigoti della Nazionale Olimpica tedesca

[9] Calciatore offensivo del Borussia Dortmund e della nazionale tedesca; appare nel prologo del Golden-23 e pi si confermerà come uno dei giocatori di punta nel centrocampo della nazionale olimpica impegnata a Madrid; è abile sia nei passaggi che nei contrasti, alle olimpiadi conto il Giappone viene anche schierato come difensore; vesta la maglia numero 23; il suo animale ‘simbolo’ è lo pterodattilo

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Capitolo 23
*** Welcome to Russia ***


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Capitolo 23: Welcome to Russia

 

 

Mosca: giovedì 14 giugno, 2018 stadio Lužniki, h 17:00

«Il Mondiale: la competizione calcistica più importante, attesa con emozione e trepidazione da calciatori e tifosi, da ogni parte del globo è ufficialmente iniziata. In diretta dallo stadio Lužniki di Mosca vi diamo il benvenuto alla cerimonia d’apertura e alla prima partita; magnifico pomeriggio di sole nella capitale moscovita e non poteva che esser così per dar inizio alla competizione.» esordisce il telecronista, mentre sul rettangolo verde è ormai tutto pronto. Sulle note di “To Be Number One” parte la coreografia: il campo viene coperto da un telo, con il mondo al centro e all’interno la coppa, sullo sfondo le trentadue bandiere dei paesi partecipanti, palloncini con i colori russi vengono lanciati in cielo. Le trentadue nazionali fanno il loro ingresso in campo con lo staff al completo e dei bambini a far da portabandiera: Jamie è stato scelto per la Germania, e il piccolino, è emozionato quasi come se fosse lui a dover giocare il mondiale al fianco del suo idolo.

La prima partita che vede i padroni di casa contro la Spagna, si conclude 0-1  a favore dei spagnoli. Il giorno successivo si preannuncia carico di emozioni, scendono in campo quattro delle squadre favorite: alla ore 14:00 Giappone-Italia, che dopo un’estenuante sfida si conclude 2-1 per i nipponici; alle 17:00 scendono in campo Argentina e Germania, la squadra di Diaz viene battuta dai tedeschi, che grazie a uno scatenato Schneider, artefice di una tripletta, vincono 3-2; e infine alle 20:00 la Svezia di Levin si scontra contro l’Arabia Saudita di Mark Owairan, ma la partita finisce con un pareggio. Il terzo giorno altre due grandi regalano emozioni e sogni ai tifosi: Il Brasile di Santana e la Francia di Le Blanc pareggiano 3-3. La fase a gironi è tutta un susseguirsi di emozioni, che conferma ancora una volta l’immensa bravura dei vari campioni, tutte le grandi favorite si impongono passando agli ottavi di finale.

Russia, Kazan: sabato 30 giugno, 2018 Kazan Arena, h. 16:00

Ad aprire le danze degli ottavi di finale sono Germania e Francia, le due nazionali europee guidate dai due capitani Schneider e Le Blanc, danno immediatamente sfoggio della loro bravura. È subito sfida tra Karl e Pierre, che dal primo minuto di gioco regalano agli spettatori spettacolo, marcandosi e dimostrando tutta la loro forma fisica – nonostante il Kaiser abbia trascorso parecchio tempo fuori dal campo per la sua malattia – sta dimostrando di non aver perso né la grinta né la determinazione né la stoffa del fuoriclasse; con un assist di Kaltz al 35’ sigla la rete del vantaggio, alzando in aria il pugno destro e sorridendo felice, riempiendo d’orgoglio suo padre in panchina – in veste di allenatore in seconda – e riempiendo di gioia e orgoglio Grace in tribuna, assieme a Benji e Fanny. Il primo tempo finisce a favore dei tedeschi, nonostante i francesi abbiano tentato innumerevoli volte la conclusione in porta, non sono riusciti a violare lo specchio difeso da Deuter Müller.

Il secondo tempo riprende senza sostituzioni, col calcio d’inizio a favore della Francia, Le Blanc e Napoleon decisi a segnare mettono in atto l’Eiffel Combi, dando inizio a una serie di passaggi di prima riescono a superare la difesa tedesca, e con un ultimo passaggio di Pierre, Louis segna il goal del pareggio beffando il fortissimo portiere enigmatico, che sbuffando rilancia ai suoi il pallone, stoppato di petto da Mayer, i tedeschi danno inizio al contropiede, al centrocampo Margas conduce l’azione, passando a Schester, che in buona posizione tira in porta, ma il portiere francese blocca il tiro rinviando poi ai suoi. Schneider si sblocca dalla marcatura a uomo di Le Blanc e corre verso l’area avversaria, mentre i suoi compagni recuperano palla, che a centro campo gli viene tolta da Napoleon, il grande Lavoratore della Germania – Hermann Kaltz – marca il francese e alla fine ha la meglio, crossando al centro verso il suo capitano.

Schneider intercettato il pallone calcia il suo potente Fire Shot di destro, riportando in vantaggio la sua squadra, sorride e alza ancora il pugno al cielo. «Questi sono per voi e non ho ancora finito.» sussurra con un sorriso, mentre il telecronista lo annuncia primo nella parziale classifica dei capo cannonieri del mondiale. Il gioco riprende con la rimessa francese, che con Pierre e Louis si spinge in avanti, ma ancora una volta Müller infrange i loro sforzi respingendo di pugno. Kevin Schmidt – uno dei gemelli tedeschi – intercetta il pallone e verticalizza l’azione, passando al fratello, che passa a sua volta a Mileus il quale marcato si vede costretto a passare al primo compagno utile: è il Kaiser a intercettare il passaggio sulla linea di centrocampo.

 Il cronometro segna il 75’, la Germania conduce la partita per 2-1; Karl, affiancato da Schester e Kaltz – marcati stretti – si guarda attorno ma nessuno dei suoi compagni è libero o vicino, alza le spalle e continua in solitaria la sua azione, Louis Napoleon gli si para davanti e gli blocca lo specchio della porta al limite dell’area. «Non ti lascerò segnare, Schneider.» gli dice guardandolo negli occhi e tentando in tutti i modi di rubargli palla. «Non ne sarei così sicuro fossi in te, Napoleon, questo è il mio mondiale non cederò niente agli amici, pensa ai nemici.» risponde il Kaiser, spostandosi il pallone sul piede sinistro e cercando di liberarsi del francese. Il numero 20 francese di certo non si arrende, e mentre Schneider alza il pallone per evitare di perderlo, entra in scivolata atterrandolo letteralmente.

Il capitano tedesco perde inevitabilmente palla e finisce a terra, sbattendo la testa sul terreno di gioco, perdendo conoscenza all’istante, l’arbitro fischia il fallo ed estrae il cartellino rosso espellendo Napoleon. «Karl!» urla terrorizzato Hermann Kaltz correndo subito dal suo amico che giace a terra inerte, Grace e Fanny in tribuna scoppiano a piangere – e Benji preoccupato anche lui – le stringe forte a sé. «Scheiẞe! Non si muove.» dice terrorizzato Thomas in panchina, correndo in campo con Löw e i medici, che mettono il ragazzo in barella e lo portano immediatamente all’unità mobile di soccorso presente in campo, mentre il dottor Ross e il dottor Brwon scendono dalla tribuna e raggiungono il loro paziente per sincerarsi delle sue condizioni.

«Ma sei impazzito? Va bene cercare di togliergli palla, ma abbatterlo così sapendo cosa ha avuto!» urla Le Blanc, avvicinandosi pericolosamente al suo compagno di squadra. «Ti rendi conto di quello che hai fatto, Louis? Karl potrebbe rischiare grosso.» continua mollandogli uno schiaffo. «Adesso vattene, non abbiamo bisogno di te per continuare.» conclude, sospirando Pierre, guardando l’ambulanza che esce dallo stadio a sirene spiegate; Benji – avuto il permesso di Freddy – va con le ragazze per raggiungere l’ospedale, Thomas abbandona la panchina accompagnando il figlio in ambulanza assieme ai due neurochirurghi e anche il resto della famiglia Schneider abbandona lo stadio per correre in ospedale.

Il gioco inesorabilmente riprende con la rimessa francese, ormai il cronometro segna l’85’, i Galletti in dieci uomini portano avanti l’azione guidati dal proprio capitano: Pierre per quanto sia dispiaciuto per il suo amico Karl è determinato a segnare e vincere non ha nessuna intenzione di tornare a casa agli ottavi di finale, ma è anche furioso per quello che ha fatto quel deficiente di Napoleon e una bella strigliata dopo non gliela toglierà nessuno. Kaltz che ha preso le redini della squadra al posto del Kaiser guarda i francesi e orchestra la difesa, che non riesce però a bloccare il tiro di Le Blanc, ma per fortuna Müller è sempre imbattibile e para magistralmente.

Allo scadere del tempo l’arbitro concede dieci minuti di recupero, Deuter rimette il pallone ed Hermann Kaltz guidando l’azione si dirige nell’area francese: non ha nessunissima intenzione di perdere questa partita e tornare a casa, il suo miglior amico sogna questo mondiale e lo vede come vittoria conclusiva della malattia, non può assolutamente deluderlo, sputa lo stecchino e supera il centrocampo dove il capitano francese lo attende pronto a pareggiare e andare ai tempi supplementari. Hermann lo guarda negli occhi e con una serie di finte riesce a svincolarsi e passare il pallone a Margars, che però viene bloccato dall’estremo difensore, che rilancia proprio a Pierre, il quale non si arrende e corre verso l’area tedesca, per quanto possa esser dispiaciuto per Schneider, un mondiale è sempre un mondiale e lui tira per la sua squadra.

Al centrocampo Kaltz lo blocca, iniziando a marcarlo, mancano ormai una manciata di minuti al fischio finale e lui non ha nessuna intenzione di prolungare oltre la partita, il suo unico pensiero è raggiungere suo fratello in ospedale e assicurarsi che stia bene. «Kaltz non sperare di fermarmi, mi dispiace per Karl e non condivido quello che ha fatto Louis, ma nemmeno io ho intenzione di tornare a casa a mani vuote.» gli dice Pierre determinato a non farsi rubare il pallone e segnare il goal del pareggio. «Lo so che ti dispiace per Karl, ma mi dispiace, non ti lascerò vincere questa partita è troppo importante.» risponde il tedesco, guardandolo negli occhi e facendo un respiro profondo, mentre il francese sorride per il legame che ha col Kaiser, ma non gli concederà nulla nemmeno per questo.

“A mali estremi, estremi rimedi.” pensa Kaltz, guardando il cronometro, ancora un minuto di gioco, sospira ancora guarda Pierre negli occhi – che lo fissa col pallone sotto al piede destro – ed entra scorrettamente su di lui, facendolo finire a terra, mentre il pallone rotola via e l’arbitro a pochi minuti dalla fine fischia il fallo, estraendo anche il cartellino rosso. «Perdonami, Pierre, ma era l’unico modo.» sussurra Hermann Kaltz con le lacrime agli occhi, lasciando la fascia a Shester e uscendo dal campo; mentre i medici francesi prestano soccorso al capitano, che con una smorfia di dolore sul viso si tiene il ginocchio sinistro. I tedeschi sono attoniti, non si aspettavano affatto questa uscita dal compagno, che adesso salterà anche i quarti di finale per squalifica – ma per il loro capitano devono mantenere il vantaggio e non vanificare l’ultimo salvataggio di Kaltz da pareggio sicuro – intanto i medici francesi portano via Le Blanc in barella e anche la seconda unità mobile di soccorso parte per l’ospedale.

A trenta secondi dalla fine la Francia effettua una sostituzione e l’arbitro fischia, concedendo loro il calcio di punizione, l’attaccante si piazza, mentre i tedeschi fissano il loro portiere, che ha rifiutato la barriera, col fiato in sospeso – se segnano adesso andranno ai supplementari – l’arbitro fischia e il calciatore tira una cannonata, Deuter Müller senza esitazione alcuna – e con tutta la sua forza  – blocca la sfera, rilanciandola a Margars, che riparte in contropiede e passa a Shester, che a sua volta passa Mayer, l’arbitro guarda il cronometro: il recupero è ormai finito, ma non fischia ancora, i tedeschi continuano a passarsi il pallone non facendolo toccare agli avversari e così fanno fino al triplice fischio.

Kazan: sabato 30 giugno, 2018 Emergency Medicine Center N° 7, h. 18:00

«Eccomi!» esordisce un trapelato Hermann, arrivato di corsa, con ancora indosso la divisa della nazionale e gli scarpini; riprende fiato e guarda gli amici e la famiglia Schneider in sala d’attesa. «Come sta Karl? Cosa hanno detto i medici?» chiede, sedendosi stancamente su una sedia della sala d’attesa con le gambe che tremano. «Non sappiamo ancora nulla, i medici lo stanno ancora visitando.» risponde Benji sedendosi accanto all’amico e stringendolo, Grace sospira e si alza per prendere una bottiglietta d’acqua alla macchinetta e offrirla al nuovo arrivato. «Grazie.» le sorride Kaltz afferrandola e bevendo, mentre osserva i presenti – gli sembra di esser tornato indietro a quando hanno scoperto la malattia – Thomas stringe la moglie e la figlia, così come Joseph stringe Angelika e Marika, Fanny fissa la porta sperando che suo padre esca da un momento all’altro e Grace finge di non aver paura.

«La partita?» chiede Benji, cercando di distrarre un po’ tutti e ingannare l’attesa. «Ho mantenuto il risultato, abbiamo vinto…» risponde Hermann, guardando un punto indefinito, senza incrociare lo sguardo dei presenti – soprattutto dell’amico e del mister. «Bravo, Lavoratore, Karl sarà felice di saperlo.» sorride Grace stringendogli la mano e sorridendo. «Certo, sicuro…» sussurra ancora Kaltz, senza alzare lo sguardo, stringendo forte i pugni. «Stai tranquillo, vedrai che non sarà nulla, si riprenderà in poco tempo e potrà tornare in campo con voi.» lo consola anche Fanny, stringendogli l’altra mano. «Hermann che succede? Non è solo per Karl.» chiede Benji chinandosi davanti a lui, conoscendolo bene e costringendolo a guardarlo negli occhi. «Ecco, io… pur di mantenere il vantaggio e non protrarre oltre la partita ho giocato sporco, volevo solo che finisse per venire qui, forse è stato anche un modo per vendicare Karl… ma ho sbagliato non avrei dovuto agire così…» farfuglia.

«Ma di che stai parlando? Cosa è successo in dieci minuti di recupero?» gli chiede ancora il migliore amico, guardandolo dritto negli occhi, mentre anche gli altri lo osservano confusi e curiosi. «Ho fatto fallo a Pierre, ho sbagliato, non avrei dovuto, ma era l’unico modo per fermarlo e non farlo segnare… io non sapevo come altro fermarlo se non così. Credo di avergli rotto il ginocchio.» risponde Hermann stringendo Benji, iniziando silenziosamente a piangere. «Beh, sicuramente non saresti dovuto entrare in modo scorretto, Kaltz, soprattutto per vendicare Karl, tuttavia capisco come ti senti e per questo non ti rimprovero.» dice Thomas staccandosi da moglie e figlia, raggiungendo i ragazzi  e chinandosi sui due calciatori. «Hai già avuto la tua punizione con l’espulsione e il turno di squalifica, i quarti saranno sicuramente difficili senza voi due, ma bisogna impegnarsi per vincere.» continua, stringendolo anche lui. «Scusa, mister, mi dispiace.» sussurra Kaltz in lacrime, Thomas sorride e gli bacia la testa.

Benji sospira e si alza. «Non importa, Hermann, probabilmente anche io avrei agito come te, anche se Pierre non c’entrava nulla con il fallo. Adesso aspettiamo notizie dai medici e speriamo vada tutto bene, io voglio giocare la finale contro i miei migliori amici.» dice guardando la porta, che in quel momento viene aperta, e i due neurochirurghi escono con un sorriso. «Papino dimmi che non è nulla, dimmi che Karl sta bene e che potrà giocare.» dice Fanny, precipitandosi nell’abbraccio paterno; Alfred stringe la sua principessa e le carezza i capelli. «Sta bene, all’inizio ci siamo preoccupati, ma per fortuna è solo una lieve commozione cerebrale senza nessuna complicazione. Adesso sta riposando e dovrà stare a riposo una settimana e recuperare, potrebbe avere delle ricadute se giocasse subito, se eseguirà alla lettera le prescrizioni mediche potrà rientrare per le semifinali.» spiega Alfred Ross, guardando tutti e sorridendo al padre del calciatore, continuando a carezzare il capo della sua bambina.

La tensione si scioglie con un pesante sospiro di sollievo, che spazza via la preoccupazione dei presenti, riportando il sorriso sui loro volti. «Dottore possiamo vederlo?» chiede Beatrix. «Certamente, signora Schneider, è sveglio e gli farà piacere vedervi.» le risponde il dottor Brown, accompagnandola in camera, seguita dagli altri. «Piccolo mio ci hai fatto spaventare.» sussurra Beatrix con le lacrime agli occhi, carezzando la guancia al suo bambino, che le sorride e le stringe la mano. «Scusa, mamma, scusate tutti, non volevo farvi spaventare, ma sto bene sono solo stanco e frastornato.» risponde il Kaiser con un sorriso, mentre sua madre sorride, lasciando scendere le lacrime e gli bacia la fronte. «Karl i medici hanno deciso di tenerti in osservazione per la notte, e noi siamo d’accordo con loro, dovrai rimanere una settimana a riposo e saltare i quarti.» gli dice il dottor Ross, controllando la flebo. «Va bene.» risponde il ragazzo, guardando i presenti e sorridendo ancora. «Quindi abbiamo battuto la Francia.» dice soddisfatto.

«Sì, Kaiser, è stata dura ma ce l’abbiamo fatta.» sorride Grace stringendogli la mano e baciandolo sulle labbra, Karl la stringe col braccio destro e approfondisce il bacio. «Diglielo!» sussurra Benji all’orecchio di Hermann che fa un respiro profondo e si avvicina al compagno steso sul letto. «Karl io ce l’ho messa tutta per vincere la partita, perché non volevo deluderti, perché so quanto è importante per te questo mondiale, però… perdonami, sono stato un cretino ho fatto un brutto fallo a Pierre e sono stato espulso e squalificato.» dice mentre gli scendono le lacrime. Schneider annuisce e poi sorride. «Grazie, fratello. Non condivido quello che hai fatto, ma so perché l’hai fatto, quindi non posso prendermela. Probabilmente al tuo posto avrei fatto lo stesso.» dice sollevandosi e stringendolo. «Soffriremo insieme in panchina, anche io sarò fuori al prossimo turno e i ragazzi dovranno impegnarsi.»

«In ogni caso, sei stato bravissimo, campione sono fiera di te e so che ti impegnerai con tutto te stesso per vincere il mondiale.» sorride Marika, stringendo Karl, che sorride e ricambia la stretta. «Grazie, zia, non ti deluderò.» risponde. «Siete stati tutti bravissimi, anche tu Hermann, non abbatterti, sono cose che capitano nel calcio.» aggiunge la ragazza, sorridendo e scompigliando i capelli all’amico del nipote. «Grazie, Marika.» sorride lui, mentre tutti sorridono felici; il momento viene spezzato da qualcuno che bussa alla porta, che viene aperta da Grace. «Ciao, Pierre, accomodati.» dice spostandosi e lasciandolo entrare, lui le sorride – e sorretto dalla stampelle – si avvicina al Kaiser. «Siediti!» dice Hermann Kaltz, scostando la sedia accanto al letto, senza guardare negli occhi il francese.

«Grazie.» dice Le Blanc, guardandolo e sedendosi, sorridendogli. «Kaltz non ce l’ho con te, sono cose che capitano, lo hai fatto per difendere il risultato e portare a casa la vittoria. Anche io avrei fatto lo stesso, probabilmente.» dice tranquillamente, senza rancore. «Mi dispiace comunque, Pierre, non volevo farti così male…» sussurra Kaltz, accennando un sorriso. «Ripeto: sono cose che capitano e non ce l’ho con te.» risponde il capitano francese, allungando la mano e stringendo quella del tedesco, che sorride – finalmente – e sospira: in fondo è vero, lui non voleva fargli così male, ma è anche vero che nel calcio è facile infortunarsi. Pierre sorride ancora e si volta verso Schneider. «Piuttosto, tu come stai? Mi dispiace immensamente per quello che è successo. Napoleon non è certo conosciuto per il suo gioco pulito, ma non mi aspettavo nemmeno io un’entrate del genere su di te, credimi, avrei voluto ammazzarlo.»

