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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO
“Jarvis”
Tony respirò a fondo parlando con la sua intelligenza artificiale e controllò
l’ora mentre l’intero team metteva piede fuori dal jet, alla Stark Tower.
“Rileggimi la lista degli invitati alla nostra... bisboccia” mormorò fissando
Thor con un sorriso divertito.
“Certo
signore: ci saranno tutti gli Avengers al completo, l’Agente Maria Hill, la
dottoressa Helen Cho, Rudy, Sam e...” si fermò e Tony corrugò la fronte
perplesso. “Signore, non siamo soli in casa. C’è qualcuno al bar della sala
grande, oltre all’Agente Hill.”
Stark
scambiò una rapida occhiata con gli altri, lo scudo di Steve già in posizione,
il martello di Thor saldo nella sua mano, Natasha e gli altri sulla difensiva,
quasi come se stare sempre all’erta fosse la normalità. Cioè, nel loro mondo lo
era, ma stava diventando frustrante quel senso di continua insicurezza, di
paura.
“Agente
Hill?” urlò il Capitano guardandosi intorno, chiedendosi se stesse bene o se
invece le fosse successo qualcosa. Sperava di no, perché non ne poteva più di
perdere le persone a lui vicine: prima Bucky, poi Peggy... e ad ogni missione,
ad ogni lavoro, rischiava di perdere qualcun altro. La morte di uno qualunque
dei componenti di quello strampalato team lo avrebbe distrutto; erano i suoi
amici, la sua famiglia. Tutto ciò che aveva, tutto ciò che poteva sperava di
avere.
“Siete
tornati!” esclamò proprio Maria facendo capolino dal soppalco. “Non vi avevo
sentiti, mi ero distratta.”
Ci
fu un sospiro di sollievo generale, poi Tony corrugò la fronte. “Distratta?”
E
un altro viso fece capolino, le labbra piegate in un sorriso e gli occhi pieni
di luce, come sempre. “Stavamo bevendo qualcosa insieme” disse la voce che
apparteneva a quel volto. “Colpa mia.”
Stark
scosse il capo chiudendo gli occhi per un attimo, quando li riaprì gli sguardi
di Thor, Banner e del Capitano erano fermi su di lui mentre Natasha e Clint
salutavano allegri. “Lidya” le disse. “Che piacere!”
La
donna ridacchiò avvicinandoglisi. “Prova a ripeterlo con un po’ più di
convinzione magari” gli disse. E senza aspettare risposta volse lo sguardo
verso i tre che non conosceva. “Dottor Banner, è un piacere incontrarla. Il suo
lavoro mi affascina da sempre. Tu devi essere Thor invece, figlio di Odino e
potente Dio del tuono.”
Lui
sorrise, un sorriso fiero e felice. “Sono proprio io.”
Lidya
poggiò gli occhi sull’ultimo rimasto. “Capitano Rogers!” lo salutò.
“Incontrarla è un vero onore per me. Lei è un eroe” allargò le braccia. “Tutti
voi lo siete, persino tu” disse guardando Tony.
Il
padrone di casa fece un sorriso che sembrava forzato ma che in realtà era mosso
da un sentimento sincero: Lidya era una delle poche vere amiche che aveva e
avevano in comune più di quanto gli piacesse ammettere. Era una donna bella e
in gamba, che non si era mai data per vinta nonostante gli ostacoli che la vita
le aveva messo davanti.
Era
una persona di buon cuore, straordinaria. Ma Tony, ovviamente, teneva questi
pensieri per sé, per non rovinare il loro rapporto fatto di amore e odio e
battute sarcastiche e gare a chi riesce ad avere l’ultima parola.
“Signori”
disse raggiungendo il bar, gli altri lo seguirono, “lasciate che vi presenti
Lidya Abel, un’amica. Ex agente dello Shield e ora a capo di un’agenzia di
sicurezza che ha messo su dal nulla.”
“Molto
lieto” rispose Steve finalmente rilassandosi.
“Allora”
mormorò Tony versandosi da bere. “Qual buon vento ti porta qui, Lidya?”
“Non
hai risposto alle mie telefonate e così sono venuta di persona. Se avessi
risposto non sarei piombata qui senza preavviso.”
“Le
tue telefonate... giusto” lui si mise a sedere sul divano. “Sono stato un po’
impegnato, come sai faccio parte degli Avengers e noi salviamo il mondo un
giorno sì e uno no. A volte non ho davvero tempo per le telefonate.”
Lidya
rise facendo spuntare due fossette sulle guance, una era più profonda
dell’altra, notò Steve e si chiese perché mai lo avesse notato. Si mise a
sedere e la guardò incuriosito, ignorando lo sguardo di Natasha su di sé.
“Lo
so, Tony” replicò la donna. “Non fai altro che ripeterlo, sappiamo tutti che
sei un eroe, non c’è bisogno di ricordarlo ogni tre parole. Vero Jarvis?”
“Il
signor Stark va molto fiero del suo lavoro con gli Avengers” rispose
l’intelligenza artificiale. “A ogni modo, è un vero piacere rivederla signorina
Abel. Ha un aspetto meraviglioso, se posso permettermi.”
“Grazie
Jarvis, sei gentile come sempre. Proprio non riesco a capire come un tizio come
Tony abbia potuto creare un gentiluomo come te.”
“Grazie
signorina Abel.”
Clint
rise scuotendo il capo. “Un’intelligenza artificiale che flirta con una donna.
E io che credevo di averle viste tutte.”
Lidya
respirò a fondo. “Alcuni dei miei agenti stavano lavorando alla sicurezza di un
edificio ultra tecnologico, la Danvers Tec Industry” disse.
“La
conosco” intervenne Banner pulendo le lenti degli occhiali con un lembo di
camicia. “Sono nuovi in città.”
“Sì”
Lidya tirò fuori dalla sua borsa una pen-drive che inserì nel computer poggiato
sul tavolo. “Ti dispiace mostrare il contenuto della pennetta anche agli altri,
Jarvis?”
“Con
vero piacere signorina Abel” replicò lui e lo fece. I presenti si trovarono di
fronte ad alcune immagini, filmati estrapolati da una telecamera. C’erano
macchine ovunque, lei non ne capiva molto ed ecco perché aveva deciso di
rivolgersi a Tony. Conosceva il potere della tecnologia, Stark ne era un
perfetto esempio, sapeva che nelle mani sbagliate avrebbe prodotto soltanto
caos.
“Cosa
vuoi sapere esattamente?” le chiese Tony fissando le immagini scorrergli
davanti agli occhi.
“I
piani alti dell’azienda dicono che questi macchinari servono per creare
materiali di ultima generazione capaci di resistere praticamente a qualunque
cosa; metalli ultraresistenti per costruire edifici, o qualcosa del genere.
Forse sono paranoica ma non me la sono bevuta e così ho chiesto ai miei di
recepire quante più informazioni possibili. Una volta visti i filmati però, mi
sono resa conto che non ne capisco molto di queste... cose. E così eccomi qui a
chiederti se, secondo te, davvero questi macchinari servono a quello.”
“Credi
che potrebbero usarle per costruire armi?” domandò Thor.
“Credo
che la prudenza non sia mai troppa, non di questi tempi almeno” spiegò Lidya.
“Voglio solo saperne di più.”
“Potremmo
fare un sopralluogo” propose Steve. “Per vedere da vicino” spiegò guardando la
donna per un istante.
“Potremmo”
Tony annuì. “Oppure potremmo lasciare che Jarvis controlli tutti i dati
presenti su questa pennetta, prima di fare qualunque mossa. Possiamo aspettare
domani?”
Lidya
annuì. “Sì. Solo metà dell’edificio è pronto, quindi abbiamo un po’ di tempo.
Grazie Tony” gli sorrise, ma qualcosa nei suoi occhi era cambiato. “Scusate il
disturbo e piacere di avervi conosciuto” disse guardando il Capitano, Thor e
Banner. “A tutti gli altri, piacere di avervi rivisto.”
“Piacere
nostro” la salutò Banner con la mano, mentre Maria la accompagnava
all’ascensore. Gli occhi di Steve si fermarono su di lei mentre andava via,
proprio non ne volevano sapere di guardare altrove. E la cosa non sfuggì a
Natasha e Tony.
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Capitolo 2 *** 1. ***
1.
Steve
non riusciva a togliersela dalla testa e non sapere perché stava iniziando a
renderlo nervoso. Non era una questione fisica – anche se doveva ammettere che
era una donna incredibilmente bella – era qualcosa che andava oltre e che stava
facendo fatica a identificare. Respirando a fondo sciolse le bende che gli
avvolgevano le mani e bevve un lungo sorso d’acqua da una bottiglietta. Rimase
in silenzio, ascoltando i suoni intorno e quando fu sicuro di essere solo si
schiarì la voce.
“Jarvis”
chiamò mettendosi a sedere su una delle poltroncine che Tony aveva fatto
sistemare in quella grande stanza che fungeva da palestra. “Ho bisogno di
chiederti un favore.”
“Qualunque
cosa le serva, Capitano.”
Steve
sorrise. “Potresti dirmi tutto quello che sai su Lidya Abel?”
“Certamente”
nel bel mezzo della stanza comparve una specie di proiezione, la foto di Lidya
in alto a sinistra in quello che sembrava un curriculum, o qualcosa del genere.
“Lidya Abel, nata il 26 Gennaio del 1983 a New York. Figlia unica, è stata
cresciuta dal padre e non ha mai conosciuto la madre. Il padre, Edward Abel era
un avvocato piuttosto rinomato, morto in una sparatoria in Tribunale quando
Lidya aveva diciotto anni. A diciannove anni è stata reclutata dallo
S.H.I.E.L.D, dal direttore Fury in persona, e grazie alle sue abilità da
combattente e alla sua grande maestria con le armi, è diventata presto una
delle predilette dell’intera organizzazione. Si è dimessa cinque anni fa, dopo
undici anni di onorato servizio.”
Steve
annuì mettendosi in piedi. “Non si sa niente della madre?”
“Poco
o nulla. L’unica cosa certa è che non fosse di queste parti.”
“Che
altro puoi dirmi?”
“Lidya
è una donna di buon cuore: fa parecchia beneficienza e molto spesso si reca
presso gli ospedali pediatrici per passare del tempo con i bambini. Non ha
molti amici e ha una grande passione per la lettura. Adora il caffè ed è,
praticamente, l’unica capace di tenere testa al signor Stark senza farlo andare
su tutte le furie.”
“Sì,
l’ho notato” Steve ridacchiò. “Sai come rintracciarla?”
“Un
attimo, Capitano” calò il silenzio per un istante, poi Jarvis parlò di nuovo. “In
questo momento si trova al Belmondo Cafè. Posso darle l’indirizzo se vuole.”
“So
dove si trova. Grazie, Jarvis. E per favore, avvisami se dovesse muoversi,
okay?”
“Sarà
fatto! Capitano?”
“Sì?”
