42 grammi.

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: la ragazza senz'anima. ***
Capitolo 2: *** 1)La vita della senz'anima. ***
Capitolo 3: *** 2)Movimenti. ***
Capitolo 4: *** 3)Un posto per le foglie portate dal vento. ***
Capitolo 5: *** 4)Il colpo di mano del destino. ***
Capitolo 6: *** 5)I matti sono i migliori. ***
Capitolo 7: *** 6)Quella risata cristallina. ***
Capitolo 8: *** 7)Persa in una città rincoglionita. ***
Capitolo 9: *** 8)L'appartamento verde. ***
Capitolo 10: *** 9)La solita pecora nera. ***
Capitolo 11: *** 10)La magia dei bambini. ***
Capitolo 12: *** 11)Il segreto dei dolci giapponesi ***
Capitolo 13: *** 12)La castigamatti. ***
Capitolo 14: *** 13)Sa di adolescenza. ***
Capitolo 15: *** 14)Non smettere mai di ribellarti. ***
Capitolo 16: *** 15)La bambina che ero. ***
Capitolo 17: *** 16)Al diavolo! ***
Capitolo 18: *** 17)Solo un po'di nero. ***
Capitolo 19: *** 18)Come le stelle lontane e menefreghiste. ***
Capitolo 20: *** 19)Candele e falene. ***
Capitolo 21: *** 20)La chiave. ***
Capitolo 22: *** 21)Solo una figlia rotta. ***
Capitolo 23: *** 22)Potrebbe perfino funzionare. ***
Capitolo 24: *** 23)Primi passi. ***
Capitolo 25: *** 24)La mia anima. ***
Capitolo 26: *** 25)Vivi un po'. ***
Capitolo 27: *** 26)Un appuntamento magico. ***
Capitolo 28: *** 27)Il giorno del Ringraziamento. ***
Capitolo 29: *** 28)Completa. ***



Capitolo 1
*** Prologo: la ragazza senz'anima. ***


Prologo: la ragazza senz'anima.


Le disgrazie non hanno un orario a cui presentarsi, non lo sapevo prima d’ora.
Ho sempre pensato che gli eventi improvvisi non potessero infilarsi nella mia vita ben programmata, ma mi sbagliavo.
Mi chiamo Karima Jenkins, ho ventotto anni e sto per scoprire che non importa quanto imprigioni la tua vita nella routine, nella speranza di avere tutto sotto controllo, il caso vi farà comunque la sua apparizione.
Sono le quattro di mattina e il telefono accanto al mio letto suona in modo insistente, abbastanza da irritare un pochino persino una persona senza emozioni come me.
Non sono la solita ragazza che da adolescente emo è diventata una ragazza che finge di essere cinica o qualcosa del genere, io le emozioni non le sento proprio.
Dentro di me c’è sempre calma e freddo come durante una tempesta, non ho mai riso o pianto, sorriso o mostrato tristezza.
Ho sempre avuto uno sguardo assente che è stata la disperazione dei miei genitori, ma ora devo smettere di rimestare in queste riflessioni e rispondere al telefono.
“Lei è la signorina Karima Jenkins?”
Domanda una voce fredda e controllata.
“Sono io.”
Rispondo intontita io, passandomi una mano tra i capelli verdi scompigliati.
“Sono dolente di informarla che i suoi genitori sono deceduti, chiamo dal Columbia Hospital di New York.”
L’intontimento passa del tutto, all’improvviso come un gatto davanti alla preda. So che i miei genitori dovevano partecipare a un convegno per l’università cittadina in cui raccontavano della loro esperienza di medici senza frontiere.
“Cosa? Come sono morti?”
Chiedo con una sfumatura di panico nella voce.
“In un incidente stradale, purtroppo hanno avuto un frontale con un altro veicolo.”
Risponde la voce femminile di un’infermiera, che ora ha una nota di dolore nella voce, io mi passo una mano sulla faccia con il cuore che batte a mille e non posso fare a meno di chiedermi se sia per una sorte di riflesso condizionato o per vero dolore.
“A-arrivo subito. Il tempo di prenotare un aereo.”
Chiudo la chiamata e mi guardo allo specchio. Una ragazza pallida con gli occhi castani dalle sfumature verdi e i capelli verdi fosforescente con un piercing al naso mi restituisce uno sguardo incredulo.
I mie genitori sono morti e io ancora non ci credo, mi sembra un incubo anche se so che è la realtà. Loro hanno passato anni nelle zone più pericolose del pianeta senza saltare su una mina e senza farsi sparare addosso da qualche guerrigliero e ora sono morti per un banale frontale.
Non ci posso credere, ma è il mio corpo quello che accende il computer e che va sul sito dell’aeroporto di San Diego a controllare il prossimo volo in partenze per New York.
Ce n’è uno alle sette e pronoto i biglietti, sono figlia unica e mai come in questa occasione vorrei avere un fratello o una sorella con cui condividere il mio dolore.
L’unico modo che ho per sentire qualcosa o per esprimere quel poco di me stessa che mi rimane è la fotografia – il mio lavoro – e suonare il basso, la mia passione.
Preparo la valigia, vagamente confusa su cosa portare e cosa non, e penso alla sua famiglia. Mio padre Daniel ha incontrato mia madre Aida in un campo profughi palestinese, lei era infermiera e lui medico. Il loro amore è sbocciato in mezzo al dolore e ai feriti che curavano. Giorno dopo giorno hanno imparato ad amarsi e non hanno mai smesso, Aida si è messa contro tutta la sua famiglia per lui. Mamma non ha mai mollato nemmeno un attimo, ha sposato l’uomo che amava e poi sono arrivata io.
Erano felici i miei genitori di avere una figlia come me, mio padre era orgoglioso di quella figlia musicista che un po’suonava il basso in qualche gruppo, un po’ faceva la fotografa. Mio padre amava la fotografia, era una passione che coltivava con amore in parallelo alla sua professione medica.
L’unica cosa che preoccupava i miei genitori era la mia assenza di emozioni, mia madre diceva che secondo lei non avevo un’anima e lei non sapeva cosa fare. Si era calmata solo quando una vecchia zingara le aveva detto che l’anima di sua figlia sarebbe arrivata quando lei si fosse innamorata del ragazzo giusto.
Stronzate, diceva suo padre.
Stronzate.
Il mio cuore si stringe pensando che non potrà più dirmelo.

 
Arrivo al Columbia Hospital di New York sotto una pioggia battente. Entro e mi dirigo immediatamente all’accettazione, indosso un paio di jeans neri, una maglia dello stesso colore e un hijab nero da cui spunta la mia corta frangia ribelle.
Ho deciso di indossarlo in onore di mia madre e della sua religione, un modo come un altro per onorare la sua memoria e rendere noto a tutti il mio lutto.
La donna mi squadra – forse spaventata dal mio velo e pensando che io sia una terrorista – ma poi decide di lasciar perdere e mi detta loro le indicazioni per raggiungere la camera mortuaria, anche se si rivelano inutili.
Un’infermiera mi scorta e mi racconta i dettagli dell’incidente: era buio e pioveva, gli occupanti dell’altra macchina hanno perso il controllo del mezzo e sono finiti dritti contro quella che veniva dall’altra corsia.
Quella dei miei genitori.
Non posso fare a meno di chiedermi se fossero drogati o ubriachi, guardo i volti di due ragazzi che sostano fuori dalla camera mortuaria. Hanno entrambi gli occhi rossi e li scruto con odio, infine mi decido a parlare.
“Avete ucciso i miei genitori e io non vi perdonerò mai.”
Dico con la mia voce monocorde e quelli se ne vanno, lasciandomi sola davanti all’obitorio, deglutisco e abbasso la maniglia della porta, dolorosamente cosciente di quello che mi ritroverò davanti.
I miei genitori sono lì, ricuciti alla bell’e meglio e sento qualcosa spezzarsi nelle profondità di me stessa .
In quei freddi corpi riconosco mio padre, quello che mi spingeva sull’altalena da bambina e mia madre, quella che preparava spesso cus cus per non dimenticarsi della sua terra.
Accarezzo i loro volti e sento gli occhi bruciare per via delle lacrime, poi allungo la mia piccola mano e chiudo loro gli occhi in un estremo gesto di pietà e mormoro una preghiera.
“È la figlia dei signori Jenkins?”
Un uomo vestito di tutto punto mi si avvicina, lasciandomi perplessa dato che non lo conosco.
“Sono Charles Whright e mi occupo dei servizi funebri per conto dell’ospedale.”
“Sono Karima, la loro figlia.”
Lui annuisce e iniziamo una discussione sui dettagli pratici del funerale, preparo tutto per il meglio come a dimostrare in quel modo il mio affetto per loro, è l’unico modo che mi rimane.
In realtà vorrei essere solo a casa mia a piangere per tutto quello che è successo.
Alla fine lascio l’ospedale e me ne vado in un hotel vicino che mi ospita per la notte e per la durata dei preparativi del funerale, me l’ha consigliato l’ospedale.
Mi sdraio, sperando di dormire un po’, ma non ce la faccio.
Mille ricordi si affacciano alla mia mente: sorrisi, racconti, cene di famiglia. E io sento le lacrime scendere, ma non c’è riposo per me, solo dolore o una sua pallida eco, una fotografia sbiadita del passato, un dagherrotipo sviluppato male.
Scendo a fare colazione non appena la sala pranzo apre e mangio qualcosa, giusto per riempirmi lo stomaco e non svenire. Una volta fatto quello sbrigo le incombenze: telefono a parenti e amici, chiamo i giornali per il necrologio e parlo con gli addetti dell’agenzia delle pompe funebri.
Scelgo la cassa, i vestiti e l’allestimento della camera funebre.
Tutte queste cose mi rendono esausta e arrivo all’hotel per pranzo senza un filo di energia, crollerei se una faccia famigliare non mi sorreggesse.
Testa pelata, sorriso contagioso, colorito abbronzato da bravo ragazzo americano: Adam Elmakias.
“Adam, cosa ci fai qui?”
“Ti ho chiamato stamattina per chiederti una cosa e ho sentito la tua segreteria telefonica.”
“Oh, giusto.”
“Mi dispiace che i tuoi genitori siano morti, erano delle brave persone.”
“Sì, lo erano. Di sicuro migliori di me.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Non stiamo più insieme, ma i litigi sono gli stessi!
Tu non vali meno degli altri perché sostieni di non avere sentimenti o per le tue idee, tu sei perfetta così come sei.”
Io sorrido debolmente.
Adam è stato il mio primo ragazzo, nonché l’unico con cui abbia avuto una storia seria, a volte mi manca, ma lui si meritava di meglio di un androide e di sicuro non era la mia anima gemella perché i miei sentimenti continuano a non esserci.
“Andiamo a mangiare, hai un aspetto orribile, scommetto che non hai dormito e a colazione avrai mangiato il minimo necessario per non crollare.”
“Sì, ci hai preso.”
Entriamo e ci sediamo al mio tavolo e aspettiamo che il cameriere ci serva i piatti che ho ordinato: pasta al sugo e una bistecca ai ferri per me, lui non so cosa abbia ordinato.
“Kari, ti mancano?”
Un’ombra passa nei miei occhi strani, è una domanda comune, ma non per me.
Sì, mi mancano. Mi destabilizza che io senta il dolore a distanze così abissali, perché sono nata così?
È una punizione di un qualche Dio? Benedetta da una maledizione come direbbe Oli Sykes?
“Sì, mi mancano e fa male. Ma devo rispettare la loro memoria e organizzare le cose al meglio.”
Lui annuisce comprensivo e noto i suoi vestiti.
Indossa un camicia nera e un paio di jeans dello stesso colore, io indosso una camicia e un maglione nero, un paio di pantaloni dello stesso colore e l’hijab della sera prima.
Il cameriere arriva con i nostri piatti – lui deve essersi accordato con il direttore prima che io arrivassi – e iniziamo a mangiare.
“Ho pensato che una mano ti sarebbe servita, sei una roccia, ma a volte anche le rocce si crepano.”
Io annuisco.
“Io non so bene come farò ad affrontare i parenti e gli amici nella camera funebre.”
“Li seppellisci qui?”
“No. Anche se non avrebbero approvato spendere così tanti soldi per niente, lo sai come erano fatti, avrebbero preferito che i soldi fossero dati a qualche associazione benefica.
Io però li voglio vicino a me in modo da poter andare ogni tanto a visitare e tombe.”
“Sì, capisco.
Sicura che averli così vicini ti farà bene?”
“Chi lo sa, lo sai come sono fatta.”
Dico amara portandomi alla bocca l’ultima forchettata di pasta, il cuoco deve essere italiano perché è buona e non è la solita colla che servono nei posti che vogliono imitare la cucina italiana e non ne sono capaci.
Mangiamo anche il secondo, il dolce e il caffè. Adam controlla che io mangi come una chioccia iperprotettiva, immagino che non farei una gran bella figura svenendo nel bel mezzo delle condoglianze.
Finito di mangiare andiamo alla camera funebre, che è già piena di parenti e amici dei miei genitori, come ho già detto erano persone molto amate.
Io ascolto le loro parole, annuisco, mormoro qualcosa su quanto splendidi fossero e cerco di far penetrare dentro di me le parole di consolazione. Ma non ci riesco, è come se il mio cuore fosse trafitto da mille schegge di vetro che nessuno dottore potrà mai rimuovere.
È questo il dolore? Anche se è sentito a mille miglia di distanza, è questo il dolore?
Mi sento così persa e confusa!
All’improvviso vedo mia zia Jen con suo marito Tom che stanno parlando con Adam e faccio per avvicinarmi a loro, ma mi fermo a una distanza di sicurezza per sentire cosa dicano e non essere inserita nella conversazione
“Adam.”
Dice una voce sottile in cui riconosco a stento quella di mia zia Jen DeLonge.
“Adam, mi dispiace così tanto.”
Si abbracciano e lui cerca di confortare quel corpo minuto, ma alla fine è lei che lo conforta, Adam era molto legato ai miei genitori. Tom è in piedi accanto a lei, a disagio.
“Come sta Karima?”
“Male, credo. Non esprime mai le sue emozioni e io non so come aiutarla.”
Lei si asciuga una lacrima.
“Mi sento sola, Danny era il fratellone che mi tirava sempre fuori dai guai.”
“Era un grand’uomo, faceva del bene a tutti ed è stato il primo ad accettarmi nella vostra famiglia. Gli volevo molto bene.”
Dice sinceramente mio zio, i miei nonni non hanno accettato subito che la mamma si mettesse con un musicista e che l’aveva anche fatta soffrire in passato.
“Anche lui te ne voleva, parlava sempre molto bene di te, anche quando ti sei comportato male con i blink.”
“Era una bravissima persona, immagino che la piccolina stia male.”
La piccolina sono io, è stato lui ad insegnarmi a suonare il basso e siamo molto legati, lui mi accetta per come sono e mi spezza il cuore vederlo soffrire per me.
“Sì, a suo modo.
Sta arrivando.”
Mi avvicino a grandi passi, una specie di sorriso increspa il mio volto di pietra.
“Zio Tom.”
Mi abbraccia forte e accoglie la mia figuretta nelle sue braccia forti, braccia che mi fanno sempre stare meglio.
“Grazie per essere qui, per me significa tanto.”
“Non potevo lasciarti sola, piccolina.”
“Cosa farò senza di loro?”
“Andrai avanti perché è questo che avrebbero voluto.”
“Fa male, zio Tom.”
“Lo so, piccola.”
Abbraccio anche Jen e ascolto le sue parole di consolazione.
Grazie a Tom e Jen il giorno diventa più sopportabile e finisce prima, anche i due giorni seguenti, anche se costellati di dolore finiscono.
Io sono stremata e se non fosse per Adam che controlla che mangi adeguatamente probabilmente sarei collassata almeno un paio di volte al giorno.
Le bare vengono caricate su di un aereo diretto a San Diego come disposto da me, lo stesso su cui viaggiano noi e gli zii.
Arriviamo in un giorno di sole, uno di quelli che mia madre amava particolarmente perché le ricordavano la sua Palestina.
Vengono subito portate in chiesa,noi le seguiamo come automi, io mi sento svuotata di ogni emozione, persino peggio del solito.
Cristo, se fa male!
La cerimonia è lunga e toccante, molti parlano dei miei genitori. Vengono elogiati come persone, viene ammirato il loro impegno nel sociale e la loro bravura come medici.
Io li ascolto e cerco di raccogliere il coraggio per parlare davanti a tutta quella gente, Adam mi appoggia la mano sulla spalla in un gesto rassicurante prima che tocchi a me, io sorrido debolmente.
La mia camminata è marziale come quella un soldato, le spalle dritte, l’hijab nero che sottolinea il mio dolore. Prendo posto davanti al leggio e guardo la gente riunita in chiesa, ce la farò?
“Io sono Karima, sono la figlia di Daniel e Aida.
I miei genitori erano molte cose. Erano brave persone, sempre pronte a dare una mano a chiunque. Medici competenti e generosi, che hanno prestato servizio in posti in cui i loro colleghi non sarebbero mai andati. Erano anche genitori meravigliosi che mi hanno insegnato cosa conta sul serio nella vita.
La loro morte mi spezza il cuore, ma loro non vorrebbero che ci fossilizzassimo su questo dolore, perciò vi chiedo di portare avanti la loro eredità e di non dimenticarvi del loro esempio.
Cercate di imitarli e loro non saranno dimenticati, vivranno nel nostro cuore e nelle nostre azioni.
È tutto.”
Io scendo e torno nel loro banco, questa volta è zio Tom ad appoggiare una mano sulla mia spalla.
“Sei stata coraggiosa.”
“Mamma e papà avrebbero voluto che agissi così.”
Finito il servizio funebre, Adam, Tom  e altri due amici di mio padre si caricano in spalla prima la bara di Daniel Jenkins e poi quella di Aida Jenkins, dirette al loro ultimo viaggio.
Il cimitero che ho scelto è vicino alla casa dove ho vissuto la mia infanzia ed è uno spazio verde molto tranquillo, la prima bara a essere calata è quella di mio padre e poi tocca a mamma.
Io sono sudata e con il cuore spezzato, ma so che è questo quello che avrebbero voluto i miei genitori, più o meno o almeno so che avrebbero capito la mia scelta. Mi metto a lato delle due fosse e aspetto che il prete dica le ultime parole, poi lancio una rosa bianca e una manciata di terra su entrambe le bare, il volto impenetrabile come una maschera africana, eppure i miei occhi sono lucidi, Adam fa lo stesso.
“Se ti servisse qualsiasi cosa non esitare a chiamarci.”
Dice Tom, io annuisco, la mente altrove.
Una volta riempita la fossa e ascoltate le ultime parole degli amici, Adam passa un braccio attorno alle mie fragili spalle.
“Adesso sono da sola.”
“Io ci sarò sempre se mi vorrai.”
“Grazie, Adam.”
Dico con voce spezzata.
“Di niente, piccola.”
La voce solare di Adam ha qualcosa di rassicurante questa vota e io sento per la prima volta un calore all’altezza del cuore.
Qualcosa di buono verrà da questa tempesta.



Questa è Karima.
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Capitolo 2
*** 1)La vita della senz'anima. ***


1)La  vita della senz'anima.

 
Karima p.o.v.

 
Sono passati tre mesi dalla morte dei miei genitori e i mie occhi sono asciutti, secchi.
Allah non permette che nemmeno una lacrima scenda o forse dovrei dire Dio, ma ogni volta che pronuncio il nome del dio dei musulmani mi sento più vicina alla mamma.
Mi manca e mi manca papà, ma non riesco a esprimere questo sentimento come non sono mai riuscita a esprimere altri sentimenti in precedenza.
Sento che il mio cuore è da sempre avvolto in uno strato di ghiaccio, una zingara disse una volta alla mamma che ero nata senza anima e che solo la mia anima gemella mi avrebbe restituito la mia mancante.
Non so se sia vero, forse è stata solo una frottola per avere un po’ di soldi, ma forse è vero.
Perché io non sento emozioni?
O se le sento, le sento così lontane?
Mi hanno portato da psichiatri e psicologi e nessuno è mai riuscito a venire a capo del problema, la cosa mi fa stare un po’ male. Male quanto può stare una senza sentimenti.
Con un sospiro prendo il mio basso verde e inizio a muovere delicatamente le mani sulle corde, lasciando che una melodia triste parli per me. Tutte le mie melodie sono tristi, ma quelle che compongo ora sono più tristi del solito. Parlano di perdita e disperazione al mio posto e provocano leggeri movimenti al mio interno, come topi che corrono in una vecchia casa.
Vorrei riuscire a dirli a voce alta e con le lacrime agli occhi questi sentimenti, vorrei essere normale.
Qualcuno bussa alla porta della mia camera e io appoggio delicatamente lo strumento al suo posto, in un angolo della stanza. Adam entra e si siede sul mio letto, sul suo volto c’è un’espressione seria.
Da dopo il funerale è venuto praticamente a vivere da me per controllare che non mi lasciassi morire di fame o facessi qualche stupidagine.
“Karima, andrai per un po’ da zio Tom e zia Jen.”
“Perché?”
“Sono preoccupato per te, sorellina. Non mangi, parli meno del solito, indossi sempre questo hijab. Io mi sento tagliato fuori, non so cosa fare per farti stare meglio, forse lo zio e la zia ci riusciranno. E poi ho un lavoro da fare che mi terrà lontano un mese da San Diego.”
Io abbasso gli occhi.
“Mi dispiace di essere un peso per te e di farti soffrire ancora di più, vorrei poterti aiutare, so che anche tu eri affezionato ai miei genitori…. Ma non ci riesco. Aspetto che i sentimenti arrivino sempre, ma non sento nulla.”
Lui mi abbraccia.
“Io ti voglio bene anche se non riesci a esprimere i tuoi sentimenti o sei nata senza anima, vorrei che tu stessi meglio.”
“Allora andrò dagli zii.”
Lui annuisce.
“Inizia a fare le valigie.”
“Va bene.”
Lui esce e io inizio a infilare cose a caso in una grande valigia: vestiti, intimo, salviette, altre cose.
Alla fine riempio due valigie e io e Adam partiamo alla volta della grande villa dei DeLonge, appena fuori San Diego, per far sì che io abbia pace e tranquillità. Il cancello si apre e lo zio mostra ad Adam dove parcheggiare la mia macchina, poi ci stringe in un abbraccio caloroso.
“Sei diventata magra, piccolina. Devi mangiare.”
“Lo so, zio.”
Lui e Adam portano dentro i bagagli, i miei zii mi hanno riservato una camera grande e molto confortevole e – cosa più importante – con un bagno personale.
Quando finisco di mettere via le mie cose e scendo nel salone i miei cugini mi saltano in braccio, prima Ava e poi Jonas.
“Sei diventato ancora più bello.”
“E tu magra, Karima! Ma la mamma ti metterà a posto.”
Una volta lasciati i ragazzi abbraccio la zia.
“Somigli tanto a Daniel, ma vorrei che i tuoi occhi non fossero così spenti.”
“Lo vorrei anche io, zia.”
“Aida mi aveva detto del tuo problema, ma non pensavo fosse così grave.
È pronta la cena in ogni caso.”
Andiamo tutti nella grande sala da pranzo e zia ci serve una generosa porzione di lasagne, all’improvviso mi sento gli occhi di tutti addosso.
Con lentezza esasperante taglio un pezzo con il coltello e lo infilzo con la forchetta e poi lo porto alla bocca, mastico e lo inghiotto.
“Molto buone.”
Lei mi sorride radiosa.
“Allora mangiale.”
Io cerco di atteggiare la mia bocca a un sorriso e mangio un altro boccone.
Ogni volta che li inghiotto è una fatica, ma sento di non poterli deludere, che stanno facendo tutto questo per me e per aiutarmi. Forse lo sanno meglio di me che se fossi rimasta da sola mi lascerei morire di fame per raggiungere la mia famiglia.
Mamma mi manca soprattutto, lei è quella che si è sentita più colpevole per il mio problema, diceva che forse era una punizione di Allah per essersi sposata contro il volere dei suoi con un infedele. Le dispiaceva che pagassi per quella che riteneva fosse una sua colpa.
Finito di mangiare la lasagne della zia, mangio anche il dolce e poi mi ritiro per fare una doccia, ne ho bisogno.
Sto in bagno per quella che mi sembra un’eternità e quando esco pulita, profumata e con i capelli asciutti trovo mio zio in camera.
“Ehi, scricciolo. Come va con il basso?”
“Bene, zio. Vuoi sentire qualcosa di mio?”
“Sì, mi piacerebbe.”
Io inizio a suonare quello che stavo suonando prima che Adam mi interrompesse, lui mi guarda ammirato.
“Sai suonare benissimo, perché non entri in una band?”
“Mi piace di più la fotografia, sento che riesco a esprimere meglio i miei sentimenti, anche se per adesso lavoro alla Fueled By Ramen perché nessuno mi chiama.”
Gli rivolgo un sorriso triste.
“Sono sicuro che in futuro andrà meglio, Adam ti aiuterà.”
Io annuisco e suoniamo insieme come quando ero piccola e lui mi insegnava a mettere le dita nel posto giusto.
Suoniamo fino a mezzanotte, non pensavo che mi avrebbe portato via così tanto tempo!
“Zio, io domani devo andare al lavoro.”
“Alla Fueled By Ramen?”
Io annuisco.
“Allora ti lascio dormire.”
Lui esce ed entra mia zia con un bicchiere in mano, io la guardo curiosa.
“È valeriana, ti aiuterà a dormire.”
Io annuisco e la bevo senza fiatare.
“Buonanotte, zia.”
“Buonanotte, Karima.”
Mi metto a letto e dieci minuto dopo sono già addormentata.

 
La mattina dopo mi sveglio e mi vesto con la solita cura: un paio di skinny strappati neri, una camicia dello stesso colore con due uccellini azzurri sulle tasche. L’unica nota di colore è la mia giacca rossa lunga e un po’pelosa.
Scendo e trovo la cucina affollata, Adam mi passa un piatto di uova e bacon.
“Ma…”
“Mangiale, Karima. Hai bisogno di energia.”
Mi dice lui paziente, io inizio lentamente a mangiarle.
Poi ingurgito del succo di arancia e un paio di pancakes, poi io e lui lasciamo la cucina, in salotto noto le valigie.
“Io devo andare, vedi di sopravvivere, voglio ritrovarti viva al mio ritorno, anche perché ho qualcosa che potrebbe interessarti.”
“Cosa?”
“Sorpresa!”
Ci abbracciamo e poi lui se ne va con le valigie e la sua macchina fotografica al collo.
Io sospiro e mi dirigo al lavoro, io lavoro in un ufficio della casa discografica.
Parcheggio la macchina al solito posto e poi salgo in ufficio, ho una marea di pratiche da sbrigare, devo anche parlare con i tecnici per vedere cosa fare con le band che ogni giorno da noi registrano qualcosa. Alcuni sono bravi e probabilmente firmeranno un contratto, altri no, non sono semplicemente ancora pronti.
Alle dieci un tecnico sale con un sorrisone stampato in faccia.
“Cosa succede, Ismael?”
“Ci servi per sentire una band. Non riusciamo a decidere se valga la pena .”
“Va bene. Amelie, puoi finire tu la mia pratica?”
“Sì, certo. Vai.”
Mi fa l’occhiolino e io alzo gli occhi al cielo, crede che Ismael mi corteggi.
Esco dalla stanza insieme e non appena siamo fuori dalla stanza mi domanda perché la mia amica mi ha fatto l’occhiolino.
Imbarazzante.
“Non lo sa che ho una ragazza?”
“No, pensa che saremmo una bella coppia, ha un po’ la mania di fare da cupido.”
“Capisco. Beh, forse dovremmo trovarle un ragazzo.”
“Sono d’accordo.”
“Ma adesso pensiamo alla band.”
Scendiamo nella zona dove ci sono gli studi di registrazione e trovo un gruppo di  quattro ragazzi sui vent’anni, uno ha i capelli di un azzurro fosforescente.
“Lei è Karima, lavora in ufficio e deciderà se vale la pena mettervi sotto contratto. Noi non abbiamo ancora preso una decisione.”
“Non presentarmi come il giudice supremo! Lo odio.”
Come vi chiamate?”
“Blue Tomatoes.”
“Allora, Blue Tomatoes. Dateci dentro!”
Dico con il mio solito sorriso falso che uso quando sono al lavoro per incoraggiare qualcuno e poi mi siedo su una sedia tra i tecnici.
I ragazzi prendono posto nella sala di registrazione e dopo aver sistemato gli strumenti iniziano a suonare un pop-punk veloce e anche un po’ grezzo, pieno di energia, anche se il cantante ogni tanto stecca e nemmeno gli altri musicisti sono perfetti.
Quando hanno finito Ismael mi guarda.
“Che ne dici, Karima?”
“Sono come un diamante grezzo. Hanno energia da vendere e un sound che ti fa venire voglia di saltare, se correggiamo gli errori tecnici ne verrà fuori qualcosa di buono.”
“Dici di proporli al grande capo?”
“Sì, ma prima fammi parlare con loro per spiegargli il tutto. Sono sicura che se darò loro una mano ce la potrebbero fare.”
I ragazzi escono dalla cabina e mi guardano speranzosi.
“Allora, partiamo dai punti positivi: avete una grande energia e un suono grezzo molto buono.
Il problema è il cantante a volte stecca e il chitarrista ha sbagliato un paio di entrate, ci sarebbe anche un riff da sistemare.
Ho deciso di darvi una mano, procuratemi una chitarra.”
“Puoi prendere la mia.”
Si offre il chitarrista, io annuisco e suono il suo riff.
“Questo risulta poco incisivo in alcune parti.”
Suono un altro riff simile a quello precedente, ma più energetico.
“Questo suona meglio.”
“Hai ragione.”
“Allora inseriscilo nella canzone e togli una ripetizione del ritornello. Mi raccomando, capelli blu, non steccare e ricordati del riff.”
“Mi chiamo Darren.”
“Scusami.”
“È tutto a posto.”
“Andate a provare.”
Ritornano nella cabina e questa volta sono decisamente migliori della volta precidente, i tecnici mi guardano soddisfatti.
“Karima, fai miracoli.”
“Non esageriamo, erano solo due cose da sistemare.”
“Ottimo, ragazzi!”
Urlo nel microfono.
“La prossima la registriamo, dateci dentro.”
Annuiscono tutti e ci riprovano, questa volta dando il meglio di sé e – Cristo – non sembrano nemmeno la stessa band di prima.
“Te lo ripeto, Jenkins, hai fatto un miracolo.”
Mi dice uno degli altri tecnici, Steve mi pare che si chiami.
“Non sembrano nemmeno la stessa band di prima, hanno molte possibilità di essere presi.”
“Allora saluto la band e me ne vado.”
I ragazzi escono dallo studio di registrazione e io vado loro incontro sorridendo.
“Bella prova, ragazzi.
Penso che ci sia una buona possibilità che siate presi, ma io non sono una dei capi non prendete le mie parole per oro colato.
Se andasse male continuate a provarci, mi raccomando.”
“Grazie mille da parte dei Blue Tomatoes, Karima.”
“Di nulla.”
Saluto i ragazzi e i tecnici e torno in ufficio, Amelie mi aspetta con un sorrisone.
“Quando ti deciderai ad ammettere che ti piace Ismael?”
“Ha già una ragazza, Amelie.”
“Ah, peccato. Sareste stati una bella coppia.”
“Amelie, hai bisogno di trovarti un ragazzo almeno smetteresti di fare il cupido.”
Lei sbuffa.
“Smettila di prendermi in giro.”
“Sono seria.”
Lei sbuffa di nuovo.
“Non dirmi che ti sei offesa?”
“A volte sei troppo diretta e non te ne accorgi nemmeno.”
“Scusa.”
Lei sbuffa e riprende a lavorare, ottimo, Karma.
Ottimo.
Hai poche amiche e te le giochi con il tuo non sentire nulla.
“Amelie, mi dispiace davvero.”
“È che da quando Justin mi ha lasciato non riesco a farmene una ragione, non so dove ho sbagliato.”
“Non ti ha tradito?”
Lei annuisce sospirando.
“Allora probabilmente non hai fatto nulla, a volte i ragazzi sono semplicemente stronzi per natura o così dice mio zio.”
“Ma non è sposato con tua zia da una vita?”
“Non c’entra. Lui è Tom DeLonge e prima di stare con lei è stato con parecchie ragazze e poche di loro sono state trattate o lasciate bene.”
“Che?!”
“Che cosa?”
“Tuo zio è Tom DeLonge?!”
“Mh, sì.”
“Perché non me l’hai mai detto?”
“Non me l’hai mai chiesto.”
“Posso vedere le foto?”
Gliene faccio vedere alcune sul mio cellulare e lei è sinceramente stupita.
“Un attimo. Tu ti chiami Jenkins di cognome, come la moglie di Tom.”
“E infatti lei è mia zia, è la sorella di mio padre.”
“Figo.”
Io annuisco e poi mi incupisco.
“Oh, scusa. Forse non avrei dovuto parlare dei tuoi genitori, è ancora troppo presto.”
Io sospiro.
“Prima o poi ne devo parlare, non posso evitare sempre l’argomento.”
“Hai ragione.”
Lei alza lo sguardo verso il grande orologio circolare con una nota musicale che esce da un piatto di ramen e annuisce.
“È ora di pranzo, andiamo al solito Mac Donald?”
“Va benissimo.”
Ci alziamo e prendiamo le nostre giacche, in corridoio incontriamo i nostri colleghi e nell’atrio i tecnici e i Blue Tomatoes mi salutano.
“Chi sono?”
“La band che mi hanno chiesto di ascoltare, si chiamano Blue Tomatoes.”
“Il ragazzo con i capelli azzurri come si chiama?”
“Darren. Vuoi che te lo presenti?”
“Non mi dispiacerebbe.”
“Aspettami qui.”
Mi dirigo verso la band e i tecnici sorridendo.
“Ciao, ragazzi. Vi piacerebbe uscire con me e con la mia collega?”
Loro guardano verso Amelie e il ragazzo dai capelli azzurri sembra colpito da lei.
“Va bene, andiamo.”
Raggiungiamo Amelie e spero di essermi fatta perdonare la figuraccia di prima con questo invito.
Andiamo tutti e sei al nostro solito Mac Donald, Darren e Amelie parlano tutto il tempo, i suoi compagni di band ridacchiano come scemi.
Ordiniamo e poi ci sediamo.
“Ehi, Dar! Hai fatto conquiste!”
Commenta il batterista, un corpulento ragazzo dai lunghi capelli neri raccolti in una coda.
“Invidioso?”
“Stronzo.”
“No, perché sembra proprio così.”
“Non si può scherzare qui.”
Si butta sul suo panino e per un po’la conversazione tace.
“Tu hai il ragazzo?”
La domanda è del bassista, un biondino mingherlino.
“No, al momento non ci penso.
I miei genitori sono morti tre mesi fa e ancora ci sto facendo i conti.”
L’atmosfera si raffredda all’improvviso.
“Scusate, non volevo rovinarvi il pranzo.”
Borbotto e riprendo a mangiare il mio  panino, pentendomi di avere aperto bocca, combino sempre casini e non imparo mai a tacere.
Finito il pranzo Amelie e Darren si fumano una sigaretta insieme e lei gli lascia il suo numero, torniamo alla casa discografica con lei che sorride come una scema, il suo pranzo è andato discretamente bene.
“Grazie, Karima.”
“Per cosa?”
“Per avere invitato la band, Darren è così simpatico, forse ci vedremo fuori dalla casa discografica.”
“Ottimo, sono felice per te.”
Rientriamo in ufficio e sono sicura che con questo ho rimediato alla mia figuraccia, missione compiuta, Kari!
Mi siedo alla mia scrivania e ricomincio a lavorare pregando che a routine allontani il dolore fino a renderlo solo una macchia sul passato.
I miei genitori mi mancano ogni giorno e non sono sicura di voler lavorare ancora qui, la fotografia mi manca almeno quanto loro. Il fatto è che non riuscivo a trovare incarichi e alla fine ho gettato la spugna, ma non sono più certa che sia stata una buona idea.
Cosa devo fare?
Non lo so, ma per il momento è meglio che lavori se non voglio essere licenziata.
Maledetta vita.

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Capitolo 3
*** 2)Movimenti. ***


2)Movimenti.

 
Karima p.o.v.

 
Un mese dopo la partenza di Adam arrivo a casa dal lavoro per trovare una piacevole sorpresa: lui è tornato!
Credevo che stesse via di più, non appena lo vedo lo abbraccio stretta.
“Ehi, cosa ci fai qui?
Pensavo dovessi stare via di più.”
“Se vuoi me ne vado, eh!”
“Che stronzo permaloso!”
“Karima.”
Mi ammonisce gentilmente mia zia, visto che i miei cugini sono ancora – tutto sommato – piccoli si è deciso di evitare il più possibile le parolacce.
“Sì, zia, scusa.
Comunque, come mai sei qui? Pensavo stessi via di più o almeno mi avevi detto questo.”
“Te lo spiego a cena, adesso, se i padroni di casa permettono, vorrei farmi una doccia e cambiarmi.
Sono partito quasi di nascosto e al massimo dopodomani devo andarmene.”
Mia zia sorride.
“Non devi nemmeno chiedere, vai pure.”
Lui sale trascinandosi dietro una valigia e la sua attrezzatura da fotografo, io invece vado in cucina da mia zia.
“Ti serve una mano?”
Le chiedo.
“No, la pizza è in forno.
Io e i bambini l’abbiamo preparata insieme oggi, ci siamo divertiti molto.
Magari potresti preparare la tavola.”
“Certo, va benissimo.”
Vado in sala e comincio a tirare fuori la tovaglia e i tovaglioli che dispongo ad arte.
Apparecchio disponendo con ordine bicchieri, posate, bibite e tutto quello che serve, poi salgo a chiamare Adam, mio zio e i miei cugini. Jonas sta facendo i compiti e Ava sta prendendo lezioni di chitarra dal padre.
Scendono tutti e trascorriamo una cena abbastanza piacevole, ovviamente mi spiano tutti discretamente per vedere se mangio o no. Mangio, non ce la farei a deluderli e poi la zia ha dato il meglio di sé stessa e lo so che lo fa per me.
“Cosa dovevi dirmi di tanto importante da fuggire dal tour con i Pierce The Veil, Adam?”
“Ecco, ho ricevuto un incarico dalla Hopeless Record, ma non posso accettarlo perché come hai fatto notare tu sono impegnato con i Pierce The Veil quindi ho pensato che potessi sostituirmi.”
“Sei matto?”
“Cosa ho detto di male?
Sai fotografare molto bene e l’unica ragione per cui sei ancora alla Fueled By Ramen è che non sei riuscita a trovare incarichi, io te ne offro uno.
Non sei felice a lavorare in un ufficio, ti manca la fotografia.”
“Cosa ne sai tu di cosa mi manchi?”
Urlo ferita.
Da quando i miei sono morti, non sono più riuscita a toccare la mia macchina fotografica, ogni volta che lo facevo pensavo ai miei. L’ultima volta che l’ho usata è stata per fotografare loro per la cazzo di conferenza che me li ha portati via, certo non guidavo io il camion che li ha uccisi, ma sento di averli spinti lì in qualche modo.
“Ti si legge in faccia, non puoi continuare a scappare per sempre da quello che ti piace, che ti dà soddisfazione perché hai paura di essere felice o ti senti in colpa per essere viva.”
Faccio per alzarmi e abbandonare questa conversazione che inizia a non piacermi, ma mio zio mi appoggia una mano sulla spalla e mi fa risedere.
“Adam, di che incarico si tratta?”
“Per un paio di settimane dovrebbe fotografare gli All Time Low in studio mentre stanno registrando qualcosa di nuovo e poi seguirli durante il tour. Si tratta di almeno sei mesi.
Karima, hai bisogno di cambiare aria. I tuoi zii si stanno occupando benissimo di te, ma tu non permetti a te stessa di guarire, pensi che la routine cancellerà il dolore, ma non succederà.
L’unico modo per farlo è fare qualcosa che ti gratifichi, è quello che avrebbero voluto i tuoi genitori.”
Io mi alzo in piedi con tale violenza da rovesciare che cade con il rumore di una granata e fulmino Adam con un’occhiataccia, poi salgo in camera mia.
Vorrei buttarmi a letto, ma sono troppo nervosa e arrabbiata – Adam ha toccato dei nervi scoperti – quindi frugo nella mia borsa ed estraggo un pacchetto di sigarette alla vaniglia che sono il mio piacere proibito in fatto di fumo.
Esco nel mio minuscolo terrazzino e ne accendo una aspirando il fumo, ma è troppo dolciastro per grattare la gola, sembra indorare la pillola. Non è quello che voglio, quello che voglio è prendere a pugni qualcosa, sfogarmi, rifare l’arredamento della mia camera come farebbe un tornado.
Ma questa non è casa mia e io non lo posso fare, vorrei urlare, ma penso che i vicini chiamerebbero probabilmente la polizia o il manicomio.
Queste rockstar sono eccessive, fanno casino o danno di matto, non sono buoni vicini.
Mi lascio sedere senza forze sulla comoda sedia e continuo a fumare in silenzio, frustrata e arrabbiata.
Finita la sigaretta, rimango un attimo a fissare il giardino di mio zio, è sapientemente illuminato da luci che però proiettano lunghe ombre e nascondono tante cose. Potrebbe esserci un gatto o un serpente nascosto nel buio, forse persino una persona.
Dove c’è luce c’è buio, dove c’è buio c’è luce.
Che curioso pensiero.
Sospirando rientro in camere e poi scendo al piano di sotto, la cena è terminata senza di me, lavo i piatti e mi faccio una doccia, poi cerco di suonare, ma non mi viene niente.
“Merda!”
Impreco tra i denti, a causa di tutte le chiacchiere di Adam non riesco a concentrarmi a dovere e a suonare.
“Tutto bene, scricciolo?”
Mi chiede mio zio, che entra e si siede accanto a me.
“No, per colpa di Adam non riesco a suonare.”
“Perché? Perché hai reagito così?
Lui vuole solo aiutarti.”
“Non è il modo giusto, io non…
Ecco, ho dei problemi a usare la macchina fotografica, ogni volta che la uso mi tornano in mente i miei. L’ultima volta che l’ho usata è stata per fare loro delle foto e guarda come è finita.
Sono morti, le mie foto sono sulla loro tomba.
Le mie foto non dovevano essere usate così, non è giusto, cazzo.
La proposta è buona, ma io non me la sento.”
“A parte tutto quello che mi hai detto, come mai?
La tua tecnica è ottima, Karima.”
“Grazie, zio. La tecnica non è il problema, è quello che mi suscita prendere in mano la macchina fotografica, e anche se non mi suscitasse nulla, sono io il problema.”
“Cosa vuoi dire?”
“Io sono senza sentimenti, come posso costruire dei rapporti con la band?
Non ci riuscirei e rischierei di compromettere tutto, c’è gente molto più brava di me che merita una possibilità.”
“Anche tu meriti una possibilità. Secondo me devi provarci e lasciare da parte per un attimo il tuo problema.”
Io lo guardo sorpresa, è la prima volta che mi incoraggia a fare qualcosa, ha sempre evitato di farlo per non litigare con i miei, anche se mio padre amava che io fotografassi.
“Lo pensi davvero, zio?”
“Ne sono sicuro, ma la decisione spetta a te.”
Già, la decisione spetta a me.
Rimetto a posto il mio basso, conscia che stasera non suonerò più nulla e mi sdraio a letto.
Adam passa a darmi la buonanotte, io lo ignoro. So già che non chiuderò occhio perché stanotte oltre a rivivere il momento in cui mi è stato annunciato che i miei erano morti ci sarà quella stupida idea di essere di nuovo una fotografa a farmi compagnia.
Fanculo.

 
Come previsto non chiudo occhio.
Mi giro e mi rigiro alla ricerca di una posizione comoda, prendo a pugni il cuscino, conto le pecore e bevo un po’ di latte caldo nel cuore della notte.
Alla fine mi ritrovo a fumare nel cortile di mio zio con la testa che mi scoppia e finalmente cedo.
Va bene, proverò almeno a sostenere il colloquio alla Hopeless Record per l’incarico che mi ha detto Adam. Dubito che la sola raccomandazione di Adam, che pure è un noto fotografo, basti a farmi assumere.
Stanchissima, mi trascino in camera mia e mi lascio cadere a peso morto sul letto, mi copro in qualche modo e poi finalmente dormo.
Non penso di aver riposato più di due ore, perché la sveglia suona impietosa alle sette e io alle cinque ero ancora sveglia. Mi faccio una lunga doccia e mi metto una dose abbondante di correttore sperando che nascondano le borse agli occhi e l’aspetto da zombie.
Dannato, Adam!
Lui arriva fresco, riposato e sorridente, come una rosa.
Gli ringhio un buongiorno mentre ingollo una tazza di caffè italiano particolarmente forte, poco dopo mangio uova e bacon per farlo felice e mangio anche due pancakes, questo solo ed esclusivamente perché amo i pancakes.
“Come mai siamo così scontrosi stamattina?”
Mi chiede il mio amico.
“Per colpa tua e della tua idea balorda non ho dormito quasi niente stanotte.”
“Oh, e che hai deciso?”
“Che lo farò, sosterò un colloquio con la Hopeless Record.”
Odio come le mie parole siano quelle di una persona arrabbiata e la voce quella di un robot senza sentimenti.
“Sono davvero felice.”
“Sì, sì. Vedrai come andrà bene.”
Mugugno io, ma lui non mi ascolta nemmeno, felice della sua vittoria, io alzo gli occhi al cielo.
Usciamo di casa e lui mi accompagna alla casa discografica, la segretaria che ci riceve non sembra molto convinta che io possa avere il lavoro, ma accetta comunque curriculum, referenze e il mio portfolio.
“Le faremo sapere.”
Mi dice con la sua voce piatta, quella di chi è abituato a liquidare aspiranti musicisti, bands, segretarie, tecnici e chi più ne ha più ne metta.
“Karima è un’ottima fotografa e garantisco io per lei. Mi conosce?”
La donna alza gli occhi dal suo computer e li sgrana alla vista di Adam.
“Lei è il signor Elmakias! Questo incarico era destinato a lei.”
“Esattamente, ma io non posso accettarlo al momento, quindi propongo la signorina Jenkins come mia sostituta.”
“Capisco. Come ho già detto faremo sapere alla signorina Jenkins se e quando presentarsi al colloquio. Cerchiamo fotografi davvero abili come lei.”
“La signorina Jenkins ha le mie stesse capacità, ma a causa di stupidi pregiudizi sessisti e islamofobici non è riuscita ad avere i riconoscimenti che si merita.”
“La signorina è musulmana?”
“No, sono cristiana. Mia madre era musulmana, ma a volte vesto come una donna musulmana per onorare la sua religione. A volte la semplice presenza di un hijab sembra turbare molto.”
“Cos’è un hijab?”
“Il velo.”
“Quello con la grata davanti al volto? Una persona deve essere riconoscibile.”
Io stringo i pugni.
“L’hijab copre solo i capelli e lascia scoperto il volto.”
Dico con il mio tono più gelido.
“Va bene, le faremo sapere.”
Con un gesto esplicito ci indica la porta.
Appena fuori mi accendo una sigaretta e fulmino Adam.
“Te la sei giocata con la storia dell’Islam, non mi assumeranno mai. Penseranno che io sia una cazzo di terrorista e le tue referenze e raccomandazioni finiranno nella carta straccia.”
Lui sbuffa.
“Karima, ti farò ottenere quel lavoro a costo di scatenare l’inferno. È arrivato il momento che qualcuno riconosca il tuo valore.
Basta smettere di nascondersi dietro alla religione o a quella storia dell’anima.”
“Quella è vera, cazzo!
Non fare anche tu come mio padre che si è rifiutato di crederci fino alla fine.”
“Ok, Karima, ok.
Adesso ti porto al tuo lavoro.”
Io annuisco secca, finita la sigaretta salgo sulla sua macchina e mi faccio depositare fuori dalla Fueled By Ramen, maledicendolo mentalmente.
Non avendo preso la mia macchina non ho il passaggio per il ritorno e dovrò chiedere ad Amelie di darmi uno strappo.
Entro nella hall e saluto la ragazza alla reception, mi sembra un po’ fredda.
Cosa le avrò mai fatto?
Non ne ho la più pallida idea!
Salgo in ufficio e mi tolgo finalmente la giacca, Amelie mi guarda curiosa e anche questo è strano.
“Sai cosa ho fatto alla tizia della reception? Non mi parla.”
Le chiedo, lei ride.
Cos’è? La giornata di “prendi per il culo Karima”?
“Ti hanno vista dal nemico, cosa ci facevi lì?”
“Adam Elmakias mi ha chiesto di occuparmi di un suo incarico: fotografare gli All Time Low in studio e poi in tour. Alla fine ho dovuto cedere e ho portato curriculum, referenze e portfolio a una segretaria stronza.”
“Hai per caso un’altra coppia del portfolio? Vorrei dargli un’occhiata.”
“Sì.”
Gliela passo senza dire nient’altro, lei lo prende in mano e inizia a sfogliarlo.
“Cazzo, ma sei brava! Cosa ci fai qui a fare la segretaria?
Ci marcisci solo, la tua vera vocazione è la fotografia e si vede, spero ti prendano.
Il tuo contratto è a termine e tra un paio di settimane scade, io non mi farei scappare un’occasione del genere.”
“Se lo dici tu.”
“Lo dico, lo dico. So giudicare un buon lavoro quando ne vedo uno, ti ricordo che io mi occupo dell’aspetto grafico e queste fotografia sono davvero buone.”
“Grazie mille.”
Lei ride.
“Di niente.”
Mi siedo alla mia scrivania e inizio a sbrigare alacremente i miei compiti, senza che nessun pensiero molesto mi distragga, mi sembra di aver ritrovato la pace interiore e sono felice, per modo di dire.
La tregua dura fino a mercoledì quando alla fine del turno quando il mio cellulare squilla, guardo il mittente e non è nessuno dei miei contatti. Chi sarà mai?
Qualcuno che ha sbagliato numero?
“Pronto?”
“Lei è la signorina Karima Isabelle Jenkins?”
“Sono io, con chi sto parlando?”
“Sono Ayden Carson della Hopeless Records, la mia segretaria mi ha fatto avere il suo curriculum e portfolio per l’incarico che riguarda gli All Time Low.
A ciò che mi risulta ha buone referenze e Adam Elmakias, oltre a stimarla molto, si è fatto garante per lei. Mi sbaglio?”
“No, è sostanzialmente corretto.”
“Ottimo. Le andrebbe di fare un colloquio con noi martedì prossimo alle nove?
Il lavoro le interessa ancora? Ho fatto le mie ricerche e risulta impiegata alla Fueled By Ramen.”
“No, mi interessa ancora. Sono solo un’impiegata alla Fueled By Ramen e oltretutto il mio contratto a termine è in scadenza.”
“Ottimo ottimo, allora ci vediamo settimana prossima, signorina.”
“Va bene, a settimana prossima.”
Chiudo la chiamata sbalordita.
“Karima, tutto bene?”
Mi chiede premurosa Amelie, mi è grata perché la storia con quello dei Blue Tomatoes va alla grande.
“Sì, immagino di sì.
Mi hanno appena chiamato dalla Hopeless Records e abbiamo fissato un appuntamento per settimana prossima.”
“Wow! Fantastico!
Qui bisogna festeggiare, che ne dici se ci facciamo un aperitivo?”
Io guardo il cellulare e poi annuisco.
“Va bene, ci sta. Ho ancora tempo.”
Usciamo dalla casa discografica e ci infiliamo nel bar vicino ad essa, ogni tanto io e Amy ci prendiamo un aperitivo insieme e oggi è una buona occasione per farlo.
“Allora cosa vi porto, ragazze?”
Ci chiede il cameriere.
“Due aperitivi della casa.”
Risponde allegra Amelie, facendogli l’occhiolino.
“Non flirtare con il cameriere, hai un ragazzo adesso.”
“Tanto il cameriere è…”
“Ho capito.”
Rispondo un po’ brusca e irrigidendomi all’istante.
“Non ti è ancora passata?”
“Riservo a me stessa la libertà di non conformarmi all’ipocrisia buonista di questo mondo.”
Dico fredda.
“Sai, penso che andrò a casa.
Ciao, Amelie.”
Lascio i soldi sul tavolo e me ne vado.
All’improvviso non ho molta voglia di festeggiare, sono molto lunatica e basta una piccola cosa a far cambiare il mio umore.
Raggiungo la fermata del pullman,aspetto che arrivi e salgo, durate il tragitto il mio cellulare si mette a suonare, ma lo ignoro.
Arrivo fino al quartiere dei miei zii, e una volta scesa  controllo chi mi abbia chiamato: è Adam.
Poco male, visto che è ancora qui parlerò con lui adesso. In casa c’è il solito caos che contraddistingue la famiglia DeLonge: mia zia che cucina aiutata da Ava, Jonas che apparecchia e mio zio che suona la chitarra sul divano, prendendo appunti ogni tanto, con Adam accanto a lui.
“Buonasera!”
Urlo io.
“Ciao, tesoro!”
Urla a sua volta mia zia dalla cucina.
“Come mai non ha risposto alla mia chiamata?”
Mi chiede Adam.
“Ero in pullman e non l'ho sentito, cosa volevi comunque?”
“Volevo solo sapere se quelli delle Hopeless Record ti hanno contattata, oggi sono andato a fare un po’ di pressioni.”
“Adam, non dovevi!”
“Dovevo, lo vuoi o no questo lavoro?”
Io non rispondo.
“Mi hanno chiamata e mi hanno fissato un appuntamento per martedì prossimo.”
Adam lancia un urlo selvaggio che mi fa spaventare e mi abbraccia di slancio, rischiando di travolgermi. Cristo, è più felice lui di me!
“Cosa diavolo succede?”
Arriva di corsa mia zia dalla cucina che ci guarda un po’ spaventata, un po’ incredula.
Non è da Adam fare così casino, di solito è un ragazzo calmo e posato.
“La Hopeless Record le ha fissato un appuntamento per settimana prossima per l’incarico che io  non posso svolgere.”
“Ma questo è meraviglioso! Bisogna festeggiare!
Tom!”
Mia zia richiama lo zio all’ordine.
“Cosa c’è, Jen?”
“Vai a prendere del gelato, bisogna festeggiare.
Karima ha ottenuto un colloquio alla Hopeless.”
“Vado subito.”
Si mette la giacca ed esce immediatamente.
La solita sensazione di straniamento mi coglie, in un attimo le voci intorno a me diventano una massa confusa, tante radio fuori frequenza.
Perché sono condannata a questa assenza di sentimenti?
Qual è il mio peccato?

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Capitolo 4
*** 3)Un posto per le foglie portate dal vento. ***


3)Un posto per le foglie portate dal  vento.

 
Karima p.o.v.

 
In certe occasioni il tempo accelera, soprattutto quando non vuoi.
Io non so se voglio il lavoro di Adam, mi sento spinta da altre persone, sento che tutti attorno a me vogliono che io lo faccia come riconoscimento del mio talento, ma ce l’ho questo talento, poi?
Sì, so fotografare, ma bene come dicono?
E poi non riesco a dimenticare che gli ultimi soggetti che ho fotografato – mamma e papà – sono morti, ogni volta che guardo le loro foto sento un nodo all’altezza della gola.
Sembrano così vivi e sono morti, cibo per vermi, spiriti in paradiso, lontani da me e mi sento come un messaggero di sventura.
Quando l’ho detto ad Adam lui ha detto che è solo il senso di colpa dei sopravvissuti e di non dargli troppo peso, ma come faccio?
I loro sorrisi mi perseguitano e gettano delle ombre che a volte mi impediscono di prendere la macchina fotografica in mano e mi fanno prende il basso invece. In qualche modo attraverso la musica mi sfogo e i cattivi sentimenti, i demoni se ne vanno.
E in questo periodo suono il basso molto spesso, il che dice molto sul mio stato d’animo.
In ogni caso anche alla vigilia del grande giorno lavoro normalmente, sebbene i miei colleghi mi trattino con freddezza come sapessero che sto per fraternizzare con il nemico, Amelie è l’unica che è normale con me.
La fine del turno arriva e Amelie mi picchia una mano sulla spalla e mi augura buona fortuna.
Ah, già il fatidico giorno è domani!
Per un attimo me l’ero quasi scordato e mi stavo quasi sentendo bene.
Ho troppa pressione addosso e non so come sfogarmi, cazzo. Persino il basso non basta più, penso che domani semplicemente esploderò durante il colloquio e fine della storia.
Adam è eccitato all’inverosimile, io ho la mia solita calma del cazzo, in questi giorni comunque mi sono esercitata con la macchina fotografica e ho fatto qualche scatto alla famiglia DeLonge sperando che non passi a maggior vita nei prossimi giorni.
Lo zio dice che me la cavo bene e se lo dice lui non ci sono dubbi, è o è Tom Fucking DeLonge?
Oltre a essere un chitarrista, è un regista e si occupa anche di cortometraggi animati con Poet Anderson: è un uomo ecclettico.
Arrivo a casa e trovo i miei parenti particolarmente sorridenti, mia zia è addirittura raggiante.
“Ti ho preparato la pizza per augurarti buona fortuna!”
“Grazie, zia! Ma non dovevi sprecare tutto il tuo pomeriggio per me.”
“Mannò, è stata una figata!”
Esclama Ava.
“Mamma ha permesso a me e JoJo di aiutarla.”
“Sì, è stato divertentissimo.”
Beh, almeno non hanno sprecato il pomeriggio, mi dico per consolarmi.
Ci sediamo a tavola e la zia arriva con una teglia lunghissima di pizza condita con funghi, prosciutto, peperoni, salame e zucchine.
Wow! Mi ci vorranno secoli per digerire tutta quella, ma ne sarà valsa la pena!
Inizia a tagliare le fette e a distribuirle a tutti, Adam sorride così tanto che rischia la paralisi facciale, mio zio sembra soddisfatto e i miei cugini sono entusiasti per la pizza.
Io ne mangio un pezzo e dopo mesi, per la prima volta dalla morte dei miei genitori, sento di avere davvero appetito.
Ne mangio due fette con soddisfazione e questo non sfugge all’occhio di falco di zia Jen che sorride soddisfatta.
Dopo cena, come al solito, lavo i piatti e poi salgo in camera mia. Inizio a riguardare il mio portfolio in modo maniacale e poi mi metto a suonare il basso per scaricare la tensione.  A mezzanotte qualcuno bussa alla porta della mia camera: è Adam.
“È ora di andare a dormire o domani non ti sveglierai mai.”
Do un’occhiata alla sveglia e annuisco piano.
“Hai ragione, metto via il basso e mi lavo i denti.
Tu rimani fino a quando?”
“Dopo il tu colloquio, poi torno dai Pierce The Veil.”
“Mi mancherai.”
“Anche tu, ma così va la vita.”
“Già.”
Lui se ne va e io ripongo delicatamente il mio basso nero con un teschio messicano disegnato sopra nella sua custodia, poi mi lavo i denti e filo a letto, inizio a sentire una certa stanchezza e un po’ di preoccupazione.
“Oh, al massimo non mi prendono e amen, continuerò con il mio lavoro, non penso che mi licenzieranno se dovesse andare male.”
Dico ad alta voce prima di sdraiarmi, dopo pochi secondi sono già nel mondo dei sogni, dove posso sempre riabbracciare i miei genitori.
Mi riempiono di complimenti e di incoraggiamenti, sorridono felici e sorrido anche io, perché in questa realtà ci sono e non sono solo cibo per vermi chiusi in una tomba.
Quando il suono della sveglia mi butta fuori da quel piccolo paradiso mi accorgo che il cuscino è umido e che ho pianto nel sonno.
Persino nel bel mezzo di un bellissimo sogno una parte di me sapeva che non era vero e che erano solo illusioni, mi prendo la testa tra le mani e singhiozzo un paio di volte, per poi passare le dita in quel groviglio verde che sono i miei capelli.
Adam si affaccia alla porta della mia camera, preoccupato.
“Karima, va tutto bene?”
“Ho sognato mamma e papà e quando mi sono svegliata il cuscino era tutto bagnato. Ho pianto nel sonno, persino nei miei sogni riesco a far penetrare la realtà, sono un mostro.”
Lui si siede accanto a me e mi accarezza i capelli.
“Sei solo disperata, in lutto.
È tutto normale, non sei un mostro, non lo sei mai stata e prima te ne convincerai prima andrà meglio.
Per quanto sa doloroso da accettare non puoi fare nulla per i tuoi, nessuno può fare nulla.”
Io abbasso la testa, per quanto sia doloroso so che ha ragione.
Nessuno li riporterà indietro dal mondo dei morti.
Nessuno.
Devo solo imparare a convivere con la loro assenza.

