Maeva & Frida

di fa_ty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAFFETTERIA ***
Capitolo 2: *** NUVOLE SOPRA MILANO ***
Capitolo 3: *** PARCO SEMPIONE ***
Capitolo 4: *** RIMPIANTI & CIOCCOLATA ***
Capitolo 5: *** LUNA ***
Capitolo 6: *** TAZZA DI THÈ ***
Capitolo 7: *** MAGLIONE AL PARACETAMOLO ***
Capitolo 8: *** IL TEMPO, L'AMORE E UN PER SEMPRE ***
Capitolo 9: *** FOTTUTA,COMPLETAMENTE ***
Capitolo 10: *** CRATERE & LACRIME ***
Capitolo 11: *** LABBRA ***
Capitolo 12: *** DIEGO & POLAROID ***
Capitolo 13: *** CARBONARA ***
Capitolo 14: *** UN ANNO ***
Capitolo 15: *** FRIDA ***
Capitolo 16: *** TEMPO ***
Capitolo 17: *** CANDELINA ***
Capitolo 18: *** GRATULERER MED DA'N ***
Capitolo 19: *** UN LIBRO, LE LACRIME, L'AMORE ***
Capitolo 20: *** FREYA ***
Capitolo 21: *** OCCHI ***
Capitolo 22: *** TUTTA LA VITA ***
Capitolo 23: *** LEI ***



Capitolo 1
*** CAFFETTERIA ***


Una caffetteria, sei cambiata, ma tu non mi hai vista. Io ti vedrei tra milioni di persone.
Ti guardo sempre quando ridi, ma tu non lo sai. Ti ho promesso quel pomeriggio ventoso di qualche mese fa che io la tua risata l’avrei lasciata al vento e non portata nel cuore.  Ho sbirciato il tuo profilo Instagram: è pieno d’amore. Per un’altra persona. Eppure c’è qualcosa di strano nei tuoi occhi, come se fossi lontana, in un altro mondo. Una parte di me spera che in quel mondo lontano dove i tuoi occhi stanno guardando, tu sia tra le mie di braccia e il tuo sorriso sia leggero e felice, come quando ridevi di me quella volta che ho cercato di preparare la torta al cioccolato e mi sono sporcata tutta la faccia e tu mi hai messo sul tavolo e i nostri nasi si sono toccati, i tuoi capelli rossi profumavano di vaniglia, e nell’esatto istante prima che le nostre labbra potessero danzare insieme, tu hai sorriso e io in quel sorriso ci sono morta. Quel sorriso condanna e benedizione, come le mani sui mie  fianchi, i tuoi occhi poco prima di fare l’amore, che giocavano con le mie labbra nervose. Perché tu per me sei stata sempre tutto tranne che una parentesi, tu non eri un gioco, una cosa passeggera. Tu mi facevi danzare il cuore, per te ho scalato il muro del suono, dei preconcetti, della “ normalità” perché il tuo respiro era aria . Tu eri il  mio ossigeno.
Ora dove sei ? 
Perché non sei a frantumi ? 
Perché non vado avanti? 
Gioco con i ricordi questa notte, gioco col ricordo più bello. Io e te in quella stanza, con il mondo fuori, tu stretta a me, io stretta a te, col camino accesso e il tempo che volava, come i vestiti, e quella canzone di sottofondo di cui non ricordo il nome, perché il suono più forte era quello dei nostri cuori. In quel momento l’eternità era nostra. I miei occhi erano tuoi, le mie labbra, il tuo profumo invadeva la stanza, le lenzuola. Era il tuo suono del mio nome pronunciato dalle tue labbra la gioia.
Il mio cuore era tuo. Lo è ancora. Ma non lo saprai mai. O forse molto presto.
Torno alla realtà e tu mi stai guardando,con gli occhi di cioccolato, quello che ti portavi via dalle labbra. Io mi sciolgo. A te tremano le mani. E forse anche un po’ il cuore. 
Arriva il cameriere segna l’ordinazione della persona a cui Stringi la mano e poi si gira verso di te, sciogli la presa e sussurri << Cioccolata >> l’aria si riempie di quell’aroma, tu ti giri e mi guardi provocatoria, l’aria si riempie di noi. Mi guardi sorridi e il mondo torna a colori. I nostri, quelli caldi del cioccolato, quelli dell’amore che vince.
 

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Capitolo 2
*** NUVOLE SOPRA MILANO ***


... due anni prima ….
 
Si era fermata in quella caffetteria per caso, quel pomeriggio Milano era troppo fredda e uggiosa per Elena che la pioggia in quei giorni ce l’aveva anche nel cuore. Senza un vero perché, pioveva anche sulla sua anima.
Mentre aspettava che qualcuno venisse a prendere la sua ordinazione, scorreva svogliata le storie su Instagram, appurando il fatto che odiasse metà della gente che seguiva, o forse odiava proprio le persone in quei giorni. 
Guardò le gocce di pioggia che rigavano in maniera sregolare la vetrata. I passanti camminavano con la fretta tipica Milanese, scazzati dalla pioggia e con mille cose da fare.
<< Cosa ti porto?>> una voce ruppe quel flusso di pensieri.
Occhi grandi, verde acqua in contrasto con una folta massa di capelli rossi legati in una coda forse troppo stretta.
<< una cioccolata, grazie>>
<< brutta giornata?>> chiese con un sorriso 
In tutta risposta una lacrima rigò il volto di Elena che si scusò prontamente.
La Rossa si avvicinò lentamente e sfiorandole delicatamente il viso, si portò via la sua lacrima, sorridendole le disse che la cioccolata sarebbe arrivata subito.
<< Grazie>> Elena tentò di abbozzare un sorriso.
Arrivò un ragazzo con la cioccolata, piena di panna, con una spruzzata di cacao sopra e un biglietto, scritto di fretta: 
 
il quintale di panna è offerto dalla casa, sperando in un sorriso, hai gli occhi troppo belli i per inondarli con le lacrime. : ) 
 
Sorrise, la cercò con lo sguardo nel locale, non la trovo.  Prese il biglietto, lo piegò e lo mise in borsa. 
 La cioccolata finì troppo presto.
Trovò solo un vecchio volantino su cui ci scarabocchio un cuore, strappò quel lembo di carta e lo posò sul piattino, sperando che arrivasse a destinazione.
 
Uscendo dal locale, l’aria gelida la colpì in viso, ma le nuvole su Milano sembravano meno cupe, o forse era il suo cuore che era più leggero.
 
Si voltò e la vide correre tra i tavoli, i loro sguardi si incontrarono giusto il tempo di un sorriso.
 

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Capitolo 3
*** PARCO SEMPIONE ***


Non ci siamo più viste per diverso tempo dopo il nostro primo incontro in caffetteria, era arrivata la primavera anche a Milano, gli alberi di parco Sempione erano un’esplosione di colori, mi ero seduta sotto un albero, faceva caldo e non mi andava proprio di fare la pausa in università. Il parco sembrava una scelta migliore. Stavo leggendo uno di quei libri comprati ai mercatini dell’usato a pochi euro, tanto per rilassarmi un po’.  La felicità ha il volto della primavera e profuma di ciliegio. 
<< È un po’di tempo che non passi al bar >> i suoi capelli rossi legati di fretta, il rossetto rosso sbiadito sulle labbra e i suoi occhi azzurro verde, grandi, profondi, come il mare.
Le parole non mi uscivano dalla bocca, cercavo di trovare qualcosa di sensato da dirle, senza riuscirci. Sorrisi.
Rise.
<< posso sedermi o disturbo un pensiero profondo?>> 
Questa volta le parole uscirono in fretta.
<< certo, figurati, non disturbi >>
Le gambe lunghe, potevo sentire il suo respiro, potevo osservarne il ritmo regolare dal suo petto. Il suo corpo sembrava danzasse.
<< cosa fai nella vita a parte studiare e leggere libri noiosi, donna senza nome mangiatrice di cioccolata calda  >> mi disse con un tono divertito.
<< niente di esilarante in realtà, la donna senza nome ha una vita un po’ monotona>> 
<< interessante, una donna senza nome, che studia qualcosa di ignoto, con una vita noiosa >> 
<< studio lettere >> il mio leggero tono di sfida la divertì tanto, da farla scoppiare in una risata.
Qualche fiore di ciliegio si posò sui suoi capelli.
<< cosa fai sfotti?>>  la guardavo cercando di catturare un suo pensiero
<< giuro di no, non ti sto sfottendo, anche io ho cominciato con lettere e poi …>> il suo sguardo andò lontano
<< e poi…>>
<< e poi niente, la mia fidanzata di allora è partita per la Spagna, sono andata con lei, il resto è noia, ora lavoro in un bar, ma questo lo sai>> 
Squillò un telefono, il suo.
<< pronto? Arrivo>>  mi fece una boccaccia mimando evidentemente il suo capo.
<< mi abbandoni allora?>> dissi. I nostri sguardi si incrociarono. Mi sorrise, poi si mise a cercare qualcosa nella borsa, con fare trionfante tirò fuori una penna col tappo smangiucchiato. Senza chiedere il permesso mi tolse il libro dalle mani.
Scrisse qualcosa sul libro. 
Rimise la penna in borsa.
Si avvicinò e mi stampò leggero un bacio sulla guancia.
<< sono in super ritardo, scappo>>
La guardai allontanarsi, ad un certo punto si girò di scatto.
<< fatti un giro al bar prima o poi, donna senza nome >> 
La guardai allontanarsi, rimisi le cuffie e lasciai che Frah Quintale continuasse a cantare.. 
 