“Posso
chiederle perché è così interessato alla signorina Abel? Non si fida di lei
forse? Perché se è così posso assicurarle che può farlo.”
“Sono
solo curioso, c’era qualcosa nel suo sguardo quando se ne è andata via l’altro
ieri... voglio solo capirne di più.”
“Capisco.”
“Jarvis,
pensi di poter tenere il segreto?”
“Sono
una macchina e obbedisco agli ordini del signor Stark. Suppongo quindi che se
lui non mi chiederà nulla al riguardo, allora non dirò nulla.”
Steve
piegò le labbra in un cenno di assenso. “Grazie.”
“Prego,
Capitano.”
***
Lidya
stava bevendo una tazza di caffè macchiato quando una figura alta le si era
sistemata davanti coprendo il sole. Socchiudendo gli occhi, alzò lo sguardo per
vedere di chi si trattasse e sorrise sorpresa. “Capitano Rogers, buongiorno.
Che sorpresa!”
“Signorina
Abel” lui ricambiò il saluto. “Passavo da queste parti e l’ho vista seduta qui.”
Lidya
si alzò con grazia, scoprendo un vestitino chiaro che la fasciava come un
guanto. “La prego, si sieda.”
“Ti
prego” le disse lui prendendo posto, ma solo dopo che lei tornò a sedersi, “chiamami
Steve. Darsi del lei è una cosa che non va più di moda, pare.”
La
donna ridacchiò e di nuovo Steve notò quella fossetta profonda sulla guancia. “Sì,
anche se Dio solo sa quanto avremmo bisogno di un piccolo ritorno al passato.
Alle abitudini quantomeno” annuì mescolando il caffè. “Vuoi qualcosa da bere?
Lasciami indovinare!” esclamò senza lasciargli tempo di rispondere. “Tè con un
po’ di latte e senza zucchero.”
Steve
sorrise. “Sei sempre così brava a capire le persone?”
Lei
si strinse nelle spalle facendo cenno alla cameriera. “Ci provo” ammise facendo
la sua ordinazione. Lo indicò con un dito. “Carino il cappello da baseball.”
“Provo
a mimetizzarmi” le spiegò l’uomo. “La gente tende a... esaltarsi quando mi
vede. Non mi piacciono molto le attenzioni e così provo a passare inosservato.”
“Beh,
non credo che sia così facile. Sei piuttosto difficile da non notare. Cappello
o no.”
Steve
non ne aveva idea, ma quello gli sembrò un complimento, o almeno così credeva.
Ringraziò la cameriera per il tè e ne bevve un sorso. Pensò che era arrivato lì
per fare specifiche domande e soddisfare la sua curiosità, ma da quando lei lo
aveva guardato non era riuscito a fare altro che parlare tranquillamente.
Chiacchiere senza senso che però in qualche modo lo rincuoravano. Forse, si
disse, non c’era niente da scoprire: Lidya era quello era. Una bella donna,
aggraziata e dolce. Probabilmente aveva qualche segreto, ma lo avevano tutti,
no?
“Coraggio,
chiedi pure” gli disse lei guardandolo. “Lo vedo che muori dalla voglia di
domandare qualcosa. Non ho segreti e non ho filtri, quindi fai la tua domanda.”
Il
Capitano si schiarì la voce. “Perché hai lasciato lo S.H.I.E.L.D?” le chiese,
anche se non gli importava molto. Era semplicemente la prima cosa che gli era
venuta in mente.
“Perché
non mi andava più di essere al servizio di nessuno. Lo S.H.I.E.L.D non ti
permette di avere una vita al di fuori di esso, io volevo averla e così ho
lasciato.”
Aveva
senso e infatti Steve annuì rilassandosi sulla sedia. “Voglio essere onesto con
te, ho chiesto a Jarvis di dirmi tutto quello che sapeva su di te. Ero...
curioso. Il che è bizzarro, di solito la curiosità non è una mia
caratteristica.”
Lidya
bloccò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Le informazioni che ti ha dato
non ti hanno soddisfatto a sufficienza?”
“Non
erano complete.”
“E
cosa ti piacerebbe sapere di più?”
“La
tua famiglia?”
“Mio
padre era un avvocato, ma suppongo che questo Jarvis te lo abbia detto. Quindi
la vera domanda qui è che mi dici di tua madre? Giusto?”
“Giusto”
l’uomo accennò una risata.
“Mia
madre non era di queste parti.”
“È
quello che ha detto anche Jarvis.”
“Sì,
lo immaginavo” Lidya si alzò e indossò la giacca. “Vorrei poter rimanere e
dirti quello che vuoi sapere, ma ho un appuntamento di lavoro. Magari possiamo
finire questa conversazione stasera, alla... bisboccia che farete a casa di
Tony.”
“Tony
ti ha invitata alla festa?”
“No.
Forse l’hai appena fatto tu?”
Il
Capitano capì e si alzò in piedi. “Ci vediamo stasera.”
“A
stasera.” La donna se ne andò e, esattamente come la prima volta che l’aveva
vista, anche se voleva spostare lo sguardo, non ci riuscì.
***
Alle
otto la festa stava iniziando ad animarsi, alcuni invitati stavano ancora
arrivando, alcuni stavano già bevendo. Steve raggiunse gli altri guardandosi
intorno divertito. “Stark, spero non ti dispiaccia” gli disse. “Ma ho invitato
una persona.”
“Beh
dipende, che tipo di persona è?”
“Sembra
molto simpatica, ma tu la conosci meglio di me quindi...”
“Non
ci credo” sospirò Tony. “Ti sei preso una cotta per Lidya Abel? Sul serio? Tra
tutte le donne che ti sbavano dietro hai scelto proprio lei?”
Natasha
sgranò gli occhi sorridendo al suo amico. “Bel colpo, Capitano. Lidya è
decisamente all’altezza.”
Steve
rise scuotendo il capo. “Non è come pensate” disse loro, per poi zittirsi
quando lei fece il suo ingresso e con un sorriso felice salutò Rhodey abbracciandolo.
Era elegante, chiusa in un abito rosso che le arrivava al ginocchio, una
piccola cintura in vita metteva in risalto le sue forme. I capelli ondulati le
ricadevano morbidi sulle spalle mentre con passo aggraziato li raggiungeva.
“Però!”
esclamò Clint riportando il Capitano al presente. “Ti sei ripulita bene, Abel!”
Lei
fece un mezzo giro su se stessa. “Grazie Burton, almeno credo” volse poi lo
sguardo a Steve. “Capitano” lo salutò per poi salutare gli altri con un gesto
della mano. “Grazie dell’invito, Tony” gli disse sarcastica.
Lui
le versò un bicchiere di vino rosso. “Ci ha pensato Capitan Ghiaccolo ad
invitarti, quindi non lamentarti” le disse porgendoglielo. “E vacci piano con
lui.”
Lidya
scosse il capo. “Sono sicura che il Capitano può benissimo farcela. E comunque,
sei un idiota di prima categoria” gli disse con un sorriso. “Ma... bella festa.”
Stark e gli altri si allontanarono, ognuno prese qualcosa bere e si
sparpagliarono per la stanza. Lidya e Steve rimasero soli.
“Sei
molto bella” le disse proprio lui. “Il rosso è decisamente il tuo colore.”
La
donna si sentì avvampare ma non distolse lo sguardo. “E il blu è decisamente il
tuo” gli disse indicando la camicia. “Ora, facciamo un brindisi.”
“A
cosa?”
“Ai
nuovi amici.”
Steve
alzò la sua birra. “Ai nuovi amici.”
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Capitolo 3 *** 2. ***
2.
Lidya si
era defilata con discrezione subito dopo essere riuscita a sollevare il
martello di Thor in quel folle giro di scommesse che, ovviamente, era stato
Tony a iniziare. Gli altri l’avevano fissata incredula mentre con facilità
sollevava quell’oggetto divino. Lo aveva tenuto solo per un istante, ma lo
aveva fatto e poi, sotto gli occhi sgomenti di tutti aveva sdrammatizzato
parlando di qualcos’altro. Non era bastato però e così mentre Tony provava a
spostare l’attenzione, lei era uscita sulla piccola terrazza e si era persa
nella vista della città illuminata di notte.
Ah! New
York, bella e dannata. Proprio non se ne poteva fare a meno nonostante quel
posto le avesse regalato più cose spiacevoli che piacevoli. Bevve un sorso dal
suo bicchiere e si avvicinò al bordo allargando le braccia e chiudendo gli
occhi. Lassù arrivava un leggero vento che le fece venire la pelle d’oca ma che
la fece sorridere.
“Non
stai pensando di saltare, vero? Perché questo posto ha già visto cose fin
troppo strane, non vorrei anche il tuo fantasma in giro per la casa.”
Lidya
rise senza muoversi, respirò a fondo quando Tony la affiancò con in mano un
bicchiere di qualcosa che non seppe riconoscere. “Sarebbe divertente però” gli
disse. “Ti farei un sacco di dispetti e tu non riusciresti neppure a vedermi.”
“Ma
saprei che sei tu. Sono certo che da fantasma saresti fastidiosa esattamente
come da... viva” i due scambiarono un’occhiata, entrambi con un sorriso sulle
labbra. Quella stramba amicizia era iniziata tanto tempo prima ed era iniziata
con uno scambio di battute simile a quello che avevano appena avuto. Non era
cambiata nel corso del tempo, o meglio sì, qualcosa era cambiato, ma le
fondamenta erano rimaste quelle e lei ne era felice.
“Il
capitano sembra molto curioso di saperne di più su di te” le disse Tony
guardando per un attimo dentro casa, notando che Rogers li stava osservando
attraverso la vetrata.
“Lo
sarei anche io al suo posto” ammise Lidya. “E lo eri anche tu quando ci siamo
incontrati per la prima volta.”
“Beh sì,
avevi una particolare aura, per così dire. Volevo saperne di più.”
“E poi
quando hai saputo tutto avresti preferito non sapere.”
“No!”
Tony scosse il capo, “quando ho saputo tutto ero dannatamente invidioso. E
sorpreso anche. Poi ho scoperto che sei una spina nel fianco e l’entusiasmo è
passato.”
“Faccio
questo effetto” Lidya piegò le labbra in sorriso triste e Tony la strinse in un
mezzo abbraccio prima di voltarsi per tornare dentro. Incrociò il Capitano, che
invece stava uscendo per raggiungere la donna.
***
“Hai
sollevato il martello!” le disse fermandosi a pochi passi da lei. “Thor sta
ancora cercando di capire come hai fatto.”
Lidya si
voltò a guardarlo. “Adrenalina?” azzardò.
Steve
ridacchiò. “Il vecchio me forse ti avrebbe creduta, ma non sono più l’uomo che
ero allora, quindi... cosa sei esattamente? Un’umana con particolari abilità?”
“Possiamo
dire così.”
“E
queste abilità hanno a che fare con la tecnologia di Tony?”
“No. Non
hanno niente a che vedere con Tony.”