Dopo aver tentato di fare colazione – a causa del nervosismo non sono riuscita a buttare giù nulla – io e Adam ci dirigiamo alla Hopeless Record e lui parcheggia.
“Ok, Karima. Da adesso devi fare da sola, io non posso accompagnarti, ma so che te la caverai benissimo.”
“Grazie, Adam. Hai fatto fin troppo per me.”
Lui mi sorride dolcemente e mi accarezza i capelli.
“Niente è troppo per la mia piccolina, ti voglio bene e voglio che tu sia felice.
Sono sicuro che con questo lavoro ti sentirai soddisfatta perché finalmente farai quello che sai fare meglio e non c’è cosa migliore a questo mondo.
Dicono che se riuscirai a fare di quello che ami il tuo lavoro non lavorerai un giorno in vita tua.”
Io ridacchio con la mia solita risata metallica.
“Quindi tu non hai mai lavorato un giorno in vita tua, lazzarone.”
Lui ride a sua volta.
“Mi ha scoperto, signorina Jenkins, confesso i miei crimini.”
“Sono una brava investigatrice.”
“Ti meriti un premio.”
Estrae un donut ricoperto di glassa rosa.
“Mangia.”
“Agli ordini.”
Lo  mangio  poi scendo dalla macchina.
“Ciao, Adam. Ti chiamo appena il colloquio è finito.”
“Ciao!”
Mi avvio verso la porta della casa discografica chiedendomi se sono vestita nel modo giusto, ho messo un sobrio tubino nero e un paio di scarpe verde acido lucide e un po’retrò, abbinate alla mia borsa e ai miei capelli che sono sciolti.
Entro nella hall e mi ritrovo davanti alla segretaria dell’altra volta che questa volta sembra avere un’aria meno cattiva, io le sorrido un po’ a disagio e consapevole che i miei muscoli facciali non lavorano come dovrebbero.
“Buongiorno, signorina Jenkins.
Prenda l’ascensore e salga fino all’ultimo piano, lì troverà ad attenderla la segretaria del signor Carson.”
“Grazie mille…”
“Signorina Preston, sono la signorina Preston.”
“Ok. Grazie mille signorina Preston.”
Entro nell’ ascensore che mi indica con un dito scheletrico dall’unghia smaltata di rosso e pigio il pulsante dell’ultimo, le porte si chiudono e l’aggeggio inizia a salire. Le persone entrano e poi escono ai vari piani, ma all’ultimo piano ci arrivo da sola.
Una donna dai lunghi capelli di un caldo castano molto elegante che indossa un abito fiorato alla moda.
“La signorina Jenkins?”
Lancia una discreta occhiata ai miei capelli verde acido.
“Sì, sono io.”
“Ottimo, il signor Carson la sta aspettando. Noi apprezziamo molto la puntualità.”
“Lo terrò a mente.”
La seguo lungo il corridoio di parquet e sento il nervosismo salire, questo colloquio non mi sembra più così tanto una buona idea. Io nella mia routine ci sto bene, ho proprio bisogno di un salto nel buio?
Finalmente la donna si ferma davanti a una porta nera.
“Prego, entri.”
“Va bene.”
Apro la porta con quella che è la mia versione del cuore in gola.
Un uomo dai capelli castani tagliati corti in un impeccabile vestito di sartoria italiano siede dietro a una scrivania di legno chiaro, davanti ci sono due sedie color panna.
Lui alza lo sguardo e mi trapassa con due occhi color ghiaccio che sembrano voler leggere dentro di me e scovare ogni singola pecca, un errore.
“La signorina Jenkins?”
“Signorsì.”
“Prego si sieda, io sono il signor Carson.
Mi occupo della parte artistica della Hopeless Records e in particolare dei servizi fotografici, ogni fotografo che segue le band dell’etichetta in tour o nello studio di registrazione deve rispondere a me.”
“Io sono Karima Jenkins e...”
“Lo so, il signor Elmakias l’ha fortemente raccomandata per l’incarico che riguarda gli All Time Low, fotografarli durante i tre mesi in studio e nel successivo tour.”
“Esatto.”
Dico un po’ intimorita.
“Inizierò controllando le sue referenze scolastiche.
È stata davvero alla San Diego Accademy Of Fine Arts?”
“Sì, classe di fotografia.”
“Risulta essersi diplomata con il massimo dei voti, ma ci sono alcune note dei suoi insegnati che la indicano come un elemento non facile. Può spiegarmi cosa significa?”
“Ho un disturbo per il momento sconosciuto alla psichiatria che non mi permette di provare emozioni come tutte le persone. Ciò causa una mia tendenza all’isolamento, ma non influisce sulla qualità delle mie foto e nemmeno sui miei rapporti.
Se sono obbligata a lavorare in gruppo riesco a gestire la situazione.”
“Capisco. La stessa cosa la ritrovo nelle referenze dei suoi datori di lavoro, ma non ho nulla che riguardi la Fueled By Ramen, mi può dire qualcosa lei?”
“Lì svolgo un lavoro d’ufficio, occupandomi delle pratiche che riguardano le varie bands sotto contratto. Saltuariamente i tecnici mi chiedono aiuto quando non sanno se dare un parere positivo o negativo sulle band da mettere sotto contratto.”
“Come mai ha questa autorità?”
“Sono una musicista anche io, suono il basso e ho un buon orecchio musicale, tutto qua. Nessun favoritismo o autorità particolare.”
“Capisco, ha con sé il suo book?”
“Certamente.”
“Me lo porga.”
Io glielo passo senza dire una parola e lui inizia a sfogliarlo in silenzio, soffermandosi a volte su una foto o su un’altra.
“Le sue foto sono di ottima qualità, se mi assicura che lei è in grado di lavorare perfettamente in gruppo l’incarico è suo. La capacità di lavorare con altre persone è molto importante per me.”
“Le assicuro che sono perfettamente in grado di lavorare in gruppo.”
“Bene, il posto è suo.
Firmi qui.”
“E il mio contratto alla Fueled By Ramen?”
“Mi risulta che sia in scadenza tra una settimana, ovviamente parlerò con i suoi datori di lavoro del fatto che lavorerà con noi.”
“Capisco.”
Firmo le carte che mi ha passato, poi gliele restituisco, lui mi porge una mano.
“Benvenuta alla Hopeless Records.”
“Grazie mille, mi impegnerò al massimo nel mio lavoro.”
“Non ci aspettiamo nulla di meno da lei.”
Io sorrido e lui mi fa cenno che posso andare.
Fuori la segretaria mi fa firmare altra roba e io eseguo docile.
“Perfetto, è tutto a posto, può andare.”
“Grazie mille…”
“Signorina Petersen, mi chiami pure Beth.”
“Va bene, Beth. Arrivederci.”
Prendo di nuovo l’ascensore e mi ritrovo nella hall, dove ritrovo la signorina Preston.
“E così adesso è dei nostri, buona permanenza.”
“Grazie mille, signorina Preston.
Arrivederci.”
La saluto e poi esco dalla casa discografica in preda a una strana sensazione, metà di tristezza e metà di trionfo.
Il parcheggio è deserto, io frugo nella borsa e trovo le chiavi della macchina, così decido di farmi un giro in spiaggia, il luogo ha sempre avuto una specie di influenza positiva su di me.
Ci arrivo il più presto possibile, parcheggio, scendo dalla macchina ed entro nella spiaggia. Mi tolgo le scarpe e aspiro a pieni polmoni l’aria che sa di sale e vita.
È come se il mare e il vento mi parlassero di vite passate, tormenti estinti, amori, odi, rabbia e terre lontane. Se presto abbastanza attenzione sento persino il pianto della mia Palestina, la terra di origine di mia madre, martoriata da anni di guerre civili. Sento i pianti di chi ha perso qualcuno, le urla di dolore di chi è stato ferito, il rumore dei mitragliatori, dei razzi e dei sassi. Esplosioni lontane nei campi profughi e negli autobus israeliani.
La sento la follia di chi si fa esplodere perché non ha più nulla da perdere e si è fatto riempire la testa di promesse vane e sento la follia di chi bombarda e avanza con i carrarmati, innalza muri e odia.
È curioso come la storia sia la maestra meno ascoltata dal mondo, qualcuno dice
la storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie o che si continui a scrivere in eterno la stessa pagina, ma da mani diverse.
È una verità abbastanza certa che però non impariamo mai dai nostri errori, li continuiamo a ripetere anche se conosciamo la loro natura.
Raccolgo una conchiglia e sospiro.
Chissà se avrò un microscopico posto nella storia?
Chissà se il mio lavoro andrà bene?
Presa dalle mie riflessioni non mi sono accorta che è arrivato mezzogiorno, è arrivato il momento di andare a casa, gli zii mi staranno aspettando e vorranno sapere come è andata.
Do un ultimo sguardo al mare e sorrido, spero che un giorno la pace regni dal posto da dove vengono metà delle mie radici.
Esco dalla spiaggia e salgo in macchina, guido senza fretta verso villa DeLonge, ho una strana riluttanza a condividere con loro questo fatto. La verità è che ho una paura fottuta della piega che ha preso la mia vita. Finora sono sempre stata una foglia portata dal vento che si è adattata a fare quello che e veniva chiesto, ma adesso… Adesso sono io che dovrò decidere, sono io che dovrò dimostrare che ho talento e so utilizzarlo e questo è spaventoso.
Ce la puoi fare.
La voce di mio padre è netta nella mia testa come se fosse seduto accanto a me e il mio cuore salta un battito.
Sì, Karima. Ce la puoi proprio fare.
La voce di mia madre sostituisce quella di mio padre e mi sembra di sentire una leggera carezza.
All’improvviso mi accascio sul volante e piango, un pianto spontaneo ossia qualcosa che non era mai successo prima.
Un cazzo di miracolo arrivato troppo tardi.
Nella mia vita arriva tutto troppo tardi: opportunità, miracoli, pianti.
Sono un dannato disastro.
Piango per un quarto d’ora buono, poi mi asciugo le lacrime e mi rifaccio il trucco, non voglio che gli zii si preoccupino per uno sfogo emotivo che non conta nulla. Mi guardo allo specchio e lui mi restituisce l’immagine di una ragazza impassibile dai capelli verdi.
Esco dalla macchina ed entro in casa, la zia è in cucina con Ava, lo zio è sul divano con Jonas e Amelie, cosa ci fa lei qui?
“Ciao!”
Urlo per rendere manifesta la mia presenza.
Amelie si alza dal divano e mi stringe le mani.
“Allora, come è andata, stronza?
Potevi almeno dirmi qualcosa su come era andata.”
Io sono frastornata da questo eccesso di attenzioni.
“Oh, state buoni!
Adesso vi dico tutto! Mi hanno presa!”
Amelie lancia un urlo così forte che probabilmente mi ha danneggiato a vita un timpano.
“Ma sei matta?
Vuoi che diventi sorda?”
“Sono solo felice!”
Io mi massaggio l’orecchio.
“Come mai sei qui e come sai il mio indirizzo?”
“Ho dato un’occhiata ai tuoi dati.”
“Hacker pettegola!”
Lei mi fa una linguaccia.
“Sono venuta qui per avere notizie, se avessi aspettato te!
E poi potevo perdermi l’occasione di andare a casa dell’idolo della mia adolescenza?”
“E sbavare come una ragazzina, Darren cosa direbbe?”
“Che vorrebbe sbavare insieme a me, acida!
Comunque, complimenti! Mi mancherà la tua ironia.”
“Anche a me mancherà la tua, potresti venire ogni tanto, ma con un secchio.”
“Mi lasceresti entrare?”
“Aye.”
“Sento di volerti molto bene.”
“Basta che non mi abbracci.”
Lei ride.
“Ragazze, oggi ho preparato le mie famose lasagne per festeggiare.
Amelie, vuoi rimanere?”
“E me lo chiede?
Certo che sì.”
Mia zia se la ride.
“Tom, hai delle fan divertenti.”
Lui si pavoneggia un po’, come a di solito quando si parla di musica.
“Per forza, hanno preso da me.”
Lei gli tira un asciugamano.
“Vai a sederti, vanitoso.”
Io rido e mi siedo anche io insieme ai miei zii, cugini, Amelie e Adam.
Questa è la cosa che ho più vicina alla famiglia e voglio tenermela stretta, non voglio che qualcuno me la porti via.
Questa volta il passato non si deve ripetere e non si ripeterà.

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Capitolo 5
*** 4)Il colpo di mano del destino. ***


4)Il colpo di mano del destino.

 

Karima p.o.v.

 
È passata una settimana ed è stata quella che si dice una settimana rilassante.
Non sono andata al lavoro perché il mio capo mi ha fatto sapere che il capo della Hopeless By Ramen lo ha avvisato che sarei andata a lavorare da loro.
Amelie mi ha detto che stanno cercando una mia sostituta, ma che non gli va molto bene per ora, che le tizie che si sono presentate sono state tutte scartate senza pietà.
Io ho fatto pratica con la macchina fotografica e con il basso, più che altro per la necessità di sfogare la mia tensione.
Venerdì sono comodamente sdraiata sul mio letto a trarre accordi pigri dal mio basso quando suona il mio cellulare.
“Karima?”
“Sì, sono io.”
“Sono il signor Carson.”
“Oh, buon pomeriggio.”
“La band vorrebbe conoscerla un po’ meglio prima che inizi a lavorare.
È stata invitata alla pizzeria “Bella Napoli” per le nove.
Conosce il posto?”
“Va bene, ci sarò e, sì, conosco il posto.”
“Mi raccomando, dia il meglio di sé.”
“Va bene.
Chiudo la telefonata e rimango un attimo inebetita.
Io in una pizzeria? In mezzo a gente che sta bene e ha sentimenti?
Non ce la posso fare!
Prendo un profondo respiro e poi mi accorgo che alla fine non sento nulla e mi sento come svuotata, avevo alzato le braccia e le abbasso sconfitta.
Metto via il basso ed esco dalla mia camera, scendo al piano inferiore e trovo solo Adam, credo che oggi sia uno degli ultimi giorni in cu rimarrà qui.
“Ciao, chi era al telefono prima?”
“Il capo della Hopeless, mi ha detto che stasera devo andare a cena con la band, vogliono conoscermi.”
“Non hai paura?”
Io scuoto la testa.
“Lo sai che non sento nulla. Niente sentimenti, niente paure.”
Lui sbatte le mani sul tavolinetto basso del salotto.
“Vorrei che questa storia finisse, tu sei perfettamente in grado di provare sentimenti come chiunque altro.”
“Lo sai che non è vero, mamma e papà mi hanno portato da un sacco di psicologi e psichiatri e nessuno è riuscito a cavarci un ragno dal buco.”
La mia voce suona piatta come al solito.
“Senti, io alle maledizioni e alla gente che nasce senza anima non ci credo!”
“Questo è un tuo problema, intendere ignorare la verità è una tua scelta e non posso farci nulla.”
Lui sbuffa e fa per dire qualcosa, ma la zia – arrivata nel frattempo – gli fa cenno di tacere.
“Perché?”
“Perché non è urlandole contro che risolverai qualcosa e al mondo ci sono un sacco di cose strane che non si possono spiegare razionalmente e poi non è detto che rimanga senz’anima per sempre.”
“Sì, lo so. La storia dell’anima gemella che ha anche la sua, ma sai cosa penso?
Che quella zingara se la sia inventata per avere qualche dollaro da sua madre e che lei abbia qualche problema che la scienza può risolvere.”
“Senti sono stata dai neurologi e il mio cervello è normale. NORMALE.
Sono stata da vari psichiatri e non ho nessuna fottuta sindrome di qualche genere, sono NORMALE.
Sono stata da più psicologi e psicanalisti di quanto ci tenga da ricordare e il verdetto è sempre lo stesso: non ho nulla che mi renda diversa dalle altre persone.
Niente traumi o malattie, eppure non provo sentimenti o li sento molto lontani da me.
Papà le ha provate tutte e non ha risolto nulla, non cambierai tu lo stato delle cose.”
Me ne vado con il mio passo un po’ meccanico un po’ ciondolante ed esco nel cortile posteriore della casa dei miei  zii.
Mi accendo una sigaretta e inspiro il fumo, sento qualcosa che pulsa molto lontano, nel profondo di me stessa. Immagino sia rabbia.
Ma come faccio a saperlo se non provo emozioni?
Non ho nessun modo se non affidarmi alle definizioni dei vocabolari e questa sembra proprio rabbia, non sopporto che Adam non accetti il mio problema.
Mi dà fastidio in generale, ma da lui che è un amico ancora di più.
Finisco la mia sigaretta e poi rientro in casa, non saluto nessuno e salgo in camera mia. Mi siedo alla scrivania e accendo il computer, cerco “All Time Low” e guardo le foto della band, sembrano tipi a posto. C’è però qualcosa che mi turba, ogni volta che guardo le foto il mio occhio cade su un ragazzo dai capelli scuri con un ciuffo biondo e sento un lontano calore al mio cuore, un battito distante.
Che sia quello che ha la mia anima?
Stasera lo saprò o almeno spero di capirlo.
Per ora non importa, devo solo calmarmi e pensare alla cena e a come non apparire una psicopatica o una con problemi mentali, il che sarà piuttosto duro: nessuno sembra riuscire ad accettare che una persona non possa provare sentimenti.
Rimuginare è inutile, mi faccio una doccia e mi rado quello che deve essere raso, poi mi butto sul letto, sono solo le quattro: è inutile che io mi vesta.
Qualcuno bussa alla porta della mia camera, è mia zia.
“Ciao, tesoro.
Se hai bisogno di qualche abito puoi prendere i miei.”
“Grazie zia, ma non credo di averne bisogno. Andremo solo in una pizzeria.”
Lei sorride.
“Certo, Alex ama la pizza.”
“Tu li conosci?”
“Sono venuti qui qualche volta.”
“E come sono?”
“Un po’ scemi, soprattutto Alex e Jack, ma sono a posto.”
“Ok, grazie zia.”
“Quindi non ti serve nulla?”
“No.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Non essere così dura con Adam, è solo preoccupato per te. Ti vuole davvero bene.”
“Se mi volesse davvero bene mi accetterebbe per quello che sono e non tenterebbe di nascondersi dietro la scusa della malattia.”
Lei mi accarezza i capelli.
“Ti manca Aida, non è vero?”
“Sì, mi manca. Mamma capiva.”
“Hai ragione e so che nessuno te la potrà ridare indietro, ma lasciati dire una cosa: lei sarebbe fiera di come stai reagendo.
Potresti farmi un favore?
Porteresti con te il ragazzo che ha appena suonato?”
“E chi è?”
“Un tizio dai capelli azzurri.”
Darren.
“Ok, zia.
Adesso posso stare un po’ da sola?”
“Certo.”
Lei se ne va e io rimango da sola, finisco per farmi un pisolino.

 
Alle otto sono pronta.
Indosso un paio di jeans strappati, una maglietta della Drop Dead nera con scritto “Steel City bitch” in bianco e che ha maniche di tessuto trasparente, visto che è ottobre e non fa ancora troppo freddo metto solo il mio golf rosso, lungo e peloso che è il mio portafortuna.
Un paio di converse rosse, la borsa e sono pronta.
Darren mi aspetta in salotto, insieme ad Adam che sembra ancora arrabbiato.
“Accetta Karima per quel che è, non provare a cambiarla. Penso sia inutile.”
Gli dice mia zia.
“Io non riesco a non fare nulla mentre vedo che non vive la vita per un complesso che si è creata.”
“Adam stai zitto!”
Urlo, portandomi poi le mani alla testa.
Ho percepito una fitta molto forte, come se mi si stesse per spaccare, è quello che mi succede quando le persone normali dovrebbero provare emozioni forti come rabbia, dolore, felicità.
“Va bene, va bene.”
Taglia corto lui e si richiude nel suo mutismo.
“Lo sa Amelie che sei qui?”
Dico a Darren.
“Certo che lo sa, andiamo!”
“Ok, fanboy!
Ciao a tutti!”
Usciamo dalla casa e andiamo alla mia macchina, entriamo e finalmente partiamo. La pizzeria che hanno scelto si trova dall’altra parte di San Diego e ci vorrà un po’a raggiungerla.
“Ah, non ci credo! Dopo Tom Fucking DeLonge incontrerò gli All Time Low, sono un ragazzo fortunato.”
“Vedi di non rovinarmi il mio incontro di lavoro.”
Borbotto io.
“Su, non fare la guastafeste. Non sei emozionata, tu?”
“Lo sai che non sento emozioni.”
“Vero.”
Chiacchieriamo per il viaggio in macchina e poi finalmente arriviamo puntuali alla pizzeria, usciamo dalla macchina e noto con piacere che è un posto tranquillo sia dentro che fuori.
Lo rimane giusto cinque secondi perché il casino vicino alla porta d’entrata annuncia l’arrivo degli All Time Low. Il primo a farsi vedere è un ragazzo dai capelli cortissimi, leggermente muscoloso: Rian Dawson. Poi segue un ragazzo dai capelli leggermente mossi, dal fisico scolpito e dal piercing al naso: Zack Merrick. Ed infine le star: un ragazzo dai capelli di un azzurro un po’ sbiadito – Alex Gaskarth – e un ragazzo dai capelli neri con un ciuffo biondo, Jack Barakat.
Non appena lo vedo sento di nuovo quella strana sensazione di calore, quella che non ho mai provato in vita mia e sono consapevole dei sentimenti degli altri presenti alla cena e dei miei sentimenti. Ho paura e un po’ di curiosità e Jack mi fa sentire qualcosa che oserei dire farfalle nello stomaco. Mi sento un essere umano completo, insomma.
Il mio sguardo deve essere confuso perché Daren mi sussurra se sto bene.
“Io non lo so.”
Gli dico guardandomi le mani come se le vedessi per la prima volta.
“Io provo dei sentimenti ed è così strano.”
Lui mi guarda ancora più confuso, io non sono in una situazione migliore, non so gestire quello che provo.
“Ma tu non provi sentimenti?
Me l’ha detto anche Amelie.”
“Sì, non li provo. Secondo una zingara che io e mamma abbiamo incontrato quando ero piccola era perché non ho un’anima. La mia anima ce l’ha la mia anima gemella.”
Lui guarda Jack Barakat un attimo.
“Dai, non può essere lui. Gli piacciono le feste e le ragazze, non mi sembra il tipo adatto a te.”
“Sì, ma non capisco. Sento del calore quando sono vicina a lui e non l’ho mai sentito, è come se fossi davvero viva.”
Zack attira la nostra attenzione.
“Ciao, siamo Alex Gaskarth, Jack Barakat, Rian Dawson e Zack Merrick. Meglio conosciuti come All Time Low.”
L’attenzione si porta su di me e Darren
“Tu sei la nostra nuova fotografa, ci hanno molto parlato di te, lui invece chi è? ”
Darren si alza in piedi.
“Io sono Darren Johnson, sono un suo amico.”
Stringe la mano a tutti e riceve pacche d’affetto e incoraggiamenti da tutti.
“E tu non ti presenti?”
“Oh, scusate. Io sono Karima Jenkins e come avete detto voi sono la vostra nuova fotografa.”
Stringo le mani a tutti e quando arrivo a quella di Jack, una scossa mi attraversa il corpo, se ne accorge anche lui perché mi rivolge uno sguardo stupito.
“Siete solo amici?”
Mugugna.
“Sì, lui ha una ragazza.”
Rispondo io.
“Wow, figo.”
Ci sediamo ai nostri posti, io sono tra Alex e Jack ed è una situazione imbarazzante. Sono acutamente consapevole di avere un corpo che sembra attratto da quello di Jack come una calamita e sento ancora quel calore all’altezza del cuore.
Io mi nascondo dietro al menù, pur sapendo che pizza ordinerò, e cerco di calmare il battito accelerato del mio cuore e l’impressione di sudare.
All’arrivo del cameriere ordino una pizza ai wurstel e lui una al prosciutto e funghi, l’attenzione di Jack si fissa ancora su di me.
“Barakat non è un cognome americano, da dove vieni?”
Balbetto io per rompere questo silenzio.
“Dal Libano, mio padre è libanese.”
“Oh, allora siamo vicini di casa. Mia madre era palestinese.”
“Era?”
Mi guarda senza capire.
“È …. Morta qualche mese fa.”
La voce mi si spezza sulla parola “morta” come mai mi era successo, è ufficiale provo sentimenti, il dolore puro mi azzanna il cuore come un lupo affamato e sembra non voler più mollare la preda, come a farmi pagare tutti i mesi in cui non mi ha raggiunto come si deve.
“Mi dispiace.”
Risponde imbarazzato.
“Sto cercando di andare avanti e penso che riprendere con la fotografia sia un buon modo, insieme a suonare il mio basso.”
“Oh, sì. La musica aiuta molto in questi casi.”
“Sì. Aiuta a sfogare il dolore.”
Lui guarda un attimo Darren e Rian presi in una fitta conversazione.
“Ma il tuo amico ci sta provando con Rian?”
Io rido e il suono della mia risata mi stupisce e persino Darren mi lancia una breve occhiata sorpresa, non mi ha mai sentito ridere sul serio da quando mi conosce.
“No, è che vi adora. Soprattutto Rian che è il batterista.”
Le pizze arrivano e gli argomenti si spostano sul tour che faremo insieme, loro pensano di suonare le canzoni di “Put Up or Shut Up”perché sono dieci anni che è uscito e  mi chiedono se mi piace, io dico che non l’ho mai sentito, ma che rimedierò. Poi parliamo del loro lavoro in studio e mi chiedono di vedere le mie foto, un po’ me lo aspettavo quindi ho portato il mio book.
Alex lo prende in man e inizia a sfogliarlo attento, le foto sembrano piacergli.
“Sei davvero brava.”
“Grazie mille.”
Il libro passa di mano tra i vari componenti fino a quando arriva a Jack e non so perché arrossisco, nemmeno mi vedesse nuda.
Cosa mi sta succedendo?
Non avevo mai provato nulla di simile, se non un leggero turbamento guardando le foto di Jack prima della cena.
Finita la pizza mangiamo tutti un dolce e poi Jack si alza in piedi.
“Noi usciamo a fare un giro per locali, voi venite?”
Io guardo Darren e lui mi restituisce uno sguardo implorante.
Lui vuole andare, ma io non me la sento, non stasera almeno, prima devo calmarmi e analizzare la situazione.
“Io preferirei di no.”
Dico calma, Darren sembra esserci rimasto male e mi dispiace
Jack rivolge al manager uno sguardo da cucciolo che mi causa uno scompenso cardiaco che mi spaventa. È così che si sentono le persone innamorate?
È così che si sentiva mamma quando vedeva papà?
“No, Barakat. Ma domani io sono libera, adesso sono impresentabile.”
“A domani, allora!”
Risponde il chitarrista, fuori ci separiamo e ci salutiamo, la faccia di Darren non è delle migliori, sembra decisamente arrabbiata.
“Karima perché gli hai detto di no? Io non so se domani posso”
Tuona quando gli All Time Low non ci possono sentire.
“Perché per me non è facile stare in mezzo alla gente e mi serviva un po’ di tempo per elaborare la cosa."
E poi non avevo intenzione di passare la mia serata a vedere Jack Barakat che ci prova con ogni tipa che respira, ma questo non glielo dico.
Il ragazzo dai capelli azzurri sembra calmarsi e il suo volto si addolcisce.
“Scusa, non avrei dovuto urlarti contro. Grazie a te ho incontrato la mia ragazza, Tom DeLonge e gli All Time Low, dovrei ringraziarti.
Domani cercherò di liberarmi e magari portare Amelie.”
Lui entra in macchina del tutto rasserenato.
“Che figo,ho potuto parlare con Rian e mi ha dato un sacco di consigli.”
Inizia, io però ho l’urgenza di parlare con qualcuno su quello che mi è successo con Jack.
“Darren…”
“È davvero un tizio forte. Non se la tira per niente, non sembra sia uno famoso.”
“Darren…”
“Davvero, è fighissimo!”
“DARREN!”
Urlo per farmi sentire dal mio amico che mi guarda sconvolto, non ho mai urlato in vita mia.
“Karima, cosa succede?”
“Ho provato sentimenti ed emozioni in modo normale stasera e tutto perché ero seduta  vicina a Jack Barakat. È lui la mia anima gemella.”
Lui rischia di frenare bruscamente.
“Impossibile, non è il tizio adatto a te.
Se ne fa una diversa ogni sera e penso sia più emotivamente attaccato alla birra che a qualsiasi ragazza abbia mai incontrato.”
“Darren, ti dico che è lui.”
La sua faccia diventa fosca all’improvviso, è chiaro che la faccenda non gli piace per niente e nemmeno io so cosa pensare.
Cosa accumuna un ragazzo come lui a una tizia senza grilli nella testa come me?
Apparentemente nulla e non so cosa fare seguire l’istinto che mi dice di provarci con lui o la testa che mi sconsiglia di farlo, facendomi presente che rischio di perdere anche il primo lavoro soddisfacente che ho da secoli.
Sì, dovrei lasciarlo perdere, ma quello che provo per lui è così speciale che mi si spezza il cuore all’idea di farlo.
Ma come è possibile che questa cosa stia succedendo dopo un solo incontro?
È tutto così strano che mi fa paura, non so come gestire questa situazione e non so a chi rivolgermi.
Mamma, la mia unica confidente, è morta, Adam è arrabbiato con me e Darren mi conosce da troppo poco tempo. Forse dovrei parlare con la zia, ma se si arrabbiasse anche lei?
Mi prendo la testa tra le mani e sospiro, una sola cena e la mia vita è completamente ribaltata, è questo l’amore?
È questo il famoso colpo di fulmine?
Se è così è davvero una cosa terribile!
Darren appoggia una mano sulla mia.
“Ehy, Karima. Andrà bene, sei tosta.
Hai aiutato la mia band con un paio di consigli e grazie a te abbiamo avuto il contratto.
Ce la farai, se non dovesse andare con Barakat è lui che ci perde non tu.”
“Grazie, Darren.”
Adesso mi sento un po’ meglio speriamo che la sensazione permanga.
Ho un fottuto bisogno di stabilità nel casino che è la mia vita.

 

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Capitolo 6
*** 5)I matti sono i migliori. ***


5)I matti sono i migliori.

 
Karima p.o.v.

 
Ogni serata giunge al termine e anche questa non fa eccezione.
Ritorniamo a villa DeLonge, fuori dal cancello Darren scende dalla macchina e mi saluta con un abbraccio.
“A domani. Io e Amelie cercheremo di esserci.”
“Va bene. Divertiti, io credo che finirò questa serata con un bel litigio.”
“Come mai?”
“Io e Adam abbiamo litigato perché lui non crede al fatto che non ho sentimenti, figurati come reagirà quando gli dirò che mi piace Jack.”
“Buona fortuna. Adam Elmakias non sembra il simpaticone che descrivono.”
“Lo è, solo che è molto protettivo con me: è stato il mio primo ragazzo.”
“Capisco. Buonanotte, Karima.”
“Buonanotte!”
Entro nel cortile, chiudo il cancello e parcheggio la mia auto in garage. Adam mi sta aspettando come una mamma apprensiva in cucina, le braccia incrociate sul petto. Io mi accendo una sigaretta e ci guardiamo negli occhi come a sfidarci.
“Allora, come è andata?”
“Bene, ma ci sono cose che non ti piaceranno su questa serata.”
“Cos’è? Ti sei presa una cotta per uno degli All Time Low?”
“Esatto.”
Rispondo fredda.
“Oh, Cristo! Chi?”
“Jack Barakat.”
“Te lo vieto! Quel tizio, anche se è simpatico, cambia ragazza ogni settimana e beve troppo.
Non fa per te.”
“La mia anima la pensa diversamente.”
Ride isterico.
“Non hai sempre detto di non avere un’anima?”
“E continuo a non averla, ce l’ha Jack. Quando sono vicino a lui sento sentimenti ed emozioni, quindi è lui la mia anima gemella.”
Lui batte un pugno sul tavolo.
“Ancora con questa storia di merda! Tu l’anima ce l’hai!
Ce l’hai!

Ce l’hai tu e non nessun altro e Jack Barakat non fa per te, toglitelo dalla testa.”
“Te lo dico una sola volta, Adam. Stanne fuori e non osare mai più controllare la mia vita!”
Urlo, poi spengo con rabbia la sigaretta e lascio la cucina inseguita dalle sue urla, i miei zii arrivano e ci guardano senza capire. Io non do spiegazioni che ci pensi il novello Hitler!
Non sono io ad avere dei problemi, è lui!
Salgo in camera e mi butto a letto senza nemmeno spogliarmi e mi addormento così. Non mi stupisce che la mattina dopo io abbia un accenno di raffreddore e mi faccia male la schiena.
A colazione nessuno parla molto, così sono io a rompere il silenzio.
“Stasera vado in un club con gli All Time Low.”
“Vengo anche io.”
Borbotta Adam e io gli lancio un’occhiata infastidita.
Lui è di pessimo umore, sembra che la rivelazione che Jack possa essere la mia anima gemella lo abbia irritato a morte. Ama gli All Time Low, ma non pensa che lui sia adatto a me, ha veramente una fama terribile quel ragazzo. Beve, ha un sacco di ragazze, non certo il tizio che un amico iperprotettivo come Adam vorrebbe per me. Il fatto è che non sta a lui decidere.
“No, penso di sapermela cavare da sola.”
“Karima, non ti ho chiesto il permesso per venire. Ti ho solo annunciato che lo farò, che ti piaccia o meno.”
Sibilo uno “stronzo” sottovoce e abbandono la colazione a metà, non mi piace che la gente si intrometta nei miei affari, anche se sono amici di vecchia data come Adam.
Esco in giardino e accendo una sigaretta seduta su una delle sdraio vicine alla piscina, cercando di ignorare il mal di testa feroce.
Perché diavolo deve fare così tanto lo stronzo?
Poco dopo esce mia zia Jen e si siede accanto a me.
“Cosa è successo, Karima?
Adam non vuole parlarne.”
“Lui non ha preso bene la cosa di Jack.”
“In che senso?”
Mi chiede mentre entriamo io mi accendo un’altra sigaretta.
“Che quando sono vicina a lui provo dei sentimenti come tutti, anche se non so se sia un bene. Quando ho parlato dei miei il dolore è stato insopportabile.”
“Ho capito, da bravo amico ha paura che tu diventi l’ennesima vittima di quel playboy di Jack.”
“Immagino che sia così, ma io cosa posso farci?
Lui ha la mia anima e in qualche modo devo riaverla e se significa innamorarmi di lui mi va bene, me lo farò andare bene.”
“Ma a te lui piace?”
Io rimango in silenzio mentre il fumo sale a spirali lente, soppesando le parole e quello che ho sentito verso il chitarrista degli All Time Low.
“Mi piace. Quando ero seduta accanto a lui mi sentivo attratta da lui, sentivo un calore all’altezza del cuore e batteva forte, sudavo anche.
Ho fatto delle ricerche su internet, li definiscono tutti sintomi di innamoramento o attrazione.”
“Sei mai stata con un ragazzo oltre ad Adam?”
“Un paio, ma alla fine scappavano tutti perché ero troppo complicata.
Se ti chiedi se io sia asessuale o una di quelle strane categorie che si inventano le ragazzine su tumblr, non lo so sono. Sono etero, solo che devo trovare la mia anima gemella e la mia anima prima.”
“Capisco.”
E sembra capire davvero e mi sento un pochino meglio.
“Credo sia ora che tu vada a letto, Karima.
Magari un riposino calmerà i nervi a entrambi.”
Io annuisco, non ne sono per niente convinta, questa è stata una bella lite.
Prima non aveva mai osato intromettersi così tanto nella mia vita, non so cosa gli sia preso ultimamente, mi sembra di non conoscerlo più.
Forse è vero che le persone non le conosci mai fino in fondo.
Già, forse è proprio così. Mi dico mentre mi infilo a letto e cerco di dormire.
Ce la farò?
Spero di sì.

Dopo mi alzo piuttosto tardi.
Adam non mi parla ancora e mio zio non capisce perché, io non glielo dico perché non mi va che anche lui inizi a detestare Jack o a impedirmi di vederlo.
Verso le undici ricevo un messaggio di Darren in cui mi chiede se mi va di andare al Mac vicino alla casa discografica, io rispondo che mi va bene. Farei qualsiasi cosa o quasi per andarmene da questa casa l’atmosfera è diventata leggermente pesante e se sono accorti persino i miei cuginetti, che hanno chiesto a mia zia cosa fosse successo.
A un quarto a mezzogiorno esco – con gli occhi di Adam puntati sulla schiena – prendo la macchina e vado al solito Mac Donald. Arrivo io per prima e mentre aspetto mi fumo una sigaretta.
Dopo un po’ Darren arriva e parcheggia davanti al Mac, poi entriamo, lui mi dice quello che vuole, io faccio la fila per entrambi, non mi ha mai seccato fare queste cose. Alla fine arrivo con il cibo e ci mettiamo a mangiare. Non mi va di parlare di nuovo di me, così cerco di deviare il discorso su altro.
“Come va con Amelie?”
Chiedo a Darren.
“Va benissimo. Sembra la solita biondina svampita, incapace di fare un discorso e interessata solo all’apparenza, ma è davvero tosta. È intelligente, simpatica, capace di fare del sarcasmo e di calmarmi, è la mia ragazza ideale o quasi.”
Io annuisco, poi alzo lo sguardo dal mio hamburger e quasi rischio di soffocare, Alex e Jack sono appena entrati dalla porta. Darren segue il mio sguardo e li guarda stupito anche lui, i due si accorgono di essere guardati e si dirigono verso il nostro tavolo.
“Karima, Darren! Che bello rivedervi.”
Esclama cordiale Alex, Jack mi fissa come se fossi un’interessante specie aliena.
Io torno a contatto con i miei sentimenti, come una radio che trova finalmente le giuste sequenze, e sento il dolore per la morte dei miei, il piacere di rivedere Alex e l’attrazione per Jack, nonché il solito calore al cuore.
“Ciao, ragazzi.
Volete mangiare con noi?”
“Ci prendiamo solo un milkshake, abbiamo già mangiato.
Adesso vado a ordinarli, tu lo vuoi al cioccolato, Jack?”
“Uhm, sì.”
Si siede e sorride.
“Siete in pausa per le registrazioni?”
“Sì.”
Rispondo io, piuttosto timida.
“Giornata cazzeggio?”
“Direi di sì.”
“Voi due state insieme?”
Ci chiede il chitarrista degli All Time Low.
“No, io ho una ragazza di nome Amelie. Karima è single.”
Risponde divertito il ragazzo dai capelli azzurri.
“Ah, capisco. Noi abbiamo appena finito di registrare e ci è venuta a trovare Tay dei We Are The In Crowd.”
La sua voce ha una sfumatura che mi fa allertare le difese.
“Ti piace?”
La mia voce si leva un po’ stridula, ma ho le viscere aggrovigliate, attanagliate da artigli invisibili che mi fanno vedere rosso, che immagina un Jack innamorato della leader dei We Are The In Crowd
“Che? No! Credo che a lei piaccia ancora Alex.”
“Davvero?”
La voce mi esce un po’acida e il mio cuore batte più forte, qualcuno lo fermi o morirò presto e sarà colpa di Jack Barakat!
“Ci sarete stasera?”
Lui sembra battere in ritirata da un argomento scomodo, sembra a disagio quando sta con me e lui non è certo un tizio capace di essere a disagio.
“Sì, ci sarà anche la mia ragazza, vedi di non rubarmela!”
Darren risponde al mio posto, proprio mentre arriva Alex con i milkshake, il suo è alla vaniglia, quello di Jack al cioccolato.
“Allora, come va il vostro nuovo album?
Sono curioso di sentirlo.”
“Come migliaia di altri fan.”
“Io sono il fan numero uno, ho urlato quando ho saputo che presto ci sarebbe stato un altro album.”
Risponde con voce ispirata Darren, cosa che fa sorridere Alex.
“E cosa ha detto la tua ragazza?”
“Che sembravo una fangirl quindicenne che sclerava perché andava a vedere gli One Direction.”
Ridiamo tutti.
“Comunque non va affatto bene. Alex ha il blocco dello scrittore, lui e Lisa hanno litigato per via di Tay. Credo che lei vorrà conoscerti, l’ultima cosa che desidera è una fotografa innamorata del suo ragazzo.”
“Senza offesa Alex, ma non sei il mio tipo.”
“Non mi offendo affatto, un problema in meno con Lisa, sei una bella ragazza, comunque.”
“Grazie.”
Do un morso al mio panino.
“Con chi stai, Darren?
Con Amelie o con Fanny? La bionda o la mora?”
“La bionda, Amelie.”
“Ah, lo sapevo che ti piaceva la mora, sgancia venti dollari, Barakat!”
“Non è carino scommettere su qualcuno che è al tuo stesso tavolo.”
“Oh, già! Non hai tutti i torti.”
Alex sembra un po’ in imbarazzo, ma si intasca comunque i soldi dell’amico, chi lo capisce è bravo.
“Allora, com’è Darren a letto?
Amelie te l’avrà detto.”
Mi chiede Jack, io arrossisco.
“Non me l’ha mai detto quindi non ne ho idea.
Lei non è mai stato aperta con me sull’argomento ragazzi, forse pensa che non lo capisca.”
“Come mai?
Sei una ragazza.”
“Io…Io non provo né emozioni né sentimenti e non le sarei stata di nessun aiuto.”
Alex mi guarda senza capire.
“Ma quando sei con noi sembri normale.”
“Questo non te lo so spiegare nemmeno io.”
Mento io, evitando lo sguardo di Jack che sembra volermi perforare l’anima, lo sguardo cade sul mio braccio che spunta un po’ dalla felpa.
“Hai un tatuaggio?”
“Sì.”
Io alzo la mia manica destra e mostro due scheletrini in stile messicano che si tengono per mano.
“L’ho fatto per onorare la memoria dei miei genitori. Sono morti da poco.”
“Ci dispiace
Beh, noi andiamo, ci vediamo sabato.”
“A sabato.”
Rispondo frastornata.
Ci prendiamo una cheesecake e andiamo anche noi.
“Cosa facciamo?”
Mi chiede Darren davanti alle nostre macchine.
“Andiamo a fare un giro, non mi va di tornare a casa.”
“Come mai?”
“Adam è sul piede di guerra per la faccenda di Jack, non avrei mai pensato di dirlo, ma non vedo l’ora che se ne vada tra un paio di giorni.”
Mi dico accendendomi una sigaretta.
“Cosa ha Jack che non va?
Voglio dire è Jack Barakat!”
“Fanboy! Il problema è che è Jack Barakat, quello a cui piacciono le feste e le ragazze.
Dice che non è quello giusto per me che mi farebbe solo soffrire e blablabla.”
“Non ha tutti i torti.”
“Lo so, ma se lui è la mia anima gemella e possiede la mia anima accetterò il rischio e poi…”
“Poi?”
“Facciamola semplice, mi piace. Quando sono con lui ho tutti i sintomi della ragazza innamorata, ma tu sei un ragazzo e non ti annoierò elencandoli.”
“Grazie, non sono bravo ad analizzare ogni cosa come fate voi ragazze.”
“Lo so, lo so.”
Ci avviamo verso la spiaggia, il sole splende caldo e non sembra affatto autunno, ma ancora estate.
“Quando sentiremo l’autunno nell’aria?”
“La sera lo senti.”
“Di giorno, dico. Siamo alla metà di ottobre ormai e io sono stanca di questo sole.”
“Cos’è? Sei una di quelle ragazze tenebrose amanti dei cimiteri?”
“Sì, lo confesso e ti dirò di più: dormo in una bara e non in un comune letto.”
“Strettino, soprattutto se vuoi portarci un ragazzo, magari Jack.”
“Con i miei zii, cugini e Adam attorno? Tanto vale tentare una rapina a Fort Knox e sperare che non ti prendano.”
Lui scoppia a ridere.
“Visto che sei una di quelle ragazze tenebrose metti un po’ di sonnifero nelle loro bevande.”
“Sono tenebrosa, non psicopatica.”
“Devi salire di livello.”
“Sei matto, Darren.
Promettimi che non metterai mai del sonnifero nelle bevande di Amelie.”
“Giuro solennemente che non lo farò mio.”
Io gli do un pugnetto sul petto.
“Non tenere le dite incrociate, lo sai che così i giuramenti non sono validi.”
 Lui le scioglie.
“Lo giuro.”
“Giuri cosa? Di essere un sfigato per sempre?”
Risponde una voce sconosciuta, due fighetti ci guardano con aria di superiorità.
“Lui sarà sfigato, ma ha un cervello a differenza tua!”
Rispondo sottolineando le mie parole con un dito medio alzato.
“Oh, il piccolo arcobaleno ambulante ha parlato.”
Gli arcobaleni non mi piacciono, non mi sono mai piaciuti, quindi la prendo come un’offesa seria e mollo un pugno senza preavviso a quello che ha parlato che cade a terra tenendosi il naso, il suo amico lo guarda incredulo.
“Ne vuoi uno anche tu?”
“No no, se è caduto lui che è il campione di risse io non ho speranze.
Sei pazza, ragazzina.”
“Sì, sono matta, svitata, ho perso la testa anni fa... Ma ti dirò un segreto: tutti i migliori sono matti.”
Lui se ne va trascinandosi via il suo amico.
“Tu sei piena di sorprese. A guardarti sembri un fiorellino di quelli che cadono al primo soffio di vento e invece hai steso un bestione con un pugno.”
“I fiori che crescono nelle avversità sono quelli più forti.”
Entriamo in spiaggia.
“Perché non sistemi le cose con Adam alla vecchia maniera, un paio di pugni e – boom! – lui la smette di fare opposizione?”
“Perché speravo di non arrivare a questo e perché lui è un mio amico e non mi va.”
“Credo di capire, ma potrebbe essere l’unica soluzione.”
“C’è sempre una soluzione alternativa alla violenza con gli amici.”
“Hai ragione.
Sei tosta, Karima, mi piace questo di te.
Sono felice di averti incontrata quel giorno in sala registrazioni, non solo perché senza di te non avremmo avuto il contratto, ma anche perché sei davvero una persona speciale.
Con o senza anima.”
“Grazie, Darren.
È davvero carino da parte tua, anche io sono felice di avervi aiutato e incontrato, almeno so cosa voglia dire avere un amico.”
Ci sorridiamo e continuiamo a camminare.
Al mio ritorno a casa probabilmente dovrò litigare con Adam, ma adesso sto bene o almeno bene come si può sentire una come me. Di sicuro sento più del solito e sono sicura che sia merito dell’incontro con Jack, quando sono con lui mi sento completa e non vedo l’ora di riavere la mia anima.
So benissimo che sentirò anche dolore riavendola – come quello per la morte dei miei genitori – ma sono stufa di questa apatia, di questa assenza di emozioni.
È come vivere dietro a un vetro e non riuscire a sfondarlo per quanto tu ti ci metta di impegno.
La dannata barriera continua a essere lì e a separarti dal mondo e io non ne posso più, mi sembra di non aver mai vissuto davvero in questi ventotto anni di vita.
Mi sembra di avere solo tirato avanti.
Devo cambiare questo stato di cose e non mi importa se per farlo dovrò litigare con Adam, mi zio o persino Dio.
Io rivoglio la mia anima e la rivoglio ora e non mi fermerò finché non succederà.

Lo giuro.

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Capitolo 7
*** 6)Quella risata cristallina. ***


6)Quella risata cristallina.

 
Karima p.o.v.

 
Le cose belle devono finire prima o poi e devono arrivare quelle brutte.
Al mio ritorno dalla passeggiata trovo Adam sul portico della casa a braccia incrociate, io sospiro, che la guerra inizi!
“Buongiorno, Adam. Quale reato ho commesso oggi?”
“Con chi sei stata a pranzo?”
“Con Alice e il cappellaio matto.”
“Davvero divertente. Con chi sei stata?”
“Con Darren, il tizio con i capelli azzurri.”
Lui sembra pensarci un attimo e poi annuisce.
“Stasera vengo anche io.”
“Non vedo perché, non sei stato invitato.
Dovremmo andare solo io, Darren e Amelie.”
“Non ti lascio andare da sola, chiaro?”
“Sì, mein fuhrer.”
Mi accendo una sigaretta mentre lui rientra in casa, non avrei mai pensato che potesse diventare così dispotico e invadente. Forse davvero le persone non le conosci mai fino in fondo, c’è sempre un lato nascosto che salta fuori nei momenti più impensati.
Rientro in casa e salgo in camera mia dove mi metto a suonare il mio fedele basso, almeno non penserò alla serata imminente.
La sera arriva, mia zia ci cucina una cena da urlo e poi io mi chiudo nel bagno a sistemarmi e indosso un vestito nero semplicissimo e tacchi non troppo alti. Metto una giacca di pelle e prendo una borsa, Adam mi sta già aspettando. Indossa una semplice maglia nera e dei jeans e sembra molto pensieroso.
Arriviamo al club e troviamo una Darren con un Amelie fuori di sé dall’eccitazione, Zack e Rian, ma nessuna traccia di Alex e Jack.
“Dove sono?”
Chiedo timida io.
“Sono imbottigliati da qualche parte nel traffico di San Diego, ma arrivano.”
“Partire prima no, eh?
In fondo è da loro che è partita questa pagliacciata.”
Commenta acido Adam, io vorrei dirgli qualcosa, ma ho paura di peggiorare solo la situazione, guardo Zack e Rian e loro mi fanno capire di stare calma.
Ok, ci proverò anche se tutto quello che vorrei adesso è strozzare il mio migliore amico per farlo smettere di essere uno stronzo apocalittico. Ma che gli è preso ultimamente?
Io non lo capisco più!
Mezz’ora dopo arrivano i due ritardatari e Adam rivolge loro una feroce invettiva, sbraitando come un ossesso e solo Zack riesce a calmarla un pochino.
Entriamo subito grazie alle conoscenze di Alex e Jack e ci sediamo a un tavolo, ordiniamo da bere in un silenzio pesante. Una volta che Zack e Rian hanno finito la loro birra se ne vanno a ballare, non prima di avere scattato delle foto e firmato autografi con Amelie.
Poco dopo anche lei, Darren e Alex se ne vanno – non prima del resto delle foto e autografi – e rimaniamo solo io, Jack e Adam, che è impegnato a incenerire il chitarrista. Gli sta mandando dei segnali per dirgli di lasciarmi stare, che sono off-limits e in qualche modo la cosa mi irrita.
“Adam, se devi stare qui a fulminare la gente tanto vale che tu vada a ballare.”
Gli dico nervosa, lui spalanca gli occhi: non mi ha mai sentita parlare così.
“Karima, ma stai bene?
Cioè, sei sicura?
Non voglio che ti succeda qualcosa.”
“Se Barakat proverà a violentarmi gli spezzerò le dita. Una a una.”
“Va bene.”
Se ne va dubbioso lasciandomi sola con lui.
“Esco a fumare.”
“Vengo con te.”
“Me la so cavare.”
Lui non mi ascolta e mi segue verso l’uscita di sicurezza, lì mi accendo la sigaretta e cerco di tenere a bada l’imbarazzo che provo stando vicino a lui. Il mio cuore batte troppo veloce, sto sudando e ho le farfalle nello stomaco. Non c’è dubbio che sia la mia anima gemella, ma è così sbagliato per me che mi domando se valga la pena riavere la mia anima. Mi farebbe soffrire, lui non sa come si gestisce una relazione, non più di quanto lo sappia io.
“Adam è geloso?”
“Un po’.”
Dico a sigaretta finita.
Torniamo dentro e vedo Adam appiccicato a una mora che bacia come se non ci fosse domani, lei si struscia lasciva su di lui palesemente ubriaca.
Io stringo gli occhi e i pugni, cosa significa tutto questo?
Prima mi fa la predica e poi bacia la prima sconosciuta che trova?
Che poi non è che – sotto sotto – Adam è ancora innamorato di me?
Merda, non può essere così! Sarebbe la fine della nostra amicizia
E perché io non mi sono accorta di niente?
Mi porto le mani alla testa e poi mi dirigo al bancone e chiedo al barista una vodka. Jack mi raggiunge al secondo shot, io lo guardo con aria annebbiata.
“Tutto bene?”
“Non va bene un cazzo! Li vedi quei due che danno spettacolo in mezzo alla pista?”
“Sei gelosa anche tu?”
Sbatto il bicchierino con violenza sul bancone.
“NO! È solo che non so cosa passi nella testa di Adam! Prima mi fa una predica cantata sul fatto di non frequentarti e poi si slingua la prima vacca in mezzo alla pista! Nessuno mi tratta così, accidenti!
Io non sono una cazzo di bambola da manovrare a suo piacimento!”
Rispondo feroce.
“Ma non è che lui ti ama ancora? Sei stata la sua ragazza per un po’, non ti mai detto qualcosa sul fatto che magari vorrebbe tornare con te?”
“No, te l’ho detto. Lui non parla con me, non ho sentimenti, non potrei capirlo.”
“Spiegami questa cosa.”
“Beh, fin da piccola non ridevo, non piangevo e non manifestavo emozioni.
Mi hanno portato da un sacco di strizzacervelli di ogni sorta: psichiatri, psicologi, psicanalisti, neurologi.
Mio padre era un medico, non si rassegnava a questa situazione, non poteva credere che non fosse risolvibile in qualche modo scientifico, mia madre invece diceva che era colpa sua. Lei era musulmana e si era sposata con un cristiano senza il consenso della sua famiglia, diceva che Allah l’aveva punita mandandole una figlia senza emozioni. Per mio padre erano stronzate, diceva che non poteva esistere un dio così vendicativo.
Poi un giorno è spuntata una zingara, eravamo in spiaggia a San Diego in una delle loro rare vacanze e chiese a mia madre se non voleva sapere il futuro della sua bambina.
Mio padre sbuffò, ma mia madre accettò.
Non credo ci credesse nemmeno lei, ma voleva avere una scusa per aiutare quella donna e darle dei soldi. Era vecchia, molto vecchia. Sembrava avesse duecento tanto era piena di rughe, me lo ricordo benissimo.
Allora lei mi prese una mano, la studiò per un tempo che mi parve infinito e disse una cosa stranissima: che io non avevo un’anima perché essa risiedeva nel corpo della mia anima gemella insieme alla sua.
Come riconoscerla?
Stando vicino a questo ragazzo avrei provato emozioni e calore al cuore e adesso sta succedendo e non so cosa fare. Vorrei che mia madre fosse qui e ne avremmo parlato, ma è sei metri sottoterra perché un bastardo si è messo alla guida ubriaco.
E mi manca e la rivorrei qui insieme a papà.”
Scoppio in un pianto isterico e pieno di dolore allo stesso tempo.
“Io non ce la faccio ad affrontare tutte insieme queste emozioni!”
Lui mi abbraccia e lascia che le mie lacrime bagnino la sua maglietta, mormorando parole di consolazione e accarezzandomi la schiena.
Non sento molto di quello che mi dice, sento solo le mani sulla schiena che mi danno mille brividi, farfalle in volo vicino a me. È un sensazione stranissima e bellissima, sono felice sebbene continui a piangere, solo con lui esce appieno il dolore della morte dei miei.
All’improvviso si stacca da me e mi guarda negli occhi, i miei occhi un po’ verdi un po’ castani si perdono nel nero dei suoi. Un pozzo nero fatto di velluto.
Non so come sia possibile, ma in un attimo le sue labbra sono sulle mie in un innocente bacio a stampo. Ci stacchiamo e ci guardiamo stupiti per cinque secondi, poi si fionda di nuovo sulle mie labbra e questa volta chiede l’accesso con la lingua. No mi sogno nemmeno di negarglielo e lascio che la sua lingua esplori la mia bocca con foga e dolcezza allo stesso tempo e io faccio lo stesso, portando le mie mani sulla sua nuca per approfondire il contatto e non farlo andare via.
All’improvviso qualcuno mi stacca violentemente da lui e mi ritrovo davanti allo sguardo furioso di Adam.
“Che cosa stai facendo?”
“No, che stai facendo tu?
Non ti stavi per scopare una mora in mezzo alla pista? Vai a riprendere quello che stavi facendo!”
Lui mi fulmina.
“Pensi davvero che si ricorderà di questo bacio o gli darà una qualche importanza una volta sobrio?”
“Non lo so, ma voglio scoprirlo.”
“Karima, sei ubriaca. Andiamocene.”
“No! Voglio stare con Jack!”
Jack si alza dallo sgabello e fronteggia Adam.
“Amico, ci stavamo solo baciando! Non reagire come se avessi violentato la tua amica in pubblico.”
“Non ho intenzione di farla diventare la tua ennesima preda, lei si merita meglio di te.”
“Ma vuole me.”
“Perché crede a quella stronzata dell’anima gemella e tu te ne sei approfittato.”
Io mi libero dalla presa di Adam e gli do un pugno.
“Sei.Uno.Stronzo!”
Dico scandendo bene le parole, lui mi guarda ferito.
“Io ti amo ancora, cazzo!
Non puoi preferire lui a me che ti sono stato accanto per tutto questo tempo aiutandoti e supportandoti. Dove era Barakat mentre affrontavi il lutto dei tuoi?
Torna con me!”
Fa per baciarmi, io gli rifilo la seconda sberla della serata e poi scappo via, lui rimane lì e si tocca la guancia sconcertato, Jack invece mi segue subito e si affianca a me mentre percorro uno dei tanti viali affollati di San Diego.
“Ehi, Karima. Dove stai andando?”
“A fare in culo!”
Rispondo irritata, trattenendo le lacrime.
“Dai, non reagire così.
Adam era solo preoccupato per te e ti ama.”
“Non aveva alcun diritto di agire così, non dopo che quasi si scopa la prima stronza che incontra in mezzo alla pista, lui può farlo  e dirmi che poi mi ama e io non posso baciare te?”
Lui rimane in silenzio.
“A volte noi maschi siamo un po’ stupidi.”
“Me ne sono resa conto!”
Finiamo per ritrovarci sul lungomare e per abitudine entro in spiaggia seguita da Barakat.
“È pericoloso andarci di notte.”
“La cosa più pericolosa che puoi trovare è uno fatto di marijuana che balbetta stronzate incoerenti e in ogni caso ho questo.”
La mia mano fruga in tasca ed estrae un coltello a serramanico che lo fa ammutolire.
“Potresti uccidermi se tu volessi.”
“Sì, potrei. So usare i coltelli, mio padre me lo ha insegnato, ma non ho intenzione di farlo.”
Cammino verso la battigia sempre seguita da lui che si ferma all’improvviso.
“Non trovi che la luna sia bella?”
Gli chiedo semplicemente.
“Molto. Posso chiederti chi è la tua anima gemella?
È ovvio che è uno della mia band.”
Io guardo a lungo e le stelle, poi mi avvio verso il mare, ma lui mi afferra per un polso.
“Karima.”
Non mi volto, i miei occhi sono calamitati da quell’immensità scura e così piena di misteri, esattamente come l’animo che non possiedo.
“Questa è una cosa che non posso dirti. Non ancora.”
Con una mossa mi libero della sua presa e mi butto nell’oceano, accogliendo con piacere il freddo contro la mia pelle accaldata per essere stata troppo a lungo in un locale pieno di umani ognuno con la sua storia, le sue cicatrici.
La sua anima.
La mia di anima è rimasta ferma sulla battigia a guadarmi incredula, incerta se seguirmi o meno.
Vieni, non ti farò del male, sei la cosa più preziosa che ho.
Penso e lui mi segue.
Un piccolo tuffo e adesso siamo in due a nuotare.


Tutte le cose belle prima o poi finiscono, incluse le nuotate notturne.
Non l’avevo mai fatto ed è stato veramente bello, esco dall’acqua seguita da Jack che mi abbraccia stretta da dietro.

“Non avevo mai fatto il bagno nell’oceano di notte prima d’ora.”
Esordisce.

“Vedi, ti servivo io per farlo!

Non l’avevo mai fatto nemmeno io per la verità, stasera sono strana, voglio essere libera.”
Alzo le mani al cielo, come se volessi acchiappare una stella o la grande luna piena.

“E cosa pensi di fare adesso?”
Mi chiede divertito, con la voce leggermente strascicata.

“Voglio venire a casa tua.”
Lui ride.

“Vuoi fare sesso con me per irritare a morte Adam e spezzargli il cuore?”
Io sospiro.

“Voglio solo dormire con te, sono troppo ubriaca per fare sesso con te, quando succederà voglio ricordarmelo.”
“E se io non volessi e non mi andasse l’idea di una notte in bianco?”
“Ti darei un calcio nelle palle e ti mollerei qui.”
Lui ride di nuovo.

“No, ci tengo alle mie palle!

Cosa farei senza di loro? Mi sono utili!
Se un giorno volessi dare origine a tanti piccoli Barakat con il ciuffo biondo e una minichitarra che gireranno per casa come farei?”
Questa volta sono io a ridere e mi stupisco del suono cristallino della mia risata, mi ricorda quella di mamma.

“Ok, riformulo meglio la domanda: ti va di farmi dormire da te o non ti piaccio abbastanza?”

Lui si gratta il mento perplesso, forse non è sicuro di cosa rispondere a questa domanda.

“Tu mi intrighi molto. Cambi completamente quando sei con me e mi va di capire il perché e come posso farlo se non standoti vicino?”
“Ottima risposta.”
“Allora preparati a vedere villa Barakat.”
Mi prende per mano, una mano grande, calda e leggermente callosa come la mia.

“Si sente che sei una bassista.”

“È una cosa negativa?”
“No, non direi.”

Usciamo dalla spiaggia e raggiugiamo il locale, lui mi dà una salvietta e io mi ci avvolgo stretta, asciugandomi un po’ i capelli e il vestito fradicio.

Jack sale in macchina e io salgo dalla parte del passeggero.

“Posso accendere la radio?”

“Puoi aspettare un attimo?

Prima devo avvisare che non torno a casa a dormire.”
“Adam? Così nel cuore della notte farà irruzione nella mia villa e mi taglierà l’uccello e torneremo al problema dei piccoli Barakat e poi non potrò più fare sesso, nemmeno masturbarmi!”
Nella sua voce c’è il panico puro adesso, io lo guardo stranita.

“No, non voglio chiamare Adam. Stai tranquillo.”
Compongo il numero di mia zia Jen e aspetto che risponda.

“Ehy, scricciolo! Come mai mi chiami a quest’ora?”
“Zia, io sto fuori a dormire… con un ragazzo.”
Prendo un attimo fiato.

“Jack Barakat per la precisione, puoi dirlo allo zio senza farlo preoccupare o altro?”
Lei sospira.

“Sapevo che un giorno del genere sarebbe arrivato, anche se per me sarai sempre la bambina che mi correva incontro e si sbucciava regolarmente le ginocchia.

Lo dirò io a Tom, non ti preoccupare, solo prendete le dovute precauzioni, ok?”
“Ok, zia.

Grazie di tutto.”
Chiudo la chiamata, Jack mi guarda interrogativo.

“Vivi con i tuoi zii?”
“Da quando i miei sono morti Adam ha pensato che avrei superato meglio il lutto stando da loro. Tu non ti immagini nemmeno chi sia mio zio.”
“Non sarà certo Tom DeLonge…”

Mi dice divertito.

“In effetti è proprio lui.”
Lui rischia di inchiodare e farci fare un brutto incidente.

“Ma sei impazzito?”
Gli urlo.

“E tu che lasci andare la bomba che sei la nipotina di DeLonge?

Ma come fai?”
“Beh, mio padre e sua moglie sono fratelli.”
La sua espressione si fa meditabonda.

“In effetti tu fai Jenkins di cognome come la moglie di Tom. Oh, Cristo! Non ci posso credere!
Se ti tratterò male verrò pestato da un uomo di mezza età decisamente più pesante e forte di me.”
Io sbuffo, lui continua un monologo sconclusionato su quanto io sia una ragazza piena di sorprese anche un filo pericolosa.
Parlando parlando arriva a casa sua, apre il cancello e parcheggia la macchina in un enorme garage, potrebbe starci una piazza d’armi.
“Vuoi fare collezione di automobili?”
Gli chiedo.
“Che? Faccio schifo a guidare!
È colpa del precedente proprietario, lui ce l’aveva davvero una collezione di automobili.”
“Figo.”
“Bah, se lo dici tu. Io guido questa perché è molto facile da guidare, non sono un tipo da Ferrari e macchine costosissime o d’epoca. Non saprei guidarle.”
“Capito.”
Entriamo e mi ritrovo in un bellissimo appartamento moderno arredato con i toni del bianco e del nero, da una parte c’è una cucina superaccessoriata divisa dalla sala vera e propria da un bancone nero. Nero è anche il divano e sulle pareti ci sono mensole con i vari riconoscimenti che ha vinto e anche sulle pareti stesse.
“Wow.”
“Sì, non sono un genio nell’arredare, ma mi piace vedere a che risultati può giungere un idiota come me.
Vuoi qualcosa da bere?”
“Del the al limone.”
Dico continuando a guardarmi intorno.
“Ehy, vuoi rubarmi qualcosa?”
Io rido di nuovo e mi sorprendo ancora una volta di come essa somigli a quella della mamma.
Forse una parte di lei non è morta e vive in me.
È una cosa bellissima, un miracolo per cui devo ringraziare.
Sorrido, mentre una lacrima solitaria attraversa la mia guancia, mamma in un certo senso è ancora qui.

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Capitolo 8
*** 7)Persa in una città rincoglionita. ***


7)Persa in una città rincoglionita.

 

Karima p.o.v.