Karl annuisce. «Sto bene, ho solo un po’ di mal di testa, nemmeno io mi aspettavo la sua entrata mi ha sorpreso mentre stavo provando il tiro. Ammetto di aver avuto paura quando mi sono svegliato qui in ospedale, il mio cranio e cervello sono ancora fragili per l’intervento e un urto potrebbe causare problemi, ma per fortuna non è successo niente di grave, me la caverò con una settimana di riposo e la panchina ai quarti.» risponde il Kaiser. «Tu invece? Cosa ti hanno detto i medici?» chiede a sua volta, sollevandosi a sedere sul letto. Pierre annuisce e sospira sollevato, guardando Hermann, al quale sorride ancora, Benji e poi tutti presenti, per tornare poi a guardare Karl. «Come vedi dal tutore non benissimo, ma si risolverà tutto. Mi si è lesionato il legamento collaterale, quello crociato posteriore, le inserzioni del tendine del bicipite e popliteo, nonché il menisco.» spiega.

«Cazzo, pesante.» commenta Karl dispiaciuto, mentre Hermann si morde le labbra. «Già.» sospira Pierre. «Tra una settimana quando si sarà sgonfiato dovrò fare degli altri controlli che chiariranno ulteriormente la situazione e da lì decideranno come procedere, con molta probabilità dovrò operarmi e i medici sociali sono già in contatto con uno specialista americano… sarà duro il recupero, ci vorranno dai sei agli otto mesi per tornare in piena forma, quindi salterò il campionato quest’anno.» continua Pierre, dispiaciuto ma non abbattuto. «Ti capisco, anche io ne ho saltato la metà e ci sono stati momenti in cui pensavo di non riuscire nemmeno ad arrivare al mondiale, ma non mi sono arreso e ce l’ho fatta. Mi dispiace, amico, ma sono certo che i tuoi compagni si impegneranno anche per te, magari ci sfideremo in Champions, questa volta senza infortuni.» sorride Karl stringendolo. «Stanne certo, Kaiser, mi hai eliminato dal mondiale, ma mi vendicherò in coppa. Senza infortuni, decisamente.» risponde Pierre, ricambiando la stretta.

«Adesso però devi promettermi che vincerai il mondiale, campione, almeno la coppa del mondo rimarrà in Europa.» dice Pierre, scoccando un’occhiata al portiere, Benji alza le spalle e sorride, anche lui vorrebbe vedere il suo migliore amico alzare quella coppa, ma non gli regalerà nulla. «Certo, non ho intenzione di arrendermi adesso. L’ho detto anche a Napoleon prima che mi buttasse a terra: non concederò nulla agli amici, pensa ai nemici.» risponde Karl, incrociando anche lui lo sguardo di Benji che gli sorride. «Sarà interessante, noi domani rientreremo in Francia, ma vi guarderò dalla tv e farò il tifo per la Germania. Mi dispiace, Benji.» dice Pierre con un sorriso. «Figurati, nessuna presa a male, ma non gliela darò vinta facilmente.» afferma Benji. «È giusto che sia così, non sarebbe una finale.» ride Pierre.

«Hanno già deciso loro che la finale sarà Germania-Giappone.» ride Fanny, accanto a Grace, che annuisce ridendo. «Esatto. Però è quella che vogliamo tutti quanti, poi chi vincerà si vedrà.» risponde, facendo annuire l’amica, che osserva i ragazzi che scherzano e parlano, ritrovata l’allegria – vertendo come sempre – i loro discorsi sul calcio, anche Kaltz sembra essersi ripreso dal dispiacere e ora scherza e ride assieme agli amici, perché nonostante le avversità in campo e le differenti nazionalità sono amici. Inevitabilmente alle sette i medici dichiarano finito l’orario di visita, costringendo tutti a lasciare la camera. «Mi raccomando, campione.» dicono in contemporanea Pierre e Karl, scoppiando a ridere, si stringono e si salutano; anche gli altri salutano il Kaiser, che sorride a tutti e ricambia i gesti con affetto.

«Vorrei rimanere qui con mio figlio.» sussurra Beatrix una volta fuori dalla camera, stretta tra le braccia del marito. «I medici hanno detto che non può rimanere nessuno, mi dispiace, signora, tuttavia siamo riusciti a convincerli di far rimanere noi in quanto, come suoi medici, conosciamo già la situazione.» le risponde il dottor Brown. «Sì, stia tranquilla e vada in albergo a riposare, signora, Karl è in buone mani e non rimarremo con lui, poi domani tornerà anche lui, è solo una precauzione questo ricovero.» aggiunge Alfred Ross con un sorriso. «Grazie.» sorride Beatrix, stringendo la mano a entrambi, deve tutto a questi due uomini che hanno salvato il suo bambino.

***

Dopo i saluti tornano tutti in albergo, rassicurati e sollevati che non sia successo nulla di grave, che si risolverà tutto in una settimana. La notizia si è diffusa velocemente e le squadre presenti in albergo non parlano d’altro, chi con dispiacere, chi con delusione. Alle otto al ristorante la tv è accesa sulla partita, le quattro squadre presenti guardano tutti con interesse Inghilterra-Croazia, anche se eliminati i francesi sono ancora lì e Pierre – più che guardare la partita – mangia osservando i componenti delle altre nazionali e quel deficiente del suo compagno Napoleon. «Come vedi hai dato spettacolo, ma sarai contento, stanno parlando tutti di te.» lo rimprovera. «Oh, ma che vuoi? Non l’ho fatto di proposito e poi anche quel cretino di Kaltz ha dato spettacolo.» risponde Louis, guardando Salvatore Gentile e Dario Belli che parlano tra loro guardandolo.

«Il mio infortunio è diverso, può capitare di rompersi un ginocchio giocando a calcio, ma quello che hai fatto tu è stata solo una bastardata. Sapevi benissimo quel che ha passato Karl e quanto poteva rischiare, ringrazia solo che non è successo nulla e che nessuno ti ha ancora spaccato la faccia, perché conosco alcune persone che sarebbero capacissime di farlo.» risponde ancora Pierre infuriato, sarà anche il suo migliore amico, ma quando fa così proprio non lo sopporta e vorrebbe lui per primo spaccargli la faccia, ma non ne vale la pena. «Va bene, mi dispiace, domani gli manderò un messaggio di scuse.» capitola Napoleon. Pierre lo guarda e non dice nulla, riprendendo a mangiare e guardare la partita. L’Inghilterra batte la Croazia per 1-0, passando così ai quarti assieme alla Germania.

 

 

*** 

Angolo dell'Autrice: finalmente siamo arrivati al mondiale, non starò qui a descrivere ogni singola partita di esso, ma solo quelle più importanti. Dopo questo capitolo non voletemene, avevo in mente questa scena in campo da secoli; la Francia a differenza del mondiale reale è stata eliminata agli ottavi, e anche Pierre è stato “eliminato” chiedo scusa a tutti/e coloro a cui piace, io devo ammetterlo: fino a qualche tempo fa non lo sopportavo con questa storia sto iniziando a rivalutarlo, chissà che in futuro non lo userò ancora. ^^ L’ospedale in cui sono stati portati esiste davvero, se cercate su internet lo trovate e anche gli stadi saranno quelli reali. Al prossimo capitolo continueranno gli ottavi, perché il Giappone non è ancora sceso in campo, con chi se la vedranno i nostri eroi? Lo scoprirete alla prossima puntata, vi preannuncio che siamo ormai vicini alla fine, anche se non so ancora bene quanti capitoli usciranno fuori, ma il mondiale sarà la conclusione di questa storia, con qualche piccolo extra e sorprese.

Grazie sempre immensamente a tutti voi che leggete e recensite e uno sempre più particolare alla mia fedele Darling! ♥ Alla prossima, Amy

 

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Capitolo 24
*** Amici e nemici... anche fuori dal campo ***


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Capitolo 24: Amici e nemici… anche fuori dal campo

 

Gli ottavi di finale procedono, le partite si susseguono giorno dopo giorno, dimostrando la bravura dei vari campioni, mentre inevitabilmente la cerchia si stringe: la Grecia batte la Danimarca per 3-0; l’Italia passa per 2-0 contro l’Uruguay; il Giappone vince 2-0 sulla Nigeria; il Brasile batte l’Argentina per 2-1; mentre l’America vince 2-0 conto la Serbia e il Belgio segna un goal alla Svizzera, dimostrandosi una sorpresa; dunque la rosa dei quarti è pronta.

Mosca: mercoledì 4 luglio, 2018 Paulaner Bräuhaus Olympic,[1] h. 20:00

Come di consueto, ogni quattro anni, il Kaiser festeggia il suo compleanno nel bel mezzo dei mondiali e quest’anno festeggia in Russia il suo ventunesimo; quest’anno non sarà solo il compleanno a essere festeggiato, ma anche la sua più grande vittoria: la sconfitta della malattia che ha stravolto la vita a lui e ai suoi cari. Non sarà una grande festa, ma una semplice serata in bella compagnia: con tutta la famiglia, Grace, Benji, Hermann, Fanny e Derek ed Eva.

Karl guarda l’insegna del locale e sorride leggendone il nome e si volta a guardare i suoi genitori. «Avete scelto un locale a caso?» chiede ancora con un sorriso, sua madre ricambia il sorriso e lo guarda con occhi che brillano di gioia: dopo lo spavento che si è presa alla partita contro la Francia è felice di vedere suo figlio di nuovo in piedi e in forma – sebbene dovrà stare fuori dai campi una settimana – sta bene, e per lei è questa la cosa più importante; Thomas alza le spalle e ride. «Volevamo mangiare qualcosa di tedesco, così abbiamo cercato su internet dei locali…» risponde guardando la cognata, che ricambia lo sguardo e stringe il nipote. «Appena ho letto il nome mi è venuto in mente il nostro Paulaner’s, che per noi è come se fosse casa, quindi non ci ho pensato due volte.» risponde Marika, stringendolo più forte. «Buon compleanno, tesoro mio.» gli sussurra all’orecchio, baciandolo dolcemente sulla guancia. «Grazie, zia. Non potevi scegliere posto migliore, non sarà il nostro, ma sarà un po’ come sentirsi a casa.» risponde Karl ricambiando la stretta e il bacio.

«Mi piace!» esulta Derek, guardando il locale con un sorriso. «Anche a me, sarà un po’ come essere al nostro, però questa volta non saremo noi a stare dietro al bancone a spillare birre o servire ai tavoli.» sorride Eva, stringendo il fidanzato e baciandolo in guancia. «Entriamo?» propone nonno Joseph, che – assieme alla moglie Angelika – non entra in un pub da secoli. «Entriamo!» conferma il gruppo, avviandosi allegramente all’interno. «Posso prendere una birra anche io?» chiede Marie Käte, che non è mai stata in un pub in vita sua, saltellando felice, facendo ridere tutti quanti. «Vedremo, signorina.» le risponde la madre, dandole un buffetto sulla guancia.

«Dai, Bea, lascia che la prenda ormai è una signorina.» sorride Thomas, che per la sua Prinzessin farebbe di tutto – nei limiti del possibile – per renderla felice. «Veramente è ancora una zwerg,[2] quindi al massimo prenderà l’analcolica, che non è detto abbiano, quindi dovrà accontentarsi della Coca-Cola.» la prende in giro Karl, facendo ridere gli amici; la ragazzina gonfia le guance e lo guarda male. «Tu alla mia età già bevevi birra, uscivi la sera e so anche quello che combinavi… quindi stai zitto, Karl Heinz, non ti conviene metterti contro di me e poi io ho papà dalla mia.» risponde Marie Käte, sapendo di aver vinto, approfittando del fatto che i genitori si sono allontanati per chiedere del tavolo prenotato.

Karl sbarra gli occhi e la guarda allibito. «Beh… non penso sia affar tuo quello che facevo alla tua età, in ogni caso io uscivo perché mamma e papà sapevano che andavo al Paulaner’s e uscivo anche già prima dei sedici anni perché c’erano lo zio Bernd e Marika con noi.» le risponde gelido. «Allora portami con te quando uscirai, così mamma e papà non avranno nulla da ridere sul fatto che sono piccola. Altrimenti dirò loro quello che hai combinato alla visita d’istruzione del terzo anno di liceo…[3]» risponde la piccola Schneider, con un angelico sorriso, al quale sa benissimo, suo fratello non sa resistere. «Sei una peste, Marie Käte, va bene la prossima volta ti porterò con me.» capitola Karl sospirando e raggiungendo il tavolo, in cui gli altri hanno già preso posto.

«Grazie, fratellone, ti voglio bene.» dice lei, stringendosi al suo fianco, lui la guarda ridendo e ricambia. «Anche io te ne voglio, lo sai, però se me l’avresti chiesto ti avrei portata con me anche prima, senza bisogno di ricorrere a mezzi litigi. E poi se è quello che penso, è meglio non si sappia in giro, avevo sedici anni ed è stata una cazzata adolescenziale…» dice baciandola sulla fronte. Marie Käte ride, annuendo e, uscendogli la lingua, corre a sedersi accanto al padre. Karl ride e si siede accanto a Grace, mentre un cameriere arriva per prendere le ordinazioni.

Grace sorride felice, bacia le labbra del fidanzato, che prontamente ricambia, poi beve un sorso di birra e inizia a ridere e scherzare con Marika, Fanny e Marie Käte – che ha ottenuto la sua birra – mentre nonno Joseph osserva la distilleria situata nella parte superiore del locale, sorridendo e pensando che tra due mesi per lui sarà tempo di vendemmia;[4] anche Derek ed Eva osservano il locale affascinati, il loro non ha la distilleria all’interno, ma è bello egualmente; Thomas e Beatrix mangiano e osservano i loro meravigliosi figli con un sorriso. «Ce l’hai qui?» sussurra Benji all’orecchio di Karl che posa il boccale e annuisce, sfiorandosi la tasca dei jeans. «Potresti darglielo adesso…» aggiunge Hermann guardando i due amici. «No, lo farò dopo la finale, a prescindere se sarà una vittoria o una sconfitta, sarà comunque una nuova pagina della mia vita.» risponde il Kaiser deciso, riprendendo a mangiare.

La serata continua in allegria, e anche se non è stata una grandissima festa, senza regali, Karl è felice di aver potuto festeggiare il suo compleanno assieme alle persone che ama – e che lo amano – in fondo non è importante organizzare una festa memorabile, ma anche una semplice serata, purché sia con le persone giuste e, nessuno è meglio della propria famiglia, della fidanzata e degli amici fraterni – compagni di vita.

***

Il venerdì 6 e il sabato 7  luglio riprendono le partite, dando inizio ai quarti di finale: il Giappone stravince sulla Grecia per 3-0, autori dei goal Lenders, Callaghan ed Everett; l’Italia riesce a battere l’Inghilterra per 1-0, grazie a un goal del suo capitano Salvatore Gentile; la Germania – priva Schneider e Kaltz – riesce con grande fatica a battere il Brasile di Santana per 2-1 con il goal partita all’ultimo secondo del recupero; mentre l’America perde 1-2 contro il Belgio.

Mosca: lunedì 9 luglio, Vatutinki Hotel and Health Complex, piscina, h. 10:30

«Sei sicura di non voler andare a vedere l’allenamento della Germania? Più tardi Freddy ci vuole tutte in campo, quindi non potrai andar a vedere Karl in palestra.» dice Fanny a Grace, mentre camminano per raggiungere la piscina. «No, voglio rilassarmi un po’, ho bisogno di staccare un po’ la spina dal calcio. Lo so che il mister più tardi ci vuole tutte a bordo campo, ma penso mi darà il permesso di fare un salto in palestra se glielo chiederò.» risponde Grace con un sorriso. «Va bene.» sorride Fanny, svoltando un angolo, per poi trovarsi di fronte l’edificio della piscina coperta, ma fermandosi. «Chi sono quei due?» chiede all’amica, notando due ragazzi, seduti al bar esterno, che le fissano.

Grace alza lo sguardo ambra sui due e li fissa con la bocca aperta. «Il capitano e il portiere dell’Italia: Salvatore Gentile e Dario Belli.[5]» risponde deglutendo a vuoto, mentre i due le raggiungono a grandi falcate. «Buongiorno, belle signorine.» le saluta Salvatore con un sorriso irriverente e antipatico. «Non mi sembra di avervi mai viste… siete qui in vacanza? O forse siete nuove managers della Germania o del Giappone?» esordisce Dario, dando manforte al compagno. “Ma farvi un pacco di cazzi vostri, no? Non vi conosco, ma mi state già antipatici a pelle.” pensa Fanny sbuffando, guardando l’amica, che è rimasta in silenzio a fissare i due ragazzi. «Non credo siano affari vostri, ma sono un persona educata, quindi vi risponderò comunque.» risponde Fanny, guardando entrambi dritti negli occhi.

«Siamo entrambe managers del Giappone, ma allo stesso tempo anche dell’Amburgo, dato che viviamo in Germania. Contenti?» continua, senza abbassare lo sguardo. «Adesso se volete scusarci, stavamo andando in piscina, non siamo interessate a nessun belloccio.» risponde ancora, tirando Grace, che trema lievemente – non sa perché, ma non le sono mai piaciuti questi due. «Ma quanta fretta…» ride Salvatore sbarrando loro la strada, mentre Dario ripassa mentalmente le managers nipponiche, ricordando Amy, Jenny e Patty, poi quelle due bruttine con degli orribili codini e una sesta con degli occhiali – anch’essa bruttina. «Dunque siete nuove nello staff, ricordo tutte le ragazze di ogni nazionale, ma non ricordo di voi…» dice parandosi accanto al compagno. «Dunque ci sono le tre fidanzate, poi altre due con delle orride codine… e ne ricorda un’altra con degli occhiali degni di mia nonna, ma non ricordo affatto di due belle ragazze come voi.» continua, fissando intensamente entrambe.

Grace deglutisce ancora e fa un passo indietro. «Ero io quella con gli occhiali, adesso non li metto più…» sussurra con la voce che trema, offesa, da come il ragazzo l’abbia descritta. Belli la guarda con un ghigno divertito, annuendo e sorridendo, poi si volta verso l’altra. «E tu?» le chiede. «Non credo ti riguardi, ti ho già detto di non essere interessata a bellocci e nemmeno la mia amica lo è. Adesso sparite e lasciateci in pace.» risponde Fanny, ricambiando lo sguardo del ragazzo senza timori. «Che caratterino…» sussurra Dario con voce suadente, facendo schioccare la lingua sul palato. «Oh… adesso mi ricordo di te, tu sei Grace, la seconda manager della squadra di Philip Callaghan. Stai decisamente molto meglio senza quegli occhiali…» sorride Salvatore, avvicinandosi a carezzando la guancia a una imbambolata Grace. «E tu non vuoi dirmi come ti chiami, bambolina?» chiede Dario a Fanny.

«No! Sai, mamma e papà quando ero piccola mi hanno insegnato a non parlare con gli sconosciuti e a non accettare caramelle, diventando grande ho imparato che quegli sconosciuti erano persone sgradite e le caramelle complimenti non graditi. Potrai essere un bel ragazzo, con gli occhi azzurri e i capelli biondi, ma non hai nessun effetto su di me. Non sei affatto il mio tipo, non mi interessi.» risponde acidamente Fanny, guardando Grace con la coda dell’occhio, che fissa Salvatore pietrificata. «Io… anche tu non mi interessi.» gli dice guardandolo spaventata, mentre lui le sorride e le afferra una ciocca di capelli, girandosela sull’indice.

Dario non le risponde, ma sorride, invaghito da questa bella ragazza e dal suo caratterino, mentre ella guarda l’amica rossa di rabbia. «Ti dispiacerebbe togliere quella zampa dai capelli della mia amica? Non ho affatto paura di voi, so benissimo difendermi da sola e ti conviene farlo immediatamente se non vuoi che ti trinci la mano.» dice a Salvatore, mentre nota Dario avvicinarsi e gli serra il polso. «Che caratterino, hai proprio ragione, Dario.» ghigna Gentile, togliendo la mano dai capelli di Grace, che si nasconde dietro  Fanny. Belli ghigna ancora, ignorando il suo polso sinistro serrato dalla mano della ragazza, la guarda negli occhi, leccandosi le labbra e, bloccandole la testa con la mano destra, la costringe a un bacio.