“Ti
hanno forse iniettato qualcosa come hanno fatto con me? O un qualche
esperimento, come Banner?”
La donna
scosse il capo. “No. Sono nata così.”
Il
Capitano le si avvicinò di qualche altro passo. “Così come?”
“Volevi
sapere di mia madre e io ho detto che ti avrei raccontato tutto. Sto per farlo,
ma dubito che mi crederai.”
“Mettimi
alla prova.”
“Mia
madre era un angelo. Quelli che nell’immaginario collettivo sono creature
misericordiose e buone con splendenti ali bianche.”
Steve
aprì la bocca per dire qualcosa ma non gli venne in mente nulla di sensato.
Lidya sembrava sincera ma... seriamente? In fondo pensò che poteva avere un
senso: se alieni e Dei esistevano, se super soldati e giganti verdi esistevano,
perché gli angeli non dovevano esistere?
“Non mi
credi, vero?” domandò Lidya. “Ovvio che non mi credi” aggiunse togliendosi le
scarpe e indietreggiando fino al bordo, a un passo dal vuoto. “Te lo mostro,
così sarà più facile.”
“No no
no, hey” le disse lui tendendo la mano verso di lei. “Cosa vuoi fare?”
“Volare”
sussurrò lei e senza attendere altro si lasciò cadere nel vuoto. Sentì la voce
di Steve urlare il nome di Thor, o forse aveva detto Tony? Non ne era sicura, e
si rilassò lasciandosi trasportare dal vento, come non le capitava da tanto. Precipitò
per diversi secondi e poi riprese a salire, fino ad arrivare di nuovo in cima.
Poggiò i piedi sul pavimento, tutti gli Avengers di fronte a lei, gli occhi
smarriti di Steve, Banner e Thor in netto contrasto con le espressioni
coscienti di Tony, Natasha, Clint e Maria.
“Sono
ali, quelle?” il dottor Banner la indicò con un dito; più precisamente indicò
una piccola reminiscenza di luce dietro le spalle della donna.
Lidya
annuì, poi si strinse la testa tra le mani. Dal suo naso venne fuori del sangue
che cadde fino in terra. Provò la sensazione più strana che avesse mai
sperimentato e sapeva esattamente cos’era. Le lacrime le riempirono gli occhi,
le mani presero a tremarle, tutto il suo corpo scosso da un brivido innaturale.
“Devo
andare” disse guardando Steve per un istante. E sparì. Le sue scarpe ancora
poggiate per terra, una sensazione di totale confusione nell’aria.
“Dov’è
andata?” domandò proprio il Capitano cercando lo sguardo di Tony e degli altri
che con Lidya avevano dei trascorsi. “Natasha?” domandò a quella che considerava
sua amica.
“Non lo
so!” esclamò lei scuotendo il capo.
“Io sì”
si intromise Maria Hill controllando qualcosa sul cellulare. “L’agente Thierry
è stato appena dichiarato morto.”
“Maledizione”
sibilò Clint scuotendo il capo.
“Chi è
l’agente Thierry?” domandò Banner.
“Ve lo
dico dopo” spiegò loro Tony. “Ora devo andare. Non voglio che Lidya rimanga
sola.”
“Vengo
con te” gli disse Natasha.
“Veniamo
tutti!” esclamò il Capitano, e il suo tono non ammetteva repliche.
***
Quando
arrivarono a destinazione, in un posto che sembrava un ospedale civile ma che
invece era una clinica segreta gestita dallo S.H.I.E.L.D, Steve e gli altri
avevano una chiara idea della situazione. Più o meno.
Thierry
Emilio era stato il partner di Lydia quando lei lavorava per l’organizzazione.
Migliori amici da quando erano stati reclutati, la carriera dell’uomo era
finita perché era stato gravemente ferito per proteggere lei. Clint aveva
spiegato loro che Thierry era un brav’uomo e che nonostante Lidya sapesse che
la sua ripresa era quasi impossibile, non aveva mai perso la speranza.
Steve
aveva ascoltato il racconto in silenzio, le parole di Clint e Natasha, che come
Tony e Maria avevano conosciuto Thierry, gli riecheggiavano nella testa mentre
percorrevano un lungo corridoio bianco e pulito. Lì, in fondo, una macchia rossa
che era Lidya, ancora con indosso il suo vestito.
Il
Capitano si fermò sui suoi passi, mentre una donna arrivava correndo dalla
parte opposta. Aveva lunghi capelli biondi, il viso bagnato di lacrime e gli
occhi pieni di rabbia. Fronteggiò Lidya con i pugni chiusi, urlandole contro
qualcosa, poi la colpì con uno schiaffò il cui rumore riecheggiò nel corridoio,
e la superò seguendo un uomo in camice bianco.
“Chi era
quella donna bionda?” domandò Thor.
“La
moglie di Thierry” lo informò Clint.
“E
perché ce l’ha con la signorina Abel?” Banner si tolse gli occhiali.
“È una
lunga storia” disse loro Natasha e senza aspettare oltre raggiunse Lidya e la
strinse in un abbraccio in cui l’ex agente si lasciò andare completamente.
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Capitolo 4 *** 3. ***
3.
Steve
bussò due volte ma non ricevette alcuna risposta così si affacciò poco con la
testa, per scoprire che dentro la camera non c’era nessuno. Con un grosso
respiro scosse poco il capo, sperando che Lidya non se ne fosse andata, perché
saperla da sola lì fuori, dopo la pessima serata che aveva avuto, gli metteva
un po’ di ansia. Non sapeva perché e forse era il caso che smettesse di
chiederselo. Quella donna gli ispirava sentimenti positivi, non c’era altro da
spiegare.
“Stai
cercando me?” sentì la sua voce alle spalle e si voltò ritrovandosela davanti.
“Avevo sete” gli spiegò sollevando il bicchiere di acqua che aveva in mano.
“Pensavo
che te ne fossi andata via” ammise lui sincero.
Lei
respirò a fondo. “In un’altra situazione forse lo avrei fatto, ma stasera non
mi andava di stare da sola. L’invito di Tony a rimanere qui per qualche giorno
è stato provvidenziale.”
“Tiene
a te, anche se a modo suo.”
Lidya
sorrise indicando la camera. “Se non ti dispiace, ora vorrei riposare un po’.”
“Certo”
il Capitano annuì. “Io sarò proprio qui fuori, nel caso avessi bisogno” si
sedette per terra e la donna lo fissò perplessa.
“Hai
intenzione di rimanere seduto per terra tutta la notte?”
“Non
è la fine del mondo” replicò Steve con un mezzo sorriso.
“Posso
cavarmela da sola, Steve. Sul serio. Vai nella tua stanza, fatti una bella
dormita.”
“Negativo!”
esclamò lui. “Sarò proprio qui fuori nel caso dovessi avere bisogno.”
“Perché?”
domandò lei, quasi esasperata. Tutte quelle attenzioni, quella preoccupazione,
la mettevano a disagio. Lei se la cavava da sola, l’aveva sempre fatto. “Non ho
bisogno di te, non ho bisogno di nessuno.”
“Forse”
rispose tranquillo l’uomo. “Ma comunque non mi muoverò da qui. So cosa si prova
a perdere il proprio migliore amico. Quando il mio è morto, per settimane ho
avuto degli incubi la notte, mi svegliavo con le immagini del suo corpo che
precipitava nel vuoto, in preda al panico ed ero da solo. E sarebbe stato bello
vedere una faccia amica in quei momenti.”
“E
tu vorresti essere quella faccia amica per me?”
“Sissignora!”
esclamò lui. “E comunque siamo in un paese libero, e questa non è casa tua:
dunque, se voglio stare seduto qui per terra tutta la notte, sono libero di
farlo.”
Lidya
bevve un sorso di acqua senza staccare gli occhi da lui. Era testardo ma era
anche molto dolce. “Vieni dentro” gli disse aprendo la porta. “Se proprio vuoi
rimanere con me, quantomeno usa una poltrona.”
Steve
sembrò titubare, ma alla fine entrò e, dopo aver richiuso la porta, si mise a
sedere su una poltrona mentre lei prendeva posto a letto. “Mi dispiace per la
tua perdita, comunque. Non te lo avevo ancora detto, credo.”
Lei
annuì poco. “Grazie” gli disse guardandolo seduto su quella poltrona bella ma
dall’aria scomoda. “Senti, perché non vieni a sdraiarti? Il letto è grande
abbastanza, prometto che non invaderò la tua parte. Ti prego.”
Il
Capitano abbassò lo sguardo per un attimo; gli sembrava terribilmente
irrispettoso anche solo pensare di andare a sdraiarsi accanto a lei, eppure
allo stesso tempo, il pensiero lo attraeva. Era combattuto ma finì per
accettare e si sdraiò supino fissando il soffitto. Lidya fece lo stesso.
“Thierry
si è preso una pallottola per me” raccontò di improvviso, in un sussurro. “Io
non sono stata una buona amica per lui, però.”
“Che
vuoi dire?”
“Avevamo
un patto io e lui. Se qualcuno di noi si fosse fatto così male da non poter
essere rimesso in sesto, in sesto per davvero intendo, l’altro avrebbe dovuto
semplicemente... lasciarlo andare. Ci eravamo dati la nostra parola, io non ho mantenuto
la mia.”
“Tu
pensavi che si sarebbe ripreso.”
“No”
Lidya scosse il capo e si girò di lato, in posizione fetale, Steve girò solo il
capo, ma rimase supino. “Sapevo che non si sarebbe ripreso, era piuttosto
chiaro. Ma non ho avuto il coraggio di lasciarlo andare. Era il mio migliore
amico oltre che il mio partner. Era la persona più divertente al mondo, la più
folle anche” sorrise. “Per tutto questo tempo mi sono detta che non stavo
mollando la presa per lui, ma in realtà era per me stessa che non la stavo
mollando. Non volevo perderlo e i miei bisogni, di improvviso, hanno preso il
sopravvento su tutto il resto. Ha senso, secondo te?”
“Sì,
in qualche modo ne ha. Non essere troppo dura con te stessa, il tuo cuore era
nel posto giusto quando hai deciso cosa fare.”
Lei
sbadigliò, poi sorrise. “Cielo” mormorò. “Hai davvero un viso stupendo” chiuse
gli occhi e dopo un minuto il suo respiro si fece lento e regolare.
“Anche
il tuo viso è stupendo” sussurrò Steve allungando la mano, quasi come se
volesse accarezzarla. Ma non lo fece.
***
Quando
al mattino aprì gli occhi, Steve era solo nel letto. La parte che Lidya aveva
occupato era fredda quindi, suppose, si era alzata da un po’. Piano si mise a
sedere fino a poggiare i piedi per terra e si schiarì la voce. “Jarvis.”
“Buongiorno,
Capitano” replicò l’intelligenza artificiale. “Se vuole chiedermi della
signorina Abel, posso dirle che si trova nella palestra da circa un’ora.”
Steve
annuì. “Grazie, Jarvis.”