 
Sono a casa di un ragazzo che conosco a malapena e a stento ci credo, non è per niente da me, ma con lui è tutto diverso.
È il primo che mi interessa sul serio dopo Adam, prima o poi sarebbe dovuto succedere, non potevo rimanere in letargo per secoli. E poi c’è quella storia dell’anima gemella, che sia un cavolata o meno con Jack sento di nuovo i miei sentimenti e quelli degli altri, come predetto dalla vecchia zingara, nella sua predizione c’è un fondo di verità come ho sempre creduto.
La cosa bizzarra è che la mia anima gemella sia una persona tanto diversa da me, ma forse è vera anche la storia degli opposti che si attraggono.
Con davanti una lattina di the al limone e una di birra – che lui ha portato – parliamo un po’ di noi.
Argomenti abbastanza generali come le nostre famiglie e come abbiamo deciso di imparare a suonare i nostri strumenti.
Lui è un autodidatta cresciuto a pane e blink-182 e mi mostra orgoglioso il tatuaggio con coniglietto che fugge, il primo simbolo della ex band di mio zio. Io invece gli dico che è stato Tom a insegnarmi a suonare il basso visto che spesso stavo da loro quando i miei erano in giro per il mondo e la band era a casa.
Lui è impressionato, per me è normalità, ma posso capire come possa sembrare visto dagli occhi di un fan. Per lui la mia vita deve essere il paradiso in terra, per me è solo la mia vita e non ho capito quanto fossi fortunata fino a quando non ho osservato e finalmente capito le sue reazioni.
“Quindi sai suonare il basso per via di Tom DeLonge, lo conosci da prima di me e io che lo sognavo da un poster in camera mia.”
“È strano, vero?”
 “Sì, abbastanza.
Pensi che Tom DeLonge mi taglierà le palle se bacio la sua nipotina?”
“Non lo so, provaci.”
Si avvicina e mi bacia ancora, solo che questa volta è un bacio diverso. Non è dolce, ma aggressivo, come se volesse di più di un semplice bacio.
“Se vuoi portarmi a letto dovrai aspettare, io non faccio sesso al primo appuntamento.”
“No, chi lo dice al mio amico là sotto?”
“Vai in bagno e fattela passare.”
Alzo le spalle io.
“Baci sì, scopate no.”
Mi sento un po’ delusa da questo suo lato, non che non me lo aspettassi, ma perché è emerso così presto e io mi sento un po’ a disagio ora.
“Forse è meglio che vada ora.”
Mi alzo dal divano, ma lui mi ritira giù e mi bacia di nuovo, questa volta come al bar, senza urgenza o altro.
“Non voglio che tu te ne vada, mi sento solo.
Non mi va di stare senza nessuno questa notte.”
“Dipende da che senso lo intendi.”
Lui si porta la mano sul cuore.
“Giuro che non proverò a portarti a letto, solo coccole.”
“Così va bene.”
Riprendiamo a baciarci fino a quando suona il mio cellulare, guardo il mittente e non rispondo, anzi lo spengo per buona misura: è Adam e non mi va di parlare con lui.
Che cazzo vuole poi?
A quest’ora non si presume che si stia scopando la mora portando a compimento quanto hanno iniziato in pista?
“Chi era?”
“Adam.”
“Come mai non gli rispondi?”
“Non mi va di parlargli, di sicuro non approverebbe quello che stiamo facendo, non gli piaci, ti considera un puttaniere.”
“Non ha tutti i torti.”
Io sospiro.
“Lo so, ma sento che questa volta è diverso.
Forse non dovrei fare affidamento sul mio istinto, sono stata tanto tempo senza sentimenti, ma con te riesco a sentirli.”
“Quindi sarei io la tua anima gemella?”
Il tono ha una punta di paura, la stessa che provo io perché è così strano pensare di affidare la propria vita a un completo estraneo.
“Forse, non lo so.
Credo che solo il tempo potrà dircelo.”
“Forse hai ragione, con te c’è qualcosa di diverso.
Probabilmente lo dirò ora da ubriaco perché da sobrio non ce la farei, ma quando sto con te sento che una parte di me è felice come se avesse ritrovato un vecchio amico, o meglio un vecchio amore.
Uno di quelli forti che non si dimenticano mai e che io non ho ancora vissuto e non me lo so spiegare. L’ho detto ad Alex e dice che è un colpo di fulmine, ma i colpi di fulmine sono qualcosa che rendono improvvisamente un estraneo il centro del tuo mondo, io però non ti sento come un’estranea.”
Io rimango senza parole, meditando su quello che mi ha appena detto.
“Non mi senti come un’estranea?”
“No, sento come se ti conoscessi da sempre, ma l’avessi dimenticato.
Buffo, vero?”
“No, non proprio. È quello che sento anche io e non so cosa fare.”
Lui sbadiglia e mi guarda.
“Andiamo a letto o ti devo accompagnare a casa?”
“A letto, ho già detto che avrei dormito fuoricasa, ma questo non è un invito a fare sesso.”
“L’avevo capito.”
Si alza dal divano e mi tende una mano.
“Forza, Karima. Vieni a vedere la camera da letto di Jack Barakat, la bestia dei party.”
Io la accetto ignorando la lieve scossa che ho provato.
Attrazione? Amore?
E perché mi sento come se stessi tornando a casa quando della mia vera casa non rimangono che macerie in cui io mi aggiro sconvolta, incapace di fare i conti con la morte dei miei?
Mi porta al piano superiore e apre una porta nera da cui si vede una grande e caotica camera piena di fogli di carta, chitarre elettriche, con una scrivania di legno, un armadio, un impianto stereo dell’ultima generazione, una tv al plasma e un grande letto con le lenzuola nere.
“Lenzuola nere, eh?”
“Fanno molto figo.”
Lui mi supera e comincia a spogliarsi, togliendosi prima la maglia, poi i jeans e rimanendo in boxer e calzini che si toglie subito dopo.
Io rimango pietrificata, lui ridacchia e mi tende una maglia nera con scritto “Boner”.
“Spogliati.”
“Mettiti sotto le coperte e girati dall’altra parte.”
Borbotto io, rigirandomela tra le mani.
“Non mi lasci nemmeno vederti mentre ti spogli?”
Io alzo gli occhi al cielo e mi tolgo il vestito, lasciando che per un attimo lui veda l’intimo e poi mi metto la maglia. Mi siedo sul letto e mi tolgo le calze, non appena ho finito mi tira accanto al suo corpo e mi bacia impetuoso.
Io rido e mi infilo sotto le coperte, immediatamente vengo abbracciata da lui, il suo odore di muschio e menta si mischia al mio che sa di cocco, vaniglia e sigarette.
Mi bacia a stampo.
“Buonanotte, principessa.”
“Notte, principe libanese.”
Mormoro prima di chiudere gli occhi e precipitare in un sonno sena sogni né incubi aiutata dall’alcool che ho bevuto.

 
La mattina dopo mi sveglio abbracciata a lui.
Sono indecisa sul da farsi, rimanere o andarmene?
Magari da sobrio mi considererà un inutile due di picche o una notte in bianco da dimenticare e non credo potrei sopportarlo, non ora che ho dei sentimenti.
Mi sfilo piano dal suo abbraccio e cerco di scendere dal letto, ma una mano si stringe sul mio polso con delicatezza.
“Non pensavo fossi il tipo di ragazza che scappa dal letto mentre il ragazzo con cui ha condiviso il letto dorme.”
“Non lo sono, ma non sapevo come avresti reagito.”
“In che senso?”
Io sospiro.
“Pensavo mi avresti considerata un inutile due di picche o una scopata mancata, inutile anche quella.”
Lui ride, la sua risata è piena, capace di metterti di buon umore.
“Non ho pensato a te in questo modo.”
“Pensi a me come a una preda difficile?”
“No, penso a te come a un enigma che mi chiama con insistenza, come se toccasse a me risolverlo.”
Io gli sorrido.
“E forse è davvero così, ma non sono cose da discutere senza prima fare colazione.
Mi indicheresti dove è il bagno, per piacere?”
Lui annuisce, si alza e mi accompagna in un’altra stanza, non senza che io abbia preso i vestiti della sera prima, la maglia di Jack la ficcherò in borsa e cercherò di non farla vedere ad Adam o allo zio o si arrabbierebbero.
Mi faccio una lunga doccia e poi facciamo colazione insieme, scherzando e ridendo come bambini, poi lui mi riporta a casa.
“Ti direi di entrare, ma sarebbe una cattiva idea.
Adam non sarebbe felice di vederti.”
“Immagino sia così, sei stata una storia importante e ieri sera ti ha detto che ti ama ancora.
Immagino che ora voglia uccidermi o qualcosa del genere.”
“Probabilmente sì, ma nemmeno la sua ira funesta mi terrà lontana da te, Barakat.
Ti è andate male.”
“Mi è andata bene vorrai dire.”
Io sorrido e lui ride, sto proprio bene con lui.
Adesso però è arrivato il momento di dirsi arrivederci e io ho un po’ paura, più che altro di quello che mi aspetta a casa.
Lui mi saluta con un bacio, io esco dalla macchina e lo guardo andare via.
Solo quando la sua macchina scompare dall’orizzonte mi decido a entrare, sentendo uno strappo all’altezza del cuore che è doloroso giusto un attimo, quello prima di ripiombare nell’apatia, conscia di dover affrontare Adam e forse mio zio.
Potrei non entrare dal cancello e rifugiarmi in uno dei bar, fare colazione e aspettare che magari siano meno arrabbiati, ma non sono mai stata una che fugge.
Pur con la mia assenza di emozioni e sentimenti ho sempre affrontato tutte le conseguenze delle mie azioni, che poi di cosa devo vergognarmi?
Di essere rimasta a dormire a casa di un ragazzo quando ho compiuto ventotto anni all’inizio dell’anno?
È una cosa normale per una ragazza della mia età!
Accidenti, sono senza emozioni, ma non frigida!
Stringo i pugni per farmi forza e poi suono il campanello, pochi secondi dopo il cancellino pedonale della villa si apre e io percorro lentamente il vialetto lastricato di grezze mattonelle.
Entro dalla porta e sento i rumori del brunch domenicale dei DeLonge, ma non posso raggiugerli, mio zio mi sbarra la strada con le braccia incrociate sul petto e un’aria che non promette nulla di buono.
“Dove sei stata?”
Mi chiede brusco, io non rispondo.
“Adam se ne è andato stamattina e mi ha lasciato un biglietto abbastanza strano. Dice che sei stata con Jack Barakat, che pensi che lui sia la tua anima gemella. Che sia il tizio cha ha anche la tua anima come ha detto quella vecchia zingara, che è probabilmente una pazza a cui avete creduto tutti, in primis Aida.”
Il nome di mia madre nella sua bocca mi infastidisce, perché la tira in ballo?
Cosa diavolo c’entra lei in quelle che sono questioni tra di noi?
“Non sono affari tuoi.”
Rispondo secca, alla fine.
“Vivi con me e sono anche affari miei e poi dovresti dirmelo per rispetto anche verso la zia Jen che immagino  non lo sappia nemmeno.”
Io gli lancio un’occhiata ostile, per quanto me lo permetta il mio solito comportamento apatico e meccanico.
“Hai perso la scommessa, lo sa.”
Lui mi guarda incredulo.
“Lo hai detto a loro e non a me? Io che sono tuo zio?”
Il suo sguardo è tradito, come se lo avessi pugnalato alla schiena.
“La casa è tua, hai ragione, ed è giusto che almeno una persona qui dentro sia avvisata dei miei movimenti per educazione, in quanto a te non è necessario che tu sappia tutto, zio.
Ho ventotto anni e non quattordici, penso di saper gestire almeno un pochino la mia vita.”
Il suo schiaffo mi coglie all’improvviso e mi fa voltare il volto.
“Ti sei fatta scopare da Jack Barakat come una puttana qualsiasi e dovrei fare finta che vada tutto bene?”
Io stringo il pugno e lo guardo con quello che spero sia uno sguardo carico di odio.
“Tu ti comportavi come Jack quando eri giovane e in quanto ad Adam si è quasi scopato una mora in mezzo alla pista ieri sera e non un rimprovero è uscito dalla mia bocca.
Sei.Un.Fottuto.Ipocrita.”
Scandisco bene le parole in modo che le capisca e poi gli do un manrovescio che lo fa barcollare. È tutto assurdo, io e lo zio siamo sempre andati d’accordo – anche quando io ero piccola e combina guai –non mi ero mai ribellata apertamente alla sua volontà.
Zia Jen esce dalla cucina e ci guarda preoccupata, la tensione si potrebbe tagliare con un coltello e lei non sa cosa fare.
Lui si avvicina barcollando, una mano alzata – pronta probabilmente a schiaffeggiarmi di nuovo – ma io lo precedo e gli sferro un calcio nei gioielli di famiglia.
Lui cade a terra imprecando e tenendosi il cavallo dei pantaloni, ha il volto rosso e gli occhi che luccicano di lacrime.
Io lo guardo giusto un attimo e poi infilo la porta e comincio a correre lungo lo stesso vialetto che ho percorso poco prima e scavalco il cancellino presa da una sensazione sorda e negativa che si agita sul fondo del mio stomaco.
Rabbia.
È pura e semplice rabbia e per la prima volta la provo quasi come se fossi un normale essere umano.
Che sia la vicinanza di Jack a ridarmi piano piano la capacità di provare sentimenti?
E quando riavrò del tutto la mia anima?

 
San Diego alla domenica mattina prima di mezzogiorno è una città rincoglionita.
Ci sono gli ultimi nottambuli che affollano i bar aperti e poca altra gente che ha per di più un’aria stanca che denuncia lontano un miglio che preferirebbero trovarsi nel loro letto piuttosto che andare al lavoro.
Io scarto un paio di locali troppo pieni di gente, sono troppo arrabbiata per sopportare il contatto con troppe persone, ho bisogno di solitudine.
Devo smaltire la rabbia e la delusione che ho provato per colpa di mio zio, senza contare lo schiaffo che ho ricevuto – che fa male, la guancia pulsa – e l’essere stata chiamata puttana solo perché ho una vita sessuale con uno che non gli va a genio.
Non ha un cazzo di senso il suo comportamento! Mi dico con rabbia, guardando le punte delle mie scarpe a tacco non troppo alto.
Jack Barakat è uno dei componenti di una band che lui supporta, un amico di zio Mark con cui ha fatto anche delle foto insieme. Da quando lo odia così tanto? Non ha senso, accidenti!
Sto per entrare in un locale relativamente deserto, una vecchia caffetteria stile anni ’50, con l’esterno color verde acqua e una grande vetrata che dà sulla strada, quando qualcun mi afferra gentilmente per il polso.
Sto per rispondere per le rime, pensando che sia Tom che mi abbia seguito, ma mi trovo davanti a una ragazza dai capelli castani e dagli occhi azzurri.
Non ho idea e le rivolgo uno sguardo interrogativo, chi è?
“Ciao.”
Mi dice cordiale.
“Ciao.”
Rispondo con una debole eco incerta nella mia voce spenta.
“Posso sapere chi sei?
Non ti ho mai vista.”
Aggiungo poi, lei mi sorride gentile.
“Sono Lisa Ruocco, la ragazza di Alex Gasgarth.
Tu sei Karima Jenkins, vero?”
“Sì, sono io.”
“Volevo vedere la ragazza che è riuscita a rimanere nel letto di Jack nonostante il due di picche che gli ha dato.”
Io la guardo a bocca aperta, non sapendo cosa dire.
“Oh, scusa, ti ho messa in imbarazzo?”
“Un po’. Non ho fatto colazione e vorrei mangiare qualcosa.”
“Va bene, ti accompagno.”
Io annuisco, non del tutto convinta che sia una buona idea, questa tizia mi sembra abbastanza stramba.
Entriamo e ci sediamo a un tavolo, lei ordina un semplice cappuccino e una brioches, io un cappuccino, pancakes con abbondante sciroppo d’acero e un succo d’arancia.
“Hai fame.”
“Un po’.”
“Stare con Jack fa venire fame lo stesso?”
“Non ci ho fatto nulla e vorrei sapere perché tutti si sentono in dovere di dire la loro.”
La voce mi esce un filo acida.
“Non sono ostile, solo che non è da Jack quello che ha fatto.”
“E cosa è da Jack?”
“Cacciarti dal suo letto e trovarsene un’altra.”
“Ah.”
L’arrivo delle nostre ordinazioni pone momentaneamente fine alla nostra conversazione.
“Se ti chiedi cosa abbia di speciale non lo so, sono solo una ragazza come tutte le altre.
Più o meno, all’incirca.
Più un giocattolo rotto che altro.”
“Un giocattolo rotto?”
“Non ho sentimenti, non so comportarmi normalmente, solo con Jack ci riesco.”
“È impossibile che tu non abbia sentimenti.”
“Sono un mistero della scienza medica.”
Il tono è un po’ amaro.
“Scusa, forse non ti fa piacere parlarne.”
“Mi è indifferente. Jack cosa dice di me?”
“Che sei una ragazza che lo intriga molto e non credo di averlo mai sentito dire di qualcun'altra.”
Io bevo un po’ del mio cappuccino.
“Forse sono solo una scopata difficile.”
“Questo non lo so, sono cose che dice ad Alex.”
“Devo temere il jalex?”
Lei ride.
“Non devi temere una cosa che non esiste.”
Il mio telefono inizia a squillare, ma non appena vedo il mittente chiudo la chiamata.
“Chi era?”
“Mio zio.”
“Come mai non hai risposto.”
“Abbiamo litigato, sono stata definita una puttana perché sono rimasta solo a dormire da Jack, ma quando lui si comportava come Barakat da giovane era del tutto accettabile.”
“Mi dispiace.
Ma chi è tuo zio?”
“Tom DeLonge.”
“Dai, non scherzare.”
“Non sono dell’umore per scherzare.”
Lei rimane a bocca aperta e non aggiunge altro.
Immagino stia processando tutte le informazioni che le ho dato e la fortuna di Jack che è coinvolto con la nipotina di uno dei suoi idoli
Finiamo di mangiare in silenzio, poi paghiamo e lei se ne va.
Cosa devo fare?
Non posso tornare a casa e ho bisogno di sfogarmi.
Dove posso andare?

 

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Capitolo 9
*** 8)L'appartamento verde. ***


8)L'appartamento verde.

 

Karima p.o.v

 
Non so cosa fare e finisco per andare nell’unico posto che mi dà un po’ di pace: la spiaggia.
Salgo sul lungomare, alla domenica mattina tutti i negozietti sono chiusi e non c’è in giro nessuno, solo qualche gabbiano curioso. Non mi danno fastidio, a volte penso che gli animali siano più sinceri degli uomini.
Se sei una preda o gli fai qualcosa ti attaccano, se non sei una preda o li lasci in pace non ti fanno niente. Gli uomini ti attaccano anche se non hai fatto nulla, solo perché si sentono in dovere di farlo.
Al primo cancellino scendo sulla spiaggia, il tempo è nuvoloso e il mare si abbatte con violenza sulla battigia, sollevano onde che farebbero la felicità dei surfisti.
Io inizio a camminare e a passare in rassegna gli avvenimenti della sera prima: il bacio con Jack, il litigio con Adam, la nuotata notturna, dormire con Jack, essere baciata di nuovo da lui, il secondo litigio con mio zio.
Meritavo quell’astio?
Non credo.
Cosa ho fatto di male?
Nulla, mi comporto solo da ragazza della mia età, forse lui non riesce ad accettarlo, forse lui mi vede ancora come quell’adolescente che aveva bisogno dello zio.
Quel tempo passato, so che fa male, ma è passato.
Devo imparare a fare i primi passi nel mondo da sola, convivendo con il mio disagio più che posso e stando con chi me lo allevia e poco importa la sua reputazione.
Mi siedo vicino alla battigia e non so per quanto tempo rimango lì.
Minuti? Ore? Giorni?
So solo che a un certo punto qualcuno chiama il mio nome, ma io non rispondo e quel qualcuno si siede accanto a me.
“Ciao, Karima.”
Io alzo gli occhi e mi perdo nei pozzi di velluto che ha Jack al posto degli occhi.
“Ciao, Jack.
Come mai qui?
Pensavo cercassi qualcuna per rimediare alla notte che hai trascorso in bianco.”
“Hai parlato con Lisa?”
“Sì e la tua reputazione ti precede.”
“A volte vorrei che non succedesse.”
Sospira.
“Non sono qui per questo. Mi ha telefonato un Tom DeLonge arrabbiato perché non trovava la sua nipotina preferita e ho pensato che potessi essere qui.
Anche se porti i colori del verde, sembri più una creatura acquatica che una della terra.”
“Io sono quello che sono e se mio zio non avesse fatto lo stronzo la nipotina preferita di Tom DeLonge si starebbe godendo il brunch domenicale con la sua famiglia.”
“Karima, cosa è successo?”
“Tom DeLonge mi ha dato della puttana.”
Dico spenta.
“Capisco. Vieni a casa e chiariamo le cose.”
“Non voglio.”
“Tuo zio è preoccupato e verrò anche io con te.”
Io sbuffo.
“Così lui ti insulterà.”
“Sai quanto mi importa.”
Sbuffando ancora mi alzo e lo seguo, lontano dalla spiaggia e dalla mia pace, attraverso il lungomare e poi salgo nella sua macchina.
Durante il viaggio nessuno dice nulla.
“Scusa per tutti i guai che ti procuro.”
“Tu che ti scusi?
Sono io che dovrei farlo, per colpa mia affronterai uno zio iperprotettivo.”
Ci fermiamo davanti alla villa di mio zio e scendiamo, apro il cancellino e percorro il vialetto, mi è sempre piaciuta questa casa, ma oggi sa di prigionia.
Non appena apro la porta mi ritrovo avvolta dall’abbraccio di mia zia.
“Ci hai fatto preoccupare, scricciolo!
Sei stata ore senza farci sapere dove eri?
Jack, grazie per avercela riportata.”
Lui annuisce.
“È stato un piacere aiutare la moglie del mio idolo.”
“Jack?!”
Una terza voce si inserisce nella conversazione con la potenza di un ruggito, Tom si avventa su di noi e istintivamente Jack mi porta dietro di lui, non ho mai visto mio zio così arrabbiato.
“Te la sei sbattuta di nuovo?
Spero che ti sia piaciuto, perché sarà l’ultima volta che la vedrai!”
Esco da dietro Jack con il fuoco negli occhi.
“Ho ventotto anni, non puoi trattarmi come se ne avessi quattordici, se voglio frequentare Jack lo farò, con o senza il tuo permesso.”
Lui cerca di darmi un’altra sberla, ma io fermo la sua mano.
“Se lo farai ancora ti picchierò fino a ridurti a un sacco di merda, te lo giuro sul nome del Profeta.”
Lui mi guarda sbalordito.
“Difendi lui e non me?”
“Lui mi tratta da donna, tu come un oggetto.”
Lui deglutisce.
“Se è questo che vuoi smetterò di proteggerti, ma quando questo stronzo ti farà piangere non venire da me.”
“Non lo farei nemmeno se fossi l’ultima persona sulla faccia della Terra, tu non sei più mio zio, sei un carceriere. Sei uno di quei islamisti radicali che disprezzi e io non voglio più avere a che fare con te. “
“Va bene, da oggi tu non sei più mia nipote.”
“Ragazzi, state esagerando.
Sono sicura che c’è un modo civile per risolvere la questione.”
Cerca di intervenire mia zia, a cui non piace la piega che ha preso la situazione, non piace nemmeno a me, ma è l’unica che potesse prendere.
Non sono più una ragazzina o un oggetto di cui si può decidere a proprio piacimento, nessuno – nemmeno mio zio – può trattarmi così.
“Esisterebbe se Tom fosse ragionevole, ma non lo è e non tratto con gente così.”
“Ragazzi, vi prego.
Siete arrabbiati, domani ve ne pentirete.”
“NO.”
Diciamo in coro.
“Cosa direbbero i tuoi genitori?
Non vorrebbero vedervi divisi.”
Prova ancora la zia.
“I miei genitori sono morti! Morti!
Non so cosa vorrebbero perché sono in un posto dove non possono far sentire la loro voce.
Morti e stramorti.”
Urlo fuori di me, iniziando a piangere.
“Voglio andarmene di qui.
Torno al mio vecchio appartamento, tanto l’affitto è ancora pagato. Non voglio vedere la sua faccia intorno e qui sono solo un peso e una preoccupazione, l’unico felice di vedermi è Jonas.
Può venire a trovarmi quando vuole.”
Salgo in camera mia e raduno le mie cose ignorando le voci dei miei zii e di Jack, finito di preparare le valigie guardo il chitarrista degli All Time Low.
“Jack, mi accompagneresti al mio appartamento?”
“Se pensi che sia la soluzione giusta.”
“Lo è.”
Dico feroce, fulminando tutti, tanto che Ava scoppia a piangere e si rifugia nella sua camera.
“Scricciolo…”
“Ciao, zia Jen.”
La saluto e scendo le scale trascinando la pesante valigia.
“Più tardi verrò a recuperare il resto.”
Poi esco dalla villa a testa alta con le lacrime che mi solcano il volto, delusa a morte dal comportamento della persona a cui ho voluto più bene in questa vita.
Carico la valigia nella macchina di Jack e lui sale malvolentieri sul sedile del guidatore, io invece mi raggomitolo su quello del passeggero.
“Karima, non è troppo tardi per parlare con tuo zio.”
Io scuoto la testa decisa.
“Non vedi come mi ha trattata?
Ha tentato persino di picchiarmi, io con lui non ci parlo, non è più l’uomo gentile che conoscevo. Adesso è solo uno stronzo, che Allah lo stramaledica, e mia zia non può cambiarlo.”
“Sei musulmana?”
“No, ma quando uso il Suo nome mi sembra di avere ancora mia madre vicino.
Sono cristiana e forse Dio non è contento che nomini il suo rivale e non lui o forse Dio e Allah sono la stessa cosa chiamata con due nomi diversi.”
“Ah, non lo so. Io non credo molto in queste cose, dimmi il tuo indirizzo piuttosto.”
Io annuisco, nella foga del discorso mi sono dimenticata che la sua missione è riportarmi a casa.
“Certo, scusa.”
Glielo dico e lui annuisce a sua volta.
Poi nessuno dice più nulla e dalla collina scendiamo verso il centro e poi verso il mare, il mio appartamento è all’ultimo piano di un tipico condominio californiano. Quelli da telefilm, con la piscina al centro e due o tre case di al massimo tre piani attorno e con il mare non troppo lontano.
Da me abitano solo ispanici e un paio di surfisti, quindi non mi stupisce di essere salutata da un paio di “Buenos dias” e da qualche generico “Buenas” da parte di due uomini con i baffi orgogliosamente tenuti e da un gruppo di ragazze.
“Karima, dov’è il tuo chico.”
“Non è il mio chico e comuqnue è partito”
“Ah, che peccato! E così hermoso.”
Io non dico nulla e saluto con la mano la portoricana bionda che me l’ha detto.
Chica, non hai una mezza possibilità con Adam. Mi dico mentalmente, a quanto pare ama ancora me.
Ana, così si chiama la ragazza, non è me, sebbene sia più simpatica della sottoscritta.
“Karima, Karima!”
Mi richiama.
“Cosa c’è?”
“Chi è lui? Il tuo novio?”
“Solo un amigo.”
Rispondo io, lei ride e capisco che non mi crede.
Beh, chi mi crederebbe?
Arrivo dopo secoli per di più in compagnia di un bel ragazzo come Jack, nessuno mi crederebbe. Sospirando, salgo le scale del palazzo che si trova davanti all’entrata – un bell' edificio in stile coloniale, una spanna sopra a quelli che si trovano di solito in questi condomini – e arrivo fino al terzo piano. Apro la porta di casa mia e corro ad aprire la porta della terrazza che dà sul mare, lasciando che l’aria salmastra entri come un soffio vitale in queste stanze che sono state chiuse troppo a lungo.
“Bella casa.”
Mi dice Jack, raggiungendomi sulla terrazza.
“Non è male, a me piace molto e non mi lamento.
Vediamo se c’è qualcosa da mangiare…”
Vado in cucina e constato che ci sono delle patatine e persino un po’ di caffè.
“Vuoi un caffè?”
Chiedo al ragazzo che è ancora in terrazza.
“Sì, perché no?
Penso di averne bisogno e poi ho fame.”
“Ordineremo una pizza o dal cinese, in frigo non c’è niente, domani devo fare la spesa.”
“È un invito a pranzo?”
Lo guardo – è arrivato in cucina – e mi rendo di quello che ho detto senza pensarci, abituata a parlare con Adam  come sono, e arrossisco.
“Beh, solo se vuoi.
Lisa mi ha detto che hai una vita molto attiva e non vorrei disturbarti ulteriormente. Già ti ho reso partecipe di un dramma familiare di quinta categoria.”
“Lisa parla troppo.”
“Ma ha ragione o Tom non mi si sarebbe rivoltato contro come un serpente.”
Lui fa spallucce.
“Sì, è vero. Ma per oggi va bene così.
Sei una strana ragazza, Karima, e mi intrighi. Devo avertelo già detto.”
“Già…”
Dico in tono pensieroso, mentre metto la moka sul gas e quando il caffè è pronto lo verso in due tazzine.
“Non sei convinta?”
“Non lo so.
Io non ho mai avuto sentimenti e faccio fatica ad abituarmi ad averli.”
Ho detto di nuovo troppo, spero non si ricordi che gli ho raccontato quello che mi aveva detto la zingara.
“Quindi sarei io la tua anima gemella?”
Mi chiede confuso.
No, accidenti! Eravamo ubriachi, come fa a ricordarselo?
“Non lo so. Forse dobbiamo scoprirlo insieme se la cosa non ti spaventa.”
“Mi terrorizza e mi eccita allo stesso tempo, come la mettiamo?”
“Non lo so. Giorno per giorno?”
“Mi sta bene.”
Ci sorridiamo e il fatto di esserci intesi mi fa sorridere e quasi dimenticare il litigio, che la vecchia zingara avesse ragione?
“Ma non si era parlato di cibo?”
Mi chiede per alleggerire la tensione tra di noi.
“Effettivamente se ne era parlato, ma non si era deciso se tu rimanessi o meno.”
“Sono Jack Barakat, non rifiuto mai del buon cibo qualunque sia la sua provenienza.”
“Va bene, cinese o pizza?”
“Cinese, non ho voglia di pizza se per te va bene.”
“A me va bene tutto, non ho tutta questa fame, mangio solo perché devo.”
“Non va bene così.”
“Lo so, ma da quando i miei sono morti mi è passato l’appetito.”
“Capisco. È stata dura, vero?”
“La cosa più dura che mi sia capitata di affrontare, i primi giorni non sapevo nemmeno se sarei riuscita a sopravvivere, ma Adam ha lottato con me e mi ha riportato indietro.”
Rimango un attimo in silenzio e mi accendo una sigaretta.
“Questo rende il suo tradimento più difficile da digerire. Le persone a cui vuoi più bene finiscono sempre per farti più male che se non te ne avessero voluto.”
“Questo non ti deve far decidere di lasciar perdere le persone.”
“Immagino di sì o forse no.
Forse da sola starei meglio.”
Lui mi prende una mano.
“Da sola staresti peggio e poi non vuoi scoprire se sono io la tua anima gemella?
Se ho io la tua anima?”
“Sì, lo voglio.”
Mormoro e poi gli sorrido.
“Vado a ordinare dal cinese.”
Prendo in mano la cornetta e mi sento meglio, già stare con lui senza nessun coinvolgimento emotivo mi rende felice, non oso pensare se iniziassimo una storia.
Probabilmente scoppierei dalla felicità contenta che succeda.
Ordino un po’di tutto, probabilmente esagero, ma almeno avrò una sottospecie di cena senza dover cucinare.
“Fatto!”
Annuncio raggiante.
“Riso alla cantonese, involtini primavera, pollo alle mandorle, all’arancia fritto, biscotti della fortuna e gelato fritto stanno arrivando.”
“Woah! Hai ordinato per un esercito!”
“Se avanzerà qualcosa almeno avrò la cena, ma temo che non avanzerà nulla.”
Mi siedo sul divano e mi fumo una sigaretta, lui si siede accanto a me.
“Il tuo appartamento mi piace, è molto accogliente.”
“Grazie mille, ho pensato a come l’avrebbe arredato mia madre e ho cercato di seguire il suo stile, il mio sarebbe freddo e impersonale.”
“Forse o forse no. Non credo che tua madre ti abbia mai detto di farti i capelli verdi.”
“No, a lei non sono mai piaciuti.”
“Vedi? Hai un tuo stile e il verde non è per niente un colore freddo o impersonale, il verde dei tuoi capelli è fluorescente, vivace, sembra quasi giallo in alcuni punti.
Qui.”
Appoggia un dito sul mio cuore.
“C’è più di quello che tu creda e se tu pensi che io abbia la tua anima, non vedo l’ora di ridartela perché una persona come te deve sbocciare e non chiudersi in se stessa, Karima.”
“Se lo dici tu.”
“Sì, lo dico e ci credo.”
L’arrivo del fattorino interrompe questa conversazione che si è fatta un po’imbarazzante, nessuno mi aveva mai elogiata così tanto, nemmeno i miei che pure credevano in me.
Mi alzo dal divano, vado a prendere e pagare la roba e poi la do in mano a Jack.
“Beh?”
“Parlando parlando nessuno ha apparecchiato la tavola e non possiamo certo mangiare su un tavolo sparecchiato.”
Estraggo una tovaglia e la stendo rapida, poi recupero i tovaglioli, le posate i bicchieri e qualcosa da bere: della birra, dell’acqua e del the.
Jack appoggia tutto sul tavolo e iniziamo a mangiare in silenzio.
“Ti divertirai lavorando con noi, siamo persone simpatiche e ogni giorno inventiamo qualche cazzata quando siamo in studio a registrare, in tour poi è ancora peggio."
Io sorrido.
“Lo spero, ho bisogno di ridere, non è un bel periodo.”
Una fitta di dolore mi attraversa il cuore al pensiero dei miei genitori e della lite con mio zio, sto lentamente perdendo la mia famiglia, spero di poter parlare ancora con zia Jen visto che si è presa cura di me per tutto questo tempo senza farmelo pesare.
“Passerà, sono sicuro che Tom ti perdonerà.”
“Lo spero anche io, perché non mi lasciano prendere le mie responsabilità?
Penso di potercela fare, sono così stanca di avere dei guardiani. Sono loro grata, ma adesso voglio andare avanti da sola, in un certo senso, e vivere la mia vita.
Credo sarebbe quello che avrebbero voluto i miei genitori.”
“Passerà.”
Finiamo di mangiare, lui sbadiglia, io sparecchio.
Lavo le stoviglie e poi lo raggiungo in salotto, lui si alza dal divano e mi accompagna in terrazza dove mi accendo una sigaretta. Ammiriamo in silenzio l’oceano ognuno immerso nei propri pensieri, ma il calore che emana Jack mi rassicura in un modo che non so spiegare, non ancora almeno.
“Penso che sia arrivato il momento che io me ne vada.”
“Già, devo svuotare la valige e sistemare le cose: un lavoro abbastanza noioso.”
Lui ride.
“Già, non è roba per me.”
Lo accompagno alla porta e lo abbraccio.
“Ci vediamo domani mattina.”
Mi dà un bacio pericolosamente alle labbra e poi se ne va, io mi tocco il punto sorridendo.
Sì, andrà tutto bene in qualche modo.
Succede sempre così.

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Capitolo 10
*** 9)La solita pecora nera. ***


9)La solita pecora nera.

 

Karima p.o.v.

 

La mattina dopo mi alzo senza alcuna voglia di andare al lavoro.
Mi faccio una doccia sperando che mi rivitalizzi, ma non succede, il mio grumo di emozioni negative rimane lì e non sembra intenzionato ad andarsene tanto presto.
Ho aspettato a lungo questo momento, ma ora che è arrivato mi fa una paura tremenda, e se non riuscissi a scattare delle foto?
E se quelle che scatterò non dovessero piacere a quelli della casa discografica e venissi licenziata?
Scuoto la testa e mi guardo allo specchio, che riflette l’immagine di una ragazza dai capelli verdi scompigliati, dagli occhi castano-verde dilatati e dall’aria un po’ pallida.
“Karima, ripeti dopo di me.
Sono una brava fotografa, se così non fosse non mi avrebbero assunta e oggi scatterò delle foto da paura. Non mi farò condizionare dalla vicinanza di Jack, se non in modo positivo, prendendo solo il bello e lasciando da parte le domande e le incertezze.”
Ripeto quello che ho detto e poi mi pettino energicamente raccogliendo i miei capelli in due codini, mettendo correttore e matita. Adesso sembro un essere umano almeno.
Esco dal bagno e faccio un abbondante colazione, non ho voglia di fermarmi al solito MacDonald e incontrare Tom, finendo per discutere di nuovo con lui, magari. Una volta pronta esco e salgo in macchina ascoltando un cd degli All Time Low che Ava mi ha dato prima che me ne andassi da villa DeLonge, si chiama “Nothing Personal” e non è male, mi piace un sacco. Dà un sacco di energia ed è bello che qualcuno dia energia alla gente, alla volte ci si sente giù ed è qui che interviene la musica.
Persino una persona senza sentimenti come me ne tre giovamento, la musica è l’ultima forma di magia che abita questo mondo in decadenza.
Arrivo alla casa discografica e parcheggio, poi entro e trovo la
signorina Preston al suo posto nell’atrio, mi saluta cordiale.
“Buongiorno, signorina Jenkins.”
“Buongiorno, signorina Preston. Dov’è la sala prove o meglio gli All Time Low?”
“Siamo qui, anzi sono qui.”
Mi volto e mi trovo davanti Jack con un bicchierino di caffè in mano.
“Oddio, non dirmi che sono in ritardo!”
“No, non lo sei. Sei in anticipo, sono io che sono arrivato per primo. Tra poco arriveranno Zack e Rian e tra un bel po’ arriverà Alex.
Prima lezione: Alex Gaskarh è sempre in ritardo almeno di dieci minuti, la sua sveglia ha una volontà propria e spesso si rifiuta di suonare, il suo sonno è simile al coma.”
“Interessante, me le appunterò da qualche parte.”
“Vuoi un caffè? Ti posso solo offrire quello delle macchinette che è disgustoso, ma è meglio di niente.
Ops! Mi scusi, signorina Preston.”
“Va tutto bene, Jack. Inutile negare la verità, dirò agli altri di aspettarti qui nella hall in caso dovessero arrivare mentre non ci sei.”
“Lei è un tesoro signorina Preston.”
“Ragazzaccio!”
Jack mi fa strada lungo un corridoio in cui si aprono parecchie porte – immagino siano studi di registrazione – fino a una saletta con delle macchinette per il caffè.
Un buon inizio di mattinata.
Jack infila una moneta nella macchinetta e poi aspetta che il caffè venga pronto.
“Tu cosa vuoi?”
“Un cappuccino, per favore.”
“Okay. Allora com’è andata la giornata?”
“Noiosa.”
Lui ride.
“E la notte? Sono apparso nei tuoi sogni?”
“Sì, ma non nella forma in cui credi.”
Lui alza un sopracciglio, il mio cuore salta un battito.
Di questo passo avrò bisogno di un defibrillatore!
“Sei apparso nei miei incubi, non riuscivo a fotografarvi e le poche foto che scattavo venivano scartate dalla casa discografica, che alla fine mi ha licenziata.”
Lui rimane un attimo in silenzio poi mi porge il cappuccino.
“Ti racconterò una cosa che sa solo Alex. Il giorno prima che facessimo il provino per firmare qui ero tesissimo e avevo una paura folle che la band potesse non piacere o che io non riuscissi a suonare nulla. Alex ha tentato di calmarmi invano, alla fine mi sono addormentato e ho sognato che sbagliavo tutto. Non una cazzo di nota giusta, entrate alla cazzo di cane, rumori distorti.
Un apocalisse e la colpa era tutta mia.
Ovviamente nel mio sogno non ci hanno presi e la mattina dopo mi stavo cagando in mano. Alex mi ha persino chiesto sarcasticamente se avessi bisogno di un pannolino, inutile dire che è andato tutto bene e che ho sbagliato pochissimo.
Succederà lo stesso a te, adesso ti sembra di non valere nulla, ma una volta sul campo di battaglia darai il meglio di te.”
“Lo spero davvero.”
Mormoro bevendo il mio cappuccino, sento il mio cuore battere a un ritmo irregolare e mi sembra di sudare l’oceano indiano.
“Barakat! Inizi a sedurre la nostra fotografa ancora prima che inizi a lavorare?”
Urla Zack che ci raggiunge.
“No, scemo di un Merrick, le sto facendo gli onori di casa con questa brodaglia delle macchinette dato che nessuno di voi lazzaroni c’era ancora.”
“Disse quello che dormì un giorno intero mandando in apprensione l’intera band che lo credeva in coma etilico.”
Jack gli fa una linguaccia.
“Comunque siamo arrivati tutti, persino il ritardatario per eccellenza ed è accompagnato. Vorremmo farti conoscere Lisa.”
“La sua ragazza?
Io e lei ci conosciamo già, ma mi fa piacere rivederla.”
Finisco il cappuccino e butto il bicchierino nel cestino e seguo i due ragazzi che continuano a spintonarsi come se fossero dei bambini di cinque anni.
Finalmente arriviamo alla hall e trovo Rian, Alex e Lisa che parlano.
“L’ho trovata e salvata per un pelo dalle grinfie infide di Barakat.”
Il chitarrista dà una spinta fenomenale al bassista che – nonostante sia più robusto – cade a terra, facendo ridere tutti, persino io inizio a farlo prima di portarmi una mano alla bocca.
“Barakat, questa me la paghi.”
Mugugna Zack alzandosi.
“Va bene, va bene. A cuccia.
Karima, lei è Lisa…”
“La tua ragazza? Ci conosciamo già, l’incontrata ieri, è un piacere rivederti.”
Allungo una mano per stringere la sua, ma lei mi abbraccia, allarmandomi, non amo molto il contatto umano.
“Buona fortuna.”
Mi dice prima di lasciarmi andare.
Dà un bacio ad Alex e sorride.
“Lo lascio in buone mani, io me ne vado.
Fai il bravo, amore, registra e non cazzeggiare.”
“La tua fiducia in me è commuovente.”
Lei ride e se ne va sventolando la mano, che la mia guerra inizi.

 
Due ore dopo le mie paure sono sparite come neve dopo una giornata di sole.
I ragazzi sono stati bravissimi a mettermi a mio agio, Jack ha ragione, alternano momenti in cui sono seri ad altri in cui sono dei buffoni nati e io riesco a fotografare entrambi i lati.
Alla fine me la sto cavando sul campo di battaglia.
Zack si siede accanto a me e guarda le foto sulla mia macchina digitale.
“Ehi, ci siamo anche noi!”
Io alzo un sopracciglio confusa, chi altro avrebbe dovuto esserci?
“Pensavo che avessi un intero servizio fotografico a Jack!”
“E me lo sarei meritato perché sono bellissimo”
Il bassista alza gli occhi al cielo.
“Non è perché l’hai già conquistata devi approfittarti di questo fatto!”
“Non mi ha conquistata, non sono un oggetto che si può vincere al luna park, Zack Merrick.
Sono un essere umano che decide chi frequentare e la mia vita privata non inferisce con il lavoro, so che devo fotografare la band e non solo Jack.”
“Questo si chiama rimettere al loro posto le persone, bambolina!
Posso chiamarti così o bacchetti anche me?”
Mi domanda Alex divertito.
“Preferirei che non lo facessi.”
“Va bene. Posso vedere le foto incriminate?”
Io gli passo la macchina e gli spiego come andare avanti e indietro, lui fa scorrere le foto e annuisce.
“Non so dove tu sia stata nascosta in questi anni, ma sono foto davvero belle e io ho una fame boia, anche se sono solo le dieci.
Chi viene con me alle macchinette?”
“Io.”
Si affretta ad aggiungere Zack.
Immagino si voglia allontanare da me, mi succede spesso.
“Wow, credo che nessuno abbia mai risposto in questo modo a Zack.”
“Mi dispiace, Rian.”
“Tutto a posto, Karima.
A volte fa delle battute stupide e serve qualcuno che glielo ricordi.”
“Forse, ma non sono convinta che accettare questo lavoro sia stata una grande idea.”
“Perché?”
Mi chiede Jack.
“Non ci so fare con le persone come avrai notato, so solo essere cattiva e ferire.”
“Adesso non esagerare, non mi hai mai ferito da quando ci siamo incontrati.”
“Tu sei un’eccezione Jack, non lo hai ancora capito?
Di solito non mi comporto come mi comporto con te con le persone, posso essere acida, fredda, indifferente e stronza.”
“Puoi, ma puoi essere anche altro.
Cerca di stare tranquilla e vedrai che andrà tutto bene, Zack non tiene il muso a lungo alle persone.”
Se lo dice Jack che lo conosce meglio di me allora ha probabilmente ragione e posso cercare di rilassarmi.
Dopo un po’ Alex e Zack tornano, ma le previsioni di Jack sono terribilmente sbagliate, il bassista mi sembra ancora arrabbiato con me, infatti mi evita e si siede al suo posto riprendendo a scrivere come se non ci fossi.
Io sospiro e ripendo a fotografare, in fondo mi pagano per questo, non per fare amicizia con i ragazzi, se dovesse succedere sarebbe una bella cosa, ma se non succedesse andrebbe bene lo stesso o almeno credo.
Continuo a lavorare fino a mezzogiorno e mezzo, a quell’ora Alex dichiara che è ora di pranzo e che non si può continuare a scrivere o registrare.
“Vi va di andare in quella nuova pizzeria?”
Chiede al resto della truppa con un luccichio negli occhi.
“Sì, ma perché non ti sposi con una pizza invece che con Lisa?”
Lui sbuffa e ignora la domanda di Rian.
“Allora?”
“Veniamo, veniamo.
Tu cosa fai Karima?”
La cosa mi pende alla sprovvista e per un attimo non so cosa rispondere.
“No, penso sia meglio di no. Vado a mangiare da qualche altra parte.”
Non ho voglia di imporre la mia presenza a Zack e al resto della band.
“Va bene. Sei sicura?”
“Sì sì, certo. Andate pure e non preoccupatevi per me.”
Rispondo con il mio solito sorriso meccanico.
Jack mi lancia un lungo sguardo e poi esce con gli altri, io mi siedo un attimo su una poltrona e mi prendo la testa tra le mani sospirando.
Il primo giorno non è andato benissimo, ma non si possono pretendere da un disastro come me, una che con le relazioni sociali non ci sa fare.
Alla fine mi alzo e chiudo la porta dello studio, poi mi dirigo nella hall, saluto la signorina e poi prendo la mia macchina e vado in un Mac Donald lontano sia dalla Fearless Records che dalla Fueled By Ramen. Voglio stare solo in compagnia di un panino, qualche crocchetta di pollo e delle patatine fritte, nessun essere umano amico o nemico.
Parcheggio ed entro nel locale, ordino il mio menù preferito e delle crocchette extra, poi mi siedo in un posto abbastanza appartato. Non deve esserlo abbastanza perché qualcuno si siede davanti a me.
“Scusa, potresti andare a un altro tavolo?
Vorrei stare da sola.”
“Penso proprio di no.”
Alzo gli occhi e incontro lo sguardo di Rian e non mi piace, mi sembra di essere una bambina colta con le mani nella marmellata anche se non ho fatto nulla.
“Perché sei qui?”
“Volevo parlare con te.”
“Cosa ho fatto di sbagliato ancora?
Mi scuserò con Zack se proprio la cosa è così grave.”
Lui rimane in silenzio per un po’, mettendomi ulteriormente a disagio.
“A te piace Jack, non è vero?”
“Cosa c’entra questo?
Ho letto il contratto da cima a fondo e da nessuna parte si vietano relazioni con i membri della band.”
“Non è per questo che te lo chiedo.”
“Allora temo di non poterti dare una risposta, non voglio essere sgarbata, ma si tratta della mia vita privata e vorrei tenerla per me.”
“Ne hai tutti i diritti, non di meno vorrei una risposta.”
Io rimango in silenzio, non avendo davvero voglia di parlare con lui.
Ultimamente tutti sembrano avere una gran voglia di ficcare il naso nei miei affari e non capisco perché, non sono più una bambina da tanto tempo.
“Non vuoi proprio rispondermi, eh?”
“Ah ah.”
“Penso che Zack si sia preso una cotta per te.”
“Che? Stai delirando?”
“No, è l’unica spiegazione che trovo al fatto che se la sia pressa così tanto.”
“Non hai mai pensato che forse era solo di malumore?”
“Può darsi, ma non hai risposto alla mia domanda.”
Io sbuffo e appoggio sul vassoio il mezzo panino rimasto.
“Sì, mi piace. Felice?
Adesso posso mangiare o devi chiedermi altre cose sulla mia vita privata?”
“Solo un consiglio: Jack non è tipo da relazioni serie, a meno che ti ami sul serio, finirai scottata da lui.”
“Il che è esattamente quello che mi hanno detto la metà di mille persone.”
“Ma tu non hai dato loro retta.”
Io sbuffo di nuovo.
“È la mia cazzo di vita e sono grande abbastanza per viverla come mi pare e piace e sopportare le conseguenze.”
“Va bene, va bene! Non ti scaldare, cercavo solo di essere tuo amico!”
“Beh, grazie mille.
Ora posso mangiare prima che questo panino si trasformi in una merda immangiabile?”
Lui annuisce e io riprendo a mangiare di malumore.
Ma chi me l’ha fatto fare di dare retta al consiglio di Adam?
Perché diavolo ho accettato questo incarico?
Certo, la mia vita di prima scorreva tranquilla e anche un po’ noiosa, ma almeno non dovevo litigare con mezzo mondo perché mi piace un ragazzo con la reputazione da stronzo!
Non ho scelto io il fatto che lui abbia la mia anima, io sono quella che meno ha potuto scegliere in questa storia sin da quando sono nata. Costretta a dividermi tra quello che credeva papà e quello che credeva mamma, non creduta fino in fondo nemmeno dai miei amici più stretti, incastrata in una storia che si preannuncia catastrofica.
La mia vita è una cazzo di catastrofe e nessuno mi ha dato un libretto delle istruzioni, ho dovuto cavarmela da sola e temo di non essermela cavata al meglio visto come sono ridotta.
Mi alzo dal tavolo ed esco seguita dal batterista, poi mi accendo una sigaretta.
“Hai fatto il tuo dovere, ora puoi andare.”
“Sei arrabbiata, Karima?”
“Sì e mi piacerebbe stare un po’ da sola, se non chiedo troppo, mi basta anche solo un quarto d’ora.”
Lui annuisce e mi lascia finalmente da sola con i miei pensieri e preoccupazioni, non uscirò viva da questo incarico!
Quindici minuti dopo salgo in macchina con di nuovo la mia maschera impassibile, in qualche modo sono pronta a tornare in studio e affrontare la situazione, spero non ci siano stati litigi in mia assenza.
Parcheggio e poi mi dirigo allo studio di registrazione, l’atmosfera all’interno mi sembra diversa rispetto a questa mattina, più pesante.
“Ciao.”
Dico incerta, vorrei chiedere cosa sia successo, ma non so se sia il caso.
“Bentornata, Karima.
Vieni a prendere un caffè con me!”
Alex mi trascina via sorridendo verso la saletta dove ci sono le macchinette, inserisce qualche spicciolo e poi aspetta.
“Ehm, Alex… Cosa è successo?”
“Un piccolo litigio tra Zack e Jack, una cosa normale.”
Io prendo coraggio a due mani.
“Per caso c’entro io?”
Lui mi guarda sorpreso.
“Come fai a saperlo?”
“Rian è venuto a parlarmi durante la pausa pranzo e ha detto delle strane cose.”
“Del genere?”
“Uhm, che Zack si è preso una cotta per me o qualcosa del genere.”
Alex inserisce gli spiccioli anche per il mio caffè.
“Non so se Rian abbia ragione, so solo che oggi durante la pausa pranzo Zack si è lamentato del tuo comportamento e ti ha chiamato stronza. Scusa.”
“Non fa niente, va avanti.”
“Jack si è scaldato e ti ha difeso, hanno litigato, ma non penso sia qualcosa di serio. Gli amici litigano ogni tanto e anche i compagni di band.”
Io sospiro, prendendo il caffè dalle mani di Alex.
“Beh, spero sia così perché non voglio essere causa di litigi all’interno della band. Il mio ruolo è fotografarvi, se dovessi… dovessi risultare inadatta me ne andrò.”
“No, non pensarci, Karima. È solo uno screzio, non prenderla così male, non ce n’è bisogno, te l’ho detto che qualche litigio è normale.
Ecco, magari domani scusati con Zack, non credo che adesso lui accetterebbe visto che anche Jack lo ha attaccato.”
“Ho fatto uno sbaglio ad accettare questo lavoro, non sto creando altro che casini.”
Borbotto cupa, lui mi appoggia una mano sulla spalla.
“Dormici sopra e vedrai che la prospettiva ti sembrerà migliore dopo una dormita.”
“Grazie del consiglio.”
Bevo il mio caffè.
“Beh, adesso è ora di tornare nell’arena e combattere contro i leoni.”
“Suvvia, non siamo così pericolosi!”
Ride il frontman.
Forse per la maggior parte della gente non sono pericolosi, ma per me sì.
Sono la solita pecora nera.

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Capitolo 11
*** 10)La magia dei bambini. ***


10)La magia dei bambini.

 

Karima p.o.v.

 
Ci sono certi pomeriggi che sono come certi pomeriggi a scuola: infiniti.
Sembra che sia passato tanto tempo, ma l’orologio ti dice che sono passati cinque minuti e che sarà ancora lunga. Lavorare con Jack e Zack di malumore non è il massimo, sapere di essere la causa del litigio non migliora le cose, se solo fossi riuscita a tenere chiusa la mia boccaccia!
Il problema è che non avendo sentimenti a volte non so fermarmi e dico cose a volte spiacevoli senza averne l’intenzione, magari qualcuno di normale sarebbe in grado di esprimere le stesse cose in modo più gentile e diplomatico. A scuola mi chiamavano la stronza di ghiaccio per questo e mi sa che anche in futuro continuerò a essere chiamata così, forse dovrei davvero dare le dimissioni da questo incarico e lasciare che qualcuno migliore di me se ne occupi.
Immersa in queste cupe riflessioni non mi accorgo che i ragazzi hanno finito fino a quando Rian non sventola una mano davanti ai miei occhi.
“Karima, per oggi abbiamo finito.”
“Oh, va bene.”
Inizio a mettere via la mia attrezzatura fino a che non è infilata in due grandi borse nere, prendo anche la giaccia e la borsa normale e poi esco, i ragazzi chiudono a chiave lo studio.
Arrivati nella hall consegnano la chiave alla signorina Preston e fuori alla casa discografica si salutano e ognuno va verso la propria macchina.
Io vado verso la mia, carico l’attrezzatura nel baule e poi mi metto al volante, tento di metterla in moto, ma non ci riesco.
“Merda!”
Esclamo dando una manata al volante.
Qualcuno picchietta contro il mio finestrino, io alzo lo sguardo e mi scontro con le iridi castane di Jack.
“Ehi, tutto bene?”
Mi chiede, io abbasso il finestrino.
“No, la mia macchina non vuole saperne di partire.”
“Posso dare un’occhiata?”
“Certo.”
Io esco e lui entra al mio posto e scoppia subito a ridere, io lo guardo senza capire.
“Karima, non parte perché sei a secco di benzina.
Ti do un passaggio a casa e domani ti vengo a prendere, così ci fermiamo a prendere una tanica di benzina e ti riempio il serbatoio, anzi lo farà Rian, lui ci sa fare più di me con i motori.”
Le mie guance diventano di un pallido rosa, sono rimasta senza benzina come un’idiota, che figura!
“Non ti disturbare. Prendo il pullman e vado a casa con quello, è colpa mia se sono rimasta a piedi.”
“Non ci penso nemmeno, prendi la tua attrezzatura e mettila nella mia macchina.”
“Jack, davvero non ce n’è bisogno!
Ti ho già rovinato abbastanza la giornata, per colpa mia hai litigato con Zack.”
“Non mi hai rovinato la giornata, non è colpa tua se Zack non sa stare zitto! Dai, prendi la tua roba.”
“Va bene.”
Scendo dalla macchina, tiro fuori le due pesanti borse e chiudo a chiava la vettura.
“Ti serve una mano?
Quella roba sembra pesante.”
“E lo è, ma nessun fotografo dà mai la propria attrezzatura a un profano, è il nostro tesssoro.”
“Piccola Gollum forzuta!”
Se la ride lui e poi apre la sua macchina, apre anche il baule e io deposito le preziose borse e poi lo chiudo.
“Bene.”
Entro in macchina, mi siedo sul sedile passeggeri e mi allaccio diligentemente la cintura, se l’incidente dei miei mi ha insegnato qualcosa è di stare attenta al codice della strada.
Lui sale e si allaccia a sua volta la cintura.
“Senti, io ti avviso, non sono molto bravo a guidare, perciò prega per noi.”
“Va bene.”
Mette in moto e usciamo dal parcheggio della casa discografica con una manovra spericolata, non è davvero bravo a guidare.
Gli detto le indicazioni e poi – una volta arrivati davanti al mio condominio – mi saluta, io entro nel cortile e poi salgo le scale fino all’ultimo piano sfinita dalla lunga giornata di lavoro e con il cervello ridotto in pappa.
Davanti alla porta di casa mia trovo la mia vicina, Marisol, con in mano qualcosa che sembra una teglia di cibo.
“Ciao, Karima.”
Mi saluta cordiale.
“Stasera ho fatto le empanadas e ho pensato che ne volessi un anche una anche tu, sarai stanca.
Volevo farti un regalo di benvenuto ieri sera, ma Ana mi ha detto che sei arrivata con il tuo novio e ho lasciato perdere.”
“Grazie mille, Marisol. Non ti dovevi disturbare.”
“Figurati. Cosa che vuoi che sia un’empanadas in più?”
“Grazie mille, davvero.”
“Prego. Tuo novio senza capelli?”
“Non è il mio novio, Ana non ti ha detto che questo ce li aveva?”
Lei sospira.
“No, Ana non parla molto con me ultimamente.
Dov’è andato il tuo amigo pelato?”
“Via per lavoro e ne sono felice.”
Lei alza un sopracciglio.
“A lui non piace Jack, il novio che ti ha detto Ana.”
“Perdona me.”
“No hay problema, Marisol.”
“Come mai sei tornata a vivere qui? Non eri da tuo tio?”
Io sospiro.
“Io e mio tio abbiamo litigato, così sono tornata qui.”
“No bueno. I famigliari non dovrebbero litigare, dovrebbero aiutarsi a vicenda.”
“Sì, dovrebbero. Ma a volte gli zii vanno fuori di testa ed è meglio lasciarli perdere per un po’.”
“Non gli piace il tuo novio?”
Questa donna ha la vista acuta! Mi dico, come ha fatto a capirlo?
“Tios sono sempre preoccupati per i chicos, fa parte di loro. Dagli un po’ di tempo e passerà, Tom non è cattivo.
Beh, buona cena.”
“Grazie mille, anche a te.”
Entro in casa mia, preparo velocemente la tavola e poi mangio l’empanadas fino a che è ancora calda. Inutile dire che è buonissima, Marisol è un’ottima cuoca e mi fa un po’ da madre da quando mi sono trasferita qui, si è sinceramente affezionata a me, forse perché non la tratto con la spocchia tipica di certi bianchi.
Mentre sto mangiando il mio cellulare vibra: è Jack.
“Come è andata la giornata?”
Mi chiede.
“Lunga e massacrante. Sai l’incidente con Zack ha un po’ rovinato tutto.”
Rispondo io.
“Ma come mai me lo chiedi? C’eri anche tu!”
Mando un secondo messaggio ridendo ed è una sensazione strana, almeno quanto il calore al cuore che sento.
“Hai ragione, ma volevo sentirti. Vuoi che ti tenga compagnia?”
Io rifletto un attimo.
“Sì, voglio andare con te in un posto che mi rilassa sempre.”
“Va bene, passo alle nove e mezza. Devo aspettarmi un bagno di mezzanotte?”
Io rido.
“No, stai tranquillo.”
Digito infine.
Mangio un po’ di gelato e vado a prepararmi, visto che tra poco dovrò uscire di nuovo, ho intenzione di portarlo nel mio posto segreto che poi non è tanto segreto.
Mi metto un paio di skinny neri, una maglia degli All Time Low che mi ha regalato l’infame traditore, una camicia a quadri rossa e neri e un paio di anfibi.
Prendo una giacca di pelle nera, visto che la sera fa un po’ freddo e la borsa, il mio cuore inizia a farsi sentire lento e distante di nuovo, come se avvertisse l’arrivo di Jack prima di me.
Alle nove e mezza vedo la macchina di Jack avvicinarsi ed esco chiudendo la porta a chiave, anche se mi sento abbastanza sicura. I miei amici ispanici mi hanno detto che non ci saranno furti in casa mia, mi hanno preso in simpatia e una parte poco simpatica del mio cervello mi dice che hanno detto alle gangs di latinos di starmi lontana.
Saluto Ana, affacciata alla finestra, ed entro nella macchina di Jack.
“Ciao, la tua amica mi scruta molto interessata.”
“È convinta che tu sia il mio ragazzo ed è curiosa, ha visto pochi ragazzi venire a casa mia.”
“Capito. Ti sei ripresa dalla giornata?”
“Oh, sì. Non ho dovuto nemmeno cucinare, Marisol, la madre di Ana…”
Lui alza un sopracciglio perplesso.
“La ragazza che ho salutato.”
“Ok, ci sono.”
“Mi ha preparato un empanadas e ho dovuto solo ficcarla in forno.”
“Che culo, magari la prossima volta mi trattengo da te e le faccio la faccia da cucciolo, così cucinerà anche per me. Mi piace la cucina messicana e cucinata da una messicana è il top.”
Io rido, portandomi una mano davanti alla bocca.
“Marisol è una donna di mezza età molto sgamata.”
“Ma il mio sguardo da cucciolo è infallibile.”
Mi guarda con due occhioni tristi da cane bastonato.
“Bella mossa, persino i sassi piangerebbero.”
Lui mi sorride complice.
“Ecco come convinco la band a seguirmi nelle mie stronzate o a perdonarmele.”
“Attento, quello che dici potrebbe essere utilizzato contro di te.”
“Mi fido di te.”
Io sorrido.
“Tu che hai combinato?”
Lui scoppia a ridere come un matto.
“Sono piombato a casa di Alex quando ero certo che ci fosse anche Lisa e ho chiesto che preparassero da mangiare anche per me. Alex mi avrebbe tirato volentieri una padella, sospetto che volesse una seratina romantica dall’inizio alla fine.”
“Sei terribile, ma non sai cucinare?”
“L’unica volta che ci ho provato ho mandato a fuoco la casa.”
“Dai, non prendermi per il culo.”
“Sono serio, io sono un danno con le gambe per i lavori domestici, Rian dice che dovrei assumere una balia, non una cameriera.”
Se lo dice Rian, allora…
“Capisco. Lo terrò a mente.”
“Come mai quel tono freddo all’improvviso?”
Io guardo un attimo fuori dal finestrino.
“Diciamo che Rian si è un po’ impicciato negli affari miei oggi a pranzo e non l’ho gradito, tutto qui.
Non mi va di parlarne, non adesso almeno.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Mi fa piacere vederti.”
Dice lui all’improvviso per la seconda volta nella serata.
“Anche a me e adesso segui le mie indicazioni o non arriveremo mai al mio posto segreto.”
Jack mette in moto e io lo guido verso il mare, parcheggiamo vicino al lungomare, poi ne percorriamo un breve tratto mano nella mano. Il mio cuore accelera, perché lo fa?
Vorrei chiederglielo, ma non so se sia una buona idea, forse è meglio lasciare andare le cose come vanno e affidarsi al flusso, ignorando la crescente consapevolezza che ho un corpo.
E un’anima o almeno qualcosa di simile.
Sento come se qualcosa di mio fosse prigioniero in Jack e la cosa mi destabilizza un po’.
In ogni caso, mettendo da parte le paranoie, arriviamo davanti al grande parco dei divertimenti che c’è in fondo al lungomare di San Diego e io glielo indico.
“Questo è il mio posto segreto, più precisamente la ruota panoramica. Quando mi sento strana o diversa dal solito vengo qui e mi faccio qualche giro, vedere la baia e le luci mi calma sempre.
Vuoi venire con me?”
“Solo se mi compri dello zucchero filato, le ruote panoramiche mi hanno sempre fatto un po’di ansia.”
Io ridacchio e mi dirigo verso l’uomo che vende lo zucchero filato che mi sorride e poi mi saluta, sono una delle poche visitatrici che vengono al parco anche d’inverno.
“Due zuccheri filati, per piacere.”
Lui me li porge e io li pago, poi no lo do a Jack e uno lo tengo per me.
“Pronto per la ruota panoramica?”
Lui annuisce e insieme ci dirigiamo verso l’attrazione, il giostraio mi sorride anche lui.
“Il solito, Karima?”
“Sì, ma per due.”
Lui annuisce e ci porge i biglietti, poi ci fa entrare nel cubicolo e lo chiude, raccomandandoci di non alzarci in piedi. Ho la sensazione che questo abbia incollato perennemente il culo di Jack al seggiolino.
“Tranquillo, non cade.”
“Lo spero.”
Mi siedo accanto a lui e gli prendo la mano, lui mi sorride debolmente mentre la ruota inizia a muoversi e poi addenta il suo zucchero filato.
Quando siamo a una certa altezza gli mostro il finestrino e lui segue il mio dito, accorgendosi delle stelle, delle luci che si riflettono sulla baia, del porto e delle luci stesse della città.
“Wow!”
“Ti toglie il fiato, vero?
Ti fa sentire piccolo e fa scivolare via ogni preoccupazione, mette le cose in un’altra prospettiva.”
“Non ci avevo mai pensato, ma hai ragione. Sembra di galleggiare senza peso.”
Io annuisco.
All’improvviso l’atmosfera cambia, la sua mano si sposta dalla mia e si appoggia sulla mia guancia, la accarezza per qualche secondo e poi mi attira verso di lui.
Ci baciamo piano, come due adolescenti alla prima cotta, il che forse è vero.
Ci baciamo e la ruota si ferma al suo apice.
Il mio posto segreto è diventato il nostro posto segreto e condividendolo mi sembra di aver fatto la cosa migliore del mondo.
Adesso una parte di noi vivrà per sempre qui.
Ci stacchiamo e ci sorridiamo a vicenda.
“Penso che questo sia meglio dello zucchero filato per farmi passare la paura delle ruote panoramiche.”
“Bene.”
Gliene rubo un pezzo.
“Ehi!”
Io gli faccio una linguaccia.
“Sei fortunata che siamo qui o altrimenti me l’avresti pagata con un po’ di sano solletico.”
“No, pietà!
Ho un altro modo per pagare.”
“Sarebbe?”
Raccolgo tutto il mio coraggio e lo bacio di nuovo, sorprendendolo, questa volta il bacio di fa più passionale, siamo due persona affamate l’una dell’altro.
Quando ci stacchiamo la cabina arriva a terra ed è pronta per il secondo giro, questa volta guardiamo il panorama mano nella mano, godendoci il silenzio complice che si è creato.
Alla fine del secondo giro la porta della cabina viene aperta e noi usciamo e gironzoliamo nel parco divertimenti, alla bancarella del tiro a segno vedo un piccolo scheletro di peluches e mi attacco al braccio di Jack.
“Me lo vinci?”
“Come funziona?”
“Devi centrare il barattolo con un colpo di fucile.”
“Ok.”
Jack paga due biglietti, uno per tentativo, il primo lo manca miseramente, il secondo no. Becca quello giusto per farmi vincere lo scheletrino.
“Bravo, Jack!”
Urlo abbracciandolo.
“Sono un killer nato, baby.”
Il proprietario della bancarella ride e gli consegna il premio, io lo metto a sedere sulle mie spalle come se fosse un bambino.
“Grazie, killer.”
Continuiamo a camminare e raggiungiamo due panchine, io mi accendo una sigaretta.
“Fumare fa male.”
“Vivere anche, ma il suicidio non è né consigliato né accettato.”
“Perché fumi?”
Io scuoto le spalle.
“Così, perché mi va. Non ho nessuna ragione in particolare, perché tu bevi?”
Questa volta è lui a scuotere le spalle.
“Per nessuna ragione particolare, mi piace bere, a volte mi fa sentire meno solo. Sono conosciuto come il cazzone che non ha bisogno di una ragazza fissa e che vive di feste e stronzate, ma sto crescendo. Alex tra poco si sposerà, Rian è fidanzato da una vita con Cass e Zack è più posato di me, ogni tanto anche io vorrei avere qualcuno che mi accoglie quando arrivo a casa o mi manda un messaggio solo per dirmi buongiorno.”
Io gli prendo una mano tra le mie e gliela accarezzo.
“Scusa, era fuori luogo.”
“No, non lo era. Pensi che io sia così diversa da te?
Sono sempre stata la stronza acida della situazione, quella di cui ti stanchi di tentare di abbattere i muri di cui si circonda, persino Adam a un certo punto ha dovuto arrendersi… E anche io ogni tanto vorrei un ragazzo che mi accolga quando arrivo a casa o che mi mandi un sms solo per augurarmi buongiorno.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Come hai scoperto questo posto?”
“Come la maggioranza dei bambini di San Diego, mi ci hanno portato i miei, ma poi tutti i bambini  crescono e ci vengono sempre meno, i ragazzi per impressionare le ragazze, le ragazze per farsi impressionare. La magia che aveva questo posto per i bambini sparisce con l’età, ma a me non è successo. Io continuo a venire per trovare un po’ di pace, per vedere una bambina che corre tra le giostre con un’apparenza di felicità sul volto.”
“Capisco.”
“Il fatto è che ci sono poche persone che mi credono quando dico che non ho sentimenti, pensano che sia solo una fissazione, ma non lo è.
No, non lo è.”
Mi alzo in piedi e guardo la luna alta nel cielo.
“È ora di andare a casa, domani dobbiamo andare a lavorare.”
“Karima…”
“Sì, Jack?”
“Perché scappi quando si tratta di parlare con me di questo problema?”
“Perché a volte temiamo il giudizio di certe persone, quelle a cui teniamo di più di solito.”
“Quindi tu tieni a me?”
“È ora di andare a casa.”
Ci eravamo promessi di vedere come sarebbe andata, non mi sembra il caso di accelerare le cose ora, potrebbe decidere di scappare.
“Karima…”
“Se ti dicessi la verità vorresti scappare, un passo alla volta, Jack.”
Lui annuisce e si alza anche lui dalla panchina, usciamo dal luna-park salutando i vari proprietari delle bancarelle e poi saliamo sulla sua macchina.
Durante il percorso verso casa non parliamo molto, ma il silenzio non è imbarazzato, è piacevole, è quello tra due vecchi amici.
Lui si ferma davanti a casa mia, io scendo dalla macchina.
“Grazie della bella serata, Jack.”
“Di nulla, immagino sia troppo presto per chiederti di salire.”
“Esatto.”
Gli do un rapido bacio.
“Buonanotte.”
Sussurro a pochi centimetri dalle sue labbra, poi me ne vado ed entro nel cortile del condominio sorridendo come un’idiota.
Questa è stata una delle serate più belle della mia vita nella sua semplicità.