«Lasciala stare!» urla Grace, mentre Salvatore le va alle spalle e la stringe, mettendole le mani sul seno e baciandole il collo. «Ma che fai? Lasciami, stronzo!» si dimena Grace, dandogli una gomitata nello stomaco, ottenendo l’effetto contrario, Salvatore la guarda e sorride ancora di più, divertito inizia a leccargli il collo e la spalla. Fanny, che di certo non sta a quel bacio, pesta il piede del portiere con tutta la sua forza e gli morde la lingua, costringendolo a lasciarla immediatamente, per portarsi la mano alla bocca dolorante con la lingua sanguinate. «Dario?» lo chiama Gentile, lasciando Grace, che subito si allontana. «Sto bene.» risponde il portiere, sputando per terra il sangue. «Andiamo, ma voglio provarci ancora con queste due puttanelle.» aggiunge guardando le ragazze, tirando via il compagno.

«Puttanelle lo dici a tua madre e tua sorella, stronzo, questa volta ci hai rimesso solo la lingua, la prossima non mi limiterò a questo: ti farò assaggiare le mie arti marziali.» gli urla dietro Fanny, mentre i due ragazzi si girano a guardarle mandando loro un bacio volante, Fanny li guarda malissimo e gli alza il dito medio, facendoli sorridere. «Andiamo!» dice poi volgendo lo sguardo verde – ora dardeggiante – verso l’amica. Grace annuisce e la segue in piscina. «Sapevo non fossero dei tipi simpatici, Karl e Benji non li hanno mai sopportati, ma non pensavo arrivassero a fare una cosa del genere…» sussurra, entrando in piscina, ancora sotto shock. «Io è la prima volta che li vedo, ma già a pelle ancora prima che iniziassero a provarci, non mi sono piaciuti.» risponde Fanny, varcando la soglia dello spogliatoio per posare le loro cose e cambiarsi.

«Dobbiamo dirlo ai ragazzi o non ci lasceranno in pace. Io li ho minacciati di usare le arti marziali, ma sono un po’ arrugginita, non le pratico più dal terzo anno del liceo.» dice ancora Fanny, mettendosi l’accappatoio sopra il costume. «Lo so, però non voglio coinvolgere Karl… so che appena lo saprà diventerà un pazzo e che non ci penserà due volte a scagliarsi contro Salvatore, ma ho paura che possa farsi male.» risponde Grace, legando l’accappatoio alla vita, iniziando a piangere. «Lo so, nemmeno io voglio che Karl si metta in mezzo e rischi di farsi male, però devi dirglielo, troveremo un modo per non farlo andare contro quello stronzo.» risponde Fanny stringendola a sé. «Anche Benji appena lo saprà andrà su tutte le furie e non ci penserà due volte, e io di certo non lo fermerò… se vedessi una gallina fare la scema con lui anche io le andrei addosso.» continua Fanny, tenendo l’amica tra le braccia, che annuisce concordante. «Però Karl… ha già avuto l’incidente con Napoleon, ho paura che possa farsi ancora male.» piange Grace.

«E noi non lo diremo solo a Benji e Karl, lo diremo anche a Hermann e Philip, sono certa che anche lui ti difenderà con le unghia e con i denti, sei sempre la sua miglior amica.» sorride Fanny asciugandole le lacrime. «Nemmeno io voglio che Karl si metta in mezzo per le tue stesse ragioni, così come non voglio che anche mio cugino lo faccia… se dovesse beccarsi un pugno al petto sarebbe un casino.» continua, facendo annuire ancora l’altra. «Allora tu lo dirai a Benji che le darà a Belli, io a Phil, che se la vedrà con Gentile.» risponde Grace. «Adesso andiamo in piscina, voglio rilassarmi e cancellare le mani di quello sul mio seno.» aggiunge tirando la compagna.

***

Mosca: lunedì 9 luglio, 2018 Vatutinki Hotel and Health Complex, campo di calcio, h. 11:00

Nell’albergo in cui alloggiano la nazionale tedesca, giapponese e italiana la routine trascorre ordinariamente, dopo i quarti di finale sono stati indetti due giorni di pausa prima delle semifinali – e tra un allenamento e un altro – i calciatori possono anche rilassarsi.

Joachim Löw e Thomas Schneider hanno deciso di far svolgere alla squadra una doppia sessione di allenamento, per permettere ai due assenti dei quarti di riprendersi dallo stop forzato; la nazionale tedesca, divisa tra riserve e titolari, si trova ora sul campo da calcio a fare una partita d’allenamento, nessuna delle due formazioni è ancora riuscita a passare in vantaggio, ma gli allenatori notano con piacere quanto tutta la rosa sia in forma e questo è un buon punto a loro vantaggio. Sugli spalti del campo una piccola calca di giornalisti aspetta la pausa per strappare qualche intervista, mentre i fotografi scattano quante più foto possono; e un gruppetto di ragazzi fa il suo ingresso per osservare l’allenamento.

«Se rompono giuro che spacco la faccia a tutti.» sbuffa Benji, notando gli sciacalli, sedendosi con i suoi compagni a osservare la Germania in campo, proprio in quel momento Karl segna il primo goal e un attimo dopo si ritrova i compagni addosso – felici di riavere il proprio capitano in campo. «Non ci pensare nemmeno, Benji, se ti squalificano non potrai giocare.» lo rimprovera bonariamente Holly, sedendosi al suo fianco, mentre Patty gli si siede accanto dalla parte opposta. «Beh… non posso certo biasimarlo, Holly, i giornalisti rompono sempre e immagino che durante la malattia di Schneider, Benji ne ha avuti anche fin troppi da tener a bada.» si unisce Julian, sedendosi con Amy sul gradino sopra il loro. «Proprio così.» conferma il portiere, ricordando quello a cui spaccò il naso in un impeto di rabbia, sorridendo poi al Kaiser che intercetta il suo sguardo.

«Gran bel goal, fratello, ma tanto in finale non riuscirai a segnarmi.» sorride Benji, sceso in campo alla fine del primo tempo, salutando i due allenatori. «Lo vedremo, Price, intanto cerca di non prendere troppi goal da Gentile, perché oltre a non sopportarlo voglio giocare la finale contro di te.» risponde Karl ridendo e punzecchiandolo, ma ammettendo tutta la bravura dell’amico. «Anche io voglio che la finale sia tra noi, Kaiser, e stai certo che non ti regalerò nulla.» sorride Benji, stringendo l’amico, che sorride e poi beve. «Ma le nostre ragazze?» chiede, alzando lo sguardo sugli spalti, vedendo gli altri calciatori del Giappone e solo Amy, Jenny e Patty con loro.

«Sono in giro, le ho incontrate prima di venire, mi hanno detto che andavano in piscina.» risponde Benji, facendo annuire Karl. «Poi di pomeriggio saremo qui per allenarci.» aggiunge. «Capisco. Noi di pomeriggio saremo in palestra, il mister ha deciso di metterci sotto con l’allenamento.» risponde il Kaiser, salutando con la mano il gruppo nipponico sugli spalti, salutando anche il portiere, per poi tornare dai compagni e rientrare in campo per il secondo tempo, mentre Benji ritorna dai compagni a osservare la partita.

***

Mosca: lunedì 9 luglio, 2018 Vatutinki Hotel and Health Complex, hall dell’albergo, h. 15:45

I ragazzi, che hanno saputo quanto accaduto a pranzo, non ci hanno pensato due volte a organizzare una spedizione punitiva: Karl è diventato una iena e ha subito deciso di far nuovo Gentile. «Tu non andrai contro nessuno, penserò io a entrambi.» lo ammonisce Benji, con occhi fiammeggianti. Nessuno deve osare tanto con la sua ragazza e la sua miglior amica. «Benji non me lo puoi impedire. Anche a me hanno toccato la ragazza e la migliore amica.» risponde il Kaiser deciso. «Karl ragiona, Benji la pensa come te, ma non vuole che ti fai male.» tenta Kaltz cercando di farlo ragionare, mentre lui sbuffa e si siede sulla poltroncina della hall. «Allora io me ne starò buono a guardare mentre entrambi gli date la lezione che si meritano.» risponde.

«Ragazzi eccomi!» dice Philip raggiungendoli di corsa con Julian alle costole, che vorrebbe risolvere tutto con diplomazia. «Avete deciso cosa fare?» chiede sedendosi sulla poltroncina accanto a Schneider. «Ci penseremo io ed Hermann.» risponde Benji, mentre si ferma a osservare Julian sedersi e sbuffare. «Anche io vorrei ammazzarli, in fondo si tratta di mia cugina, ma penso che non valga la pena abbassarsi ai loro livelli, penso sia meglio risolvere tutto in modo diplomatico.» dice esponendo il proprio pensiero, mentre anche dai suoi occhi si capisce quanto gli abbia dato fastidio. Se fosse successo alla sua Amy come avrebbe reagito?

Karl incrocia le braccia al petto e osserva i compagni, lui per quanto costretto a non intervenire, non la pensa come Ross. «Anche io sono con voi, Grace è sempre la mia migliore amica.» esordisce Philip. «Non volevo che Julian si unisse alla spedizione, ma Fanny è sua cugina e non ho potuto impedirglielo… tuttavia non condivido il suo discorso diplomatico, sappiamo benissimo che con quei due non servirebbe a nulla.» dice guardando prima il suo migliore amico, che sbuffa e scuote la testa, poi gli altri. «Mi dispiace, Julian, ma sono d’accordo con Philip.» dice Benji. «Anche io.» concorda Hermann. Julian sbuffa ancora, a quanto pare non c’è modo di farli ragionare. «Karl?» lo interpella, sperando che almeno uno possa ragionare e far ragionare gli altri.

Schneider sbuffa e chiude gli occhi. «Mi dispiace, Julian, anche io sono con loro. Conosco quei due meglio di voi, e fidati, la diplomazia non servirebbe a nulla. Fosse per me sarei il primo a riempirli di pugni… e vorrei farlo, dio solo sa quanto mi prudono le mani, ma non posso rischiare di farmi male ancora una volta.» dice sospirando e riaprendo gli occhi. «Va bene, mi arrendo, siete quattro contro uno.» sospira il Principe del Calcio. «Quando andiamo?» chiede volendo metter fine in fretta alla faccenda. «Adesso!» rispondono gli altri quattro in coro, senza pensarci due volte, infischiandosene bellamente che tra dieci minuti hanno allenamento con le rispettive squadre.

«Forse sarebbe meglio dopo gli allenamenti, se dovessimo ritardare...» tenta ancora Julian poco convinto. «No, adesso, se dovessimo ritardare ci inventeremo qualcosa.» risponde Benji, che ormai ha deciso e si alza. «Ma…» tenta ancora Ross. «Ha ragione, ci inventeremo qualcosa, dopo gli allenamenti potremo non avere tempo.» concorda Karl alzandosi, Julian sbuffa e si arrende definitivamente, alzandosi a sua volta, mentre il gruppetto inizia a girare per l’albergo alla ricerca dei due. «Avete idea di dove trovarli?» chiede Julian, che non è d’accordo, ma ormai c’è dentro e non ha intenzione di tirarsi indietro.

«Nessuna!» risponde Benji sconsolato, in fondo potrebbero essere ovunque e l’albergo è grande. «Io stamattina ho sentito per caso che avevano il pomeriggio libero, potrebbero esser usciti, o potrebbero essere in camera.» dice Philip fermandosi in mezzo alla hall. «Allora direi di iniziare dalla loro camera, poi se non ci sono e siamo fortunati e becchiamo qualche loro compagno sapremo dove sono.» aggiunge Karl, guardando tutti con uno scintillio sinistro nello sguardo azzurro, correndo un secondo dopo verso le scale, dritto filato al terzo piano, dove alloggia la squadra italiana.

«Il che significa, che se siamo sfortunati, dobbiamo uscire.» sospira Julian andandogli dietro, seguito dagli altri. «Oh, Ross, piantala! Sembri Holly con le sue paturnie: “non possiamo saltare un allenamento in vista di una partita importante, o se il mister ci becca saranno guai.” Se non vuoi venire va pure al campo, ma una delle due è tua cugina, io al tuo posto sarei incazzato a morte. Cosa avresti fatto se al posto di Grace ci fosse stata Amy?» sbuffa Benji affiancandolo sulle scale a metà del secondo piano. «Beh… non è che tra Fanny o Amy cambi molto, sono lo stesso incazzato, non avrebbero dovuto… oh, ma chi se ne frega dell’allenamento. Andiamo e facciamola finita!» si arrende, facendo sorridere il portiere. «Bravo, cugino, così mi piaci.» sorride Benji, strizzandogli l’occhio, mentre arrivano al piano.

Karl in testa al gruppo, si ferma davanti la camera e bussa, sperando di trovare i due, ma passato qualche secondo nessuno risponde perciò bussa una seconda volta attendendo risposta. «Secondo me non ci sono…» dice Hermann, guardando i compagni. «Che palle! Dovremo cercarli per mezzo albergo.» sbuffa Philip. «Allora diamoci una mossa.» li invita Karl, riprendendo a correre per il corridoio, frenando improvvisamente la sua corsa davanti una porta che si apre. «Tarderri,[6] Marchesi,[7] sapete dove sono Dario e Salvatore?» chiede il Kaiser, riconoscendo un attaccante e un difensore dell’Italia. Manfredi Tarderri lo guarda, osservando anche gli altri e riconoscendo i giapponesi. «Non lo so, avevano detto sarebbero andati a far un giro in città.» risponde. «Perché?» chiede invece il compagno. «Non importa, grazie.» urla Schneider che ha ripreso a correre, seguito dai compari, mentre i due italiani alzano le spalle e scendono in piscina.

***

«Eccoli là i bastardi.» ringhia Benji, frenando la sua corsa, assieme ai compagni, mentre rimangono nascosti a osservare i due che parlano con due ragazze. «Quelle hanno tutta l’aria di essere russe, se dobbiamo farlo non ha senso farlo davanti a quelle povere ragazze.» dice Julian, che non vorrebbe a prescindere, ma ormai non ha altra scelta. «Hai ragione.» sbuffa Philip sfregandosi le mani con rabbia. «Allora aspettiamo qui che le mollano? E se non le mollano?» sbuffa anche Hermann, guardandoli con odio. «Ma anche no, non ho intenzione di aspettare i loro porci comodi.» risponde il Kaiser guardandosi attorno in cerca di idee. «Karl non ci pensare nemmeno, tu non picchierai nessuno.» lo riprende Benji, aspettandosi di tutto. «Io no, ma abbiamo deciso che lo farete tu e Philip, no?» risponde furbescamente il capitano tedesco, prendendo una pietra da terra, dandola a Benji. «Che devo farci?» gli chiede. «Aspetta. Ho bisogno di carta e penna.» risponde infilandosi dentro a un bar.

I quattro, che hanno già capito, aspettano. Karl ritorna con un biglietto in mano e riprende la pietra dalle mani dell’amico, guardandoli un attimo sovrappensiero. «Che ti prende?» chiede Hermann Kaltz guardandolo confuso. «Nulla, mi servirebbe un elastico o qualcosa con cui legare il biglietto.» sbuffa Schneider, ricevendo uno sguardo eloquente dai compagni. Nessuno di loro ha elastici per capelli. «Maledetti italiani.» sbuffa ancora il Kaiser, mettendo sasso e biglietto nella tasca della tuta, staccandosi dal polso una cordicella con i colori del suo paese, che Benji e Kaltz riconoscono all’istante – anche loro ce l’hanno – e per tutti e tre non è solo una semplice cordicella, ma un simbolo della loro amicizia. «Mi pagheranno anche l’averlo dovuto slegare dal polso.» ringhia Karl, legando il biglietto attorno al sasso col braccialetto, tirandolo poi con un preciso calcio colpendo la gamba sinistra di Gentile.

«Aih!» dice Salvatore, chinandosi, notando il sasso e osservandolo, mentre le due ragazze approfittano della provvidenziale distrazione e scappano via di filata. «I colori tedeschi?» chiede estraendo il foglietto e aprendolo, facendo leggere anche l’amico. «Invece di fare i cascamorti con ogni gonnella attraversate e girate l’angolo.» legge Dario, guardando il compagno. «Non è firmato, ma quel braccialetto mi fa subito pensare a Schneider e ai suoi soci e conosco solo un modo per scoprirlo.» ghigna. «Concordo.» ride Salvatore. «Sai? Penso che le due ragazze abbiano spifferato tutto, hanno detto di essere giapponesi, ma di abitare in Germania. Quanto ci scommetti che se la fanno con i tedeschi o con Price?» continua, mentre attraversano e svoltano l’angolo, trovandosi davanti a un vicolo, dove li aspettano i cinque. «Infatti, ci avrei giurato.» sussurra Dario all’orecchio del compare. «Schneider cos’è?» chiede Gentile, tirandogli il sasso con attorno la cordicella, che Karl afferra con la mano destra.

«Perché non me lo dici tu cos’è, maledetto stronzo? Per me puoi provarci con tutte le ragazze che ti pare, tu e tuo compare Belli, ma non con la mia ragazza e con la mia migliore amica.» risponde guardandolo negli occhi. «Oh… e così quelle due appartengono a te? Interessante, qual è la tua ragazza?» chiede Salvatore, avvicinandosi, avendo intuito le intenzioni degli altri, per nulla intimidito. «Grace, che è anche la migliore amica di Benji e Philip, mentre Fanny è la mia migliore amica, nonché fidanzata di Benji e cugina di Julian. Ma fidati che questo è l’ultimo dei vostri problemi.» risponde Karl guardandolo male.

«Hai capito, Salvo? Le ragazze sono proprietà privata. Forse non avremo dovute toccarle…» ghigna Dario, scagliandosi contro Schneider con tutta l’intenzione di dargli un pugno. «Non ci pensare nemmeno, maledetto bastardo. Per quanto Karl vorrebbe prenderti a pugni non lo farà, sarò io a dartele, hai commesso l’errore più grande della tua vita baciando Fanny.» interviene Benji, spingendo il Kaiser, evitando il pugno di Belli e rispondendo con un gancio che lo prende in pieno viso. «Cos’è, Price, vuoi sperare di mettermi fuorigioco così da poter vincere facilmente la partita di domani?» lo provoca il portiere italiano, restituendogli il pugno sullo zigomo. «No, non ho bisogno di nulla del genere, perché sono più forte di te, questa non è una sfida tra portieri, sto solo difendendo ciò che mi appartiene.» risponde Benji, dandogli un calcio allo stomaco, che fa piegare Dario, che non è riuscito a evitarlo.

«Dunque immagino che io mi dovrò battere contro di te, caro Kaiser.» ghigna Salvatore sfregandosi le mani. Karl lo guarda con odio e gli dà un pugno in faccia. «Fosse per me ti lascerei morto a terra, ma non posso permettermi di farmi male dopo quello che è successo, ma Grace proprio non me la dovevi toccare, schifoso bastardo.» risponde, mentre Gentile sorride. «Peccato, mi sarebbe piaciuto picchiarti.» ghigna, spingendolo con violenza. «Sei un maledetto bastardo.» ringhia Hermann afferrando l’amico prima che cada a terra. «Grazie. Sto bene.» sorride Karl, poggiandosi a lui per un lieve capogiro. «Forse hai dimenticato che Grace è anche la mia migliore amica.» si intromette Philip, parandosi davanti a Salvatore, assestandogli un poderoso calcio negli stinchi, facendolo cadere, scagliandosi sopra di lui.

La zuffa tra i quattro ragazzi continua, mentre nasi e labbra iniziano a sanguinare. «Ti ha fatto male?» chiede Julian avvicinandosi a Kaltz e Schneider, guardando l’ora nervosamente. «No, sono tutto intero.» risponde Karl stringendo i denti nel momento in cui Benji riceve un pugno in bocca, che gli spacca il labbro, facendo colare il sangue per terra; il portiere nipponico si è rotto, quindi assesta all’altro un pugno che lo lascia per terra piegato dal dolore, asciugandosi poi la bocca con la manica della felpa. Philip e Salvatore le hanno prese e date in egual modo, entrambi hanno un occhio mezzo nero, Callaghan ha un rivolo di sangue che gli cola dal naso, mentre Gentile il labbro spaccato.