“Di
niente.” Il Capitano si alzò e uscì dalla stanza, raggiunse la palestra senza
fare nessuna fermata intermedia e lì, sul ring, trovò Lidya e Natasha. Si
stavano allenando senza esclusione di colpi ed era un combattimento
completamente alla pari. Lidya aveva un bel gioco di gambe, un buon ritmo.
Sapeva essere paziente e nei suoi occhi sembrava brillare la scintilla della
strategia. Con un movimento della mano evitò il colpo di Natasha e la atterrò.
“Cavolo”
ansimò Romanoff rimettendosi in piedi. “Niente male per una che non combatte da
anni.”
“Non
combatto ma mi alleno comunque” Lidya bevve un sorso di acqua da una
bottiglietta, infine sistemò la fasciatura alla mano destra. “Capitano, ti va
di prendere il posto di Natasha?”
La
Romanoff si rese conto che non lo aveva neppure sentito arrivare, ma si era
accorta che avevano dormito nella stessa camera. “Vieni pure, Steve. Io devo
comunque andare. Clint e io abbiamo una cosuccia da sbrigare.”
Lui
salì sul ring e si prese un istante in cui rimase con gli occhi fissi su Lidya.
“Che
stiamo aspettando?” chiese lei piegando poco il capo.
“Volevo
farti riprendere fiato.”
“Non
serve” lei alzò le braccia in posizione di difesa. “E non risparmiarti, posso
assicurarti che non sono fragile come sembro, come tutti mi vedono.”
Steve
iniziò a muoversi in tondo sul ring, Lidya lo imitò. “Non vedo fragilità quando
ti guardo” si fece avanti e il suo colpo venne abilmente schivato.
“E
cosa vedi?”
“Determinazione”
replicò lui. “Passione, intelligenza. Bellezza” la colpì di nuovo e Lidya
barcollò fino quasi a cadere.
“Sono
un sacco di cose” gli disse attaccandolo, finendo schiena a terra, una delle
mani di Steve tra i suoi capelli, a proteggerle la testa, l’altra intorno alla
vita per ammortizzare il colpo.
“Vero.
E nonostante questo credo che siano solo una piccola parte di ciò che sei
davvero.”
“Curioso
di scoprire le altre parti?” domandò Lidya guardandogli le labbra.
“La
curiosità non è proprio una mia caratteristica, però sì. Voglio saperne di più,
voglio sapere tutto. Tutto quello che vorrai dirmi.”
La
donna sollevò poco il capo fino a sfiorargli la bocca con la propria. “Portami
a cena fuori e ti dirò qualunque cosa tu voglia sapere.”
“Signorina
Abel” le disse Jarvis interrompendo il momento, qualunque cosa fosse. “Una
persona vuole vederla. La aspetta nella sala grande.”
“Sai
chi è?”
“Ha
detto di chiamarsi Daniel.”
“Un
tuo amico?” le domandò il Capitano alzandosi e aiutandola a rimettersi in
piedi.
“Non
ho amici di nome Daniel, non che io ricordi” mormorò lei precedendolo fuori
dalla palestra.
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Capitolo 5 *** 4. ***
4.
“Salve”
salutò Lidya con un cenno della mano. Lo sconosciuto, di nome Daniel per quel
che ne sapeva, stava in piedi davanti alla vetrata che dava sulla parte più
bella della città. Le mani incrociate dietro la schiena. Indossava un completo elegante
ma lei non aveva alcun ricordo di averlo mai incontrato prima. “Daniel,
giusto?”
“Daniel
Miller” replicò l’altro annuendo, ma non si voltò.
La donna
si inumidì le labbra, guardò Steve per un istante, poi Tony arrivare dalla
parte opposta della stanza. Le indicò l’uomo con un dito, sul suo viso
un’espressione interrogativa e Lidya si strinse nelle spalle in risposta.
“Salve!”
esclamò Tony avvicinandosi al bar per armeggiare con la macchina del caffè. “Le
piace la vista della città?”
“Ho
visto di meglio.”
Stark
rise mettendo dello zucchero in una tazza. “E dove, precisamente?”
L’ultimo
arrivato finalmente si voltò, i suoi occhi erano di un blu intenso, brillante.
Sulla guancia sinistra aveva una cicatrice che partiva dall’occhio e finiva
quasi al mento. “È mai stato in Toscana, signor Stark? Le assicuro che per
quanto New York sia maestosa, non c’è nulla come un’alba vista da un vigneto
della Toscana.”
Tony
annuì. “Sì, le credo” gli disse. “Ora potrebbe gentilmente dirci chi è e cosa
ci fa in casa mia?”
Daniel
Miller mise la mano in tasca e facendolo fece scattare tutti sull’attenti.
Lidya si accorse che il braccio di Steve si era allungato fino a lei, davanti,
quasi fosse pronto a spingerla via e proteggerla se fosse servito. Ma l’unica
cosa che l’ospite tirò fuori dalla tasca fu un cellulare. “Ho un messaggio per
lei signorina Abel” disse rivolto proprio a lei. “È una cosa privata.”
Stark si
mise a sedere sul divano. “Questa è casa mia, lo sai vero? Non c’è niente che
io non possa sentire.”
Gli
occhi di Miller si poggiarono su Steve, quasi come se cercassero un minimo di
ragionevolezza in lui. Ma il Capitano incrociò le braccia sul petto e parlò a
Lidya senza neppure voltarsi a guardarla.
“Vuoi
che ce ne andiamo, Lidya?” le chiese.
“No” la
donna assunse la stessa posizione di Steve. “Potete rimanere.”
“Come
preferisce” mormorò Miller cercando qualcosa sul cellulare, avvicinandosi a
Lidya.
“Ah-ah”
Tony lo avvertì. “Non c’è bisogno di avvicinarsi così tanto. Jarvis” chiese
alla sua intelligenza artificiale. “Puoi collegarti al cellulare del nostro
nuovo amico e mostrarci sullo schermo grande quello che deve farci vedere?”
“Certo
signore!” Jarvis rimase in silenzio qualche secondo. “Sono pronto.”
“Prego”
disse il padrone di casa a Miller. “Faccia partire il messaggio.”
L’altro
ridacchiò. “Credete che voglia farle del male?” chiese. “Se volessi farlo, lo
avrei già fatto.”
“Oh mi
piacerebbe vederti provarci” Lidya piegò poco il capo e gli sorrise sarcastica.
“Anche a
me” aggiunse Steve guardandola per un istante, per poi tornare a guardare
Miller.
“Ho
appena ristrutturato” si lamentò Tony alzandosi e raggiungendo il Capitano e
Lidya. “Ma se proprio dobbiamo batterci, okay. Sono pronto” disse mettendosi di
fianco alla sua amica.
Miller
premette un pulsante sul suo cellulare e sullo schermo comparve il viso di Nick
Fury. Sembrava un qualche collegamento in diretta. Lidya pensò che doveva
aspettarselo, dopo la morte di Thierry. Eppure non lo aveva fatto.
“Siamo
nervosetti questa mattina?” domandò Fury guardando i tre.
“Fury”
mormorò Steve scuotendo il capo.
“Come
cavolo facevi a sapere che ero qui?” gli chiese Lidya avvicinandosi allo
schermo. Ma la risposta era piuttosto ovvia. “È stata la Hill, vero?”
“Perché
sei così sorpresa? La Hill è un’agente devoto, al contrario di te.”
La donna
rise. “Io ti ho dato undici anni della mia vita, Nick. Mi sembra una
sufficiente dose di devozione.”
“Sì,
undici anni in cui ti sei finalmente sentita parte di qualcosa. Eri smarrita
prima dello S.H.I.E.L.D. Io ti ho dato qualcosa per cui lottare, per cui andare
avanti.”
“Io non
ero smarrita” Lidya scosse il capo. “Avevo appena perso mio padre, stavo
semplicemente soffrendo.”
“E io ti
ho aiutata a uscire da quella sofferenza. Quando mi hai chiesto di congedarti ho
acconsentito, ma credevo che saresti comunque stata disponibile ad aiutare
l’organizzazione se fosse stato necessario e invece...”
“Invece
cosa?” chiese di rimando lei. “Ti brucia ancora che tre anni fa mia sia
rifiutata di fare ciò che mi chiedevi.”
“Tre
anni fa avevo bisogno di te, volevo affidarti una missione e tu hai detto no.
Anche se, a quanto ne so, tu e la mia missione siete molto amici adesso.”
Steve e
Tony si guardarono per un istante. “Sta parlando di me?” domandò Steve.
“Sì, sto
parlando di lei, Capitano” confermò Fury. “Tre anni fa chiesi all’Agente Abel
di aiutarla a integrarsi nel nuovo mondo. Ma lei disse che non voleva saperne.”
Lidya
incrociò le braccia sul petto. “Integrarsi non è esattamente la parola che
userei per descrivere ciò che volevi facessi” disse a Nick. “Ora si può sapere
che diavolo vuoi?”
Fury
respirò a fondo. “La morte dell’Agente Thierry ha messo in moto alcuni
meccanismi che credevamo di aver bloccato per sempre. Pare che il tuo partner
avesse qualche segreto di troppo. Le mie fonti dicono che aveva qualcosa che
non gli apparteneva e il legittimo proprietario la rivuole.”
La donna
si passò le mani tra i capelli. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma
credeva di sapere, di istinto, chi fosse quel legittimo proprietario. “Stai
parlando di Ed Morton?”
“Esatto.
Ma c’è di più.”
“Ah non
vediamo l’ora di saperlo” si intromise Tony, il suo tono era sarcastico come
sempre.
“Morton
sta lavorando con il Consiglio.”
“Il
Consiglio controllava lo S.H.I.E.L.D e l’organizzazione non esiste più” fece
presente Steve. “Quindi cosa controllano adesso?”
“Controllano
ogni cosa, Capitano!” esclamò Fury. “Non ho più tempo, dovete ascoltarmi. La
prima persona con cui Morton se la prenderà sarà...”
“La
moglie di Thierry” concluse Lidya per lui. “Lei non sa nulla di nulla, ma a lui
non importerà.”
“Esatto”
confermò l’ex direttore. “La seconda persona con cui se la prenderà invece...”
si zittì perché sapeva che non c’era bisogno di continuare.
“Sarò
io” mormorò Lidya mettendosi a sedere. Con le mani si coprì il viso alla
disperata ricerca del controllo.
Steve la
seguì con gli occhi, poi si rivolse a Fury. “Saremo pronti a riceverlo, quando
verrà.”
“Oh sì,
lo saremo” confermò Tony. “Sono pronto già adesso.”
“Morton
non farà subito la sua mossa. Ma quando la farà sarà il caos” ragionò Lidya
attirando l’attenzione degli altri. “Fino ad ora ha creduto che Thierry fosse
ancora vivo, e quindi protetto dallo S.H.I.E.L.D. È forte ma non è stupido, non
si sarebbe mai messo contro l’intera organizzazione. Ma ora che sa della morte
di Thierry, ora che sa che lo S.H.I.E.L.D non esiste più... il campo è libero e
il gioco può cominciare.”