 

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Capitolo 12
*** 11)Il segreto dei dolci giapponesi ***


11)Il segreto dei  dolci  giapponesi

 
Karima p.o.v.

 
Questa mattina mi alzo di quello che potrebbe essere definito buonumore.
Sento un certo calore in fondo al cuore che mi fa sorridere, mi stiracchio come un gatto e afferro il mio smartphone e digito un rapido buongiorno a Jack, poi mi faccio una doccia.
Al mio ritorno un nuovo messaggio è arrivato: grazie e buongiorno anche a te, dice.
Anche questo mi fa sorridere, mi vesto e poi faccio colazione e aspetto che Jack mi venga a prendere.
“Buongiorno, splendore!”
Esclama quando mi vede.
“Dai, non prendermi in giro. Sono vestita come un barbone e stamattina i miei capelli non volevano essere pettinati.”
Lui alza gli occhi al cielo.

“Donne! Se non fai loro un complimento sei un bruto che non nota quando cambiano anche solo un vestito, se fai loro un complimento ti dicono che sono brutte, chi le capisce?
Ma non potete pubblicare un manuale con le istruzioni per l’uso su come trattarvi?”
Mi dice ridendo mentre entro in macchina.
“Oh, anche voi potreste farlo. A volte siete strani e mandate segnali confusi.”
“La vecchia storia che le donne vengono da Venere e gli uomini da Marte.”
“Immagino di sì.”
Lui mette in moto e si mette a canticchiare una canzone dei blnk-182.

“Qual è il programma?”
“Ci fermiamo alla stazione di benzina più vicina alla casa discografica, compriamo una tanica e poi Super Rian ci aiuterà a trasferire la benza dalla tanica al serbatoio della tua macchina.”
“Roger, hai portato la tanica?”
“Sì, è nel baule.
Grazie del messaggio.”
“Figurati è stato un piacere.”
Rimaniamo di nuovo in silenzio fino a quando arriviamo al distributore, Jack scende dalla macchina, apre il baule e tira fuori una tanica che si fa riempire e che poi rimette via.
“Fatto, adesso santo Rian da Baltimora ti aiuterà.”
Mette in moto e guida fino alla casa discografica, il batterista ci aspetta nel parcheggio a braccia conserte sorridendo.
“Scusa, Rian. Scusa se ti faccio perdere tempo.”
Dico costernata, lui sorride.
“Non ti devi preoccupare perché, sicuro come l’inferno, Alex sarà in ritardo. A volte credo che quell’uomo viva in una zona in cui il fuso orario devia da quello del resto della città.”
Lui e Jack trafficano attorno alla mia macchina per un po’, poi il batterista mi guarda sorridendo.
“È tutto a posto, hai benzina sufficiente per andare a casa, ma ti consiglierei di fermarti a un distributore domani mattina.”
“Ok, grazie mille, Rian.
Dopo ti offro un caffè.”
“Ottimo! Allora vedrò di aiutarti più spesso con la macchina.”
Ridiamo insieme, questa giornata sta davvero iniziando bene.
Entriamo nella casa discografica, salutiamo la signorina Preston e ci dirigiamo verso la saletta delle macchinette e lì ricevo la prima sorpresa sgradita: Zack sta bevendo un caffè.
Non appena ci vede si irrigidisce e si allontana.
“Ma è ancora arrabbiato per ieri?”
Chiedo a nessuno in particolare.
“Sì, penso di sì.
Forse se Jack non fosse stato così aggressivo…”
“Forse se lui non avesse iniziato a sputare veleno come una cheerleader stronza con le sue amichette…”
“Ragazzi, basta! Adesso vado e risolvo la questione.”
Mi frugo nella borsa, estraggo il portafoglio e do i soldi necessari a Jack e Rian.
“Prendete un caffè o quello che volete come ringraziamento per avermi aiutata con la macchina.”
Anche se allontanarmi da Jack mi costa uno sforzo quasi fisico lo faccio e vado verso la sala di registrazione. Lui è lì dentro e sta bevendo il suo caffè da solo.
“Senti, risolviamo questa questione una volta per tutte. Ieri sera ho esagerato, non pensavo di offenderti in questo modo, ma io so poco dei sentimenti.
So però che dovremo lavorare insieme per un lungo periodo di tempo e non possiamo farlo così, ci mettiamo una pietra sopra?”
Allungo una mano e lui me la stringe.
“Karima, ti andrebbe di uscire con me?”
“Io… io non posso, Zack. Sto già uscendo con Jack.”
Balbetto sorpresa, lui ringhia.
“Un’altra caduta nella rete di quell’idiota, pensavo più intelligente della media, ma mi sbagliavo.
Ti pentirai di avere scelto lui quando ti metterà più corna di un alce!”
Esclama, puntandomi contro un dito e poi uscendo come una furia dallo studio, io mi schiaffo una mano sulla faccia: invece di risolvere la situazione l’ho peggiorata.
Torno alla saletta dove ci sono Rian e Jack e prendo una cioccolata dalla macchinetta.
“Cioccolata? Hai un lato tenero, allora!
Pensavo fossi una di quelle ragazze che bevono caffè a litri.”
“Sono quel tipo di ragazza, ma quando ho appena ricevuto una batosta ricorro ai poteri curativi del cioccolato.”
“Che cosa è successo in quella stanza?”
Io guardo Jack per un attimo.
“Niente. Niente di importante.”
Il chitarrista però non si fa ingannare.
“Karima, non mi piace quando qualcuno mi mente. Zack è uscito con un’espressione omicida e ho avuto l’impressione che se avesse potuto mi avrebbe fatto male, molto male, poi esci tu e ti prendi una cioccolata con un’aria più depressa del solito.
Sono un idiota, ma non ci vuole un genio per rendersi conto che è successo qualcosa in quella stanza e voglio sapere cosa.”
“Jack, forse è meglio che tu rispetti il silenzio di Karima.”
Prova a blandirlo il batterista.
“No, voglio la verità.”
Si impunta lui, io guardo Rian disperata e lui mi fa cenno di sì: che la bomba sia sganciata!
“Beh, mi sono scusata per quello che gli ho detto ieri e lui ha accettato le scuse.”
“Poi?”
“Jack…”
“Karima.”
“Ok, mi ha chiesto di uscire con lui e io ho rifiutato, perché io e te siamo usciti insieme ieri sera.”
Proseguo rossa come un peperone.
“Lui non l’ha presa bene e mi ha detto che mi pentirò di non avere scelto lui quando tu mi metterai più corna di un alce.”
Jack ringhia qualcosa e fa per muoversi, forse vuole raggiungere il bassista e farci a botte, ma Rian lo ferma e per fortuna è troppo ben piantato per essere spostato.
“Fare a botte non migliorerà la situazione, anzi la peggiorerà. Dagli solo un po’ di tempo, okay?
Okay, Jack?”
“Okay!”
Lui si allontana furioso.
“Tanto robusto come sei non riuscirei a spostarti se non con l’aiuto di qualcosa e non posso ferire il batterista della band il giorno delle prove!”
Se ne va nello studio di registrazione, io e Rian rimaniamo da soli.
“Forse dovrei dare le dimissioni e far assegnare questo lavoro a qualcun altro.”
“Questo non cambierebbe le cose.”
Mi risponde il batterista e purtroppo ha ragione.

 
Quando Alex arriva si trova davanti a un chitarrista arrabbiato, un batterista silenzioso e una fotografa che fa finta di montare la sua attrezzatura quando è già perfettamente a posto.
Non gli ci vuole molto per capire che sia successo qualcosa, così appoggia le mani ei fianchi e corruga le sopracciglia.
“Cosa diavolo è successo?”
Nessuno gli risponde.
“Siete diventati sordi oltre che muti? Cosa cazzo è successo?”
“Jack e Zack hanno litigato.”
Risponde finalmente Rian.
“Cosa diavolo è successo ancora tra voi due?”
“Non sono affari tuoi, Gaskarth!”
Bercia Jack.
“È anche la mia band, quindi sono anche affari miei!”
“Beh, non ho intenzione di dirtelo!”
Si alza di nuovo dalla sedia e tenta di uscire di nuovo dalla stanza, ma viene bloccato dai suoi due amici.
“Manca già il bassista, non ho intenzione di far scappare anche il chitarrista!
Dobbiamo scrivere oggi, cazzo!”
“E come facciamo? Ci manca il basso l’hai detto anche tu.”
“Ci facciamo prestare uno tecnici che sappia suonare il basso e che segua gli appunti di Zack, li ha lasciati qui.”
Indica una pila di fogli, io prendo fiato.
“Io so suonare il basso.”
Dico infine, mi guardano tutti.
“Karima, grazie della proposta, ma ci serve una professionista.”
“Lo sono, ho suonato in un paio di band e ho avuto un maestro d’eccezione: Tom DeLonge.”
“Dai, non scherzare.”
“Non scherza, viveva con Tom DeLonge, l’ho visto io.”
Alex guarda Jack a occhi sgranati.
“Come mai Tom DeLonge ti ha dato lezioni di basso?
E come mai ti vivevi a casa sua?
Chi sei tu?”
“Sono sua nipote, mio padre e la moglie di Tom erano fratelli.”
Lui mi guarda un attimo.
“Tu fai Jenkins di cognome, come Jennifer Jenkins, la moglie di Tom….
Oh, mio Dio! Tu non stai scherzando!”
“No, non ho l’abitudine di scherzare.”
“Allora, certo che puoi sostituire Zack. Adesso chiamo per farti avere un basso come quello di Zack, non ti fa niente, vero?”
Io scuoto la testa, lui prende in mano il cordless e compone un numero, parla brevemente con qualcuno e poco dopo la porta si apre. Un tecnico consegna il basso di scorta di Zack e tutto il necessario, insieme lo sistemiamo e poi io lo accordo.
“È a posto, ragazzi.”
Il tecnico annuisce e se ne va, io prendo i fogli di Zack e comincio a provare per imparare le sue parti, gli altri si mettono dall’altra parte della stanza e discutono delle parte di batteria e dei testi.
Se Zack mi vedesse ora mi ucciderebbe probabilmente, pensando che gli sto rubando il lavoro.
Mi piacciono questi ragazzi, ma mi sto pentendo di avere accettato questo lavoro, sto causando loro un sacco di guai e non se lo meritano.
Dopo averle imparate suono con i ragazzi e Alex scrive le correzioni che a suo parere andrebbero apportate sui fogli di Zack.
Lavoriamo così fino alla pausa pranzo, poi decidiamo tutti di andare a mangiare una pizza, chiudiamo lo studio e prendiamo le chiavi.
Alex sceglie un posto non tanto lontano dalla casa discografica, ma che fa una buona pizza, il pranzo è tranquillo, chiacchieriamo di argomento leggeri, Jack ogni tanto mi stringe la mano.
L’uragano deve arrivare dopo pranzo nella forma di uno Zack Merrick molto arrabbiato che stringe in mano i suoi fogli.
“Cosa significano queste annotazioni, Alex?”
“Che abbiamo provato e che secondo me dovresti apportare i cambiamenti che ti ho scritto.”
“Chi ha suonato al mio posto?”
Io guardo brevemente Alex per fargli capire che non deve dire il mio nome o rischia la terza guerra mondiale, ma il cantante non è molto sveglio e non recepisce il mio messaggio.
“Karima, è la nipote di Tom DeLonge, le ha insegnato lui a suonarlo.”
Esattamente le parole che non avrebbe dovuto dire, il bassista adesso è bordeaux dalla rabbia.
“Fantastico! Sei la troia raccomandata di Elmakias, la nipote di DeLonge che non vede l’ora di mostrare la sua bravura e la ragazza di Jack.
Cos’altro vuoi?
Il mio posto nella band? Prenditelo, tanto sei di sicuro migliore di me.”
“Zack, io non voglio il tuo posto.
È stato solo un caso, giuro!”
“Non ti credo, tu sei come un cancro che si è insinuato nella nostra band per distruggerla!”
Lui fa per darmi una sberla, ma Jack lo ferma.
“Toccala e te lo spezzo questo polso.”
“Non ne sei capace, hai la forza di un mollusco.”
“Mettimi alla prova!”
Alex si mette in mezzo.
“Ragazzi, non è il caso di litigare!
Zack non c’era, Karima sa suonare il basso abbastanza bene e, invece di chiedere un tecnico, abbiamo usato lei. Nessuno vuole buttarti fuori dalla band.
Jack, molla il suo polso.”
“Solo se non picchierà Karima.”
“Zack, non picchiare Karima.”
“Ho qualche altra scelta?
Siete in tre pronti a difenderla!”
Jack lascia andare il polso del bassista che gira sui tacchi e se ne va sbattendo la porta per la seconda volta nella giornata.
Non ce la faccio più, è stata tutta colpa mia, sono un disastro che porta solo guai!
Prendo la mia borsa ed esco anche io di corsa dalla stanza e mi dirigo verso il parcheggio, entro in macchina e scoppio a piangere.
Avere un’anima significa anche stare così male a quanto pare, ma la rivoglio lo stesso, sono stanca di questa apatia, di farmi vivere dalla vita e non di viverla, di essere solo un passeggero su questo strano autobus.
Sto per metterla in moto quando qualcuno apre la portiera e si siede accanto a me sul sedile passeggiero, io guardo chi sia e mi trovo davanti Jack.
“Dovresti essere a provare con gli altri.”
Balbetto io sorpresa.
“Non possiamo provare, ci manca il bassista e Alex ha mal di testa.
E poi volevo essere sicuro che tu non facessi sciocchezze come correre dal capo a rassegnare le dimissioni.”
“Sarebbe una cosa saggia da fare vi ho portato solo guai, per colpa mia la vostra band si è divisa.”
“A Zack passerà, tra un giorno sarà tutto a posto.”
“Ne dubito.”
“In ogni caso non ho intenzione di lasciarti andare via, a costo di legarti al tavolo dello studio.”
“Ma perché tutti dubitano di te? Di noi?
Non possiamo essere l’eccezione che conferma la regola?
E poi non stiamo ancora insieme e già profetizzano la catastrofe!”
“Lasciali perdere, per favore.
Viviamo secondo per secondo. Se dovesse andare male almeno non avremo rimpianti.”
“Se lo dici tu, io ho una paura folle.”
“Anche io, ma non possiamo farci condizionare, siamo in ballo e dobbiamo ballare. Io sono attratto da te, tu da me qualcosa deve succedere.”
“Forse hai ragione. No, sicuramente hai ragione, ma la reazione di Zack mi ha scosso, anche se dovevo aspettarmela.”
Lui aggrotta le sopracciglia.
“Come mai?”
“Rian mi aveva detto che secondo lui Zack si stava prendendo una cotta per me, ma non l’ho ascoltato.”
“Come mai?”
“Mi sembrava un’intromissione senza senso nella mia vita e poi cosa avrei dovuto fare?
Dire di sì a Zack e illudere tutti e due?”
“Direi di no.”
“Dovrei rassegnare le dimissioni.”
“Abbiamo già parlato di questa cosa e ti ho detto di non farlo.”
“Lo so, ma…”
“Niente ma! Dove andiamo piuttosto?”
Io rimango in silenzio.
“Non lo so. Io andrei ancora alle giostre, ma sospetto che tu non voglia andarci di nuovo.”
“Già. Stavo pensando che c’è un posto che c’è un posto in cui ti piacerebbe andare: si chiama Sakura. Servono the e dolci tradizionali giapponesi.
Ogni tanto io e Alex ci andiamo e so che lui ci va anche con Lisa.”
“Va bene, non ho idee migliori.
Dettami le indicazioni."
Lui esegue ubbidiente e ci ritroviamo in un quartiere poco fuori dal centro, pieno di casette all’americana. Il locale sembra un vecchio pub inglese, ma l’impressione svanisce non appena si entra: ci sono tatami e paraventi orientali che separano ogni tavolo.
Una cameriera ci viene incontro.
“Buongiorno, signori.”
“Vorremmo un tavolo per due.”
“Certo, seguitemi.”
La seguiamo tra i vari tavolini e ci sediamo a uno, immediatamente la donna tira un paravento di carta rossa con disegni dorati per consentirci un po’ di privacy.
“Cosa vi porto?”
“Due the dolci e un po’ di pasticceria mista.”
Risponde Jack.
“Va bene.”
Lei se ne va e lui mi guarda.
“Ti piace il the, vero?”
“Sì.”
Rido all’improvviso.
“È tipico di te fare le cose e poi chiedere il permesso, giusto?”
“Abbastanza, ma i dolci sono buoni te lo giuro.”
Poco dopo arriva la cameriera con un vassoio su cui ci sono: due tazze, una teiera e diversi dolcetti dall’aria esotica.

“Vi ho portato dell’anmitsu, daifuku, dango, dorayaki, imagawayaki, kuzumochi, manju, mochi, taiyaki. Così la tua amica può farsi un’idea dei dolci tradizionali giapponesi e poi mi sembra triste, un po’ di dolci le solleveranno il morale.
Buon appetito.”
La ragazza se ne va.
“La conosci bene.”
“Te l’ho detto, vengo spesso.”
Iniziamo a mangiare e anche se ogni tanto i gusti che sento mi sembrano strani, tipo la pasta di fagioli azuki, sono davvero buoni.
“Buoni!”
“Sono felice che ti piacciano.”
“Un giorno devi provare il knafeh, mamma lo preparava a ogni mio compleanno.”
“Cos’è?”
“Un dolce tipico palestinese, di Nablus per la precisione.”
“Capisco. Sì, mi piacerebbe provarlo.”
Io sorrido sentendo un calore invadermi all’altezza del cuore, non ho mai condiviso con nessuno questo aspetto così intimo della mia esistenza, la mia parte palestinese.
“Vedo che il tuo umore è migliorato, non vuoi più licenziarti, vero?”
“No, non voglio più.”
Lui mi sorride.
“Sono felice che i dolci giapponesi ti abbiano fatto tornare il sorriso.”
Non sono stati loro, ma la semplice presenza che di Jack che si preoccupava per me, ma è ancora un po’presto per dirglielo.
Per ora rimarrà il mio piccolo segreto.

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Capitolo 13
*** 12)La castigamatti. ***


12)La castigamatti.

 
Karima p.o.v.

 
Prima o poi bisogna sempre tornare alla realtà, anche dopo i piccoli momenti più belli.
Stare in questa pasticceria con Jack è stato molto bello, ma ora è arrivato il momento di andarsene e di tornare nell’arena ad affrontare i leoni: ossia gli All Time Low.
Io e Jack torniamo alla Hopeless Record, lui non dice nulla, si limita a guardare fuori dal finestrino con aria assente.
“Karima, sai una cosa?”
“No, dimmela.”
“Sei la prima ragazza che porto in quella pasticceria.”
“Ne sono onorata, se continuiamo così finirai per presentarmi anche a tua madre.”
Lui ride.
“Non correre troppo, tigre.”
Rido anche io e l’imbarazzo sembra essersene andato.
Parcheggio la macchina e poi andiamo dritti allo studio di registrazione, ci sono solo Rian e Alex e il cantante sembra a un passo dallo sbattere la testa al muro.
“Siamo tornati.”
“Sia ringraziato il cielo, ricordatemi di uccidere Zack domani.”
Borbotta Lex.
“Non ne vale la pena, amico. Rischieresti la pena di morte per niente.”
“Niente? Per colpa dei suoi sbalzi di umore da donna mestruata le registrazioni stanno andando da schifo, senza offesa, eh Karima!”
“Non c’è problema. C’è qualcosa che posso fare per aiutarvi?”
“Sostituisci ancora Zack e se domani avrà qualcosa da ridire lo so io dove glielo ficco quel basso.”
“Va bene.”
Prendo in mano il basso e ricominciamo a lavorare, il pomeriggio passa velocemente e direi che è proficuo vista la quantità esorbitante di note che Alex lascia a Zack, sospetto che si stia vendicando per averlo mollato nel bel mezzo delle registrazioni.
Finite le registrazioni Alex lancia un’occhiata sbilenca a Jack.
“Stasera c’è Lisa da me, vorremmo cercare di avere quello che tu hai interrotto ieri sera: una cenetta romantica.
Fatti vedere da me e ti sparo anche se sei il mio miglior amico.”
Jack alza le mani.
“Okay, Alex. Non c’è bisogno di essere così violenti.”
“Era giusto per essere chiari.”
Usciamo tutti dallo studio ridendo, ci salutiamo e mi accorgo che Jack mi segue.
“Cosa c’è?”
“Voglio provare il mio sguardo da cucciolo e vincere un’empanadas.”
“Jack, è la mia vicina di casa. Non voglio rovinare i miei rapporti con lei.”
“Suvvia, cosa vuoi che sia!”
“C’è un modo per farti desistere?”
“No.”
“Lo sospettavo.”
Entriamo tutti e due nella mia macchina, io metto in moto e guido verso casa mia.
“Devo risolvere questa faccenda di Zack o non riuscirete a registrare.”
“Io vorrei pestarlo.”
“Questo non cambierebbe le cose, anzi le peggiorerebbe ed è l’ultima cosa che voglio.”
“Va bene. Anche perché se ci provasse sarei io a uscirne malconio, l’unico che è deboluccio come me è Alex e anche lui ha un dannato sguardo da cucciolo.
Se provi a minacciarlo te lo fa e ti sembra di far male a un neonato.”
Io rido.
“Tu e Alex siete proprio amici.”
“È come se fosse mio fratello, tanti fraintendono il nostro rapporto pensando che ci sia qualcosa di più, ma non ti scopi un fratello.”
“Lo spererei o avremmo un problema.
Un po’ ti invidio, non ho mai avuto un vero amico.”
“Adesso hai noi, non ti devi preoccupare. Una volta che entri nella famiglia degli All Time Low è come con la mafia, non ne esci più.”
Io sorrido e parcheggio sotto casa mia.
“Empanadas, arrivo.”
Io sospiro e saliamo insieme fino all’appartamento di Marisol, lui suona il campanello, lei viene ad aprire la porta e io mi metto le mani davanti alla faccia.
“Buonasera, sono Jack. Sono un amico di Karima e lei mi ha detto che lei fa delle empanadas che sono la fine del mondo. Visto che io sono una frana a cucinare e Karima è stanca non è che potremmo provarle?”
Lui le rivolge lo sguardo da cucciolo che mi ha fatto vedere.
“Marisol, scusa, scusa, scusa.”
Balbetto io, lei ride.
Io tolgo le mani dalla faccia e mi accorgo che ha un sorriso che le va da un orecchio all’altro.
“Tuo novio è furbo oltre che bello. Mia madre mi ha dato un paio di empanadas, nessuno ha voglia di mangiarle, potete prenderle voi. Entrate.”
Lei si fa da parte ed entriamo nel suo appartamento con le pareti gialli e gli arredi di colori vivaci, Ana mi saluta e guarda Jack con sguardo calcolatore, domani mi toccherà subire un suo interrogatorio. Arrivati nella cucina di Marisol, lei mette mi dà una teglia con dentro due empanadas che sembrano deliziose.
“Scaldale nel forno a microonde e saranno perfette.”
“Va bene, grazie e scusa ancora per il disturbo.”
“Nessun disturbo. Adesso andate, sarete stanchi tutti e due.”
“Effettivamente.”
Lei ci riaccompagna, noi salutiamo Ana e poi usciamo.
“Jack, sei qualcosa! L’hai convinta al primo colpo!”
“Mi ci sono voluti anni per perfezionare l’arte dello sguardo da cucciolo, adesso raccolgo i frutti.”
“Povere le persone che hanno fatto da cavia!”
Saliamo al mio appartamento, Jack si mette comodo sul divano, io metto le empanadas nel microonde e preparo la tavola.
“Saresti un marito terribile che farebbe fare tutto alla moglie.”
“Sono abbastanza ricco da permettermi una domestica quindi non credo che mia moglie faticherebbe troppo.”
“Non farti sentire dalle femministe.”
“Sto bene attento a non farlo. Il mondo di oggi è così complicato, le ragazze sono persino più complicate che in passato, dici una mezza battuta e mi mangiano la testa.”
“Va bene, va bene. Adesso alza il culo e aiutami a preparare la tavola, così possiamo mangiare poi.”
Lui annuisce, non appena abbiamo finito di prepararla il forno ci annuncia che il cibo è pronto.
Io servo le empanadas e iniziamo a mangiarle.
“Buonissime, sono buonissime.
La madre della tua vicina è una dea della cucina, devo venire più spesso da lei.”
Io gli tiro una pedata.
“Esci con me per la cucina o perché ti piaccio?”
“Per tutte e due le cose in questo momento.”
Io alzo gli occhi al cielo, questo ragazzo è impossibile!
“Jack!”
“Cosa ho detto di male?
Sono un ragazzo in crescita, devo mangiare!”
“Hai ventotto anni e sei una pertica, quanto vuoi crescere ancora?”
Lui ride.
“Con te non la vinco quasi mai, mi piace. Fossi stata un’altra ragazza ti saresti riempita la dispensa di empanadas pur di tenermi legato a te.”
“Non penso che un’empanadas, anche la migliore del mondo, possa trattenerti se vuoi andare.”
“Hai ragione, ma c’è qualcosa in sospeso tra di noi che riguarda il cibo.”
“Cosa?”
“Il knafeh.”
“Oh. Giusto, ti avevo detto che te l’avrei fatto assaggiare. Cosa ne dici di venire da me domenica?
Ti preparo del the magari.”
“Così fa vecchia signora inglese. Devo mettermi il tailleur giallo canarino e il cappellino abbinato?”
“Cristo, no. Vieni vestito normale.”
Jack ride di nuovo, poi il suo sguardo si fissa su qualcosa dietro di me.
“Cosa c’è?”
“Stavo guardando quella foto, l’unica che c’è.”
Io mi volto e sospiro: è una foto che ritrae me, mamma e papà quando avevo quindici anni.
Mio padre è un uomo biondo con una leggera barba dall’aria bonaria, mia madre sorride felice con il suo hijab preferito, quello verde acido, e poi ci sono io con i miei capelli castani, il mio piercing al naso e la mia aria assente.
Mi alzo e la vado a prendere così Jack può vederla bene, lui la osserva a lungo.
“Sono i tuoi genitori, vero?”
“Sì.”
Indico mio padre.
“Lui è Daniel, mio padre. Era un medico brillante che aveva deciso di mettere la sua bravura al servizio degli ultimi della terra. Sapeva parecchi dialetti arabi e ha lavorato nei campi profughi palestinesi e afgani. Aveva un grande cuore e una mente razionale, pensava che la mia assenza di emozioni fosse un fatto fisico o psicologico.”
Poi indico mia madre.
“Lei invece è Aida. Era nata a Gaza, ma la sua famiglia ha finito per trasferirsi a Nablus, in uno dei tanti campi profughi che ci sono attorno alla città. Lì ha studiato da infermiera, grazie alla sua professione ha conosciuto mio padre. Si sono sposati contro il volere della sua famiglia e secondo lei il mio essere così è una punizione di Allah per aver mancato loro di rispetto. Era molto dolce, ma anche un po’superstiziosa.”
“Il verde era il suo colore preferito, vero?
È per questo che ti sei tinta i capelli di quel colore?”
“Sì, come fai a saperlo?”
Lui scuote le spalle.
“Intuizione. Quando sono con te mi capita di avere delle intuizione sul tuo passato, non so perché.”
Io non dico nulla, servo il dolce e il caffè.
Io e Jack ci fumiamo una sigaretta insieme e poi lui se ne va a casa sua, non prima di avermi dato il bacio della buonanotte.
Dopotutto questa giornata non è stata un totale fallimento.

 
La mattina dopo mi sveglio senza alcuna energia né voglia di lavorare, mi sembra di non aver dormito per niente, anche se sono andata a letto alle nove, subito dopo che Jack se n’è andato.
Evento questo che non si verificava da quando andavo alle elementari, sono sempre stata un animaletto notturno.
In ogni caso la sveglia suona e io la spengo con una manata poco caritatevole, sbuffando scalcio via le coperte e vado a farmi una doccia. Magari mi ripiglio ed evito di arrivare al lavoro con un’espressione da zombie.
Ma chi ha voglia di andare al lavoro?
Zack mi odia, Rian sarà seccato perché non gli ho dato retta, non ho idea di che umore potrebbe essere Alex e non mi va di pensarci vist che ieri sembrava uno psicopatico pronto a far fuori chiunque lo intralciasse, l’unico felice di vedermi sarà probabilmente Jack, ma è perché le nostre anime sono in qualche modo connesse.
Che schifo!
Fatta la doccia, mi preparo la colazione, mi vesto, prendo l’attrezzatura, la giacca e la borsa e chiudo a chiave l’appartamento. Saluto Ana e Marisol che mi riempiono di complimenti per il mio nuovo ragazzo e salgo in macchina, oggi il sole non splende in California, novembre si avvicina e il tempo ce lo ricorda.
Halloween sarà tra un paio di settimane, è la mia festa preferita e quest’anno non la sento affatto, niente magia nelle zucche intagliate, nei travestimenti o altro, solo freddo.
Arrivo alla casa discografica e parcheggio, entro e trovo la signorina Preston nell’atrio che mi rivolge uno sguardo imperscrutabile.
“Buongiorno?”
Azzardo.
“Buongiorno a te, si può sapere cosa è successo ieri?
Zack Merrick è uscito due volte come se avesse il diavolo alla calcagna e la seconda volta sei uscita anche tu seguita da Jack Barakat. Siamo già alla fase del triangolo?”
“Non esattamente, a me piace Jack e lui sembra ricambiare, ma piaccio anche a Zack.
Può controllare i suoi sentimenti, signorina Preston?
E può controllare quelli degli altri?”
“Mi era giunta voce che non ne avessi.”
“Normalmente non ne ho, ma quando sono vicino a Jack li ho, li sento, sono vicini a me e mi tendono la mano per essere presi.”
“Che strana cosa! Ma ho visto un sacco di strane cose stando qui, l’umanità più varia.
Credo che dovresti parlare con Zack.”
“Lo farò se lui me lo permetterà.
È già aperto lo studio di registrazione?
Vorrei depositarci queste cose e bermi un caffè.”
Lei mi tende le chiavi.
“Oggi sei stata la prima ad arrivare.”
“Grazie.”
Dico prendendole, poi mi avvio verso la stanza con la mia pesante attrezzatura.
Arrivo allo studio, depongo il tutto in un angolo per far sì che non dia fastidio e che la gente non ci inciampi e poi vado a prendermi un caffè.
Lo sto bevendo seduta su una delle sedie quando qualcuno si siede accanto a me, io alzo lo sguardo e mi scontro con quello di Jack.
“Ehi, raggio di sole.”
“Ciao, neko-chan.”
“Miao! Alla fine hai deciso di restare.”
“Sì, in qualche modo risolverò.”
E poi non posso più stare troppo lontana da te, Jack, non più.
“Molto bene.”
Prende anche lui un caffè e lo beve con me, poi andiamo in studio, dopo di noi arrivano Rian e Alex, ma di Zack non c’è traccia. Ci guardiamo e alla fine il cantante compone il numero del bassista, ma lui non risponde.
Ci prova almeno cinque volte, prima di imprecare e gettare il cellulare per terra, arrabbiato.
Verso le dieci la porta dello studio si apre e appare uno Zack con le borse sotto agli occhi iniettati di sangue e la barba non rasata.
“Dove cazzo sei stato? Ti ho anche chiamato e non hai risposto!”
Bercia Alex con il suo telefono in mano, ma Zack va dritto verso il suo basso.
“Zack, credo che dovremmo parlare di ieri.”
Dico piano io.
“Facciamo finta che ieri non sia mai esistito, adesso iniziamo a provare, siamo dei professionisti.”
Alex diventa rosso di rabbia, probabilmente ingoia anche un paio di insulti rivolti al suo amico, ma alla fine fa quello che gli è stato detto. Se loro sono professionisti anche io lo sono, sistemo la mia apparecchiatura e comincio a fare delle foto.
Lavoro in silenzio fino a mezzogiorno, anche perché è impossibile parlare visto che Alex e Zack stanno litigando così ferocemente che è un miracolo che lo studio non crolli fino a rimanere un cumulo di macerie. Il bassista non ha gradito:
a)che fossi io a suonare le sue parti e fanculo a chi è stato il mio maestro (comprensibile).
b)la quantità smisurata di appunti che Alex ha preso sulle cose da cambiare, secondo Zack almeno la metà sono stronzate.
Alla fine la signora Preston bussa alla porta dello studio con aria perplessa.
“Ragazzi, va tutto bene?”
“No, ne ho piene le palle di lavorare con questo psicopatico che usa i minimi pretesti per litigare.”
Fa per uscire dallo studio, ma Alex scatta inaspettatamente e lo placca facendolo cadere a terra.
“Oh, no, signor mestruato! Non questa volta!
Non mi va di perdere un atro giorno di lavoro perché la ragazza che ti piace ti ha dato picche! Hai detto che dobbiamo essere dei professionisti. Bene, dimostralo rimanendo e non scappando ancora.”
“Alex, mollami o ti spacco la faccia a forza di calci!”
“Fallo! Così poi ti denuncio e ti faccio rimanere in mutande, Merrick.
Dovrai pregarmi in ginocchio sui ceci in una notte di inverno per tornare in questa band.”
Io e la signorina Preston ci guardiamo perplesse, poi le do in mano la macchina e mi piazzo in mezzo alla stanza.
“BAAAAASTAAAA!”
Urlo con tutto il fiato che ho in corpo, facendoli voltare verso di me.
“Zack, mi dispiace, ok?
Mi dispiace un sacco di non poter ricambiare i tuoi sentimenti, ma adesso stai esagerando! Non puoi semplicemente mandare a fanculo la band perché il tuo orgoglio maschile è ferito, cerca di passarci sopra. Non volevo ferirti o creare casini, se la mia presenza è davvero così problematica darò le mie dimissioni!”
“No!”
Urla Jack.
“Zitto, Jack! E tu, Alex… Capisco che tu sia arrabbiato con Zack, ma comportandoti come uno stronzo non risolverai nulla, metà delle correzioni che hai fatto al materiale di Zack erano un dispetto nei suoi confronti!
Basta, cerca di risolvere le cose come una persona civile e non come un bambino.
Adesso alzatevi.”
I due mi ubbidiscono.
“Zack, scusati con Alex e digli che un comportamento del genere non si ripeterà in futuro.”
Lui rimane in silenzio.
“Forza! O devo prenderti a calci in culo?”
Il bassista tende una mano in modo piuttosto meccanico.
“Scusa, Alex. Mi sono comportato peggio di una donna mestruata e gelosa, cercherò di non farlo più in futuro.”
Il cantante rimane a guardarlo torvo.
“Forza, Alex. Accetta le sue scuse e ammetti di essere stato un po’ stronzo e vendicativo.”
“Devo proprio?”
“Vuoi mandare a puttane la band e un’amicizia per una stronzata?”
Lui stringe – sempre in modo meccanico – la mano del bassista.
“Scusa, Zack. Ieri ho esagerato con le correzioni perché ero arrabbiato con te, il materiale era buono e metà di quello che ho scritto erano cazzate.”
“Pace fatta?”
I due annuiscono.
“Bene, così posso rassegnare le dimissioni senza pesi sulla coscienza.”
“NO!”
Urlano tutti, inclusa la signorina Preston.
“Vi ho causato solo guai, perché volete che rimanga?”
La signorina Preston mi appoggia una mano sulla spalla.
“Perché, ragazza, hai fatto filare questi scapestrati come un generale degli Stati Uniti il suo plotone e questa è una dote più unica che rara. Ero scettica su di te, ma ora mi sono ricreduta, tu sei quello di cui questi ragazzi hanno bisogno: un domatore.”
“Non siamo animali da circo!”
Commenta offeso Jack, la signorina Preston gli punta un dito contro.
“Tu, bevi troppo e sei quasi sempre sbronzo. Alex è sempre in ritardo e nasconde un lato molto stronzo dietro quel sorriso da impunito. Zack è permaloso e si scalda per niente, in quanto a Rian non riesco a trovargli un difetto, ma anche se ne avesse uno Karima saprebbe come trattarlo.”
I quattro rimangono muti, nemmeno io riesco a dire una parola.
“Ed è questa la ragione per cui non darai le dimissioni.”
La signorina lascia lo studio.
Forse io so domare i ragazzi, ma lei sa domare tutti noi e forse è questa la ragione per cui lavora qui.
Sì, penso proprio che sia questa la ragione.

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Capitolo 14
*** 13)Sa di adolescenza. ***


13)Sa di adolescenza.

 

Karima p.o.v.

 
Domenica è arrivata e posso dormire fino a tardi.
Quando mi sveglio il pallido sole autunnale illumina la stanza, ricordandomi che Halloween è dietro l’angolo e che devo comprare una zucca.
Mi stiracchio come un gatto, non ho voglia di mettermi a cucinare per pranzo, quindi penso che andrò al Mac Donald che c’è in fondo alla via e usufruirò del loro menù brunch.
Oggi comunque devo cucinare lo stesso, Jack verrà da me nel tardo pomeriggio per mangiare la
knafeh e devo cucinarla. Per fortuna ho preso tutti gli ingredienti: pasta kunafah (o kadaif) in un supermercato etnico, burro, acqua, zucchero, ricotta, acqua di fiori d'arancio e succo di limone.
Mi alzo, mi faccio una doccia, indosso una vecchia maglietta dei blink-182, jeans strappati, una vecchia felpa nera, gli anfibi, poi prendo la borsa militare e il mio golf rosso lungo e peloso.
Sto per uscire quando suonano alla porta, io apro e mi trovo davanti mia zia.
“Ah, ciao.”
Dico un po’fredda.
“Stavi uscendo?”
“Sì, in realtà. Stavo andando al Mac per il brunch, non ho voglia di cucinare.”
“Vengo anche io. Tom è da sua madre con i bambini.”
"E come mai non ci sei andata anche tu?”
Lei striscia le scarpe con il tacco.
“Beh, volevo parlare con te, ma visto che Tom è ancora arrabbiato e non vuole che nessuno di noi parli con te gli ho detto che non stavo bene.”
“Se è ancora arrabbiato non vedo la ragione della tua visita, zia. Io non ho intenzione di rinunciare a Jack per la sua assurda gelosia.”
“Lo so che non scusa il suo comportamento, ma Tom è preoccupato per te.”
Io sospiro.
“Andiamo al Mac prima che finisca tutto, tanto la commedia possiamo recitarla anche lì.”
“Karima, sei così uguale a Daniel che a volte mi spaventi. Anche lui non voleva che la gente gli dicesse cosa fare, è stato uno skater e un punk come Tom.”
“Dimmelo davanti a del cibo, perché non ce la faccio a sopportare queste reminiscenze a stomaco vuoto.”
Dico con la mia solita voce fredda.
“Sì, sei proprio sua figlia. Una parte di lui vive in te.”
Io mi blocco come se mi avessero dato uno schiaffo.
“Lui è morto, andato, perduto, nulla lo riporterà qui.
Che ci sia qualcosa dopo la morte o non ci sia, lui è in un posto dove non possiamo contattarlo, ha lasciato questo mondo.”
“No, Karima. Le persone lasciano davvero questo mondo solo quando nessuno si ricorderà più di loro e saranno un nome su di una lapide senza che nessuno ne conosca la storia.
Finche Daniel è nei nostri ricordi, finché rivive nel tuo carattere testardo e indipendente come il suo, mio fratello non ha lasciato questo mondo.”
Io stringo i pugni.
“Va bene, zia. Come vuoi.”
“Lo so che non mi credi, lo so che sei arrabbiata, ma quando la rabbia se ne sarà andata vedrai che c’è della verità nelle mie parole.”
Io non rispondo e mi incammino a passo svelto verso il locale, ordino il menù brunch e poco dopo mi trovo il vassoio riempito di un assortimento di cibi dolci e salati: pancakes, cheesecakes, muffins al cioccolato, un panino al prosciutto e formaggio, cipolla fritta, uova e bacon, oltre a una tazza di caffè e una di latte.
Inizio a mangiare il panino in silenzio.
“Cosa ti stavo dicendo di tuo padre?
Ah, sì! Lui era uno skater e un punk, adorava tuo padre al liceo, era il suo modello, ma quando Tom mi ha ferita tradendomi lui non ha esitato un secondo a stare dalla mia parte. Io ero la sua sorellina e Tom lo stronzo che mi aveva ferita.
Tu sei come lui, Jack è il ragazzo che ami e senti il bisogno di proteggerlo dai giudizi negativi di Tom e questo prova il fatto che tuo padre non ci ha del tutto lasciati e nemmeno tua madre.
Lei ha fatto quello che hai fatto tu: si è messa contro la sua famiglia per il suo amore.”
Io sbatto la mia tazza sul tavolo facendo voltare qualche avventore.
“Sono morti, zia.
MORTI.
Dire che loro vivono in me non mi fa stare meglio, mi fa solo stare peggio. Loro avevano tante cose da fare e da dare al mondo, io invece non ho fatto che lasciarmi condurre dalla vita senza un vero obbiettivo. La mia vita non serve a nulla, la loro sì.
Avrei dovuto morire io al loro posto.”
Lei impallidisce.
“Karima, non dirlo mai più! Aida e Daniel ti volevano un mondo di bene e non avrebbero voluto sentirti parlare così.”
Io sospiro di nuovo.
“Sono morti, non conta più ormai.”
“No, conta. Che ti piaccia  o no tu sei quella che porta la loro eredità e non devi pensare queste cose.”
Io abbasso lo sguardo.
Non può dirmi cosa pensare, anche perché sono mesi che macino questi pensieri.
“Karima, da quanto le pensi?”
“Non ha alcuna importanza. Perché sei venuta da me?”
Adesso è lei a essere a disagio.
“Quello che è successo tra te e Tom ha creato una frattura nella mia famiglia, Ava e Jonas sono arrabbiati perché lui ti ha fatto andare via.”
“Non per colpa mia.”
Ribadisco iniziando a mangiare le uova con il bacon.
“Lo so. Karima, ti prego! Cerca di capire Tom, lui lo ha fatto per proteggerti.”
“E come andrà avanti questa storia?
Tom pensa che io sia ancora quella marmocchia poppunk a cui insegnare come suonare il basso e a fare skate?
Beh, notizia straordinaria! La marmocchia ha ventotto anni e non ha più bisogno della protezione dello zione, che forse farebbe meglio a badare ad Ava che ormai è un’adolescente.”
“Lo so, Karima. Ma lui non riesce a capirlo.”
“E cosa ti aspetti che faccia?
Che smetta di vedere Jack, vada a casa sua e mi prostri ai suoi piedi chiedendogli scusa?
Beh, no, grazie.”
“Karima, è solo un ragazzo.
La famiglia è più importante.”
Io non dico nulla e infilo quello che resta della mia colazione in una borsa di plastica.
“Scusa, devo andare a casa. Ho delle cose da fare e non ho tempo da perdere con una persona che non ha fatto altro che manipolarmi parlandomi di mio padre per ammorbidirmi e farmi fare quello che vuole. Forse non raccolgo né porto avanti l’eredità dei mie genitori, ma una cosa la so: mio padre sarebbe stato disgustato da simili maneggi.
Siete liberi di dimenticarvi dov’è casa mia e di me fino a quando non tornerete a essere persone mature e in grado di rispettare le decisioni degli altri. In quanto alla frattura nella tua famiglia vai da un ortopedico.”
Mi alzo.
“Karima…”
“Ciao.”
Dico brusca e lascio il locale.
Ho un amaro in bocca che è la fine del mondo.

 
A casa finisco di mangiare i pancakes, la fetta di cheesecakes, i due muffins al cioccolato e la cipolla fritta. Il latte e il caffè li ho bevuti per strada, non c’è nulla di meglio dei pancakes con lo sciroppo d’acero per farmi passare i malumore, oltre a una sigaretta.
Adesso non resta che preparare il dolce, faccio sciogliere il burro e lo lavoro insieme alla pasta che è una matassa indefinita, poi ne metto metà in una grossa teglia imburrata.
Preparo lo sciroppo: zucchero, acqua, succo di limone in un pentola e via si mescola a fuoco medio fino a ottenere un sciroppo denso e fluido che rimane attaccato al cucchiaio.
Mi sento quasi una strega.
Adesso aggiungo l’acqua di fiori d’arancio, la mescolo e la lascio cuocere ancora due minuti.
Poi la tolgo dal fuoco, la lascio raffreddare e la metto in frigo.
Sorrido, ricordandomi quando aiutavo mia madre a farla per il mio compleanno o per altre occasioni speciali come il compleanno di papà.
Ora passo al ripieno, lavoro la ricotta con una forchetta e la dispongo sulla pasta, poi la ricopro con la pasta avanzata.
La appiattisco bene con le mani e la cuocio in forno per un’ora a circa 160 gradi, poi alzo la temperatura a 220 gradi fino a quando la superficie non è ben dorata.
La tolgo dal forno e verso subito lo sciroppo freddo sulla superficie, poi la guarnisco a piacere con dei pistacchi.
Mi stiracchio, mi faccio una doccia, mi metto un vestitino di cotone lavorato a pizzo con le maniche lunghe, un paio di anfibi argentati e poi esco in terrazza a fumarmi un’altra sigaretta, improvvisamente molto nervosa.
E se a Jack non piacesse? E se mia zia avesse ragione?
La mente mi dice che potrebbe essere così, ma il cuore dice un’altra cosa, per la prima volta in vita mia si fa sentire e mi dice di avere fede, di aspettare e che tutto andrà bene e che riavrò la mia anima anche se non sarà facile o indolore.
Finalmente il campanello suona e io vado ad aprire la porta, lui indossa un semplice giubbotto di pelle e un paio di jeans neri stretti.
“Wow! Come mai così elegante?”
“Così, mi andava.
Forza, vieni. È pronto.”
Lui mi afferra per un polso e mi fa voltare verso di lui e guardandolo negli occhi mi sento stranamente nuda.
“Karima, cosa c’è?
Oggi sei strana.”
“Sono sempre strana.”
“Oggi lo sei più del solito.”
“Non ho nulla, davvero.”
Lui stringe gli occhi a fessura.
“Karima, non mentirmi, per favore.”
“Perché vuoi saperlo, Jack?
Non è una cosa importante, a volte capita di essere di malumore.”
“Lo so, ma penso che questa cosa sia importante.”
Io sospiro.
“Ok. Stamattina mi sono svegliata tardi e ho deciso di fare brunch al Mac all’angolo, solo che quando stavo per uscire mi sono trovata mia zia sulla porta.
Mi ha fatto capire che dovevamo parlare e siamo andate al Mac, lì ha iniziato a parlarmi di mio padre, di come io gli somigli e di come io abbia il dovere di portare avanti l’eredità dei miei genitori.”
“Nulla di strano fin qui.”
“No, infatti. Solo che ha fatto tutti quei bei discorsi per un motivo: farmi capire che la famiglia è più importante di una banale storia d’amore e che dovrei lasciarti.”
“Cosa?”
“Sì. Mi ha detto che il fatto che mio zio mi abbia cacciato da casa sua ha causato una specie di lacerazione nella sua famiglia perché i suoi figli si sono arrabbiati con loro padre.
Mi ha fatto un lungo e articolato discorso su mio padre, condito di reminiscenze infantili e adolescenziali solo per dirmi che la famiglia è più importante di tutto.
E in nome della famiglia dovrei lasciarti, così tutto tornerà a posto.
L’ho mollata al Mac, io sono stufa di tutte queste interferenze e da lei non me lo aspettavo.
Insomma so che mio zio è iperprotettivo, che mi vede ancora come la ragazzina che aveva bisogno di consigli dallo zio figo, ma mia zia… Lei non è mai stata una tizia da sotterfugi o manipolazioni e non mi aspettavo che tirasse in ballo i miei genitori.
Ok, forse non sono la figlia migliore del mondo o la più adatta a portare avanti la loro eredità fatta di amore, amore e altro amore, ma so che non avrebbero voluto essere usati per questo.”
Mi accendo una sigaretta nervosa.
“Scusa, forse essere coinvolto in questo dramma assurdo non è quello che volevi. Mettiti al tavolo e aspetta che ti servo la
knafeh.”
Mi alzo dal divano su cui ci eravamo seduti, lui mi afferra per un polso.
“Ehi, mi piace mangiare, ma con me puoi parlare se vuoi.”
“Jack, si raffredda. Tiepida è più buona.”
Lui mi guarda confuso.
“Io non ti capisco, Karima.”
“Ascolta, per me è tutto nuovo.
Non ho mai litigato seriamente con la mia famiglia. Niente liti o ribellioni adolescenziali, niente di niente.
Apatia, apatia e ancora apatia.
Adesso invece sto sperimentando quello che le persone normali sperimentano a quindici anni tipo il sentirsi soli contro il mondo e non avere nessuno accanto. E poi non ho mai avuto un vero amico o un confidente e non so come ci si comporta.
Se poi ci aggiungi che tu mi piaci, potrai capire come io non sappia più cosa fare perché è tutto nuovo.
Ho ventotto anni, dovrebbero lasciarmi fare i miei sbagli o prendere le mie decisioni, ma allo stesso tempo mi sento vulnerabile.
Ho la testa che mi scoppia, per favore possiamo almeno mangiare?
Forse con la pancia piena le cose mi appariranno in una prospettiva diversa.”
“Ok. Non hai mai parlato così tanto, wow!”
“Scusa.”
“Non ho detto che è una cosa negativa.”
Io gli sorrido lievemente.
“Dai, mangiamo questo dolce. Forse dopo ti sentirai meglio, non hai detto che è un dolce speciale?”
“Sì, lo mangiavano ai compleanni e nelle occasioni speciali.”
Lui si siede finalmente al tavolo e io servo la knafeh tagliandone due fette abbondanti.
“Io l’ho già vista.”
“Uh?”
Adesso è il mio turno di guardarlo confusa.
“Non mi ricordavo il nome, ma l’ho già vista e mangiata. È stato quando la mia bisnonna è venuta dal Libano poco prima di morire.”
“E ti era piaciuta?”
“No, ma secondo la mia bisnonna la mamma l’aveva cucinata da schifo. Diceva che gli occidentali non sapevano cucinarla.”
“Oddio!”
Mi porto le mani davanti al volto, un altro passo sbagliato.
“Karima, è tutto ok. Sul serio, mia madre non sapeva cucinare le cose orientali, ci metteva tutto il suo impegno, ma il cous cous  o qualsiasi altro piatto arabo non le è mai venuto bene.”
“Ok.”
Lui mi sorride e stacca un pezzetto con una forchettina, poi se lo mangia.
“Uhm, buona!”
“Lo dici per tirarmi su?”
“No, sul cibo non mento mai. Sono uno stronzo, se fa schifo lo dico e lo imparerai quando andremo in tour.”
“Quindi ti piace sul serio?”
“Sì, la mia bisnonna avrebbe approvato, peccato che sia morta.”
“Mi dispiace.”
“Lei ha vissuto la sua vita ed è morta serena, mi ricorda ancora come un tenero bambino e non come un danno con le gambe e la chitarra.”
“Lei ti vede e ti vuole bene anche adesso.”
“Credi alla vita dopo la morte?”
“Più o meno.”
Continuiamo a mangiare il dolce e capisco che Jack dice la verità quando chiede una seconda fetta.
“Quindi pensi che la mia bisnonna sappia tutto quello che ho combinato?
Credi che approvi?”
“Sei felice?”
“Sì.”
“E allora approva, di solito le nonne vogliono la felicità dei loro nipotini.”
Lui mi sorride.
“Grazie, Karima.”
“Di niente, Jack.”
“Tu non li hai conosciuti i tuoi nonni?”
“Ho conosciuto quelli paterni, anche se non li vedo molto, quelli materni no.
Non hanno mai accettato il matrimonio dei miei genitori né me, mamma pensa che il fatto che io non abbia un’anima sia una punizione per essermi sposata senza il consenso della sua famiglia.”
“Oh. Io non sono un esperto di religioni, ma non penso che sia così, ci deve essere un altro motivo.
Forse ti ha reso speciale per provare un grande amore, di quelli che la gente comune se li sogna.”
“Grazie, Jack.”
“Di niente.”
Guarda l’orologio.
“Io adesso devo andare a casa, posso prendere un po’ della knafeh?”
“Sì, certo.”
Mi alzo e metto un paio di fette in una teglia, poi la avvolgo nella carta stagnola.
“Mettila qualche minuto nel microonde e dovrebbe bastare.”
“Va bene.”
La prende in mano e poi mi guarda in modo indecifrabile per qualche secondo.
“Karima, verresti a un appuntamento con me?”
“Cosa?”
Chiedo, presa alla sprovvista dalla sua domanda.
“Sai, uscire insieme io e te. Magari una cena e poi un cinema o quello che vuoi.”
“Oh, sì, certo. Sì, vengo.”
Lui mi rivolge di nuovo quello sguardo imperscrutabile.
“Come mai hai esitato e fatto quella domanda?”
“Non me lo aspettavo semplicemente. Con Adam è stato più semplice, perché, pur volendogli molto bene non c’era in gioco il cuore.
Dio, con te mi sento una quindicenne alla prima cotta.”
“Ehi, va tutto bene. Per me è lo stesso.
Te l’ho già detto che mi intrighi, che sei come un mistero che devo risolvere e questo mi rende vulnerabile. Non so come comportarmi, di solito sono un ragazzo che usa le ragazze, ma – per quanto sembri un cliché – tu sei diversa.
Io non voglio usarti.”
“Grazie mille o ti avrei preso a calci.”
Lui ride.
“Sapevo che l’avresti detto.”
“Sono prevedibile?”
“Sei te stessa e questa cosa mi piace, di solito le ragazze si atteggiano quando sono con me, fanno le oche o le fan o altro. Tu invece sei te stessa e non ti fai problemi.”
Io alzo le spalle.
“Che senso ha fingere? Prima o poi le maschere cadono e i veri colori si svelano.”
“Sì, hai ragione.
Cosa ne dici di sabato prossimo a cena?”
“Dico che mi va benissimo.”
Gli do un bacio sulla guancia, lui si sposta e finisco per dargli un bacio sulla bocca, so che dovrei staccarmi da lui, ma le sue labbra sono troppo invitanti e finisco per approfondire il bacio.
Quando ci stacchiamo siamo entrambi rossi e sorridenti.
“Anche questo sa di adolescenza.”
Lui mi fa l’occhiolino e poi se ne va, io rimango sullo stipite della porta toccandomi le labbra che sanno ancora di lui.
Ok, sarà anche adolescenza, ma mi fa stare benissimo.
Mi sento sulla proverbiale nuvoletta rosa, speriamo che cadere non faccia troppo male.
Torno nel mio appartamento.
In qualche modo andrà, inutile preoccuparsi.
In qualche modo andrà.


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Capitolo 15
*** 14)Non smettere mai di ribellarti. ***


14)Non  smettere mai di ribellarti.

 

Karima p.o.v.