..Ho rotto un altro cellulare ma il tuo numero lo so a memoria
E posso cancellare una rubrica intera ma non questa storia
E posso trovarne un'altra che sorride quando chiama
E ti somigli da lontano e poi ricomincia tutto da capo…

 
Senza sapere che quella sarebbe stata la canzone perfetta per descrivere i mesi che sarebbero seguiti.
Aprii il libro:
336 5492863 – MAEVA … donna senza nome scrivimi… ti aspetto 
Aveva disegnato un cuore  sbilenco.
L’aria sapeva di ciliegio… e di sogni…
 
 
 

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Capitolo 4
*** RIMPIANTI & CIOCCOLATA ***


Oggi… MAEVA
 
Non può essere veramente Lei. Lei la mia Frida. Elena.  È cambiata, i capelli spettinati legati come al solito. Il maglione troppo largo, le guance leggermente arrossate dal freddo. Sta parlando al telefono. 
Si morde il labro.
È ancora lei.
La osservo con la coda dell’occhio mentre fingo di ascoltare interessata l’uomo con cui mi vedo da un paio di volte. L’ennesimo uomo che illuderò. Dileguandomi, come ho fatto con tutti gli altri. Per ora la messinscena regge.
Sorride al telefono. 
Una parte di lei non mi ha mai lasciata. Sarà il senso di colpa, o forse il fatto che dopo di lei, ho cercato qualcuno che le somigliasse. Qualcuno con i suoi occhi. Senza trovarlo mai, perché lei è la mia Frida, unica rara, preziosa. Ferita. Da me.
Scrive un messaggio.  Magari sta aspettando qualcuno. Si sarà innamorata di nuovo, dopotutto chi non la amerebbe?
Si rimette a scrivere al computer. Con il broncio. Concentrata come quando passava i pomeriggi a studiare al bar. Questo bar. Io correvo da un tavolo all’altro, eppure ogni volta che mi giravo potevo vedere quanto fosse bella.
Leggo la sua rubrica sulla parità di genere ogni settimana. Ha realizzato il suo sogno. Ogni settimana per cinque minuti, mi illudo di non aver fatto la cazzata di mollarla. Mi sembra di sentirla tra le mie braccia.
<< la cioccolata>> Ingrid mi sorride. Sciolgo le mani dalla stretta di questo povero martire illuso, faccio finta di annuire interessata. 
La cioccolata. Il nostro primo incontro. Le sue lacrime.
Mi giro. Tu mi guardi. I tuoi occhi grandi  quanto il mare. Ti sorrido. 
Tu voli lontano, in qualche ricordo. Io insieme a te.
La gita al lago.
Il concerto sotto la pioggia.
Il nostro primo bacio.
Frida al Mudec.
Tu, la Frida della mia vita. Tu che mi sorridi e il mondo torna a colori e qualcosa mi dice che forse non siamo finite. Che forse abbiamo ancora un quadro da completare.  

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Capitolo 5
*** LUNA ***


DUE ANNI PRIMA: MAEVA.

ho fatto la doccia, i capelli umidi nell’asciugamano, in mutande. È stata una giornata frenetica, io mi ero persino illusa di poter riposare un’oretta al parco ed invece no, quello stronzo di Marco mi ha chiamato a metà pausa.
Qualche ciocca di capelli cadono dall’asciugamano, lo shampoo alla ciliegia mi fa ritornare in mente la “Ragazza senza nome”, quel sorriso.
Sorrido.
Chissà se mi scriverà.
Ci ho provato.
Il phon asciuga lentamente i miei capelli troppo voluminosi, troppo rossi troppo mossi.
La luna è alta in cielo. Mia nonna diceva sempre che se chiedi alla luna di aiutare a conquistare un cuore lei ti aiuta sempre. Così mi giro e chiedo in silenzio alla luna di rincontrare quegli occhi neri come la notte, quegli occhi che creano dipendenza, le sue labbra e la risata leggera. Posso fare a meno del suo cuore, se dovesse essere troppo, ma quella risata voglio riascoltarla in loop come la mia playlist su Spotify. 
Tanto mica mi ascolta la luna, chissà quanti cazzo di desideri ha da esaudire. Poi davvero voglio che sia una stramaledetta luna a determinare il mio destino? Chissà se sa qualcosa di me lei, che sta lì in alto. Magari si fa gli affari suoi ridendo di noi, poveri piccoli illusi.
Mi rassegno a l fatto che prima o poi dovrò tagliare un po’ i capelli. 
Salta la corrente. MERDA. Deve essere stato il phon che ha fatto saltare tutto o forse è la piastra bollente che i miei piedi nudi hanno appena pestato. Impreco, sperando che la mia vicina novantenne non mi senta e non cominci ad urlare che non si impreca. Dio ci sente secondo lei e di tutta risposta ci manda a bruciare all’inferno.
Comunque, la gente dovrebbe decidersi: la luna, Dio, Buddha, Maometto… ognuno lo chiama come gli pare ma per me il risultato non cambia, il mio senso di solitudine resta.
Mi siedo aspettando che Dino il portinaio si accorga e mi sistemi l’interruttore.
Chissà cosa starà facendo ora?  Non so neanche che ore sono; forse le dieci, forse la una. 
Chiudo gli occhi e ripenso alla giornata di oggi. Studia Lettere. I suoi capelli mossi dal venticello. Il maglione che indossava la prima volta che ci siamo incontrate. Le sue lacrime. Le paure che le leggevo negli occhi. Sapeva di pioggia. Il suo bigliettino stropicciato ce l’ho nel cassetto.
Missa la mia gatta si struscia facendo le fusa. Almeno lei è felice. Forse è la luna o magari è innamorata. 
La luce non torna. Maledico Dino, si starà guardando un porno di nascosto dalla moglie e non si sarà accorto della luce.
Una nuvola copre la luna. Lasciandomi ancora più al buio.
Il telefono si illumina. Una nuova notifica su wathsapp. Sarà Giorgio che si è mollato con Chiara per la tredicesima volta in un mese.
Numero sconosciuto.
 
Inebriante? Non potrebbe esserci nome con un significato  che ti rispecchi meglio J
Il mio nome vuol dire “ la scintillante” e deriva dal greco… scopri qual è.
La ragazza che presto avrà un nome … Forse…. 
 
Sorrido. Forse la luna mi ha ascoltata davvero. 
 
  Apro Google: la scintillante, greco, nome.
 
Salvo il numero.
Elena.  Afrodite avrebbe scelto lei oggi. Elena la Luce di Paride. Scintilla di una guerra. Il cuore mi batte in petto. La rivedrò.
 Le rispondo:
puoi scappare con Paride solamente dopo averti offerto una cioccolata?
Mi risponde immediatamente: pausa pranzo domani al parco? 
 
Dino ha finito il porno.
Torna la luce.
Riparte il phon.
Domani vedo Elena.
La luna torna a splendere, senza nuvole ad oscurarla. 
Grazie nonna. 
 

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Capitolo 6
*** TAZZA DI THÈ ***


Distolgo lo sguardo, non devo illudermi, dopotutto lei è con un altro. 
Guardo fuori. Piove. Come la prima volta, anche il posto è lo stesso.
Tremano le gambe. 
Continuo a scrivere il mio pezzo, ho la consegna tra quattro giorni e sono a corto di idee. Tutte queste emozioni mi deconcentrano, mi confondono.
Vorrei essere al posto di quell’uomo. 
 Vorrei poterle raccontare che mi sono laureata, che è stata una giornata meravigliosa, ma che tra tutte quelle persone io cercavo sempre i suoi occhi, senza trovarli mai.
Le ho dedicato la tesi, senza dedicargliela. 
Ho viaggiato: ho visto Londra e anche Madrid.
Ho baciato qualcuno.
Ho anche finito di guardare il film che dovevamo finire insieme.
Sono stata assunta in una redazione online e ho la mia rubrica settimanale, tutta mia. C’è una collega carina, le piaccio, ma non mi sembra il caso.
Ho imparato a nuotare sai? 
Il cameriere mi porta il terzo the del pomeriggio. Un bambino gli corre tra le gambe. Il the mi finisce addosso. Bollente.
Il panico.  Lo sguardo di Mario, il cameriere, che mi conosce già da un po’ è tra il terrorizzato e il mortificato, lo tranquillizzo dicendogli che non è colpa sua, io nel frattempo ringrazio il cielo di aver messo la felpa sopra la camicetta dell’ufficio. 
Tutto il bar è girato verso di noi.
Lei è in piedi, ci guardiamo di nuovo. Ha le pupille dilatate, è nervosa. Le sorrido o almeno ci provo. Mi tremano le gambe e non so se è perché mi hanno appena rovesciato una tazza di thè addosso, oppure perché lei è qui.
Raggruppo le idee, scavalco il lago di the e mi dirigo verso il bagno.
Seconda porta a destra.
Non riesco a calmarmi.
Mi chiudo la porta alle spalle e un fiume di lacrime inonda il mio viso.
Piango. 
Piango per questa giornata schifosa.
Per l’articolo che non esce.
Per la metro affollata.
Per la mia tazza di thè. 
Per me, che torno sempre qui per scrivere, anche se ogni cioccolata sa di lei, ogni tavolo è un ricordo diverso. In questo bagno ci abbiamo fatto l’amore.
Piango perché lei è qui. 
Piango senza un perché, seduta sul pavimento.
Aspetto che la tempesta di emozioni si plachi un po’, che dai miei occhi smetta di piovere.
 