«Ragazzi ci hanno beccati. Amy mi ha mandato un messaggio, dice che nessuna delle squadre ha iniziato l’allenamento e i mister ci stanno aspettando furiosi.» risponde Julian col cellulare in mano, mentre in lontananza si sentono delle sirene – qualcuno deve aver visto la lite e chiamato la polizia. «Via a gambe levate, o siamo tutti fottuti.» urla Karl, fermando i due che ancora se le stanno dando, iniziando a correre a tutta velocità seguito dagli altri. Di certo non è stata una bella idea picchiarsi in pieno pomeriggio per strada, per quanto nascosti in un vicolo, qualcuno prima o dopo li avrebbe visti. Dieci minuti dopo, ansanti per la folle corsa si fermano tutti esausti all’ingresso dell’albergo.

«Cazzo, ce le siamo date di sante ragione. Picchi duro, Callaghan.» sussurra Salvatore, riprendendo fiato. «Se toccano qualcuno a cui voglio bene sì, i miei amici e compagni lo sanno.» risponde Philip guardando Jualin con la mano sinistra sul petto, col respiro affannato. «Non pensavamo fossero le vostra ragazze, quindi ce le siamo meritate le mazzate.» inizia Dario, guardando gli avversari, fermandosi poi su Benji. «Sappi che tra noi due la sfida non è finita, ce la vedremo domani in campo.» gli dice puntandogli contro l’indice. «Non vincerai nemmeno domani, stanne certo e non ti azzardare a ronzare ancora attorno alla mia ragazza o ti lascio davvero morto da qualche parte, anche a costo di finire in galera.» risponde Benji, guardando Julian – che ha ripreso a respirare normalmente – e che gli sorride. Le due fazioni si congedano senza salutarsi e ognuno entra in hotel per i fatti propri, Salvatore e Dario corrono immediatamente in camera loro, mentre gli altri si trovano davanti chi attende le loro spiegazioni.

***

La nazionale tedesca è andata in palestra con Löw, e ha lasciato il suo vice a discutersela con i due; Freddy ha mandato i suoi in campo, sotto la supervisione di Holly, perché tanto ha già deciso che oggi il suo pupillo non si allenerà per punizione. Fanny osserva il viso del fidanzato e si morde le labbra, stringendo la mano di Grace al suo fianco, che sorride nel vedere che il suo ragazzo sembra intero. «Allora, cosa avete da dire a vostra discolpa?» chiede Marshall appena si chiude dietro la porta della sala riunioni, affiancato dall’amico Thomas che, a braccia conserte, osserva i ragazzi, senza distinguere i suoi dagli altri, sono tutti colpevoli allo stesso modo. «Spero tu abbia avuto il buon senso di non metterti in mezzo, signorino.» dice al figlio, prima che qualcuno possa rispondere alla domanda di Freddy.

«No, non sono così idiota, papà, ma quel bastardo di Gentile ha toccato Grace e di certo non potevo andare a complimentarmi con lui.» risponde Karl sinceramente, non nascondendo quello che hanno fatto, tanto sa benissimo che le ragazze gli hanno detto tutto quanto. Thomas sospira, non condivide quello che hanno fatto, ma capisce che sono adolescenti e che gli italiani hanno fatto una cosa che non avrebbero dovuto fare. «Freddy che dici chiudiamo un occhio?» chiede all’amico, che osserva i suoi tre ragazzi con cipiglio furioso. «Ovviamente non potevo sperare che il mio caro pupillo non fosse il primo a mettersi in mezzo, non dimentichiamo tutte le volte che ti sei azzuffato con Lenders o con Warner, ma mi meraviglio di te, Callaghan.» dice Marshall, guardando Thomas e scuotendo il capo. «Voglio sperare che almeno tu, Ross, non ti sia unito ai tuoi compagni…» aggiunge guardando l’altro.

«No, mister. Io, Kaltz e Schneider non abbiamo preso parte alla rissa, anche se avremo voluto. A me e a Karl ce l’hanno vietato dati i nostri problemi, Hermann è rimasto con noi dopo…» inizia Julian guardando gli altri senza sapere come continuare. «Dopo che io ho dato un pugno a Gentile e lui mi ha spinto con violenza facendomi girare la testa, Hermann mi ha sorretto ed è rimasto accanto a me per tutto il tempo.» conclude Karl il discorso lasciato in sospeso. «Proprio così.» confermano Benji e Philip, mentre lo zigomo del primo inizia a diventare livido, così come l’occhio del secondo, mentre il sangue colato dal naso di Callaghan e dal labbro di Price è ormai secco.

Freddy Marshall sospira pesantemente e si poggia al tavolo delle conferenze. «Probabilmente alla vostra età avrei reagito anche io così se degli avversari avrebbero fatto una cosa del genere contro le nostre managers – che siano amiche o fidanzate cambia poco – ma adesso sono dall’altra parte e devo punire il vostro gesto.» dice guardando l’amico che ridacchia. «Oddio, in realtà è anche successa una cosa simile… avevamo circa la loro età, Freddy.» dice Thomas non trattenendosi. «Sì, me lo ricordo benissimo. Io, tu e Kirk contro i francesi.» risponde Marshall, facendo ridacchiare sotto i baffi i ragazzi, che si ricompongono appena si schiarisce la voce. «Tornando a voi cinque!» tuona, guardandoli uno per uno, fermando poi lo sguardo sui suoi tre ragazzi.

I calciatori li guardano e non fiatano, sapevano che il loro gesto avrebbe avuto una conseguenza, ma era necessario, ora però sono pronti ad assumersi le loro responsabilità e accetteranno la punizione – sapendo che entrambi non li metterebbero fuori squadra in semifinale. Freddy e Thomas si guardano, nei loro occhi brilla la scintilla di una vecchia complicità, consolidata in anni di amicizia e gioco di squadra. «La punizione più adatta sarebbe non farvi scendere in campo domani e dopodomani, contro l’Italia e contro il Belgio…» inizia Freddy guardando tutti e cinque, mentre inizia a passeggiare loro davanti a braccia conserte. «Tuttavia siamo alle semifinali, quindi abbiamo bisogno che voi siate in campo a dar manforte alle vostre squadre; già ai quarti noi abbiamo dovuto far a meno di Karl ed Hermann… quindi giocherete tutti e cinque, ma oggi rimarrete a guardare i vostri compagni allenarsi.» conclude Thomas riprendendo il discorso dell’amico.

«Ora filate!» ordina Freddy, trascinando i suoi in campo, afferrando la spalla di Benji. «Ringraziate che nessuno vi abbia beccato.» dice tra i denti, ma in modo che tutti e tre possano sentirlo; Benji gli sorride, però schiocca un’occhiata d’intesa con i  compagni. «Per fortuna nessuno di voi si è fatto seriamente male.» sospira Thomas, scortando i suoi due in palestra. «Non oso immaginare come avrebbe reagito tua madre se ti fossi fatto un’altra volta male, Karl.» continua, stringendo suo figlio. «Allora ringrazia loro, io ero partito con tutte le intenzioni di picchiarlo, ma mi hanno impedito di farlo.» risponde il Kaiser, ricambiando la stretta del padre e sorridendo al suo migliore amico, mentre arrivano in palestra, dove la squadra si allena e Löw li raggiunge. «Non voglio sapere quello che avete combinato, ma sono certo che avete avuto la vostra motivazione.» dice guardando il suo vice annuire e sorridere. «Mi fido di Thomas e sono certo che ha risolto tutto, e immagino anche che avrebbe voluto mettervi fuori squadra dopodomani, ma siete entrambi preziosi e non possiamo rischiare, dunque filate a sedervi per oggi non vi allenerete oltre.»

 

***

 

Angolo dell’Autrice: eccomi qua a distanza di un mese con il nuovo capitolo, come avevo preventivato, è venuto fuori quasi tutto di getto, ma tra un impegno e un altro – le feste in avvicinamento con annessa corsa ai regali – ci ho messo più del dovuto a finirlo, ma almeno sono in tempo e posso godermi il natale senza pensare al capitolo. xD Dunque, ormai avrete capito da un secolo che io e i capitoli corti proprio non andiamo d’accordo, ma non posso farci nulla! Ovviamente, come avevo già anticipato, non mi sono dilungata a descrivere ogni singola partita, ma ho fatto solo quelle importanti liquidando in quattro e quattro otto le altre – giungendo alle semifinali – adesso sono ancora un po’ indecisa sul prossimo capitolo (che spero di pubblicare entro capodanno) sappiate che ormai anche questa storia è giunta agli sgoccioli: se deciderò di scrivere delle semifinali ne usciranno fuori tre, altrimenti due, se scriverò solo la finale e un extra che mi è venuto in mente mentre scrivevo questo. Ok, adesso ho finito, come sempre mi dilungo… ma ormai mi conoscete. ;P detto questo pongo ancora le mie scuse su Gentile e Belli, vi ringrazio come sempre per la costanza con cui mi seguite: chi ha la storia tra ricordate, preferite e seguite, chi recensisce e un grazie speciale alla mia meravigliosa Darling che mi aiuta ogni giorno e sopporta i miei scleri; oltre a questo – ma non meno importante – auguro a tutti voi carissimi lettori un Buon Natale e un bacione immenso, al prossimo capitolo, vostra sempre Amy!

 

 

 

[1] Paulaner Bräuhaus Olympic: mi serviva un locale per festeggiare il compleanno del Kaiser, così ho fatto qualche ricerca sul web dei locali di Mosca e mi è venuto fuori questo tra tanti altri, ovviamente il nome è saltato subito all’occhio e collegandolo al loro locale preferito di Amburgo non ci ho pensato due volte. xD

[2] Nanerottola

[3] Cosa avrà mai combinato il Kaiser in questo fantomatico viaggio? E come fa la dolce sorellina a saperlo, sebbene lei fosse alle scuole medie e non nella stessa scuola del fratello? Lo scoprirete in seguito, in un prequel che ho già in programma di scrivere dopo la fine di questa, non vi anticipo nulla: ma ci sarà anche lo zio Bernd ancora vivo

[4] Yes, proprio la vendemmia, ma non venite a chiedermi il perché, ma nel mio immaginario gli Schneider sono originari di Leverkusen e nonno Joseph ha una vigna che gli lasciò suo padre e suo nonno prima di lui – ovviamente i figli e il nipote non hanno seguito le orme partente – vertendo per il calcio, ma vedremo in futuro cosa farà Thomas quando smetterà di allenare. (vabbè, vi ho detto del prequel, vi dico tutto, in programma c’è anche un sequel a questa)

[5] Gino Hernandez, Gino Buffeti,  Dario Belli: chiamatelo pure come vi pare – a me non me ne frega proprio nulla di lui – sappiate solo che ho deciso per “Dario Belli” perché non lo sopporto manco a pagarmi oro, al contrario adoro Gigi Buffon, al quale è stato palesemente ispirato Buffetti, quindi semplicemente per questo la scelta di usare “Belli” come cognome (ora, come avrete notato, io non sopporto i due italiani e li ho dipinti come due mezzi maniaci che ci provano con tutte le ragazze, Fanny e Grace hanno avuto la sfortuna di incappare in essi; partiamo dal presupposto che me li ricordo poco e nulla dall’anime e col cavolo che mi sorbivo le puntate con loro, mi dispiace per chi al contrario piacciono o se sono decisamente OCC, ma questa è la mia storia e gestisco i personaggi a mio piacimento – mezzi stronzi ci sono – questo lo ricordo, quindi io mi sono solo presa la licenza poetica e ho esagerato un po’ – in ogni caso non voglio che questo dia fastidio a nessuno o urti la sensibilità altrui, siamo tutti adulti, vaccinati e ragionevoli e litigar per questo è controproducente – dunque diamo sfoggio alle licenze poetiche. ^^)

[6] È uno dei calciatori della nazionale italiana, l’ho scovato facendo lo sforzo di vedere spezzoni di partite – in preda alla disperazione

[7] Marchesi mi è stato suggerito da un’amica che ricordava solo il cognome, (grazie infinitamente, MaeWakabayashi ♥) ammesso che sto tizio avesse anche un nome, ovviamente il primo non si chiama Manfredi, ma è una mia invenzione – che per mezza apparizione che fanno – non ci frega nemmeno xD

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Capitolo 25
*** Amici e nemici… anche in campo, la sfida continua ***


Capitolo 25: Amici e nemici… anche in campo, la sfida continua

 

San Pietroburgo: martedì 10 agosto, Zenit Arena, h. 20:00

67.000  gli spettatori presenti allo Zenit Arena per la prima semifinale, gli inni nazionali sono appena stati suonati e Giappone ed Italia sono già schierate sul rettangolo verde, al fischio dell’arbitro Holly e Tom a centrocampo battono il calcio d’inizio e subito la sfida si accende: Benji e Dario – dalle rispettive porte – si lanciano occhiatacce minacciose e di sfida, che vanno ben oltre la rivalità dettata dal proprio ruolo, o sul chi dei due debba avere il primato; tra attacco italiano e difesa giapponese la situazione non è da meno: Salvatore Gentile – rubata palla alla coppia d’oro – si spinge prepotentemente in attacco, i difensori gli si buttano subito addosso, mentre Philip Callaghan lo aspetta sotto porta con occhi fiammeggianti.

«Non hai intenzione di muoverti?» chiede Julian all’amico, che continua ad osservare l’attaccante italiano. «Scherzi? Io lo voglio ancora ammazzare per quello che ha fatto Grace, lascia che si avvicini e vedi come lo concio.» risponde l’Aquila del Nord; Julian sospira – anche lui è ancora infuriato – ma la pensa ancora a modo suo. «Phil lo so, però non fare cazzate, se dovessero espellerti verrai squalificato e non puoi giocare la finale.» continua il Baronetto, guardando l’avversario, marcato da Denver e Harper. «Adiamo ad aiutare gli altri.» continua, raggiungendo i compagni, assieme a Philip. «Callaghan aspettavo proprio te.» ghigna Gentile, liberandosi dai due difensori con un finta, piazzandosi davanti al regista della difesa nipponica. «Non avrai vita facile, Gentile.» risponde lui, dando inizio al tackle.

Julian si volta a guardare Benji tra i pali, uno sguardo intenso ed indeciso, il portiere lo ricambia ed annuisce – capendo cosa il cugino[1] abbia in mente, Ross sorride e guarda i compagni difensori – un solo sguardo che ormai tutti conoscono – ed annuiscono. Salvatore, palla al piede, riesce a liberarsi da Philip saltandolo mentre lui entra in scivolata, si volta con la caviglia un po’ indolenzita ed osserva i compagni; la difesa nipponica è schierata davanti la porta, tirare è impossibile per Salvatore, che si volta e passa ad un compagno, mentre Julian alza in aria la mano destra ed i difensori lasciano scoperta l’aria, proprio mentre il ragazzo tira e segna.

Benji non si sforza minimamente per cercare di fermarlo, e con un ghigno stampato in faccia guarda Belli dall’altro lato del campo, mentre l’arbitro fischia ed il guardalinee alza la bandierina. Il pallone viene rinviato ed il Giappone, guidato da Ross, che parte dalla difesa, avanza verso l’area avversaria; con passaggi millimetrici il pallone giunge in attacco ai piedi di Lenders, che carica il suo potentissimo Tiro della Tigre ed insacca la rete – facendo sbuffare Dario, che è riuscito a prendere il tiro ma non a fermarlo. I tifosi asiatici sugli spalti si scatenano in una rumorosa olà ed anche la nazionale tedesca esulta. La partita riprende col rinvio italiano, Gentile, affiancato dai suoi compagni si spinge di nuovo in attacco, ma la marcatura ad uomo del Giappone non lascia molti spazi.

Con grande sforzo il capitano italiano riesce a giungere in aria di rigore, incrociando lo sguardo di Ross e di Callaghan, che gli va prontamente addosso. «Vuoi che te la spezzi quella caviglia?» lo beffa. «Non ci riuscirai mai.» risponde Philip, dando inizio ad un nuovo tackle, nel quale ancora una volta ha la meglio l’italiano – che con una serie finte riesce a saltarlo e tirare al volo – beffando anche Ross e la sua tattica del fuorigioco, perché Bruce, impegnato a guardare chissà chi o chissà cosa, è scattato in ritardo; Benji si tuffa e sfiora il pallone con la punta delle dita, si puntella per terra col polso destro, ma non riesce a fermarlo nemmeno con la mano sinistra – l’Italia al 40’ del primo tempo pareggia.

Benji raccoglie il cappellino finito a terra e se lo risistema in testa, rinviando il pallone con un calcio che va oltre la metà campo, raggiungendo i piedi di Holly cha affiancato da Tom, scatta in avanti ed il Giappone riparte in contropiede, Becker salta un difensore e passa il pallone al capitano, il quale carica il destro – ma il pallone finisce tra le mani di Dario Belli – che sorride beffardo a Benji e rinvia ai suoi, dando inizio ad una nuova azione guidata da Gentile, che di gran carriera supera la difesa – con i compagni a seguito – che marcano ad uomo il calciatori giapponesi, Philip incrocia lo sguardo dell’avversario, cercando uno spiraglio per muoversi, ma i due che lo marcano non gli lasciano via di fuga, si volta verso Julian che ne ha anche lui due addosso e lo guarda sconsolato alzando le spalle – in questo modo non può dare il segnale alla difesa di scattare e la trappola del fuorigioco è neutralizzata.

Salvatore Gentile ghigna ancora e, libero da marcature, carica il destro; Benji non si lascia intimorire, chiude gli occhi e si concentra, afferrando il pallone e salvando ancora una volta la sua porta, mantenendo fermo il risultato in parità – non ha nessuna intenzione di perdere contro di loro – guarda l’attaccante con aria di sfida e rimette in gioco il pallone nello stesso momento in cui l’arbitro fischia la fine del primo tempo. «Fantastico, Benji, sei sempre il migliore. Ti adoro!» urla in quel preciso istante una voce femminile, che si eleva sopra le altre, mentre una ragazza dai lunghi capelli corvini e gli occhi castani si sbraccia per farsi notare dal portiere, che alza lo sguardo e contemporaneamente un sopracciglio. “Che cazzo vuole quell’esaltata? Ci manca solo che mi salti addosso in un momento di follia e poi posso ritenermi un uomo morto.” pensa, mentre con i compagni raggiunge la panchina. «Chi è questa maledetta gallina che osa così tanto col mio ragazzo? Io l’ammazzo, la faccio pentire di essere nata e di esser venuta a vedere la partita.» ringhia Fanny, stringendo fortissimo i pugni, guardando con occhi fiammeggianti il suo ragazzo che si avvicina, andandogli contro pronta ad avere spiegazioni.

«Ross un’altra parola e ti spedisco direttamente in albergo.» la redarguisce Marshall, afferrandole il braccio non permettendole di avanzare  verso il suo pupillo che la guarda e sospira. «Ma io voglio sapere chi è quella e come si permette. Benji è il mio ragazzo e nessuno può elogiarlo così in mia presenza.» protesta ancora la ragazza, dimenandosi dalla stretta che il mister esercita sul suo polso sinistro. «Non farai nulla del genere, signorina. Benji è il tuo ragazzo, e questo lo sappiamo tutti benissimo, ma lo conosco e so benissimo che non gli importa di nessun’altra quando ama una ragazza e fidati, che non ha mai amato nessuna come te.» continua Marshall, mentre Benji si avvicina alla fidanzata e le bacia le labbra.

Fanny non ricambia, ma nemmeno rifiuta, lo guarda e basta. «Tutti nello spogliatoio.» ordina Freddy, mentre la squadra e le managers attraversano il tunnel per ritirarsi. «Mister posso andare a salutare Karl sugli spalti?» chiede timidamente Grace, incrociando per un solo istante lo sguardo del suo miglior amico che discute sottovoce con la fidanzata. «Sì, Grace, va pure ma torna in tempo per il secondo tempo.» le concede Freddy, entrando nello spogliatoio con tutti gli altri. «Allora? Chi è quella cretina? Come osa dire che sei fantastico e perché ti adora?» urla Fanny, chiudendosi la porta dello spogliatoio dietro con un tonfo sordo –  che fa sbuffare Freddy –  guardando il fidanzato livida di rabbia.