 
La mattina dopo mi sveglio con un enorme sorriso sul volto, il che è quantomeno strano.
Sono una di quelle persone che grugniscono come orsi prima del caffè e diventano completamente umane solo verso le undici del mattino.
In ogni caso mi faccio una doccia, indosso un paio di jeans, una maglietta con una zucca di Halloween e una felpa nera con le ragnatele sui gomiti.
Prendo l’attrezzatura e vado alla casa discografica, purtroppo per me l’unico membro della band presente è Zack. L’imbarazzo è palpabile, io prendo il secondo caffè della giornata e non dico nulla, lui fa lo stesso e rimaniamo seduti nella saletta fino a che – a sorpresa – non arriva Alex.
Questo fornisce a Zack la giusta scusa per andarsene.
“Gli passerà, Alex?”
“Se la farà passare, non vedo altre soluzioni, tu ormai esci con Jack.”
“La cosa è così di dominio pubblico?”
“No, è che sono il suo migliore amico, mi dice tutto.
Ieri avete mangiato un dolce insieme, è stato molto carino, almeno non si è sbronzato.
Mi ha detto anche una strana cosa: adesso è sulla lista nera di Tom DeLonge.”
Io sbuffo.
“Oh, quello! È che mio zio non approva la nostra relazione, pensa che Jack sia un puttaniere che vuole solo scoparmi.”
“Beh, Jack non è il tipo più romantico e adatto alle relazioni di questo mondo, ma da quando sei entrata nella sua vita non cerca più scopate da fine settimana.”
“Non so se sia una bella cosa o no.”
“Lo è. Almeno non rischia di prendersi qualche malattia venerea o ingravidare qualcuna.
Ho saputo che avete un appuntamento sabato prossimo, quasi non ci credevo.
L’ultima volta che è uscito con qualcuna per fare qualcosa di serio è stato al liceo.”
“Whoa.”
“Esattamente la mia reazione.”
“Su cosa?”
Una terza voce si inserisce nella conversazione ed è quella di Jack.
“Su come Jack Barakat, il re delle one night stand, sabato andrà a un appuntamento.”
“Vi ho sconvolto tutti, vero?”
Se la ride, poi si siede accanto a me e mi dà un bacio a stampo che mi fa arrossire di piacere.
“Diabetici.”
Esclama Alex fintamente disgustato.
“Jack, grazie, ma forse è meglio non dare dimostrazioni pubbliche d’affetto qui. Zack potrebbe rimanerci male, la ferita è ancora fresca.”
“Sì, hai ragione.”
Mi risponde lui.
“Non hai una cugina che ti somiglia?”
“Non lo so, la famiglia di mia madre non l’ho mai incontrata e poi dubito che una famiglia musulmana possa permettere alla loro figlia di uscire con una rockstar.”
“Forse, ma magari in questi anni sono cambiati.”
Io alzo le spalle.
Se persino una rockstar ha dei pregiudizi su di un’altra rockstar, come può non averli una famiglia tradizionalista come la mia?
“Lazzaroni, è ora di iniziare a lavorare!”
La voce allegra di Rian ci fa alzare e ci dirigiamo allo studio, loro iniziano a lavorare sulle canzoni e io a fotografarli.
Lavoriamo tranquillamente fino a mezzogiorno, poi ci prendiamo una pausa e per la prima volta accetto di mangiare con loro. Mi diverto persino, Alex e Jack sono una specie di duo comico, se fossi una ragazza normale avrei paura di un rapporto così forte, ma qualcosa in fondo al cuore – forse i miei sentimenti che Jack possiede – mi dice che sono solo amici e che non c’è nulla da temere.
Finito il pranzo fumo una sigaretta con Rian e guardo Zack che si tiene a distanza da tutti.
“Per quanto durerà?”
“Zack? Non lo so sinceramente, non mi ha mai parlato di quanto fosse profonda la sua cotta per te.”
“Mi dispiace per lui.”
“Anche a me, ma non possiamo farci nulla.”
Io sospiro.
Ha ragione lui, nessuno può farci nulla.
“E la tua storia con Jack come va?”
“Non è proprio una storia, non ancora. Sabato avremo il nostro primo vero appuntamento e vedremo come andrà, per adesso siamo ancora amici.”
“Uhm, intanto però lui ha smesso di cercarsi una ragazza diversa ogni fine settimana e beve di meno e tu sembri accenderti quando ce l’hai attorno.”
“Lui ha la mia anima.”
Lui mi rivolge uno sguardo confuso e io gli spiego la teoria della zingara su dove sia la mia anima.
“È un po’ folle.”
“Lo so, ma sento che è così. Anche io provo dei sentimenti quando sono con lui.”
“Capisco o almeno credo. Ma ti rendi conto che stai giocando con il fuoco?
Jack può ferire e molto, anche se mai in modo intenzionale.”
“Lo so che non è tagliato per le relazioni serie, ma in qualche modo credo che ce la faremo.
Sarà quello che sarà, sono disposta a soffrire per riavere la mia anima.”
“Ehi, Rian! Smettila di flirtare con Karima o lo dico a Cass.”
Jack si intromette nella nostra conversazione e mi passa un braccio attorno ai fianchi.
“Qualcuno qui è geloso!”
Jack sbuffa.
“Jack Barakat non è mai geloso, sono solo amico di Cass.”
“Pff! Gelosone!”
Rian si allontana ridendo, lasciandoci da soli.
“Sei davvero geloso, Jack, o è solo scena?”
 “Un po’ sono geloso ed è strano perché non mi è mai successo e so che Rian è un amico fedele, non mi farebbe mai del male.”
“Un po’ ti invidio, sei circondato da buoni amici.”
Dico con una punta di tristezza nella voce.
“I miei amici possono diventare i tuoi, se vuoi.”
“Mi piacerebbe, ma se dovessimo mollarci sarebbe imbarazzante.”
Lui mi scompiglia i capelli.
“Smettila di pensare al peggio e goditi il momento, era quello che ci eravamo promessi, no?”
“Hai ragione.
Gli dico sorridendo.
È inutile preoccuparsi delle cose prima che accadano.

 
Il pomeriggio passa tranquillamente, i ragazzi registrano, si scambiano idee in modo civile e il lavoro prosegue. Gli screzi dei giorni precedenti sembrano essere stati dimenticati ed è una buona cosa, i miei sentimenti si manifestano in modo intermittente come sempre quando c’è Jack in giro.
Ogni tanto ho le palpitazioni e ho attacchi di insicurezza cosmica, altre volte sono nel mio solito stato apatico in cui nulla può scuotermi.
Finiscono di registrare verso le otto di sera, si salutano tutti con grandi pacche sulle spalle e poi se ne vanno tranne Jack che rimane seduto in un angolo a osservare me che metto via la mia attrezzatura.
“Mi raccomando non aiutarmi!”
“Hai detto tu che non lasci toccare la tua preziosa attrezzatura a dei profani.”
Mi dice sornione e io mi mordo la lingua.
È vero, l’ho detto e ciò giustifica il suo starsene in panciolle, una volta finito gli consegno una delle mie borse.
“Trattala bene.”
Borbotto.
“Cos’è? Un segnale segreto di fiducia o un tentativo di avere un motivo per uccidermi?”
“Entrambi.”
Saluto la signorina Preston ed esco nel parcheggio, fuori è già buio e c’è una brezza fredda che mi fa sorridere.
“Arriva.”
“Chi?
“Halloween.”
“Patita di Halloween?”
“Ovvio che sì, è la mia festa preferita.”
“Non so perché, ma me lo immaginavo.
Beh, visto che hai tirato fuori l’argomento te lo chiedo.”
“Cosa?”
“La casa discografica organizza un party di Halloween, sarebbe due giorni prima della nostra partenza. Ti va di venire con me?”
Io quasi inciampo, ma fortunatamente non cado per terra.
“Certo, da cosa ci vestiamo?”
“Con quei capelli potresti essere Beetlejuice.”
Io sbuffo.
“E tu cosa vorresti essere, Lydia?
Scordatelo, non ti cederò mai un vestito del genere, sarà il mio vestito di nozze.”
Lui sbuffa.
“Ok, ok. Mai mettersi tra una ragazza e le sue dannate fantasie sulle nozze, farò io Beetlejuice e tu sarai Lydia.”
“Yay!”
“Attenta alla macchina.”
Mi prende bonariamente in giro lui.
“Scemo. Mi inviti a una cena e poi a un party e ti aspetti che io rimanga salda sulle mie gambe?”
“Pensavo avessi un po’ più di coraggio rispetto alle ragazze normali.”
“Tutte le ragazze diventano un po’ deboli davanti al ragazzo che gli piace.”
Snocciolo mentre apro il baule della mia macchina e poi appoggio delicatamente la borsa, Jack fa lo stesso.
“Immagino sia così, anche noi ragazzi ci sentiamo stupidi davanti alle ragazze che ci piacciono, soprattutto se sono carine.”
“Allora puoi depennarmi dalla seconda parte.”
“Io non sono d’accordo.”
Io arrossisco.
“Sei carino, ma guarda che so che non sono una bellezza, non una di quelle che frequenti di solito almeno.”
“Quelle vengono da me solo perché sono Jack Barakat, quello famoso.”
“Non credo che la cosa ti dispiaccia.”
“No, non mi è dispiaciuta per un bel po’ di tempo, ma anche i più incalliti donnaioli a un certo punto hanno crisi esistenziali.”
“Spero di non essere solo un rimedio temporaneo alle tue crisi.”
Lui rimane in silenzio.
“Questo non lo so. Tu non avrai sentimenti, ma io non sono un genio con i miei, ho sempre una guerra dentro e spesso non so cosa fare o faccio cazzate.”
“Grazie dell’avvertimento.”
Chiudo il baule, lui si avvicina, appoggia le sue mani sulle mie guance, poi mi dà un bacio appassionato che mi lascia senza fiato.
“Buona serata, Karima.”
Quel ragazzo sa proprio come confondere le ragazze.
Salgo in macchina sorridendo come un’ebete, esattamente come stamattina, la cosa inizia a farsi strana anche per me.
Guido fino a casa mia, parcheggio e prendo la mia attrezzatura, poi mi avvio verso il cortile. Su una delle sdraio sgangherate vicino alla piscina è seduta Ava, i lunghi capelli biondo scuro che le coprono parzialmente il volto.
“Ava?”
La chiamo incerta, lei alza la testa.
“Ciao, Karima.”
Mi siedo accanto a lei.
“Come mai sei qui?”
“Non mi andava di stare a casa.”
Io alzo un sopracciglio.
“C’è qualcosa che non va?”
“Tutto non va. Tutto.”
Sbotta lei.
“Vuoi salire da me così parliamo?
Non è il massimo discutere qui.”
“Va bene.”
Il cellulare le suona e lei lo spegne con il gesto impaziente tipico di suo padre quando non vuole essere disturbato.
Saliamo al mio appartamento e dopo aver deposto la mia attrezzatura al suo posto chiamo la mia pizzeria preferita e ordino due pizze a domicilio.
“Cosa succede?”
“Sto scoppiando, Karima. Non ce la faccio più a vivere in quella casa, è un manicomio.
Papà lavora tutto il giorno, se non sono gli Ava è Strange Times, se non è quello è il suo giornale sugli ufo o modlife o i libri o Poet Anderson. Vede più Ilan Rubin che noi e mamma lo giustifica.
Quando non è chiuso nel suo buco fa l’autoritario con me, controlla i miei amici e se c’è qualche ragazzo che mi piace. Sono costretta a nascondere il mio diario segreto in un posto diverso ogni giorno per evitare che lo legga. È così da quando te ne sei andata tu.”
“Non capisco cosa c’entri io con tutto questo.”
“Dice che con te ha fallito, che non è riuscito a impedirti di stare con Jack perché non lo rispetti abbastanza come autorità e non vuole che succeda lo stesso con me. Non capisco perché fa tutto questo casino per Jack, è un figo della madonna ed è simpatico.”
Io stringo le labbra.
“Lo considera un ragazzo che cambia ragazza ogni settimana, un cattivo ragazzo o come diavolo si dice.”
“Perché lui cosa è stato? Pensa che non legga le sue canzoni o quello che scrivono su di lui?
Lo so che quando era a scuola cambiava ragazza ogni settimana e che probabilmente metteva le corna alla mamma durante i tour. Oppure le dichiarazioni da idiota che faceva come se non avesse una ragazza o una moglie, forse pensa che io non lo sappia, ma lo so e trovo tutto questo ipocrita.”
“Lo penso anche io, ma non so cosa posso farci.
Me ne sono andata di casa per quello, perché a ventotto anni non mi andava di sopportare le ingerenze di un uomo che una volta non era esattamente un santo, ma tu non puoi.”
“Lo so che non posso o l’avrei già fatto!
Non vuole che i ragazzi mi girino attorno, ma io ho una cotta per uno e non so cosa farci, mi piace e basta, ma non posso nemmeno invitarlo a casa per fare i compiti o lui mi piomberebbe addosso.”
Io sospiro.
“Beh, ho ordinato la pizza, almeno ci consoleremo mangiando quella.”
“Da brave ragazze pop-punk.”
Dice amara lei.
“La pizza piace a tutti.”
“Mi manchi, almeno avrei potuto parlare con qualcuno. Mamma mi dice di cercare di capire papà, che fare i genitori non è facile.
Ok, ma nemmeno fare i figli lo è. Ho quattordici anni e voglio provare a vivere come tutti senza sentirmi in colpa.”
“Chi era al telefono prima?”
“Mamma. Ho litigato con lei, ho saltato scuola quattro volte perché ho delle persone che mi rompono le scatole e insegnanti stronzi.
È quasi caduta la casa a suon di urla, come se mio padre non avesse saltato scuola ogni due per tre, dice che non rispetto più le regole, che bado più ai miei amici che alla casa, che non devo avere un ragazzo perché mi distrarrebbe ulteriormente e bla bla bla.”
Alza gli occhi al cielo.
“Senti, io devo fare una telefonata. Puoi pagare tu il pony pizza se dovesse arrivare?”
“Sì, certo. Karima, posso prendere una delle tue sigarette?”
“Sì.”
Ne prendo una anche io ed esco in terrazza, la accendo e chiamo mia zia.
“Karima, come mai mi chiami?”
Il tono è seccato.
“Per dirti che Ava è qui e di non precipitarti qui a prenderla, peggioreresti solo le cose.”
“Cosa ne vuoi sapere tu?”
“Hai ragione, io non so niente di niente, ma so una cosa. Se mettete qualcuno sotto pressione come fate con lei prima o poi scoppia. Smettila di giustificare Tom e di pretendere tutto da tua figlia e inizia ad ascoltarla. Tutti i dittatori cadono prima o poi, lo dice la storia.
Tom non può tarparle le ali perché non ce l’ha fatta a farmi mollare Jack, non ha un cazzo di senso, lo capisci?
Ha quattordici anni, fatela respirare un pochino o le cose andranno peggio. Magari dalle sigarette passa alle canne e dalle canne alla coca e poi sono affari vostri.”
“Come gestiamo le nostra famiglia non è affare tuo.”
“Hai perfettamente ragione, se volete creare un’adolescente ribelle sono cazzi vostri, ma adesso che è a casa mia segue le mie regole.
Ci mangiamo una pizza, parliamo un po’ e poi la riporto al lager.
Te lo ripeto, ascolta un po’ di più quello che vuole invece di incolpare me dei problemi della tua famiglia.”
La sento ringhiare.
“D’accordo, Karima.”
Chiudo la chiamata, do un ultimo tiro alla sigaretta e poi spengo rabbiosamente il mozzicone nel posacenere.
Rientro in casa e trovo due pizze sul tavolo.
“Hai chiamato mia madre, vero?”
Mi chiede Ava.
“Dovevo. Cosa diavolo è successo alla tua famiglia?
Non la riconosco più.”
“Non la riconosco più nemmeno io, da quando papà ha lascito i blink non sembra più lui, vuole sempre darsi da uomo saggio e … perfetto?
Sì, credo che la perfetto sia la parola giusta. Vuole farsi passare per uno che non ha mai sbagliato e sappiamo tutte e due che non è vero, come un sostenitore dell’amore e questa è una cazzata. La pizza si raffredda, è meglio mangiarla.”
Finisce, troncando il discorso a metà, è proprio arrabbiata.
Mio zio sta facendo proprio un buon lavoro come padre, mi dico ironica, non so cosa diavolo gli sia preso e non sono sicura di volerlo sapere. Non è più la persona che ricordo e questo mi rende molto triste, era forte prima che finisse invischiato in tutta questa rete di cose e diventasse iperprotettivo tutto all’improvviso.
“Non posso rimanere a vivere da te?”
“Mi piacerebbe, ma hai i tuoi genitori e…”
“Devo vivere da loro, ho capito. Se rimanessi qui sarebbero capaci di inventarsi che mi hai rapito o qualcosa del genere.”
Io annuisco.
“Ava, adesso ti do un consiglio che tuo padre non approverà ed è questo: non smettere mai di ribellarti. Se pensi che quello che fanno i tuoi genitori sia sbagliato non smettere mai di dirglielo e di opporti, una cosa non deve piacerti solo perché la fanno tutti o perché te la impongono i tuoi genitori.
Ti interessa un ragazzo?
Continua a provarci con lui anche se questo fa arrabbiare la tua famiglia, vivere sotto una campana di vetro non serve a nulla. Sei forte, sei più forte di loro, non possono impedirti di usare la tua voce per esprimere le tue opinioni. Non permettere mai a nessuno di farlo, ok?”
“Ok. Grazie, Karima.”
Finita la pizza chiacchieriamo un altro po’, ci fumiamo una sigaretta, poi lei prende il suo zaino e io le chiavi della mia macchina.
“Non ho voglia di tornare a casa.”
“Comprensibile.”
“Posso tornare da te?”
“Certo, ogni volta che vuoi, solo dillo a qualcuno o si scatenerà un altro casino.”
Lei alza gli occhi al cielo.
“Ok. Grazie per avere ascoltato i lamenti di un adolescente incompresa.”
La accompagno a casa e poi mi dirigo verso la spiaggia dove faccio una lunga camminata senza pensare a nulla, solo il rumore dell’oceano.
Sembra dirmi che non importa quante tempeste si possa attraversare alla fine c’è sempre il sereno ad attenderti.


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Capitolo 16
*** 15)La bambina che ero. ***


15)La bambina che ero.

 
Karima p.o.v.

 
Sabato è finalmente arrivato e con lui una cosa che non ho mai sperimentato prima: l’ansia di andare a un appuntamento.
Mi rado, faccio una doccia, asciugo accuratamente i miei capelli notando con orrore che stanno sbiadendo in un verde pastello, devo assolutamente ritingerli e non ho tempo.
Sospirando mi metto la biancheria – nera, di pizzo, Lisa mi ha consigliato di fare così –  e mi avvolgo in un accappatoio e vado in camera mia e mi piazzo davanti all’armadio.
Lo apro e ho una mezza crisi di nervi, nonostante sia pieno di vestiti, non c’è nulla che vada bene per l’occasione, mi metto le mani nei capelli e chiamo Lisa. Lei mi ha detto di farlo nel caso ne avessi avuto bisogno.
“Pronto?”
“Ciao, Lisa. Sono Karima.”
“Ciao, aspettavo una tua chiamata. Sono da te in dieci minuti.”
“Grazie, ti devo la vita.”
“Esagerata.”
“Voglio che Jack mi trovi carina.”
“Ok.”
La sento sorridere dall’altra parte del telefono.
Io sospiro di nuovo e mi accendo una sigaretta, in attesa del suo arrivo.
Jack è stato piuttosto misterioso sul nostro appuntamento, non ho idea di cosa aspettarmi, se un ristorante elegante o una pizzeria o altro.
Una decina di minuti dopo suona il campanello, è Lisa e mi osserva.
“Vedo che hai seguito il mio consiglio.”
“Mi sembrava sensato.”
“Adesso andiamo a vedere il terribile armadio che tanto ti spaventa.”
Io annuisco e le faccio strada verso la mia camera, lei apre l’armadio e comincia a frugare tra le miriade di t-shirts, jeans e leggins, finché alla fine non estrae trionfante un vestito.
È color verde acqua scuro sfumato con tonalità più scure e con un disegno di ragnatele nere, ha le spalline larghe e mi arriva sopra il ginocchio.
“Questo mi sembra ottimo, si adatta alla tua personalità.
Chi te l’ha regalato?”
“Mia cugina, ha quattordici anni e non l’avevo preso in considerazione.”
“E hai fatto male. Forza mettitelo con un paio di calze.”
“Okay. Potresti uscire?
Non mi piace cambiarmi davanti alla gente.”
Lei annuisce ed esce dalla stanza.
Io mi metto un paio di calze a rete nere e il vestito, qui è autunno, ma non fa ancora freddo, basta che io metta un coprispalle e un giubbotto di pelle e starò benissimo.
Esco dalla mia camera e Lisa applaude.
“Passiamo alle scarpe, hai già un’idea?”
“Sì, per quelle sì. Ho un paio di stivali che amo alla follia.”
Torno in camera mia ed estraggo un paio di stivali argentati stile anni ’70 a punta tonda, li mostro a Lisa che alza un pollice.
“Dove hai trovato una cosa del genere?”
“A Portobello, a Londra.”
“Quando sei stata a Londra?”
“Quando avevo quattordici anni. I miei hanno trascorso un mese in Inghilterra, due settimane siamo stati a Londra e poi sulla costa, a Brighton.”
“Figo.”
Esclama lei.
Mi dà una mano con il trucco e i capelli, poi io mi metto il coprispalle e tengo a portata di mano la giacca e la borsa.
“Ciao, Lisa e grazie.”
“Di niente, sei una delle ragazze a cui Jack si è interessato veramente ed è un piacere aiutarti.”
Se ne va a e io rimango da sola, chiedendomi se mi troverà carina  o solo pazza.
Ma che io sia pazza lo sa già.
“Beh, sono un casino e non posso cambiare questa cosa, quindi sarò un casino attraente.”
Mi dico per farmi forza, tentando persino di sorridere.
L’effetto che mi fa questo ragazzo è sconvolgente, mi fa quasi paura, è luce che irrompe in stanza buie, vento che scuote le foglie d’autunno, eppure è lui che ha la mia anima, lo sento.
Mi siedo sul divano e mi accendo una sigaretta, cinque minuti dopo suona il campanello, io prendo il coprispalle, la giacca di pelle e la borsa.
“Arrivo!”
Urlo al citofono e chiudo a chiave il mio appartamento, dopo essere uscita.
Scendo le scale, saluto una maliziosa Ana e poi vedo Jack che indossa una semplice giacca di pelle nera sopra i jeans dello stesso colore.
“Pronta per la serata, mia signora?”
“Pronta, principe libanese.”
Lui sorride.
“Se io sono un principe libanese tu sei una principessa palestinese.”
“Il mio stato non esiste.”
“Non importa, principessa.”
Dice aprendomi la portiera della macchina, io entro sorridendo.
Entra anche lui e mette in moto sorridendo.
“Ho pensato a lungo a dove portarti, poi mi sono ricordato di una pubblicità che ho visto e mi sono detto che quello era il posto perfetto per te.”
Ci dirigiamo verso la zona della spiaggia, parcheggiamo, poi Jack ape un cancello che dà su un grande giardino, qualcuno mangia fuori sotto un albero decorato con vasetti che contengono candele.
Finalmente arriviamo davanti al ristorante e noto finalmente di che tipo è: cucina mediorientale.
“Jack, è cucina mediorientale.”
“Visto il dolce che mi hai preparato, buonissimo tra parentesi, ho pensato che questo fosse l’ideale.”
Apre la porta.
“Dopo di te, principessa.”
C’è una hall non troppo grande, due sale e una terrazza sul mare, una cameriera vestita di bianco si materializza dal nulla.
“Buonasera, signori.”
“Buonasera, ho prenotato un tavolo per due a nome Barakat sulla terrazza.”
“Certo, seguitemi.”
La donna ci scorta fino alla terrazza e noto che è proprio a picco sul mare, decorata con delle lucine.
“Quello è il vostro tavolo, spero che trascorrete una piacevole serata nel nostro ristorante, questi sono i menù.”
“Grazie mille.”
La ringrazio, godendomi la fresca brezza dell’oceano, presto farà troppo freddo per cenare fuori.
“Io non conosco la cucina mediorientale e mi affido a te.”
“Va bene.”
Faccio scorrere il menù e sorrido, so cosa prendere.
“Ok, per primo prenderemo la shorba. È  una zuppa algerina di ceci e  pomodori, arricchita con l’hararat, un mix di spezie.”
Lui annuisce.
“Per secondo il kibbeh.
È un piatto di carne tipico della cucina libanese: sono polpette a base di carne d’agnello, bulgur cioè grano spezzato, cipolle, pinoli e menta.
Poi se ci sarà spazio prenderemo il dolce, ho già visto qualcosa che potrebbe piacerti.”
Lui annuisce.
“Grazie per avere pensato a me per il piatto libanese.”
“Di nulla.”
La cameriera arriva e ci sorride.
“Avete già deciso?”
“Sì. Due shorba per primo e due kibbeh.”
“Ottimo, volete da bere?
Vino?”
“No. Io direi della cedrata, tu che ne dici, Karima?”
“Per me è okay e anche una bottiglia di acqua naturale.”
La cameriera annuisce.
“Le bevande arriveranno presto.”
Se ne va lasciandoci da soli, dovremmo conversare, ma sento un nodo all’altezza dello stomaco.
Timidezza immagino.
“Com’è stato avere dei genitori che giravano per il mondo?”
Mi chiede Jack per spezzare il silenzio.
“Interessante. Non che mi portassero con loro, perché solo due incoscienti avrebbero portato una bambina nelle zone di guerra, ma una volta all’anno si prendevano un mese di vacanza e giravamo un paese: il Regno Unito, la Francia, l’Italia, la Spagna, il Giappone, ecc.
Abbiamo visto un bel po’ di posti.”
“E per il resto dell’anno?”
“Stavo con i nonni materni o dai DeLonge, tanto vivono tutti a San Diego ed è così che Tom DeLonge mi ha insegnato a suonare il basso.”
“Wow. E la fotografia?”
“Quello è stato mio padre. Ogni volta che tornava dalle zone dove operava aveva sempre con sé un sacco di foto e io ne ero incantata. A cinque anni mi ha messo in mano la mia prima macchina fotografica e ha cominciato a insegnarmi come fare.
Mi diceva di fotografare quello che mi ispirava e poi lentamente mi ha iniziato a delle tecniche vere e proprie. Quando è arrivato il momento di andare al college è stato naturale scegliere la fotografia.”
“Capisco. Io non ho nemmeno pensato a cosa fare al college, avevo la band, sapevo che la musica sarebbe stata la mia vita. Non volevo piani B perché credevo troppo nel piano A.”
“Hai fatto bene, guarda dove sei ora.”
“Dicono che la fortuna premi gli audaci o forse solo gli incoscienti.”
“Non lo so.”
Dico in tono meditativo.
Chi premia davvero la fortuna?
Chi sta nel seminato o chi, come me, ha deciso di seguire i suoi sogni?

 
Le cena è ottima
Jack gradisce molto la shorba e il kibbeh e persino il dolce. Scelgo per entrambi Il mutabbaq, che è un dolce di ricotta e pasta fillo simile a quello che abbiamo mangiato a casa mia.
Con la pancia piena e sorridenti ci alziamo dal tavolo e Jack mi prende per mano, le pulsazioni del mio cuore aumentano, ma glielo lascio fare, è un gesto che mi fa piacere.
Ovviamente paga tutto lui e nessuna delle mie proteste va a segno, usciamo dal ristorante e saliamo in macchina.
“Dove andiamo adesso?”
Gli chiedo con una punta di esasperazione.
“Sorpresa, ma ti piacerà.”
“Va bene, ma potevi lasciarmi pagare.”
“Non lo sai che agli appuntamenti pagano sempre i ragazzi?”
“Penso sia stupido.”
“Io penso si carino, brontolona.”
Inaspettatamente mi viene da ridere.
“Ok, hai ragione. Tu come hai cominciato con la chitarra?”
“Come quasi tutti i ragazzi che amano il pop-punk: volevo emulare la band di tuo zio. L’estate dei miei quattordici anni ho lavorato invece di divertirmi e ho raggranellato i soldi per comprare una chitarra acustica e una elettrica. Ho preso qualche lezione e poi ho continuato da autodidatta
Poi ho incontrato Alex, poi Rian e Zac ed eccoci qui. All’inizio pensavo di stare sulle palle ad Alex perché era un ragazzino molto chiuso, suo fratello era appena morto, ma alla fine siamo diventati amici.”
“Devo credere al jalex?”
Lui ride.
“Hai fatto un giro su internet, eh?”
“Già, ho pensato che sarebbe stata una buona idea, ma ho solo le idee più confuse di prima.”
“Quella cosa non esiste, è solo uno scherzo a cui le fan abboccano. Fan service.
Alex si sposerà presto con Lisa e a me piacciono le ragazze. Non credere a tutto quello che leggi su internet, metà sono stronzate create da persone troppo ossessionate da noi.
I rischi del mestiere.”
“Ti confesso che questa parte della tua vita mi fa un po’ paura, non so se riuscirei a sopportarne il peso. Io non sono tagliata per essere diplomatica o per queste cose, mi fanno venire i nervi.”
“Lo terrò a mente. Sei una ribella a modo tuo.”
“Sì, non ce la faccio a dire che una cosa va bene se penso che non vada bene.”
“Punk. Tom DeLonge ha trovato per i suoi denti.”
Io annuisco.
Poco dopo la macchina si ferma davanti a un lunapark.
“Wow!”
Esclamo io vedendo un’imponente ruota panoramica.
“Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto, è esattamente all’estremità opposta a quello in cui di solito vai tu.”
“Bella idea, non mi era mai venuto in mente di andarci. Immagino di essere anche un’abitudinaria in fondo, legata ai ricordi.”
“In questo momento è normale.”
“Già.”
“Spero di avere avuto una buona idea e di non avere creato una fotocopia dell’altra volta in cui siamo stati in un lunapark.”
Io scuoto le spalle.
“Non mi interessa, quello che conta è passare del tempo con te, mi piace molto.”
“Anche se sono una pericolosa celebrità?”
“Anche se sei una pericolosa celebrità, in fondo sono la figlia di due persone che hanno vissuto rischiando la loro vita per la maggior parte del tempo. Devo avere qualche gene di sconsideratezza.”
Jack ride e mano nella mano entriamo nel lunapark, immediatamente la mia attenzione viene catturata dalla bancarella del tiro a segno.
“C’è qualcosa che vorresti vincere?”
Chiedo a Jack.
“Ehy, dovrei essere io a chiederlo a te.”
Io scuoto le spalle.
“Ho voglia di sparare.”
“Spero non a me.”
Gli do un pugnetto sulla spalla.
“Scemo! Allora?”
“Mi piacerebbe vincere quella rana verde.”
“Oh, Keroro. Allora la vincerò.”
Pago al proprietario della bancarella un paio di tiri e lui mi consegna un fucile caricato a salve, che il divertimento abbia inizio.
Io prendo accuratamente la  mira e poi sparo due volte centrando due diversi bersagli, il proprietario mi guarda sconcertato.
“Di solito sono i ragazzi a sparare e vincere qualcosa per le loro ragazze.”
“Io sono una beduina e faccio tutto al contrario.”
Jack ride sotto i baffi.
“Beduina, eh? Da dove vieni?”
“Sono mezza palestinese.”
“Questo spiega un sacco di cose. Allora cosa vuoi?”
“Il pupazzo della rana e quella tartarughina.”
Lui mi consegna entrambe le cose e sbuffa, io mi allontano con un sorriso.
“Come mai hai voluto la tartaruga?”
“Ma hai visto come erano tenute?
Tutte ammassate e con pochissima acqua! È un crimine contro le tartarughe, per fortuna ho ancora tutte le cose di Jasmine.”
“Di chi?”
“Della mia tartaruga, è morta due anni fa.”
“Mi dispiace.”
“Non preoccuparti, so che è in un posto migliore e che avrà accolto i miei genitori alle porte del paradiso.”
Jack annuisce e si mette la rana a cavalluccio.
“Adesso si fa come dico io: montagne russe!”
“Figo, io le adoro!”
Esclamo saltellando come una bambina.
“Bene, pensavo che avresti detto di no. Dovremo evitare che Bassam prenda troppi scossoni.”
“Bassam?”
“La tartaruga.”
“L’hai chiamata con il tuo secondo nome, che megalomane!”
Jack ride.
“Come volevi chiamarla, beduina? Aladin?”
“Mh, forse.”
Lui mi prende per mano.
“Dai, andiamo alle montagne russe.”
Mi trascina con sé, mentre io sono ancora scossa da una risata incontrollabile, non mi era mai successo prima.
Jack compra i biglietti per un paio di giri e poi ci mettiamo diligentemente in fila.
“Da quanto non vai sulle montagne russe.”
“Da un sacco di tempo, di solito vado sulla ruota panoramica per calmare i nervi.”
“Capisco, a me piace l’adrenalina che danno.”
“Non so perché, ma lo avevo immaginato.”
“Sono prevedibile?”
“No, ma è come se riuscissi a capire anche quello che non dici, se la mia frase ha un senso.”
“Credo di capire. Beh, se io ho la tua anima, forse questa ti comunica anche quello che non dico.”
“Boh.”
Mi accendo una sigaretta intanto che aspettiamo.
“A che età hai cominciato?”
“Sedici anni. Zio Mark e zio Travis lasciavano sempre in giro i loro pacchetti di sigarette e io gliele rubavo. Un giorno la zia mi ha scoperto ed è andata su tutte le furie, ha fatto una lavata di capo ai compagni di band di suo marito.”
“E poi?”
“Nulla. AI tempi mio zio era ancora un individuo ragionevole e non un cavernicolo e ha detto che non c’erano problemi, basta che non esagerassi.”
Jack annuisce e arriva il nostro turno.
Saliamo sul lungo veicolo e ci allacciamo bene le cinture, quando parte  non sembra possa andare così veloce. Mi ricredo quando facciamo la prima discesa, urlo come una pazza, ma non ho paura, sono solo felice. Alzo le braccia al cielo urlando e ridendo, Jack fa lo stesso.
Non mi sono mai sentita così leggera in vita mia, è come se fossi tornata la bambina di dieci anni che amava le montagne russe, godendosele in compagnia del suo papà.
Quando il primo giro finisce sono senza fiato e non posso nemmeno abbracciare Jack come vorrei, così gli do un bacio a stampo.
“Grazie mille, Jack.
Grazie per avere riportato qui la bambina che ero.”
“Di niente, tesoro.”
Il veicolo riparte e io mi godo anche il secondo giro, questo appuntamento sta andando benissimo.
Finito anche quello Jack mi aiuta a scendere e io posso appendermi come un koala a lui.
“Grazie, è stata una pensata geniale.
Adesso dove andiamo? Alla ruota panoramica?”
“Oh, no! Adesso ce ne andiamo via da qui. Voglio portarti in un posto.”
“Dove?”
“Segreto!”
Mi risponde lui con un ghigno.
“Dai, Jack!”
Lui si limita a sorridere e usciamo mano nella mano dal paco divertimenti.
Chissà dove mi porterà?

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Capitolo 17
*** 16)Al diavolo! ***


16)Al diavolo!

 
Karima p.o.v.

 
Odio andare in un posto senza sapere dove sia di preciso.
La curiosità mi uccide, non posso fare a meno di continuarmi a chiedere dove Jack mi porterà e con quali intenzioni.
“Jack, dove mi porti?”
“Segreto.”
“Dai!”
Batto i piedi come una bambina.
“In un posto dove posso seppellirti in pace e dove non ti troveranno mai.”
“Ah, è questo che fai alle tue ragazze!”
“Dalla prima all’ultima.”
“Quindi io sto uscendo con un serial killer! Che emozione!”
Mi porto una mano al cuore con fare drammatico.
“Esatto, baby. Ma non dirlo in giro o la mia carriera è finita.”
Io rido.
“Scommetto che non riesci a maneggiare un coltello senza tagliarti, figuriamoci fare a pezzi qualcuno.”
“In effetti ogni volta che metto piede in cucina la California dovrebbe entrare in stato di allerta, potrei dargli fuoco senza rendermene conto o fare di peggio. Io vivo di cibi pronti e di piatti che mi prepara la cuoca che viene un paio di volte alla settimana.
Una signora che potrebbe essere mia madre e che non fa che ripetere che sono un disastro di ragazzo che dovrebbe trovarsi una ragazza se vuole sopravvivere.”
Io rido.
“Sei davvero così pessimo?”
“Sì, ecco perché piombo in casa ai ragazzi appena posso. Non so quante cenette ho rovinato a Lisa e Alex e a Cass e Rian. Ormai quei due hanno preso l’abitudine di avvisarmi quando vogliono stare da soli o di non rispondere al campanello.”
“Povero Jack!”
“Sì, povero idiota. Ma forse sto per smettere di essere la piaga della band.”
“Cosa vorresti dire?”
“Oh, nulla. Lo scoprirai presto, comunque.”
“Odio i tizi che fanno tanti misteri per nulla come te.”
“Ma ti attizzano o mi avresti lasciato perdere.”
Io sospiro e alzo una mano portandomi l’altra al cuore.
“Sì, vostro onore. Mi avete scoperto.”
Jack ride come un matto, ma non mi dice dove siamo diretti, che rabbia!
Si dirige fuori città, forse vuole davvero uccidermi?
Sì, come no. In realtà Jack Barakat è un moderno Jack lo Squartatore e nessuno ha ancora scoperto le sue vittime. O forse vuole fare l’amore con me?
La cosa mi riempie di emozioni contrastanti, da una parte vorrei, dall’altra non mi sento ancora pronta. E se mi violentasse?
No, impossibile. E se ci provasse so difendermi meglio di lui che mi sembra poco coordinato e non eccessivamente forte.
“Siamo arrivati.”
Mi dice la voce ironica di Jack.
“Ok.”
Rispondo io con aria stordita.
“A cosa stavi pensando? A come scappare dal serial killer o  evitare di essere violentata dal mostro Barakat?”
Io arrossisco di botto.
“Come fai a saperlo?”
Lui si gratta la testa.
“Non lo so di preciso, qualcosa mi dice cosa pensi e cosa senti, il che a volte è imbarazzante perché io sono un ragazzo e nemmeno molto romantico. Stasera però è stato divertente, quando scleri sei tenera.”
Io non riesco più a dire nessuna parola e ormai sono viola per l’imbarazzo, lui scuote la testa e mi prende per mano.
Lo seguo e ci ritroviamo in una piccola spiaggia con la sabbia bianchissima circondata da cespugli che – nonostante sia autunno – sono ancora pieni di fiori bianchi illuminati dalla luna, che è altra in cielo. Si sente il rumore lento e ritmico del mare, il profumo della salsedine attenuato da una brezza fresca e da quello dei fiori.
Tolgo gli stivali e la giacca, chiudo gli occhi e alzo le braccia al cielo e inizio a ballare godendomi la sensazione della sabbia morbida e calda sotto i piedi.
All’improvviso sento il click di una fotografia scattata e noto che Jack ha in mano il suo cellulare, mi fermo e lo guardo.
“Eri bella, sembravi una sirena uscita dall’acqua.”
“Ero solo imbarazzante.”
“No, eri come in quella canzone di Lana Del Rey.
I got my red dress on tonight
Dancing in the dark in the pale moonlight
Got my hair up real big beauty queen style
High heels off, I'm feeling alive.
Canticchia lui.
“Summertime Sadness. Sì, la versione dei poveri però.”
“Vieni qui, brontolona ipercritica.”
Mi fa cenno di sedermi accanto a lui e io lo accontento.
“Questo è il mio posto segreto, diciamo.”
“E quando l’hai scoperto? Io vivo qui da una vita e non l’ho mai trovato.”
“Per caso a dire il vero, stavo guidando fuori città perché non riuscivo a dormire e mi sono fermato nella piazzola per pisciare.”
“Romantico, eh?”
Lui scuote le spalle.
“Ehi, il vantaggio di essere un uomo è che puoi pisciare ovunque.”
“Vabeh, andiamo avanti. Dopo che hai pisciato cosa è successo?
Come mai non te ne sei andato?”
“Ho visto delle lucciole, l’ultima volta che mi era successo avevo dieci anni e vivevo a Baltimora così mi sono avvicinato. Loro si sono allontanate e io le ho seguite, sembrava volessero guidarmi da qualche parte e ho trovato questo posto.
Mi sono seduto e ho ascoltato per un po’ il rumore del mare, immediatamente mi sono sentito meglio, come se quello che opprimeva se ne fosse andato in qualche modo. Ho visto una stella cadente e ho capito che se un Dio esiste in quel momento mi aveva dato un segno e un posto dove andare ogni volta che la maschera dell’idiota si fosse fatta troppo pesante da portare.
Ed eccomi qui con te.”
“Anche adesso te la sei tolta.”
“Cosa?”
“La maschera.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Sì, me la sono tolta.”
“Jack, puoi promettermi una cosa?”
“Dimmi.”
“Che con me ti toglierai la maschera se diventerà troppo pesante, non avere paura di me, io non ti giudicherò.”
Lui sorride.
“Ok, lo farò.”
Io gli sorrido di rimando, mi sembra un buon traguardo.
“È proprio una bella notte.”
Dico appoggiando la mia testa contro la sua spalla.
“Sì, non sembra di essere a pochi chilometri da una grande città.”
“Il mondo riserva ancora qualche sorpresa allora.”
“Che cinica! Io non sono abbastanza come sorpresa?”
“Tu non sei una sorpresa, sei una calamità umana che si è abbattuta sulla mia povera vita ribaltandola!”
Lui ride di gusto.
Una folata di vento si alza da dietro di noi.
“Si alza il vento bisogna tentare di vivere.”
Io rimango in silenzio, forse ha ragione, ma io ho ancora paura, non so quanto siano forti le mie ali.
“Hai paura?”
“Sì, perché riesco a vivere davvero solo accanto a te e questo mi spaventa, hai un potere immenso tra le mani: puoi distruggermi o farmi felice.
Mi sento vulnerabile.”
“Alex dice che è così che ci si sente quando si è innamorati.”
“Oh.”
Replico colpita io, staccandomi da lui.
Jack sorride e appoggia delicatamente le mani sulle mie guance e mi attira a sé baciandomi con dolcezza, senza fretta.
Continuiamo a baciarci fino a che non ci manca il fiato, poi scoppiamo a ridere.
“Adesso questo è il nostro posto segreto.”
Dice piano lui.
“Sì, adesso un ricordo di noi aleggerà per sempre qui.
Ci pensi mai a quanti minuscoli pezzi lasciamo in giro?”
“No, perché i pezzi che lasciamo in giro non ci distruggono, sono solo fili che compongono la vita.”
“Hai ragione.”
Ci sdraiamo sulla sabbia abbracciati, la mia testa è all’altezza del suo cuore e lo ascolto battere felice, mi sembra il suono migliore del mondo.
Potrei rimanere per sempre ad ascoltarlo.

 
Il “per sempre” non esiste, anche i momenti più magici devono lasciare spazio alla dura realtà.
Dopo non so quanto tempo in cui lui guarda la luna e mi accarezza i capelli contemporaneamente, si accende una sigaretta e ne passa una a me.
“Dopo questa dovremmo andarcene, si è fatto tardi.
Rimarrei qui tutta la notte, ma inizia a fare freddo e non vogli congelarmi.”
“Hai ragione.”
Accendo una sigaretta e aspiro una lunga boccata sorridendo.
“Ti è piaciuto il nostro appuntamento?”
Mi chiede Jack.
“Sì, molto. E a te?”
“Anche a me molto, mi arrischierei quasi a chiedertene un secondo, ma prima c’è un’altra cosa che voglio chiederti.”
Qualcosa nel suo tono mi fa alzare di scatto e lo scruto attentamente, come se avessi paura che gli fosse spuntato un corno.
“Jack?”
“Non prenderla così, è una cosa bella.
Sono solo io a essere impacciato perché non è una cosa che chiedo spesso.”
“Vuoi un mio rene? Un polmone?”
Lui ridacchia.
“No, non proprio.
Karima, vuoi essere la mia ragazza?”
Io spalanco gli occhi stupita.
“Io… Oddio! Sì, certo che sì!”
Urlo prima di abbracciarlo e rischiare di bruciarlo con la mia sigaretta.
“Ehi, calma!”
Ride lui, decidiamo di finire le nostre sigarette prima di abbracciarci e baciarci un’altra volta, poi rimaniamo qualche minuto abbracciati e a malincuore lasciamo la spiaggia con i mozziconi in mano. Li buttiamo nel cestino della piazzola di sosta e torniamo in macchina, lì Jack mette un cd dei blink e rimane in silenzio, sorridendo.
Chissà a cosa pensa?
È un tizio talmente misterioso, aperto ed esuberante, ma anche molto criptico sui suoi veri sentimenti ed emozioni.
Arriviamo a casa mia e lui ferma la macchina.
“Sai una cosa?
Se la prima a cui chiedo di essere la mia ragazza dai tempi del liceo, finora avevo avuto solo storie senza importanza.”
“Ne sono onorata. È così che si dice?”
“Sì, si può dire anche così. Hai accalappiato lo scapolo d’oro degli All Time Low.”
“E io che pensavo fosse Zack.”
La sua faccia si oscura.
“Ehi, stavo scherzando, non prendertela.”
Lui sospira.
“Quel bassista dai muscoli d’acciaio e dal sorriso aperto è un temibile rivale, le ragazze lo vedono come più affidabile rispetto a me.”
Io gli accarezzo una guancia.
“Non ti devi preoccupare, a me vai bene così.”
Lui sorride sollevato.
“Sei sicura? Tra qualche tempo potresti pentirtene.”
“Correrò il rischio.”
Sbadiglio.
“Sei stanca?”
“Un po’, ma non ho voglia di stare da sola, non ancora.
Non lontano da qui c’è un bar sulla spiaggia, suonano del reggae servono dei cocktail al cocco, tutto molto tranquillo.”
“Va bene.”
Rimette in moto la macchina e seguendo le mie indicazioni ci ritroviamo di nuovo alla spiaggia, parcheggia e ci dirigiamo verso quella che sembra una capanna.
Entriamo dalla parte della spiaggia e saluto il barman.
“Il solito, Karima?”
“Sì.”
Guido Jack fino a un tavolino con le delle casse colorate di giallo, rosso e verde al posto delle sedie, intorno a noi si diffonde della musica reggae.
Poco dopo il barista arriva a prendere l’ordinazione di Jack.
“Una vodka al cocco.”
“Va bene.”
Io alzo un sopracciglio.
“Sicuro che sia una cosa giusta?
Devi guidare dopo.”
“Lo so, al massimo mi  ospiti sul tuo divano.”
Io divento di fiamma.
“Va bene.”
Lui non lo nota e si guarda attorno, io mi accendo una sigaretta, essendo il locale mezzo all’aperto posso.
“Vieni qui spesso.”
“Sì. Da cosa l’hai dedotto?”
“Hai salutato il barista e lui ti ha chiesto se volevi il solito.”
“Giusto, che scema. Sì, ci vengo spesso, mi piace la pina colada ed è molto rilassante: musica tranquilla, atmosfera rilassante, il rumore del mare.”
“Tu non sei tipa da luoghi affollati, vero?”
“No, non molto. Di solito la folla mi infastidisce, contatto umano indesiderato.”
“Capisco.”
Il barista arriva con le nostre ordinazioni.
Jack alza il suo bicchierino e io il mio bicchiere, li facciamo scontrare.
“A noi.”
Beviamo un primo sorso, poi percepisco una presenza, alzo gli occhi dal cocktail e noto una ragazzina è in piedi accanto al nostro tavolo. Avrà diciotto anni al massimo e dei capelli fucsia e viola molto voluminosi.
“Tu sei Jack Barakat?”
Chiede speranzosa, lui sorride.
“In carne, ossa e capelli.”
“Oddio!”
Squittisce portandosi le mani alla bocca.
“Non ci credo, non posso essere così fortunata!”
“Beh, lo sei…”
“Violet, mi chiamo Violet.”
“Lieto di fare la tua conoscenza, Violet.”
Lei arrossisce.
“E io di averti incontrato, la tua musica mi ha salvato la vita e la tua storia d’amore con Alex è un obbiettivo da raggiungere per me e il mio…”
“Jack non ha nessuna storia d’amore con Alex.”
Intervengo con una voce secca e priva di inflessione, lei sembra accorgersi di me.
“E tu chi sei?”
“Lo spirito del Natale passato.”
“Cosa?”
“Mi chiamo Karima Jenkins, Violet, e sono la ragazza di Jack.”
“Oh.”
Lei sbianca.
“Ma io pensavo…”
“Pensavi male.”
Lei guarda verso il mio ragazzo triste e quasi arrabbiata.
“Posso avere un autografo e una foto con te?”
“Sì, certo.”
Lui firma un foglio di carta e si scatta un selfie con lei, poi la ragazzina guarda di nuovo me, gli occhi che bruciano d’invidia.
“Tu non ti meriti un ragazzo come Jack, Jack è di Alex.”
Io prendo il mio bicchiere ancora pieno di pina colada e le verso addosso il cocktail, poi sbatto i soldi sul tavolo e lascio il locale.
Non mi curo che Jack mi segua, che lecchi pure il culo a quella piccola esaltata, è lui quello famoso, io non ho questo tipo di doveri.
Mi accendo un’altra sigaretta e cammino svelta verso casa, un quarto d’ora dopo sono davanti al mio condominio, mi guardo attorno un’ultima volta e poi salgo fino al mio appartamento.
Chiudo la porta a chiave, mi tolgo il vestito e gli stivali e mi metto una tuta da casa poi mi butto senza grazia sul divano.
Il mio cellulare inizia a suonare, ma io lo spengo, non me la sento di parlare con nessuno.
Lo sapevo che non sarebbe stato facile stare con lui, ma trovare subito una ragazzina sputasentenze mi ha messo di malumore.
Ma che ne sa quella di me? Di noi?
Del vero rapporto che lega Alex e Jack?
Sono obbiettivi per lei e il suo fidanzato?
Stronzate, borbotto, una marea di grandissime stronzate.
Esco in terrazza a fumarmi una sigaretta e a masticare amaro, non godendomi la brezza fresca o la stellata pazzesca, sono troppo legata a cose terrene come la rabbia.
Stava andando tutto così bene, perché poi il karma ha decido di rovinare tutto?
Immagino che non ci sia una risposta precisa, a volte va semplicemente così.
Spengo la sigaretta con un colpo secco e torno in casa, mi sa che è arrivato il momento di andare a letto.
Mi tolgo i pantaloni e mi infilo nelle lenzuola stanca e depressa, il mio vestito occhieggia dalla sedia e sembra prendermi in giro per le mia assurde speranze che filasse tutto liscio al primo appuntamento con un ragazzo famoso.
Lo sanno tutti che quelli hanno un sacco di scheletri nell’armadio e fan pazze.
Alla fine volto le spalle all’odioso vestito  e cerco di mettermi a dormire, ignorando il senso di cocente delusione.
Dopo essermi girata un numero imprecisato di volte cado in un sonno senza sogni che sono sicura che non mi riposerà per nulla.
Al diavolo.

 

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Capitolo 18
*** 17)Solo un po'di nero. ***


17)Solo un po'di nero.

 

Karima p.o.v.

 
Mi sveglio nel bel mezzo della notte perché qualcuno sta urlando come un pazzo in strada.
Bestemmiando a bassa voce mi accendo una sigaretta e mi affaccio dal terrazzo della mia camera, parecchi volti si sono già affacciati dalle finestre.
Metto bene a fuoco la figura che si agita sotto un lampione e la sigaretta mi cade dalla bocca e finisce dritta sulla testa di quello che abita sotto di me che se la toglie seccato: il pazzo è Jack.
Torno in camera e mi infilo i pantaloni e le ciabatte, poi scendo in strada e affronto il mio nuovo ragazzo, non appena mi vede fa per mettersi a urlare, ma io lo zittisco con uno schiaffo che rimbomba come una fucilata nel silenzio della notte, sento qualcuno ridacchiare.
Ma bene! Non è nemmeno un giorno che stiamo insieme e già diamo spettacolo.
Lo prendo per un orecchio e lo trascino all’interno.
“Ma sei completamente pazzo?
Cosa ti è saltato in mente di fare tutta questa commedia?
Domani tutto il condominio vorrà sapere cosa diavolo volevi.”
Saliamo cinque piani di scale, io che impreco e lui che grugnisce.
Quando finalmente siamo dentro all’appartamento finalmente mollo il suo orecchio e lui se lo massaggia.
“Bene, posso mettermi un dilatatore senza andare da un piercer ora, ho un orecchio lungo come quello di un elefante.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Cosa vuoi, Jack?”
“Parlare con te.”
“Non ….”
“Non potevo telefonare perché il tuo cellulare era staccato e non ho il tuo numero di casa, ho provato a suonare il campanello per almeno un’ora, mi sono persino venuti i crampi al dito, ma tu non hai risposto.
Ma tu dormi o vai in coma durante la notte?
Quindi non mi rimaneva che urlare e sperare che il casino ti svegliasse visto che non ho un carrarmato o dei cannoni per sparare a salve.”
“Ok, ok. Di cosa vuoi parlare?”
“Per prima cosa ti sei dimenticata di Bassam.”
Io lancio un urlo e corro nel ripostiglio, inizio subito a trafficare con il grande acquario e tutto quello che serve alla tartarughina.
Lo riempio d’acqua, controllo la temperatura, attivo le lampade uvb e tutto il resto, poi la metto nell’acquario, lei nuota felice per un po’, poi emerge e si mette al caldo sotto la lampada.
Ho una stanza a posta per la tartaruga, i precedenti proprietari la usavano come stanza per i bambini.
Bassam sta bene, domani devo comprare del cibo adatto ma per ora le do un po’ di insalata, di carote e del pesce che ho nel frigo. Non è il cibo migliore, ma è quello che ho.
Bassam mangia e poi torna a nuotare e poi io guardo Jack che nel frattempo si è seduto sul mio divano.
“Bassam sta bene.”
“Bene, ora possiamo parlare d’altro?”
“Di che cosa? Della tua presunta storia con Lex o del fatto che non sono adatta a te?”
“Lo sai che io e Alex non abbiamo una storia o Lisa mi avrebbe già tagliato le palle!
E poi che ne sa quella ragazzina se tu sia o meno adatta a me?”
“Perché non mi hai difesa?
Perché diavolo non le hai detto nulla?”
“E come avrei potuto farlo?
Le hai tirato subito il bicchiere.”
“Quando lei ti ha detto che siete l’obbiettivo di coppia suo e del suo ragazzo perché non le hai detto che non è vero? Perché hai fatto finta che non ci fossi?”
“È solo lavoro.”
“Il tuo lavoro è suonare la chitarra e fare i cori, non alimentare le fantasie malate delle persone!
Se hai intenzione di nascondermi come una lebbrosa, hai sbagliato persona.
Non voglio pubblicità, ma non voglio nemmeno essere ignorata e costretta ad agire da stronza per difendermi.
Non avevi il diritto di venire a fare casino sotto casa mia!”
“Perché ti stia arrabbiando così tanto?”
“Ti comporti come lo stronzo che tutti descrivono.”
“Cos’hai contro il jalex? È innocuo.”
“Oh, sì. Vedo.
Jack, vattene, per favore e dimentica la mia risposta positiva.”
“Karima qual è il problema?”
Io non lo guardo in faccia.
“Il mio primo ragazzo era… quello che era, mi ha usato come copertura. Mi ha illuso tutto il tempo e lo sapevano tutti, ero lo zimbello della scuola.
Lui negava, ha negato anche quando l’ho trovato a letto con un … un … un.. ra..ra… ragazzo.
Quindi non ho intenzione di ripetere la stessa esperienza.
Vai via.”
“No.”
Per accompagnare la sua risposta si siede di nuovo sul divano, io lo guardo con gli occhi che lanciano fiamme.
Forse ha la mia anima, ma non so più se il gioco vale la candela.
Lo sollevo di peso e lo butto fuori dalla mia casa.
“Vai vai e non farti più vedere.
Domani mi licenzio.”
Chiudo la porta a chiave e poi mi lascio andare a un pianto isterico rannicchiata contro il legno, ignorando lui che picchia contro la porta. A un certo punto sento delle voci con una morbida inflessione spagnola e lui smette.
Io continuo a piangere, rannicchiata in quella scomoda posizione, finché non mi addormento.
Che serata di merda.

 
La mattina dopo mi alzo dolorante, gobba come una vecchia di ottant’anni e con il cuore a pezzi.
Mi faccio una lunga doccia, bevo una tazza abbondante di caffè nero, amaro e forte, e poi scarico e compilo il modulo delle dimissioni dal sito della casa discografica.
Indosso un semplice paio di jeans, un lungo e informe maglione nero, una giacca mimetica e un paio di anfibi, prendo la borsa ed esco da casa mia.
Parcheggio davanti alla casa discografica, scendo ed entro, saluto la signorina Preston e mi accingo a salire ai piano superiori per parlare con i capi.
Alex è appostato all’inizio delle scale e mi si para davanti.
“Cosa vuoi?”
Gli chiedo scontrosa.
“Parlarti.”
“Fallo dopo, adesso devo andare a rassegnare le mie dimissioni, non ho tempo.”
Il mio tono è ancora più scontroso di prima.
“Ho bisogno di parlarti prima che tu lo faccia.”
“E se io non volessi farlo?
E se io ne avessi le palle piene di questa storia?
E se io non volessi essere lo zerbino del tuo amico?
Perché sei qui per conto suo, ci scommetto le ovaie, ci hai pensato a me?”
Ringhio, ma lui non si scompone più di tanto.
La cosa mi irrita, vorrei tanto prenderlo a pugni, ma non posso.
“Karima, stai per commettere un errore e non posso permettere che succeda.”
“Perché? Quella che ci smena sono io e non mi conosci abbastanza per preoccuparti di me.”
“Jack sta male.”
“Ah, ecco. Ecco qual è il vero problema e il tuo vero interesse: Jack.
Non io o quello che è successo tra di noi.
Mi sono messa contro la mia famiglia e Adam perché ho creduto che lui potesse essere la mia anima gemella visto che sentivo dei sentimenti, ma probabilmente l’intera faccenda è una stronzata. Un modo come un altro che una vecchia zingara ha usato per guadagnarsi cinque dollari e che collimava con il senso di colpa di mia madre.”
“Non ci credi nemmeno tu, Karima.”
“Non importa, lasciami andare.”
“Non ho intenzione di lasciarti rassegnare le dimissioni perché hai paura di Jack e vuoi scappare da lui.”
Lui mi afferra per i polsi e io mi metto a urlare come un’aquila.
“Lasciami andare, stronzo!
Lasciami andare! Lasciami!”
La signorina Preston e il resto della band accorrono e ci osservano.
“Alex, cosa stai facendo?”
Chiede preoccupato Jack e fa per avvicinarsi, ma la signorina Preston lo ferma.
“Gaskarth, lascia quella povera ragazza o chiamo la sicurezza.
Non tollero violenze in questo posto.”
Lui mi lascia andare e io scappo via, abbattendo Zack e ignorando i rimproveri che Jack e la signorina fanno ad Alex.
Salgo in macchina, metto in moto ed esco sgommando dal parcheggio con il cuore che mi batte a mille e i polsi doloranti.
Non so dove andare e giro per un po’ senza meta, poi finalmente mi decido ad andare a casa, parcheggio la mia macchina e salgo al mio appartamento.
Lì mi tolgo i vestiti e mi butto a letto.
Mi addormento quasi subito e sogno di essere in spiaggia, mia madre è seduta accanto a me con il suo hijab verde e un lungo vestito nero.
“Ciao, mamma.”
“Ciao, tesoro. Come mai rifiuti quel ragazzo?”
“Credevo fosse la mia anima gemella, ma mi sbagliavo, non lo è.
Forse non è nemmeno vero che non ho un’anima, probabilmente ce l’ho e ho voluto credere alla storia per giustificare tutte le mie stranezze.”
“Lo sai che non è così.”
Il suo tono è dolce.
“Cosa senti nel cuore?”
“Un vuoto che non va mai via.”
Lei mi sorride enigmatica.
“Lo so cosa vuoi dire, è la mia anima che manca, ma non so se sia vero.
Non so più nulla.”
Tutto svanisce e mi ritrovo sveglia nel mio letto, mi metto le mani nei capelli disperata.
“Basta, basta, basta!”
Esclamo con un’angoscia che rasenta la pazzia.
Prendo la mia preziosa attrezzatura e la distruggo con rabbia, la mia macchina fotografica va in pezzi insieme a tutto il resto.
Quando ho finito ansimo e mi accorgo di avere le mani sporche di sangue, così vado in bagno e mi medico togliendo le schegge e bendando poi il tutto.
Dopo di che me ne torno a letto e cado in un sonno senza sogni.
Quando mi sveglio il sole è già calato e la mia stanza è disseminata di macerie, io sospiro e mi rivesto. Prendo la lettera di dimissioni, la borsa e le chiavi della macchina e torno alla casa discografica.
La signorina Preston mi saluta di nuovo e io faccio lo stesso, nessuno mi ferma e io salgo ai piani superiori.
Busso alla stessa porta a cui ho bussato quando questo manicomio è iniziato, saluto la segretaria e lei mi guarda curiosa.
“Buonasera, signorina Jenkins.
Come mai è qui?”
“Vorrei rassegnare le mie dimissioni, non riesco a lavorare con la band.”
“Ho sentito del suo incidente con il signor Gaskarth e sono molto dispiaciuta, non era mai successo prima. Le consegnerò al signor Carson e poi le farò sapere, per ora siamo soddisfatti del suo lavoro.”
“Grazie mille.”
Appoggio il modulo sulla scrivania, lei lo prende e lo mette insieme ad altre pratiche.
“Arrivederci.”
“Arrivederci.”
Esco dall’ufficio e spero che non ci siano problemi e le accettino, non ce la faccio più a stare qui.
Non incontro nessuno e vado tranquilla a casa, la sorpresa spiacevole mi aspetta lì: Jack è appoggiato all’entrata, io stringo i pugni anche se le ferite mi fanno male.
“Cosa vuoi?”
Gli chiedo brusca.
“Cosa ti è successo alle mani?”
“Non sono affari tuoi.”
Dico guardinga.
“Senti, lo so che non mi sono comportato bene, ma sono qui per scusarmi.”
Io lo guardo fisso negli occhi.
“Tu non sei minimamente pentito di quello che hai detto, tu pensi di avere ragione e sei venuto qui solo perché vuoi convincermi della bontà de tuo punto di vista ora che ti sembro un po’ meno pazza.”
“Karima…”
“Jack, vai via, per favore.
Ho rassegnato le mie dimissioni, non mi avrai più tra i piedi e ti troverai qualcuno che è migliore di me come ragazza.”
Il mio tono è incolore come al solito.
“E la storia dell’anima gemella?”
“Stronzate che mi hanno condizionata perché ci ho creduto.”
“Adesso sei tu che menti.”
“Anche se fosse? Ha una qualche importanza?”
Lui mi prende una mano, io gemo per il dolore, lui la lascia subito andare.
“Importa perché mi stai allontanando per un motivo stupido!”
“Non è stupido e se tu non ci arrivi, io non posso farci nulla.”
Entro in cortile e lui mi segue.
“Vattene.”
“No.”
“Vattene!”
“No, che non me ne vado. Non ho intenzione di buttare tutto all’aria tu solo perché tu hai avuto una specie di crisi isterica.”
La mia mano parte da sola e si stampa sulla sua guancia.
“Idiota.”
Sibilo, carica di odio.
Salgo le scale di corsa fino all’appartamento e chiudo la porta a chiave, poi cucino una cena senza pretese e mi metto davanti alla tv spenta.
Non so quanto tempo trascorro lì, so solo che il suono del telefono mi fa sobbalzare e quando questo succede la sveglia segna mezzanotte.
Strano come passi alla svelta il tempo quando ci si disconnette dal mondo.
Rispondo come un automa.
“Pronto?”
“Karima, il tuo chico è ancora giù in cortile vicino alla piscina. Non vuole andarsene, gli hanno anche mollato due pugni, ma è ancora lì.”
“Annegatelo in piscina e fate finta che sia un incidente.”
“Querida, non puoi scappare per sempre. Digli che non lo vuoi più vedere e risolvi la questione.”
“Gliel’ho già detto, ma lui non vuole capirlo.”
“Allora, prova a farglielo capire un po’ meglio.”
“Ok.”
Mugugno scoraggiata, poi chiudo la chiamata e scendo in cortile.
Un paio di ragazzi stanno girando attorno a Jack.
“Allora, te ne vai?”
“No.”
Risponde atono lui.
“Andate, ci penso io a lui.”
I due mi fanno un cenno e se ne vanno.
“Allora, cosa vuoi ancora?”
Gli chiedo con le mani appoggiate ai fianchi.
“Parlarti, possibilmente non davanti a tutto il condominio.”
Io lo fulmino.
“Ok, va bene.”
Saliamo nel mio appartamento e lui spalanca gli occhi quando vede tutti i pezzi sparpagliati.
“Cosa è successo?”
Non rispondo.
“Ma questa è la tua attrezzatura, la tua preziosa attrezzatura!”
Guarda le mie mani e poi i pezzi.
“Sei stata tu ed è per questa ragione che hai le mani fasciate.
Ma perché?”
“Perché ho chiuso con la fotografia come ho chiuso con te.”
“Ma perché?”
“Perché non smentisci le stronzate nemmeno quando ci sono io, come se fossi invisibile.
Io per te non conto nulla o ti saresti sbattuto a dire a quella ragazzina che io ero la tua ragazza e non un pezzo dell’arredamento del bar.
A te non frega nulla di me, a te importa solo di Alex e della tua fama.”
“Non è così, è solo che non ci sono abituato e poi non c’è nulla …”
“Di male nel fatto che credano al jalex, bla bla bla.
Allora ieri sera non mi hai ascoltato bene, io non farò più la copertura per nessuna di queste stronzate, vere o presunte.
Se tu non capisci questo o pensi ancora di avere ragione vai via o chiamo i ragazzi e ti lascio in mano loro.”
“Karima, io non volevo.”
“La prossima farse di circostanza che userai quale sarà?
Non è come sembra?”
“Karima…”
Io muovo le braccia su e giù.
“Perché accidenti non vuoi capire?
Perché vuoi decidere quello in cui devo o non devo credere come tutti?
Se non vuoi davvero scusarti, vattene via!”
La mia voce si incrina, lui fa per abbracciarmi, ma io gli lancio un cuscino.
“Vattene.”
“Voglio solo provare a risolvere le cose, ma tu non me lo permetti.”
“Vai via!”
Urlo al colmo della disperazione e comincio a tirargli dietro qualsiasi cosa mi capiti sottomano, lui alla fine è costretto a battere in ritirata.
Io sono senza parole, esco in terrazzo a fumarmi una sigaretta e lo vedo attraversare il cortile e poi lanciarmi un’ultima occhiata a cui mi mostro impassibile.
Varca anche l’ultima soglia e sparisce nella notte, io finisco di fumare la mia sigaretta con gli occhi vuoti.
Rientro in casa e mi butto sul letto, forse vorrei piangere per le emozioni tutte negative della giornata, ma non ci riesco. Finisco per addormentarmi subito completamente vestita e sprofondo in un altro sonno senza sogni che sembra un coma e mi va bene così.
Non voglio pensare o ricordare nulla, voglio solo che l’obblio cada su di me come una coperta e mi soffochi.
Non voglio replay di questa giornata, non voglio rivedere mia madre che mi dice che sbaglio.
Voglio solo un confortante nero in cui cadere senza fine.
Solo un po’ di nero.
Un dolce caro obblio.
E vengo accontentata, grazie a Dio.
Domani non sarò riposata, ma almeno non sarò angosciata ed è già qualcosa.
Perché la mia vita è andata di nuovo a puttane?
Ogni volta che credo che stia andando bene vengo smentita.
Basta, da domani non crederò più a nulla.
A nulla.