“A noi
piace giocare, vero Capitano?” gli chiese Tony, ma gli occhi di Steve erano
fissi su Lidya. La sua amica, dal suo canto, sembrava sconvolta come Stark non
ricordava di averla mai vista.
“Sì beh”
parlò ancora Fury. “Io non potrò esservi di grande aiuto stavolta. Dovrete
cavarvela da soli” il messaggio si interruppe e Daniel Miller uscì da dove era
entrato.
Ci fu
silenzio per alcuni istanti, poi Lidya si alzò. “Tony, puoi accertarti che la
moglie di Thierry sia al sicuro?”
“Consideralo
già fatto!” annuì lui. “Una volta che lei sarà al sicuro ci occuperemo di tutto
il resto.”
“No”
Lidya scosse il capo. “Di tutto il resto mi occupo da sola. È la mia battaglia,
non la vostra. Sparì lungo il corridoio ma Steve la seguì.
***
“Non ti
permetterò di andare da sola” le disse afferrandola piano per un braccio e
facendola girare. “Se questo Morton è così pericoloso come sostenete, avrai
bisogno di aiuto.”
“Posso
cavarmela da sola, ma grazie della premura.”
“Io
vengo con te.”
“No, tu
non vieni con me.”
“Sì
invece. Lo so che non mi vuoi tra i piedi, forse è come tre anni fa, quando non
volevi avere niente a che fare con me, ma non mi importa. Non andrai da sola.”
Il viso
di Lidya si tinse di tristezza. “È questo che pensi? Tre anni fa ho rifiutato
la missione perché Fury voleva che ti convincessi che avevi bisogno di lui e
dell’organizzazione. È questo che lui intende con integrazione: voleva
renderti un perfetto soldato facendoti credere di non avere altra scelta se non
lo S.H.I.E.L.D. Mi sono rifiutata di stare al suo gioco perché non volevo
renderti prigioniero di niente e nessuno, volevo che ti rendessi conto che hai
sempre un’altra scelta, volevo che potessi prendere le tue decisioni da solo,
senza il lavaggio del cervello che loro sono capaci di fare. Volevo che fossi
libero” gli disse. “Tu sei straordinario, Steve. E io volevo che quella
straordinarietà fosse solo tua e di nessun altro.”
Steve le
lasciò il braccio, entrambe le mani le si poggiarono sul viso. Gli occhi di
entrambi si chiusero e le fronti si sfiorarono. “Io vengo con te” le disse, di
nuovo.
La donna
posò la bocca sulla sua in un bacio leggero che lui ricambiò. “No, tu non vieni
con me” sussurrò poggiandogli una mano sul viso, dalle sue dita si irradiò una
tenue luce azzurra. L’uomo cadde in terra addormentato e lei pensò che quello
era il momento perfetto per andarsene via. Non aveva, però, fatto i conti con
Tony.
|
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Capitolo 6 *** 5. ***
5.
“Tony,
lasciami passare. Per favore” Lidya respirò a fondo guardando il suo amico,
quel dannato guanto tecnologico nella sua mano era il preludio all’armatura
completa. E pensare che aveva creduto che una volta messo Steve a dormire non
avrebbe avuto problemi; pensava che Tony avrebbe capito ma a quanto sembrava si
era sbagliata.
“Mi
dispiace” le disse lui. “Ma non ti lascerò andare da sola.”
“È
la mia battaglia, non la tua. Né quella degli Avengers, è la mia e basta.”
Tony
respirò a fondo. “Capitan Ghiacciolo tiene molto a te” disse facendo un cenno
verso Steve addormentato per terra. “Non succede spesso sai? Che si affezioni a
una donna. Da quando lo conosco non è mai successo a dire il vero, e posso
assicurarti che c’è una fila di donne che gli sbava dietro.”
Lidya
guardò per un attimo in direzione del Capitano, poi tornò a guardare Stark. “È
personale e pericoloso. Non voglio che qualcuno si faccia male, soprattutto
lui.”
“Ah
l’amore!” esclamò l’uomo avvicinandosi a lei. “Funziona in modo strano e
meraviglioso, non credi? Da quanto lo conosci? Due giorni? Eppure già ti
preoccupi così tanto per lui” piegò il capo per guardarla. “Lo sai che è un
super soldato vero? Si fa male difficilmente. Ed è anche una super spina nel
fianco, se ti succedesse qualcosa romperebbe le scatole per il resto dei suoi
giorni e io proprio non ce la farei. Capisci perché non puoi andare da sola?”
“Andare
dove?” domandò Banner arrivando nella stanza, seguito da Thor.
“Oh
a fare una gitarella” Tony non staccò gli occhi da Lidya perché sapeva che
sarebbe bastato un attimo. Forse meno considerato che sapeva teletrasportarsi,
ma non le piaceva usare le sue capacità e lui confidava nel fatto che non lo
avrebbe fatto. “Un vecchio amico di Lidya,” virgolettò la parola amico con le
dita. “sta preparando un attacco. Vuole farla fuori e lei vuole andargli
incontro. Da sola!”
“È
ridicolo!” esclamò Thor scuotendo il capo. “Perché vuoi andare da sola? Lascia
che venga e se ne occuperà il mio martello.”
La
donna scosse poco il capo: il ragionamento di Tony e di Thor non faceva una
piega ma lei comunque combatteva da sola le sue battaglie. Aveva già perso
Thierry e non voleva perdere nessun altro. Sì, il martello di Thor avrebbe
distrutto Morton in un nano secondo e sì, farsi aiutare era la scelta più
logica. Ma lei si era stancata della logica. Perché nessuno sembrava capire
cosa c’era in ballo? Lo doveva al suo partner, per onorare la sua morte.
“Cos’è
questa cosa che Morton rivuole indietro?” le domandò Tony e la domanda la colse
alla sprovvista.
“Non
lo so” replicò lei.
“Non
sai mentire, Lidya. Raggrinzisci la fronte quando lo fai.”
Lei
se la sfiorò con le dita, fu istintivo e fece sorridere Tony. “Non voglio usare
i miei poteri, perché ogni volta che lo faccio attiro l’attenzione di... creature
con cui non voglio avere nulla a che fare. Ma lo farò se mi costringerai e non
ti farai di lato per farmi passare.”
Stark
la fissò per un istante, infine si fece di lato. “Prego, passa pure. Non ti
sarò di intralcio. Thor sì però, e anche Banner.”
“Io?”
domandò Bruce perplesso, per poi riprendersi subito. “Oh sì, giusto. Cos’è
successo a Rogers, comunque?” domandò indicandolo con un dito.
“L’ho
messo a dormire” gli fece sapere Lidya guardando Thor che le si era piazzato
davanti. “Non voglio farti del male.”
Il
Dio rise. “Tu farmi del male?” chiese. “Io sono Thor, figlio di Odino.”
Lidya
annuì stanca. “Okay, adesso basta!” esclamò pronta a lottare per uscire da quel
posto.
***
Stark
fu l’ultimo a riprendere conoscenza. Aprì gli occhi e piano si mise a sedere
guardandosi intorno. Gli ci volle un attimo per ricordare che cosa fosse
successo, ma il ricordo era confuso. “Che cavolo è successo?”
Fu
Jarvis a rispondere. “La signorina Abel voleva andare via, voi non glielo
lasciavate fare e così si è... come posso dire?”
“Ci
ha preso a calci e se ne è andata?” suggerì Banner.
“Sì.
Credo sia la spiegazione più semplice e corretta, dottore.”
“Porca
miseria!” esclamò Clint. “Una donna tanto minuta ha messo fuori uso tre
Avengers, compreso un Dio.”
“Quella
donna picchia duro” Thor sorrise. “Mi piace!”
“Dov’è
andata?” chiese Natasha.
“Non
lo sappiamo” raccontò Tony alzandosi. “Fury le ha mandato una specie di
messaggio avvertendola che Morton stava preparando la sua mossa. Lei ha deciso
che avrebbe combattuto la sua battaglia da sola.”
“Ed
Morton?” la Romanoff incrociò le braccia sul petto. “Quel tizio è pazzo e
pericoloso. Dobbiamo trovare Lidya, subito.”
“E
come?” Stark si diresse al bar e si versò da bere. “Se c’è una cosa che Lidya
sa fare meglio di combattere è coprire le sue tracce. Se non vuole essere
trovata allora stai pur certa che non la troveremo. Non lascerà nessun indizio
per noi.”
“Le
ho messo sulla giacca uno di quei micro dispositivi di localizzazione che hai
creato” gli disse il Capitano che fino a quel momento era rimasto in silenzio,
gli occhi fissi sulla città.
“E
quando lo avresti fatto? Mentre la baciavi?”
Natasha
e Clint lo fissarono. “Ben fatto Capitano!” esclamò l’uomo. “Ben fatto.”
Steve
si voltò a guardarli, i suoi occhi si posarono sul padrone di casa. “Puoi
rintracciare quel dispositivo?”
“Sì,
se non si è accorta di averlo indosso e se ne è liberata” bevve un sorso dal
bicchiere. “Jarvis!”
“Sto
cercando, signore.”
“Mentre
Jarvis cerca” fece il punto Tony. “Pensiamo a un piano di attacco. Anche se
riusciremo a trovarla, riportarla indietro non sarà facile, farle accettare il
nostro aiuto ancora meno. Non usa volentieri i suoi poteri ma lo farà se sarà
necessario.”
“Pensiamo
a trovarla” ordinò Steve. “Al resto ci penso io.”
“Trovata!”
esclamò Jarvis proiettando qualcosa sullo schermo. “Anche se temo che ci sia un
errore, forse.”
“Perché?”
domandò il Capitano. “Dove si trova?”
“A
Berlino.”
“Ah
Berlino...” mormorò Tony.
“Cosa
avevi detto riguardo al suo non voler usare i suoi poteri?” chiese sarcastico
Clint. “Preparo il jet.”
“Tre
minuti e partiamo!” esclamò Steve.
***
Lidya
bussò tre volte alla porta e sul metallo arrugginito si aprì una finestrella
che le permise di vedere solo degli occhi. “Cosa attraversa un prato senza
camminarci sopra?” le chiese una voce, la voce che apparteneva a quegli occhi
supponeva.
Lei
si guardò intorno. Quegli indovinelli diventavano sempre più ridicoli, ma stare
al gioco era il prezzo da pagare per ricevere in cambio qualcosa. Qualcosa che
stava dietro quella porta. “Il sentiero” mormorò.
Sentì
scattare una serratura, la porta si aprì quel tanto che bastava per permetterle
di passare e lei entrò. Lì dentro era tutto come al solito, eccetto l’odore. Di
solito c’era puzza di umido e lercio, quel giorno puzzava di fumo. Camminò
lungo il corridoio, le mani nelle tasche della felpa. Voleva disperatamente
farsi una doccia, ma non aveva tempo. Ci avrebbe pensato una volta fuori da
quel posto. Il suo contatto, se così si poteva definire, se ne stava seduto su
una poltrona dietro una grande scrivania: uno spinello in mano e una donna
piuttosto... particolare seduta sulle gambe. Si schiarì la voce per attirare la
sua attenzione.