Freddy Marshall sospira, guarda il suo pupillo dispiaciuto, poi volge la sua attenzione alla squadra, alla quale inizia a parlare. «Non ne ho idea, Fanny. Cosa vuoi che me ne freghi di una che mi urla contro di esser fantastico e di adorarmi quando non so nemmeno chi sia?» le risponde il portiere, cercando di farla ragionare, tenendola stretta tra le sua braccia. «Sei sicuro di non sapere chi sia o cosa voglia da te? Perché se vengo a sapere che la conosci e che tra voi c’è qualcosa… io giuro che ti ammazzo, sì, perché prima ammazzo lei e poi te, Benjiamin Cedric Price.» continua ancora la manager infervorata. «Abbassa la voce!» la ammonisce Benji sbuffando. «Te lo giuro, non so chi sia e non me ne frega un accidente, sei tu l’unica ragazza che amo e con cui voglio stare.» aggiunge stringendola più forte e baciandola con trasporto.

Fanny gli pizzica il fianco e contemporaneamente gli morde le labbra, in fine risponde al bacio, facendo sorridere Marshall che spera che la ragazza abbia calmato i bollenti spiriti, mentre calciatori e managers si scatenano in un applauso divertito. «Ti tengo d’occhio.» lo avverte Fanny dopo il bacio, puntandogli contro l’indice, Benji annuisce e scuote la testa con un sorriso. «Cedric? Che carino, penso che da oggi ti chiamerò così, Price.» dice in quel momento Mark, provocando il rivale, facendo calare un silenzio agghiacciante all’interno dello spogliatoio. «Lenders prova a chiamarmi così e giuro che ti faccio cadere tutti i denti ancor prima che tu riesca ad aprir bocca.» ringhia il portiere alzando il pugno destro. «Non ci pensare nemmeno, signorino.» lo riprende il mister, stringendogli il pugno. «Forza, torniamo in campo.»

Grace già in panchina, sorride al mister ed ai compagni, bacia ancora una volta le labbra del Kaiser – che saluta gli amici velocemente e torna sugli spalti – mentre la ragazza prende posto accanto alle compagne ed i ragazzi rientrano in campo. «Avete chiarito?» sussurra all’orecchio di Fanny, che alza le spalle. «Dice che non sa chi sia e che non gli importa nulla.» risponde, guardando il fidanzato mentre si piazza davanti la porta. Amy e Patty si lanciano uno sguardo e ridacchiano: tutto ciò riporta loro alla mente un analogo episodio, dove per poco la manager della New Team non rompeva la bandiera in testa alla manager della Mambo; ora a distanza di anni, con ognuna fidanzata col proprio calciatore, non possono che ridere a quell’incomprensione – per fortuna finita bene.

La partita riprende col calcio d’inizio dell’Italia, che subito si spinge in avanti decisa a segnare e vincere, ma dall’altra parte del campo gli avversari sono egualmente decisi a vincere. «Non vi permetteremo di segnare!» li avverte Philip, mentre tutta la nipponica difesa si muove per contrastare l’avanzata italiana, un attaccante riesce a smarcarsi da Bruce e passa Salvatore, che aggancia palla e si prepara al tiro, guardando fisso negli occhi il portiere di fronte a sé; un solo cenno della mano destra di Ross e la difesa scatta indietro, mentre Gentile, concentrato sul portiere tira e segna esultando immediatamente – ma la sua gioia viene smontata un secondo dopo dal fischio dell’arbitro e dalla bandierina alzata del guardalinee.

Dopo il rinvio di Benji, che volta lo sguardo verso la panchina, sorridendo alla fidanzata, tutto il Giappone parte in contropiede. «Questa volta segneremo!» esclama Holly, portando avanti l’azione con tutta la squadra dietro, tutti e dieci determinati a segnare. Un difensore si para dinnanzi al capitano, che gira su se stesso, trovandosi davanti ancora un altro avversario, vedendosi dunque costretto a passare il pallone a Tom al suo fianco; anche il numero undici non ha molta libertà d’agire, blocca il pallone guarda i compagni cercando uno spiraglio per passare. «Tom passa qui!» gli fa cenno Patrick libero da marcature, Becker passa e sorride ai due avversari soddisfatto.

«Fermate il numero diciotto!» urla Dario ai suoi compagni, che si precipitano addosso ad Everett, che con una serie di finte – grazie alla sua velocità e resistenza – supera agilmente gli avversari e carica il tiro del Falco, che potente, supera un avversario e si insacca nella porta italiana, lasciando Belli con un pugno di mosche e uno sguardo furente; recupera il pallone con rabbia e lo scaglia con potenza verso l’aria di Price, mentre Gentile lo recupera per un soffio e la difesa giapponese risale a grandissima velocità. «Non ci sperare.» lo avverte Philip, parandosi di fronte a lui, iniziando a dribblare, mentre i compagni raggiungono l’aria ed il tackle tra i due continua, elogiati dai tifosi di entrambi le fazioni.

Julian è l’ultimo a raggiungere l’aria di rigore, il respiro affannato per la corsa folle e resta fermo osservando la disputa tra i due, mentre gli altri vanno a dar man forte a Callaghan, che riesce a rubare palla a Gentile e passa a Diamond, che subito verticalizza l’azione e fa partire il contropiede, affiancato da Mason e Carter. «Julian tutto bene?» chiede Benji, accorgendosi del malessere del compagno. «Sì, Benji, sono solo un po’ stanco, ma sto bene. Mi fermo un attimo e passa.» risponde Ross, avvicinandosi alla porta e poggiandosi al palo, osservando i compagni avanzare.

Al centro campo i tre vengono braccati dagli italiani, ma di certo non si lasciano intimorire, con una serie di passaggi riescono a liberarsi ed a mantenere il possesso, il pallone giunge ai piedi di Hutton, che davanti a Belli – libero da ogni marcatura – carica il destro e tira, ma per sua sfortuna il pallone viene bloccato dal portiere italiano, che sghignazza soddisfatto e rinvia la sfera ai suoi e l’azione ricomincia: l’Italia capitanata da Gentile, si spinge nuovamente minacciosa in aria di rigore, mentre il Giappone li marca e cerca di riprendere il possesso – Salvatore questa volta riesce a liberarsi di Philip e di tutti gli avversari, che guardano smarriti Julian, ancora poggiato al palo – questa volta il segnale non arriva e la difesa non indietreggia.

Il capitano italiano tira e Benji salva ancora la sua porta. «Uno ti è già bastato, non ne farai altri.» gli dice rinviando il pallone ai compagni, mentre dagli spalti il pubblico si esalta e di nuovo quella voce femminile elogia il portiere, facendo pulsare una vena sulla tempia di Fanny, che se la becca l’ammazza, incluso il fidanzato.  La nazionale giapponese si spinge di nuovo in attacco, mentre Ross rimane ancora poggiato al palo con la mano destra sul petto, seguendo i compagni a distanza. Lo scambio tra Holly e Tom è sempre motivo di grande entusiasmo per i tifosi, ma lo specchio della porta è chiuso e nessuno dei due ha occasione di tirare, mentre Mark e Patrick sono marcati stretti da due avversari ciascuno, ma dalle retrovie  sopraggiunge un qualcuno che richiede palla e tira di gran carriera un tiro potentissimo, che sfugge dalle mani di Belli e Philip Callaghan all’85’ è l’autore del terzo goal giapponese con il suo formidabile Eagle Shot.  

La rimessa dell’estremo difensore italiano rimette in gioco le due squadre, con l’Italia che si spinge ancora una volta in avanti e Callaghan che ostacola ancora in tutti i modi Gentile, questa volta è il ragazzo di Hokkaido ad avere la meglio, ma è costretto a passare indietro ed è Bruce ad intercettare il pallone che stoppa di petto e passa a Paul, ma il suo passaggio è poco preciso ed un italiano lo intercetta; Julian scatta dalla porta e si fa incontro all’avversario con il pallone, marcandolo personalmente, mentre Philip sta ancora incollato a Salvatore, Ross dà dimostrazione della sua immensa classe e sembra danzare sul campo di calcio – guarda il cronometro e sorride – e spinge l’avversario al limite dell’aria di rigore, continuando a marcarlo, mentre guarda i compagni ed alza la mano destra, la difesa abbandona l’area ed il cretino – cascato in pieno nella trappola – tira e segna, ma il fischio dell’arbitro lo fa sbuffare e la partita riprende con la rimessa di Benji.

Julian Ross ritrovata la grinta e la forza, stoppa il pallone e corre verso l’aria con accanto Philip, i due amici sembrano volare sul campo, ogni passaggio è poesia e nessuno degli avversari riesce a toglier palla, i due arrivano in attacco e Julian tira elegantemente, purtroppo però il tiro viene bloccato da Belli e seguito dal triplice fischio dell’arbitro: il Giappone vince 3-1 contro l’Italia, guadagnandosi l’accesso in finale, attendendo di conoscere la propria avversaria tra Germania e Belgio.

La nazionale del Sol Levante raggiunge la panchina esultando e saltando, così come i tifosi sugli spalti e gli italiani si infilano negli spogliatoi lividi di rabbia. «Sei ancora arrabbiata?» sussurra Benji all’orecchio della fidanzata, stringendole la vita. «Ovviamente!» risponde lei staccandosi dalla stretta. «Non ti parlerò finché non saprò chi è questa cretina e sapere cosa vuole da te.» risponde acidamente, lasciandolo indietro ed infilandosi nello spogliatoio. «Che palle! Io nemmeno ho idea di chi sia questa tipa…» sbuffa il portiere, facendo sospirare Julian. «Lo sai com’è Fanny, no? Ma ti prego, non litigare con lei, chiunque sia questa ragazza.»

Ridendo e scherzando i calciatori si infilano sotto le docce, mentre le ragazze li aspettano parlando nello spogliatoio e Freddy è fuori con Thomas e Kirk. La porta dello spogliatoio nipponico viene spalancata di colpo, costringendo le ragazze a fermare le loro risate. «Amore!» sorride felice Grace, trovandosi davanti il fidanzato e Kaltz, si alza e gli corre tra le braccia baciandolo con dolcezza – facendo sorridere Jenny – Schneider la stringe tra le sue braccia e ricambia. «Benji è ancora sotto la doccia? C’è una ragazza fuori dallo stadio che chiede di lui.» dice dopo il bacio, guardando la sua miglior amica cambiare espressione e la fidanzata impallidire. «Vuole morire? Bene, la raggiungerò subito e le risparmio l’inutile attesa, quanto a tuo compare digli che appena torno fa bene a non farsi trovare.» ringhia Fanny, correndo verso la porta, dando involontariamente una spallata al Kaiser che sbuffa e la blocca.

«Fanny finiscila di fare la cretina, già mi è bastato ieri venir alle mani con quei deficienti degli italiani e non penso sia il caso che adesso tu faccia lo stesso.» le dice guardandola negli occhi e sorridendo. «Karl fatti cazzi tuoi e lasciami andare da quella, o ce ne saranno anche per te.» gli urla addosso la ragazza con tutta la sua collera. «Bene, allora dovrai passare prima su di me.» le risponde intenzionato a non lasciarla scappare, tenendola stretta tra le braccia. «Amore… hai idea di chi sia questa ragazza? La conosci?» chiede Grace, guardando l’amica dimenarsi con tutte le sue forze, che pesta anche un piede all’amico. «No, non l’ho nemmeno vista. Ha parlato con Deuter, è stato lui a dirmi di venire a chiamare Benji.» risponde Karl, pizzicando il fianco all’amica irrequieta.

Mano a mano i calciatori riemergono dalle docce puliti e vestiti e Benji sospira – capendo all’istante il perché Karl stringe Fanny. «Ancora con questa storia? Non mi pare di esser corso da lei a far chissà cosa.» dice guardando male la fidanzata, salutando poi gli amici. «Gran bella partita, amico.» sorride Hermann, facendo annuire Karl e sorridere Benji. «Ora vi aspetto in finale.» dice guardando ancora la fidanzata. «Ci saremo.» risponde Kaltz con un sorriso. «Adesso però credo sia meglio capire chi è questa ragazza, o io non arriverò alla finale.» ironizza Schneider, beccandosi un altro pestone ed una gomitata allo stomaco da Fanny. «Aih! Sei terribile! Non oso immaginare se non fossi stato il tuo miglior amico…» sbuffa lasciandola e tenendosi lo stomaco. «La tipa ti aspetta fuori dalla stadio.» dice poi all’amico.

Benji guarda male la fidanzata ed annuisce. «Venite anche voi!» dice ai due, tirando Fanny per il braccio. «Lasciami, cretino, so camminare da sola.» lo provoca la ragazza, strattonandosi e dandogli un calcio alla gamba; il portiere sbuffa e corre fuori dallo stadio, trovandosi di fronte una bella ragazza: i lunghi capelli corvini mossi dalla brezza, gli occhi castani che scintillano alla luce artificiale dei fari dello stadio ed un bel sorriso sulle labbra tinte di rosso – Benji non ha la più pallida idea di chi sia – ma ha un che di familiare. «Io li ammazzo, parola mia che li ammazzo!» urla Fanny, correndo dietro al fidanzato con uno scatto degno di un velocista, costringendo Kaltz e Schneider a correrle dietro; proprio in quel momento la ragazza misteriosa si butta letteralmente tra le braccia di un confuso Benji, che puntella i piedi e la stringe per non cadere entrambi.

«Come osa questa stronza?» ringhia Fanny tra i denti, mentre i due ragazzi la bloccano in contemporanea ed osservano la scena. «Stai buona, maledizione. Benji ha occhi solo per te, non gli frega nulla delle fans e vedrai che avuto l’autografo lo lascerà in pace.» le dice Karl, tentando invano di farla ragionare. Non ha mai visto questa ragazza, quindi sicuramente non è una delle tante, ma solo una fan svitata.  «Sei stato bravissimo, Benji, fenomenale come sempre.» cinguetta allegramente la ragazza, dandogli un bacio in guancia, che suscita maggiormente le ire di Fanny – costringendo Hermann e Karl a tenerla più stretta. «Ehm… grazie.» risponde  Benji, allontanandola e guardandola. «Scusa, meglio evitare queste manifestazioni d’affetto, quella ragazza che fa fumo dalle orecchie è la mia fidanzata ed è un tantino gelosa, vorrei evitare casini…» dice, aspettandosi che la ragazza tiri fuori carta e penna per avere l’autografo – ma invece scoppia a ridere.

«Che c’è?» le chiede Benji ancora più confuso, sentendo Fanny bofonchiare i peggiori insulti. «Sul serio, Benji? Pensi che io abbia preso un aereo da Londra per avere un tuo autografo?» continua la ragazza ridendo ancora. «Sono Karen, scemo. Tua cugina.» dice smettendo di ridere, Benji la fissa un attimo, mentre nella sua mente si riaffaccia il viso di una bambina con dei capelli neri a caschetto, che giocava con lui da piccolo. «Karen!» sorride stringendola forte. «Che bello, non ci vediamo da anni, non ti avevo riconosciuta… sei cambiata.» sorride ancora baciandole la guancia; in quel preciso istante Fanny si libera dei ragazzi e raggiunge il fidanzato e quella in due falcate. «Pensi di fare il mollusco ancora per molto? Bene, fa come ti pare, io me ne torno in Giappone, stronzo.» urla Fanny, facendolo voltare e mollandogli uno schiaffo in piena guancia.

Karen si morde le labbra, notando il cugino guardare la fidanzata con occhi feriti. «Fanny…» sussurra Benji chinando lo sguardo e la visiera del cappellino. «Scusa, mi dispiace, non volevo creare trambusti.» inizia la ragazza dai capelli di ebano, guardando Fanny – che le lancia uno sguardo omicida e non calcola il fidanzato. «Non sapevo che Benji avesse trovato finalmente la ragazza giusta e sono felice… hai un bel caratterino e sei perfetta per lui, ma io non ho nessun intenzione di mettermi tra voi, anche volendo non potrei. Mio padre e sua madre sono fratello e sorella, quindi noi siamo cugini.» le dice Karen.

«Cu…cugini?» chiede Fanny sbarrando gli occhi e guardando Benji per aver conferma. «Già, Karen è mia cugina. Vive a Londra e non ci vediamo da anni.» risponde lui, sorridendo alla cugina e guardando la fidanzata negli occhi. «Che cretina che sono… scusa, amore, mi dispiace tantissimo. Sono sempre la solita che prende di petto le situazioni e reagisco sempre nel peggiore dei modi.» mormora Fanny profondamente dispiaciuta – dandosi da sola della cretina – stringendosi al petto del fidanzato, gli bacia la guancia colpita ed inizia a piangere sul suo petto. «Va tutto bene, mia dolce Fuffy. È anche un po’ colpa mia, se l’avessi riconosciuta ti avrei detto che non avesti avuto motivo di preoccuparti.» risponde dolcemente Benji, stringendola forte a sé e baciandole i capelli, mentre Karl ed Hermann si avvicinano per presentarsi.

Fanny alza gli occhi verdi – ora velati di lacrime – e guarda il suo uomo. «Ti amo, Benji, ed ammetto di aver paura di perderti ogni giorno… non perché non ho fiducia in te, ma mi spaventa il tuo esser famoso.» sussurra specchiandosi nei suoi occhi facendolo sorride. «Non devi aver paura di questo, sciocchina, fossero stati altri tempi avresti dovuto, ma non ora, non più. Fanny tu sei la mia vita, ti amo esattamente come sei e non voglio nessun’altra ragazza al mio fianco se non te.» risponde asciugandole le lacrime e baciandola con dolcezza ed amore.

Karl ed Hermann ridono e fischiano, proprio in quel momento tutta la squadra esce dalla stadio per raggiungere il pullman e tornare in albergo e Fanny si stacca dal fidanzato, avvicinandosi alla ragazza. «Scusami, sono una scema. Comunque è un piacere conoscerti, io sono Fanny.» dice porgendo la mano all’altra, che sorride e la stringe. «Piacere mio e non preoccuparti.» sorride Karen stringendola. «Ragazzi è ora di tornare.» si intromette Freddy, notando la ragazza, rendendosi conto che tutto si è sistemato per il meglio – riconoscendola e salutandola. «Karen noi dobbiamo tornare in albergo a Mosca, ma mi piacerebbe rivederci.» le dice Benji, prendendo per mano la fidanzata.

«Benji muoviti o ti lascio qui.» lo riprende Freddy, dal pullman. «Vai, o lo fa davvero.» ride la cugina sorridendo al mister, ricordando quanto fosse severo quell’uomo anche quando erano piccoli, ma ricordando anche quanto bene voleva al suo pupillo. «Sì, andate, ragazzi. Karen potrà venire con noi in auto, tanto dobbiamo tornare a Mosca con voi.» sorride Hermann. «Quale auto? Guarda che anche noi siamo col pullman sociale.» gli ricorda il Kaiser ridendo, facendo ridere anche Benji e Fanny ed anche Karen. «Non preoccupatevi non voglio disturbare.» dice la ragazza, mentre Thomas Schneider fa capolino per richiamare i suoi. «Aspetta un attimo, Karen. Benji tu vai, me la sbrigo io.» dice correndo dal padre e spiegandogli la situazione.

Il portiere annuisce, saluta la cugina e raggiunge il pullman dove tutta la squadre li attende. Karen sorride e bacia la guancia di entrambi, sorridendo poi a Kaltz col quale è rimasta ad aspettare il Kaiser. «Voi siete gli amici tedeschi di Benji?» chiede. «Sì, siamo i suoi migliori amici, nonostante le nazionalità diverse Benji per noi è come un fratello.» risponde Hermann con un sorriso, mentre Karl e suo padre ritornano. «Piacere, io sono Thomas Schneider, l’allenatore in seconda della nazionale ed allenatore dell’Amburgo.» sorride porgendo la mano alla ragazza, che sorride e si presenta. «Vieni in albergo con noi, non c’è alcun problema.» continua Thomas avviandosi verso il pullman. «Grazie.» sorride Karen seguendoli e salutando il cugino e Fanny sul pullman appena partito.