Mi lavo  la faccia. Guardo il mio volto, ancora disperato, riflesso nello specchio. Il maglione blu scuro troppo grande, con l’albero della vita. Chiudo gli occhi. Vedo i suoi. Tutto torna, il suo sguardo di prima era per il maglione. 
Ho addosso il suo maglione, quello che non ho avuto il coraggio di restituirle mai.    
 

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Capitolo 7
*** MAGLIONE AL PARACETAMOLO ***


MAEVA OGGI 
 
È il mio maglione, quello. 
Mi risiedo, sorrido fingendo serenità.
<< Ti va di andare al cinema stasera?>> mi chiede sperando in una risposta affermativa.
Mento.
<< Mi dispiace, ma stasera proprio non posso, ho i miei a casa>> 
Il cuore mi batte troppo forte, la cioccolata, ormai è fredda. La tazza ancora piena.
Parla.
Parla. 
Parla.
Ma io non lo ascolto. Penso a lei con ancora quel maglione. Lei ancora bellissima. Spaventata.
Chiudo gli occhi e vedo i suoi. Io sento il cuore a mille, Sento il cuore a mille. Calcutta.
Da quanto tempo è che non ascolto più Calcutta ?
Lo ascoltavamo sempre insieme.
Lei era il mio Paracetamolo. La mia droga. Poi sono scappata. L’ho lasciata. Ho avuto paura. 
Picchietto le dita sul tavolo, sorrido, fingo.
Questo uomo parla troppo. Profuma troppo. 
Temporeggio con me stessa.
Non posso andare in bagno, ma sono preoccupata per lei. Starà bene 
Magari si è ustionata, ha bisogno di aiuto. Impossibile aveva il maglione.
Mi odia tra l’altro. Si ok, ma……
<< Ti dispiace se vado un secondo in bagno ?>> 
Non aspetto la risposta, mi alzo e mi dirigo verso il corridoio.
Mi fermo a metà del corridoio. Il mio cuore corre come la metro. 
Chiudo gli occhi.
Respiro.
Sento caldo, poi freddo, poi caldo di nuovo.
Esito qualche minuto prima di aprire la porta. I ricordi arrivano come macigni.
La mente va lontana, torna indietro nel tempo.
Mi abbandono a quel ricordo…….
 
 

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Capitolo 8
*** IL TEMPO, L'AMORE E UN PER SEMPRE ***


DUE ANNI PRIMA … MAEVA
 
 
<< Eva, vai in pausa>> 
Tolgo il grembiule, prendo il telefono e mi dirigo verso la porta di uscita.
Lei seduta al tavolo, col broncio, la matita che picchietta, i capelli spettinati in una specie di coda. Bellissima. Mia.
Non mi vede, continuo a guardarla.
I passi che mi avvicinano a lei sono sempre meno.
Si morde il labbro e io impazzisco, come sempre.
La abbraccio da dietro. Le bacio il collo. Si accorge di me, si lascia un po’andare. Sorride, mi guarda con la coda dell’occhio. Si morde ancora il labbro.
Cielo, perdo il controllo tutte le volte che lo fa.
<< mi stai provocando Frida? >> glielo sussurro nell’orecchio.
Nega ridendo.
Invece lo sta facendo. Lo sa.
Sento il suo profumo. Mi stordisce. Le bacio il collo.
<< Eva, siamo in un luogo pubblico, più precisamente sul tuo posto di lavoro>> dice convinta, lusingata, leggermente imbarazzata.
<< allora, andiamo via >> dico cercandola di convincerla.
Non ci riesco.
Sento la tensione tra di noi, salire, come la marea.
La bacio. 
Non aspetto la sua risposta. Siamo già nel corridoio buio del bagno. 
Il bagno diventa improvvisamente inagibile. Per il resto del mondo.  
La spingo contro il muro.
Cerca di dire qualcosa. La bacio. Si arrende, a quel bacio. Ho vinto. 
Il tempo si ferma sui suoi fianchi.
Scorre sul suo collo.
Danza, sulle sue labbra sulle mie.
Il tempo è lei, sul lavandino. Il tempo sono i nostri corpi che si fondono., che si scontrano, che fanno pace e poi litigano ancora di nuovo.
Le sue mani nei miei capelli, le mie nei suoi che sanno di lavanda.
Si morde il labbro. C’è il modo nelle sue pupille dilatate. Nel mio fiato corto. Nei nostri cuori in aritmia. Nei nostri profumi, diventati uno.
L’amore sulle labbra, tra le cosce, tra le dita, nei nostri occhi. 
Fuori c’è la neve, ma qui dentro siamo in piena Estate.
Mi guarda, mi fa il broncio e poi scoppia a ridere, le compro la bocca con una mano, mi morde.
Le sue gambe si serrano ancora di più intorno ai miei fianchi. Mi sfida.
La stringo ancora di più a me.
I nostri cuori si incontrano, prendono lo stesso ritmo.
Le nostre mani si intrecciano. 
Sono dannatamente fortunata. Nessuna canzone d’amore basterebbe a descriverla, a descrivere, quello che c’è tra noi.
Il cellulare suona, ricordandomi che mancano cinque minuti alla fine della pausa.
<< Un minuto e poi vai>> mi dice. Mi guarda e io mi sciolgo, ancora un po’.
Mi bacia leggera, la accarezzo.
<< ora vado, mia Frida>> le dico con un sorriso.
Mi avvio verso la porta, lei mi riporta tra le sue braccia. Mi bacia ancora. Mi abbraccia. Vuole dirmi qualcosa, lo so.
Solamente quando sto per uscire, lei sussurra un “ Grazie”. Mi volto:
lei ancora seduta sul bordo del lavandino, le pupille dilatate, le guance rosse, le gambe che tremano, le labbra piene, i capelli spettinati. Nel silenzio del nostro sguardo, capisco.
Capisco tutto. 
Torno indietro da lei, la bacio più forte che posso.
 
Era la sua prima volta. Io, sono la sua prima volta. 
Sarà un po’ mia per sempre, sarò sua per sempre.
Sorrido. 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** FOTTUTA,COMPLETAMENTE ***


ELENA, OGGI.
 
I suoi occhi verde blu.
Il fiato che si spezza.
I suoi capelli.
Il tempo sembra non essere trascorso mai, ma solo per un attimo.
Io con il suo maglione. I capelli spettinati. Le occhiaie.
Lei che tace. Lei che abbassa lo sguardo. Lei che si tocca i capelli.
Questo bagno.
Milano fuori. Milano piovosa, scontrosa. Ferita. Come me.
<< stai bene?>> lo dice a mezza voce.
Respiro. Devo mostrare sicurezza.
<< Sto bene >>
Una lacrima mi frega, come la prima volta. 
Non voglio che si avvicini, non deve farlo, non può farlo.
Il suo pollice preme sulla mia guancia.
La vedo appannata, la lacrima successiva le bagna il dito. Non lo sposta, in compenso sento il suo cuore accelerare. 
È troppo vicina. Voglio scappare. I muscoli che non rispondono al cervello. Rimaniamo così un tempo che pare infinito. Occhi negli occhi. Cuore a cuore. 
Mi guarda. 
 
<< hai gli occhi troppo belli i per inondarli con le lacrime. >> 
 
Il mio cervello scatta, mi libero da lei.
 
<< VAFFANCULO MAEVA>> urlato, addosso a lei.
 
Il panico, la consapevolezza, la ferita nei suoi occhi. Le lacrime nei miei.
 
Tremando arrivo alla porta.
<< Fr…Elena, ti prego>> 
Le sbatto la porta alle spalle. Frida un cazzo.
 Il cuore è in aritmia, mi appoggio alla parete; la sento singhiozzare. La odio, odio la dipendenza che crea il suo odore, ora odio anche i suoi singhiozzi. La rabbia sale nel mio stomaco, come il caffè nella moka.
 
Il cervello si spegne, il corpo si muove 
 
Lei contro il muro, io in punta di piedi.
Veleno. Passione.
Passo le labbra sul suo collo, a ogni centimetro di pelle, un ricordo. Poi la mordo. Poi la bacio di nuovo. 
Lei che mi respinge. Mi stringe i polsi. Mi allontana. 
I nostri occhi si fondono, i corpi si riconoscono e invano cercano di respingersi.
Le sue labbra. La mia droga.
Questo bacio maledetto, che sa di lacrime, di errori.
Le mie mani elettriche sotto l’allacciatura del suo reggiseno.
Lei che reclina indietro la testa. 
Le mie pupille si dilatano.
I suoi capelli rossi. 
 
Le bacio il collo. Lentamente. Assaporando quell’attimo perfetto.
Vado via.
Senza voltarmi.
Con una voglia matta di tornare indietro, ancora. Di prenderla portarla via con me. Di farci l’amore.
Reprimo quel desiderio, torno al mio posto. Faccio partire  la playlist , sul Mac. 
 
 “Lui chi è 
È un altro uomo che è impazzito per te 
Ma non penso che possa dirti 
Tutto quello che ti dico io..”

