Il ritorno del trash

di Demencia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo della scema ***
Capitolo 2: *** L'arrivo della scema - Parte II ***



Capitolo 1
*** L'arrivo della scema ***


Un'inusuale ondata di caldo torrido aveva colpito la zona dell'Atlantico durante l'ultima settimana di maggio, e io - che continuavo a pregare che l'estate non si fosse resa conto che stava giungendo il suo grande momento - me ne stavo beatamente distesa sul divano, grattandomi pigramente la gamba sinistra, già tapezzata di punture di zanzara. 
«'Tacci vostra, se ve becco stavolta... Farò strage della vostra intera stirpe! Beh? Avete paura adesso? Viecce!!» iniziai ad imprecare contro le mie invisibili nemiche.
« TOH!» il mio urlo accompagnò un sonoro colpo sul muro.
Silenzio.
Sollevai con incertezza la mano, nella speranza di aver vendicato il sangue perduto in battaglia.
"... Ma come? Dov'è finita? Possibile che sia riuscita a fuggire all'ultimo secondo?"
Proprio mentre pronunciavo silenziosamente questi pensieri, si levò un flebile ronzìo dal palmo della mia mano, annunciando che, ancora una volta, la vincitrice di quella battaglia non ero io.
«No dai, non ci credo... Ma io vi sciolgo nell'acido!!»
Le mie impronunciabili bestemmie vennero prontamente frenate da quella santa di mia madre Lucia, che riuscì a distrarmi con una delle sue famose tisane. 
«Quand'è che la smetterai di usare violenza sugli animali? Hai compiuto 23? 24 anni? Cerca di reagire come un normale essere umano! L'ultima volta che tuo padre ha invitato dei clienti a cena, hai rincorso per tutta la cucina uno scarafaggio. A volte mi chiedo se tu non sia rimbambita...»
Feci finta di non sentire mentre aggiungevo qualche zolletta di zucchero alla mia bevanda con aria palesemente seccata. Non che mia madre avesse tutti i torti, del resto, però non si è mai vista nessuna protagonista stupida in una storia, e io non sono di certo un'eccezione alla regola. Tra qualche capitolo vi mostrerò le mie impareggiabili doti intellettuali così potrò tornare a fare la solita intruppona caduta dalle nuvole.
«Avrò preso dalla zia. - cercai di difendermi dalle sue offese gratuite.
«Oh, a tal proposito!» mamma Lucia prese un ultimo sorso di tisana prima di annunciarmi una "lieta notizia".
«Non so se tuo padre te ne abbia parlato o meno, ma la povera zia è ancora in riabilitazione, poveretta.
«Riabilitazione? Le è successo qualcosa?» chiesi innocentemente e con genuina preoccupazione.
«Sì cara, ormai sei più che cresciuta, immagino che sia giunto il momento di dirtelo. Beh... Non so esattamente come dirtelo. Hai presente il giardino che la cara zia coltivava ogni giorno? Ecco, diciamo che quelle piantine non erano né pomodori né lattughine.»
Spalancai gli occhi istintivamente a quella inaspettata rivelazione. Anche se ad essere sinceri non c'era da aspettarsi diversamente da una trentenne che girava indossando gli abiti da cosplay delle Winx.
«Oh, non guardarmi in questo modo tesoro! Abbiamo aiutato quella poveretta, ma da quando ce ne siamo andati ed è rimasta sola, ha ricominciato a fare delle visite piuttosto lunghe al suo giardinetto... La signora Blanchard - sì, la vecchia vicina! - mi ha raccontato di averla vista girare per il tuo vecchio liceo mentre importunava alcuni studenti.»
«Oddio, ci manca soltanto che chiamino la polizia per molestie su minori.» soffocai le parole dentro la tazza di tisana ancora tiepida.
«Bisogna che qualcuno vada a controllarla un po'... E sai, visto che hai quasi finito gli studi, io e tuo padre pensavamo che potresti tornare per qualche tempo dalla zietta e darle una mano. Potresti continuare la tua specialistica anche lì, in fondo.»
«Che? Volete che torni in quel buco di groviera per stare dietro a una tossicodipendente?» protestai senza pensarci su due volte.
«Andiamo, non fare la stupida, tua zia ha bisogno di te, e dopo tutti i regali che ti ha fatto negli ultimi anni, il minimo che puoi fare è ricambiare le sue premure per una volta!»
«...Ora che ci penso, chissà come avrà guadagnato i soldi per comprarmi tutta quella roba. Vuoi vedere che il giardino non era adibito soltanto a uso personale, ma...!»
Mamma Lucia mi fissò con sguardo severo: era veramente intenzionata a spedirmi dalla zia e non avrebbe sentito scuse al riguardo. Ammetto che in effetti mi sentii per un attimo triste pensando al bizzarro stile di vita che la sorella di mio padre stava seguendo da chissà quanto tempo, e nonostante tutto le sue innumerevoli gentilezze nei momenti più duri non potevano cancellate dalla mia memoria.
Mi sentii d'un tratto estremamente malinconica, una sensazione che non provavo ormai da molto tempo. 
«Beh, dai, magari posso provare a starle dietro per un po' di tempo, suppongo.» le risposi con un lieve sorriso.
«Tesoro ti ringraziamo, non dimenticheremo mai questo tuo gesto! Oh, però non farti venire gli occhi rossi amore mio, o inizierò a piangere anch'io.»
«Mamma, non sto piangendo, perché dovrei gli occhi...?» posai lo sguardo sulla tazza vuota della profumata tisana.
«Senti, ma queste erbe le hai comprate tu?
«Erano un regalo della zia... Agata.» ci scambiammo uno sguardo interrogativo.
«Ma allora...!»
 