 

***

Angolo dell’Autrice: ed anche la prima semifinale è andata, la seconda non la descriverò nel dettaglio, ma si vedrà velocemente al prossimo capito, per poi passare alla finale. xD Ovviamente, come da titolo, la sfida tra i ragazzi – dopo quello che hanno fatto gli italiani a Fanny e Grace – continua anche in campo e la vincono ancora i nostri… in questo capitolo appare Karen, che mi è stata suggerita da Mae Wakabayashi per allungare un po’ il capitolo e mettere un po’ di pepe; lei è cugina di Benji da parte di sua madre che è sorella di suo padre, per questo non era presente alla festa di nonno Price. xD Non so se continuerò ad usarla. Che altro dire? Seppur in ritardo, auguro a tutti quanti voi un felice anno nuovo e… ormai anche questa storia è agli sgoccioli, oltre a questo mancano ancora due capitoli, ma ho già in mente un prequel ed un sequel, che spero di iniziare al più preso.  Qui vi lascio la scheda di Eva e Qui quella di Derek, intanto e spero di fare quella degli altri OC entro i prossimi due capitoli, altrimenti dovrete aspettare le prossime storie. xD nella scheda troverete un episodio accaduto tra Eva ed il Kaiser, che svilupperò nel prequel, ma che ho accennato durante la parte dell’ospedale – tanto che alcune di voi mi hanno chiesto se fossero ex rimasti in buoni rapporti. xD Adesso è veramente tutto, grazie sempre infinitamente a tutti quanti ed alla prossima. Un bacione ed ancora buon anno nuovo. Amy

 

 


[1] Cugino acquisito perché Benji sta con Fanny. xD

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Capitolo 26
*** We are the Champions! ***


Capitolo 26: We Are The Champions!

 

La seconda semifinale si svolge tra Germania-Belgio, senza particolari attriti tra le due formazioni, i tedeschi battono gli avversari 4-2 con una doppietta del Kaiser, una rete di Kaltz e una di Schester; la squadra belga è comunque soddisfatta del loro risultato, soddisfatta di esser arrivata in semifinale con tre grandi nazionali e ora è determinata al massimo a far bene con la nazionale italiana per la finale di terzo e quarto posto, anche se dovesse vincere la squadra di Gentile, per loro sarà comunque una grande vittoria, visto che mai sono arrivati tanto lontani a una competizione globale.

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Mosca: domenica 15 luglio, 2018 Lužniki Stadium, h. 17:00

Il grande giorno è finalmente arrivato, lo Stadio Lužniki di Mosca, è gremito di tifosi tedeschi e nipponici, ma anche tifosi di  altre nazioni sono presenti per vedere la finale; tra i tanti tifosi tedeschi, vi è anche un bambino, che è emozionato quanto il suo idolo che tra poco scenderà in campo. Il piccolo Jamie, ritornato anche lui a correre sui campi da calcio, dopo aver sconfitto la leucemia, è diventato amico del Kaiser e si sono allenati  insieme qualche volta durante le pause tra una partita e l’altra – il piccolo ha davvero talento e Karl vuole coltivarlo. Super felice urla il nome del più grande, con indosso la maglia che il giovane campione tedesco gli autografò e regalò il giorno del loro primo incontro, quel giorno in ospedale; è volato in Russia con mamma, papà e il fratello maggiore Klaus e di questo deve ringraziare ancora il Kaiser, è stato un altro dei suoi regali, oltre quelli fatti la prima volta, gli ha anche regalato biglietti e soggiorno per lui e la sua famiglia. 

Anche la famiglia Schneider al gran completo è in tribuna in fibrillazione – persino nonna Angelika – che non è proprio amante dello sport che ha reso famosi tre degli uomini della sua vita, non vede l’ora di vedere il suo adorato nipotino giocare e divertirsi, magari anche vincitore. Thomas, in panchina al fianco di Löw, attende di vedere il suo campione, con la fierezza e l’orgoglio che lo contraddistinguono, il suo ragazzo ha passato davvero dei brutti momenti, ma non si è mai arreso, ha lottato con tutte le sue forze e ha vinto la partita più importante della sua vita e ora è sicuro che ce la metterà tutta anche per vincere il Campionato del Mondo.

Beatrix ha quasi le lacrime agli occhi, i brutti ricordi del suo bambino in ospedale ancora vividi, ma sorride, il suo ometto coraggioso ce l’ha fatta – e ora sarà sicuramente più forte di prima – anche in ospedale non faceva altro che pensare al calcio, a questo Mondiale, e lei è immensamente felice di saperlo guarito. Marie Käte, che stravede per suo fratello, è la ragazzina più felice dell’universo. Non si sognerebbe mai di giocare a calcio a livello agonistico, lei vuole diventare Étoile dell’Opéra de Paris, ma le piace anche questo sport, non si perde un Mondiale, soprattutto non si perde una partita del suo fratellone.

Joseph, seduto accanto  alla moglie, sorride; ricorda la finale di quattro anni prima, la finale del suo secondogenito, il suo Bernd giocò una partita memorabile e lo rese il padre più orgoglioso del mondo. Il suo campione. Anche se adesso il figlio è volato in cielo, il padre lo sente sempre al suo fianco, e in questo momento lo immagina accanto al nipote – con il quale aveva un legame profondo e fraterno – una passione in comune; è sicuro che suo figlio è lì a guardare il suo nipotino adorato insieme a tutti loro: tutta la famiglia Schneider al gran completo, non manca proprio nessuno.

 Marika accanto alla nipotina sorride osservando lo stadio gremito, la finale di un Mondiale suscita sempre una grande emozione; inevitabilmente la sua mente ripercorre prepotentemente la finale di Rio de Janeiro: la finale che vinse il suo amato Bernd, quel lungo bacio a bordo campo – poco prima di sollevare la coppa – la proposta di matrimonio alla festa post vittoria, il lungo applauso dei compagni di squadra, mentre  il suo uomo la guardava con quei meravigliosi occhi azzurri brillanti come stelle: non c’è stato bisogno di parole in quel momento, lo sguardo della ragazza diceva tutto, l’emozione davanti a quell’anello era stata troppa, che tacitamente – con un bacio – aveva risposto mille volte al suo uomo di volerlo sposare, e lui, specchiandosi negli occhi della fidanzata, aveva annunciato una data approssimativa.

Adesso, quattro anni dopo da quel meraviglioso e fiabesco periodo, molte cose sono cambiate: quel matrimonio tanto sognato non è mai avvenuto, il destino ha crudelmente deciso per loro, strappando prematuramente Bernd alla vita – strappandole il suo uomo dalla braccia – brutalmente. 

“Mi dispiace, amore mio, non avrei voluto finisse così… volevo renderti la donna più felice del mondo, la donna della mia vita, la madre dei mie figli e amarti ogni giorno fino alla vecchiaia. Perdonami, Marika… sono stanco di lottare, non ne ho più le forze questa bestia nera me le sta strappando via inesorabilmente, ma di una cosa sono certo: continuerò ad amarti anche quando non sarò più al tuo fianco, sei tu il dono più prezioso che la vita mi abbia fatto. Ti amerò sempre immensamente, mio meraviglioso amore.” 

Sorride, ricordando queste parole – marchiate a fuoco nel suo cervello e nel suo cuore – mentre inevitabilmente gli occhi le si riempiono di lacrime, che prontamente asciuga e sorride ancora, l’amore per Bernd non cesserà mai come mai smetterà di voler bene alla famiglia Schneider; i cori dei tifosi tedeschi la riportano alla realtà e un nuovo sorriso le si stampa in volto: questo stadio di Mosca è il palcoscenico di nuove emozioni che vedranno protagonista il suo adorato nipote

***

Nello spogliatoio tedesco l’adrenalina è alle stelle, Karl è emozionato come mai in vita sua e dal suo sguardo di ghiaccio traspare tutta la sua tenacia e determinazione. Il mister dà le ultime raccomandazioni ai suoi ragazzi, guardando con orgoglio il suo numero 11, il perno della squadra – il Kaiser. Karl ricambia il sorriso dell’allenatore e guarda i compagni ai quali sorride. «Vinceremo! Niente e nessuno potrà fermarci.» afferma, prendendo dal suo borsone una scatola di scarpe, la apre e indossa gli scarpini, quelli che furono di suo zio, gli stessi che egli indossò per poco tempo prima di morire, quelli che inaugurò alla finale mondiale del 2014, gli stessi che suo nonno gli regalò in ospedale e che lui indosserà con orgoglio ed onore – un modo per avere anche l’amato zio vicino – guarda suo padre che lo osserva, sorride e apre la scotola; Thomas osserva le scarpe e gli si avvicina. «Sono fiero di te, campione.» gli sussurra all’orecchio, sedendosi al suo fianco e sfiorando con la punta delle dita uno degli scarpini del fratello.

Un  paio di Puma, rosse e nere, con lo stemma in bianco, che riprendono i colori sociali della squadra dello zio – sempre in bianco e stilizzata – la scritta: “Bernd Schneider” capeggia sulla parte sinistra del tallone, bianco su nero, così come sulla punta – bianco su rosso – “Bayer Leverkusen” la squadra nella quale il giovane Bernd è cresciuto calcisticamente, affermandosi anche a livello mondiale, diventando campione nel 2014 in Brasile – Leverkusen – la città natale della famiglia Schneider, che vanta ben tre campioni di calcio tra le sue file: Thomas Schneider, adesso allenatore dell’Amburgo F.C.; Bernd Schneider – il fratello minore – bandiera della squadra della loro città e della nazionale e il giovane Karl Heinz Schneider – il Kaiser – campioncino esordiente e già famoso in tutta Europa.

Dopo l’ingresso in campo e gli inni nazionali, la consueta stretta di mano tra i due capitani, e una folla esaltata di tifosi che esulta e sprona la propria squadra a dare il massimo, la partita tanto attesa ha finalmente inizio. Schneider manda una bacio alla fidanzata, seduta in panchina, accanto a Marshall e alle altre managers giapponesi – la quale sorride e ricambia – e dà il calcio d’inizio, passando subito la palla a Kaltz, che immediatamente verticalizza l’azione spingendosi nell’area di rigore giapponese – dove Benji l’atro suo migliore amico – regna sovrano tra i pali.

Tutta la formazione tedesca si spinge in attacco, guidata dal suo Kaiser, che con abilità scarta ogni avversario gli si pari davanti. Questa è la sua partita, il suo Mondiale, non permetterà a nessuno di soffiargli la vittoria – nemmeno se dall’altro lato c’è il suo migliore amico – no, non sarà felice nel caso in cui dovesse vincere Price, perché questa vittoria per lui, vale molto più che di una semplice coppa – di un titolo – vale una promessa fatta a suo zio, del quale indossa con onore gli scarpini; una promessa fatta a se stesso e ai suoi cari e amici, quando era malato, una promessa fatta anche a Erik, che non è riuscito a vincere la malattia e a realizzare il suo sogno di andare in Australia col nuovo amico; una promessa fatta anche a Benji – il quale sarà contento se sarà lui a vincere, nonostante tutto, perché anche la felicità di un amico è già di per sé una grande vittoria – questo lo sa bene il portiere giapponese – che ha vissuto al fianco dell’amico tedesco il calvario della sua malattia.

La prima azione goal della partita viene però sventata dalla maestria di Julian Ross, che orchestrando la difesa, fa cadere gli attaccanti tedeschi nella sua infallibile tattica del fuorigioco. Karl gli sorride e scuote la testa, un sorriso sincero e amichevole, ma anche determinato e di sfida – incitamento a dare il massimo e divertirsi – dunque la nipponica difesa, conquistato il pallone, parte in contropiede costringendo la formazione tedesca a rientrare nella propria metà campo e difendere il proprio specchio, dove Deuter Müller osserva e attende.

Mark Lenders riesce però a superare la difesa tedesca, e solo davanti al portiere, scaglia il suo potente Tiro delle Tigre, ma per sua sfortuna viene bloccato dall’estremo difensore della Germania, il quale rinvia il pallone che viene intercettato da Schneider. L’azione tedesca ricomincia, con tutti gli attaccanti in avanti, capeggiati dal Kaiser, che scarta tutti quanti e infine allarga sulla fascia per neutralizzare la tattica di Ross – che anche se battuto – sorride al tedesco, sa benissimo che momenti orribili ha passato l’amico, e vederlo così determinato è straordinario, memore anch’egli del suo periodo di pausa forzata. 

Kaltz sulla fascia, ripassa il pallone al centro, tra i piedi del suo migliore amico, che è solo davanti all’altro compagno di vita giapponese, Benji gli sorride – un sorriso fiero e pieno di stima e orgoglio – per quell’amico rinato e attende il tiro, pronto e determinato a non farlo entrare. Karl ricambia il suo sorriso, mentre i suoi occhi azzurri ardono come mai, carica il destro e il suo Fire Shot si insacca in porta, senza che Benji riesca a prenderlo, ma impercettibilmente sorride – anche se in svantaggio – questo è un goal importante anche per lui; rinvia dunque il pallone e la sfida tra difensori e attaccanti ricomincia.

Schneider, come consuetudine, dopo ogni rete, alza in alto il pugno destro e guarda il cielo col sorriso sulle labbra; sugli spalti i tifosi lo invocano, ripetendo e urlando a squarciagola: “Kaiser Karl!” sulla panchina giapponese, Grace e Fanny, esultano e si stringono – nonostante la loro squadra sia in svantaggio, nonostante il migliore amico delle prima e fidanzato della seconda abbia preso un goal – le managers dell’Amburgo esultano, la prima per il fidanzato e la seconda per il migliore amico. L’attacco nipponico, capitanato da Hutton, si spinge in avanti e riesce a guadagnare l’area di rigore, dove Lenders non ha nessuna intenzione di fallire ancora una volta; scaglia ancora il suo Tiro della Tigre e questa volta riesce a beffare Müller.

Ormai mancano solo una manciata di secondi alla fine dei tempi regolamentari, il risultato è fermo sul 3-3, il Kaiser si è confermato capocannoniere indiscusso, segnando addirittura una tripletta; per il Giappone invece, hanno segnato Lenders, Everett e Ross. I trenta minuti dei due tempi supplementari non servono a nulla, il risultato rimane invariato, ed entrambe le formazioni – seppur stanche – sono determinate a non arrendersi fino alla fischio finale. Schneider sembra instancabile, un leone, non si è risparmiato un attimo.

Dall’atra parte del campo, anche la formazione nipponica è decisa a vincere, nonostante i 120’ si facciano sentire non si arrenderanno facilmente; Benji guarda il tabellone e sospira sollevato, ormai manca poco – è inevitabile – la partita si deciderà ai calci di rigore; il polso destro gli fa male, evidentemente deve averlo sforzato troppo perché il Kaiser non si è certo limitato ai tre tiri nei quali ha segnato, lo ha tempestato senza farlo risparmiare. Non ce l’ha con lui per questo, è anzi felicissimo, di vederlo in gran forma e comunque andrà per il Giappone – per il portiere sarà un successo.

L’arbitro fischia anche la fine del secondo tempo supplementare, come ogni finale di Coppa del Mondo che si rispetti, si deciderà tutto ai rigori.  Il primo calcio piazzato viene battuto dai tedeschi, mentre Price si piazza tra i pali, Kay Boisler – suo compagno nell’Amburgo – si posiziona sul dischetto, dopo il fischio dell’arbitro il centrocampista tira e mette a segno il primo dei loro cinque calci piazzati.  È il turno di Müller tra i pali, il portiere enigmatico di Germania, non permetterà facilmente di far violare la sua porta, per quanto possa esser difficile parare un rigore ce la metterà tutta.

Sul dischetto per il Giappone si piazza Philip Callaghan, l’arbitro fischia, e l’Aquila del Nord insacca in rete il suo tiro, ancora una volta un pareggio. Jenny in panchina salta ed esulta, stringendosi con  Grace e Fanny, in fondo anche se adesso vivono in Germania, e a essa sono legate sentimentalmente, è pur sempre la loro nazionale ad aver segnato; Philip per la manager dell’Amburgo resta sempre un fratello; anche Amy e Patty esultano stringendosi con le compagne.

La tensione sugli spalti è altissima, i tifosi urlano cori ed elogiano i propri beniamini; così come in campo, i calciatori di ambedue le formazioni, sono tesi e non vedono l’ora di metter fine a questa partita emozionante. Price ritorna in porta, sistemandosi meglio i guanti e stringendo i denti quando tocca la mano destra – il polso gli fa un male cane – ma questo non lo fermerà di certo, continuerà a difendere la sua porta con le unghia e con i denti, come ha sempre fatto e come sempre farà. Sul dischetto è già posizionato Manfred Margars – il gigantesco centrocampista del Werder Brema – il quale dopo il fischio tira il suo missile, beffando il portiere titolare dell’Amburgo con un pallonetto, dopo aver finto un tiro all’angolo basso.

Un boato si eleva dalla panchina tedesca, così come in curva, mentre i ragazzi in campo non si scompongono, ma si complimentano comunque con il compagno di squadra – la partita è ancora aperta, può ancora accadere di tutto – adesso tocca alla Tigre mettere a segno un altro prezioso goal, portiere e attaccante in posizione, e Mark Lenders con il suo fortissimo tiro beffa ancora una volta il portiere tedesco, riportando la sua squadra in parità.

Benji ritorna tra i pali, dando il cambio a Müller, che momentaneamente torna dai compagni, ed è il turno di Hermann Kaltz – che posizionatosi sugli undici metri – guarda il suo migliore amico tra i pali e sorride, anche Price sorride, in nome della loro grande amicizia, ma entrambi sanno che l’altro ce la metterà tutta. L’arbitro fischia e il tedesco carica il destro, il portiere è in traiettoria, riesce a sfiorare il pallone con la mano destra, ma una fitta glielo fa sfuggire lasciando che esso entri all’angolino basso. Benji sbuffa e raccoglie il pallone, consegnandolo all’arbitro per il prossimo rigore, Kaltz raggiunge i compagni e il Kaiser lo stringe esultante.

Ritocca di nuovo alla formazione nipponica battere, questa volta sarà Tom Becker ad assumersi la responsabilità della sua squadra. Il ragazzo del Paris Saint Germain si piazza sul dischetto, e anche lui riesce a segnare. C’è poco da fare, questi giovani campioni hanno una grande determinazione, e nessuno di loro vuole perdere questa emozionante competizione; sarà una sfida all’ultimo rigore da parte di entrambe le rose. «Cazzo il polso mi fa malissimo.» sussurra Benji tra sé e sé, mentre si posiziona di nuovo tra i pali.

«Sembra gli faccia male…» sussurra Fanny all’orecchio di Grace al suo fianco, che annuisce con un sospiro. «Me ne sono accorta, poverino, spero non sia grave. In ogni caso, comunque vada, per noi sarà un successo.» risponde. Fanny annuisce e sorride, guardando il suo ragazzo tra i pali e il suo migliore amico sul cerchio di centro campo – che sorridente si incammina verso l’area di rigore, rivolgendo  alle due ragazze il suo sguardo fiero, sistema la sfera sul dischetto e incatena i suoi occhi di ghiaccio con quelli onice del suo migliore amico, Benji ricambia il sorriso e lo aspetta.

Il Kaiser sceglie di tirare di sinistro, siglando il suo quarto goal in questa partita, confermandosi il numero uno dei cannoniere di tutto il Mondiale, scatenato come non mai; alza in alto il pugno destro sorridendo e mandando un bacio a Grace e Fanny, che esultano e saltano come due sceme sulla panchina giapponese, il ragazzo ritorna da compagni che lo festeggiano. Benji, nonostante tutto, sorride felice e torna anche lui dai compagni, lasciando i pali all’altro portiere.

Julian Ross, sul dischetto, e Deuter Müller tra i pali; determinazione negli occhi di entrambi e il fischio dell’arbitro, il Principe del Calcio con il suo elegantissimo tocco di palla ha beffato ancora una volta il portiere tedesco. Amy in panchina sorride con le lacrime agli occhi e gli manda baci, felicissima e orgogliosa del suo uomo. Manca solo un rigore a testa, dei cinque regolamentari, se nessuna delle due formazioni sbaglierà si andrà avanti finché una non prevarrà sull’altra. «Che partita emozionante, signori, degna finale di Coppa del Mondo.» dice il cronista, mentre le tifoserie impazzano.