 
Torna anche lei al tavolo, finge serenità, conosco quel sorriso mascherato. Non si fa toccare. Picchietta le dita sul tavolo. A lui suona il telefono; si allontana. Lei si rilassa. Disperata.
 
“..Spero che 
Mi auguro di cuore che 
Non ci incontreremo mai più 
Per non perdere l'ultimo 
Briciolo di dignità che mi rimane 
Ed evitare di squagliarmi sotto il sole 
Ed evitare di guardarti come un pazzo 
Come un pazzo che ti vuole..”

 
Si gira, ci guardiamo. I suoi occhi, tempesta. Una lacrima le riga il viso. 
Due.  Vorrei stringerle le mani 
Tre. Vorrei abbracciarla 
Quattro. Stringerla a me.
Mi guarda, si asciuga le lacrime e poi, senza voce dice << SCUSA>>
Il mondo crolla.
L’universo.
Le certezze.
Tutto.
 
“..Completamente 
Completamente…”

 
 
Sì cariThe Giornalisti, sono completamente. Completamente fottuta, di nuovo. 

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Capitolo 10
*** CRATERE & LACRIME ***


MAEVA OGGI 
 
Ho pagato e sono andata via, ho lasciato tutto e sono andata via.
L’aria gelida di Milano, mi taglia la faccia, o forse sono le lacrime, la rabbia e il dolore.
Le lacrime scorrono sul mio viso, lasciando probabilmente delle tracce evidenti sulle mie guance.
È così fottutamente bella, anche se ha cambiato profumo; anche se non ha più l’orecchino con la M, io quello con la F, nonostante tutto non ho avuto mai il coraggio di toglierlo.
Mi sfioro il polso, quel tatuaggio fatto insieme.  La faccia stilizzata di Frida.
Scoppio a ridere.
L’ho lasciata senza un perché, sono partita per la Norvegia. Ho ricominciato da zero, torno qua in vacanza, chi becco ? lei.
Cosa faccio ? per poco non ci scopo.
È bellissima. Bellissima. Bellissima. 
È più cazzuta rispetto all’ultima volta che ci siamo viste. Molto dii più.
Accendo una sigaretta.
Il telefono suona. 
È lui che vuole sapere dove cazzo sono finita. Mento, un’altra volta.
Se chiudo gli occhi posso ancora sentire  la linea del suo corpo sotto le mie mani, la sua risata quando guardavamo le serie tv.
Comincia a piovere. Lascio che la pioggia mi bagni la faccia, le braccia, le gambe. Piango.
Vorrei scappare da quello che provo. Dalle cazzate che ho fatto. Dalla mia vita.
Mi dirigo verso casa. Pesante, come un macigno.
Faticosamente mi preparo la cena; vado a letto presto con la speranza di non sognare.
Metto le cuffie. Lascio partire una canzone a random…..
 
Guardo ancora questa luna esco e vedrò che succede
Indosserò un'armatura senza essere un cavaliere
Goditi l'estate anche per me
Brinderai con delle altre persone
Non ti preoccupare mai per me
Io sarò altrove
In un posto freddo tra le tue parole
Ho rotto un altro cellulare ma il tuo numero lo so a memoria
E posso cancellare una rubrica intera ma non questa storia
E posso trovarne un'altra che sorride quando chiama
E ti somigli da lontano e poi ricomincia tutto da capo

 
 
La Luna. Rido. Non c’è stasera, non può aiutarmi. Ho la faccia bagnata, gli occhi gonfi. 
 
Prendo coraggio. Cerco il suo numero in rubrica. Elena.
I suoi ultimi messaggi. Io che non rispondo. Il silenzio. La Norvegia.
Cancello almeno venti volte il messaggio che voglio mandarle. Poi ci rinuncio, poi ci riprovo. Poi lascio che sia la musica a parlare.
Lei che ballava nel salotto.
Lei che piangeva al concerto di Calcutta.
Lei mezza nuda in questo letto, col barattolo di nutella, dopo aver fatto l’amore.
 
 Perché non c’è
Nulla di più stupefacente di te
Dovevo starti lontano
Ma tu mi hai insegnato a volare
E non importa se cado
Neanche se mi farò del male
Perché non c’è
Nulla di più stupefacente di te

 
La lascio così, in sospeso. 
Visualizza.
Sta scrivendo. Il mio cuore sussulta.
 
Io non ho un salvagente
Ti lascio andar via
Ma se la corrente
Ti riporta qui
Lo sai che io ti dirò?


We deficiente. Lo so. Almeno ha risposto.
Vorrei scriverle un sacco di cose, tantissime. Le scrivo la più stupida: amo vivere in Norvegia, ma oggi ho capito che ho sempre amato più te, della libertà. 

Visualizza. 
Appare timida la Luna ed ancora una volta, il mio destino è nelle sue mani.
 
 
 

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Capitolo 11
*** LABBRA ***


Una parte di me, stamattina ha sperato di svegliarsi con Maeva, nuda nel mio letto.
L’altra parte invece, pregava di non averla incontrata una settimana fa, al bar. Insomma, di non esserci finita per poco, di nuovo tra le gambe.
Faccio fatica a prendere sonno, penso continuamente a lei. 
Non le ho risposto, non ne ho avuto la forza, la voglia, la sfacciataggine; anche perché se le avessi risposto le avrei scritto l’indirizzo di casa e non mi sembrava proprio il caso.
Ha ricominciato a piovere ancora a Milano, mista neve. Odio questo tempo e l’effetto che fa sulle persone, ma soprattutto sul mio umore. 
L’articolo della settimana scorsa è stato un successone, ho recensito un libro a tema. Non avevo la testa per scrivere qualcosa di creativo.
 
Spingo la porta del bar, il tepore, il vapore e l’odore del caffè  mi accolgono. Mi siedo al mio solito tavolo, aspettando la cioccolata che ho ordinato, comincio a lavorare al nuovo pezzo. Ho sparso le penne, i fogli, i post-it, gli appunti per quasi tutto il tavolo, non amo che la gente si sieda di fronte a me.
Sento la sua voce. Dannazione. Evito di guardare dalla sua parte sperando non mi abbia visto.
Si siede di fronte a me. Senza chiedere il permesso. Ammonticchia i fogli.
Ha i capelli sciolti, gonfi, come le occhiaie di chi ha dormito male.
Ci guardiamo in silenzio, poi lei tira fuori il libro dalla borsa ed incomincia a leggere, senza proferir parola. 
Ha le mani screpolate dal freddo, le nocche potrebbero sanguinarle da un momento all’altro.
Arrivano insieme le nostre ordinazioni. Cioccolata.
La cameriera appoggia direttamente il vassoio, oramai mi conoscono, sanno che lascerò libero questo posto alla chiusura.
Maeva riempie di zucchero una tazza. 
Poi si prende l’altra e comincia a bere la cioccolata, amara.
Mi ha zuccherato la cioccolata.
Legge un libro in norvegese, dal titolo a me incomprensibile.
<< Mi sono laureata>> le dico per rompere questo gelo.
Mi guarda, gli occhi verde blu, ancora più grandi di come li ricordassi mi osservano per qualche istante. 
<< Lo so. Anche io, in lettere antiche, in Norvegia>> lo dice con un tono tra il piatto ed il trionfale, sapendo di sorprendermi.
Le sorrido.
Mi mordo la bocca, d’istinto, senza pensare alle reazioni che in lei potrebbero scatenarsi.
Le sue pupille si dilatano. Respira. Torna sul suo libro, poco convinta.
Poi rialza lo sguardo.
Posso sentire il suo cuore accelerare.
Il mio sta scoppiando.
Torna sul libro. Di nuovo, come se volesse ignorare la tensione. Non le ho risposto dopotutto.
Torno sul mio lavoro.
Mi ha lasciato lei.
Mi ha lasciato lei. Senza un motivo. 
Mi ha lasciato lei. Senza un motivo. È andata in Norvegia. 
Mi ha lasciato lei. Senza un motivo. È andata in Norvegia. Mi ha lasciato a pezzi.
Però mi mancava il suo odore. Sta diventando di nuovo famigliare. Una droga.
Il cuore accelera, sto per fare una cazzata. Me lo sento.
Non fare stronzate Elena, ti ha mollata lei.
Le sue mani screpolate, leggermente rosse.
Accarezzo la sua mano.
Il suo fiato che si spezza.
È fredda, ruvida di freddo, accarezzo le nocche.
I miei occhi nei suoi.
 
Elena ti ha lasciato lei, cosa cazzo stai facendo.
 
Prendo la sua mano. La avvicino alle labbra. La bacio.
Le sue nocche ruvide contro le mie labbra morbide. Freddo che incontra il caldo. 
Sento il brivido che le pervade il corpo. I nostri occhi non smettono di guardarsi. Non stacco le mie labbra dalle sue nocche anzi, le faccio scivolare lungo le dita affusolate. Cominciano a riscaldarsi. I nostri occhi ormai sono drogati, gli uni degli altri. Eccitati. Come le nostre anime, come i nostri corpi che si riconoscono e si vogliono. Prepotenti.
 
Elena cosa stai facendo. 
Non sono più padrona di me stessa.
Un vecchio padrone mi ha sottomessa, contro la mia volontà. 
L’Amore. 
Mi vuole, mi pretende.    
   