L’uomo
la guardò per qualche istante, poi sembrò finalmente riconoscerla. “Lidya
Abel!” esclamò facendo alzare la donna e raggiungendola con le braccia aperte.
Voleva abbracciarla ma lei rifiutò indietreggiando appena. “Neppure un
abbraccio?”
“Non
ora. Vado di fretta. Ho bisogno di alcune cose” tagliò corto lei e tirò fuori
dalla tasca una lista che aveva abbozzato prima di bussare alla porta.
L’uomo
lesse attentamente, storse il naso e tirò una boccata dalla “sigaretta” che
stringeva tra le dita. “È roba forte. Ti costerà un po’.”
“Dimmi
solo quanto.”
“Quindici
mila per ogni pezzo. Sono tre quindi...”
“So
contare, grazie” Lidya tirò fuori il suo cellulare e ci armeggiò per alcuni
secondi. “Fatto. Ora dammi tutto quello che mi serve.”
Lui
abbozzò una risata. “Sei sexy quando fai l’autoritaria. Seguimi” le disse. Lei
lo seguì.
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Capitolo 7 *** 6. ***
6.
Lidya
aveva trovato quella specie di cimice che le avevano messo sulla giacca.
L’aveva trovata quando si era rifugiata in quella stanza di motel e aveva
deciso che era il caso di farsi una doccia. Lungo la strada che l’avrebbe
portata lì si era comprata dei vestiti nuovi, aveva noleggiato un’auto usando
uno dei tanti nomi falsi di cui disponeva e si era procurata un cellulare usa e
getta.
Quando
aveva trovato quel piccolo dispositivo sulla giacca, proprio sopra il gomito,
aveva maledetto la tecnologia di Tony per un istante, e poi si era data della
stupida perché avrebbe dovuto immaginarlo. A dirla tutta, credeva che fosse
stato Rogers a piazzarglielo a dosso, era l’unico che si era avvicinato a
sufficienza per farlo senza destare sospetto.
In
fondo era con lui che aveva scambiato un bacio e un contatto fisico
ravvicinato. Era stato solo un istante ma comunque, a quanto sembrava, era
bastato.
Respirò
a fondo e si sfiorò le labbra con la punta delle dita; scacciò subito quel
pensiero però. Non aveva tempo per le distrazioni e il Capitano di certo lo
era. E poi, onestamente credeva che quell’uomo si meritasse molto di più. Lei
era danneggiata a un livello così profondo che tornare indietro era
praticamente impossibile. E non ne sarebbe valsa la pena nemmeno se farlo fosse
stato possibile.
Il
piccolo marchingegno di Tony probabilmente aveva permesso loro di
rintracciarla, e questo significava che avrebbe dovuto accelerare un po’ i
tempi. Non era un problema ma non era neppure una buona cosa: potendo fare
tutto con il tempo necessario forse sarebbe riuscita ad uscirne viva, così
invece... poco male, non sarebbe mancata a molte persone e le poche che
avrebbero pianto la sua perdita si sarebbero riprese presto.
Prese
il cellulare e digitò un numero che non componeva da tanto e che nonostante
questo le era rimasto impresso nella mente. Dall’altro lato risposero dopo due
squilli ma non era la voce che si aspettava. “Sono l’Agente Lidya Abel. Di’ a
Morton che ho quello che vuole. Digli che sono già a Berlino e digli che ci
vediamo fra due ore.”
“Dove?”
“Lui
lo sa.” Riattaccò e compose un altro numero. Non avrebbe parlato molto, solo il
tempo necessario a indossare armi e armatura. Il tempo necessario a dire addio.
***
Sul
Queen Jet si respirava un’aria pesante. Non c’era posto per le battute e
onestamente nessuno era in vena di scherzare. Tony stava sistemando alcune cose
nella sua armatura quando il segnale dato dal dispositivo sulla giacca di Lidya
aveva smesso di funzionare. Le ipotesi erano due, si disse mentre provava a
rintracciarlo di nuovo, lei lo aveva trovato e distrutto oppure... la seconda
non gli piaceva affatto, ma era una possibilità e tutti, su quel jet, lo
sapevano. Il Capitano aveva un’espressione più seria del solito, fissava fuori
dall’abitacolo e non aveva detto una parola da quando erano partiti. Con le
braccia incrociate sul petto se ne stava perso nei suoi pensieri e a Tony
dispiacque per lui. Non si lasciava mai coinvolgere con le donne, forse per una
specie di forma di rispetto per il suo amore mai consumato con Peggy Carter, ma
con Lidya si era aperto un po’ e di colpo lei aveva fatto la sua mossa
impulsiva lasciandolo con il timore di un’altra perdita.
“Hey
Cap” gli disse Natasha avvicinandosi. “Come te la passi?”
“Sto
bene. Questa è semplicemente una missione come le altre in fondo.”
La
Romanoff annuì. “Sappiamo entrambi che non lo è. Ma se pensarla così ti
permette di rimanere concentrato...”
“Voglio
solo” sospirò lui. “Solo che non si faccia male nessuno. Ho perso fin troppa
gente, tutti noi ne abbiamo persa fin troppa.”
Natasha
scambiò una rapida occhiata con Tony, alla ricerca di un cenno positivo che
però non arrivò. Infine si concentrò di nuovo su Steve. “Non essere troppo duro
con lei quando la rivedremo” gli disse guadagnandosi uno sguardo perplesso. “La
vita lo è già stata abbastanza.”
“Signore”
intervenne Jarvis. “Ho una telefonata da un numero non identificato.”
“Passala
pure!” gli disse Tony.
“È
in linea, signore.”
“Pronto?”
domandò lui cauto. E la voce di Lidya arrivò chiara attraverso gli
altoparlanti.
“Se
ho capito anche solo un po’ di voi Avengers” disse la donna con tono stanco.
“Sarete già a metà strada per raggiungermi.”
“Ci
fa piacere sapere che capisci così bene le persone, Abel!” le disse Clint, dal
posto di comando.
“Sì
beh, tornate indietro. Me la cavo da sola.”
“Sul
serio?” domandò Tony digitando qualcosa sul computer.
“Sul
serio, e smetti di provare a rintracciare questa telefonata” replicò lei,
dimostrando di conoscerlo fin troppo bene. “Questo telefono non ha neppure una
fotocamera.”
“Odio
il fatto che tu mi conosca così bene. Diventa irritante dopo un po’.”
“Lidya”
le disse Natasha. “Dicci dove sei, vogliamo solo darti una mano.”
“Sapete
già dove sono, Nat. Il fatto che Berlino sia troppo generica come indicazione
non è di certo un mio problema” ci fu silenzio per un attimo, infine Lidya
respirò a fondo. “Steve” disse. “Mi dispiace, sul serio. Stavi iniziando a
fidarti di me e io ho fatto una delle mie solite scelte impulsive e
sconsiderate. In fondo però, credo che tu sia l’unico che possa davvero capire
perché lo faccio.”
“Mi
hai promesso una cena per dirmi ogni cosa di te, ma se non ci dici dove sei
potresti non avere l’occasione di farlo. Potresti dover infrangere la tua
promessa” le disse Steve. “Hai detto che siamo amici, giusto? Beh gli amici
mantengono le promesse.”
“Suppongo
allora che non siamo amici” la voce di Lidya sembrò tremare, se la schiarì
prima di continuare. “Devo andare ora. Tony” esitò un attimo. “Qualunque cosa
accadrà, non è colpa tua.”
Riattaccò
e l’intero jet ricadde nel silenzio. Un silenzio soffocante.
***
Lidya
aveva sistemato ogni cosa al proprio posto, poi si era seduta in attesa. La
pazienza non era mai stata una delle sue caratteristiche più forti, al
contrario di Thierry che invece aveva fatto di la pazienza è la virtù dei
forti il suo motto. Con un sorriso si ricordò gli appostamenti, le missioni
che sembravano infinite, lei che sbuffava ogni cinque minuti, lui che faceva le
parole crociate guardandola di sottecchi di tanto in tanto.
Se
fosse stato lì, Lidya sapeva esattamente cosa le avrebbe detto: “che cazzo
ci fai qui dentro da sola? Gli Avengers vogliono aiutarti e tu dici di no? Hai
il complesso dell’eroe martire, Abel. Sei una folle” e anche se solo lui
sapeva cosa fosse il complesso dell’eroe martire, avrebbe avuto ragione. Lei lo
sapeva, in fondo.
Sentì
un rumore provenire da destra e nel modo più silenzioso possibile si mise in
piedi e impugnò la pistola. Non era Morton, il passo era troppo delicato. Le
sembrava quasi di conoscerlo.
“Dannazione!”
sibilò quando Natasha comparve davanti ai suoi occhi. “Che cavolo ci fai qui?
Come mi avete trovata?”
“Abbiamo
fatto visita al tizio che ti ha venduto le armi e l’esplosivo.”
“Lui
non aveva idea di quale fosse il mio piano.”
“No,
ma dentro la pistola che hai in mano c’è un microchip localizzatore. Ha detto
che gli è capitato che gli rubassero le cose e così si è dovuto ingegnare per
evitare di perderle” le spiegò la sua amica. “Non era molto propenso a darci le
informazioni che volevamo, all’inizio, ma poi Steve gli ha mostrato lo scudo
molto da vicino e il suo ginocchio destro ha incontrato il martello di Thor e
così... A ogni modo” Natasha le sorrise appena. “Che ne dici se ora ce ne
andiamo da qui?”
Lidya
scosse il capo. “Tu devi di certo andare via, io resto.”
“Perdonami”
Natasha la prese per il polso. “La mia sembrava una domanda, ma non lo era. Ce
ne andiamo. Gli atri ci aspettano fuori, stanno dando un’occhiata in giro.”
“Natasha!”
esclamò Lidya. “Devi uscire da qui e dovete allontanarvi, tutti quanti. C’è
dell’esplosivo ovunque. Questo posto salterà in aria non appena Morton sarà
qui.”
“È
questo il tuo grande piano? Far saltare in aria questo posto con Morton dentro?
È ridicolo, non appena arriverà qui chiederà ai suoi di controllare l’intero
isolato.”
“Sì
e loro ci metteranno un po’ a trovare l’esplosivo che ho piazzato. Nel
frattempo lui sarà entrato dentro perché io sarò qui ad aspettarlo e crederà,
che visto che io sono all’interno, allora entrare è sicuro. Non penserà di
certo che sarei disposta a saltare in aria insieme a lui.”
“E
non lo farai!” le disse l’altra. “Senti, so che vuoi combattere questa
battaglia da sola, per Thierry e tutto il resto, ma stai sbagliando tutto. Non
pensi a me, a Clint, a Tony. Non pensi a Steve?”