Benji riprende posto tra i pali e guarda i suoi compagni di squadra, la loro vittoria dipende dalle sue mani, se para questo rigore sono campioni – sperando che Holly segni il prossimo – se non para potrebbe vincere la Germania, il suo migliore amico. Franz Schester, centrocampista offensivo del Werder Brema, e ala della Nazionale, si posiziona sul dischetto e sigla l’ultimo rigore per la sua squadra; Benji sospira, ma sorride, nonostante tutto.

La tifoseria tedesca si scatena, ma trattiene poi il fiato all’ultimo rigore da battere del Giappone. Schneider stinge le spalle di Kaltz, guardando attentamente il capitano nipponico, pregando che sbagli. Müller si sistema nuovamente davanti lo specchio della porta, guarda i suoi compagni di squadra e annuisce sicuro, volgendo poi lo sguardo all’attaccante di fronte a lui, l’arbitro fischia e Oliver Hutton scaglia il suo tiro, ma qualcosa va storto – forse non ha ben calibrato la potenza – forse la stanchezza sulle gambe, o semplicemente uno sfortunato evento, sta di fatto che il suo tiro è finito dritto tra le mani dell’estremo difensore tedesco.[1]

 Mentre il capitano nipponico cade sulle ginocchia in lacrime, la tifoseria tedesca impazza, così come i calciatori che urlano, saltano e piangono di gioia, correndo per il campo al culmine della felicità. «È finita, signori e signore, la Germania è Campione del Mondo per la seconda volta consecutiva. Ancora uno Schneider campione, Karl Heinz, il giovane Kaiser, numero uno come il defunto zio Bernd. Dopo aver lottato contro un tumore al cervello, il giovane Kaiser, è tornato sui campi da calcio, a differenza dello zio lui è riuscito a sconfiggere la malattia e vincere. Una doppia vittoria per il piccolo Schneider.» dice il cronista.

Mentre  i giapponesi piangono e si disperano, le riserve tedesche con lo staff tecnico raggiungono il resto della squadra in campo, che festeggia ancora in un grido di giubilo; Benji dà una pacca sulla spalla del suo capitano e gli sorride, poi raggiunge i compagni tedeschi e si butta letteralmente tra le braccia del Kaiser, che sorride e piange. «Sono orgoglioso di te, campione.» dice stingendolo forte. «Grazie, amico. Anche tu sei stato formidabile, nonostante ti facesse male il polso non hai esitato un attimo a provare a fermarci.» risponde Karl. «Siamo stati tutti e tre bravissimi, modestamente.» dice Hermann ridendo. «Beh… come abbiamo detto quella volta in ospedale: “Non importa chi vincerà, perché in fondo lo squadrone siamo noi.”» gli ricorda Benji, facendo annuire gli altri due e stringendosi tutti e tre come fossero fratelli.

La panchina nipponica, in lacrime non può far altro che promettersi di rifarsi al prossimo Mondiale; Fanny e Grace – come se avessero vinto – corrono in campo urlando e gioendo, unendosi ai festeggiamenti tedeschi, entrambe le ragazze si uniscono all’abbraccio di Price e Schneider. «Sei stato grandioso, amore mio.» dice Grace in lacrime, stringendo il fidanzato, che la prende in braccio facendola girare e baciandola in mondovisione. Fanny scompiglia i capelli al suo migliore amico, poi stringe il fidanzato. «Sono orgogliosa di entrambi, ha vinto il nostro Kaiser, ma tu sei sempre il portiere numero uno al mondo.» gli dice baciandolo. «Grazie, Fuffy mia.» le risponde Benji dopo essersi staccati, togliendosi poi i guanti e tenendo il polso dolorante con la mano. «Adesso però dovrai farti vedere da un medico.» dice lei, tenendolo stretto a sé. 

Sul cerchio di centro campo stanno ancora allestendo per le premiazioni, mentre il coro dei tifosi tedeschi è inarrestabile, la famiglia Schneider, Marika e la famiglia di Jamie – grazie a dei pass –  scendono in campo. Il piccolo calciatore corre incontro al suo beniamino, che prontamente lo prende in braccio e lo stringe. «Sei sempre il numero uno, Kaiser.» dice il bimbo entusiasta e in lacrime. «Grazie, campione.» sorride Karl, tenendolo ancora in braccio, voltandosi verso la tribuna e alzando in alto il braccio destro, lo stesso fa Jamie. Due generazioni di calciatori in una sola immagine – che prontamente viene immortalata in uno scatto dai tanti fotografi presenti – il presente e il futuro della Germania.

Marie Käte bacia Klaus – suo fidanzatino nonché fratello maggiore del piccolo Jamie. Karl nota la sorellina impegnato con il ragazzino e guarda il bambino ancora tra le sue braccia. «Mi sa che adesso quei due fanno sul serio.» dice facendo girare il piccolo che ride guardando i due baciarsi.

«Eccolo qua il mio campione, il mio orgoglio più grande.» dice commosso Thomas Schneider stringendo il figlio, che messo giù Jamie, ricambia la stretta del padre con un sorriso raggiante e gli occhi azzurri brillanti di lacrime e di gioia. «Bravo, tesoro.» aggiungono insieme la mamma e la nonna, entrambe in lacrime. «Complimenti, ragazzo mio, siamo tutti orgogliosi di te… anche lui lo è, ne sono sicuro.» dice il nonno, guardando il nipote con immensa gioia e commozione. «Grazie, nonno. Questa vittoria la dedico anche a lui, è come se fosse qui con noi in questo momento, ancora grazie per avermi regalato i suoi scarpini.» risponde Karl stringendolo forte.

La piccola di casa, staccatasi dal fidanzatino, raggiunge la famiglia e si fionda tra le braccia del fratello. «Sono orgogliosa di te, Kaiser, ho un fratello fortissimo e meraviglioso che adoro.» gli dice con un sorriso che va da orecchio a orecchio. «Grazie, Prinzessin. Anche io ti adoro e sono fortunato ad avere una sorellina come te, sono certo che anche tu esaudirai il tuo sogno entrando all’Opéra portando il nostro cognome in alto anche nella danza.» le risponde Karl stringendola forte, le stampa un bacio sulla fronte e si avvicina a Marika, stringendola forte. La ragazza sorride e ricambia la stretta in lacrime. «Sono fiera di te, sei stato eccelso, degno di tuo zio.» sussurra, guardandolo in quegli occhi azzurri che tanto le ricordano quelli di Bernd. «Grazie, zia.» sorride Karl. «Ma lui resterà sempre un immenso campione, anche se io un giorno dovessi eguagliarlo o superarlo, ciò che lui è stato per noi non cambierà mai.» dice con la voce tremante, sorridendo. «Hai ragione.» sorride Marika, stringendolo ancora.

Il palco delle premiazioni è stato allestito sul cerchio di centro campo il Belgio e il Giappone sfilano davanti alle alte cariche della FIFA ed è il vicepresidente a dar loro la medaglia di bronzo e d’argento, stringendo la mano a ognuno di loro. I tedeschi sfilano subito dopo i giapponesi, velocemente il vicepresidente consegna loro la medaglia d’oro, stringendo le mani a ognuno di essi, riservando una stretta affettuosa al Kaiser che sorride e ringrazia; raggiunge i compagni già investiti della medaglia dinnanzi alla coppa in bella mostra, che viene ammirata, carezzata, baciata dai calciatori e anche Karl la tocca sorridente; mentre il resto della squadra e lo staff tecnico continuano la sfilata per ricevere le medaglia.

Dopo aver stretto Joachim Löw e Thomas Schneider, il presidente della FIFA si allontana, raggiungendo la squadra, prende la coppa e la consegna al capitano – che emozionato – la prende, sorride e va davanti ai compagni, consegnandola un attimo a Kaltz, sale in piedi sul tavolino che prima ospitava il trofeo – sorretto da dietro dai compagni di squadra – mentre Hermann gliela ripassa, Schneider la riprende, la bacia e la innalza al cielo, lo stadio esplode in un applauso, coriandoli neri gialli e rossi volano in aria e i giochi d’artificio colorano il cielo di Mosca, mentre in campo è tutta una festa. Karl salta giù, ancora col sorriso stampato sulle labbra e gli occhi lucidi di commozione, i suoi compagni lo affiancano e tutti tengono alta la coppa del mondo – compresi gli allenatori. Anche Benji, Grace e Fanny si uniscono alla squadra tedesca, il portiere stringe fortissimo i migliori amici – così come Fanny stringe il Kaiser – bacia anche lui il globo del trofeo, ancora in mano a Schneider, che ringrazia anche loro, poi si volta verso la sua Starlet, le sorride e la raggiunge facendole toccare la coppa. «Sono fiera di te, Kaiser.» sorride lei guardandolo intensamente con le lacrime agli occhi; Karl le sorride e la bacia ancora una volta in mondovisione, mentre la squadra con in testa Löw sfila sul rettangolo verde per il giro d’onore sotto le tribune. 

 

***

Angolo dell’Autrice: e così finisce questo mondiale, un po’ diverso da quello che abbiamo visto in tv lo scorso anno, ma era d’obbligo far vincere il Kaiser dopo tutte le disavventure vissute – e anche questa volta l’amicizia vince sulla rivalità. Questo capitolo lo avevo scritto già parecchio tempo fa, (ovvero ritroverete questa parte anche in una one-shot “On the road of the life” che è sì il capitolo della finale, ma è anche un finale alternativo nel quale Erik non muore, che pubblicherò appena questa storia sarà conclusa) dunque in questo capitolo ho apportato le modifiche necessarie per togliere il ragazzo, che in questa storia non ce l’ha fatta. xD Beh… adesso la storia è ufficialmente conclusa, ma ho pensato di scrivere un capitolo extra, dove si terranno i festeggiamenti in albergo e ci saranno anche alcune sorprese per alcuni dei personaggi; dunque ringrazio tutti quanti dal profondo del cuore per aver intrapreso con me questa lunga avventura – la mia Darling in primis – e vi do appuntamento all’ultimo capitolo. ♥ Amy.

P.S. il prossimo, e ultimo aggiornamento, lo posterò tra una settimana esatta – il capitolo finale è già bello che pronto. ;) ancora grazie a tutti quanti, un bacione grandissimo.

 

 

 

 

 


[1] Questa scena,come molti di voi noteranno, (spero) l’ho ripresa dai Mondiali del 2006 con la nostra Nazionale (quella degna di portare tale nome) Campione del Mondo: nella cui scena, Pirlo stringe le spalle di Cannavaro, Buffon annuisce sicuro ai compagni mentre si posiziona tra i pali, dicendo loro tacitamente di non preoccuparsi perché parerà il tiro e alla fine Trezeguet sbaglia colpendo di rutto la traversa… e il resto è storia! ♥ Qui, invece, il “caro Holly” (che come ormai sanno tutti coloro che mi seguono io detesto – perché di mio detesto i protagonisti di qualsiasi opera – e perché lui è veramente ciò che di più odioso e inutile esista (ovviamente io parlo per me, perché so che ad altri piace come personaggio  quindi va da sé.) la consegna praticamente nelle mani di Dario Belli, giusto per cambiare un po’ la scena – ma tanto la parte importante era l’abbraccio di Schneider a Kaltz miei amati bimbi bellissimi, esattamente come Pirlo e Cannavaro

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Capitolo 27
*** E se fosse per sempre? ***


Note introduttive: era da un po’ che non  le mettevo, ma qui serve dire qualcosa prima del capitolo, quindi eccole. xD Dunque, all’inizio pensavo di includere questo capitolo al precedente, ma poi ho deciso di renderlo indipendente e metterlo come “extra”, quasi come se fosse un trampolino di lancio per il seuqel… perché calciatori e managers qui non hanno solo la vittoria del Mondiale da festeggiare, ma anche il grande ritorno alla vita del Kaiser, senza né vinti né vincitori, solo un grande gruppo di amici che festeggia. Come in passato, per altre persone in un altro mondiale, la storia si ripete; la vita va avanti ed è tempo di scelte importanti per alcuni di loro, che camminano mano nella mano sulla strada del futuro, facendo tesoro delle esperienze passate e con nuovi sogni per il domani… il tempo delle follie dunque finisce ufficialmente con questa storia, ora è tempo di diventare adulti e assumersi le proprie responsabilità; tempo di nuove avventure e nuove vite… in questo capitolo ritorno con una canzone che ci terrà compagnia e che si sposa alla perfezione, e qui il grazie va alla mia meravigliosa Darling reggina, che mi ha aiutato a uscire dal dubbio delle millemila canzoni che avevo pensato; potrei continuare queste note ancora a lungo, ma mi fermo qui, vi lascio al capitolo e torno a rompervi le scatole alla fine. xD 

 

 Capitolo 27: Se fosse per sempre? 

 

Mosca: domenica 15 luglio, 2018 Vatutinki Hotel and Health Complex, sala ricevimenti, h. 20:00

Dopo una grande vittoria, inevitabilmente segue una grande festa: la sala ricevimenti dell’albergo russo che ospita la Germania e il Giappone ha messo a loro totale disposizione lo spazio per i festeggiamenti; i giapponesi, di comune accordo, hanno deciso di unirsi alla nazionale tedesca e festeggiare con loro questa vittoria: una vittoria che sa di nuovo, di vecchio, di amicizie fuori dai campi di calcio e di sane rivalità all’interno di essi, una vittoria che sa di vita – senza mai dimenticare chi quella vita l’ha lasciata per sempre e troppo presto –  di sogni, di emozioni, di speranze per un domani migliore e di promesse che profumano d’amore e d’amicizia, che trascendono il tempo e le distanze – e che sono ormai ben consolidate per durare negli anni a seguire.

La coppa del mondo in bella mostra su un tavolino all’angolo della porta di entrata, tacita protagonista della serata, dà sfoggio di tutta la sua bellezza e testimonia la vittoria; i calciatori di entrambe le nazionali, che iniziano a entrare nella sala – inevitabilmente – la toccano, la sfiorano, la baciano: quella coppa che sin dal primo mondiale ha sempre fatto gola a tutti e che tutti vorrebbero innalzare in cielo almeno una volta nella vita. Karl la prende, la bacia e la innalza ancora una volta in aria, emozionato come sul campo e con un raggiante sorriso a illuminargli gli occhi azzurri; tra managers, calciatori, allenatori, staff e parenti parte un grande e caloroso applauso e il Kaiser li guarda con immensa emozione, posa la coppa sul tavolino con attenzione e raggiunge i compagni, trovandosi coinvolto in un abbraccio di gruppo.

«Hai vinto la malattia, hai vinto il mondiale e ora mi sa che ti aspetta l’ultima vittoria di quest’anno, campione.» gli dice Hermann con un gran sorriso e una strana nota di emozione nella voce. «Esatto e non posso che esser più felice di così questa sera, ma c’è ancora tempo, la serata è lunga e non è ancora il momento adatto.» risponde Schneider con occhi lucidi di gioia ed emozione, portando la mano destra sulla tasca del pantalone e sorridendo ancora. «Sono sicuro che sarà una gran bella sorpresa, del tutto inaspettata… almeno credo.» si unisce al coro anche Benji, raggiungendo i tedeschi, che si allontano man mano dal loro capitano, mentre le fidanzate li osservano con un sorriso allegro. «Cosa pensi abbiano da spettegolare quei tre?» chiede una divertita Fanny a Grace – mentre si liscia la gonna del suo vestitino bianco di organza con un ricamo in nero con un ramo di fiori di ciliegio – lo stesso che indossò al suo compleanno.

«Non ne ho idea, staranno litigando per la coppa.» ride Grace, osservandoli con un sorriso allegro e spensierato, mentre la sua migliore amica la stringe da dietro e le bacia la guancia. «Sono felice di vederti con questa espressione allegra e serena, mi riporta un po’ indietro nel tempo. Karl si è meritato la vittoria, ha giocato un mondiale memorabile.» sorride Jenny, guardandola negli occhi. «Grazie.» sorride Grace, ricambiando la stretta dell’amica. «E chi se lo dimentica quel periodo? Nonostante il freddo, le bufere di neve e le cioccolate per riscaldarsi, rimarrà sempre uno dei periodi più belli della mia vita… e ora questo farà parte di quelli, sono così felice che Karl sia guarito e abbia vinto il mondiale, che nemmeno immagini, Jenny.» dice Grace, continuando a stringere l’amica di sempre. «Lo immagino, e io sono felice per te, perché sei un a persona stupenda e ti meriti le cose più belle della vita.» sorride di rimando Jenny.

Anche la famiglia Meyer raggiunge la sala ricevimenti, il piccolo Jamie corre verso il suo idolo e lo stringe forte. «Sei stato super mega fantastico!» dice, mentre Karl gli sorride e lo prende in braccio. «Grazie, piccolo. Questa vittoria ha anche tanti altri significati, in primis le nostre guarigioni, poi la dedico a tutte le persone a cui voglio bene e in particolare a mio zio e a Erik.» risponde con un sorriso. Il bambino lo guarda e annuisce. Gli piace il discorso del più grande. «E un giorno quando anche io sarò grande e giocherò in nazionale la alzeremo insieme?» gli chiede con la sua tipica dolcezza bambinesca. «Vedremo, cucciolo, magari ne riparliamo tra dieci anni.» ride Karl dandogli un buffetto sul nasino, che lui arriccia in una buffa smorfia di disappunto, facendo ridere il Kaiser.

Klaus appena entrato nella sala si guarda attorno e sorride scorgendo Marie Käte accanto al tavolo delle bevande, di spalle mentre parla e ride con sua zia Marika, il ragazzino rimane a fissarla incantato – come spesso accade – lei è sempre bellissima anche in tuta da ginnastica e trecce ai capelli, ma questa sera ha alzato i capelli sulla nuca con uno chignon scombinato, il vestitino nero in raso, con la gonna a balze che le arriva alle ginocchia e il ricamo in pizzo dal seno al collo che le copre le spalle, le gambe perfette e snelle che scendono eleganti dalla gonna e le decolleté ai piedi le regalano ancora più perfezione; Klaus sorride ancora e le si avvicina nel momento in cui lei si gira con in mano un bicchiere con un liquido rosso.

«Ciao!» sorride la piccola Schneider avvicinandosi e baciandolo sulle labbra. «Sei incantevole.» dice lui con un sorriso sulle labbra e gli occhi verdi che brillano; facendo sorridere Marika e arrossire Marie Käte, che lo guarda emozionata e lo bacia ancora. «Grazie, anche tu stai bene vestito così.»  gli dice, mentre la zia sorride ancora e si allontana per lasciarli da soli. Ormai la sua nipotina è una signorina e ha anche il fidanzatino. «Bevi qualcosa?» chiede la ragazzina, sorseggiando il suo cocktail. «Tu cosa hai preso?» le chiede Klaus, osservando il tavolo delle bevande indeciso. «Vodka e succo alla fragola.» risponde Marie Käte, porgendogli il bicchiere per assaggiare, Klaus assaggia e alla fine decidere di prendere la stessa cosa facendola sorridere.

La festa prosegue, tutti bevono e mangiano dal buffet e non mancano le parole d’elogio ai vincitori, nemmeno dagli avversari, che ricevono complimenti a loro volta. «Cosa confabulavate poco fa tutti e tre?» chiede Fanny al fidanzato mentre prendono entrambi un bicchiere di champagne. «Nulla di particolare.» risponde il portiere evasivo, osservando Grace dall’altra parte della sala che parla con Philip e Jenny, poi Karl che dal lato opposto parla con i suoi genitori – entrambi con un flûte in mano – Thomas annuisce un paio di volte e sorride allontanandosi, mentre sua moglie stringe il figlio commossa e sorridente. «Sono fiera di te, amore mio, non potevi fare scelta migliore.» sorride Beatrix, baciandogli la guancia, mentre suo padre raggiunge l’interruttore della luce. «Uffa! Poi dite a noi che siamo pettegole.» sbuffa Fanny, guardando gli Schneider con curiosità.