 
   

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Capitolo 12
*** DIEGO & POLAROID ***


MAEVA OGGI 
 
L’ho guardata tutto il giorno scrivere quell’articolo, si è sporcata la faccia con la maionese del panino, ha risposto incazzata ad un paio di messaggi. Mi ha scaldato le mani, fatto impazzire gli ormoni, impedito di finire di leggere la versione in norvegese di Harry Potter e la Pietra Filosofale. Mi ha fatto ridere. Innamorare di nuovo, di quel broncio, dei suoi occhi neri come la cioccolata fondente.
La neve sta invadendo le strade. Domani quasi sicuramente ci sveglieremo con la neve alta due metri. Sono anni che non nevica così tanto qui, ai piedi della Madonnina.
Il telefono si illumina. 
 
@frelena ha cominciato a seguirti.
 
 Instagram. Scoppio a ridere. Non ha mai cambiato il suo nickname che le avevo impostato io per scherzo. Frelena, un po’ Frida, un po’ Elena.
Scorro le foto, lei al lavoro. Lei con una tipa dai capelli blu. Lei al suo compleanno con addosso un vestito rosso... una marea di Elena. Non c’è Frida, niente più foto da Frida.
 
Dove sei finita Frida? Perché non ridi più con la bocca aperta?  Perché non osi più? 
 
Tiro fuori la sua scatola dall’armadio. Quella che parlava di lei, dove avevo cercato di raccogliere tutte le sue cose, per poi spedirgliele un giorno o l’altro. Non l’ho fatto mai.
 
 La felpa con il pelo, una maglietta del campus universitario, una penna senza tappo, i biglietti del concerto di Calcutta, i biglietti della mostra di Frida, un elastico troppo fucsia evidenziatore, le calze antiscivolo perché le ciabatte le odia…. Poi sul fondo, una marea di foto scattate con la Polaroid, che non ho mai voluto portare in Norvegia.
 
Lei che ride, lei che mi manda un bacio, io e lei dopo aver fatto l’amore, lei che dorme, lei, lei, lei….
 
La seguo a mia volta. 
 
Apro la chat.   @frelena è nella chat.Le invio la foto di qualche foto. Mi manda un cuore. Poi di improvviso come se avesse realizzato, mi scrive…. “NOOOO DOVE LE HAI TROVATE!!!!!” tutto in maiuscolo, con una decina di faccine.
 
Le tiro qualche battuta sul fatto che è diventata vecchia dentro. Non se la prende, ci scherza su. 
<< hai perso Frida>> le scrivo. 
il silenzio. 
Ho fatto una minchiata a scriverle questo. 
Chiudo la chat. 
 
Solamente quando riprendo a leggere il libro suona il telefono. Elena. Rispondo.
<< non c’è Frida senza Diego >> 
Nessun << Ciao sei una stronza>>, oppure << vaffanculo, mi hai mollata tu >> 
Solo questo.
Come uccidermi. 
<< si sono persi e ritrovati un sacco di volte>> dico, sperando che mi mandi affanculo.
<< Diego è uno stronzo >> Secca. 
Lo so, sono stata una stronza.
 
<< Diego ama Frida, sempre, nonostante tutto>> mi esce così, di botto. 
Noi e loro. Confusi, in una sola cosa. Il nostro amore, il loro amore. Il tormento.
 
Andiamo avanti, parlando di noi, tramite loro. Alziamo un po’ la voce.
Ha il fiatone. 
Poi mette giù, senza diritto di replica.
Piango. 
 
La guardo ridere nelle foto, la mia Frele, mentre ride.
I ricordi mi fanno tremare un po’.
 
Suona il campanello. Asciugo gli occhi. 
Lo specchio nel corridoio, rimanda un riflesso orribile.
Apro la porta.
 
<< anche Frida ha sempre amato Diego, nonostante sia uno stronzo>> gli occhi rossi, le labbra screpolate. I capelli che scappano dal cappello. 
 
Assaggio le sue labbra che sanno di neve. 
Ci chiudiamo la porta alle spalle.
Il cappotto finisce sul pavimento. I capelli si sciolgono.
 
 A Parco Sempione, La neve si sta cominciando già a depositare.   
 
 
 

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Capitolo 13
*** CARBONARA ***


ELENA OGGI 
 
Guardo fuori dalla finestra, la neve cade ancora più abbondante di quando sono uscita di casa, non so esattamente in che modo ci ritornerò, ma onestamente in questo preciso intervallo di vita è l’ultimo dei miei pensieri. 
Mi giro, Eva dorme ancora, la guardo in silenzio.
I capelli rossi sparsi sul cuscino, la bocca piena, gli occhi ancora gonfi probabilmente dal pianto.
Le gambe lunghe, che sono rimaste leggermente scoperte dopo la guerra con le coperte, le vedo la schiena nuda, ha un nuovo tatuaggio, il profilo di Frida, vorrei sfiorarla ma temo di svegliarla, evito.
Troppe emozioni in così poco tempo. Ho la mente ancora confusa ed il suo odore addosso.
Si gira e mi cerca nel letto, non mi trova. Apre gli occhi, mi vede.
Sorride. E io ci muoio dentro a quel sorriso, nei suoi occhi verde blu profondi come il mare.
Mi mordo il labbro e ricambio quel sorriso.
<< vieni qua>> me lo dice con gli occhioni, sapendo che non le resisterò.
<< No>> la sto provocando. 
Noi due bambine che giochiamo all’Amore, in una serata di inverno.
<< Non torni a casa stasera >> 
<< faccio quello che mi pare>> Secca.
Ride, poi fa qualcosa di inaspettato e non so bene come me la ritrovo addosso, naso a naso, occhi a occhi. Le sue mani mi accarezzano la schiena.
<< Non andartene>> a metà, tra un’implorazione ed un ordine
<< Tu l’hai fatto>> 
Non molla la presa.
<< Sono qui ora >> 
<< chi mi dice che non mi spezzerai di nuovo il cuore? >> 
<< chi ti dice che lo farò?>> Sorride, sapendo di aver vinto il duello.
Mi bacia, cerco di fare resistenza. Mi abbandono alle sue labbra, giocandoci un po’. Poi abbandona le mie labbra, solo per posarle sue sul mio collo.
Un brivido mi attraversa. 
Portandosi a casa l’ennesima vittoria, mi stringe ancora un po’. Mi bacia ancora un po’. Mi osseva ancora un po’.
Poi si alza di scatto, lasciandomi in astinenza, di lei. Lascia la stanza. Tornando poco dopo con la Polaroid, cazzo la Polaroid, quella Polaroid.
Ci guardiamo, so cosa vuole fare, le ridono gli occhi. Quanto mi erano mancati i suoi occhi. Stupefacenti. <> rido, coprendomi con la coperta. Combattiamo un po’ sino a quando mi dice 
<< Va bene, niente foto>>  Così mi scopro ridendo, vittoriosa. In quel preciso instante riconosco il clic della Polaroid. Mi ha fregata.
Così ci rincorriamo un po’ per casa. Finendo nel letto, a far la guerra. 
La guerra di quelli che si amano, la guerra che ha solo vincitori e mai sconfitti. La guerra dei sospiri, delle mani, degli occhi, della pelle che scivola… la guerra degli amori mai finiti.
Arriviamo così al tempo della pace, guardandoci negli occhi, con le dita che non smettono di cercarsi, con una  pancia che brontola.
La mia. Ridiamo.
<< Carbonara?>> mi chiede. 
Trattato di Pace.
Senza aspettare la mia risposta, va in cucina, sento l’acqua che bolle. Il rumore della pasta, rigorosamente corta, odio gli spaghetti. 
Dopo un po’ arriva, scalza, con la mia vecchia maglietta dell’università, i capelli raccolti senza troppe pretese e con la pasta da assaggiare.
Assaggio la pasta. 
Do il mio assenso. 
Ritorna in cucina, poi torna indietro. Da me. 
Mi guarda e mi dice << Bentornata Frida>> 
La tiro a me, la bacio. Smetto di contare il numero di baci.
<< Fre, la pasta >> svogliata si stacca dalle mie labbra.
Cazzo la pasta.
Corriamo in cucina poco prima dell’irreparabile. Ridendo come due pazze. Tra un bacio e un fusillo, la notte sarà lunga.
No, non torno a casa. Ha vinto lei, o forse ho vinto io.
Un’istantanea abbandonata, giace sul pavimento della camera. Un istante d’amore.
   

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Capitolo 14
*** UN ANNO ***


ELENA OGGI,DOMANI, DOPODOMANI….

Non risponde. È sparita. Di nuovo. La casa è vuota. La neve si è sciolta. Buio. Una Polaroid sul pavimento. La sua spazzola piena di capelli, abbandonata. La sua felpa blu.
 
Natale. Le scrivo un messaggio. Mai visualizzato. È sparita da Instagram. Buon Natale.
 
Le uova di invadono la corsia dei dolci. Il Kinder, il suo preferito. La chiamo, la Tim risponde. Buona Pasqua.
 
13 luglio, il suo compleanno. Mi sveglio nel letto di una sconosciuta. Buon compleanno Eva.
 
2 Settembre. Mi promuovono redattrice. Cerco il suo indirizzo nell’elenco norvegese. Telefono staccato.
 
Halloween, trovo la sua foto nel cassetto. Fanculo Maeva. 
 