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Capitolo 19
*** 18)Come le stelle lontane e menefreghiste. ***


18)Come le stelle lontane e menefreghiste.

 

Karima p.o.v.

 
Il suono giunge da lontano, più o meno dalle parti di Saturno, ma è tenace.
Ci si mette di impegno a rompere ogni barriera del mio sonno e alla fine si rivela per quello che è: la suoneria del mio cordless che, come al solito, è sul comodino.
Grugnendo allungo una mano e lo prendo, accetto la chiamata senza nemmeno guardare chi è il mittente.
“Pronto?”
Rispondo con una voce cavernosa.
“È la signorina Karima Jenkins?”
Un senso di déjà-vu mi piomba addosso come un macinio, tutti i ricordi della notte che sono morti i miei mi attanagliano le viscere svegliandomi completamente.
“Sì, sono io.”
“Sono la signorina Petersen, la segretaria dl signor Carson.”
“Sì, certo.”
I brividi se ne vanno, è solo la segretaria del mio capo.
“Il signor Carson ha rifiutato le sue dimissioni, perciò la invito a presentarsi alla casa discografica.”
“Cosa? Perché?
Ieri sono stata assalita da Alex Gaskarth, non ho intenzione di tornare.”
Lei sospira.
“Siamo a conoscenza dell’incidente con il signor Gaskarth, abbiamo parlato con lui e ha giurato che non si ripeterà mai più. Capisco che lei ne sia rimasta spaventata, ma non corre alcun pericolo.”
“E se lo rifacesse? Chi mi garantisce che non lo rifaccia?”
Il mio tono è isterico.
“Se dovesse succedere di nuovo chiami la sicurezza e questa volta accetteremo le sue dimissioni.”
“Va bene.”
Sospiro io.
“Lasciatemi il tempo di sistemarmi e arrivo.”
Con la gioia di un martire che va verso l’arena mi faccio una doccia e mangio qualcosa per colazione senza nemmeno sentirne il sapore.
La mia attrezzatura è ancora in pezzi, ma ho una macchina fotografica di riserva, dopo il lavoro comprerò qualcosa di nuovo.
Armata di una macchina che, pur essendo buona, mi sembra ridicola rispetto alla mia vecchia attrezzatura vado alla Hopeless Record.
Mi fermo dalla signorina Preston e le espongo il mio problema.
“Abbiamo un’attrezzatura che nessuno usa, apparteneva a un fotografo che lavorava per noi, se l’è dimenticata qui e non è più venuto a riprendersela.
Forse c’è quello che ti serve.”
Io annuisco, la donna esce da dietro il banco della reception e mi accompagna in uno sgabuzzino, accende la luce e io contemplo un’attrezzatura completa da fotografo, la controllo ed è anche in buono stato.
“Non ci credo. Questa è una signora attrezzatura che vale anche un po’ di soldi e nessuno è mai venuto a riprenderla. Certa gente ha tutte le fortune.”
Prendo tutto e me lo carico sulle spalle, poi mi dirigo verso lo studio di registrazione, la parte più difficile inizia adesso. Busso con la rabbia che inizia a pompare nelle vene, un tecnico viene ad aprire e nello studio cala il silenzio.
Alex e Jack si avvicinano, ma io li fulmino con un’occhiataccia.
“Karima, noi vorremmo…”
“No. Statemi lontano, tutti e due.
Sono qui per lavorare non per socializzare con voi due o con qualche altra persona.
Tornate al lavoro e fate finta che io non ci sia, è l’unico modo per far funzionare le cose.”
“Ma io vorrei…”
“Scusarti? No, grazie.
So a chi va la tua lealtà e forse qualcos’altro. Non voglio essere invischiata nei vostri casini, ho già i miei a cui badare.”
“Per favore, dacci una seconda possibilità.”
Mi domanda accorato Jack, io scuoto la testa.
Il mio cuore vorrebbe, ma il mio cervello ha una presa salda su di lui.
Mi hanno ferito tutti e due, non c’è ragione per essere buoni e concedere seconde possibilità, mi hanno già fregata una volta.
“Vi prego di lasciarmi stare.”
La mia voce è gelida come il ghiaccio, loro tornano a lavorare, io invece sistemo in silenzio la mia attrezzatura e comincio a scattare foto.
Le ore passano lente, ma alla fine arriva la pausa pranzo, sia Alex che Jack mi lanciano un’occhiata e poi escono dallo studio, Zack sembra volersi fermare a dirmi qualcosa, ma poi rinuncia e se ne va. Rian invece non demorde e di avvicina a me.
“Non so cosa sia successo di preciso tra te e Jack, lui non ne vuole parlare e diventa aggressivo se qualcuno gli forza la mano, ma credo che dovresti almeno accettare le loro scuse.
Alex è sinceramente pentito di averti trattato male, non è nella sua natura essere cattivo.”
“Non so cosa sia nella natura di Alex Gaskarth, ma non mi va di scoprirlo. Lo so che ti piace impicciarti nei problemi degli altri per dare loro una mano, ma questa volta, Rian, si sono spinti troppo in là tutti e due.
Jack mi ha ignorata davanti a una fan – il che ci può anche stare, sebbene sia poco carino dopo che ti ha chiesto di essere la sua ragazza – e le ha fatto credere che la sua storia con Alex esiste.
Davanti a me.
E si rifiuta di ammettere il problema, la pazza sono io.
In quanto ad Alex mi ha messo le mani addosso e non lo sopporto.
So che non sei cattivo e non sono arrabbiata con te, ma, per favore, stai fuori da questa storia.
Io avevo dato le dimissioni, sono qui unicamente perché non le hanno accettate e mi pento di avere iniziato questo lavoro. Ne avevo uno solido e tranquillo e l’ho gettato via per seguire un sogno stupido e ne pago le conseguenze.”
Rian non dice nulla.
“Vorrei avere qualcosa di sensato da dire, ma non mi viene niente. Penso solo che tu non abbia sbagliato a voler seguire i tuoi sogni, ma adesso non sei nel momento giusto per accettare questa opinione. Rispetterò il tuo bisogno di silenzio per ora.”
“Grazie mille.”
Dico formale, lui se ne va per fortuna.
Non ce l’avrei fatta a sostenere ancora la conversazione.
Sistemo la mia attrezzatura e chiudo a chiave lo studio di registrazione.
Sono tentata di andare dal mio kebabbaro preferito per tirarmi su il morale, ma – considerando che il mio umore sarà basso fino a che lavorerò qui – è meglio che non lo faccia, in questi mesi potrei diventare una palla.
Decido di andare in una pizzeria e lì ordino una margherita pensando che la vita fa semplicemente schifo.
Nulla di nuovo per me.

 

Il pomeriggio si trascina lungo e noioso come quelli scolastici quando hai delle materie che non ti interessano. Gli All Time Low hanno smesso di interessarmi sotto ogni profilo, sebbene il mio cuore supplichi di parlare con Jack e ascoltare quello che ha da dirmi. La mia mente sa quello che è meglio per me, perciò le do retta quando mi dice di lasciare perdere.
Arrivate le sette di sera il mio lavoro giunge al termine, smonto la mia nuova attrezzatura, la porto fuori dallo studio e la carico in macchina.
“Karima?”
La riconoscerei tra mille quella voce, il mio corpo si irrigidisce, combattuto com’è tra l’impulso di abbracciarlo e quello di prenderlo a calci.
“Jack.”
“Karima, mi dispiace davvero.
Non volevo ferirti, non pensavo che…”
“Ecco la frase giusta, non hai pensato.
Io ti ho aperto il mio cuore, il tuo invece è sempre rimasto chiuso a doppia mandata dietro la maschera del ragazzo divertente, un po’idiota, ma a posto alla fine.
Proprio una bella recita, ci sono cascata in pieno.”
“Non recitavo, ti prego, lasciami spiegare…”
Io chiudo violentemente il cofano della macchina e lo fronteggio.
“È troppo tardi, non capisci?
Dovevi offrirmi una spiegazione convincente ieri sera quando ne volevo disperatamente una, non adesso. Ora non me ne faccio nulla!
Mi hai trattato come una pazza e hai minimizzato tutto quello che tu ho detto, non riesco a passarci sopra.
Hai sbagliato tempistica come io ho sbagliato a fidarmi di te e adesso, scusami, devo andare, devo andare a prendere le cose per Naruto.”
"Chi?"
“La tartaruga.”
“Non si chiamava Bassam.”
“Pensi davvero che io tenga in casa una tartaruga con il tuo secondo nome?”
Lui abbassa gli occhi.
“Pensavo che in qualche modo ti volessi ricordare di me.”
“Dopo ieri sera non ne ho alcun desiderio.”
“Ti prego, concedimi almeno una possibilità.”
“No. Non dopo ieri sera, non dopo che Alex mi ha messo le mani addosso per difendere te.
Sono stufa marcia di questa band e di questo lavoro, sono pentita di averlo accettato, di aver pensato di poter vivere grazie alla fotografia.
Forse la mia vita era noiosa prima, ma almeno non soffrivo.
Lasciami andare.”
“Io non voglio.”
“Allora dovresti trattare con più cura le persone a cui dici di tenere o queste se ne andranno.”
Detto questo salto in macchina e quasi lo investo nell’uscire dal parcheggio.
Non ho voglia di andare a casa, non ho voglia di rivedere i pezzi della macchina fotografica che sembrano descrivere alla perfezione alla vita.
Distrutta e senza uno scopo, incastrata in qualcosa che non voglio più.

 

Alla fine il richiamo del mare è più potente di qualsiasi cosa, persino della tristezza e del dolore.
Mi fermo a un bar sulla spiaggia e mangio un panino, poi vado in spiaggia, mi siedo quasi sulla battigia e guardo le onde che si infrangono. Ho sempre pensato di volere dei sentimenti, che persino sentire dolore sarebbe stato meglio che non sentire nulla, ma mi sbagliavo.
Il dolore e la delusione sono peggio dell’apatia, sono artigli che ti affondano nelle carni e ti lacerano l’anima, fanno male.
Non sono come le ferite, non puoi medicarle e metterci un cerotto, non guariscono, rimangono lì testarde. Ed è tutta colpa di Jack, forse non è una stronzata quella dell’anima, ma forse non voglio neanche sentire tutto questo.
Alzo una mano e la guardo: unghie smaltate di verde, anello con una pietra di luna.
Mani piccole, con le dita forse un po’ troppo corte.
Mani che vorrebbero sprofondare nell’oblio e nel torpore dell’apatia, ma che non possono.
Mani che adesso si muovono freneticamente alla disperata ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi, un ricordo felice, un’emozione positiva non legata a Jack, ma non ci riescono.
È come annegare solo che non c’è acqua attorno a te, solo tanta solitudine e non avere nessuno a cui parlarne.
Non credo che né Amelie, né Lisa, né Darren capirebbero, sono io quella sbagliata.
Mi sdraio sulla sabbia e guardo le stelle, risplendono così lontane e così menefreghiste, vorrei essere come loro: bella, ma fredda.
A proposito di freddo, una brezza non esattamente calda si alza dall’oceano a ricordarmi che Halloween è tra un paio di giorni e presto non farà più caldo nemmeno in California.
A malincuore mi alzo e vado verso la macchina, salgo e guido fino a casa mia, pensando a cosa fare con Naruto. Non mi sento pronta a tenere di nuovo una tartaruga e che comunque dovrò partire per un tour tra qualche tempo, ho agito senza pensare il giorno che l’ho vinta alle giostre.
Ci rimugino un po’ sopra e poi decido che la soluzione migliore sia darlo a Marisol, il figlio minore vuole una tartaruga.
Arrivo a casa mia, parcheggio la macchina e poi salgo fino al mio appartamento, quello di Marisol è sulla strada e provo a bussare sperando che non sia troppo tardi. Pr fortuna mi apre.
“Karima!”
“Ciao, Marisol. Scusa per l’orario, ma ho bisogno di parlarti di una cosa.”
“Dimmi pure.”
Si scosta per lasciarmi entrare e io mi siedo su una delle poltrone del suo salotto colorato.
“È successo qualcosa di grave?”
“No, non preoccuparti. Qualche giorno fa ho vinto una tartarughina, io non me ne posso occupare, l’ho capito quando ormai era troppo tardi, uno dei miei impulsi da amante folle delle tartarughe.
So che tuo figlio ne vuole una, posso darla a te?
Ti do tutto quello che serve e ti spiego come prendertene cura, se avessi qualche problema sono sempre disponibile.”
Lei mi guarda per un attimo.
“Non è solo perché non te ne puoi occupare, è anche per qualcos’altro.”
Io sospiro e muovo i piedi a disagio.
“L’ho vinta a un appuntamento con Jack, ma adesso io e lui abbiamo rotto.”
“E come mai?”
“Non è il ragazzo adatto a me.”
“Non è che hai paura di una relazione con un chico così famoso?
Qualcuno che può metterti in secondo piano per la fama?”
“Forse, fatto sta che non è andata.”
Lei annuisce.
“Io gliela darei una seconda possibilità perché lui mi sembra molto interessato a te.”
“Lui è interessato a ogni ragazza e poi continua a illudere le ragazzine di avere una relazione con un suo compagno di band.”
Lei rimane un attimo in silenzio.
“Sì, la prendo la tartaruga, ma tu pensa a quello che ti ho detto.”
“Va bene.”
Ci alziamo tutte e due dalla poltrone.
“Miguel sarà felice, come si chiama?”
“Naruto. Ma è ancora troppo piccola per essere certi del sesso, potrebbe essere una Hinata.”
“Uh?”
“Naruto è il biondino del poster che c’è in camera di tuo figlio, quello dei cartoni animati. Hinata è la ragazza innamorata di lui.”
“Ah, ho capito.”
Usciamo dal mio appartamento e cominciamo a spostare le varie cose, fortunatamente hanno una camera vuota da quando il figlio maggiore se ne è andato, così portiamo la vasca e tutto il resto lì.
Io le spiego cosa fare, lei annuisce e promette di chiamarmi se ci saranno dei problemi.
Il rumore attira Miguel che spalanca gli occhi quando vede l’enorme vasca e corre subito a guardare cosa ci sia dentro.
“Mamma! È una tartaruga! Dicevi che non avevamo i soldi per comprarla!”
“Karima ce l’ha gentilmente data insieme a tutta l’attrezzatura.”
Il bambino mi guarda e poi mi abbraccia forte.
“Grazie, Karima! Ho sempre voluto una tartaruga.”
Io mi abbasso alla sua altezza.
“Lo so, mi devi promettere una cosa.”
“Dimmi.”
“Ti prenderai cura di lei meglio che puoi, lo farai?
Adesso lei è nelle tue mani.”
“Lo farò.”
Mi risponde serio, io gli scompiglio i capelli e lui torna a guardare la vasca.
Io sorrido, a volte basta poco a fare felici le persone.
Vorrei tornare bambina, solo una bambina con le emozioni a posto e non una problematica, forse adesso saprei come affrontare le cose. Forse adesso saprei cosa fare con  Jack, stringo i pugni quando la mia coscienza lo nomina.
“Beh, io adesso vado, così potrai fare conoscenza con Naruto.”
“L’hai chiamata Naruto! Forte.
È un maschio quindi?”
“Forse, non lo so. È troppo piccola per essere sicuri che sia davvero un maschio, potrebbe diventare una Hinata.”
“Per fortuna non hai detto Sakura, non la sopporto.”
Borbotta lui.
Io sorrido, nemmeno a me piace molto quel personaggio.
“Grazie ancora, Karima.”
“Di niente, Marisol. Tu hai fatto tanto per me.”
Li saluto un’altra volta e poi esco dal loro appartamento, pensando che i miei genitori mi mancano più che mai. Ho come una fitta al cuore, come se una parte delle mie emozioni si fosse risvegliata, ma solo quella negativa.
-Non hai ancora tutta la tua anima, se ti allontani da Jack presto non sentirai più nulla di nuovo, è questo che vuoi?
Non è quello contro cui hai combattuto tutta la vita?-
Mi chiede spietata la mia coscienza, io non rispondo.
Non mi è mai piaciuto il torpore, ma mi ha anche protetto da tante cose, da tutti quei piccoli grandi dolori che le persone comuni provano durante l’adolescenza.
Arrivo finalmente al mio appartamento, con un sospiro sistemo la mia nuova attrezzatura e pulisco il soggiorno dai pezzi di quella vecchia. Alla fine riempio un sacchetto della spazzatura solo con quella, buffo come i sogni che mi hanno condotto a risparmiare ogni centesimo per comprarla si siano ridotti così.
Stanca, sia fisicamente che mentalmente esco sul terrazzo della mia camera. Questo appartamento ha due terrazzi: quello della sala dà sul cortile interno, quello della camera sul mare.
Mi accendo una sigaretta e rivolgo uno sguardo malinconico alla strada, al lungomare, ai suoi chioschi, per poi spaziare alla spiaggia buia alla distesa nera dell’oceano.
Sento il rumore delle onde e cerco di concentrarmi su di quello, di solito mi calma, stasera no.
È come se avessi dei pesi attaccati alle braccia che mi impediscono di librarmi in uno stato meditativo. Ripenso agli occhi castani e feriti di Jack, ai suoi goffi tentativi di chiarire con me e mi sento una stronza.
Probabilmente ho esagerato, ma non mi va di essere coinvolta in una situazione che sembra una copia di quella in cui mi sono ritrovata in passato.
Non voglio soffrire ancora, soprattutto ora che so con precisione cosa sia il dolore.
Sospiro e mi porto una mano sul volto, mentre la brezza fredda e profumata di salsedine mi accarezza.
All’improvviso noto una figura sotto uno dei lampioni del lungomare, una figura allampanata che guarda verso la mia terrazza.
Che sia Jack?
Spengo bruscamente la mia sigaretta, prendo il sacco con i resti della mia macchina fotografica e scendo con la scusa di buttarlo nel cassonetto.
Esco da casa mia e poi dal condominio, apro il cassonetto e butto il sacco, poi attraverso la strada facendo attenzione, sotto il lampione non c’è più nessuno.
Rimango un attimo perplessa, chiedendomi se non  mi sono immaginata tutto, poi noto qualcosa che luccica debolmente attaccato alla panchina più vicina. Prendo in mano una catena lunga e sottile di un colore tra l’oro e il rame a cui è attaccata una chiave, la osservo con attenzione per un paio di minuti, poi il mio cuore salta un paio di battiti.
È di Jack, la indossa spesso ultimamente, il che significa che è stato qui e non mi sono immaginata nulla. È consolante sapere che non sto impazzendo.
Mi siedo sulla panchina rigirandomi la collana tra le mani, chiedendomi cosa fare, tenerla?
Buttarla?
Alla fine me la metto al collo, domani gliela restituirò.
Ritorno a casa mia e mi accendo un’altra sigaretta, osservo con attenzione le luci delle navi che si muovono sull’acqua, alcune sono lente, altre più veloci.
Perché Jack è venuto qui e mi ha lasciato la collana?
Cosa significa questo gesto?
Continuo a fumare, poi mi metto a letto e stringo il ciondolo tra le mani, pronta a una notte insonne, invece con mia grande sorpresa mi addormento subito.
Sogno qualcosa di bello che non ricordo la mattina dopo e mi chiedo se non sia merito della vicinanza di quel ragazzo.
Come può una persona ferirti e guarirti allo stesso tempo?
È qualcosa che non riesco a capire, sono sicura che c’entri l’amore, ma non so come.

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Capitolo 20
*** 19)Candele e falene. ***


19)Candele e falene.

 

Karima p.o.v.

 
La mattina dopo sono fisicamente riposata e mentalmente uno straccio.
Lo specchio del bagno mi restituisce l’immagine di una ragazza dagli occhi vuoti e dai capelli verdi sbiaditi. Dovrei ritingermeli, ma non mi sento più in sintonia con il verde, sospirando apro l’anta di un armadietto e cerco tra i vari barattoli di tintura verde della tinta nera, l’avevo presa per mia madre poco prima che lei morisse.
Controllo la scadenza, dopo il lavoro mi tingerò i capelli, guardo il ciondolo di Jack e mi dico che oggi glielo restituirò.
Mi preparo e poi esco dall’appartamento, mi fermo in un bar a fare colazione e infine arrivo alla casa discografica. Non c’è ancora nessuno, quindi sistemo la mia attrezzatura e poi mi metto a giocare con il cellulare. Uno a uno mi passano davanti i membri degli All Time Low e io li saluto con un cenno della mano. Una volta arrivati tutti inizio a lavorare e non restituisco la collana a Jack
Non gliela restituisco nemmeno durante la pausa pranzo o dopo il lavoro.
Perché sono così riluttante a farlo?
Non mi ero detta che lo volevo fuori dalla mia vita?
Forse il mio cuore sta facendo i capricci e sta sabotando le decisioni prese dal mio cervello.
In ogni caso quando arrivo a casa trovo Ava seduta su una delle sdraio della piscina condominiale.
“Ehi, ciao. Lo sa tua madre che sei qui?”
“No, pensa che io sia da un’amica, il tuo nome è ancora tabù in casa nostra.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Dai, vieni. Ho del ramen precotto.”
Insieme saliamo al mio appartamento e io inizio a cucinare.
Una volta servita la cena guardo mia cugina, ha i capelli castani con qualche ciocca più chiara come mia zia e gli occhi di mio zio: è proprio cresciuta.
“Karima?”
“Sì?”
“Cosa c’è?”
“Nulla, pensavo solo che sei cresciuta, tutto qui.”
“Come va con Jack?”
“Ci siamo lasciati.”
“Come mai?”
Le racconto brevemente dell’incontro con le due fan e del litigio successivo.
“Non pensi di avere esagerato?”
Io sospiro.
“Io per lui mi sono messa contro la mia famiglia e contro Adam e lui non è riuscito a dire che ero la sua ragazza a una stupida ragazzina, anzi ha alimentato le sue fantasie malate.
Non funziona così, non c’è rispetto.”
“Credo che l’amore non si misuri in base ai gesti  che si fanno per l’altro…”
“Sì, si misura in base alla sua profondità e blablabla.
Il suo amore per me doveva essere molto profondo se mi ha ignorato completamente, era come se non ci fossi a quel tavolo e non ha capito le mie motivazioni.
Può scusarsi quanto vuole, ma è tardi, Ava.
A volte semplicemente le cose non vanno.”
“O non si vuole farle andare. Quella collana è sua, non è vero?”
“Come fai a saperlo?”
“Gliel’ho vista in alcune foto.”
Io sospiro.
“Ieri era sotto casa mia, mi spiava. Quando sono scesa a vedere se ci fosse davvero o avessi le allucinazioni ho trovato questa collana appesa alla panchina vicina a dove stava lui.”
“Credo che stia tentando di farti sapere che pensa ancora a te, visto che tu non gli parli.”
“Gliela restituirò, avrei dovuto farlo già oggi, ma non ci sono riuscita.”
“E non ti sei chiesta perché?”
Io scuoto la testa, mentendo e sapendo di mentire.
“Probabilmente perché nel profondo nemmeno tu vuoi lasciarlo.”
“Perché dovrei rimanere con un tizio che mi rispetta così poco?”
“Perché lo ami e perché lo sai anche tu che non ti sei comportata bene con lui, che non gli hai permesso di chiarirsi.”
Io sussulto, colpita nel profondo.
“Non… Non posso permettergli di farmi ancora del male, adesso che so cosa si prova.”
“Critichi mio padre dicendo che è troppo orgoglioso, ma tu ti comporti esattamente allo stesso modo.”
“Ava, credo che sia ora che io ti riaccompagni a casa o tua madre si preoccuperà.”
Lei sospira.
“Va bene. Ma promettimi che almeno ci penserai a quello che ti ho detto.”
“Perché volete tutti farmi tornare con lui?”
“Le decisioni prese quando sei incazzata spesso non sono le migliori.”
Sparecchiamo la tavola e poi la riporto a casa.
Una volta fatto quello lavo i piatti e poi mi metto in terrazza a fumare e ad ascoltare il rumore dell’oceano. Mi ha sempre confortato, ma oggi sembra rimproverarmi anche lui.
Mi tolgo la collana in un impeto di rabbia e faccio per lanciarla in strada, ma non ci riesco, la mia mano stretta a pugno rimane sospesa a mezz’aria.
Sospirando la abbasso, la apro e guardo il dannato ciondolo a forma di chiave, chiedendomi se Ava non abbia ragione.
Non lo so, ma domani gliela restituirò senza esitare.
Ho preso la mia decisione e non posso tornare indietro.
Rientro sentendo un peso sullo stomaco, così vado in bagno, prendo la tintura, mi metto i guanti di lattice, la preparo e poi me la spalmo sulla testa.
La lascio in posa il tempo richiesto, poi mi sciacquo i capelli e mi faccio uno shampoo, dopo averli asciugati mi guardo allo specchio. Ora una ragazza dai capelli neri lunghi fino alle spalle con una frangia corta, spenti occhi verdi e un piercing al naso mi guarda con lo stesso sguardo triste di stamattina.
Non è cambiato nulla, ma almeno i miei capelli sono più in tinta con il mio umore, magra consolazione.
Sospiro ed esco di nuovo in terrazza, mi accendo una sigaretta e ascolto il suono del mare, immaginando di volare via verso isole tropicali sospinta dal vento e di atterrare su una spiaggia bianca dove non c’è nessuno che possa farmi male.
Apro gli occhi e sono nelle tenebre di San Diego.
Spengo la sigaretta e vado a letto.
Sogno ancora mia madre che mi dice di dare una seconda possibilità a Jack, perché non posso nemmeno riposare in pace?

 
La mattina dopo striscio fuori dal letto con la bocca impastata e la verve di un cadavere.
Mi faccio una rapida doccia senza lavare i capelli e poi mi guardo ancora allo specchio, mi fa strano rivedere il colore naturale dei miei capelli dopo tante tinte per nasconderlo.
Faccio colazione, indosso un largo maglione nero dall’ampio scollo da cui spunta una canottiera a righe bianche e nere, degli skinny jeans pieni di tagli e gli anfibi.
Sono pronta o quasi per affrontare anche questa giornata di lavoro.
Salgo in macchina e dopo aver attraversato il traffico mattutino di San Diego arrivo alla casa discografica, la signorina Preston lancia un’occhiata perplessa ai miei capelli.
“Ti sta bene il nero.”
“Grazie mille.”
Vado nello studio e comincio a montare la mia attrezzatura come al solito, poco dopo entrano Rian a Zack chiacchierando. Smettono non appena mi vedono.
“Si può sapere che ti succede?
Niente codini e capelli neri?”
“Non penso siano affari vostri e comunque i miei capelli sono naturalmente neri.”
“Non può tornare come prima?”
“No, le cose non possono tornare come prima. Ho l’impressione che mi consideriate una specie di amica, ma io sono solo una dipendente di questa casa discografica. Una volta che il tour sarà finito potremmo anche non vederci mai più, quindi è inutile fingere interesse.”
“Ma noi non fingiamo! Noi siamo preoccupati per te e per Jack.
State male tutti e due e non volete nemmeno risolvere le cose, oggi lui non viene perché dice di essere malato, ma la verità è che non vuole vedere te.”
“Non so cosa farci! Io avevo dato le mie dimissioni, ma non le hanno accettate! Nemmeno a me fa piacere venire qui ogni giorno!”
“Non puoi passare sopra al …”
“No, non posso. Lui mi ha ignorato, lui ha minimizzato il problema e non mi ha ascoltata, che relazione possiamo avere?
Lui che se la gode e io nascosta in un angolo senza diritto di parola?
Perché non mi fate indossare un burqa o un mantello dell’invisibilità già che ci siete?
Non pretendo che lo scriva sui muri o lo gridi a ogni intervista che mi ama o che sono la sua ragazza, ma non voglio essere ignorata e non voglio che si incoraggino bugie quando ci sono io.
Io non sono la bambola di nessuno!”
Non me ne sono accorta, ma man mano che il mio discorso proseguiva ho alzato la voce fino a urlare.
“Scusate, torno subito.
Quello che ho fatto è stato poco professionale e ho bisogno di darmi una calmata se voglio poter lavorare oggi.”
Uscendo mi scontro con Alex.
“Ho sentito quello che hai detto, mi dispiace, ok?”
Io non dico niente e lo oltrepasso rapida, sento l’aria mancarmi. Arrivo all’atrio e poi finalmente all’aria aperta, dove inizio a respirare profondamente, concentrandomi sull’aria che entra ed esce dai miei polmoni.
Dopo qualche minuto inizio a sentirmi decisamente meglio, ma rimango fuori ancora un po’ per essere sicura di avere del tutto recuperato il mio autocontrollo.
Quando me la sento rientro e torno allo studio, sono tutti già ai loro posti.
“Jack non c’è oggi.”
Mi dice Alex.
“Lo so, Zack e Rian me lo hanno già detto.”
Annuisce.
Loro iniziano a lavorare e io a fotografare quello che ritengo necessario o adatto senza parlarci ed è meglio così. Quello che è successo prima è la prova che non sono ancora pronta ad avere una conversazione con loro.
Per la milionesima volta mi chiedo perché mi sia proposta per questo lavoro, io non sono adatta a stare tra la gente, sto meglio dietro alla scrivania di un ufficio.
Non avrei mai dovuto dare retta ad Adam o a mio zio, lavorando qui mi sono successi solo casini.
-Ok, dopo questa parentesi scomoda tornerai alla Fueled By Ramen e striscerai per riottenere il tuo posto.-
Sì, penso che farò così.
Eppure c’è una parte di me che si ribella all’idea, che vuole continuare a fotografare.
È questo il problema con il fuoco, non ti bruci soltanto, a volte qualcosa si accende dentro di te e non riesci più a spegnerlo e Jack è stato fuoco per me.
“Karima?”
La voce di Rian mi riporta alla realtà.
“Sì?”
“È arrivata la pausa pranzo.”
“Ok, grazie.”
“Vieni a mangiare qualcosa con noi?”
“No, grazie.”
“Dai, dovremo fare un tour insieme!”
“E voi mangiate con i vostri tecnici di solito?”
“A volte.”
“Fate che questa sia una di quelle volte che non vi va.”
“Per favore, Karima. Lasciaci rimediare ai nostri errori.”
“È troppo tardi.”
Guardo Alex e lui distoglie lo sguardo.
“Mi dispiace, Karima.
Mi sono comportato male con te, ho pensato solo a Jack e non ho ascoltato la tua versione, mi dispiace.”
“Mi hai messo le mani addosso, Gaskarth.”
“Mi dispiace anche per quello, non avrei dovuto farlo.”
Non so cosa fare, mi sento come se fossi in trappola: una parte di me vorrebbe accettare le  loro scuse, un’altra no.
Mi guardo intorno con aria disperata, perché sento di nuovo il respiro venire meno, alla fine il mio mondo diventa nero e sento le forze abbandonarmi.
Mi risveglio in un locale molto bianco sdraiata su di un lettino, non sembra un ospedale, la porta si apre ed entra la signorina Preston.
“Dove sono?”
Chiedo con voce cavernosa.
“In infermeria.”
“Co-cosa mi è successo?”
“Niente di grave, sei solo svenuta. È stato un semplice calo di zuccheri forse dovuto a un qualche shock. Sei rimasta incosciente per un po’.”
La porta si spalanca ed entra un Jack dall’aria trafelata.
“Co-cosa ci fai qui?”
Chiedo tirando il leggero lenzuolo fin sopra il mento.
“Alex mi ha chiamato dicendomi che eri collassata, era nel panico più totale.”
“Sono solo svenuta, l’erba cattiva non muore così facilmente.”
“Karima, ero solo preoccupato per te.”
“Non ce n’era bisogno, so cavarmela da sola.”
Jack guarda la signorina Preston, poi esce.
“Per quanto ancora vuoi farlo soffrire?”
“Io vorrei solo che mi lasciasse in pace.”
“Non è vero e lo sappiamo tutte e due, ti sei innamorata di lui e certi sentimenti non si cancellano così facilmente.”
“Io non provo sentimenti.”
“So riconoscere una ragazza innamorata quando ne vedo una e tu sei innamorata di quel ragazzo e credo che tu gli interessi abbastanza da precipitarsi qui per un semplice svenimento.”
Io non dico nulla.
“Cosa è successo, comunque?”
“Rian mi ha chiamato per la pausa pranzo, mi hanno chiesto di uscire con loro e io ho rifiutato.
Poi Alex si è scusato e all’improvviso tutto è diventato nero.”
Lei mi guarda paziente.
“Dà loro una seconda possibilità, non sono cattivi ragazzi alla fine.”
Io rimango di nuovo in silenzio.
“Alex ha tentato di picchiarmi.”
“Ma si è pentito.”
“Sì, mi ha anche chiesto scusa, ma io faccio fatica a credergli. Di solito passavo sopra a cose come queste perché non sentivo dei sentimenti, ma questa volta è diverso.”
“Sono sicura che al momento giusto, dentro di te, saprai cosa fare.
Stai sdraiata per un’altra decina di minuti e poi portai alzarti.”
“Va bene.”
La signorina se ne va lasciandomi sola con i miei pensieri, uno più confuso dell’altro. Davvero alla fine non sono poi così pessimi?
Beh, Alex si è scusato e gli altri hanno tentato di fare pace, ma io sono spaventata, ho paura che mi possa ferire di nuovo se non peggio.
E poi c’è Jack. Jack che mi ha lasciato il suo ciondolo e si è precipitato qui non appena ha saputo che sono stata male. Perché lo ha fatto?
Se per lui sono una tizia da nascondere perché preoccuparsi così tanto?
Mi porto le mani alla testa e rimango sdraiata per dieci minuti, poi mi alzo cautamente in piedi e noto che non crollo a terra né mi gira la testa.
Sto di nuovo bene.
Esco dall’infermeria, Jack è appoggiato al muro.
“Cosa ci fai qui?”
“Volevo sapere come stavi.”
“Meglio, è stato un semplice svenimento, niente di che.”
“Ma c’erano i ragazzi…”
“Se ti chiedi se siano violenti o qualcosa del genere, la risposta è no.
Si stavano scusando a dire il vero, soprattutto Alex, io sono svenuta all’improvviso. Tutto qui, nulla di strano. Sarà stato un calo di zuccheri.”
“Karima, possiamo parlare di quello che è successo tra di noi?”
“No. È già stato detto tutto.”
“Non mi hai lasciato parlare, spiegare…”
“Che cosa, Jack?
Qualsiasi cosa che non mi facesse sentire una pazza esaurita non l’hai detta quella notte. Il resto è storia.”
“E i tuoi capelli?”
“Sono naturalmente neri, è un ritorno alle origini.”
“Karima, ti prego.”
“Scusa, ma devo tornare a lavorare e ti consiglierei di tornare a casa, ti sei dato malato e non sarebbe una bella cosa se ti trovassero qui in perfetta salute.
Ciao, stammi bene.”
“Karima.”
Lo guardo con un grande sforzo.
“Un giorno mi ascolterai e capirai e le cose torneranno come prima, ne sono sicuro.
Io sono qui che ti aspetto.”
Io non so cosa dire, quindi – dopo averlo guardato per un po’ – giro i tacchi e torno allo studio di registrazione. Su un tavolo c’è del cibo che proviene dal più vicino Mac Donald.
“Non hai mangiato.”
Butta lì a mo’ di spiegazione Alex.
“Grazie.”
Io mi siedo e mangio in silenzio, è tutto ottimo come al solito, non c’è nulla di cui lamentarsi.
“Grazie, era tutto buonissimo.”
Dico mentre butto i cartoni nel cestino.
“Di niente. Tu stai meglio?”
“Sì, grazie.”
“Hai parlato con Jack.”
“Sì, ma non abbiamo chiarito, io non mi fido ancora di lui.”
Alex sospira, ma non dice nulla.
Riprendiamo a lavorare senza dirci molto, solo le cose essenziali e con una lentezza impressionante arriva la fine anche di questa giornata lavorativa.
Non vedo l’ora di fare la muffa sul divano, viva la vita!
Finalmente anche questo giorno di lavoro finisce, smonto la mia attrezzatura e saluto la band con aria assente, poi – visto che sono l’ultima – chiudo a chiave lo studio e consegno le chiavi al portiere.
La fresca aria notturna è un toccasana dopo tante ore passate al chiuso, con un mezzo sorriso vado verso la mia macchina e carico tutto nel baule.
Tanto per cambiare c’è traffico e arrivo a casa piuttosto tardi, dopo aver trascinato tutto fino al mio appartamento mi faccio una doccia e cucino un po’ di pasta.
Sono talmente stanca che non mi va nemmeno di guardare la tv, quindi vado direttamente in terrazza e mi accendo una sigaretta per poi lasciarmi cadere senza grazia su di una sedia di plastica.
Il mio sguardo vaga dal mare al lungomare e lo vedo di nuovo: un’altra figura con una ciocca di rossa tra irti capelli neri.
Jack.
Fermo nello stesso punto dell’altra volta, lo guardo ipnotizzata, indecisa se ignorarlo e scendere a dirgliene quattro.
Alla fine decido di lasciar perdere, non ho la forza di affrontare un altro litigio con lui o forse ne ho paura.  Ho paura di cedere e di dargli una seconda possibilità, ho paura di farmi male di nuovo.
Ma lui per me è l’equivalente di una candela per una falena, per quanto ancora resisterò alla tentazione di avvicinarmi a lui?
Non lo so e la cosa mi spaventa.
Sono sempre stata io ad avere il controllo della situazione e ora che non è così non so cosa fare.
Finita la sigaretta mi butto a letto, la mano stretta alla collana di Jack, e cado in un sonno senza sogni.

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Capitolo 21
*** 20)La chiave. ***


20)La chiave.

 

Karima p.o.v.

 

Un mese dopo, alla metà di novembre, il tour parte o almeno la parte prenatalizia.
A un’ora assurda della notte chiamo un taxi e carico le mie valigie per il tour augurandomi di non avere dimenticato nulla. Entro in macchina con gli occhi gonfi di sonno facendo un inventario mentale di quello che ho caricato adesso e delle valigie che ho portato oggi al lavoro.
La macchina percorre una San Diego tranquilla, ma con ancora qualcuno in giro come accade in ogni grande città. Dicono che le grandi città siano come animali che non dormono mai e probabilmente è vero. Arrivata alla Hopeless Record pago il taxista e Rian mi aiuta a scaricare i bagagli. Ho ripreso a parlare con la band, ma non con Jack, è già qualcosa immagino.
Una volta chiuso il cofano del bagagliaio la macchina riparte, io e il batterista mettiamo alcune cose nel bagagliaio del pullman e altre le porto sul tourbus.
Gli altri sono già dentro, Jack dormicchia sul divano, Alex e Zack sono seduti a un tavolinetto con la testa che ciondola.
“Che la festa abbia inizio.”
Mugugna il cantante.
“Se non vi offendete vado a letto, sono stanchissimo. Non ho dormito per salutare Lisa come si deve.”
“Selvaggio.”
Grugnisce il bassista.
“Vado a letto anche io o devi farci qualche foto, Karima?”
“No, senza offesa sembrate dei morti viventi e ho sempre pensato che fotografare la gente mentre dorme sia una cosa un po’da maniaci. E poi ho sonno anche io.”
“Bene, allora ti faccio vedere il tuo bunk.”
Il cantante si alza, scosta la tenda che divide la zona giorno da quella notte e mi indica un minuscolo lettino chiuso da tende.
“Sei sopra al bunk di Jack, ho pensato che sarebbe stato meglio per te non essere chiusa in un bunk al piano terra al tuo primo tour. Sono piuttosto claustrofobici.”
“Grazie e poi speri che io chiarisca con lui, vero?”
“Qualcosa del genere.”
“Ok. Adesso sistemo le mie cose e mi metto in pigiama, di solito dormo con una maglia a mezze maniche lunga. È un problema per voi?”
“No. Non giriamo in boxer solo perché non è estate.”
Rapidamente metto via le mie cose negli spazi che mi sono stati indicati, poi vado in bagno e mi metto una lunga maglia degli Avenged Sevenfold.
“Bel pigiama.”
La voce di Jack è impastata dal sonno.
“Grazie, buonanotte.”
Rispondo piuttosto fredda, per poi scostare le tende e infilarmi sotto le lenzuola fresche.
Dovrei analizzare il fatto che lui mi abbia vista mezza nuda, ma sono semplicemente troppo stanca per farlo. Il mio cervello non connette molto bene e infatti mi addormento cinque minuti dopo che ho appoggiato la testa sul cuscino.
Finisco per ritrovarmi su una delle spiagge di San Diego, è piena estate perché il sole è caldo sulla pelle ed è una bella giornata, una di quelle che ti invitano a fare un bagno nell’oceano.
Seduta, mi domando se non sia il caso di alzarsi e raggiungere la distesa d’acqua davanti a me, quando qualcuno mi si siede accanto.
Incuriosita mi volto e mi ritrovo faccia a faccia con mia madre, i capelli neri sciolti mossi dalla leggera brezza, senza l’hijab sembra ancora una ragazzina.
“Mamma.”
“Karima. Vedo che hai deciso di tornare al tuo colore naturale, stai molto bene.”
“Grazie, mamma. Com’è la vita dall’altra parte? Se esiste quest’altra parte e non sei frutto della mia immaginazione.”
“Allora ti ho insegnato davvero poco, certo che esiste l’aldilà, ma non è permesso parlarne ai vivi, morti e vivi non devono mischiarsi.”
“E allora perché sei qui?”
“I sogni sono un canale percorribile perché si possono dimenticare se si vuole.”
“Credo di capire, non influenzano la tua vita a meno che tu non glielo permetta.”
“Esatto.”
Io mi accendo una sigaretta, lei me ne ruba una dal pacchetto e se la accende a sua volta.
“Fumavo quando ho conosciuto tuo padre, la mia famiglia era una molto tradizionalista e fumare mi sembrava un grande gesto di ribellione visto che non era permesso alle donne o almeno a quelle non sposate.  Alcune donne sposate lo facevano se il marito glielo permetteva.
Poi ho conosciuto tuo padre e lui mi ha convinto a smettere, ma ho sempre avuto la tentazione di riprendere. Dall’altra parte posso fumare senza pericolo di morire.”
Ride, io la guardo senza capire.
Non è venuta di sicuro per raccontarmi che una volta fumava.
“Mi hai già chiesto perché sono qui.”
“Sì, l’ho fatto, ma tu non mi hai risposto.”
“Sono venuta per Jack.”
Io mi irrigidisco.
“Mamma, ne abbiamo già parlato: non è il ragazzo per me.”
“È la tua anima gemella, vedo la tua anima dentro di lui.”
Io sospiro.
“Mamma, inizio a credere che non sia vero, che sia io a possedere la mia anima come tutti.”
Lei mi rivolge un’occhiata penetrante.
“Da quando hai iniziato a mentire a te stessa? Forse da quando lasci che l’orgoglio guidi le tue azioni?”
“Ma lui non mi ha rispettato, non si è comportato bene con me, mi ha trattato come un sacco di merda.”
“Lo so, lo so.”
Mi prende le mani.
“Ma ha anche cercato di scusarsi e di sistemare le cose, ma tu non glielo hai mai permesso.”
“Nessuno ama essere fregato due volte se può evitarlo.”
“E allora perché porti al collo la collana che ti ha dato?
Perché in un mese non gliel’hai ancora restituita, nonostante tu abbia avuto mille occasioni per farlo?”
Io non rispondo.
“Perché in fondo al cuore ti importa ancora di lui e a lui importa molto di te e prima lo accetterai e meglio sarà per tutti, soprattutto per te.
Sei stata bene in questo mese?”
All’improvviso tutto inizia a tremare e vengo risucchiata in un buco che si è formato a pochi centimetri dai miei piedi.
Precipito nel nero e urlo.
Urlo che qualcuno mi salvi.

 
Mi sveglio nel mio bunk, sudata e ansante.
Appoggio le mani sulla fronte e cerco di regolarizzare il respiro, una volta raggiunta una calma accettabile, mi metto una felpa e un paio di jeans e striscio in cucina.
Mi sento ancora scossa, fuori è mattina presto e vorrei dormire ancora un po’cerco delle bustine di camomilla senza trovarle.
“Cazzo!”
Impreco a bassa voce.
“Karima?”
Mi volto e vedo Alex solo in boxer e maglietta.
“Sì, Alex?”
“Cosa c’è?”
“Cerco della camomilla, ma non la trovo.”
“Non c’è camomilla su questo pullman, solo del the.”
“Okay.”
Rispondo rassegnata e mi faccio una tazza di the, lui rimane a guardarmi.
“Cosa c’è?”
“Nulla, ho avuto un incubo.”
“Di che genere?”
Io mi guardo attorno, il pullman sembra deserto, ma non si può mai sapere.
“Jack dorme?”
“Sì.”
“Bene. Allora sediamoci sul divano, almeno ti copri con la coperta.”
Lui annuisce e andiamo nella zona relax, lui si avvolge in una coperta e mi guarda curioso.
“Ero su una delle tante spiagge di San Diego, era una bella giornata estiva di quelle che ti fanno venire voglia di farti un bagno e fanculo i problemi. Stavo per andare verso l’oceano quando è arrivata mia madre.”
“E non è bello?”
“In un certo senso sì. Abbiamo parlato dell’aldilà e poi il discorso è finito su Jack. Secondo lei è la mia anima gemella e dice che vede la mia anima dentro la sua. Le ho detto che si è comportato male con me e non mi ha rispettata, ma lei mi ha detto che anche io ho sbagliato, che non gli ho permesso di scusarsi e che mi sto facendo trascinare dall’orgoglio.
Ah! E mento anche  a me stessa quando metto in dubbio la faccenda dell’anima gemella o della mia mancanza di un’anima. Poi si è aperta una voragine sotto di me e sono precipitata nel nero e mi sono ritrovata nel mio letto.
Che cazzo! Perché tutti mi mettono pressione addosso, persino l’anima di mia madre, io non ce la faccio più!”
Esclamo frustrata.
“Forse perché tutti vogliamo aiutarti a riflettere, Jack ti piace ancora o non porteresti la sua collana.”
Io sospiro.
“Dovrei restituirgliela, ma ogni volta che ci provo qualcosa mi blocca.”
“Credo che sia il tuo istinto.”
“Forse.”
Mi prendo la testa tra le mani, perché è tutto così complicato a questo mondo?
Alex mi passa un braccio attorno alle spalle.
“Andrà tutto bene, Karima. In qualche modo tutto si risolverà, se siete destinati a stare insieme arriverà un momento in cui tutti i tuoi dubbi e le tue paure spariranno, non perché qualcuno le abbia cancellate come per magia, ma perché la paura di perdere Jack diventerà più forte.”
“Se lo dici tu…”
All’improvviso sento uno sguardo ostile su di me, Jack torreggia su me e Alex accigliato. Le mani sui fianchi con addosso solo un paio di jeans.
“Cosa sta succedendo?”
“Nulla, Karima ha solo avuto un incubo.”
“E da quando la consoli? Mezzo nudo soprattutto.
Pensavo non la sopportassi.”
Io mi stacco da Alex bruscamente.
“Jack non sta succedendo nulla, non c’è bisogno di reagire così.”
Lui mi guarda a lungo e poi se ne va.
Poco dopo arrivano anche gli altri e si mettono tutti intorno al tavolo a fare colazione, Jack non parla ad Alex nemmeno per errore. Io rimango sul divano a guardare sentendomi un sacco di merda che porta solo guai. Finita colazione Jack torna nella zona dei bunk e Alex rimane seduto al tavolo, faccio un cenno a Rian.
“Cosa sta succedendo?”
“Credo che Jack sia geloso di Alex, ma cosa è successo?”
“Nulla. Ho avuto un incubo e Alex mi ha consolata, Jack è arrivato e non ha gradito la cosa.
Credo sia meglio che vada nella cabina dell’autista, almeno lì non combinerò guai.”
Mi alzo dal divano e raggiungo la cabina, l’autista è un uomo di circa cinquant’anni con un’espressione tranquilla.
“Tira una brutta aria là?”
“Che?”
“Di solito la gente che viene qui vuole scappare dall’atmosfera pesante, pensano tutti che la vita della rockstar sia rose e fiori, ma sono umani anche loro e hanno i loro momenti no.”
“Ha perfettamente ragione.”
“Dammi del tu.”
“Ma lei po… no, non fa niente.”
Lui mi lancia un’occhiata perplessa di sbieco.
“Stavo per dire che lei potrebbe essere mio padre, ma mio padre è morto due mesi fa.”
“Mi dispiace, un cancro?”
Io rido amara.
“Uno stronzo ubriaco è andato addosso alla macchina dei miei genitori a New York, sono morti tutti e due, il bastardo non si è fatto nulla.”
“Mi dispiace davvero.”
Rimaniamo in silenzio.
“Cosa è successo?”
“Diciamo che io e Jack abbiamo avuto una mezza storia che è finita perché io mi sono tirata indietro. Ho avuto un incubo, Alex mi ha consolata, Jack si è arrabbiato.
Secondo Rian è geloso di Alex.”
“E ha una qualche ragione per esserlo?”
“No. Alex non mi piace e ha una ragazza.”
“Vedi, ragazzina…”
“Mi chiamo Karima.”
“Karima. Molte ragazze in passato si sono interessate a Jack per arrivare ad Alex, il fromtman figo e stronzate simili. Jack ci ha sempre riso sopra e ha sempre detto che almeno ci ha rimediato del buon sesso, ma in realtà ci è rimasto male. Pensa di valere meno di Alex, ma non glielo dice per non farlo rimanere male.”
“E lei è sicuro di queste cose?”
“Me le ha dette Jack, io conosco i loro segreti.”
Io stringo i pugni.
“Se lei conosce i loro segreti può togliermi un dubbio?”
“Dimmi.”
“Alex e Jack hanno mai avuto una storia? O ce l’hanno tuttora?”
“Hai scoperto del Jalex o ti sei scontrata con qualcuno che ha tentato di fartelo digerire come verità?”
Io annuisco.
“È tutto falso, non c’è mai stato nulla fra di loro, sono solo amici.”
“Capisco. Si può fumare qui dentro?”
“Sì.”
“La mia risposta non ti ha soddisfatta.”
“Non del tutto. Il problema è più profondo, Jack mi aveva chiesto di diventare la sua ragazza e io avevo accettato, poi abbiamo incontrato una ragazzina che si è messa a blaterare su come il jalex fosse l’obbiettivo della relazione con il suo ragazzo. E Jack non solo è stato zitto e mi ha ignorato come se non ci fossi, ma l’ha anche incoraggiata. Quando gliel’ho fatto presente, lui ha tentato di farmi credere che fossi solo una pazza che si arrabbiava per nulla.
È questo il problema, se nelle sue priorità vengo dopo una bugia che futuro possiamo avere?
Può scusarsi quanto vuole, ma le azioni rimangono.”
“Sì, ma a volte possiamo dare una seconda possibilità, forse lui non credeva fosse così grave.”
“E allora non ha mai capito nulla di me.”
Mi chiudo di nuovo nel mio silenzio, sento la rabbia pulsare e ripenso a tutte le volte che le persone mi hanno ignorato, finto sentimenti per me o usato per arrivare a mio zio o ad Adam.
È un nodo in gola che non si scioglie e che mi soffoca.
“Perdonalo e starai meglio, forse pensi che sia una cazzata, ma a volte il perdono libera.”
“Mi dispiace, ma non sono d’accordo.”
“Sei una ragazza tosta, a volte dura, ma molto più autentica di tante persone che fanno le buoniste, forse è per questo che piaci a Jack.”
Io non dico nulla.
Dopo non so quanto tempo Zack si affacci alla cabina.
“Karima, è pronto il pranzo.”
“Arrivo, grazie della chiacchierata.”
Dico all’autista.
“Di niente, Karima.”
Seguo Zack con aria depressa, non muoio dalla voglia di tornare in una zona di guerra.
“Cosa si mangia?”
“Hambuger e patatine fritte.”
“Va bene. Com’è la situazione di là?”
“Alex e Jack ancora non si parlano.”
“Lo sapevo che dovevo insistere con la storia delle mie dimissioni, cercherò di risolvere questa cosa.”
Lui annuisce.
Ci sediamo al tavolo e mangiamo in silenzio, il cibo non è male.
“Tutto buonissimo. A chi devo fare i complimenti?”
“A me.”
Risponde Zack.
“Allora, complimenti Zack.”
Jack sbuffa, io lo guardo.
Gli altri percepiscono la tensione e levano la tende.
“Jack, io e te dobbiamo parlare.”
“Ah, ora mi parli?
Cos’è? Vuoi dirmi che trovi Alex più interessante o che è lui il proprietario della tua anima?”
“No! Stai facendo casino per niente!”
“Ho avuto una buona maestra.”
Io non replico, non sono qui per gettare benzina sul fuoco.
“Io e Alex siamo solo amici.
Non che ci si possa definire migliori amici, ma non siamo quello che pensi tu, non sono interessata ad Alex.”
“E allora perché con lui parli e con me no?”
“Dio, Cristo! È possibile che tu sia così idiota?”
“Sì, sono un cazzo di idiota che vuole una spiegazione!”
Dice alzandosi violentemente in piedi, tanto da ribaltare la sedia su cui era seduto.
“Alex è solo un amico, è per questo che sono passata sopra alle sue azioni.
Tu non eri un amico, coglione, tu eri qualcosa di più!
Mi avevi chiesto di diventare la tua ragazza e di avere un posto della tua vita, ma poi mi hai dimostrato che nella tua vita per non c’era spazio. Mi hai ignorato e mi hai dato della pazza, e io…
Io ti amavo e forse ti amo ancora, ecco perché non ti parlo.
Tu mi hai ferita e hai deciso che non te ne fregava nulla.”
Con un gesto teatrale mi tolgo la sua collana e la butto per terra, poi esco come una furia dalla minuscola cucina e vado a rifugiarmi nel mio bunk.
Inizio a piangere disperata pensando che questo ragazzo non ha capito nulla di me e che è un idiota. Sento la tenda tirarsi.
“Vai via, chiunque tu sia, ne he piene le scatole delle band!”
“Sono io, Rian.”
“VAI VIA!”
La tenda si tira di nuovo e io vengo lasciata da sola con il mio dolore, erano anni che non piangevo così, forse è la somma di tutte le cose che mi sono successe ultimamente.
Ogni tanto anche le persone senza anima come me si devono sfogare o impazziscono.
Continuo a piangere, il petto squassato dai singhiozzi fino a che non mi addormento, ovviamente il mio sonno è turbato da ogni genere di incubi: dalla morte dei miei, a quella fatidica serata in cui io e Jack abbiamo litigato, al fatto che il fantasma di mia madre mi perseguiti.
Quando mi sveglio, ho gli occhi secchi e un gran mal di testa, sbadiglio e mi dico che è arrivata l’ora di prendere un antidolorifico.
Allora mi accorgo che c’è qualcosa sul mio cuscino: una collana che ha come ciondolo una chiave di bronzo con un biglietto accanto.

“Sono stato uno stupido, scusami.
Per favore non togliertela più, almeno so che per noi c’è ancora speranza, che in qualche modo rimetteremo a posto tutto.
Ti prego.

Jack”

Io me la sto per infilare in tasca per ridargliela, ma la mia mano scatta verso l’alto e mi ritrovo a indossarla di nuovo.
Cos’è questa forza sconosciuta che guida le mie azioni?
Destino, amore o qualcos altro? Oppure qualcun altro?

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Capitolo 22
*** 21)Solo una figlia rotta. ***


21)Solo una figlia rotta.

 

Karima p.o.v.

 
Il giorno dopo – il secondo del tour – mi sveglio con un gran mal di testa e una voglia pazzesca di vomitare.
Probabilmente le emozioni del giorno prima mi hanno scombussolato al punto che mi sembra di avere compiuto una traversata con un mare in burrasca invece di essere su di un pullman.
Con la verve di un cadavere striscio fuori dal mio lettino, metto un paio di jeans e un golf lungo arancione e mi avvio verso la cucina.
Sono tutti svegli tranne Jack.
“Dove sono le aspirine in questo manicomio?”
“A che ti servono?”
Mi chiede Zack, che mi dà le spalle intento a cucinare quelle che sembrano uova e bacon.
“Girati e capirai da solo.”
Lui esegue e trasalisce.
“Cazzo, che brutto aspetto! Sembri la morte.”
Io gli lancio un bacio sarcastico e mi lascio cadere su una sedia.
“Ti sei ubriacata?”
“No, a meno che l’abbia fatto da sonnambula.”
Non appena Zack ha finito, mi preparo un the che bevo insieme a qualche biscotto, cercando disperatamente di non vomitare il tutto.
“Le aspirine sono nel primo cassettino del bagno.”
“Grazie, Rian.”
Vado a prenderne una, poi mi fumo una sigaretta e mi sdraio sul divano in attesa che faccia effetto. Mezz’ora dopo il senso di nausea è sparito, il mal di testa è notevolmente diminuito e mi sembra di sentire una scintilla di vita.
Ottimo, metto un paio di calzini e tiro fuori la macchina fotografica, devo o non devo documentare questo tour?
Alex e Zack stanno giocando alla play, Rian si sta esercitando con il suo kit portatile, io scatto foto a tutti, cercando di cogliere al meglio le loro espressioni e con la vaga idea di trasformarle in foto in bianco e nero con la magia dei programmi di grafica.
“Ma Jack?”
Chiede il batterista.
“Non si è ancora visto, qualcuno vada a controllare che non sia morto.”
Il cantante e il bassista sbuffano, Rian si alza, all’improvvisto qualcuno mi afferra per il polso e mi costringe a girarmi. Un click e una foto esce da una vecchia polaroid tenuta in mano da Jack che la sventola soddisfatto.
Io sono troppo sorpresa e sconvolta per protestare, ma mi riprendo subito e cerco di afferrare la foto, ma lui è tropo alto per me. Forse potrei dargli un calcio nei coglioni in modo che si abbassi, ma sono pagata per fotografare i ragazzi e non per far loro del male. Jack la studia tenendola in alto.
“Oh, sì! Sei uscita proprio bene!”
“Fa’ vedere!”
Alex si alza e Jack gli passa la foto alzandosi sulla punta dei piedi, che rabbia!
“Sì, è carina!”
“Ma bene, rubami anche il lavoro!”
Sbotto arrabbiata e la prendo dalle mani di uno stupefatto Alex. La foto fa schifo, ho un’espressione sorpresa che qualcuno potrebbe definire buffa e tenera, i capelli raccolti in una crocchia grazie a una matita e gli occhi con il trucco nero leggermente colato. Sto per strapparla, ma il chitarrista è più veloce di me e si rifugia nel suo bunk.
“L’ho messa dove non la troverai mai, quindi non provare neanche a cercarla.”
“Perché diavolo mi hai fatto una foto?”
“Visto che non vuoi parlarmi parlerò alla tua foto.”
Cerco qualcosa di velenoso da replicare, ma non mi viene in mente nulla, così lui se ne va in cucina con un ghigno soddisfatto dipinto su quella faccia da impunito.
“Cosa devo fare con lui?”
Urlo frustrata.
“Tornare a parlare con lui?”
“Dargli una seconda possibilità?”
Mi rispondono in coro Zack e Alex, io grugnisco insoddisfatta.
Perché nessuno mi capisce?
“Karima, trascorreremo mesi insieme, non puoi continuare a evitarlo.”
“Saremo a casa tra meno di un mese per Natale.”
“E dopo?”
“Dopo non lo so.”
Provo una curiosa sensazione, una parte di me vorrebbe dare loro retta, l’altra grida “no” e mi ricorda perché io e Jack non ci parliamo più.
Un’ora dopo, dopo aver scattato altre foto tra cui alcune anche a Jack – sebbene con estrema riluttanza – Alex si alza in piedi e mi guarda.
“Sarebbe mezzogiorno, ora di pranzo.”
“E perché me lo dici?”
Poi spalanco gli occhi.
“Oh! Vuoi che io cucini!”
“Sì.”
“Sì, va bene. Mi cimenterò nell’ardua impresa di preparare un piatto di pasta.”
“Guarda che siamo esigenti.”
Io sbuffo.
“Ti do una mano!”
Dice Jack, urlano tutti “no!” in coro, lui guarda ferito i suoi amici.
“Beh?”
“Senza offesa, Jack, ma sei un pericolo per l’umanità quando ti avvicini a una cucina. Sei riuscito persino a far bruciare la minestra.”
“Begli amici che ho.”
Borbotta lui.
Io sono felice che non cucini con me, saremmo troppo vicini in uno spazio troppo ridotto.
Lui proverebbe a fare qualcosa e io non me la sento, ho paura di cedere perché sento che è quello che tutti vorrebbero, ma non quello che voglio io.
Se mai dovessi tornare a parlargli deve essere una cosa spontanea, non così forzata.
In ogni caso vado in cucina, metto una pentola di acqua calda sul gas, ci butto una manciata di sale, e poi misuro le porzioni di pasta per cinque persone. Metto del sugo in un pentolino e aggiungo un po’ di cipolla e aglio.
Quando l’acqua inizia a bollire ci verso la pasta e metto sul gas il sugo.
“Ragazzi, preparate la tavola.”
Rian e Zack arrivano, da fuori arrivano rumori di lotta.
“Che sta succedendo?”
“Niente, Alex sta convincendo Jack a preparare la tavola con lui ricordandogli che la cucina è zona off limits.”
Io scuoto la testa, non sapendo cosa pensare.
Perché diavolo lui si è così fissato su di me con tutte le ragazze che ci sono al mondo?
In qualche modo la tavola viene preparata e servo la pasta.
“Buon appetito.”
Annuiscono e iniziano tutti a mangiare e questo elimina la conversazione, una cosa molto bella.
Finito il pranzo lavo io i piatti, al mio ritorno nella zona relax Rian sta guardando qualcosa sul suo computer – forse un film – e intanto messaggia con Cass, Alex e Zack stanno finendo la partita di questa mattina e Jack sta suonando qualcosa con la sua chitarra. Qualcosa che somiglia pericolosamente a “Remembering Sunday”. La sua collana pesa un po’ di più attorno al mio collo, io torno nel mio bunk e prendo la macchina fotografica. Faccio altre foto, poi mi ritiro a leggere un libro, peccato che perda la concentrazione ogni tre righe. Irritata con me stessa lascio perdere e apro il mio portatile, mi connetto a internet e cerco un film da vedere.
Come al solito finisco per vedere qualcosa dello Studio Ghibli, questa volta scelgo “Una tomba per le lucciole” perché se dobbiamo deprimerci è meglio farlo alla grande con un film che mostra la crudeltà della guerra, soprattutto quando colpisce i più deboli come i bambini.
A metà film la tenda si apre e la faccia di Jack fa capolino.
“Che stai facendo?”
Io non rispondo.
“Per quanto vuoi continuare a non parlarmi?”
Non rispondo di nuovo.
“Fino alla fine del tempo? Fino a che non ti chiederò perdono in ginocchio su dei ceci in una gelida notte invernale?”
Io sbuffo.
“Dimmi cosa devo fare.”
“Lasciarmi in pace.”
“No, ti ho lasciata in pace fin troppo.  Non voglio perderti, voglio farti capire che ho imparato la lezione.”
Io scuoto le spalle.
“Porti ancora la mia collana.”
Io gli lancio un cuscino, questo lo zittisce e lo allontana, due piccioni con una fava.
Peccato che non serva assolutamente a nulla, ormai la mia concentrazione oscilla tra Jack e il film, non esattamente il risultato sperato.
È vero, mi dico, una volta che hai capito com’è avere dei sentimenti, non riesci a tornare alla cara vecchia apatia.
Irritata tiro fuori il mio basso e inizio a suonare qualcosa, tempo cinque minuti quattro paia di occhi maschili mi fissano, solo quelli di Zack sono curiosi.
“Allora lo sai suonare davvero il basso.”
Mi dice quest’ultimo.
“Così parrebbe, ma come mai siete tutto qui?”
“Abbiamo sentito qualcuno suonare e non capivamo chi fosse.”
“Mi sento un cazzo di leone allo zoo.”
Borbotto io, facendo per togliermi lo strumento dal grembo.
“No, continua.”
Io sbuffo e inizio a suonare “Carousel” dei blink-182, facendoli ammutolire.
“Tu non la sai suonare così, Merrick.”
“Non hai detto che è stato Tom DeLonge a darle lezioni di basso?
Ci scommetto che lo sa suonare così bene, ha preso lezioni da chi lo ha scritto.”
“Mi stai sfidando? Sta bene.”
Suono “Part II” dei Paramore, “Lullaby” dei Cure, “Undisclosed desires” dei Muse e “Money” dei Pink Floyd.
Questo pare zittire il bassista.
“Ok, me la sono cercata.
Mi ritiro, spero solo che dopo questo non mi caccino dalla band e prendano te.”
“Non voglio entrare in una band.”
Dico frettolosa io.
“E noi non vogliamo sostituirti.”
Detto questo se ne vanno tutti e mi lasciano al mio basso, io continuo a suonarlo assecondando le idee che mi vengono, le solite melodie tristi che hanno sempre accompagnato la mia vita.
È bello sapere che qualcosa non cambierà mai, dà un senso di sicurezza.
Dopo non so quanto tempo la tenda si apre di nuovo e appare Rian.
“È pronta la cena.”
“Ottimo, ho fame. Cosa c’è?”
“Pizza, ha cucinato Alex e con le pizze surgelate se la cava bene.”
“Okay.”
Lo seguo fino in cucina e mi siedo al mio posto, subito cala il silenzio. Forse è per il mio piccolo attacco di esibizionismo, forse per la situazione con Jack.
Dovrei risolverla, ma non so come, a volte è difficile perdonare o far finta di nulla.
Ci sono certe azioni che lasciano un segno indelebile su di noi, ma non credo sia questo il caso, forse devo solo mettere da parte l’orgoglio e la paura, ma come?
Alla fine rinuncio a fare conversazione anche io, limitandomi a dire ad Alex che la pizza è buona dopocena.
Lui mi ringrazia e poi lava i piatti.
“Adesso cosa facciamo?”
“Guardiamo un film.”
Dice deciso Rian e inserisce uno dei vari Fast and Furious nel lettore dvd, io li fotografo tutti per la prima ora del film, poi mi siedo a mia volta. Jack striscia con noncuranza verso di me, io cerco di spostarmi, ma non c’è scampo, a meno che non cada dal divano non posso evitare l’averlo vicino.
A peggiorare la situazione decide di passarmi un braccio attorno alle spalle, gettandomi nella confusione più totale, una parte di me è felicissima di questo contatto, l’altra invece vorrebbe solo scappare.
Sono stanca di questo perenne conflitto.
Cerco di svicolarmi, ma il divano è stretto e non ci riesco, cosa devo fare?
“Rilassati, non ti mangio.”
Mormora Jack.
"Non dovresti fare così, lo sai che…”
“Non siamo più una coppia e nemmeno amici?
Lo so, ma non l’ho deciso io.”
“Smettila di forzarmi.”
“Smettila di seguire il tuo maledetto orgoglio.”
“State zitti!”
Borbotta Rian.
“Ma…”
“Ok, ok. Jack, lasciala stare.
Non è ancora pronta a perdonarti e non puoi obbligare le persone a farlo.”
A malincuore si stacca e mi manca già.
Sono messa male.