Lidya
sentì gli occhi pizzicarle: sì, ci pensava eccome. Pensava a tutti loro. Sentì
la voce di Morton dare ordini ai suoi uomini, fece un grosso respiro e
abbracciò Natasha. “Mi dispiace Nat” le disse. “Ti voglio bene, ma devi andare”
chiuse gli occhi e quando li riaprì Nat era sparita, Morton si avvicinava e
tutto era allestito. Innescò la bomba e fu pronta.
***
Natasha
si ritrovò fuori dall’edificio. Si guardò intorno smarrita, sentì la voce di
Tony chiamare il suo nome ma non le importò. Steve e gli altri erano troppo
vicini a quel posto, Lidya era ancora dentro... era come un incubo, un brutto
incubo dal quale voleva svegliarsi. Doveva avvertirli, subito, ma quando aprì
la bocca la voce faticò ad uscire. L’edificio saltò in aria due secondi dopo e
l’esplosione fu talmente violenta che lei perse i sensi. L’ultima cosa che vide
fu Tony che veniva sbalzato in aria. Per fortuna indossava la sua armatura.
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Capitolo 8 *** 7. ***
7.
Steve
aprì gli occhi lentamente; sentiva dolore su tutto il viso, su tutto il corpo
ad essere onesto. Non riconobbe immediatamente il posto in cui si trovava, poi
pian piano riacquistò lucidità e si rese conto di essere in un ospedale.
Richiuse gli occhi, solo per un secondo, e ripercorse mentalmente gli ultimi
avvenimenti.
Berlino,
Lidya, l’esplosione... Dio! L’esplosione. Era per quel motivo che era finito in
ospedale? E che ne era degli altri?
“Ciao
Cap” sentì sussurrare e si voltò alla sua sinistra. Quella voce... “Lidya?”
mormorò.
“No,
sono io. Natasha.”
Steve
mise a fuoco il viso che gli stava davanti e deglutì a vuoto. “Nat” mormorò.
“Stai bene?”
“Sì” la
donna annuì. “Ho solo qualche graffio ma niente di grave. Tu invece...”
delicatamente lei si mise a sedere sul letto. “Sei conciato malino, eri troppo
vicino all’edificio quando è saltato in aria. Lo scudo non è bastato a
proteggerti. Ti riprenderai però.”
“Gli
altri?” l’uomo si sollevò poco, sentendo dolore quando lo fece.
“Stanno
bene. Thor non ha neppure un segno, Tony indossava l’armatura quindi non si è
fatto nulla, Clint ha solo una costola incrinata. Banner non era neppure sceso
dal jet quindi...”
“L’Agente
Abel?”
Natasha
respirò a fondo, abbassò gli occhi pensando a cosa dire. La prima cosa che
Steve aveva fatto svegliandosi era stato pronunciare il nome di Lidya, come
poteva lei dirgli che...
“È
morta?” le chiese lui senza girarci intorno.
“Non lo
sappiamo” la Romanoff scosse il capo. “Dopo l’esplosione abbiamo trovato alcuni
resti ma era il caos e non è stato possibile identificarli.”
Il
Capitano chiuse gli occhi, girò il capo dall’altra parte e Natasha avrebbe
potuto giurare che aveva visto una lacrima scendergli lungo la guancia. “Credi
che ci sia la possibilità che possa, in qualche modo, essere ancora viva?”
La donna
voleva dire di no, ma non se la sentì di togliergli quella speranza. Non in
quel momento. “Credo che con Lidya tutto sia possibile. Le ho visto fare
parecchie cose che non credevo realizzabili. Ma non ho una risposta sicura.”
Steve
rimase in silenzio per alcuni minuti, minuti durante i quali il suo sguardo restò
fisso su un punto indefinito della stanza. Natasha gli lasciò il suo tempo.
Anche lei aveva bisogno di metabolizzare la cosa, Lidya era sua amica, ma
sentiva che toccava a lei prendere il controllo perché Clint stava affrontando
la perdita a modo suo e Tony non la stava affrontando affatto. Continuava a
fare dell’ironia, ciecamente convinto che in qualche modo Lidya fosse ancora
viva e che l’avrebbe trovata. Era nella fase della negazione ed era strano
vederlo così smarrito.
Natasha
aveva dovuto telefonare a Pepper, e la donna era stata l’unica capace di
calmarlo un po’, solo un po’ però.
“È
strano vero?” domandò Steve voltandosi a guardarla, i suoi occhi chiari erano
pieni di lacrime e Natasha dovette usare tutta la sua forza di volontà per non
crollare. “Che ci si affezioni così tanto a una persona pur conoscendo così
poco di lei.”
La
Romanoff scosse il capo. “No. Non è strano. È semplicemente umano... non puoi controllare
i tuoi sentimenti, qualunque essi siano. Anche se a volte ci piace credere di
potere.”
“Credo
che mi sarebbe piaciuto perdere il controllo per lei” confessò Steve con un
sorriso amaro. “Ha senso secondo te?”
“Sì, ne
ha” Natasha gli sorrise prendendogli una mano.
***
Tony si
versò da bere e di nuovo la sua mano prese a tremare così tanto che il liquore
quasi non cadde tutto fuori dal bicchiere. Quelle dannate crisi di panico... le
aveva sperimentate qualche volta in passato, ma poi erano passate. Stavolta
credeva ci sarebbe voluto un po’ più di tempo. Chiuse gli occhi e respirò a
fondo, quando li riaprì fissò fuori dalla vetrata e rivide, come in una specie
di flash, Lidya in terrazza. Le braccia aperte, il vento che le scompigliava i
capelli. Scherzando le aveva chiesto di non buttarsi perché non avrebbe
sopportato di avere il suo fantasma in giro per casa ma ora... ora avrebbe
accettato qualunque cosa, persino il suo spirito dispettoso pur di rivederla
un’altra volta. Per dirle che era l’amica più rompiscatole che avesse mai
avuto, ma anche la più leale e la più coraggiosa. Per dirle che le voleva bene.
Non l’aveva mai fatto credeva, e il pensiero lo stava annientando.
Era
sempre stato pessimo nel dimostrare i suoi sentimenti e sapeva che era
sbagliato, ma non aveva mai saputo come porvi rimedio; quello era ciò che era e
cambiare gli sembrava impossibile. Lui dimostrava affetto in un modo tutto suo,
Lidya era stata tra le poche persone a capirlo e a non chiedere di più.
Sì,
era... se per i primi due giorni gli era piaciuto convincersi che potesse
essere ancora viva, adesso era quasi certo che non lo fosse. “Jarvis” chiese al
suo braccio destro “potresti telefonare all’Agente Romanoff per favore?”
“Sì,
signore” replicò l’altro. E la telefonata partì. Natasha ripose dopo due
squilli.
“Tony”
gli disse. “Che succede?”
“Volevo
sapere come se la passa Capitan Ghiacciolo” replicò lui mettendo le mani nelle
tasche.
Natasha
respirò a fondo. “Il ghiaccio si è sciolto” gli comunicò parlando per metafore.
“È a pezzi, non solo fisicamente. Credo che si fosse sinceramente affezionato a
Lidya.”
“Sì”
ragionò Tony. “Non trovo difficile crederlo. Lei ha... aveva quella specie di
magnetismo. Era una spina nel fianco, ma una a cui vuoi bene fin dal primo sguardo.”
“Era
testarda oltre ogni immaginazione.”
“E anche
fastidiosamente perspicace.”
La donna
rise. “Sì, è vero.”
Nessuno
dei due parlò per i seguenti due minuti, infine Tony si schiarì la voce. “Il
Capitano, pensi che possa uscire dall’ospedale? Chiamerò la Cho, si occuperà di
lui qui a casa, credo che sia meglio che rimaniamo uniti. Ora più che mai.”
“Credo
che si possa fare” Natasha mormorò qualcosa che Tony non capì, ma supponeva che
non stesse parlando con lui. “Ti telefono appena sono certa che può uscire.”
Riattaccò e Tony respirò a fondo.
“Jarvis,
telefona alla dottoressa Cho per favore.”
“Signore”
rispose l’altro. “Ho una videochiamata da un numero che non conosco. È un
prefisso Svizzero.”
Stark
corrugò la fronte. “Passamela.”
***
Lidya
aveva girovagato per ore prima di trovare un posto che le era sembrato
quantomeno sicuro. Non aveva denaro, era tutta sporca e non aveva indosso
neppure le scarpe. I vestiti che indossava erano strappati ma più di tutto, non
aveva idea di come fosse arrivata lì. Camminando aveva letto un cartello con su
scritto Ginevra e le era servito un istante per ricordare anche solo dove si
trovasse Ginevra. Il posto in cui aveva deciso di entrare era una copisteria, o
qualcosa del genere, non ne era del tutto sicura. L’uomo all’interno sembrò
spaventarsi quando la vide e per lei fu istintivo alzare le mani per mostrargli
che non aveva alcuna cattiva intenzione.
“Non
voglio fare niente di male” gli disse e si accorse che stava tremando. “Ho
avuto... un incidente. Voglio solo mettermi in contatto con la mia famiglia, così
potranno venire a prendermi” pensò che forse quel tizio non parlava la sua
lingua, ma il suo tedesco era un po’ arrugginito. Decise di provare con il
francese. E gli chiese se riusciva a capirla. Lui annuì, si voltò e chiamò
qualcuno a gran voce e dal lato opposto del locale arrivò una donna.
“Oh mio
Dio!” quasi urlò e Lidya fu grata di sentire che non era decisamente originaria
di Ginevra. “Cosa ti è successo?”
“Ho
avuto un incidente, voglio solo usare il vostro telefono per mettermi in
contatto con qualcuno della... della mia famiglia.”
L’altra
annuì prendendolo in tasca. “Vieni pure” le disse dicendo qualcosa all’uomo che
lei non capì. “Posso portarti qualcosa? Da mangiare, da bere?”
Lidya
scosse il capo digitando il numero di Tony. Quali erano le ultime tre cifre?
Non se le ricordava mai. “Dannazione!” esclamò per poi riprendere il controllo.
Fece un grosso respiro e fece partire la videochiamata. Il viso Tony comparve
sullo schermo dopo un minuto. “Tony” gli disse e sul viso del suo amico vide
passare tante espressioni diverse, l’ultima fu il sollievo.
“Lidya,
dove sei? Stai bene?”
“Sono
solo un po’ ammaccata. Voi state tutti bene?”
“Il
Capitano è un po’ ammaccato come te, ma si riprenderà. Dove sei?”
La donna
scoppiò a piangere, alzò la mano per asciugarsi gli occhi e se la sporcò di
sangue. Nel piccolo riquadro sullo schermo vide che sulla fronte aveva un
taglio piuttosto importante. “Mi dispiace Tony, ho fatto un casino.”
“Non
importa, okay? Dimmi solo dove sei così posso venire a prenderti.”
“Sono a
Ginevra. Non so come ci sono arrivata, non...”