È passato poco più di un anno da quando ho visto l’ultima volta Maeva, un anno dalla neve. Dai baci. Dalla carbonara. Piango. 
 
Beatrice Russelli ti ha inviato una richiesta di amicizia.
 
Beatrice. La migliore amica di Eva.  Tentenno un po’, accetto. Con tutti i convenevoli. Mi videochiama per errore. Rispondo.
Imbarazzo.
Alle sue spalle vedo una foto con Eva. Sbotto. 
<< Dove cazzo è?>> 
Mente.
<< voglio la verità>> le urlo in faccia. Non mi ha chiamata per errore.
Poi tutto si fa confuso, surreale.
Non è possibile. 
Mi monta la rabbia. Non capisco più nulla.
Poi il baratro. Quattro parole. La disperazione.
 
Meava ha un tumore. Da un anno.
 
Maeva senza i suoi capelli rossi. Maeva senza la sua anima.
  
 
 

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Capitolo 15
*** FRIDA ***


ELENA.

 

Ho preso un aereo per la Norvegia, ho cercato per lungo e per largo dove fosse. 

Beatrice dice che secondo lei, Maeva  non voleva farmi soffrire.  

L’ho trovata, sto camminando in uno dei centri più all’avanguardia nella cura dei tumori norvegese. 

Mento all’infermiera, dico che sono una cugina. Mi da un pass da visitatore, con il mio nome sopra e con scritta una sigla, a quanto pare il numero del corridoio.  

Salgo al quinto piano.

Non so se sono pronta, non so se reggerò. Lei non può essere malata. Lei, lei, lei.

Lei che sapeva già un anno fa, quel pomeriggio. Lei che ha fatto finta di niente.

Io che l’ho odiata per così tanto tempo. 

La penso sola, in tutto questo periodo. Sola. La rabbia, si mescolalo alle lacrime.

Così cammino lungo quei corridoi, seguo i numeri, o forse il dolore. 

Stanza 325.

C’è una ragazza magra, pallida, ossuta  che guarda la televisione, ha una bandana in testa. Immagino sia la sua compagna di stanza.

Occhi verdi blu. E basta. 

È lei. 

Spalanca gli occhi disperati. 

La testa bianca. 

Le labbra secche, piene di lividi viola, blu, gialli. 

Si nasconde in bagno.

<< Vai via Elena>> la voce rotta.

<< Apri questa stramaledetta porta Maeva >>  ho bisogno di stringerla a me.

<< Vai via>> lo dice meno decisa della volta prima.

<> la imploro.

 

In quel momento entra un’infermiera, apre la porta del bagno con la forza di una persona abituata a queste reazioni. 

La fa sedere sul letto.

 

Le mie calze antiscivolo.

Le medica un braccio e le dice qualcosa in norvegese. Qualcosa che però la fa sorridere.

 

<< devi andartene, ora >> me lo dice decisa. Con il magone.

 

<< No >> 

Tolgo la giacca. La appendo e mi siedo davanti a lei. Mi implora per un numero illimitato di volte. Non demordo. 

 

Dal corridoio arriva il pianto di un neonato. 

 

Lei che spalanca gli occhi, riesco a vedere il suo cuore che accelera. 

 

<< devi andartene>> più affannata, quasi terrorizzata.

 

Il pianto si fa più vicino. Sempre di più.

 

Un’infermiera entra nella stanza. Un neonato.

Una scena in slow motion:

Il neonato tra le braccia di Eva, il neonato che smette di piangere. Eva che mi guarda come una bambina appena scoperta. 

Eva che guarda quella minuscola creatura avvolta in una tutina verde pastello.

La minuscola creatura che si bea in quelle braccia ossute.

 

Io che non riesco a parlare. I miei occhi pieni di domande.

 

<< ho pensato che se avessi dovuto proprio abbandonare questa terra, avrei voluto farlo lasciando qualcosa al mondo di meraviglioso, avendo ultimi ricordi felici, sapendo di essere amata, di aver amato, ricordando te nel mio letto nuda che accarezzi i miei capelli, non volevo lasciare questo mondo con le lacrime, ma solo con la gioia. Volevo un quadro perfetto>>  

Stiamo piangendo.  

Così la guardo, in quell’attimo di felicità. La ritrovo in quel sorriso. Non so quale sarà il suo destino ma, ora come ora un quadro più bello non l’ho mai visto. 

 

<< noi lottiamo vero? Vero?>> guarda quella creatura, piccola e perfetta con gli occhi che solo una madre può avere. Qualcosa nel suo tono di voce mi dice che non ha intenzione di andarsene molto presto. Saranno gli occhi o il tono con cui lo dice. 

Riesco a vederla tra qualche anno ad una recita, con un vestito verde, le braccia forti. Il sorriso grande, mentre si alza e fa più casino di tutti. Una madre fiera. Non una madre morta.

 

Poi si gira, mi sorride e mi allunga quel piccolo essere umano, il cui sesso non mi è ancora chiaro.

 

<< direi di no, se poi mi cade?>> sono un po’ terrorizzata all’idea.

<< sempre ottimista tu ?>> è lei, il suo tono ironico.

Le sorrido 

<< Tu sempre in fuga, mi dicono invece ?>> 

<< sempre>> lo dice ridendo.

Senza rendermene conto mi ritrovo con quel fagottino in braccio.

Le ciglia lunghe castane, le manine chiuse a pugno pronte a sfidare il mondo. Il. Braccialettino, rosa. Nata tre giorni prima. Guardo Eva che mi sorride.

Il giorno del nostro anniversario. Poi leggo il nome. Una lacrima mi riga il viso.

 

Frida.

 

Frida, dai capelli rossi.

Frida, promessa di vita.

Frida, come il nostro amore.

 

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Capitolo 16
*** TEMPO ***


MAEVA 
 
L’ho lasciata andare, l’ho lasciata.
Non potevo pensare di tenerla legata a me, non così. Voglio che abbia una vita piena, felice, non la voglio vedere al mio funerale se mai non dovessi farcela. Non voglio che si senta obbligata a crescere Frida, anche se chiudendo gli occhi riesco ad immaginarla dipingere insieme a lei, mangiare la cioccolata insieme.
Riesco ad immaginarci sedute al nostro bar tutte e tre in una giornata fredda.
Frida che salta sul letto alle otto del mattino, Frele che si gira dall’altra parte implorandola di smetterla.
Il primo giorno di scuola, la prima gita, il primo 10, il primo 3. Riesco a vederci crescerla: il primo amore, il primo bacio, la prima notte passata in bianco perché “Mamme dai la disco chiude alle quattro”.
La vedo madre, la vedo con qualche ruga mentre invecchia, bellissima. La vedo in carriera e felice. Ci vedo vecchie piene di nipoti intorno.
Poi apro gli occhi.
Mi vedo allo specchio.
Calva.
Magra e piena di lividi.
Il fantasma della donna di cui si era innamorata.
Lei non merita questo. Anche se dice che mi ama comunque. Io proteggo quello che amo e io amo lei e lei deve essere protetta da questo.
Le lacrime mi rigano il volto.
Buona fortuna Elena. Buona vita.
Chiudo gli occhi e spero che la vita mi conceda tempo. Tempo per vivere. Tempo per crescere Frida. Tempo sufficiente per ritrovarla. Tempo per riaverla. Tempo per amarla, per sempre.  

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Capitolo 17
*** CANDELINA ***


ELENA 
Mi sveglio, in un letto che non è il mio. Nuda. Con i vestiti sparsi sul pavimento.
La testa mi gira un po’, probabilmente colpa dell’alcol di ieri sera. Mi giro e vedo Stefania, la ragazza del terzo piano, con cui sono uscita ieri sera. I ricordi si fanno più nitidi.
Il bar 
I navigli 
Il sesso. Casuale.
I suoi capelli blu, che mi hanno folgorata, fatto perdere il senno, quando ho capito che non mi sarebbe piaciuto ormai era troppo tardi, così ho finto l’orgasmo. Sono diventata così brava a fingere che qualche volta ci credo anche io.
Nella mia testa Gazzelle canta:  
 
Ho visto un sacco di, un sacco di lunedì
Venirmi sotto le mani addosso, il naso rotto
E la voglia di, voglia di, voglia di
Voglia di drink e di venerdì
Per non vederti più dentro gli occhi blu
Di una sconosciuta dentro il letto mio che non sei tu
Che non sei tu

 
Maeva. Stefania. Stefania. Maeva.
 
I giorni passano, passano, passano
E tu non torni qui

 
 
Quante volte l’ho immaginata, mentre baciavo altre.
 
Si gira nel letto e mi sorride.
 
<< Buongiorno >> le dico. Falsa.
Mi bacia. Dolce.
Nausea.
 
<< che bella bambina, chi è ?>> mi chiede guardando il salvaschermo.
<< mia nipote >>. Non ho fratelli o sorelle.
<< io adoro i bambini con i capelli rossi >> io solo quella del salvaschermo.
 
È la sveglia del cellulare a salvarmi. A ricordarmi che ho dieci persone che mi aspettano al lavoro, che si aspettano che dia loro indicazioni, che le guidi. Domani esce un video, dobbiamo  sistemare le ultime cose. 
Sono di fretta.
Scappo a casa, due piani sopra. 
La giornata scorre veloce come un fulmine, non ho tempo di pensare, di guardare il telefono, di mangiare.
 