 
Finito il film mi ritiro nel mio bunk, con la scusa di essere stanca.
In realtà mi stendo, mi copro, ma il sonno non viene, rimango per quelle che sembrano ore a guardare il soffitto.
I ragazzi chiacchierano di là, poi sento Rian ritirarsi nel suo bunk e telefonare a Cass e poco dopo anche Alex fa lo stesso per chiamare Lisa.
Probabilmente dopo si addormentano perché non li sento più, Zack e Jack chiacchierano ancora un po’, poi sento Jack entrare nel bunk sotto il mio.
“Buonanotte, finta addormentata.”
Io non rispondo e continuo a fissare lo stesso soffitto di prima fino a che non mi addormento.
Mi risveglio in un uno strano posto, sembra New York, piove e fa freddo. Davanti a me c’è la gigantesca arcata di un ponte della ferrovia, un vecchio treno a vapore passa sferragliando facendolo tremare.
Mi guardo attorno e attraverso la strada attirata dalla luce di quello che sembra un bar costruito a ridosso di un arcata. La luce e le tendine rosse da locale giapponese mi attirano come una lampada una falena. Entro e mi accorgo con orrore che è pieno di tombe in stile giapponese, stele sottili con eleganti ideogrammi, solidi rettangoli di pietra, piccole casette con il tetto a pagoda sormontate da una sfera.
Lo attraverso sentendole sussurrare, poi il terreno cambia e ci sono tombe arabe, altre stele sottili che terminano con una forma a cupola da minareto.
Seduta su una di queste c’è mia madre, con il suo solito hijab nero e l’aria triste.
“Mamma.”
Mormoro io.
“Siediti qui con me.”
“Ma non so di chi sia quella tomba.”
“È la tua, quella che avrai in un futuro spero lontano.”
Io deglutisco e faccio quello che mi è stato detto, è completamente folle sedere sulla propria tomba ed essere ancora vivi.
“Quando la smetterai, figlia mia?
Per quanto ancora vuoi torturarlo?”
“Di chi parli, mamma?”
“Di Jack.”
“Mamma, lo sai che tra noi non può funzionare.”
“Non è vero e lo sai anche tu.”
Mi dice dolcemente nel suo inglese con vaghe influenze arabe.
“Tu non vuoi che funzioni, è molto diverso.”
“Mamma, lui non vuole me.”
Lei scuote la testa e sospira.
Perché sono sempre bloccata in questa storia?
Sempre la stessa domanda, sempre le stesse risposte, un film già visto che mi stanca.
“Perché non vuoi capire?
Perché tutti non volete capire?
Non è adatto a me, ci abbiamo provato e non è andata, che senso ha riprovarci?”
“Perché non è il cuore che guida le tue azioni, è l’orgoglio e non porta a nulla di buono. È lo stesso orgoglio che ha portato la mia famiglia a disconoscermi, a non voler incontrare te, che ti ha privato di due nonni fantastici.”
“Io non sono come loro!”
“Sì, che lo sei.
C’è una voce dentro di te che ti dice di perdonarlo e tu non la ascolti.”
“Non voglio soffrire, mamma. È così difficile da capire?
Se tornerò da lui soffrirò.”
“Non lo puoi sapere, credi di saperlo, ma non lo sai. È la paura che ti dice che non funzionerà, lo so perché quando mi sono innamorata di tuo padre avevo paura anche io.
Sapevo che la mia famiglia non l’avrebbe mai approvato, che avrei dovuto scegliere loro o lui e la cosa mi terrorizzava. Non volevo perdere né tuo padre né la mia famiglia, ho cercato di reprimere, ma non è servito a nulla.
Alla fine è uscito tutto e ho scelto tuo padre. Sì, ho sofferto, ma so di avere fatto la scelta giusta, perché se non avessi sposato lui non avrei mai avuto una figlia splendida come te.”
“Sono una figlia rotta, mamma.
Non so niente di sentimenti o relazioni umane.”
“Sei un fiore in attesa di sbocciare.”
Mi accarezza i capelli.
“Ed è lui ad avere la tua anima, lui è la chiave per la tua felicità.”
Io mi tocco il ciondolo a forma di chiave.
“Non è un caso che ti abbia dato quel ciondolo, nulla accade per caso, ci sono simboli che ricorrono, eventi che hanno un significato più profondo.”
“E qual è il senso di questa chiave?”
“È la chiave del suo cuore e della tua anima e l’ha data a te, sta a te decidere se usarla o meno.”
Io non so cosa dire, lei si alza dalla tomba.
“Ora io devo andare.
Arrivederci, Karima.”
Si allontana con quel passo dimesso e deciso allo stesso tempo, lasciandomi da sola, seduta sulla fredda roccia.
Il mio sguardo è perso e annebbiato, stringo convulsamente la chiave terrorizzata da cosa significhi averla.
All’improvviso la tomba sotto la lapide si apre e mi inghiotte, cado in un nero denso e senza appigli, un nero che mi soffoca e mi fa urlare.
Mi risveglio nel mio letto con il fiato corto e le coperte mezze fuori dal bunk, è stato solo un sogno, ma è stato sconvolgente.
Per un po’ ascolto il rumore del mio respiro che si normalizza, poi i rumori del pullman che si muove nella notte, il leggero russare di Rian e poi la voce di  Jack.
Mormora qualcosa, ma non capisco cosa, così mi concentro su di lui e basta.
“Karima…”
Dice piano, facendo saltare un battito al mio cuore.
“Karima, scusa…”
Mi porto una mano sulla bocca.
“Mi dispiace, ti prego, non andare. Non abbandonarmi.”
Questa è la mazzata finale.
Ora guardo il soffitto che diventa sfuocato per via delle lacrime. Avevo giurato di non piangere più per lui e ora eccomi qui a infrangere il giuramento.
Cosa devo fare?
Torno a guardare il soffitto e mi sento sconfitta, come se avessi perso il controllo sulla mia vita senza accorgermene e ora non ho idea di come riprenderlo.
Cosa devo fare?

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Capitolo 23
*** 22)Potrebbe perfino funzionare. ***


22)Potrebbe perfino funzionare.

 

Karima p.o.v.

 
Odio le notti insonni.
La mattina dopo sono un relitto, le voci delle persone mi giungono a grande distanza e non riesco a connettere in nessun modo.
Provo a rimediare ai danni con una bella tazza di caffè forte, ma non ci riesco, sono lo stesso cadavere di prima.
“Hai avuto un incubo?”
“Sì.”
Rispondo prima di realizzare che è stato Jack a chiedermelo.
“Cosa hai sognato?”
“Non me lo ricordo.”
Mento, vorrei chiedergli cosa abbia sognato lui per mormorare il mio nome, ma non ho il coraggio di farlo.
“Vieni.”
Mi fa cenno di seguirlo verso la zona relax, lui si siede sull’angolo estremo del divano nero, io lo guardo senza capire.
“Usami come cuscino, dicono che io sia comodo.”
“Non posso, è troppo… intimo.”
“Hai bisogno di dormire.”
“Posso farlo nel mio bunk.”
Lui alza un sopracciglio.
“Per avere un altro incubo?”
Sono stanca di combattere oggi, così cedo.
“Va bene, ma non farti troppi viaggi.”
Mi sdraio appoggiando la testa sul suo grembo, è comodo, ha ragione.
Gli occhi mi si chiudono come se le palpebre fossero fatte di cemento, lui mi accarezza i capelli, io grugnisco, lui smette.
“Quando la smetterai di tagliarmi fuori?”
Io non rispondo, non sono più certa della risposta.
“Karima, per favore.”
“Jack, basta!
Mi scoppia la testa, mi sento debole e non mi va che tu ne approfitti.”
“Non voglio approfittarmene, è che non riesco a parlare con te.”
Io sbuffo e chiudo gli occhi, non volendo proseguire oltre la conversazione, già pentita di avere accettato la sua offerta.
In ogni caso devo essere davvero stanca perché piano piano le sue parole iniziano a sbiadire si confondono in un brusio indistinto e poi spariscono. Adesso ci sono solo silenzio e sogni: angoli di San Diego e di posti che non esistono in questo mondo, come un cielo viola con due lune e un deserto di sabbia bianca accecante.
Mi sveglio verso mezzogiorno e mi accorgo che anche Jack si è addormentato, senza fare rumore mi alzo e raggiungo la cucina. Zack è ai fornelli.
“Hai bisogno di una mano?”
Gli chiedo grattandomi la testa.
“No, sto cucinando dei tacos. Non credo mi servirà il tuo aiuto.”
Rimane un attimo in silenzio.
“Stai cedendo, Karima?”
“Non lo so, sono così confusa.”
Lui sospira.
“Tu conosci già la risposta solo che hai paura di accettarla e non capisco perché.”
“La paura di soffrire, credo. A nessuno piace stare male, no?”
“No, ma nemmeno negarsi ogni cosa per paura di soffrire…”
Io non rispondo, ormai sto imparando che la mia voce non è sempre necessaria.
“Sei cambiata da quando sei venuta a lavorare da noi, prima eri una tosta adesso hai sempre questa aria infelice e tormentata.”
“Ecco perché volevo dare le dimissioni.”
“C’è solo un modo per tornare a come eri prima, devi affrontare le tue paure e devi perdonare.
Perdonare non è un segno di debolezza o un modo per incitare la gente a calpestarti, solo un’ammissione che hai sbagliato.”
“Non sono io ad avere sbagliato.”
“Lo so, volevo dire che è ammettere che anche gli altri possono sbagliare e pentirsi.”
“Preparo la tavola.”
Dico funerea.
Stendo la tovaglia e poi penso al resto, Zack scuote la testa.
“Non ho mai conosciuto una persona più complicata di te.”
Io scuoto la testa, lo so che sono una specie di pazza psicopatica, non c’è bisogno che me lo si faccia notare.
Non ce la faccio più, il tour è iniziato da due giorni e già non vedo l’ora che finisca e di poter essere libera dagli impegni che ho preso con la band, mi pesa tutto e non so cosa fare.
La mia vita è un casino e non riesco a sistemarla, è parecchio frustrante, di solito ero io ad avere il controllo, non so quando l’ho perso.
-Da quando hai permesso a Jack di entrare nella tua vita, nonostante il parere contrario di tutti.-
Mi ricorda impietosa una vocina nella mia testa e non posso darle torto.
Finito di preparare la tavola arrivano tutti, Jack ha un’aria piuttosto triste, come se ci fosse rimasto male per non avermi trovata con lui al suo risveglio.
Ci sediamo e Zack serve tacos a tutti, io inizio a mangiare senza apprezzarli particolarmente visto che non amo il cibo piccante o speziato.
“Le cose vanno meglio tra te e Jack?”
Mi chiede Alex.
“Uh?”
“Oggi sembravate parecchio in sintonia mentre dormivate sul divano.”
“Ah. Beh, sembrare è diverso dall’essere in sintonia.”
“Quindi la guerra continua.”
Io vorrei tirare una testata al tavolo, sono al mio limite della sopportazione: o impazzisco o lascio il tour o devo perdonare Jack.
Non so quale delle tre prospettive sia la più spaventosa.
“Grazie per il sostegno.”
Commenta ironico Jack che si è accorto che le parole di Alex hanno fatto più danno che altro, il cantante mi guarda.
“Scusa, Jack.”
“Mi raccomando, continuate a parlare come se io non ci fossi e non potessi sentire.”
Borbotto io, sentendomi a disagio.
“Scusa, Karima.”
Finiamo di mangiare parlando della prossima data, poi io lavo i piatti, è con un certo sollievo che li vedo allontanarsi dalla cucina.

 

Ora che sono di nuovo in forma posso di nuovo riprendere a fare il mio lavoro.
Il mio capo non si aspetta che io fotografi ogni secondo della loro vita in tour, ma di sicuro molto materiale da supervisionare e poi inserire in un documentario o qualcosa del genere.
Jack e Alex giocano alla play e non fanno altro che prendersi in giro, la tensione di prima sembra essere stata dimenticata o essere stata messa in secondo piano.
Ottimo, almeno i miei sensi di colpa si placheranno un po’.
In quanto a Rian sta chiamando la sua ragazza, Zack invece sta leggendo un libro e non voglio disturbarlo con una conversazione.
Finiti i miei scatti mi chiudo nel mio bunk a vedere un film dello Studio Ghibli, così da non dover parlare con nessuno. Di solito la magia di queste pellicole mi calma, mi permette per un attimo di dimenticare i miei problemi e di immergermi in un altro mondo, oggi non succede, i momenti trascorsi con Jack continuano a venirmi in mente.
Fare finta di nulla e provare a dimenticare non è servito a nulla, ma dargli una seconda possibilità è rischioso, anche se lui sembra davvero pentito.
Cosa devo fare?
“Guardare il film, ecco cosa devi fare, continuare a rimuginare non ti servirà a nulla se non a impazzire.”
Dico a bassa voce e cerco di concentrarmi davvero sul film.
Dopo un po’ qualcuno bussa al mio bunk, io mi tolgo gli auricolari e apro la tenda, Rian mi guarda curioso.
“Ciao.”
Dico a disagio.
“Senti, ti va di darmi una mano con la cena? Voglio preparare della carne e non voglio mandare a fuoco il pullman.”
Io alzo un sopracciglio perplessa.
“Zack mi ha detto che sei quello che se la cava meglio in cucina.”
“Ok, mi hai sgamato. Volevo parlare con te.”
“E di cosa?”
“Lo sai.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Non ce la fate proprio a lasciarmi in pace.”
“Tu stai male, Jack sta male e noi siamo stufi di fare gli spettatori. Dovete risolvere questa situazione.”
“Il passato non si può cambiare.”
Dico brusca facendo per tirare la tenda, ma lui mi ferma.
“Sì, il passato non si può cambiare, ma si può imparare dagli errori.
Jack credo che l’abbia fatto, vuoi proprio continuare a ignorare questo fatto?
A ferirlo? A ferirti?
Perché puoi fare la dura quanto vuoi, ma si capisce che ti manca e che vorresti solo perdonarlo.”
“Lascia la mia mano, lasciala o mi metto a urlare.”
Dico fredda come il ghiaccio, colpita a morte dalle sue parole, sono davvero un libro aperto per gli altri? Sono davvero così maledettamente ingenua e manovrabile?
“Karima…”
“Lasciami e la carne preparatela da solo, non prenderti nemmeno il disturbo di cucinare per me, non mangio.”
Lui fa quello che gli dico e io chiudo la tenda con un gesto rabbioso.
Mi butto a letto e mi tiro il cuscino sopra la testa.
È tutto così dannatamente frustrante!
Rivoglio il controllo della situazione ora e subito!
Rimango a macerare nella rabbia fino a che qualcuno non bussa di nuovo al mio bunk.
“Sono morta!”
Urlo.
“Beh, risorgi perché ho la tua cena.”
Mi risponde Alex.
“Avevo detto a Rian che non avrei mangiato.”
“Lui ha deciso di non darti retta.”
“Esiste qualcuno che mi dà retta qui o quello che dico io sono solo stronzate?”
“Rian è una chioccia, non prenderla così male.”
Io do una testata al cuscino e apro la tenda, mi siedo, Alex mi passa il piatto e poi si siede accanto a me.
“Non puoi andare avanti così a lungo, tra un po’ ti verrà un esaurimento nervoso e dovrai lasciare il tour.”
“Speriamo che venga presto allora.”
Borbotto io, iniziando a tagliare la mia cotoletta.
“Scappare non è la soluzione e dubito che riuscirai a tenere lontano Jack se ti venisse un esaurimento nervoso. Sarebbe sempre al tuo capezzale.”
“Forse avrei dovuto dare retta a tutti e lasciarlo stare.”
“Forse. Ma sei stata bene con lui?”
“Sì.”
Ammetto a malincuore.
“Allora non è stato un errore.”
“Ma guarda come è finita!”
“Dagli una seconda possibilità, non è così idiota come sembra.”
“Continuate tutti a ripetermelo.”
“Perché vogliamo bene a entrambi e siamo stanchi di vedervi soffrire.”
Io rimango un attimo in silenzio.
“E se abbandonassi tutto?”
“Probabilmente dovresti pagare una penale salatissima.”
Io ripenso alle clausole del contratto e annuisco.
“Sì, hai ragione.”
“Quindi devi solo prendere una decisione.”
Io sbuffo.
“Mi piace la tua semplicità, devo solo prendere una decisioni. Non è come scegliere cosa mangiare o il colore delle tende o dei tappeti di casa mia, qui c’è di mezzo la mia vita.”
“E vuoi continuare a rimanere paralizzata?
Ti piace soffrire?”
“No, non mi piace, ma forse se sto lontana a lui questa cosa mi passa.”
Lui alza un sopracciglio scettico, non c’è bisogno che me lo dica che ho appena detto una cazzata.
“Non mi sembra che abbia funzionato.”
Io sospiro.
Ha dannatamente ragione e io non so cosa fare.
“Grazie della cena.”
“Prego.”
Se ne va con il piatto lasciandomi da sola.

 

I miei pensieri sono schegge impazzite in un caleidoscopio che non smette di girare.
Memorie taglienti come pezzi di vetro di momenti felici continuano a vorticare nel mio cervello, come a ricordarmi cosa rischio di perdere se continuo così.
Lo so benissimo e l’unica cosa che mi impedisce di perdonare Jack seduta stante è il seguito di quei ricordi: il non sentirsi importante, la sensazione di sentirsi invisibile e di essere stata coinvolta in qualcosa di più grande di me.
Continuo a ripetermi che quello che temo non esiste o Alex non mi spingerebbe a tornare da Jack, non avrebbe senso, ma quando nella tua testa c’è la guerra non c’è molto che abbia senso.
Mi alzo dal mio bunk e mi dirigo verso la cucina con l’andatura di uno zombie, la testa che rischia di esplodermi da un momento all’altro.
Barcollando apro il frigo con l’intenzione di prendere una lattina di the freddo, ma all’improvviso tutto diventa nero. Un nero che non avevo mai sperimentato, sembra che lì la luce non sia mai esistita o fatta vedere.
È quasi confortante rimanere qui, senza pensieri e senza peso, ma credo di dover tornare alla realtà. Tutto intorno a me inizia a sgretolarsi e ben presto i miei occhi si aprono piano, accecati dalla luce delle lampade del pullman, mentre attorno a me il brusio sale di intensità.
Finalmente riesco a cogliere delle parole di senso compiuto.
“Karima, stai bene?”
Mi chiede Alex.
“Credo… credo di sì, cosa mi è successo?”
Articolo con una certa difficoltà, la lingua ancora impastata.
“Sei svenuta davanti al frigo. Eravamo nei bunk e abbiamo sentito un tonfo, ti abbiamo trovata per terra con il frigo aperto.”
“Volevo bere qualcosa, avevo un tale mal di testa.”
Mi passo una mano sulla fronte e scopro che è sudaticcia.
“Adesso hai ancora mal di testa?”
“Sì.”
Alex annuisce e si alza dalla posizione inginocchiata in cui era.
“Adesso vado a prenderti un’aspirina, tu non muoverti.”
E dove pensa che possa andare?
Mi sento ancora debolissima, noto che Jack mi sta tenendo le gambe in alto e Rian non c’è, poco dopo il batterista torna con un bicchiere d’acqua.
“Forza, bevila. È acqua e zucchero, dovrebbe farti bene.”
Io mi alzo un pochino e prendo il bicchiere, ne bevo un sorso e mi sembra di bere il nettare degli dei, sento l’energia scorrermi di nuovo nelle vene.
Lo bevo fino all’ultima goccia e poi restituisco il bicchiere a Rian.
“Grazie mille, mi sento meglio.”
“Hai accumulato troppa tensione, Karima.”
Alex arriva con il bicchiere di acqua e aspirina, ingollo anche quello, tra un po’anche il mio mal di testa se ne andrà. Questo incidente mi ha fatto capire che è arrivato il momento di risolvere le cose con Jack se non voglio impazzire sul serio.
Sospiro e mi passo di nuovo una mano sulla fronte.
“Ragazzi, non voglio passare per l’ingrata di turno, ma ho bisogno di parlare con Jack da sola.
Vi ringrazio per quello che avete fatto per me, ma potreste lasciarci soli, per favore?”
“Certo!”
Alex, Zack e Rian se ne vanno lasciandomi sola con il chitarrista.
“A quanto pare fino a che la situazione tra di noi non sarà risolta non potrò avere pace né di giorno di né di notte.”
Borbotto.
“Mi dispiace per tutto quello che è successo, Karima. Se potessi tornare indietro non mi comporterei così.”
“Ma non si può tornare indietro, solo andare avanti in qualche modo. Sembra che noi siamo andati avanti in modo sbagliato.”
“Cosa vuoi dire?”
“Ho sperato che tagliandoti fuori le cose sarebbero tornate come prima di conoscerti, ma non è successo. Devo accettare che provo qualcosa e che questo condiziona la mia vita come non credevo possibile.”
“E quindi?”
“O ti ammazzo o ti do una seconda possibilità.
La prima è allettante, ma illegale, quindi non mi resta che la seconda.”
Lui si illumina come un bambino il giorno di Natale e mi abbraccia stretta, non lo ammetterei nemmeno sotto tortura, ma mi era mancato il suo corpo, la sua vicinanza.
È come se davvero la mia anima gemella, quello che ha la mia anima, ma allora perché mi ha fatto soffrire così?
Un’anima gemella non dovrebbe completarti e portarti gioia?
Probabilmente ci sono cose dell’amore che ancora non capisco e che forse capirò con il tempo, adesso dovrei smettere con le elucubrazioni e godermi il momento.
Come si fa a spegnere il cervello?
“Karima, tutto bene?”
“Il mio cervello non ha ancora accettato che io ti abbia perdonato, continua a mandarmi dubbi su dubbi.”
Rispondo sincera.
“Capisco. Mi comporterò bene questa volta, lo giuro.
Lo so che non avrò un’altra possibilità dopo questa.”
“La vita è più complicata di quanto immaginassi chiusa nella mia apatia.”
“Forse è solo questione di lasciarsi andare e seguire il flusso.”
Io lo guardo scettica.
“È quello che ho fatto quando ti ho conosciuto e guarda dove ci ha portati.”
“Non ho detto che sarà sempre un viaggio piacevole, le cose brutte capitano a tutti, ma il segreto è non lasciarsi abbattere e provare ancora.”
“Forse hai ragione.”
“Posso abbracciarti di nuovo?”
“Sì.”
Apro le mie braccia e provo di nuovo quella strana sensazione e forse è su quella che devo focalizzarmi: sul lato positivo delle cose.
Quello che mi ha permesso di perdonarlo più o meno, insieme alla sua insistenza.
Proverò a seguire il flusso e spero solo che non sarà un disastro, perché non so se sarò in grado di  rialzarmi ancora.
Meglio non pensarci.
Lasciamo che tutto vada come deve andare senza preoccuparsi in anticipo.
Potrebbe persino fuzionare.

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Capitolo 24
*** 23)Primi passi. ***


23)Primi passi.

 

Karima p.o.v.

 
Da quando io e Jack ci siamo riappacificati l’atmosfera sul tourbus è cambiata.
Da tesa è diventata rilassata, i ragazzi giocano e scherzano molto di più e fotografarli è più facile, mi sento meno un’intrusa e più una parte della strana famiglia degli All Time Low.
“Karima!”
Mi chiama Jack.
“Sì?”
“Ti va di vedere un film con noi?”
“Va bene, fammi sistemare l’attrezzatura e arrivo.”
Ripongo la macchina nella sua custodia e poi nello spazio che le è stato dato nel tourbus, chiudo a chiave la stanzetta e poi vado nella zona relax.
Sono già tutti seduti sul divano, io mi accomodo nell’unico posto libero, quello accanto a Jack.
“Allora che si vede?”
Chiedo curiosa.
“Suicide Squad.”
“Uhm, okay. Va bene.
Ci sto, mi piace il personaggio di Harley Quinn.”
“Probabilmente perché siete matte tutte e due.”
“Grazie mille, Zack. Ti voglio bene.”
Borbotto io facendolo scoppiare a ridere, secondo me è meglio dei musi lunghi.
“Comunque questa è una cospirazione.”
“Cosa vuoi dire?”
Mi chiede Alex.
“Mi avete lasciato a posta il posto vicino a Jack.”
“Beh, dovete riprendere a fare amicizia, no?”
Io sbuffo.
“Gli avete dato un’occasione per poter fare la piovra con me.”
“Una volta non ti dispiaceva.”
“Le cose cambiano.”
“Su, non litigate, guardiamo il film.”
Alex inserisce il film nel lettore dvd e torna al suo posto.
Come prevedevo Jack ne approfitta per abbracciarmi e tenermi stretta a sé, quasi fosse lui quello che ha paura quando dovrei essere io ad averne.
Io lo lascio fare, non so ancora bene come interpretare tutto questo, se davvero lo sto perdonando o se è solo per il quieto vivere.
Lo amo ancora, ma c’è ancora una parte in me molto restia a farglielo capire o a incoraggiarlo a riprendere il nostro rapporto dove si era bruscamente interrotto.
Finito il film cucino la cena e poi me ne vado a letto stanca, domani arriveremo alla prima tappa ed è meglio che sia in forma se voglio fare bene il mio lavoro.
Cado subito addormentata e cinque minuti dopo mi sembra di risvegliarmi nel tourbus, nello stato in cui sono non riesco capire se sia la realtà o un sogno.
Mi guardo attorno smarrita senza avere il coraggio di aprire la bocca.
“L’abbiamo fregata.”
La voce di Alex giunge chiara da un bunk, io mi avvicino.
“Sì, c’è cascata in pieno. Adesso possiamo proseguire la nostra relazione in pace, abbiamo entrambi una copertura.”
Io tiro la tenda e vedo Jack e Alex a letto insieme nello stesso lettino.
Mi metto a urlare come un animale ferito, allora avevo ragione, non era solo una fantasia delle fans, ma la realtà. Sono stata fregata e usata ancora.
All’improvviso tutto si dissolve attorno, per un secondo è tutto nero, poi apro gli occhi e mi ritrovo nel mio bunk con il respiro affannato, sudata e con le coperte tutte arrotolate ai miei piedi.
Mi porto una mano al petto per cercare di normalizzare il respiro e il battito impazzito del mio cuore.
“È solo un sogno, Karima. Non è la realtà, non devi avere paura.
È solo un sogno.”
Quando mi sembra di non essere più a un passo dall’infarto scendo dal mio bunk, godendomi il contatto con il pavimento freddo del bus, controllo che Alex sia nel suo letto e Jack nel suo e poi mi dirigendo in cucina. Lì bevo un bicchiere d’acqua e mi siedo un attimo, ma non riesco a calmarmi. Sbuffando recupero il mio pacchetto di sigarette e apro una finestra, poi me ne accendo una, incurante del vento freddo della notte che mi frusta la faccia, mi serve per riprendere contatto con la realtà.
Il sogno mi ha spaventato, mi ha reso insicura e preoccupata, temo già di avere fatto uno sbaglio, di avere ceduto a un qualcosa che finirà per ferirmi.
“Karima?”
Sobbalzo violentemente e vedo Jack guardarmi preoccupato.
“Cosa vuoi?”
Rispondo aspra.
“Mi hai fatto preoccupare. Ti ho sentita muoverti nel bunk sopra il mio, urlare e poi sei scesa e hai controllato che fossi nel mi letto.”
“Ho avuto un incubo.”
Il mio tono è piatto ora.
“Vuoi dormire con me?”
“No.”
“Perché?”
“Perché l’incubo l’ho avuto su di te e preferirei non farlo.”
Lui corruga le sopracciglia.
“Cosa hai sognato?”
“Sono affari miei.”
“Anche miei se ci sono io.”
“Il sogno è mio.”
Lui sbuffa.
“Dai, dimmelo.”
“Tu e Alex eravate a letto insieme, felici perché mi avevate fregata ed entrambi avevate una copertura alla vostra relazione. Adesso vattene, questa sigaretta sta diventando pessima grazie a te.”
“Lo sai che è solo un sogno.”
Io non dico nulla, perché non se ne va?
“Karima?”
“Jack, perché non te ne vai?
Perché non ti interessi a una persona meno complicata di me?
Abbiamo già provato e non è andata, perché riprovare una seconda volta?”
“Perché non voglio una persona meno complicata, voglio te con i tuoi pregi e i tuoi difetti.
Sei sempre nella mia testa anche quando provo a dirmi di lasciarti perdere, è inutile concentrarsi su qualcun'altra e so che per te è lo stesso.”
“Come fai a dirlo?”
“Se non te ne fregasse nulla di me non avresti incubi del genere.”
Io lo fulmino colta nel profondo dalla sua osservazione.
“Non fare quella faccia.”
“Ti dai troppa importanza.”
Dico voltandogli la schiena, perché non veda il conflitto nei miei occhi.
“Forse, ma so di essere nel giusto.”
Io finisco la mia sigaretta e chiudo il finestrino.
“Torno a letto.”
“Dormi con me?”
“Così che gi altri sparlino e tu magari ne approfitti per allungare le mani?”
“Non allungherò le mani e gli altri lo sanno benissimo cosa c’è tra di noi.”
“Non penso sia una buona idea.”
Lui appoggia le mani sui fianchi.
“Scommettiamo che se dormi con me questa notte non avrai altri incubi?”
“Sei esasperante, immagino che non mi lascerai uscire da questa stanza finché non ti avrò detto di sì.”
“L’idea è quella.”
“Va bene, ma…”
Alzo un dito minacciosa.
“Se ci provi con me ti taglio le tue preziose manine.”
“Ok. Non ti fidi proprio più di me.”
Si volta verso i bunk e io lo seguo di malavoglia pensando che comunque avrò degli incubi e domani mattina sarò un maledetto straccio.
Jack si infila nel suo e mi fa cenno di raggiungerlo, io arrossisco e mi sdraio accanto a lui, cercando di mantenere le distanze, purtroppo questi lettini sono davvero minuscoli e contro la mia volontà mi ritrovo mezza sdraiata sul suo petto.
“Merda.”
Lui appoggia una mano sulla mia testa e la accarezza zittendomi e calmandomi.
La mia mente può non averlo perdonato, ma il mio corpo l’ha fatto eccome, in un modo che mi fa paura. Il potere che questo ragazzo ha su di me è qualcosa di incredibile.
“Stai calma, andrà tutto bene.”
Io non dico nulla.
“Karima…”
“Perché tu?
Perché tu hai questo potere su di me?
Perché non un altro ragazzo? Uno meno complicato.”
“Perché io sono il casino e tu sei la calma, insieme ci completiamo.
Abbiamo demoni compatibili.”
Io sospiro.
Ha ragione da vendere, cazzo.

 

La mattina dopo mi sveglio riposata.
Incredibilmente non ho fatto nessun incubo, quindi – a conti fatti – Jack aveva ragione, ma mi scoccia dirglielo. Lo guardo dormire e sembra un bambino innocente, non il solito uragano in forma umana. Con gentilezza mi sottraggo alla sua presa ed esco dal suo bunk per farmi la doccia mattutina e cambiarmi, quando arrivo in cucina Zack e Rian mi lanciano occhiate maliziose, lo farebbe anche Alex, se fosse sveglio, ma per fortuna dorme ancora.
“Vedo che avete fatto pace, ma siete stati silenziosi.”
Commenta Rian.
“Non so di cosa stai parlando, non abbiamo fatto sesso, abbiamo solo dormito insieme e nemmeno se fossimo ancora insieme lo faremmo con tutte le persone che ci sono su questo bus.
Per chi mi hai preso?”
“Quando la natura chiama…”
“Io non sono un accidenti di coniglio.”
Rispondo aspra per poi versarmi il mio caffè mattutino e sedermi al tavolo.
Non sono molto gentile prima del caffè e questo da sempre, sono una caffeinomane della peggior specie, un vizio che ho ereditato da mio padre.
Lo zucchero e lo assaggio, è a solita brodaglia americana, rassegnata ci inzuppo qualche biscotto e me lo faccio andare bene. Chi si accontenta gode o almeno così dicono.
Una selva di ululati saluta l’arrivo di Jack.
“Ma la smettete di fare casino per nulla?”
Borbotto io.
“Come sei suscettibile!”
“Posso essere anche peggio prima del mio caffè e della mia sigaretta mattutina.”
Sbuffano tutti, io li imito scocciata.
“Allora, amico. Pace fatta?”
“A cosa ti riferisci, Alex?
Oh!”
Esclama poi.
“No, non abbiamo fatto sesso. Abbiamo dormito insieme perché Karima aveva gli incubi.”
Zack gli passa un braccio attorno alle spalle e con l’altra mano passa il pugno sui capelli di Jack.
“Ma che tenerone! Come ci siamo rammolliti!
Dall’animale che eri ti sei trasformato in un cuscino.”
Un cuscino comodo, oserei aggiungere.
Stupita dal mio pensiero arrossisco leggermente e poi lascio la cucina sbuffando, disturbata da tanta idiozia maschile.
Apro la finestra e poi mi accendo la solita sigaretta, tra un’oretta saremo alla prima città del tour, sarà interessante vederli sul palco e interagire con i fan. Spero solo che non siano tutti come quella ragazzina invasata che ho incontrato.
-È una pia speranza, te ne rendi conto?
La maggior parte del loro fanbase è così, siano esse ragazzine o più grandi.-
“Karima, cosa stai facendo?”
Mi chiede Rian.
“Mi preparo spiritualmente a incontrare le vostre fans, la prima volta è stata un completo disastro.”
“Capisco. Non ti piacciono molto.”
“Quella non mi è piaciuta, spero che le altre siano meglio o almeno non vengano da me. Non sono brava nelle pubbliche relazioni.”
“Ti ci abituerai, credo.”
Io grugnisco poco convinta.
“Dai, su con la vita.
Stai per assistere a un nostro concerto gratis, c’è gente che venderebbe la madre per un privilegio del genere.”
Io lo guardo male.
“Ops, scusa.
Mi ero dimenticato che i tuoi sono morti.”
“Beato te che te lo puoi dimenticare.”
“Scusa.”
“È tutto a posto, arrabbiarsi non serve a nulla, non li riporterebbe indietro.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Forse non se ne sono mai andati, vivono dentro di me.”
“Che fate voi due?”
La voce di Jack si inserisce nella conversazione.
“Niente, parliamo.
Jack, non sarai geloso?”
“Chi? Io?
Ma ti pare?”
“Mi pare, mi pare.
Devo ricordarti che sono innamorato di Cass e lei di me?”
“No, non serve.”
I suoi occhi scuri sono pozzi freddi, Rian si rende conto di essere stato indelicato ancora una volta.
“Scusami, non era la frase giusta da dire.
Beh, me ne vado, ho combinato abbastanza danni.”
Si allontana lasciandoci da soli, io sono perplessa.
“Cosa ti ha detto di sbagliato?”
“Davvero non ci arrivi?”
Io scuoto la testa.
“Lui è innamorato di Cass e lei lo ricambia, io sono innamorato di te e tu non fai che respingermi.
Non è bello, te lo posso assicurare.”
Io lo guardo a occhi spalancati, lui innamorato di me?
“Non guardarmi così, quando ci siamo messi insieme ti avevo detto che ero innamorato di te e i miei sentimenti non sono cambiati. Sono i tuoi a essere un mistero.”
Il tono è amaro.
“Jack…”
Inizio, ma poi le parole vengono meno, non so cosa dirgli.
Ci sono talmente tante cose sospese che non so da dove cominciare e il mio cuore è in tumulto, come succede spesso quando sono vicina a lui.
“Ok, non fa niente. Un giorno riuscirai a dirmi quello che provi senza bloccarti dopo il mio nome.”
Se ne va lasciandomi da sola in preda a emozioni che mi confondono.
Per fortuna quindici minuti dopo arriviamo al luogo del loro primo concerto e nella confusione di scaricare le cose e documentare il processo e la fila che c’è già non ho occasione di parlare ancora con Jack.
Mi aggiro furtiva come un’ombra tra i fan in attesa, i roadie e i tecnici che sistemano le varie cose. Faccio un sacco di fotografie alle loro prove e al soundcheck sentendomi nel mio elemento, dove non sono obbligata a parlare con le persone, la mia macchina parla per me.
Solo a mezzogiorno mi ritrovo di nuovo con i ragazzi.
“Allora come ti siamo sembrati?”
Mi chiede un Alex carico come non mai.
“Hai assunto della cocaina?”
“Che?”
“Boh, sei così esaltato…”
Dico dando un morso al mio panino alla salamelle e cipolle.
“No, è che sono nel mio elemento e sono felice e questa felicità mi rende carico.
Tu, piuttosto…”
“Io cosa?”
“Come fai a mangiare quella roba?”
“Ho bisogno di energia.”
Rispondo alzando le spalle.
“Ok, la salamella ci sta, ma le cipolle?”
“Ho un debole per le cipolle.”
Lui guarda ancora un attimo il mio panino.
“Posso provarlo?”
Io rido e glielo passo, lui dà un morso e mugugna qualcosa.
“Le cipolle ti hanno ucciso?”
“No, è sorprendentemente buono.”
Jack ci guarda torvo, ma non dice nulla.
Sarà gelosia?
Forse, ma non posso farci nulla, anche perché finito il pranzo non avremo occasione di vederci di nuovo prima della cena e poi del backstage del concerto.
Il pranzo non dura molto, io li saluto con un cenno della mano e mi confondo tra la folla, all’improvviso qualcuno appoggia una mano sulla mia spalla. Infastidita da questo contatto non voluto mi volto per vedere chi è e mi trovo davanti alla ragazzina per cui io e Jack abbiamo litigato.
“Tu!”
Esclamo.
“Mi hai riconosciuta, vedo.”
“Difficile dimenticarsi di te.”
Borbotto io.
Lei mi stringe le spalle con rabbia.
“Stai lontano da Jack, lo stai rendendo infelice.”
I miei occhi diventano freddi come il ghiaccio, non sento nemmeno il dolore alle spalle.
“Lascia che ti dica una cosa io: stai lontano da me e Jack.
Tu e le tue fantasie trasferitevi su un altro continente o meglio ancora su di un altro pianeta.
Questo è il primo e ultimo avvertimento che ti do, se ti becco a ficcanasare di nuovo non sarò così gentile e ti pentirai di avermi provocato.”
Con un gesto deciso tolgo la mano dalla mia spalla e mi allontano da lei verso il backstage, faccio delle foto ai tecnici per non doverla incontrare ancora.
A cena mangio una pizza con i ragazzi e li accompagno in camerino, Zack e Rian si mettono a fare ginnastica, Alex fa degli strani vocalizzi che sembrano più che altro i lamenti di un’anima dannata, Jack si siede e giochina con il cellulare per tutto il tempo.
Dopo un po’un uomo si affaccia alla porta del camerino.
“All Time Low, tocca a voi.”
Zack e Rian scattano ed escono subito, Alex esce poco dopo e lascia me e Jack da soli.
“Beh, io vado.”
Dice lui alzandosi dal divano e oltrepassandomi.
“Jack!”
Lui mi guarda interrogativo e io copro la breve distanza che ci separa.
“Buona fortuna.”
Gli do un leggero bacio sulla guancia e poi mi volto.
Per qualcuno sarà poco, per me è tanto.
È il primo passo verso una riconciliazione.


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Capitolo 25
*** 24)La mia anima. ***


24)La mia  anima.

 

Karima p.o.v.

 
Il concerto di stasera è un’emozione stupenda e quasi unica.
Ho vissuto qualche concerto dei blink da dietro le quinte quando ero piccola, perché mia madre a volte mi lasciava da zia Jen. Questa volta però è diverso, non solo perché devo saltare come una cavalletta anche io per cogliere i momenti migliori, ma anche perché è lui che suona.
C’è qualcosa di speciale nel vedere la persona che ti piace mentre fa qualcosa che la rende felice, è quasi magico. Jack è nato per stare su quel palco, lo si vede da come si muove e da come sorride.
Mi fa domandare se sorriderà mai a quel modo a me e d’improvviso capisco cosa voleva dire la zia quando diceva che sposare un musicista è come sposare un bigamo, solo che invece di un’altra donna c’è la musica.
Sorrido, questo è un genere di bigamia che posso accettare, vederlo così felice rende felice anche me, anche se non capisco da dove arrivi tutta questa voglia di perdonare.
-Forse dal fatto che hai accettato che ci tiene davvero a te e che eri stanca di ferirlo, perché stavi ferendo anche te stessa. C’è qualcosa che vi lega e sai benissimo cosa è, lo sai nel profondo di te stessa, anche se ora lo neghi.-
Sì, la storia dell’anima gemella che ha anche la mia.
In quest’ultimo periodo non ci ho creduto molto, l’ho negata con tutte le mie forze, ma ora penso che sia inutile negare quello che è vero.
Tra me e Jack c’è qualcosa che va al di là della semplice attrazione, della cotta e dell’innamoramento: è la sensazione di conoscerlo da sempre, di condividere qualcosa con lui, qualcosa di importante e profondo. E forse è proprio questa sensazione mi ha fatto scappare da lui, fa paura, è come essere sul ciglio di un precipizio con una forza che ti spinge a saltare assicurandoti che volerai, mentre il raziocinio ti dice che cadrai e morirai.
Finito il concerto vado subito a farmi una doccia e poi esco a fumare nella notte fresca di novembre, si sente l’inverno nell’aria e lo si sentirà ancora di più visto che stiamo andando a nord.
Forse vedrò la neve e il pensiero mi mette di buon umore.
“Come mai sorridi?”
La voce di Jack mi fa sobbalzare.
“Ehi.”
Lo guardo mentre si accende una sigaretta, stupita da quel gesto che sembra così strano su di lui.
“Non sapevo fumassi.”
Lui alza le spalle.
“Quando sono nervoso mi concedo una sigaretta.”
“Come mai sei nervoso? Il pubblico ha fatto quasi cadere l’arena a suon di urla e sono sicura che metà delle persone presenti vorrebbero rapirvi o venire a letto con voi.”
“Beh, è ovvio che sono contento del concerto, il motivo è un altro.
Il concerto ti è piaciuto?”
“Ho fatto delle foto molto belle o almeno a mio giudizio lo sono.”
“Non intendevo questo.”
Io sospiro, una nuvoletta di fumo si disperde nell’aria.
“Sì, mi è piaciuto. Siete stati molto bravi, erano anni che non mi divertivo così ed ero così felice.”
“Felice?”
“Uhm, sì. Non capisco perché, ma vederti scatenato su quel palco mi rende di buonumore.”
“Se mi sono scatenato tanto è stato grazie a te.”
“A me?”
Mi indico sorpresa.
“Mi hai baciato, mi piace pensare che tu mi stia perdonando.”
Io rimango in silenzio.
“Jack?”
“Sì?”
“Mi abbracci?”
“Perché?”
“Non lo so, c’una parte di me che ha assolutamente bisogno di un tuo abbraccio e mi sento di assecondarla. Hai ragione, ti sto perdonando, le cose stanno tornando lentamente come prima.”
Lui mi abbraccia e io mi stringo al suo corpo magro e inspiro a pieni polmoni il suo profumo e mi coglie una profonda nostalgia.
Posso negare quanto voglio la storia dell’anima gemella, ma il mio corpo sa perfettamente quello che vuole e vuole Jack, forse non si può scappare dal destino.
In parte ce lo scriviamo noi, ma in parte è frutto di forze misteriose che ci spingono da una parte o dall’altra e le si deve assecondare, cavalcare l’onda come meglio si può senza cadere.
“A volte penso ci sia un disegno superiore anche se non credo al destino, forze che ti spingono verso qualcuno o qualcosa e tu sei uno di quei qualcuno.”
“Sai, stavo pensando giusto la stessa cosa.”
La porta dietro di noi si apre e Alex fa capolino sorridendo.
“Scusate se vi interrompo, ma c’è una festa a cui vale la pena di partecipare.”
“Gaskarth, la prossima volta ti tiro una scarpa.”
Borbotta Jack.
“Non fare il suscettibile, alla festa potete abbracciarvi quanto volete.”
Se ne va soddisfatto, noi finiamo le nostre sigarette e rientriamo.
Jack è perfettamente a posto con i jeans e la sua maglietta scura, io invece non lo sono con i miei larghi pantaloni color verde militare e pieni di tasche e la mia felpa gialla.
“Non so questo è un vestito adatto a una festa.”
“No, va bene. Poi stai con noi, che hai sotto la felpa?”
“Una maglia gialla con un tizio con una motosega e del sangue, tipo quella di Hayley Williams dei bei tempi andati. Insomma, sono vestiti comodi per lavorare, non pensavo a una festa.”
“Ti conviene portarti un cambio la prossima volta, ci piace andare alle feste.”
Io sospiro.
“Va bene, immagino di non avere molta scelta.”
“No, benvenuta nella vita del dopo concerto degli All Time Low.”
“Grazie.”
Vado nel loro camerino per pettinarmi e sistemarmi il trucco, alla fine mi guardo allo specchio.
Non sono Miss Mondo – non lo sono mai stata – ma sono passabile.
Con un ultimo sospiro esco dalla stanza e spero vada tutto bene.

 

Venti minuti dopo siamo in un locale che  mi mette ansia.
C’è una parte sopraelevata con i tavolini e il bancone illuminata con luci al neon blu e la parte della pista con il dj, la gente che si muove a ritmo di house e due spogliarelliste su due cubi.
Proprio il posto in cui non verrei mai, ma che ci faccio qui?
Sono stanca e non mi va di bere niente di alcolico, questo è il genere di posto frequentato da gente che si approfitta delle ragazze ubriache.
Ora siamo tutti seduti ai tavolini e io mi guardo nervosamente in giro, le orecchie disturbate dalla musica a volume troppo alto e con le palpebre che minacciano di cadere da un momento all’altro.
Zack è il primo ad alzarsi e a buttarsi in pista, Alex e Rian lo seguono poco dopo, Jack guarda prima me e poi il mio bicchierino di vodka al cocco intatto.
“Tutto bene?”
“No, sono stanca e questo non mi piace.
Posti come questi non mi sono piaciuti, mi sento a disagio perché io sembro e sembrerò sempre una barbona in confronto alle ragazze semisvestite che ci passano accanto.
Vorrei andare al tourbus.
Sì, credo che me ne tornerò al bus, chiamerò un taxi.”
“Vengo anche io.”
“Non ce n’é bisogno, divertiti.”
“Non ho voglia di stare qui.”
Io annuisco, se non riesco a fermarlo, tanto vale assecondarlo.
Usciamo insieme dal locale e ci ritroviamo circondati da una massa di ragazzine, solo che non sono adoranti come al solito, ma piuttosto aggressive e pronte al linciaggio.
“Beh, che problema avete?”
Esordisco io.
“Tu sei il nostro problema, Jack non deve stare con una come te, lascialo immediatamente.”
“Non prendo ordini da una banda di nane da giardino e Jack è abbastanza grande da scegliere chi frequentare senza i vostri suggerimenti.
E poi cosa ci fate qui?”
“Vi abbiamo seguiti.”
“Questo è folle, ve ne rendete conto?”
Il gruppetto non mi ascolta e serra i ranghi, pronto ad attaccare, io mi preparo a una rissa, inaspettatamente Jack si para davanti a me.
“Se volete pestare la mia ragazza prima dovete pestare me, siete mie fans, non mie amiche. Non mi conoscete, non sapete cosa meriti o no, posto che questa cosa del meritare non ha senso.
Lei mi piace e questo vi deve bastare, state superando una linea che non deve essere superata.”
“Lei si intromette nella tua amicizia con Alex.”
“Lei e Alex sono buoni amici.”
Questo sembra zittirle per un attimo, poi rinserrano di nuovo i ranghi, non mollano.
Riconosco la capo ultras nella ragazzina con cui ho litigato prima e sbuffo.
“Non stai agendo in modo corretto, portarti le amichette per picchiare una persona. Scommetto che sei contro il bullismo eppure non esiti ad agire come una bulla.”
“Per gente come te faccio un’eccezione.”
Jack corruga le sopracciglia.
“Adesso basta!”
A gesti richiama il buttafuori della discoteca che è costretto, a malincuore ad abbandonare il suo ruolo di giudice – scommetto che gli piace un sacco – e a disperdere la piccola folla.
“Scusami, Jack. Non mi sono accorto che fossero arrivate, ti hanno dato delle noie?”
“No, a parte voler pestare la mia ragazza.”
L’uomo di colore sembra arrossire.
“Scusami ancora, spero che verrai comunque in questo locale in futuro.”
“Stai tranquillo, verrò.
Ci si vede.”
L’uomo mi guarda.
“La tua ragazza è carina.”
“Ehi, non vorrai soffiarmela?”
Ride il chitarrista.
“No, figurati. Ho una moglie e un figlio, mia moglie è ancora più cattiva di me con una padella in mano.”
Se la ride l’omone e poi ci lascia andare.
Chiamiamo un taxi, durante il percorso non ci diciamo molto, Jack paga la corsa e saliamo finalmente sul tourbus. Lui si siede sul divano sospirando di sollievo, io vado in cucina.
“Vuoi una cioccolata? Me ne sto per fare una!”
“Ok, ci sto.”
Preparo due tazze, aggiungendoci anche qualche fogliolina di menta, poi le zucchero al minimo e le porto nella zona relax. Jack prende la sua e beve un sorso.
“Che ci hai messo?
Ha un sapore strano.”
“Foglie di menta, mia madre le metteva sempre.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Grazie per prima, non c’era bisogno che mi difendessi, ma l’ho apprezzato.”
“Cosa pensavi di fare? Di pestarle tutte.”
“L’idea era quella, ne sarei uscita malconcia, ma lo stesso si sarebbe detto di loro.”
Lui ride, ma torna subito serio.
“Per fortuna ti ho fermato, sarebbe stata cattiva pubblicità per la band.”
“Oh.”
“Sì, insomma, dobbiamo quasi sempre chiudere un occhio o agire attraverso vie legali se non vogliamo scandali. Non te l’hanno detto?”
“Non lo so. Forse hanno pensando che essendo la nipote di una celebrità queste cose le sapessi già. È buona la mia cioccolata?”
“Sì, molto.
Mia nonna fa il the alla menta, senza zucchero e con solo qualche pinolo ad addolcirlo in fondo.”
“Quello lo faceva anche mia madre e lo faccio anche io.”
“Davvero sei felice che io ti abbia difesa?”
“Sì.”
Lui sorride.
“Cosa facciamo?”
“Guardiamo un film?”
“Ok.”
Jack mette un dvd nel lettore e ci sediamo sul divano, forse troppo vicini, ma in questo momento va bene così.
“Quello che hai detto a quelle ragazzine lo pensavi davvero?
Che ti piaccio, insomma?”
“Cosa devo fare per dimostrartelo?
A volte ho l’impressione che non mi crederesti nemmeno se ti regalassi la luna.”
“Lascia la luna al suo posto, non mi sono mai interessati i beni materiali, ma quello che uno ha nel cuore all’incirca. È tutto così confuso!”
“Dunque è dei miei sentimenti che non ti fidi, quella volta ho combinato un bel casino!”
“Sì, abbastanza grosso. Vorrei che quella sera non fossimo mai andati a quel bar.”
“Lo vorrei anche io,  ma non possiamo cambiare il passato.”
“Ma possiamo costruire un futuro nuovo.”
Io rimango in silenzio, senza sapere bene cosa dire.
Il mio cuore mi fa male, vorrei dirgli che lo amo, ma non voglio stare male di nuovo, non voglio sentire il dolore.
Lui mi prende una mano tra le sue e mi guarda dritto negli occhi.
“Io ti amo, Karima.”
All’improvviso succede qualcosa di strano, sento un calore all’altezza del cuore, come se qualcosa fosse penetrato nel mio petto.
È caldo.
È freddo.
Rivedo frammenti di episodi della mia vita, ma questa volta sento tutte le emozioni: gioia, dolore, paura, frustrazione, soddisfazione, felicità, amore.
Mi porto le mani al cuore con gli occhi pieni di lacrime pensando al funerale dei miei e poi di gioia pensando a Jack.
È troppo per me, sono come un computer in cui abbiano immesso troppi dati tutti insieme, diventa tutto nero.
Un nero confortevole in cui è piacevole stare, sembra di galleggiare in un cielo senza stelle.
“Non devi stare qui per troppo tempo.”
Mi ammonisce la voce di mia madre.
“Perché?”
Le chiedo.
“Moriresti.”
Mi dice semplicemente.
“Sei in una specie di coma, ma questo non è il tuo posto. Non ancora."
Mi dà una leggera spinta appoggiandomi un dito sulla fronte, questo è sufficiente a spingermi via e a farmi vedere di nuovo da spettatrice la mia vita.
Ci sono momenti in cui piango e altri in cui rido, fino a quando non arrivo davanti a una luce, mi guardo un attimo intorno e decido di attraversarla.
Di nuovo mi sembra di cadere, ma questa volta è un volo spaventoso che finisce in un buio senza gioia, pesante. Capisco che non è il buio a essere pesante, sono io o meglio il mio corpo.
Sono tornata nel mio corpo e da lontano sento la voce di Jack.
“Karima, svegliati!
Ti prego! Volevo solo una risposta, non che tu morissi di infarto!”
Sento un battito debole: è il mio cuore, quindi sono viva.
Tento di aprire un occhio con tutte le forze  non la smetto finché non ci riesco, mi ritrovo a fissare con mezzo occhio il volto preoccupato di Jack.
Lui prende il mio volto tra le mani.
“Jack…”
“Stai bene?”
“Credo di sì. È successa una cosa strana.”
“Ci credo! Sei praticamente morta!”
“Che?”
Gli chiedo stupita con la voce debole come non mai.
“Ti sei portata le mani al cuore, piangevi, poi sei svenuta.
Ho provato a rianimarti in ogni modo, ma non ti svegliavi e non sentivo nemmeno il battito del tuo cuore. Eri morta.”
“Ero in coma.
Io… Sembra folle dirlo ora, ma credo che sia il momento più adatto.
Ho la mia anima, Jack.
La sento dentro.”
Lui si porta istintivamente la mano al petto.
“Sì, ho l’impressione che manchi qualcosa dentro di me e allo stesso tempo che sia qui davanti a me.”
“È davanti a te, è in me, sono io.”
Appoggio delicatamente le mie mani sulle sue guance un po’ ispide di barba e lo bacio, sento le leggendarie farfalle nello stomaco.
“Ti amo.”
Sussurro sulle sue labbra.
“Ti amo anche io.
Mi perdoni?”
“Sì.”
Una risposta spontanea che sale dal cuore, che non è filtrata dalla ragione come al solito.
È un miracolo!
Pensavo non sarebbe mai successo!
“Davvero?”
“Sì, ti perdono.
Non chiedermi come ciò sia possibile perché non lo so, so solo che se mi farai soffrire ancora così non avrai una seconda possibilità.”
Dico con una voce eccitata, mi sembra di essere nata per la prima volta oggi.
Tutto ha un odore e un colore nuovo.
“Karima, stai bene?”
“Sì, è strano. È come se sentissi, annusassi, vedessi tutto oggi per la prima volta.”
“Io invece vedo il mondo meno colorato.”
Si gratta il mento, poi scoppia a ridere: un suono bellissimo.
“Dobbiamo solo riequilibrarci.”
“Immagino di sì.
Dio, tutto questo è folle.”
“Puoi giurarci, ma sono felice di vivere questa follia con te. È come se fosse scritto che dovesse essere così.”
“L’anima gemella.”
“Probabilmente.”
Ci sorridiamo a vicenda e ci abbracciamo stretti, come a non volerci mai lasciare.
Che buffa la vita!
A volte basta lasciarsi andare un attimo e tutto va a posto, i rancori vengono perdonati, i torti subiti perdono importanza e conta solo l’amore che provi per un ragazzo.
“Cosa facciamo adesso?”
Mi chiede Jack strofinando il naso contro il mio.
“Sono quasi morta, direi che andare a letto è una buona idea.”
“Sono d’accordo, è stata una serata stressante.”
Mi prende per mano e mi conduce al suo bunk, lì si spoglia fino a rimanere in mutande con nonchalance, io arrossisco.
“Scusa, ma credo che ti dovrai abituare.”
“Sei sempre sicuro di te.”
“Sempre o quasi.”
Entriamo nel bunk e ci mettiamo sotto le coperte.
“Sai, di solito sono molto sicuro di me, ma c’è un’eccezione.
Non ero sicuro di riuscire ad avere il tuo perdono e a riaverti nella mia vita. Mia madre mi ha sempre detto che un giorno avrei trovato la ragazza che mi avrebbe fatto mettere la testa a posto, ma io non le credevo. Aveva ragione.
Quella ragazza sei tu.”
Io arrossisco.
“Grazie, Jack.”
Dico seppellendo la testa nel suo petto, poco dopo mi addormento.
È stata davvero la giornata più lunga e stressante della mia vita, ma anche la migliore.

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Capitolo 26
*** 25)Vivi un po'. ***


25)Vivi un po'.

 

Karima p.o.v.