Oh no!
Non hai abbastanza PA per continuare la storia!
Torna più tardi o dammi i tuoi soldi per continuare a leggere!

 




Author's note:
No, non chiedete spiegazioni. Non ve le saprei dare nemmeno io. Lo faccio solo per amore del trash. 

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Capitolo 2
*** L'arrivo della scema - Parte II ***


Capitolo 2 
L'arrivo della scema - Parte II



«Mamma!! Ma si può sapere 'ndo hai messo il mio vestitino rosso e nero, sì, quello che mettevo sempre in estate? Hai presente qual è?»
«Quello che ti faceva sembrare una mignona? Sì, è insieme alle calze a rete che nascondevi sotto il materasso.»
Sbuffai sonoramente mentre stavo ultimando la lunga preparazione dei bagagli. Erano ormai passate alcune settimane da quando avevo accettato la richiesta dei miei genitori di andare a dare una mano alla zia, e il giorno della partenza era ormai vicino. Si era deciso che sarebbe stato meglio farle credere che la mia sarebbe stata una visita di cortesia durante le vacanze estive, in questo modo avrebbe opposto meno resistenza e aiutarla sarebbe stato meno faticoso. 
Stavo sistemando di nascosto la lingerie in pizzo che mi aveva "regalato" il mio ultimo fidanzato nel bagaglio a mano quando il mio sguardo si posò sul biglietto sola andata "Roma - Parigi". Mi accorsi di provare una certa malinconia al solo pensiero di lasciare la città nella quale avevo passato gli ultimi anni della mia vita. A dirla tutta quella partenza improvvisa non mi andava poi così a genio, alla fine mi trovavo abbastanza bene nel mio quartiere e con i nuovi amici che avevo trovato. E poi c'era anche lui, l'unico e solo amore della mia vita, Ciro.