Sono le dieci, quando seduta sul divano con una tazza di the fumante, mi ritrovo a fissare lo schermo, il mio telefono, la data. I sensi di colpa.
Mi sono dimenticata che giorno è oggi.
Cerco per casa un pezzo di dolce, una merendina, del gelato. Niente.
Scendo in pigiama al Carrefour 24/24 sotto casa, prendo la torta al cioccolato più cara che trovo e poi torno a casa.
Prendo dal cassetto la tovaglia rosa, sistemo la torta.
Accendo la candelina che ho messo al centro. La lascio lì un po’, ho troppi desideri da esprimere.
Chiudo gli occhi. Posso vederla correre, ridere, saltare. I capelli rossi non troppo lunghi. Avrà già incominciato a parlare.
 
Così esprimo solo il desiderio che sia viva, felice. Tra le braccia della sua mamma. Dovunque esse siano. Con chiunque siano.
 
Buon primo compleanno Fridu. Vorrei essere lì con te.
Buon anniversario amore. Qualcosa in me mi dice che tu sei ancora qua, anche se non so più nulla di te. Anche se sei scomparsa dalla mia vita.
 
Una lacrima spegne la candelina.
 
   
 

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Capitolo 18
*** GRATULERER MED DA'N ***


La guardo che ride senza paure, i capelli rossi e già ricci al vento, il vento freddo della Norvegia. 
Traballante verso il mondo, quello che se potessi vorrei regalarle.
È volato il tempo, sembra ieri la prima volta che me l’hanno messa tra le braccia, ed invece sono già passati due anni.
Frida oggi ha due anni e io prego tutti i giorni che il tumore non torni più. Stanno cominciando a ricrescermi i capelli. 
Sono affamata di tempo.
Due anni dall’ultima volta che ho visto la prima Frida della mia vita. Non c’è giorno che non pensi a lei, non c’è giorno che pensandola non mi impazzisca il cuore. Lei merita di più. I sogni, i viaggi, una vita semplice. 
Io tutto questo non glielo posso dare. Non gliel’ho mai potuto dare.
Quando sono scappata la prima volta, in Norvegia, il tumore c’era già. Quando sono tornata sapevo sarei andata in contro alla chemio. Non avrei mai dovuto cedere ai suoi occhi.
Ma come fai a non cedere davanti a qualcuno che ami?
Come fai a non concederti un altro tempo? 
Come fai a non illuderti tutte le volte che “sarà la volta buona questa?” 
Come. 
La amo ancora. Non ho mai smesso. Ma so che è la cosa giusta. L’unica foto che ho tutte e tre insieme è sul mio comodino, in una cornice arcobaleno, con la testa di unicorno. L’avrebbe scelta così lei.
Eppure certe sere, chiudendo gli occhi, riesco a vederci vecchie circondate da nipoti. Ci vedo a fare la spesa. A litigare, per poi siglare la  pace facendo l’amore. 
È l’unica cosa che mi è rimasta l’immaginazione.
 
Guardo la mia bambina, il mio miracolo, sporcarsi la faccia di torta al cioccolato. Nel suo vestito azzurro da Elsa. 
Circondata da sorrisi. Amichetti, tutti troppo biondi. Tutti che cantano in maniera più o meno stonata: 
 
Gratulerer med da'n 
Gratulerer med da'n 
Gratulerer kjære Frida  
Gratulerer med da'n

  
Lei che ride e mi guarda. 
Lei la mia eredità a questo mondo. 
Nata il giorno perfetto. Il mio giorno dell’amore. 
In questa fredda Norvegia, ho cercato l’unico parco che avesse almeno un albero di ciliegio. Siamo in primavera, sta fiorendo. 
Mi ricorda Parco Sempione. Lei e il suo sorriso in primavera. Quello che mi ha fatto innamorare di lei.  

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Capitolo 19
*** UN LIBRO, LE LACRIME, L'AMORE ***


ELENA: Sto camminando nel reparto libri del centro commerciale sotto casa alla ricerca di un nuovo libro da leggere, possibilmente non d’amore.
Saggi 
Romanzi 
Classici 
Libri per bambini. 
C’è pubblicizzato un libro tutto colorato. Con il disegno di una bambina che corre al vento con un aquilone.
Si intitola “ovunque l’amore sia, tu cercalo nel cuore” 
Un titolo ridondante, ambiguo. Ma a quanto pare molto bello visto l’unica copia rimasta.
Così incuriosita, leggo il retro.
 
“come spiegare ad un bambino una perdita” 
 
Insomma, questo è un libro a misura di bambino, scritto in realtà per adulti.
Lo sfoglio e la magia si sprigiona: frasi brevi. 
Colori accesi. 
Disegni perfetti. 
Poi quell’immagine che conosco troppo bene. 
Luna. Il gatto di Eva.
La protagonista è una bambina con i capelli rossi. Frida.
La madre della bambina ha i capelli corti rossi. Eva. Guarita.
Scorro le pagine. Torno alla copertina.
Il suo nome. Unica autrice. I capelli corti, di un rosso ancora acceso. Quel sorriso da far impallidire ogni stella di questo universo, abbracciata a lei una sua piccola fotocopia, con i suoi occhi verde blu. Frida. Bellissima.
La mia Frida.
Mi siedo sul bordo dello scaffale con le gambe che tremano.
La mia Frida. La mia Eva.
Lo risfoglio quel libro, di nuovo. 
Alla dedica il cuore si ferma.
“a te ragazza senza nome, che mia donato il primo battito del cuore, a te che te lo sei tenuto, portandotelo via. Alla tua assenza non ci sarà mai rimedio.” 
“ a Frida che mi ha insegnato a contare i fili d’erba, ma solo quelli con la rugiada.” 
Lascio che un sorriso faccia capolinea sul mio volto. Mischiato alle lacrime.
Ho comprato il libro.
Eva ha scritto un libro.
Ho chiamato in Norvegia.
 

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Capitolo 20
*** FREYA ***


ELENA … qualche inverno dopo 

 

Sono seduta al solito bar, il solito posto, ma la mia vita non è più la stessa. Soffio la quarta candelina su una torta al cioccolato troppo piccola per il mio stomaco.  Frida ha quattro anni. Maeva non ha mai risposto a quella chiamata.

Frida ha quattro anni e la mia vita è andata in una direzione che mai mi sarei aspettata.

Ho fatto carriera nell’editoria e dirigo la sezione “ libri per bambini “ di una nota casa editrice. Non scrivo più. Ho un libro mai finito nel cassetto. 

Io e Beatrice, la migliore amica di Eva siamo diventate molto amiche, ma il nome di Eva non esce mai.

Non mi sono mai più innamorata, ma sono andata a convivere con Daniele, un cantante indie emergente.

Bea dice che me lo scopo solo perché l’indie mi ricorda Eva.

Ho la foto del terzo compleanno di Frida come salvaschermo, le persone hanno smesso di fare domande. Dicono che l’amore arrivi sempre prima o poi, chissà se a lei è mai arrivato il mio. Chissà se Eva le ha mai raccontato di me. Il suo libro ha fatto successo, anche i due dopo. 

In questi anni questo posto non è mai cambiato, io non ho mai cambiato tavolo e neanche ordinazione, così insieme alla torta arriva la cioccolata ed una mail dal lavoro.

Le mani mi sudano.

Bea mi chiama. Sta arrivando.

Il cuore mi batte un po’ più forte.

Il tempo che si ferma un po’.  Il sorriso nervoso di Bea.

Un caramel macchiato.

<< Ele come ti senti ? È imbarazzante lo so>> 

<< È il lavoro>> rispondo o forse mento.

<< Non è solo  lavoro. Non questa volta >> bea che mi uccide con lo sguardo, forse per cercare di capire cosa provo.

<< Tanto cosa vuoi che succeda, mi hai guardata>>

Ride.

<< guarda che puoi scopare comunque >> ride ancora 

<< Il treno dell’orgasmo non passerà di qui e poi fino a prova contraria chi ti dice che ….>> 

Non mi fa finire la frase 

<< Io lo dico, io, dopotutto ho scopato con tutte e due, vi conosco no? Siete le mie migliori amiche >> 

Faccio una faccia schifata, al ricordo di noi due nello stesso letto.

<< non avevi quella faccia schifata ….dopo il terzo orgasmo >> 

<>

Scoppiamo a ridere.

Il tempo vola, tra una chiacchiera e l’altra è già ora di salutarci.

Metto il cappotto, allaccio i bottoni velocemente, rallento sulla pancia, già troppo grossa per non fare già fatica. 

Daniele è sparito quando lo ha saputo. Non l’ho pregato di rimanere. Va bene così.

È una femmina. Freya. Come la dea celtica dell’amore.Celtico come il nome di Maeva. Di una dea dell’amore, come Afrodite madre di Elena. Freya che suona bene con Frida.

 

L’aria fuori è fredda. Mi dirigo verso l’ufficio. Devo curare l’edizione italiana di un libro per bambini.

La Fata dai Capelli Rossi. Il terzo libro Di Eva

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Capitolo 21
*** OCCHI ***


MAEVA… NORVEGIA… 

 

Sono seduta in questa caffetteria in attesa del mio editore italiano, Frida è con me, giocherella con  la cannuccia del suo succo alla pera. L’inverno è arrivato e stare all’aperto è sempre più difficile, fa buio molto presto ed il sole sorge molto tardi in questo periodo dell’anno, Natale è quasi alle porte, ma il mio regalo è arrivato in anticipo, il mio libro è stato pubblicato in 20 paesi e il 21 è l’Italia; avrei preferito fosse una casa editrice più piccola a pubblicarlo, ma questa era la condizione per fare arrivare nella mia terra il mio lavoro. 