 
La mattina dopo mi sveglio riposata e felice tra la braccia di Jack.
Il mondo sembra più vivido e magico che mai, di una bellezza che non avevo mai colto, quella di un raggio di sole che penetra dalla tendina non tirata bene e del paesaggio innevato che c’è fuori dal finestrino.
Qualcuno mi abbraccia da dietro e appoggia la testa sulla mia spalla: è Jack.
“Sembra che siamo arrivati in un posto dove ci sia il vero inverno, come a Baltimora.”
“Ti manca la tua città natale?”
“Sì. A dire la verità dopo questo tour penso di tornarci, mi piacerebbe che tu venissi con me.”
“Ci penserò. Non sono mai stata troppo lontano da San Diego, avevo troppa paura, ma credo sia arrivato il momento di cambiare.”
“Beh, hai tutto il tour per pensarci. Non devi decidere subito.”
“Già.”
Ci rivestiamo e raggiungiamo gli altri in cucina, inutile dire che sorridono tutti complici, nemmeno la loro squadra del cuore avesse vinto una qualche coppa.
“Beh?”
Chiedo confusa.
“Avete risolto, vero?”
Mi chiede Alex.
“Sì, ma come mai siete tutti così felici?”
“Siamo felici per voi, vi shippavamo.”
“Di’la verità, Alex. C’è di mezzo qualche scommessa?”
La voce di Jack è divertita.
“Beh, sì. Effettivamente c’è di mezzo una scommessa, i fratelli Fuentes dicevano che Karima non ti avrebbe mai perdonato, noi invece eravamo convinti di sì e non ci sbagliavamo.
Mike e Vic ci devono dei soldi.”
Io sono incredula, Jack invece si limita a scuotere la testa.
“Siete sempre i soliti, non si dovrebbe scommettere sugli amici.”
“Perché no? Soprattutto quando si sa di vincere.”
“Qualcuno mi dia un caffè.”
Borbotto io a mezza voce, Rian mi passa una tazza che sembra piena di quel caffè forte italiano tanto buono.
Ne bevo qualche sorso.
“Buono.”
Mi siedo stranita.
“Come facevate a essere così sicuri di vincere?”
“Oh, eravate due calamite che non facevano altro che attrarsi, prima o poi qualcosa sarebbe successo.”
“Capisco, beh, la prossima volta non scommettete su di me: è davvero strano.”
“Ok, Karima.
Oh, i siti di gossip sanno già di voi.”
Jack alza un sopracciglio mentre si versa dei cereali nella tazza piena di latte.
“Ci sono foto di voi fuori dalla discoteca.”
“Devono essere state quelle ragazze.”
Lui annuisce, questa volta sono gli altri a non capire.
“Ieri sera c’erano delle fans fuori dal locale, volevano pestare Karima, ma io mi sono messo in mezzo, immagino che questa sia la loro vendetta.”
“E cosa facciamo?”
“Niente, non stiamo facendo nulla di male. Agiremo solo se qualcuno chiamerà dalla casa discografica, spero che non succeda, non amo chi si intromette nella mia vita privata.”
Annuiscono tutti e continuiamo a fare la colazione tranquillamente, arriveremo alla seconda data solo nel pomeriggio.
“Torneo di videogiochi?”
Propone Zack, annuiscono tutti.
“Tu giochi, Karima?”
“No, non so giocare. Penso che andrò a letto, ho ancora sonno.”
Dico sbadigliando.
“Che bradipo che sei.”
“Ieri è stata una giornata faticosa, vorresti dormire anche tu se ti fosse successo quello che è successo a me, Rian.
Buon torneo.”
Torno nel bunk di Jack, ancora tiepido, e mi infilo sotto le coperte, abbracciando il cuscino su cui lui ha poggiato la sua testa: sa di buono, sa di lui.
Ben presto mi addormento e non sogno nulla per fortuna, ogni tanto ho bisogno di una pausa dai miei sogni strani. Non ho voglia di rivedere mia madre o cimiteri, ho solo bisogno di staccare la spina, ho vissuto abbastanza esperienze al confine della realtà da bastarmi per un po’.
Gli umani non sono fatti per superare certi confini o almeno non frequentemente come è successo a me, i morti devono stare con i morti, i vivi con i vivi o si finisce per impazzire e non si comprende più cosa sia reale e cosa no.
Non voglio impazzire, solo dormire.

 

Dopo qualche ora mi sveglio a causa del solito raggio di sole rompicoglioni e per il casino che fanno i ragazzi.
“Eppure alla mia età dovrei sapere tirare le tende decentemente.”
Mugugno mentre mi stiracchio.
“Miao!”
La  faccia di Jack fa capolino.
“Miao a te, come mai ti senti un gatto oggi?”
“Sembravi un gatto mentre ti stiracchiavi. È pronto il pranzo.”
“Scatolette o croccantini?”
“Tacos.”
“Mh.”
Lui alza un sopracciglio.
“Non ti piacciono?”
“Non mi piacciono tanto i cibi piccanti, ma per oggi lo mangerò.”
“Ok, al primo supermercato dobbiamo prendere della roba per te. Qui mangiano tutti piccante.”
“Whoa.”
Scendo dal letto e seguo Jack verso la cucina, i ragazzi sono indaffarati attorno al tavolo.
“Ciao, finalmente ti sei svegliata, pensavo fossi morta.”
Mi dice Rain, io trasalisco.
“Che ho detto di male?”
“Stanotte sono morta davvero.”
“Che?”
“Te lo giuro, dopo che le ho detto che l’amavo è svenuta e non aveva più polso.
Morta.”
Rian ci guarda sconvolto.
“È che ho ricevuto la mia anima, Jack l’ha finalmente sganciata. Chi ha vinto il torneo?”
“Zack. Ma sei morta davvero?”
“Sì.”
“E cosa c’è dopo?”
“Lo saprai a tempo debito.”
Commento misterioso.
“Jack è il solito melodrammatico, si dichiara a una ragazza e questa raggiunge il regno dei morti.
Cass non ha fatto così quando mi sono dichiarato a lei.”
“Che? Mi invidi?
Ho preso un infarto ieri sera quando ho sentito che non c’era polso, come avrei spiegato la sua morte a voi? Alla polizia?
Mi avreste appoggiato nel seppellire il cadavere da qualche parte?”
Io gli do una leggera gomitata.
“Stronzo.”
“Scusa, ma non sapevo più cosa pensare.”
“Procedure di primo soccorso, no?
Massaggio cardiaco? Respirazione bocca a bocca?”
“Ma che ne so io di quella roba? So solo che la respirazione bocca a bocca è un modo per baciare una ragazza.”
Gli do un’atra gomitata.
“Amore, un’altra di queste gomitate e il primo soccorso dovrai praticarlo su di me perché mi avrai spaccato una costola.”
“Va bene.”
“A tavola!”
Urla Alex e noi gli diamo retta, con quel grembiule a fiori gialli sembra proprio una mamma chioccia. Distribuisce un taco ciascuno e io inizio a mangiarlo, non è poi così piccante come pensavo!
“Ti piace?”
Mi chiede il cantante.
“Sì, per essere della roba piccante, sì.”
“Uh?”
“Non mangio cibo piccante.”
“E come fai?”
“Beh, me lo porto alla bocca con una forchetta e poi…”
“No, come fai a vivere senza mangiare piccante?”
“Respirando ossigeno come tutti?”
Lui sbuffa.
“Ok ci rinuncio. Mi sa che con te è una battaglia persa.”
Io annuisco ridendo e riprendo a mangiare tranquillamente.
Chiacchieriamo tranquillamente durante il pranzo, poi i ragazzi lavano i piatti.
Alex chiama Lisa e Rian Cassadee, poi Jack sparisce nella cabina dell’autista, poco dopo il pullman si ferma a una stazione di servizio.
“Come mai ci fermiamo?”
Chiedo perplessa.
“Beh, per comprare cibo messicano non piccante per te.”
“Non dovevate! Insomma…”
Jack mi appoggia un dito sulle labbra.
“Va bene così, ok?
Faremo rifornimento, ogni tanto lo facciamo anche noi e poi non credo che un’ora faccia la differenza tra la vita e la morte.”
“Va bene, va bene. Immagino che qualsiasi cosa dirò non cambierà la tua decisione, giusto?”
“Giusto, sono un tipo testardo.”
“Lo so.”
Ci avviamo verso i carrelli, Jack ne estrae uno mettendo la moneta nell’apposita fessura e poi mi indica l’interno.
“Cosa?”
“Entra.”
“Che?”
“Dai, è divertente!”
“Sì, ma…”
“È da bambini? Si, lo è ed è per questo che è divertente. Vivi un po’, Karima!”
“Va bene.”
Entro nel carrello e mi lascio condurre all’interno, i due cassieri ci guardano male, Jack risponde con un sorriso smagliante come a dire che a lui della loro disapprovazione non importa un fico secco. Potrebbe metterlo come epitaffio sulla sua tomba quello che non gliene frega niente delle opinioni della gente.
Compriamo qualche genere di prima necessità, qualche stronzata come patatine e caramelle gommose, poi andiamo dritti al reparto surgelati. Jack inizia a controllare i vari tipi e marche di tacos ed empanadas e le butta nel carrello solo quando è sicuro che non contengano roba piccante.
Dopo averne impilata una discreta quantità lascia il reparto, io esco dal carrello e facciamo entrare altre stronzate e delle birre.
Arriviamo alla cassa e paghiamo tutto, anche gli altri sono in coda con noi con i loro carrelli pieni.
Usciamo dal supermercato e una folata di vento freddo rischia di farmi volare via il berretto con i colori rasta che indosso.
“Woah! Fa freddo qui!”
“Oh, sì! Vedrai più su!”
Mi dice allegramente Rian, tutti sembrano abituati tranne me, che ho lasciato raramente San Diego.
Carichiamo le cose sul tourbus, poi Jack mi fa di nuovo cenno di entrare nel carrello e comincia a spingerlo, poi – una volta acquistata una certa velocità – salta sui ferri che coprono le ruote e urla.
È da folli?
Sì.
Da bambini?
Sicuramente.
Ma è anche fottutamente divertente e vorrei che non finisse mai, non mi sono mai sentita così libera viva e felice come adesso.

 

Il tourbus è ripartito da circa un’ora.
Ho risposto ad Amelie e Darren che volevano sapere se davvero ero diventata la ragazza di Jack e poi mi sono messa a fotografare i ragazzi sotto l’occhio attento di Jack che non perde una mia mossa.
“Cosa c’è, Jack?”
Gli chiedo a un certo punto.
“Nulla, mi piace guardarti.”
“Ok, è molto dolce, ma anche inquietante. Sembri una maestra che tiene d’occhio il suo allievo più indisciplinato in attesa che compia una marachella.
Lui alza le spalle.
“Guardarti mi piace e poi Alex è in piena febbre creativa e Zack e Rian mi hanno di nuovo escluso dalla loro partita.”
“Non è colpa mia se fai schifo.”
Risponde il bassista.
“Ehi! Bada a come parli!
L’ultima volta ti ho stracciato!”
“Quale ultima volta? È successo quest’anno almeno?”
“È successo nel 2010.”
Dice con dignità il mio ragazzo.
“Oh, un’ultima volta molto recente.”
“Ma è successo e non puoi negarlo.”
“È successo una sola volta e non si è più ripetuto, è stata un’eccezione. Rassegnati.”
Lui sbuffa.
“Karima, digli qualcosa.”
“E cosa gli devo dire? Io non ci capisco nulla di videogiochi.”
“Non so, qualcosa come darmi una seconda possibilità.”
“Oh.”
Mi gratto la testa.
“Zack, non gli daresti una seconda possibilità?”
“No, perché non fate qualcosa da coppiette?”
Il suo tono ha qualcosa che mi fa ricordare all’istante che io ho rifiutato lui per stare con Jack, per poi soffrire, sembra quasi risentimento o un “te l’avevo detto” non espresso.
“Ok. Dai, Jack.
Andiamo in cucina e beviamoci una cioccolata.”
Lui mi segue senza fare commenti, io verso due bustine di cioccolata già pronta in un pentolino e poi il latte che serve.
“Jack, Zack è ancora arrabbiato perché io l’ho rifiutato?”
“Forse. Non parliamo di quell’argomento, è una specie di accordo segreto tra di noi, però credo che gli bruci ancora un po’visto come è andata all’inizio tra di noi.”
“Capisco, mi dispiace si sia creata questa situazione.”
“Passerà, non puoi farci nulla.”
Io annuisco e verso il contenuto del pentolino in due tazze e poi le appoggio sul minuscolo tavolino.
“Ecco la nostra cioccolata.”
Lui ne beve un sorso.
“Non è male.
Senti, dopo il prossimo concerto avremo un paio di giorni liberi.
Ti va di uscire con me?”
“Cos’è? Un appuntamento?”
“Uhm, esattamente. Sei la mia ragazza, no?
Posso invitarti fuori.”
“Sì, certo che puoi. Sono solo preoccupata di trovare un’altra gang di ragazzine fuori dal ristorante.”
“Cercherò di tenerlo segreto, poi se succederà…
Beh, purtroppo dovrai abituarti, lo so che suona da stronzi dirlo, ma purtroppo questa è la mia vita. Da ragazzino non pensavo che avrebbe avuto lati negativi, volevo solo essere come Tom dei blink.”
Io gli prendo una mano tra le mie.
“È tutto ok, Jack.
Lo so che non è facile essere famoso, lo so perché è così anche per mio zio, cercherò di farci l’abitudine, porterò sempre con me un lanciafiamme.”
“Vuoi fare Jack alla brace?”
Mi domanda divertito Alex, che è entrato proprio ora.
“No, sta pensando di usarlo contro le nostre fan se dovessero farsi vive al nostro appuntamento.”
“Dolce. Ci farebbe guadagnare un sacco di pubblicità, anche se non esattamente positiva, magari il nostro manager sarebbe felice.
Ma questa è una notizia secondaria, voi due andate a un appuntamento?”
“Sì, cosa c’è di strano?”
Chiedo io guardandolo stranita, Alex sembra uno che stia trattenendo delle grasse risate.
“C’è che Jack non va a un appuntamento serio da quando aveva sedici anni, voglio un racconto particolareggiato e magari qualche filmato.”
“Non sapevo fossi una specie di maniaco, Alex.”
Lo guardo di sbieco.
“Semplice curiosità.”
Io scuoto la testa.
“Non vi capirò mai, non so come faccia Lisa a sopportarvi.”
“Lisa è una ragazza paziente.”
“Io non lo sono.”
Lui ride.
“Lo so, lo so. La prossima volta cercherò di essere meno invadente.”
“Guarda che se ti becco sotto al nostro letto la prima notte che faremo l’amore ti pesto di brutto.
Uomo avvisato, mezzo salvato.”
“Ok, me lo ricorderò. Telecamere?”
“Satana, esci da questa cucina.”
“Ok, ok.”
Se ne va ridendo come un matto.
“È un’altra delle cose a cui devo abituarmi?”
“Ehm, sì.”
Io scuoto la testa.
“Non ho ancora capito se io abbia fatto una buona scelta accettando di diventare la tua ragazza.”
“Baby, non dire così. Mi ferisci.”
Si  porta una mano al cuore con fare teatrale.
“Sei proprio un buffone.”
“Ma ti piaccio.”
Io sospiro.
“Sì, mi piaci.”
Lui sorride e mi bacia.
Dopotutto non è male stare con lui, non ci si annoia mai di sicuro.
Sarà quel che sarà.

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Capitolo 27
*** 26)Un appuntamento magico. ***


 26)Un appuntamento magico.

 

Karima p.o.v.

 
Siamo arrivati a Portland, ieri sera c’è stato il concerto.
È stato un successo e ho fatto delle buone foto, dovrei essere contenta, invece sono in preda a un dubbio tipicamente femminile: cosa mi metto?
Non avevo previsto la possibilità di un’uscita romantica e non mi sono portata nemmeno un vestito adatto. Sbuffo sonoramente e guardo il mio guardaroba con aria truce.
“I tuoi vestiti ti hanno fatto qualcosa? Tipo tentare di ucciderti?”
Mi chiede Rian.
“No, mi hanno fatto l’affronto di mancare.”
“Cioè?”
“Jack mi ha invitata a uscire e non ho nemmeno un vestito adatto.”
“Esci e fai shopping, non è quello che fate voi ragazze?
Almeno, Cass fa così, se le manca un vestito esce e se lo compra.”
“Vuoi la verità?
Ho paura di uscire, non voglio chiederlo a Jack perché non voglio che si inquieti ancora di più per la storia delle fans e non voglio chiederlo a voi.”
“Perché no?”
“Le fans potrebbero fraintendere e pensare che mi faccia l’intera band.”
Borbotto cupa.
“Capisco. Beh, non hai molta scelta o te la fai passare o non vivi più.”
“A quanto pare.”
Sospirando mi infilo gli anfibi e la mia giacca, poi prendo una borsa e controllo il contenuto del mio portafoglio,  posso comprarmi qualcosa di carino.
“Io vado, ciao.”
Esco dal pullman, consulto la cartina della città e poi mi incammino verso il centro, sarà una bella camminata, ma servirà a sciogliere la tensione che ho addosso. Non sono stata del tutto sincera con Rian, non sono solo le fans a preoccuparmi, ma anche la prospettiva dell’appuntamento stesso.
L’ultima volta che io e Jack siamo usciti insieme abbiamo rotto e non vorrei che la cosa si ripetesse anche questa volta.
-Non essere paranoica, Karima.
Non c’è motivo per cui voi dobbiate rompere, siete o non siete anime gemelle?-
Teoricamente lo siamo, ma chi lo può mai dire fino in fondo?
È solo paranoia, torno a ripetermi come se fosse un mantra che potesse calmarmi in qualche modo, che poi a me non è nemmeno mai piaciuto fare shopping.
Macinando pensieri arrivo in centro e mi guardo attorno: i negozi che ci sono qui sembrano tutti troppo costosi per me, quindi devo aguzzare gli occhi e cercare un posto più economico degli altri.
Alla fine ne trovo uno seminascosto ed entro, deve essere l’ultima bottega sopravvissuta al nuovo assetto urbano. Mi guardo attorno e vado verso quella che è la zona dei vestiti un po’ più eleganti e comincio a osservarli uno ad uno, alla ricerca di qualcosa che mi piaccia.
Alla fine la mia scelta cade su un semplice tubino nero con e maniche e lo scollo in pizzo, abbastanza aderente. Lo provo e noto che mi calza a pennello, anche se non sono esattamente una modella e non lo sarò mai.
Va bene lo stesso, comunque.
Me lo tolgo, lo sistemo meglio che posso – non sono mai stata un asso a sistemare i vestiti – e poi mi rimetto i miei vestiti. Compro anche un paio di ballerine nere con il cinturino alla caviglia a punta tonda e, dopo aver pagato, esco dal negozio.
Mi piacerebbe fare un giro per la città, ma non mi sento sicura, anche se so che è assurdo avere paura di un gruppo di ragazzine.
Torno verso il pullman con il mio sacchetto in mano e arrivo giusto in tempo per il pranzo, Zack sta servendo a tutti della pizza.
“Bentornata! Dove sei stata?”
Mi chiede, io arrossisco.
“Io? A comprare un vestito, niente di che!”
Appoggio tutto quanto nel mio bunk e poi mi siedo a tavola, dove mi trovo davanti a una pizza margherita.
“Che vestito hai comprato?”
“Niente di che.”
“Dai, Karima!”
Mi stuzzica Alex.
“Un vestito per l’appuntamento.”
“Posso vederlo?”
Mi chiede Jack.
“Lo vedrai stasera, penso tu possa resistere ancora qualche ora.”
“Dai, Karima!”
“Ho detto di no, accidenti!”
Sbuffo io, iniziando a mangiare.
La verità è che mi vergogno terribilmente del mio corpo e non voglio che Jack lo veda prima del tempo, non sono come le ragazze con cui è abituato a uscire e ho paura di non reggere il paragone. Da dove viene tutta questa pressione? Questa paura?
Cosa c’è di sbagliato in me?
Credevo che una volta riavuta la mia anima tutto sarebbe stato più facile, ma non è affatto vero, è persino più difficile. Tutte queste emozioni nuove mi confondono e mi rendono fragile, anche felice, ma soprattutto fragile.
Mi sono sempre vestita come più mi piaceva, cosa è cambiato?
Jack mi ha visto vestita in modi peggiori, non sexy, e sudatissima dopo avere fatto foto per tutto il concerto, cosa dovrebbe cambiare questa volta?
Non dovrebbe cambiare nulla, ho solo bisogno di riposo, mi dico per tentare di dare un senso al tutto. Finito di mangiare mi alzo da tavola.
“Beh, vado a riposare un attimo.”
Mi guardano tutti stupiti, ma nessuno dice nulla.
Devo averlo scritto in faccia che ho qualcosa che non va, a volte mi manca la mia vecchia impenetrabilità.
Era bello potersi nascondere ogni tanto.

 
Dormo circa un paio d’ore, poi mi chiudo in bagno per fare la doccia, depilarmi e tutte le operazioni preliminari.
Jack entra dopo di me e si cambia nella zona notte con la solita disinvoltura, indossa un paio di jeans neri, una camicia e un maglione dello stesso colore.
Io prendo il mio tubino e mi chiudo in bagno.
Metto le calze, poi il vestito e infine mi trucco di nero, con la sola macchia di colore del rossetto rosso, poi finalmente esco e indosso le ballerine.
Ansiosa come non mai vado nella zona relax, i ragazzi stanno parlando, ma al mio arrivo si zittiscono e mi guardano.
“Beh?”
Chiedo.
“È che tranne per quella volta che ci siamo incontrati al club non ti abbiamo mai visto con un vestito.”
“Sto così male?”
“No, stai benissimo. Perché pensi di stare male?”
“Non so, mi guardate come se fossi una specie di alieno!
Lo so che non sono la tipica ragazza che Jack si porterebbe a letto, ma potreste essere più carini!”
Jack sospira.
“Dunque, è questo il problema.
Pensi di non essere all’altezza?”
“Sì.”
Rispondo io, abbassando gli occhi come una bambina scoperta con le mani nella marmellata.
“Ragazzi, lasciateci cinque secondi da soli.”
Il resto della band non se lo fa ripetere e presto rimaniamo solo io e Jack.
“Ascolta, non devi avere paura delle mie ex o di come sta il vestito.
Quelle ragazze me le volevo solo portare a letto, non volevo una relazione seria con loro, con te è diverso, tu sei diversa.
Mi piaci a prescindere, ti trovo carina con ogni vestito addosso, perché sono il tuo carattere e la tua personalità ad affascinarmi. Non penso solo a portarti a letto, spero che io e te andremo più lontano di questo.
Molto più di questo.
Io ti amo, Karima, lo sai questo?”
Mi prende le mani tra le sue.
“Lo so, non capisco cosa mi prenda.”
“Ansia, ma è normale. Almeno per quanto riguarda uscire con un tipo come me, non sono una persona raccomandabile, ma a te voglio mostrare il mio lato migliore.
Per favore, credimi e dammi una possibilità.”
Io sospiro.
“Va bene.”
Lui mi bacia e tutto sembra tornare di nuovo a posto, ogni mia paura svanisce.
“Sei pronta adesso?”
“Credo di sì. Come si fa a capire se si è pronti?”
“Sei gioiosa e impaziente.”
“Più che altro preoccupata di fare una delle mie terribili figuracce o scenate.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Va beh, andiamo.”
Usciamo dal tourbus per dirigerci verso una piccola utilitaria.
“L’ho noleggiata, mi sembrava poco romantico andare a un appuntamento con i mezzi.”
Io annuisco ed entro dalla parte del passeggero.
“Beh, dove mi porti?”
Chiedo tanto per spezzare la tensione.
“Uhm, mi hanno parlato molto bene di un ristornate italiano, così pensavo di andare lì.
La cucina italiana piace a tutti, no?”
“Sì, hai ragione.
La adoro.”
Lui mi sorride e appoggia una mano sulla mia, poi mette in moto dando il via ufficiale al nostro appuntamento. Inserisce le coordinate nel navigatore satellitare e segue le indicazioni, solo che invece di trovarci davanti a un ristorante italiano ci troviamo davanti a un’officina, il meccanico esce curioso.
“Problemi con la macchina?
Potrebbe ripassare domani, per favore? Sto chiudendo.”
“Non ho problemi con la macchina, ho problemi con il mio navigatore!
Dovevo arrivare davanti a un ristorante che si chiama “Salvatore”, non qui.”
“Oh. Beh, quei cosi non funzionano mai come dovrebbero, perché non ha guardato una cartina o su Google Maps?”
Jack arrossisce.
“Non ci ho pensato, non starò in città per molto.”
Molto gentilmente il meccanico ci spiega come raggiungere il ristorante e arriviamo con una mezzora di ritardo rispetto al previsto e la cameriera che ci accoglie all’ingresso sembra muoverci un muto rimprovero.
“Scusi, ci siamo persi, non siamo di qui.”
Balbetta Jack.
“Va bene, signori. Seguitemi.”
Noi eseguiamo gli ordini e attraversiamo una sala affollata per arrivare a una più intima illuminata solo dalle candele dei tavoli e dalle lanterne elettriche.
“Questo è il vostro tavolo e questi sono i menù.”
Se ne va facendo ticchettare i suoi tacchi alti.
“Non è la persona più simpatica di questo mondo, vero?”
Mi chiede Jack.
“No, decisamente no. Se anche le cameriere si credono chissà chi, immaginati i proprietari.”
Lui ride e annuisce prima di iniziare a sfogliare il suo menù.
“Che cosa prendi?”
Gli chiedo.
“Non lo so. Mi hanno detto che il risotto ai funghi e la grigliata mista sono i loro piatti forti.”
“Prendiamo quelli allora.”
Lui annuisce e poco dopo la cameriera arcigna ritorna con il suo blocchetto.
“Avete deciso, signori?”
“Uhm, sì. Due risotti ai funghi e due grigliate miste di pesce.”
“La grigliata mista è generalmente un piatto per due persone, molto adatto alle coppie.”
“Oh, ok. Allora solo una.”
La cameriera annuisce.
“Cosa vi porto da bere?”
“Acqua e vino bianco.”
Annuisce e se ne va.
“La sua simpatia aumenta di minuto in minuto scommetto che se potesse ci sbatterebbe fuori.”
“Lo penso anche io e non verrò mai più in questo ristorante, nemmeno se il cibo fosse divino.”
“Già.”
Cinque minuti dopo torna con le nostre bevande, versa il vino a Jack e dell’acqua per me, poi sparisce di nuovo. Jack alza il bicchiere, io faccio lo stesso.
“A noi?”
Mi chiede.
“A noi!”
E faccio scontrare i due calici. Il sorso d’acqua scende grato nella mia povera gola, non mi ero accorta di avere così sete, stasera non sono davvero me stessa!
“Come ti è sembrata la tua prima esperienza di fotografa musicale?”
“Completamente folle. Un lavoro faticosissimo, ma a volte dà delle soddisfazioni, spero che alla casa discografica piacciano le mie foto.”
“Sono sicuro che sarà così, durante i nostri concerti sembri un pupazzo a molla, saltelli ovunque alla ricerca degli scatti migliori.”
“Sì, credo di aver perso qualche chilo. Dovrebbe essere positivo, ci sono donne che farebbero carte false per dimagrire.”
“Sì o venderebbero la madre.”
Ride lui.
“A volte voi donne siete strane.”
“Anche voi uomini.”
“Ok, siamo tutti strani solo che qualcuno lo nasconde meglio.”
Mi concede lui.
“Stai bene, Karima?”
Mi chiede.
“Non lo so, non so perché sono così agitata. Mi hai visto in situazioni peggiori.”
“Credo che tu non ti sia ancora abituata alle emozioni, datti tempo e le cose miglioreranno.”
Mi stringe una mano tra le sue, un momento magico interrotto da quella maledetta cameriera che tossicchia. Credo che prima della fine della cena le tirerò un piatto addosso per manifestare la mia simpatia nei suoi confronti, capisco che certi clienti possano non piacere, ma non c’è motivo di essere sgarbati.
“Guarda che i soldi per pagare la cena e lasciarti una mancia li abbiamo.”
Sbotto io, lei sbatte falsamente gli occhi e appoggia i nostri piatti.
“Dicevo che puoi anche smetterla di guardarci come se fossero degli scarafaggi che non puoi schiacciare, i soldi li abbiamo insieme al diritto di venire in questo ristorante ed essere trattati come esseri umani.”
La ragazza arrossisce per la stizza.
“Credo che la signora abbia interpretato male il mio comportamento.”
“Senti, non sono nata ieri. Lo so che non ti piacciamo, ma il tuo lavoro è essere gentile con la gente che servi, se non sai farlo cercatene un altro.”
“Almeno io un lavoro ce l’ho.”
Sibila lei.
“Anche io, sono una fotografa.”
Dico con voce flautata e gli occhi duri, lei se ne va fulminandoci.
“Wow. Meglio non farti arrabbiare!”
“Quando ci vuole ci vuole. È una cosa che mia madre faceva spesso, tutti la guardavano per via dell’hijab e lei li rimetteva a posto.”
“Una cosa di famiglia, insomma.”
“Un caro ricordo che ho di lei.”
Dico sorridendo.
“Beh, mangiamo e speriamo che non ci avvelenino i secondi.”
Il tono di Jack è allegro e iniziamo a mangiare il nostro riso ai funghi, che è effettivamente molto buono, ma non al punto da giustificare una tale boria.
“Buono, ma non giustifica la sua reazione.”
Lui annuisce.
Poco dopo ci vengono serviti i secondi e poi dolce e caffè, Miss Simpatia sembra avere una voglia matta di buttarci fuori dal ristorante come due sacchi di spazzatura indesiderati.
Quando paghiamo ci guardiamo bene dal lasciarle una mancia, probabilmente non torneremo mai più in questo posto.
Fuori Jack si stiracchia e mi guarda.
“Che si fa?”
“Un giro per il centro?
Ci sono le luminarie per Natale, anche il Ringraziamento si avvicina.
Tornate a casa?”
“No, abbiamo deciso di no. Lo festeggeremo tra di noi, sarebbe inutile strapazzarci con un viaggio così solo per un giorno.”
“Capisco.”
“Tu lo festeggi?”
“Sì, lo festeggio. Ma sono felice di non tornare a casa, non ho voglia di rivedere mio zio e sarebbe il primo Ringraziamento senza i miei.”
“Oh, mi dispiace.”
“Non fa niente, devo abituarmi al fatto che loro non ci siano più.”
Lu mi stringe a sé e camminiamo verso il centro della città dove le luminarie sono già accese, sottili fili di luci dorate e argentate, alternati a sfere, fiocchi  di neve e stelle, davvero ben fatto.
“Mi piacciono le luci di Natale.”
Dico senza un motivo preciso.
“Oh, anche a me.”
Mi sorride Jack, poi alza dolcemente il mio viso verso il suo e mi bacia con dolcezza, come se temesse di farmi male, sono io ad approfondire il bacio: ho bisogno di sentirlo mio.
Ancora non mi sono del tutto abituata all’idea che noi due stiamo insieme, certe volte penso sia solo un lungo sogno e che presto mi sveglierò.
“Dimmi che non finirà, non subito.”
“Finirà quando ci stancheremo e penso che non succederà presto.”
Ci baciamo ancora e poi riprendiamo a camminare nel freddo pungente della città, chiacchierando stando abbracciati, ridendo per cose senza senso come fanno gli innamorati.
È il migliore appuntamento della mia vita forse perché grazie a lui possiedo i miei sentimenti e tutto è amplificato e magico, come se fosse il primo appuntamento.
All’improvviso piccoli fiocchi bianchi e leggeri iniziamo a scendere dal cielo.
“Magico! La neve!”
Esclamo io alzando le braccia.
“Davvero magico, questo rende il nostro appuntamento perfetto, forse qualcuno lassù approva la nostra unione.”
“Mia madre.”
“Beh, grazie, signora Jenkins.”
Dice lui serio.
Con la mia mano stretta nella sua stanotte tutto mi sembra possibile, anche essere completamente e totalmente felice per tutta la vita o quasi.
E il sorrido che rivolgo al cielo è il più autentico e felice della mia vita.

 

 

 


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Capitolo 28
*** 27)Il giorno del Ringraziamento. ***


27)Il giorno del Ringraziamento.

 

Il giorno del Ringraziamento è finalmente arrivato e ci ha colto piuttosto lontani da un qualche hotel, quindi dovremo cucinare noi qualcosa e non sarà facile dato che abbiamo solo un cucinino.
I ragazzi hanno comprato un megatacchino secondo la tradizione, Zack si sta occupando della squartatura, io invece della preparazione del ripieno.
Castagne, pane raffermo, burro, cipolla, un gambo di sedano, limone, vino bianco, rosmarino, prezzemolo, maggiorana, timo, olio, sale, pepe e mirtilli rossi mescolati in un amalgama perfetta, quasi come una pozione magica.
Finito, Zack lo distribuisce nel povero tacchino e poi lo infila nel forno non so nemmeno io come, quel coso è enorme.
Adesso devo preparare salse e contorni.
La prima è quella ai mirtilli che in realtà non sono i mirtilli che pensano gli europei, ma frutti chiamati ossimoco o mortella di palude
Faccio riscaldare in un tegame alcuni di questi frutti freschi, a cui aggiungo a piacimento una grattugiata di zenzero, di buccia d’arancia, dello zucchero di canna e per ammorbidire il tutto del succo d’arancia. Questa salsina dovrà essere servita fredda ed è per questo che la preparo per prima.
Apro il forno e tolgo un po’ del liquido di cottura dal tacchino e mi accingo a preparare la seconda salsa chiamata Gravy. Prendo il liquido di cottura, le interiora dell’animale reprimendo un conato di vomito, verdure, brodo di tacchino e farina.
Anche questa è fatta.
Preparo il purè di patate, poi ci metto del latte, del burro, della noce moscata, del prezzemolo o della salvia fritta. Visto che i ragazzi amano i sapori decisi aggiungo anche un trito di aglio e scalogno. Nella parte finale della preparazione aggiungo della panna acida, del cheddar ed un altro formaggio a scelta. Mi asciugo il sudore con una manica.
Adesso manca solo la torta.
“Zack!”
Chiamo, lui arriva immediatamente.
“Ce la facciamo a farci stare la torta nel forno?”
Lui controlla e poi annuisce.
“Sicuro?”
“Sì.”
Io prendo della polpa di zucca che avevo fatto cuocere precedentemente, panna diluita con il latte, zucchero bianco e di canna, cannella, zenzero, noce moscata, garofano e uova leggermente sbattute. Mischio tutto e lo verso in uno stampo in cui c’è già della pasta frolla per crostate e inforno.
“Zack, vado a farmi una doccia. Ti affido il tutto.”
Esco dalla cucina e mi tolgo l’hijab che ho usato come turbante, guardo Jack e gli sorrido.
“Come è andata?”
“Penso mangeremo bene, adesso è tutto nelle sante mani di Zack. Io vado a fare una doccia e poi vi raggiungo.”
Sorrido di nuovo al mio ragazzo e gli mando un bacio con la mano, poi vado alle docce e mi ci infilo sotto. Cucinare mi piace, ma stanca anche e io sono distrutta.
Finita la doccia, asciugo i capelli e li raccolgo in una coda, poi indosso un vestito rosso a maniche lunghe con lo scollo alla coreana, ma che si apre appena sopra il seno. Mi trucco e torno dai ragazzi. Jack fischia non appena mi vede e mi abbraccia, baciandomi poi.
“Sei bellissima e io sono tanto fortunato ad averti come ragazza.”
Mormora con quel suo sorriso tenero.
“Grazie, non esagerare.”
“Non esagero. Oggi deve essere un giorno felice.”
“Allora sediamoci.”
Ci invita Alex, noi annuiamo.
La tavola è già stata apparecchiata con una tovaglia bianca e bicchieri e posate non di plastica.
“Wow!”
“Sorpresa, vero?
Ce li siamo portati dietro proprio per festeggiare come si deve il Ringraziamento.”
“Abbastanza, spero non si rompano.”
“Non essere così fiduciosa in noi, potremmo montarci la testa.”
Mi risponde allegro Rian.
“Ok, va bene. Niente commenti acidi per oggi.”
Ci sediamo e poco dopo Zack arriva con il tacchino e Alex con le salse e le patate.
“Adesso vedremo se la ragazza di Jack è una brava cuoca.”
“Se non ti fidi delle mie capacità, potevi cucinare tu, Alex. Ho faticato tutta la mattina.”
“Non ti piace cucinare?”
“Credo di poter dire di sì, ma è faticoso.
Mia madre diceva sempre che si spendeva una mattinata in cucina per far sparire tutto in cinque-dieci minuti.”
“Dubito che faremo sparire questa bestia in così poco tempo.”
Dice sorridendo Zack e inizia a tagliarlo.
Piano piano le porzioni vengono distribuite a tutti e sul tavolo c’è un momento di silenzio, Rian recita la preghiera tradizionale e iniziamo a mangiare.
“Devo dire che è davvero buono, anche le salse.”
Commenta Alex.
“Metà del merito è mio e metà è di Karima.”
“Allora, complimenti a Zack e Karima!
Brindisi?”
Annuiscono tutti e versano del vino rosso nei bicchieri.
“A Zack e Karima!”
I bicchieri si scontrano con il tradizionale “cin cin!” e poi riprendiamo tutti a mangiare, senza parlare molto. Di solito c’è sempre silenzio quando si mangia e la cosa mi fa piacere perché so che il pranzo è riuscito e perché non sono ancora molto brava nelle conversazioni.
Dopo un po’ il tacchino viene finito, la frutta viene messa in tavola e divorata anche quella, adesso è il turno della torta, la famosa pumpkin pie.
Sparecchio il necessario e la porto in tavola, l’attenzione di tutti è calamitata su quella, come se non avessero affatto mangiato prima.
Senza sapere cosa dire taglio le porzioni e le distribuisco.
“Buon appetito.”
“Buon appetito anche te.”
Il pranzo riprende, ci sono lodi anche per la torta.
Servo il caffè e poi l’ammazzacaffè, ora siamo tutti sazi e felici.
“Beh, credo sia arrivato il momento.”
Sentenzia il cantante.
“Uhm, quale?”
Chiedo io.
“Quello di ringraziare per le buone cose che sono successe quest’anno.”
“Oh, già.”
“Inizio io.”
Dice allegramente Lex, alzandosi in piedi.
“Per prima cosa vorrei ringraziare questi tre scemi per essere ancora qui con me a suonare in questa band. Senza di voi non saprei cosa fare, quindi grazie mille per sopportarmi.
E grazie anche al Signore ovviamente.
Vorrei anche ringraziare Lisa per essere la mia ragazza, ha coraggio se non è ancora scappata davanti alla mia follia.
In ultimo vorrei ringraziare Karima per essersi unita a questo tour e aver cucinato per noi questo buonissimo pranzo.
Ho finito.”
Si siede, il prossimo ad alzarsi è Rian.
“Uhm, non sono sicuramente originale,  ma ringrazio Dio per avere questa band. Non molte persone fanno il lavoro che vogliono in compagnia dei loro migliori amici.
È un grande dono e sapere che si rinnova ogni anno mi rende molto felice.
Ringrazio anche per avere Cass nella mia vita, è una meravigliosa ragazza che capisce alla perfezione le mie esigenze. Le auguro ogni bene e che la sua carriera da solista decolli, lo sanno tutti che sono il suo fan numero uno.
Credo sia tutto.”
Si siede sorridendo e si alza Zack, sono un po’ nervosa dati i nostri trascorsi.
“Come tutti ringrazio Dio per poter suonare in questa band con delle persone davvero fantastiche, spero che continueremo ancora a lungo!
L’unica cosa che vorrei chiedere è una ragazza, inizio a sentirmi un po’ fuori posto tra tutte queste persone felicemente in una relazione.”
Ride imbarazzato.
“Potrei avere una vita peggiore, molto peggiore, quindi non posso lamentarmi troppo alla fine.
Agli All Time Low.”
Ora tocca a Jack.
“Ovviamente ringrazio come tutti di essere in questa band. Ehi, sono con i miei migliori amici e il mio fratello di un’altra madre, non ho nulla per cui essere infelice.
Ringrazio anche Karima per la sua infinita pazienza e per avermi fatto imparare cosa significa amare qualcuno. Senza di te non lo saprei, tesoro, e te ne sono infinitamente grato.
Spero che la vita continui così, perché onestamente non mi sono mai sentito così felice in vita mia.”
Io arrossisco, poi mi rendo conto che tutti mi guardano, adesso tocca a me.
Cavolo, cosa devo dire?
Tento di parlare, ma mi esce solo un suono strozzato.
Ok, devo essere calma, non è nulla di così terribile.
“Beh, ecco. Sono grata alla Hopeless Records per avermi assunta e avermi dato la possibilità di svolgere questo fantastico lavoro. Non è stato facile all’inizio, ma adesso credo di avere ritrovato la vera me stessa a cui piace fare foto.
Ringrazio anche le persone che mi sono state vicine e sono diventati miei amici, so di non essere una persona facile da sopportare.
In ultimo, ma non per importanza, ringrazio Jack. Non è stato facile nemmeno con lui, ci sono stati scontri, momenti in cui non ci siamo parlati, ma alla fine...
Alla fine ho riavuto la mia anima e sono la sua ragazza, è molto per cui ringraziare.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Credo di avere finito.”
Spero di non avere fatto pessime figure, ma Jack sorride quindi credo che vada tutto bene.
Finito il pranzo, sparecchio e lascio Zack a lavare i piatti, dice che è giusto così visto che io ho cucinato.
Raggiungo gli altri, Jack mi viene incontro, io lo guardo un po’ansiosa.
“Come me la sono cavata?”
Chiedo.
“Bene. Pensavi davvero tutte quelle cose?”
“Sì, solo non sapevo come dirle. Ho scoperto che da quando ho i sentimenti non riesco più a parlare in modo sciolto come prima.”
“Forse adesso pensi all’effetto che faranno le tue parole sulle persone?
“Sì, credo che il problema sia questo. Non ho ancora capito se sia un bene o un male, a volte sono confusa.”
Lui mi accarezza la testa.
“È assolutamente normale, non ti devi preoccupare. È come se fossi una bambina in questo senso, devi imparare a controllare le tue emozioni, ma so che ce la farai.
Sei forte, Karima.”
“Lo spero, ho paura di essere solo un peso per tutti ora…”
“Non lo sei. Stai calma, va tutto bene, ci sono io con te.”
Io annuisco e mi siedo sul divano con gli altri.
“Bel discorso, Karima.”
Si complimenta Rian.
“E pensare che all’inizio non ci sopportavi.”
“Si fanno dei passi avanti.”
Rispondo a disagio.
“Tutto bene?”
Mi chiede il batterista.
“Per la verità mi sento come se un camion mi avesse travolta, troppe emozioni in una volta sola.”
“Capisco. Controllarle non è facile, vero?”
“Sì, è vero.
La vita è diventata bella, ma anche complicata e non c’è più l’apatia in cui rifugiarsi.”
“Perché dovresti rimpiangere qualcosa de genere?”
“Perché è confortevole, non senti le emozioni positive, ma nemmeno quelle negative.
Ti dà anche coraggio in un certo senso, perché non ti importa nulla di quello che potrebbe pensare di te la gente.”
“Credo di capire, ma ancora mi suona tutto così strano.”
Io sospiro e non dico più nulla, nessuno può capire fino in fondo cosa provo, perché la mia non è stata una situazione normale per anni.
Sono io la strana.

 

Il pomeriggio passa tranquillo.
Guardiamo film e beviamo una cioccolata, a cena mangiamo tutti the e biscotti perché il tacchino del pranzo era un piatto molto sostanzioso.
Alla fine della giornata c’è una certa stanchezza nell’aria, Zack fila a letto, Alex e Rian si chiudono nel loro bunk per chiamare Lisa e Cass, così rimaniamo solo io e Jack.
“Giornata lunga?”
“Abbastanza.”
Rispondo io sbadigliando.
“Karima, ti piacerebbe venire a Baltimora dai miei per Natale?”
Io lo guardo sorpresa.
“Sinceramente non lo so, devo pensarci.”
Lui annuisce.
“Come mai me l’hai chiesto?”
“Vorrei che la mia famiglia ti conoscesse, ho parlato spesso di te quindi sono curiosi.”
“Vorrei che anche la mia famiglia fosse così positiva, mio zio è sempre dell’idea che tu non vada bene per me, l’unica che mi chiama è Ava.”
“Capisco. Beh, se decidessi di venire potresti trascorrere il Natale in famiglia, i miei sono un po’ fanatici del Natale, mia madre più che altro.”
“A me piacciono le luci di Natale e la neve, mi ricordo che qualche volta, quando mio padre aveva dei convegni, ci portava tutti a New York e trascorrevano il Natale.
Mi piaceva molto.”
Un silenzio un po’imbarazzato cale su di noi.
“Ti mancano, vero?”
“Sì e mi mancheranno sempre, sono i miei genitori.”
“Hai ragione, ti ho fatto una domanda stupida.
È che io non riesco a pensarmi senza i miei genitori, forse sono solo un mammone.”
“Mannò, è normale, credo.
Voglio dire sono la tua famiglia, sangue del tuo sangue e ti sono sempre stati accanto, ti hanno sostenuto. Sono io l’eccezione, vorrei… Ecco avrei voluto recuperare la mia anima prima della loro morte per vederli felici. Soffrivano molto per la mia situazione.”
“Mi dispiace.”
“Fa parte della mia vita, è inutile piangere sul latte versato e poi mi vedono da lassù e spero che ora siano felici.”
“Mi piace la tua fede nell’aldilà, io non sono così sicuro che ci sia.”
Io sospiro.
“Non riesco a concepire la nostra vita come una meteora che brucia nel cielo del tempo e poi si spegne di botto. Deve esserci qualcosa di più, sennò perché vivere, amare, soffrire e ancora soffrire solo per un periodo così breve?”
“Forse hai ragione. Io vivo la vita con previsioni a breve termine, non mi preoccupo del futuro o del senso generale delle cose.”
“E questa è probabilmente la ragione per cui ci completiamo.”
“Già.”
Sbadiglio.
“Sei stanca?”
“Un po’. Cucinare mi piace, ma stanca anche.”
“Vuoi andare a letto?”
“No, stiamo ancora un po’ qui.
A Baltimore nevica?”
“Sì, avrai un bianco Natale.”
“Bello.”
Dico io sorridendo, cercando di dare forma a questa città che mi è ancora sconosciuta.
“Sembra che l’idea ti piaccia.”
“Non mi piace passare il Natale da sola e qualcosa mi dice che succederà, visto che io e te non ci siamo ancora lasciati.”
“Pensi che ce la farà mai a sopportarmi?”
“Dagli qualche anno, ammesso che tu voglia sopportare me per così tanto tempo.”
Lui ride.
“Voglio provarci. Sei una persona davvero interessante e ti amo.”
“Ti amo anche io.”
Ci baciamo e poi rimaniamo ancora un po’ sdraiati sul divano.
Mi sento felice e sonnolenta come non mi era mai capitato.
Io e la mia famiglia abbiamo sempre festeggiato il Ringraziamento per conformarci alle tradizioni di questo paese e non mostrarci ostili o cose del genere, ma non ne avevo mai capitoil senso  fino ad oggi.
Pensavo fosse solo una buona occasione per ingozzarsi di tacchino, salse e dolci, la mia assenza di sentimenti mi aveva impedito di coglierne l’essenza. È la festa in cui ringrazi per quello cha hai per quanto poco possa sembrare, ringrazi per la famiglia, gli amici che hai, il lavoro e tante altre cose.
“Ho capito il Ringraziamento.”
Mormoro.
“Non l’avevi mai festeggiato prima?”
“Sì, ma non lo capivo.
Mi sembrava solo una festa commerciale, ora l’ho capito.”
“Perché ora hai la tua anima?”
“Esatto.”
“Scommetto che pensi la stessa cosa anche di Natale.”
Io annuisco piano.
“Vediamo se riesco a farti cambiare prospettiva anche su quello.”
“Potrebbe succedere.”
“Sarebbe bellissimo, non credi?”
“Non lo so. Lasciamo che accada e poi te lo dirò.
E luci di Natale mi piacciono però, le ho sempre sulla testata del letto.”
“Capito.”
“Ma il Natale non è solo questo o almeno credo, non siamo cristiani.”
“Io sì, anche se ogni tanto prego per mia madre con le preghiere musulmane che lei avrebbe voluto.”
“È un pensiero dolce.”
“Non l’hi ancora capito che sotto la corazza di dura tutta d’un pezzo batte un cuore di panna?”
“Sì.”
Ride e continuiamo a rimanere abbracciati.
A volte bisogna solo vivere il momento e la gioia che ti dà, senza analizzare, pensare o cercare spiegazioni.
A volte non servono.
Così chiudo gli occhi cullata da questa felicità sconosciuta che spero rimanga nella mia vita il più a lungo possibile.
Dolcemente.

 

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Capitolo 29
*** 28)Completa. ***


28)Completa.

 

Karima p.o.v

 

Natale è arrivato.
È il 25 dicembre e sono nella csa di Baltimora di Jack, è grande e spaziosa, a due piani, io sono davanti al camino avvolta in un golf e guardo alternativamente il fuoco e le luci del grande albero di Natale.
Jack è sotto la doccia per prepararsi ad andare dalla sua famiglia e io vorrei che si sbrigasse, ho freddo e non so nemmeno se i miei regali piaceranno.
Ho preso una rosa di Natale per andare sul sicuro e ho cucinato il knafeh per rendere contenta la nonna del mio ragazzo, spero apprezzino.
Finalmente la porta del bagno si apre e Jack esce, io scatto come un serpente e corro per le scale, lui si sta tranquillamente asciugando i capelli spettinati  con addosso solo un asciugamano.
“Dillo subito che vuoi che arriviamo in ritardo, così risolviamo subito la questione.”
Lui si guarda e scoppia a ridere, poi si avvia verso la nostra camera, io lo seguo mio malgrado.
Recupero le cose che mi servono e vado in bagno, giro la manopola della doccia per portarla alla temperatura giusta e poi mi ci infilo sotto.
Dopo una lunga doccia mi sento meglio, ora non mi resta che vestirmi, visto che mi sono depilata ieri, indosso calze nere, un vestito aderente a maniche lunghe – nero con arabeschi argentati – mi raccolgo i capelli di nuovo verdi in una coda e mi trucco.
Decido di stare sull’eccentrico, ma non troppo: matita nera, ombretto argento e rossetto scuro.
Il risultato mi soddisfa, così mi metto un po’ di profumo e i miei stivali argento dall’aria vintage, credo di essere elegante, ma non ne sono sicura.
Esco dal bagno e Jack mi applaude, lui indossa, jeans, camicia e giacca neri.
“Cravatta?”
“Le odio.”
“Sta bene. Come sto?”
“Sei fantastica, sembri una creatura scesa dallo spazio.”
“Non se sia una buona cosa, non mi sembra natalizia.”
“Chi se ne frega? L’importante è che ti piaccia, non credo i miei faranno storie, sono abituati ai miei look.”
“Tu sei loro figlio, è abbastanza normale che siano più tolleranti con te.”
Sbuffo io, nervosa come mai nella mia vita.
Sento che più che andare a un pranzo di Natale sto andando all’arena dove le persone vengono uccise o salvate secondo la volontà dell’imperatore.
“Non essere ansiosa, andrà tutto bene.”
Mi abbraccia lui, io non riesco a condividere questo suo ottimismo, non ancora almeno.
“Va bene.”
Io prendo il dolce e lui i fiori, poi finalmente andiamo alla casa dei genitori di Jack, è una tranquilla villa di periferia decorata per il Natale con due macchine già parcheggiate.
“Ci saranno anche mia sorella May e il suo fidanzato e Joe con la sua ragazza.
May è la mia sorellona e Joe il mio fratellino.”
“Ok. Ce la posso fare.”
Jack suona il campanello e una donna dai capelli castani viene ad aprirci.
“Ciao, Jack! Che bello vederti ogni tanto!
Tu devi essere Karima, vero?
Io sono Joyce, la madre di Jack.”
“Piacere di conoscerla.”
“Non darmi del lei, mi fai sentire vecchia. Entrate, forza!”
Ci dice sorridendo, noi eseguiamo e anche un uomo dall’aria mediorientale ci viene incontro.
“Lui è Bassam, mio padre.
Papà, lei è Karima.”
“Piacere di conoscerla. Beh, io ho portato delle rose di Natale e una knafeh.”
I due accettano i fiori sorridendo.
“Ho sentito bene? Una knafeh?”
Una terza voce si inserisce nella conversazione e una donna anziana in un abito di velluto rosso scuro con hijab coordinato fa la sua comparsa.
“Lei è mia nonna Naima.”
“Hai detto knafeh?”
Mi dice lei guardandomi con due penetranti occhi scuri.
“Sì.”
“E l’hai fatta tu?”
“Sì, mia madre mi ha insegnato la ricetta.”
Lei sorride all’improvviso.
“Sei libanese?”
“No, sono mezza palestinese. Mia madre era palestinese, ma ora è morta.”
“Mi dispiace, ma sono felice che ti abbia insegnato quella ricetta.
Sono anni che non magio una knafeh come si deve.”
“Mamma!”
“Sì, lo so, figlio mio.”
Lei se ne torna in sala e Jack la segue, io invece vado in cucina per posare il dolce.
“Mi dispiace di averti messa in imbarazzo.”
La madre di Jack ride.
“Non ti preoccupare, è una specie di gioco tra me e mia suocera, ogni tanto va in una pasticceria con specialità arabe e si rimpinza di quello che vuole.”
“Capisco.”
“Mi dai una mano a portare gli aperitivi?
Prosecco e noccioline.”
“Ok.”
Prendo un vassoio con calici colmi di vino chiaro e lo porto in sala accolta da un applauso. Non appena lo poso quelli che immagino siano May e Joe mi vengono incontro.
“Tu sei Karima, vero?
Jack ci ha parlato tanto di te.”
“Beh. Sì, sono io e che diceva?”
“Era felice di aver trovato una ragazza con cui mettere la testa a posto e lo sono anche io. Questo pazzo mi ha fatto preoccupare per anni con la sua band e i suoi comportamenti.”
“Dai, May! Si è giovani una volta sola!”
“Jack, hai quasi trent’anni. Accasarsi è normale, lo sai, vero?”
“Mio Dio, non dirmi che vuoi già dei nipotini?”
“No!”
Esclama Joe.
“Sono giovane per fare lo zio e Jack è figo così com’è.”
Io mi sento un filo fuori posto.
“Smettetela, mettete a disagio Karima. Facciamo onore all’aperitivo piuttosto!”
“Ok, ok!”
Beviamo il nostro calice sgranocchiando noccioline e chiacchierando, ovviamente io e Jack siamo l’argomento principale.
Che imbarazzo.

 

Finalmente ci sediamo a tavola, vengono portati gli antipasti: ci sono tartine con la salsa tonnata, vol au vent  e insalata di pesce. Non ci sono salumi probabilmente per rispetto alla nonna musulmana e forse al padre del mio ragazzo.
“Tuo padre è religioso?”
“Uhm, moderato. Diciamo che non segue il precetto sull’alcool perché il vino gli piace e pure la birra.”
“Capisco.”
“Adesso basta con le chiacchiere o le tartine spariranno senza che noi le abbiamo assaggiate!”
Ne prendiamo due ciascuno e mi accorgo che ha ragione, ne sono scomparse più della metà e dopo averle assaggiate capisco perché.
“Sono buonissime!”
“È la salsa di mamma!”
“Posso darti la ricetta se tu mi farai un corso intensivo per cucinare la knafeh, Naima dice che sembra proprio buona.”
“Oh, beh. Perché no?”
I vassoi spariscono e poco dopo arriva una teglia di lasagne che sembra uscita da una rosticceria italiana.
“Anche questa l’ha cucinata tua madre?”
“No, May. È lei la maga delle lasagne.”
“Sembrano davvero buone.”
“Fidati, lo sono.”
Joyce taglia le porzioni in modo preciso e le distribuisce.
“Buon appetito!”
Urlano tutti e poi si inizia a mangiarle.
Sono effettivamente molto buone e May si merita il titolo di maga delle lasagne, le mie non sono così buone, anche se mi impegno sempre al massimo.
Tra il primo e il secondo c’è una pausa in cui tutti chiacchierano amabilmente di qualcosa, chi di ricette, chi del lavoro, chi della band di Jack e qualcuno di noi.
Naima è la più interessata alla mia storia e io rispondo pazientemente a tutte le sue domande, alla fine sembra soddisfatta.
“Sembri proprio una brava ragazza, quella che speravo di vedere accanto al mio Jack, ho sempre temuto che ci portasse a casa un’oca.”
“Grazie della fiducia, nonna.”
“Beh, è vero. Finora le due ragazze che hai portato a casa sapevano a stento presentarsi.”
“Nonna!”
“La verità fa male, figlio mio?”
“Farebbe meno male se avessi davanti del cibo per consolarmi.”
“Oh, Jack! Non è che ti mancano?”
Chiedo io.
“Assolutamente no. Non dare retta a mia nonna, a volte sa essere molto polemica, ma fortunatamente ti ha presa in simpatia.”
Io e lei ridiamo insieme.
“A me tua nonna piace.”
“Bene. Mi sento felice, ma non alleatevi contro di me, okay?”
“Questo non posso prometterlo, Jack.”
Lui sbuffa e alzagli occhi al cielo, ma sotto sotto è contento che io sia stata accettata da una persona che è così importante per lui.
“Qualcuno si lamenta per la mancanza di cibo?”
“Io, mamma. Karima e la nonna si sono alleate contro di me.”
“Allora sii felice, sto per servire il mio arrosto con patate.”
“Mamma, ti amo.”
“Sì, solo perché ti nutro a dovere.”
Ride lei.
Poco dopo torna con l’arrosto e poi con una teglia di patate al forno, con metodo e con pazienza divide le porzioni per tutti.
“Buon appetito!”
Dice allegra.
Sia l’arrosto che le patate sono buonissime, se Jack è cresciuto con questi standard devo darmi da fare in cucina, sarà una sfida interessante.
“A che pensi, Karima?”
Mi chiede il mio ragazzo.
“Che nutrirti sarà una sfida interessante visto che tua madre cucina benissimo.”
“Sono un ragazzo di poche pretese.”
“Ma dallo stomaco vorace.”
Lui sogghigna.
“Forse un po’, ma, ehy! Amo la pizza, possiamo ordinarne d’asporto quanta ne vuoi.”
Io sospiro.
“Sì, ma non la cucinerei io.”
“Su, non prendertela a male.”
Finiamo di mangiare, do una mano a sparecchiare e poi servo i formaggi e la frutta, consumati anche quelli le conversazioni riprendono.
Io inizio a sentirmi sonnolenta e decido che è arrivato il momento di una sigaretta, così mi alzo da tavola, immediatamente gli occhi di tutti sono addosso a me.
“Vado a fumare una sigaretta, ehm.”
Balbetto io, annuiscono tutti e io prendo la borsa e il cappotto.
Lascio il salotto e poi esco sul portico imbiancato della casa, noto che c’è già un posacenere e quindi mi accendo la sigaretta tranquillamente. Mi siedo su una delle sedie e mi guardo attorno: quartiere tranquillo, neve che rende tutto magico, atmosfera da Natale d’altri tempi.
Sembra che per me sia stato creato lo scenario perfetto per conoscere la famiglia Barakat e mi chiedo se abbia superato o meno l’esame.
La porta si apre dietro di me e Jack esce, sfregandosi le mani.
“Fa freddo, non potremmo celebrare il Natale in estate?”
“E la magia creata dalla neve dove la metti?”
“Sì, ma in Palestina non c’è la neve e il Signore è nato lì.”
“Magari quell’anno ha nevicato, chi lo sa. Ogni tanto la neve arriva anche in Palestina.
Comunque… Ho superato l’esame della tua famiglia o mi odiano?”
“Alla nonna piaci e credo anche ai miei genitori, non ho sentito un solo commento negativo su di te finora.”
“Speriamo che sia andata bene.”
“La tua famiglia ti ha scritto?”
“Solo Ava, mi ha augurato buon Natale.”
“Tuo zio è uno zuccone.”
“Abbastanza, forse è una caratteristica di famiglia.”
Lui ride.
“Forse, ma alla fine tu hai ceduto, forse cederà anche lui.”
“Lo spero, è tutto così frustrante.”
“Passerà.”
Prende una delle mie mani tra le sue e la stringe dolcemente, amo quando fa così, non mi fa pentire della mia scelta.
“Sei sicuro, Jack?”
“Certo. Se mi considera un puttaniere e nota che la nostra storia va avanti senza che io faccia stronzate cambierà idea. Non può stare incazzato in eterno.”
“Sono d’accordo.
Sono felice di essere venuta qui, andata come sia andata ho sentito tanto affetto attorno a me, passare il Natale da sola sarebbe stato deprimente.
Devo dire che ogni tanto mi manca la mia assenza di sentimenti, almeno nono provavo dolore o tristezza o qualsivoglia emozione negativa.”
“Io ti preferisco così, con gli occhi che brillano, curiosa e pronta a fare un sacco di figuracce.”
“Questo non è molto carino.”
“Io lo trovo tenero.”
Io alzo gli occhi al cielo, fare figuracce non è tenero è da stupidi.
La porta si apre all’improvviso e la faccia del fratello di Jack spunta.
“Ehi, piccioncini! Tornate dentro, è arrivato il momento del dolce e la nonna non vede l’ora di vedere di provare la tua knafeh, dice che si presenta bene.”
“Arriviamo.”
Spengo la mia sigaretta e sia che io che Jack rientriamo in casa, le due teglie di knafeh sono al centro del tavolo, Naima ha in mano un coltello.
“Bentornati, sedetevi su.”
Facciamo quello che ci è stato detto e la guardiamo con aria curiosa.
“Visto che sono la più vecchia farò io le porzioni e giudicherò ovviamente.”
Dice con un mezzo sorriso.
“Mamma, non spaventarla.”
“Buono, Bassam. Se tua moglie non è ancora scappata dopo le mie critiche sono sicura che Karima reggerà.”
Con maestria taglia le fette e le distribuisce, nessuno però la tocca, aspettano tutti Naima. Lei ne taglia un pezzo con il cucchiaino e se la porta alla bocca. Mastica lentamente con espressione pensierosa facendo calare un’atmosfera nervosa sulla tavolata.
Alla fine sorride.
“Tua madre doveva essere una brava donna, questa knafeh è ottima, quasi come quella che mangiavo da mia nonna in Libano.
Esame superato, mi auguro che vi sposiate presto e che mi diate un nipotino o una nipotina, invecchio anche io, non sono eterna.”
Sia io che Jack arrossiamo.
Matrimonio?
Figli?
È troppo presto per pensare a queste cose, ci conosciamo da troppo poco tempo!
“Ehm, grazie.”
Balbetto io.
I genitori di Jack ridacchiano.
“Mamma, hai spaventato Karima e Jack con le tue allusioni al matrimonio.”
“Cosa c’è di male a volere un nipotino o una nipotina?
Mangiate, su!”
Effettivamente mangiare mi sembra una buona opzione, almeno ci aiuterà a superare l’imbarazzo.
Mi fanno tutti i complimenti e la madre di Jack vuole che io le insegni a prepararla, dice che probabilmente sono meglio di un tutorial scovato su internet.
Finiamo la knafeh, beviamo il caffè e poi tutti si disperdono, Naima, Joyce e May vanno in cucina a lavare i piatti e rifiutano cortesemente e così rimango in salotto a guardare la tv con gli uomini di casa.
Mi appoggio cauta alla spalla di Jack e cerco di seguire un vecchio cartone natalizio, ma i chiacchiericcio me lo impedisce. Loro parlano della loro famiglia, del lavoro e di altre cose, ma io non sono in vena di fare conversazione, questa giornata mi ha stancato psicologicamente.
Jack deve capirlo perché mi passa un braccio attorno alle spalle con fare protettivo e gliene sono grata.
Torno a guardare la tv, lasciando che la tensione se ne vada a ondate e lasci il posto alla stanchezza, è faticoso interagire con gli altri per me.
Anni e anni priva di anima mi hanno resa una mezza incapace sociale, una che non sa conversare o dare pareri se non strettamente professionali.
Il lavoro è l’unica cosa che mi riesce bene sia come fotografa, sia di supporto ai musicisti: non so fare altro. Immagino siano le conseguenze di essere cresciuta in una casa di musicisti e poi mi mancano i miei zii, Ava e Jonas.
Dopo un po’ arrivano anche le donne e giochiamo a tombola, per me è un misto di caos e divertimento.
Credo di poter sopportare ancora un po’.
“Non essere così tesa.”
Sussurra Jack.
“Siamo la tua nuova famiglia.”
Un brivido serpeggia lungo la mia spina dorsale, ma non è spiacevole, è come un’epifania.
È come capire qualcosa di ovvio, che è sempre stato lì davanti a te, ma che non hai mai visto per chi sa quali motivi.
“Davvero?”
“Sì.”
Mi stringe la mano sotto al tavolo e io sorrido, in un angolo mi sembra di vedere anche i miei genitori sorridere.
Lui ha ragione, questa è la mia nuova famiglia e io sono lieta di averla trovata.
Mi sento fortunata.
Mi sento finalmente in pace con il mondo.
Mi sento felice.
Ho trovato il mio posto nel mondo e l‘amore e non lascerò che mi siano tolti.
Ora so che i sentimenti sono positivi e ti rendono completa, che sia la magia del Natale.
Sorrido un po’ di più e spero di sì.
Spero che la magia ci accompagni a lungo, magari per sempre.
Una ragazza può sognare, no?
E con Jack i miei sogni possono diventare realtà, anzi lo sono già diventati.
Ora sono completa

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