“Okay”
annuì Tony. “Jarvis, rintracciami il cellulare dal quale Lidya sta chiamando.
Senti, rimani lì e non muoverti. Vengo subito a prenderti, va bene?”
Lei
annuì. “Okay, va bene.”
“Hey”
Tony si rivolse alla donna accanto a Lidya. “Assicurati che non le succede
nulla e avrai una lauta ricompensa al mio arrivo.”
“È in un
buone mani” gli fece sapere l’altra.
Stark
guardò di nuovo la sua amica. “Arrivo, stai tranquilla.”
Lidya si
sentì sollevata.
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Capitolo 9 *** 8. ***
8.
Tony
era arrivato a Ginevra in circa un’ora e aveva raggiunto Lidya senza perdere
tempo. L’aveva trovata semi addormentata, coperta da uno scialle marrone e
seduta su una sedia che sembrava l’apoteosi della scomodità. E la prima cosa
che aveva fatto era stata abbracciarla. Un abbraccio dentro il quale lei si
abbandonò completamente tremando come una foglia.
“Stai
bene?” le chiese staccandosi poco per guardarla.
Lei
annuì. “Sì, sto bene. Sono solo un po’... stordita. Non so neppure se sia il
termine più adatto a descrivere come mi sento.”
“Non
è importane” le disse lui scuotendo il capo, sistemando meglio lo scialle che
minacciava di cadere. “L’unica cosa che conta è che tu sia tutta intera, ci
occuperemo di tutto il resto dopo.”
Lidya
sospirò tornando a sedersi; le sue gambe proprio non ne volevano sapere di
tenerla in piedi, esattamente come le sue mani non ne volevano sapere di
smettere di tremare. “Grazie di essere venuto, Tony. Non eri tenuto a farlo.”
“Sì
beh” l’uomo si guardò intorno curioso. “Non potevo di certo lasciarti qui.
Capitan Ghiacciolo non me lo avrebbe mai perdonato e, come ti ho detto, è un
rompipalle di prima categoria quando ci si mette.”
La
donna chiuse gli occhi: le faceva male la testa ma si disse che era fortunata
tutto sommato. Sarebbe potuto succedere di peggio, sarebbe potuta morire e
sarebbe successo solo ed esclusivamente per la sua testardaggine. Era un errore
che non voleva fare mai più e se ne era resa conto quando dentro quell’edificio
le bombe stavano per esplodere e lei si era ritrovata a pensare a Clint, e a
Tony, e a Natasha... a Steve.
“Hai
detto a qualcuno che stavi venendo a prendermi?”
“No.
Natasha era all’ospedale con il Capitano, Clint a sbrigare alcune cose
personali, Thor e Banner non ho idea di dove fossero quando sono partito per
venire qui” Tony guardò l’orologio. “Che ne dici se ora ce ne torniamo a casa?”
Lidya
si alzò, o almeno ci provò, e per poco non cadde in ginocchio: Stark la afferrò
per tempo. “Sicura di stare bene?” le domandò.
“Sì,
sto bene. Andiamo via.”
***
Natasha
andò incontro al Queen Jet quando si fermò sul tetto, le braccia aperte e
l’espressione confusa mentre il portellone si apriva. “Stark ma dove cavolo
eri?” i suoi occhi si spalancarono quando si accorse che poggiata a lui c’era
Lidya. Non poteva crederci e il suo primo istinto fu quello di correre da Steve
per dirglielo.
“Ciao
Nat” le sussurrò la donna e lei riprese lucidità. Le andò incontro e la
abbracciò come meglio poteva, sorreggendola quando si rese conto che non
riusciva a reggersi in piedi.
“Oh
mio Dio” le sussurrò accarezzandole i capelli. “Come... com’è possibile? Quel
posto è saltato in aria, un’esplosione così violenta che...”
“Non
si ricorda molto” la informò Tony sorreggendo Lidya dall’altro lato. “E ha
qualche graffio di troppo. La dottoressa Cho è già arrivata?”
“Sì,
si sta occupando di Steve.”
“Steve”
mormorò Lidya cercando di ritrovare il controllo del suo corpo. “Portatemi da
lui, voglio vederlo. Posso aiutarlo.”
“Ci
stiamo andando dolcezza” le fece sapere Tony. I tre percorsero il corridoio,
salirono alcuni gradini ed entrarono nello studio che la dottoressa Cho stava
utilizzando. Steve era sveglio, le sue ferite avevano già un aspetto migliore, fissò
Lidya come se avesse visto un fantasma.
“Lidya?”
domandò guardandola, guardando poi Natasha e Tony.
“Ciao
Rogers” lei gli sorrise e barcollò fino al letto. Il Capitano la aiutò a
mettersi seduta. “Tutti questi lividi sul tuo bel viso sono colpa mia, credo.
Mi dispiace tanto.”
L’uomo
le prese il viso tra le mani, cercò il suo sguardo e lo trovò, seppur spezzato.
“Tu stai bene?”
“Credo
di sì” Lidya alzò una mano e gliela poggiò sulla guancia, le dita tremarono
prima di toccare la pelle ferita. Chiuse gli occhi e Steve si sentì pervaso da
un calore mai provato prima. Quando passò, le sue ferite erano sparite, si
sentiva bene. Lidya invece perse i sensi.
“Okay!”
esclamò Tony afferrandola prima che toccasse il pavimento. “Dottoressa Cho.”
“Mettetela
qui sopra” la dottoressa liberò un lettino, afferrò uno dei suoi magici
attrezzi ultratecnologici e lo passò sul corpo inerme della donna. “Porca
miseria” mormorò quando arrivò all’altezza della testa.
“Cosa?”
le chiese Steve che nel frattempo si era rimesso in piedi e si era avvicinato
per stringere la mano di Lidya.
“Ha
un ematoma subdurale piuttosto importante.”
Natasha
la guardò spaventata. “Quanto importante?”
“Diciamo
che non ho idea di come faccia ad essere ancora viva. Ma suppongo che sia
perché non è del tutto umana, anzi forse non lo è affatto. Che cos’è?” chiese
perplessa, ripensando a quello che aveva fatto a Steve poco prima.
“È
una lunga storia” le disse Tony. “Puoi aiutarla?”
La
Cho annuì, collegò alcuni tubicini al corpo di Lidya e respirò a fondo. Quelle
tecniche super innovative e ultra sperimentali erano ciò che rendeva il suo
lavoro eccitante, ma erano sempre un’incognita che le metteva ansia. Mentre
iniettava alla donna quella specie di siero che lei e Banner avevano creato
insieme, sperò che funzionasse. “Dovremo aspettare un po’ e poi ricontrollare
l’accumulo di sangue. Se questo siero funzionerà in modo corretto, lo
riassorbirà completamente.”
“Se?”
domandò Steve guardandola. “Non è sicura che funzionerà?”
“Starà
bene” lo rassicurò Natasha dandogli una pacca sulla spalla. “Funzionerà. Ne
sono sicura” ma lo disse per rassicurare se stessa più di tutti gli altri.
“Ha
bisogno di riposare” continuò la dottoressa. “Dormirà per un bel po’.”
***
Ci
vollero sei ore e dieci minuti esatti prima che Lidya riprendesse conoscenza,
ma quando lo fece sembrava lucida come mai prima. Nella stanza, al suo
capezzale era rimasto solo Steve che non si era allontanato neppure per un
secondo. Attraverso le grandi vetrate, la donna notò che fuori era buio, in
cielo c’era una luna così grande da fare quasi impressione.
“Hey”
le sussurrò il Capitano strofinandosi gli occhi. “Come ti senti?”
Lei
gli sorrise sollevandosi fino ad essere seduta al centro del letto, Steve vi si
sedette sopra a sua volta. “Sto bene” gli disse. “Quanto tempo...”
“Sei
ore. Sei rimasta incosciente per sei ore.”
Lidya
respirò a fondo. “Sei rimasto qui per sei ora di fila? Hai l’aria stanca.”
“Non
volevo che fossi sola al tuo risveglio. Natasha e gli altri sono rimasti a
lungo, ma alla fine la stanchezza ha avuto la meglio.”
La
donna annuì, abbassò lo sguardo per un istante e quando lo rialzò gli occhi
chiari di Steve si fissarono dentro i suoi. “Mi dispiace” si scusò. “Ho agito
in modo impulsivo. Ho rifiutato il vostro aiuto perché credevo di proteggervi
ma facendolo ho finito quasi per farvi saltare in aria. Ma più di ogni cosa, mi
dispiace perché sento di aver tradito la tua fiducia in qualche modo e questo
pensiero è quello che mi tormenta più degli altri.”
Il
Capitano rimase in silenzio ma non distolse lo sguardo dal suo. Infine le fece
un mezzo sorriso. “Ero arrabbiato con te” le confessò. “Fino a quando non ho
creduto che fossi morta. A quel punto la rabbia è passata e ha lasciato il
posto alla paura. Io non mi spavento facilmente” piegò poco il capo. “Ma il
pensiero che tu non ci fossi più mi ha spaventato. Ho sentito un grande vuoto,
un vuoto che non sentivo da tanti anni. Non è una sensazione che mi piace,
quindi ti prego, non farmela provare più.”
Lidya
sentì gli occhi riempirsi di lacrime ma si sforzò di non piangere. “Lo
prometto” disse incrociando due dita. “E ti devo ancora una cena e un racconto
dettagliato della mia vita. Domani, che ne dici?”
“Non
ho impegni per domani sera” Steve le sorrise e per Lidya fu istintivo alzare la
mano e poggiargliela sul viso.
“Sto
per baciarti” gli sussurrò. “E se per caso non ti piacerà, tutto quello che
dovrai fare sarà spingermi via e capirò. Okay?”
Lui
le baciò il palmo della mano. “Okay.”
La
donna avvicinò le labbra alle sue, esitò un istante e poi le baciò dolcemente.
Si rese conto che erano così morbide... non ci aveva fatto caso la prima volta
che lo aveva baciato, ma in sua difesa doveva dire che forse non ne aveva avuto
neppure il tempo. Quel bacio era durato una frazione di secondo, e non era
stato per niente intimo come quello che si stavano scambiando in quel momento.
Sentì le dita di Steve tra i suoi capelli, le labbra si dischiusero per
permettere a quel bacio di diventare più profondo, per un lungo minuto. Poi il
contatto si ruppe ed entrambi respirarono a fondo quasi volessero riprendere
fiato.
“Non
mi hai spinto via, suppongo quindi che ti sia piaciuto” ridacchiò Lidya.
“Sei
perspicace” scherzò lui. “Ora sarà meglio che vada e ti lasci dormire. La
dottoressa Cho ha detto che hai bisogno di riposare.”
“Ho
dormito per sei ore, tu hai bisogno di riposare più di me probabilmente” la
donna si fece di lato nel letto. “Ma farò come ha detto la Cho, solo... perché
non riposiamo insieme?”
Steve
si sdraiò accanto a lei, accolse il suo capo sul petto e le baciò la fronte.
Solo dopo si addormentò.
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