Mi tremano un po’ le mani dall’agitazione, guardo Fridu che colora un disegno prestampato. È bella, con i suoi capelli in disordine e quel sorriso leggero che ha sempre disegnato sul volto.

Ha cominciato a nevicare fuori. 

La neve e gli infiniti ricordi che porta con sé.

La mia manager mi scrive che la curatrice dell’edizione italiana sta arrivando ma, che non ricorda il nome.

<< è mora >> mi dice.

“ Capirai” 

Parla, parla, parla e poi conclude 

<< dimenticavo … è incinta>> 

Guardo l’orologio. Manca ancora un’oretta, ho il tempo materiale per preparami a parlare nuovamente in italiano con qualcuno che non sia mia figlia.

Tra un disegno e l’altro scorre il tempo.

Mancano 10 minuti all’appuntamento quando sento 

<< Frida>> 

Non alzo gli occhi. 

È impossibile. 

Non può essere.

Inginocchiata davanti a Frida che le sorride. Ha gli occhi lucidi. Ha gli occhi solo per lei. 

Il cappotto chiaro.

Le guance arrossate.

I capelli sciolti spettinati dal vento.

La sua pancia.

Frida che non smette di sorriderle, Frida che le parla. Frida innamorata, come se si conoscessero da una vita, come se l’amasse da una vita.

Bea dice che l’amore trova sempre il modo di arrivare.

Loro le mie Frida. Loro che mi hanno insegnato ad amare.

 

I nostri occhi si incontrano. Una lacrima riga le nostre guance. Le sorrido. Ricambia con un po’ di fatica.

<< bella pancia>> 

Vorrei potermi rimangiare quello che ho detto.

<< grazie, si chiama Freya>> 

Si siede di fronte a me. Lei Parla, parla, parla parla e io la guardo, la guardo, la guardo.

<< mi fido di te, Fridu>>

Il silenzio.

Mi scuso in qualche modo. scuote la testa, ma il suo sguardo va lontano.

<< avremmo potuto affrontare il mondo noi tre insieme >> 

Noi tre. Lo dice con un filo di voce.

<< a venti anni meritavi una vita spensierata>> 

<< fanculo Eva, spettava a me decidere, scegliere. Io avrei scelto te, voi>>

<< Tu avevi mille possibilità, sei brillante, guarda dove sei arrivata, cosa hai fatto >> 

<< cosa intendi ? Essermi scopata la tua vicina di casa, la tua migliore amica, essermi fatta mettere incinta da uno stronzo che poi è scappato alle Hawaii, con la prima che  passava? >> 

Le mani tremanti, la voce.

Si alza, a fatica. 

Strige Frida a se.

Frida tra le braccia di Frida. 

Ci rincorriamo giù per le scale.

La neve fuori. 

Riesco a raggiungerla.

<< Ele>> 

<< Fanculo >>

Non mi guarda.

<< Ele guardami, ti prego >> 

La guardo andare via. Frida mi ha raggiunta.

Poi il tempo rallenta.

Elena che si accascia sulla neve.

Elena che si accascia sulla neve. 

Elena sudata tra le mie braccia.

Elena tremante.

Un’ambulanza. 

Frida che mi guarda.

Frida che chiude gli occhi.

Il tempo che si ferma.

 

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Capitolo 22
*** TUTTA LA VITA ***


ELENA
 
Guardo fuori dalla finestra la neve ha ripreso a cadere, mi fa male ogni singola molecola del mio corpo, vorrei riuscire a dormire almeno un po’, ma a quanto pare è una sensazione comune in questo corridoio. Sonno è l’unica richiesta che abbiamo. Negata per cause di forza maggiore.
L’infermiera mi guarda cercando di capire di cosa io abbia bisogno. Indico che mi fa male la testa, mi mette due gocce nel bicchiere intimandomi di bere e poi se ne va.
La testa si fa pesante e prendo sonno.
 
 
Qualche ora dopo….
 
Risate 
Passi di bambino.
Apro gli occhi e ci sono due occhioni blu ridenti che mi fissano.
I miei occhi blu preferiti. 
Mi stampa un bacio umido sulla guancia.
Chiudo gli occhi un istante e sento una mano che mi accarezza la testa. Non li apro, pregando che quell’istante duri in eterno. Eva. 
Li riapro, solo per farli incontrare con i suoi. Sorride.
<< Come stai Frele?>> 
Era una vita che non sentivo pronunciare quel nomignolo.
 
<< Ni>> 
<< mi hai fatto prendere un cazzo di colpo cogliona lo sai?>> 
<< scusa, io…>> 
<< vaffanculo Elena>>
<< la bambina, Maeva >> ci stuzzichiamo, sapendolo di farlo.
<< la bambina non sente, Elena>>
<< da quando mi chiami Elena>> 
<< da quando ti scopi gli uomini e ti fai mettere incinta dal primo stronzo che passa, solo perché ti a dedicato una canzone? che se vogliamo dirla tutta fa anche molto cagare>>
 
Maledetta Bea. 
 
<< da quando non rispondi al telefono ?>> cerco di incalzarla, sperando di fregarla.
<< da quando ti amo, cioè da sempre>>.
Colpita e affondata.
 
<< non potevo rincorrerti>> 
<< non volevo fermarti>>
Il silenzio.
 
Sento rumore di ruote.
Il tempo che si fa veloce e io che non riesco ad afferrarlo, in meno che non si dica  di fronte a me mi ritrovo l’opera d’arte più splendente della Storia. Un sogno ad occhi aperti.
Le mani di Eva tremano un po’per l’emozione. 
L’espressione di Stupore di Frida. Lo sguardo concentrato.
Eva mi guarda, due lacrime le rigano il volto. I suoi occhi ritornano a parlarmi, come la prima volta in quella caffetteria.
Il suo sguardo che posa nello stesso punto del mio.
Le sorelle Kahlo una tra le braccia dell’altra, per la prima volta. 
I capelli rossi di Frida.
Quelli corvino di Freya Indie.
Indie lo ha scelto Eva, avevo scritto solo Freya, Indie lo ha aggiunto lei. 
È nata in una notte di neve, su un’ambulanza, in Norvegia, tra le braccia della donna che le cantava “Troppo Forte” dei Viito mentre veniva al mondo. 
Sembrava perfetto.
Abbiamo “ Tutta la  Vita” davanti per capire cosa ci riserverà il futuro, ma stasera, va tutto bene. 
 

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Capitolo 23
*** LEI ***


MAEVA

<< Mi spieghi perché stai facendo la valigia?>>

 

<< oggi la dimettono dalla TIN, prendo il volo per domani per Milano >>

 

<< Tu non prendi nessun cazzo di volo domani, ha passato tre mesi in Terapia intensiva e tu vuoi fare passare a tua figlia il primo giorno di libertà in un aeroporto pieno di germi?>> mi guarda schifata.

Ho colpito nel segno.

 

<< non posso accamparmi ancora a casa tua>> lo sguardo stanco e orgoglioso come sempre.

 

Ci ho messo giorni a convincerla a non affittare casa, che a casa mia ci stavamo, che sarebbe stato meno faticoso andare avanti e indietro sei volte al giorno.

 

Nonostante le occhiaie è bella. Stanca, ma bella.

 

<< tiro fuori il lettino di Fridu >>

<< un paio di…>>

<< non rompere il cazzo>>

 

Si siede sul letto.

 

<< forse dovrei dire a mia madre che è nata>>

 Strabuzzo gli occhi.

<< tua madre non sa che è nata?>>

Scuote la testa  << Mia madre non sa niente di me da quando ha scoperto di te>>

 

<< pensavo che la tua conversione ai testicoli avesse aiutato >> ride 

 

<< mica gliel’ho detto >>

<< perché ? >>

<< non ero convinta io, come potevo convincere lei>>

 

Suona il telefono. Una videochiamata, da Bea.

 

<< Scopatrici seriali, buonasera!!!!!>> 

Frele la fulmina con gli occhi ma poi ride.

<< Bea ti sembra il caso?>> dico cercando inutilmente di fare la seria.

<< che cosa ci sarebbe di male? Dopotutto mica è una novità>>

Frele si butta indietro sul letto sconsolata.

<< ma se questa voleva partire domani, manco il tempo di rivestirci abbiamo>>

Mi tira un calcio.

Bea ride.

La connessione si interrompe. Maledetta neve.

 Mi butto sul letto anche io. 

I nostri occhi si sfiorano per qualche secondo.

<< che cazzo vai a dire a Bea che poi si fa i film>> 

<< quali film?>> la provoco, sapendo di innervosirla.

<< lo sai quali film>>

 

Faccio finta di pensare. Poi vado all’attacco e le faccio il solletico. 

Ride, ride, ride.

Finiamo abbracciate, in un lato del letto.

Rimaniamo così, in silenzio, con la sua schiena contro il mio cuore. Il mio viso nell’incavo tra la sua spalla e il suo collo. 

La sento rilassarsi un po’.

Sento di essere nell’unico posto che sento veramente casa. 

Lei.

 

 

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