Ricordo ancora con vividezza il nostro primo incontro, quasi 5 anni fa. Dopo essere andata via da Dolce City, ero veramente distrutta... Almeno, era la scusa che ho usato con i miei per giustificare il primo anno perso all'università. L'enorme lontananza aveva lacerato il rapporto tra me e il mio ragazzo ai tempi del liceo, Castiel, ed io mi sentivo un po' depressa e in astinenza. E così un triste giorno d'estate, mentre passeggiavo nei pressi del Colosseo, d'un tratto sentii qualcuno sfilarmi la borsa di mano con una certa maestria e forza. 
«Che pensi di fare, stronzo?» dissi cercando di mantenere la presa sui manici di pelle.
Fu questione di un attimo, una sincronia magica che fece incrociare il mio sguardo con quello del mio aggressore. Mollamo la presa della borsa nello stesso istante e rimanemmo inermi per un attimo, fissandoci intensamente, fin quando lui non decise di parlare.
«Mi hai rubato il cuore.» sorrise mentre gesticolava per farsi comprendere.
«No ciccio, stamme a sentì, quello che stava a rubà eri tu. Sai quanto c'ho sudato per comprare sta borsetta? Mi ci sono voluti mesi di accesso prima di prenderla, 'mo arriva il primo cretino e me la faccio prendere?» risposi mentre mi abbassavo per raccogliere quella brutta imitazione di Prada.
«Scusame tanto, pensavo che eri una di quelle straniere che vengono a visitare er' Colosseo. Cerca de capì, pure i poracci come me devono lavorà.» 
Nonostante fossi stata appena attaccata da quel ragazzo e a rigor di logica sarei dovuta andare a denunciarlo alla polizia, non sono io a scrivere i copioni, e per esigenze narrative è stato deciso che non me ne dovesse fregare nulla e che dovessi far finta di nulla. 
«E vabbé, dai. Io sono Lynn, piacere di conoscerti.» dissi con molta nonchalance, porgendogli la mano.
«Ah, Lina, c'hai proprio un ber nome. Io so' Ciro, ma li miei amici me chiameno "Er treppiede"» mi rispose ammiccando ripetutamente.
Mai in vita mia avevo avuto occasione di ammirare un tale livello di cafonaggine, ma a mia discolpa posso dire che a giudicare dai pantaloni che portava sembrava che non stesse poi così tanto mentendo, e dopo un anno di astinenza cominciavo anche a fregarmene. 
Quella stessa sera mi portò a fare un giro con lui per il Lungotevere, una vista incantevole e romantica tra le luci soffuse. Mi offrì una cenetta in una trattoria vicina, e tra una pizza e l'altra finimmo per scolarci qualche bottiglia di vino di troppo. A una certa ci alzammo con discrezione e scappammo dalla trattoria perché nessuno di noi aveva i soldi per pagarsi quella carissima mangiata. Cercammo di allontanarci in fretta dal locale, ma la Vespa di Ciro non aiutava di certo nell'impresa. 
Dopo un'eccessiva accelerata cappottammo insieme alla moto e decidemmo che sarebbe stato meglio continuare a piedi, anche se pensavo che sarebbero comunque potuti risalire al suo nome dalla targa.
«No no, statte tranquilla, la Vespa non era mia, nun c'ho manco la patente io. Diciamo che... L'ho presa in prestito.» mi sorrise mentre ci incamminavamo allegramente verso il centro.
Quello fu solo il principio della nostra storia. Ben presto appresi che Ciro era il più giovane di una numerosa famiglia e che era cresciuto a San Basilio tra uno scippo e l'altro, fino a specializzarsi in particolare sui turisti che riempono sempre il Colosseo. Prediligeva le signore con le borse griffate perché di solito tenevano lì tutti gli oggetti più preziosi e facili da rivendere. Nonostante il suo "mestiere", però, Ciro era un ragazzo semplice, un simpaticone adorabile, e come potevi dirgli di no o stargli lontano? La nostra relazione durò a lungo e chissà quanto sarebbe durata se solo qualche mese prima della mia partenza non avesse combinato la cazzata più grande della sua carriera.
Mi raccontò che una sera stava passeggiando in giro senza nulla da fare in un quartiere quasi completamente privo di illuminazione. D'un tratto vide davanti a sé una sagoma presumibilmente femminile, indossava dei tacchi e probabilmente un abito, ma era difficile a dirsi vista la scarsa visibilità. In mano teneva una bella borsetta rosso fuoco - il debole del povero Ciro - che sembrava veramente semplice da prendere. Non seppe resistere, bastava afferrarla e correre come aveva sempre fatto, nessuna donna con dei tacchi così alti sarebbe riuscita a raggiungerlo senza cadere a terra. Ma aveva fatto male i calcoli, e quando si accorse che quella dolce pulzella era in realtà un travestito brasiliano, ex lottatore di boxe di nome Julio, che ci mise un secondo a buttarlo a terra e a riempirlo di mazzate, era troppo tardi.
La polizia non tardò a intervenire e questa volta il mio Ciro non riuscì a scamparla.
«Du anni a Rebibbia amò, non so' così tanti.»
«Come "non so' tanti"? A' Cì, ma sei proprio scemo. Nun te posso mica aspettà tutto sto' tempo. Io c'ho i miei bisogni, le mie cose, le mie ossessioni. E c'ho bisogno di un ragazzo.» gli risposi nel primo giorno di visite.
Ciro accettò a malincuore la mia decisione, ma nonostante tutto io continuavo a volergli bene, e non potei smettere di andarlo a trovare o scrivergli di frequente per fargli compagnia in questi due lunghi anni.
Così, prima di partire di nuovo per Dolce City, dovevo andare ad annunciare la triste novella al povero scippatore. 
«A' Lina! Nun te ne puoi annà così! E io che faccio nel frattempo? Almeno manname qualche lettera, nun te scurdà de me!» mi disse singhiozzando come un bambino.
«Daje Ciro, ma quante volte te devo dì che nun me chiamo Lina, so' Lynn! E poi lo sai che torno prima che esci, su.»
«E vabbé Lì nun me sembra il momento adatto pe scherzà. Io te aspetto, se nun me scrivi scappo.»
«Sì così poi te beccano de nuovo e te fanno stà per altri tre anni. Fatte forza Cirù, fai il bravo!» gli dissi prima di andarmene via, nella speranza che mi ascoltasse.