Thomas gira la manopola e le luci si abbassano, mentre in contemporanea Hermann  fa partire in sottofondo “There you’ll be.” «Lo sta facendo sul serio? È quello che penso?» chiede ancora Fanny al fidanzato che alza le spalle con un sorrisetto; Grace sentendo la loro canzone rimane spaesata, lo cerca con lo sguardo, ma non lo vede da nessuna parte, mentre cammina quasi smarrita, raggiungendo il centro della sala e tutti la osservano, chi sorridendo e chi confuso. La luce si abbassa del tutto e un fascio la illumina facendola diventare bordeaux mentre i suoi occhi diventano lucidi e le labbra si aprono in un sorriso sbalordito, coperto subito dalle mani tremanti. Dei passi decisi e leggeri sempre più vicini, finché non si ritrova immersa negli occhi azzurri del suo ragazzo, che le sorride e la guarda intensamente e amorevolmente.

«Grace… sono mesi che penso a questo a momento, che cerco le parole giuste senza che mi vengano in mente, avrei voluto farlo prima ma avevo paura che tutto potesse finire ancor prima di iniziare, anche se ancora non è del tutto finito e nella peggiore delle ipotesi potrebbe tonare… quindi mi sono deciso a farlo adesso, in questa serata di festa e di vittorie. Probabilmente senza di te non sarei arrivato qui e non avrei alzato quella coppa al cielo urlando la mia gioia alla vita, sei tu colei che ha reso possibile tutto ciò, che mi ha dato la forza ogni giorno per continuare a lottare, la stella in mezzo al buio che guidava i miei passi incerti e spauriti…»

“Ti sposerò perché: mi sai comprendere

e nessuno lo sa fare come te.

Ti sposerò perché: hai del carattere

quando parli della vita insieme a me

e poi mi attiri sai da far paura

fra il bianco e il nero dell’abbronzatura.”

Grace fissa il fidanzato ormai con le lacrime agli occhi, la bocca aperta e la gola secca; il silenzio nella sala è rotto solo dalla musica in sottofondo e il Kaiser sorride prendendole le mani – anche se ormai è chiaro a tutti il suo gesto – ma non sarebbe lo stesso senza la domanda di rito. «Sei la mia vita, la parte più bella di me, la mia Starlet e voglio che tu sia ogni giorno tutto ciò.» riprende Karl, mentre calde lacrime bagnano le guance di Grace.

“Ti sposerò perché: ti piace ridere e sei mezza matta, proprio come me,

c’è in comune fra di noi c’è più di una cosa.

Ti sposerò perché: per esempio so che del pallone sei tifosa.

Ti sposerò perché: non mi chiedi mai il giorno che sarai mia sposa e poi…

e poi perché io so già che se litighiamo io e te

non stiamo mai più di un minuto col cuore arrabbiato.” 

«Mi aspettavo di tutto in questo mondiale, ma di certo non questo.» sussurra Philip all’orecchio di Jenny, che guarda la sua migliore amica, anch’ella con le lacrime agli occhi. «È una cosa bellissima, sono emozionata quanto lei.» risponde la ragazza, stringendosi al fidanzato che le sorride e le bacia una guancia; il resto dei presenti è attonito, alcuni anche emozionati – soprattutto le ragazze – nessuno di loro si aspettava che tutto ciò potesse concludersi con una richiesta del genere. «Quindi fanno sul serio quei due?» chiede Stephen Mallory, guardando ogni tanto Fanny accanto a Benji, a Julian e Amy – che guarda Grace con le lacrime e un sorriso. «A quanto pare sì, non me l’aspettavo, ma Schneider ha tutta la mia approvazione.» risponde il Baronetto, stringendo la sua principessa e baciandole la guancia. «Ti amo.» le sussurra all’orecchio, facendola arrossire e sorridere.  

 “Ti sposerò perché: ami viaggiare e poi…

stare in mezzo alla gente quando vuoi e sei di compagnia,

si vede subito, tant’è vero

che, il mio cane ti ha già preso in simpatia,

sono straconvinto che sarà una cosa giusta.

Ti sposerò perché: sei un po’ testarda sì, ma quel che conta onesta.

ti sposerò perché: per un tipo come me tu sembri fatta apposta.

e poi…”

Karl le sorride con dolcezza e le asciuga la lacrima sulla guancia destra, baciandole il naso, guardandola negli occhi mentre lei sorride senza smettere di piangere di gioia. È felicissima che il ragazzo che ama sia guarito: che abbia vinto la malattia e il mondiale, che sia tornato quell’uomo che l’ha fatta innamorare tre anni addietro. «Grace…» sussurra Schneider non distogliendo i suoi occhi di ghiaccio da quelli ambra della ragazza, lasciandole però le mani e infilando la destra nella tasca dei pantaloni, estraendo la tanto attesa scatolina. «Vuoi sposarmi ed essere ogni giorno la donna della mia vita?» le chiede inginocchiandosi aprendo la scatolina, e mostrandole il solitario in oro bianco con un bel diamante incastonato tra le due fascette; la guarda ancora negli occhi, mentre sorride con gli occhi che scintillano di emozione e il cuore che gli martella forte nel petto – come se dovesse scoppiare da un momento all’altro.

«Sì… voglio vivere accanto a te per tutta la mia vita, voglio diventare tua moglie e la madre dei tuoi figli.» risponde Grace senza esitazioni, emozionata come non mai in tutta la sua vita, sorride a quel meraviglioso ragazzo che ama e gli carezza la guancia con la mano tremante, mentre le lacrime scendono ormai incontrollate dai suoi occhi. Il Kaiser le sorride e le bacia la mano con la quale lo carezza e si rialza in piedi – guardandola sempre negli occhi – le prende con delicatezza la mano, sfila l’anello dal suo alloggio e glielo infila all’anulare sinistro, sorridendole ancora e guardandola con un espressione radiosa. «Ti amo, Starlet, sei la creatura più preziosa che la vita mi abbia mai messo accanto.» le sussurra col cuore aperto, baciandole poi la mano con l’anello.

“E poi perché se chiedo a te fiducia e un po’ di libertà

non dici no anche per questo,

vorrei sposarti presto.

Ti sposerò perciò, ci puoi scommettere.”

«Anche io ti amo alla follia, Kaiser, anche tu sei il regalo più grande, meraviglioso e soprattutto inaspettato della mia vita.» sorride Grace, annegando in quelle magnifiche iridi di ghiaccio che l’hanno stregata dal primo giorno che le ha incrociate. Karl le sorride e le lacrime sfuggono al suo controllo, colando sulle guance, ma non gli importa, sorride e la bacia con tutto l’amore che prova per lei; Grace sorride, lo stringe forte a sé e ricambia il bacio con medesimo sentimento e una grandissima emozione, il cuore che le batte fortissimo, la felicità che non può esser misurata tanto è enorme. “There you’ll be” finisce, ma le luci rimangono spente, con un unico fascio a illuminare i ragazzi che si baciano ancora, ora accompagnati da un concitato applauso e anche qualche fischio da parte dei ragazzi.

I due si staccano dal bacio senza fiato e si guardano negli occhi sorridendosi vicendevolmente; Thomas rialza la luce e l’applauso cessa. Grace guarda ancora l’uomo della sua vita e riesce a baciarlo in guancia, per poi ritrovarsi addosso tutte le ragazze che la stringono e si congratulano con lei, chiedendole anche di vedere il solitario. «Sono felicissima per te, sorellina mia.» dice Jenny con la voce piena di emozione, stringendo l’amica. «Grazie, tesoro. Penso che anche il nostro aquilotto dei ghiacci dovrebbe decidersi a chiederti la mano.» risponde Grace ridendo felice. «Ci lavoreremo.» risponde Amy, guardando Jenny, con un’intesa negli occhi che fa sorridere entrambe. «È stupendo. Congratulazioni, Grace.» le dice Patty dandole un bacio in guancia.

«Io non riesco ancora a crederci, due dei miei migliori amici presto si sposeranno.» sorride Fanny stringendo Grace che le sorride e le bacia la guancia. «Nemmeno io ci credo ancora, non mi aspettavo che facesse una cosa del genere e sono felicissima.» risponde, guardando il fidanzato parlare con Benji ed Hermann. «Magari la prossima sarai tu.» le dice tornando a posare lo sguardo sull’amica. «Scherzi? Dovrei sopportare quello lì ogni giorno? Beh… forse un giorno lontano, ma ti avverto, potresti ritrovarti improvvisamente senza il tuo miglior amico.» risponde Fanny seria per metà, facendo ridere l’altra. «Sei tremenda, Fanny.» dice Amy ridendo e facendo ridere tutte le compagne.

Margas ha preso posto alla console e mette su la musica da discoteca, la sala inizia ad animarsi e molti dei ragazzi iniziano a ballare, altri si scatenano letteralmente. Philip afferra Jenny per ballare insieme e dà un bacio sulla guancia alla sua migliore amica. «Sono felicissimo per te, te lo meriti.» le dice. «Grazie, Phil.» risponde lei, guardandolo in tralice, facendolo arrossire, mentre Jenny ridacchia sotto i baffi. Ridendo si uniscono alla folla e iniziano a ballare anche loro, Karl affianca la fidanzata e la bacia. «Dunque voi lo sapevate già, era questo che stavate confabulando prima?» chiede Fanny, ballando accanto al fidanzato. «Esattamente!» risponde lui. «Ne abbiamo parlato un giorno in ospedale e abbiamo iniziato a cercare su internet degli anelli, poi dopo aver trovato quello giusto io ed Hermann siamo andati a ritirarlo per Karl.» le spiega guardandola negli occhi con un sorriso strano. «Capisco. È stata una cosa molto carina e inaspettata, ma non azzardarti a fare una cosa del genere perché ti uccido.» risponde Fanny. «Quindi un giorno mi lascerai?» le chiede Benji divertito, conoscendo la fidanzata. «Non ho detto questo, scemo.» risponde lei uscendogli la lingua e baciandolo subito dopo.

Ormai ballano tutti, i più esuberanti si sono scatenati in passi folli e anche improponibili, scatenando le risate dei più tranquilli, che si sono messi a cerchio guardando la buffa performance di Bruce, i gemelli Derrik e Cliffort. Marika, invece, non si è unita alle danze, si è congratulata con i due ragazzi e non può che esser felice per loro… ma, inevitabilmente, tutto questo le riporta alla mente un’altra finale, un’altra proposta, un altro uomo e una miriade di ricordi. Sorride nel ricordare quel giorno quando il suo Bernd le chiese di sposarla, ricorda ancora l’emozione provata quella sera, la felicità incommensurabile di toccare il cielo con un dito, l’avverarsi di un sogno.

Porta il bicchiere alle labbra e le bagna appena col suo cocktail, guardando lontano, come se da un momento all’altro lui potesse entrare e stringerla come faceva un tempo, come se il tempo potesse tornare indietro e rivivere quel momento, cambiando come per magia il triste epilogo che prese la sua storia d’amore. “Non sarà mai così, Marika, per quanto vorresti lo sai anche tu che Bernd non tornerà. Devi smetterla di vivere nel passato, devi pensare al presente.” si dice da sola, mentre silenziosamente inizia a piangere, inevitabilmente, la sua mente ritorna prepotente a un altro episodio e sente un vuoto terribile nel cuore. L’idillio di quella serata perfetta e meravigliosa si trasforma in una bianca e asettica camera d’ospedale.

Lui è lì sdraiato sul letto col viso smunto e gli occhi cerchiati dalle occhiaie – ma sempre brillanti nel loro azzurro ghiaccio – una flebo al braccio destro,[1] mentre cerca di sorriderle; anche lei è lì, al fianco dell’uomo che ama e che avrebbe dovuto sposare, lo stringe piano  e lo bacia sulla fronte. Bernd le sorride e alza la mano con leggera fatica per carezzarle la guancia, un dolce sorriso sulle sue labbra che nasconde tutta la stanchezza.

“Passerà, amore, insieme riusciremo a vincere questa difficile partita e coroneremo ogni nostro sogno. Ti amo, Bernd Schneider e voglio passare tutta la mia vita assieme a te.” sussurra Marika con dolcezza, carezzandogli la guancia pallida e sorridendogli. “Marika… amore mio, anche io vorrei passare tutta la mia vita al tuo fianco, renderti la donna più felice del mondo, vorrei avere dei figli con te… ma non ce la faccio più, sono stanco di lottare contro questa bestia nera che mi prosciuga le forze ogni giorno di  più… non mi sto arrendo, ma sono davvero stremato…” mormora Bernd con fatica e le lacrime agli occhi, guardando la fidanzata e prendendole la mano dove la fascetta in oro bianco col diamante fa bella mostra di sé e sorridendole, chiudendo poi gli occhi.

“Non dire così, Bernd, ti prego! Non smettere di lottare, non mi lasciare da sola in questo mondo senza te, tu sei tutta la mia vita…” sussurra Marika con voce rotta, mentre lacrime di disperazione e paura le rigano le guance, si china sul suo uomo e lo bacia delicatamente sulle labbra, come se avesse quasi paura di fargli male; Bernd riapre gli occhi e ricambia quel bacio tanto desiderato e la stringe pianissimo col braccio libero dalla flebo. “Ti amo… ti amerò ogni giorno anche quando non sarò più al tuo fianco a dirtelo, sarò il tuo angelo custode e ti guiderò da lassù… ma ti prego, Marika, continua a vivere anche per me e vivi la tua vita a pieno… io sarò sempre dentro te e non mi arrabbierò se un giorno troverai un altro uomo, perché è giusto che sia così…” sussurra affaticato dopo il bacio.

“Non dirlo nemmeno per scherzo, Bernd, per favore non ti arrendere. Lotta e vinci la partita più importante della tua vita, fallo per me, per la tua famiglia, per te stesso…” sussurra Marika con voce rotta piangendo sul suo petto, tremando e sentendosi morire. “Marika…” la chiama lui in un debole sussurro, carezzandole i boccoli neri, mentre fatica ancora a respirare, la ragazza alza lo sguardo e lo fissa con tutto l’amore che prova per lui. “Perdonami, Marika… non vorrei lasciarti, ma ormai è arrivata la mia fine, mi dispiace… ti amo, Marika, e lo farò per sempre…” sussurra con un leggerissimo soffio la voce del calciatore. Marika si morde le labbra e gli prende le guance con le mani, poggiando la fronte sulla sua. “Anche io ti amo e ti amerò per sempre, Bernd…” sussurra, poggiandogli le labbra sulle sue, il ragazzo ricambia il bacio e la stringe, si perde ancora una volta in quel mare blu degli occhi della fidanzata, le sorride staccandosi dalle sue labbra e chiude gli occhi per l’ultima volta – andandosene con il sorriso sulle labbra, l’espressione serena e il cuore colmo d’amore – sapendo che la sua ragazza lo amerà per sempre e sicuro che andrà avanti.

Marika gli sfiora la guancia diafana con la punta delle dita, le lacrime ancora copiose nei suoi occhi, ma il sorriso sulle labbra – almeno il suo uomo è morto felice – e questo, per quanto faccia male, le allieta un po’ il cuore distrutto.

«Che fai qui tutta sola?» quella voce la riporta alla realtà interrompendo il flusso dei ricordi, si volta e incrocia due occhi azzurro ghiaccio – così simili a quelli del suo uomo eppure così diversi – li guarda ancora un attimo, poi gli sorride. «Nulla, Karl, stavo pensando a Bernd… la tua proposta a Grace mi ha riportato alla mente la sua, poi inevitabilmente, ho pensato al suo ultimo momento di vita e la fine di tutto.» risponde Marika, con sguardo velato di lacrime, ma un sorriso sulle labbra – nonostante tutto. Il Kaiser la guarda e si lecca le labbra nervoso, le prende la mano e le sorride. «Scusami, mi dispiace, non volevo. Non volevo riportarti alla mente certi ricordi, io ero in Francia quando te lo chiese, me lo avete anche detto, ma non ci ho pensato…» sussurra sentendosi in colpa. «Non è colpa tua, tesoro mio, capisco perché tu abbia scelto questo momento e non poteva essere diversamente.» risponde la zia stringendolo a sé.

Karl la guarda negli occhi e le sorride. «Lo so quanto lo amavi e lo ami ancora, e immagino quanto possa esser difficile accettare che non ci sia più, ma devi essere forte, andare avanti e tornare a vivere, sono certo che anche lui avrebbe voluto questo.» le dice dandole un bacio sulla guancia, mentre la musica cambia in un lento. «Posso ballarlo con te? Grace capirà.» le dice ancora prendendole le mani e trascinandola in pista. «Ne sono lusingata, Kaiser.» sorride Marika stringendolo e iniziando a ballare insieme. «Sono davvero fiera dell’uomo che sei diventato, di come affronti la vita e le difficoltà, ti auguro tutto il bene possibile e ti prometto che mi impegnerò a riprendere in mano la mia vita.» gli sussurra all’orecchio per farsi sentire. «Lo so, e anche io sono fiero di te, orgoglioso di chiamarti zia, anche se di fatto non lo sei e ti voglio un bene dell’anima.» risponde a sua volta il calciatore, dandole un bacio in guancia, mentre continuano a ballare fino a fine serata.

 

 

 

To be continued...

 

Angolo dell’Autrice: e così eccoci arrivati alle ultime note di questa storia, fa sempre un certo effetto finirne una, lascia sempre quel poco di malinconia nel cuore, ma anche una grande felicità e un grande orgoglio. Come preannunciato, a questa storia ne seguirà un’altra, e anche un’altra la precederà; all’inizio di questa avventura non avevo messo in conto che dal “Ritiro” potesse uscir fuori un mondo, ma poi le cose sono andate diversamente da come dovevano essere all’inizio e quindi è nata questa storia, con le sue disavventure e tragedie familiari – inevitabilmente nella mia mente – hanno preso forma anche le altre due che scriverò: dunque, il sequel sarà una bella sfida e spero anche una sorpresa per voi, ancora non so bene come sarà strutturato, ma ci sto lavorando; il prequel invece, essendo passato, è già più delineato nella mia mente, dunque ripercorrerò le vicende della famiglia Schneider e zio Bernd non sarà ancora morto… vedremo cosa avrà combinato il Kaiser di tanto sconvolgente, che è meglio Marie Käte non lo faccia sapere in giro, conosceremo nuovi personaggi e vi parlerò della scapestrata adolescenza dei tre amici tedeschi... e poi arriverà Grace; dunque il prequel partirà da prima del suo arrivo e poi si ricollegherà al “Diario di una manager” e andrà avanti, per adesso non vi anticipo altro. La parte scritta in bordeaux, ovviamente, è un ricordo di Marika – che appunto verrà ripreso nel prequel insieme alla sua storia d’amore. Adesso non mi resta che ringraziare tutti indistintamente e immensamente per avermi sostenuta in questa storia, dato le vostre opinioni e consigli, che mi permettono di migliore giorno dopo giorno; ringrazio perciò tutti coloro che mi hanno seguita fin dall’inizio, chi si è unito nel corso delle storia, chi si è un po’ perso per strada per vari impegni, chi è rimasto lettore silenzioso e chi ha messo la storia tra preferite, ricordate e seguite… un grazie immenso va soprattutto alla mia insostituibile Darling per avermi sempre sostenuta in questa avventura, per avermi prestato il suo Gregory Ross, per nonnina Ross – che abbiamo deciso di riesumare – e perché io l’ho usata prima che lo facesse lei parlandone in modo diretto, perché senza i suoi consigli, i suoi suggerimenti e il condividere idee e dubbi è stata fondamentale e senza il suo aiuto non sarei qui. ♥ Dunque immensamente grazie a tutti voi, siete stati splendidi. ♥ Adesso non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento alla prossima storia – se sarà il prequel o il sequel ancora non lo so. xD Come avevo già detto qualche capitolo fa, alla finale corrisponde un’altra storia, un finale alternativo nel quale Erik non muore, “On the Road of the Life” dunque lo pubblicherò in concomitanza con questo capitolo. Adesso è tutto, grazie ancora, un immenso bacione a tutti. Amy!

 

 


[1] Destro perché Bernd è mancino, in genere i medici, cercano sempre di mettere le flebo nel braccio non predominante – ovviamente in base alle situazioni a volte si è costretti a usare entrambe le braccia e ogni possibile accesso venoso – più o meno, perché esistono altri supporti medici per facilitare tale procedura (ed evitare anche ematomi ai pazienti) supporti che in Chronicles – dove appunto viene narrata la malattia dello zio – userò anche questi anche, ma questa è una flebo normale, quindi va al braccio

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