Era un sabato mattina ed era giunto il momento della mia partenza. I miei genitori mi avevano accompagnata all'aeroporto e mi avevano salutato affettuosamente prima che mi dirigessi verso la zona imbarchi. Dopo l'aereo mi aspettava qualche ora di treno prima di raggiungere finalmente la mia vecchia città, e ammetto che un po' mi sentivo nervosa, soprattutto perché non mi andava di incontrare alcune mie vecchie conoscenze. L'unica consolazione era quella di poter riabbracciare finalmente la zia Agata dopo così tanto tempo di lontananza. Arrivata sotto casa sua provai a chiamarla diverse volte al telefono prima che si decidesse di aprire la porta. Nonostante la calda stagione tirava su col naso rosso e gonfio, e a giudicare dal suo sguardo doveva avere la febbre.
«Zia! Quanto tempo è passato! Ma cos'hai? Hai preso il raffreddore in piena estate?»
Poi ricordai.
«Ah. Ci mancava pure la polvere di fata adesso.»
Author's note:
Dovrei studiare e prepararmi per un'importante test in questo periodo, e invece eccomi qua, mentre continuo a partorire trash alle tre di notte. Mi vergogno di me stessa, ma almeno facciamoci due risate. Ci proviamo. Spero di avervi rallegrato con i miei deliri, altrimenti niente, compilate un modulo di richiesta per riavere indietro i minuti persi nella lettura di questo scempio. Potrei anche decidere di non rimborsarvi, dipende da quanto mi state simpatiche. Cià.

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