42 grammi. di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: la ragazza senz'anima. ***
Capitolo 2: *** 1)La vita della senz'anima. ***
Capitolo 3: *** 2)Movimenti. ***
Capitolo 4: *** 3)Un posto per le foglie portate dal vento. ***
Capitolo 5: *** 4)Il colpo di mano del destino. ***
Capitolo 6: *** 5)I matti sono i migliori. ***
Capitolo 7: *** 6)Quella risata cristallina. ***
Capitolo 8: *** 7)Persa in una città rincoglionita. ***
Capitolo 9: *** 8)L'appartamento verde. ***
Capitolo 10: *** 9)La solita pecora nera. ***
Capitolo 11: *** 10)La magia dei bambini. ***
Capitolo 12: *** 11)Il segreto dei dolci giapponesi ***
Capitolo 13: *** 12)La castigamatti. ***
Capitolo 14: *** 13)Sa di adolescenza. ***
Capitolo 15: *** 14)Non smettere mai di ribellarti. ***
Capitolo 16: *** 15)La bambina che ero. ***
Capitolo 17: *** 16)Al diavolo! ***
Capitolo 18: *** 17)Solo un po'di nero. ***
Capitolo 19: *** 18)Come le stelle lontane e menefreghiste. ***
Capitolo 20: *** 19)Candele e falene. ***
Capitolo 21: *** 20)La chiave. ***
Capitolo 22: *** 21)Solo una figlia rotta. ***
Capitolo 23: *** 22)Potrebbe perfino funzionare. ***
Capitolo 24: *** 23)Primi passi. ***
Capitolo 25: *** 24)La mia anima. ***
Capitolo 26: *** 25)Vivi un po'. ***
Capitolo 27: *** 26)Un appuntamento magico. ***
Capitolo 28: *** 27)Il giorno del Ringraziamento. ***
Capitolo 29: *** 28)Completa. ***
Capitolo 1 *** Prologo: la ragazza senz'anima. ***
Prologo: la ragazza
senz'anima.
Le disgrazie non hanno un orario a cui presentarsi, non
lo sapevo prima d’ora.
Ho sempre pensato che gli eventi improvvisi non potessero
infilarsi nella mia vita ben programmata, ma mi sbagliavo.
Mi chiamo Karima Jenkins, ho ventotto anni e sto per scoprire
che non importa quanto imprigioni la tua vita nella routine, nella
speranza di
avere tutto sotto controllo, il caso vi farà comunque la sua
apparizione.
Sono le quattro di mattina e il telefono accanto al mio
letto suona in modo insistente, abbastanza da irritare un pochino
persino una
persona senza emozioni come me.
Non sono la solita ragazza che da adolescente emo è
diventata una ragazza che finge di essere cinica o qualcosa del genere,
io le
emozioni non le sento proprio.
Dentro di me c’è sempre calma e freddo come
durante una
tempesta, non ho mai riso o pianto, sorriso o mostrato tristezza.
Ho sempre avuto uno sguardo assente che è stata la
disperazione dei miei genitori, ma ora devo smettere di rimestare in
queste
riflessioni e rispondere al telefono.
“Lei è la signorina Karima Jenkins?”
Domanda una voce fredda e controllata.
“Sono io.”
Rispondo intontita io, passandomi una mano tra i capelli verdi
scompigliati.
“Sono dolente di informarla che i suoi genitori sono
deceduti, chiamo dal Columbia Hospital di New York.”
L’intontimento passa del tutto, all’improvviso come
un gatto davanti alla
preda. So che i miei genitori dovevano partecipare a un convegno per
l’università cittadina in cui raccontavano della
loro esperienza di medici
senza frontiere.
“Cosa? Come sono morti?”
Chiedo con una sfumatura di panico nella voce.
“In un incidente stradale, purtroppo hanno avuto un
frontale con un altro veicolo.”
Risponde la voce femminile di un’infermiera, che ora ha una
nota di dolore
nella voce, io mi passo una mano sulla faccia con il cuore che batte a
mille e
non posso fare a meno di chiedermi se sia per una sorte di riflesso
condizionato o per vero dolore.
“A-arrivo subito. Il tempo di prenotare un aereo.”
Chiudo la chiamata e mi guardo allo specchio. Una ragazza
pallida con gli occhi castani dalle sfumature verdi e i capelli verdi
fosforescente con un piercing al naso mi restituisce uno sguardo
incredulo.
I mie genitori sono morti e io ancora non ci credo, mi
sembra un incubo anche se so che è la realtà.
Loro hanno passato anni nelle
zone più pericolose del pianeta senza saltare su una mina e
senza farsi sparare
addosso da qualche guerrigliero e ora sono morti per un banale frontale.
Non ci posso credere, ma è il mio corpo quello che
accende il computer e che va sul sito dell’aeroporto di San
Diego a controllare
il prossimo volo in partenze per New York.
Ce n’è uno alle sette e pronoto i biglietti, sono
figlia
unica e mai come in questa occasione vorrei avere un fratello o una
sorella con
cui condividere il mio dolore.
L’unico modo che ho per sentire qualcosa o per esprimere
quel poco di me stessa che mi rimane è la fotografia
– il mio lavoro – e
suonare il basso, la mia passione.
Preparo la valigia, vagamente confusa su cosa portare e
cosa non, e penso alla sua famiglia. Mio padre Daniel ha incontrato mia
madre
Aida in un campo profughi palestinese, lei era infermiera e lui medico.
Il loro
amore è sbocciato in mezzo al dolore e ai feriti che
curavano. Giorno dopo
giorno hanno imparato ad amarsi e non hanno mai smesso, Aida si
è messa contro
tutta la sua famiglia per lui. Mamma non ha mai mollato nemmeno un
attimo, ha
sposato l’uomo che amava e poi sono arrivata io.
Erano felici i miei genitori di avere una figlia come me,
mio padre era orgoglioso di quella figlia musicista che un
po’suonava il basso
in qualche gruppo, un po’ faceva la fotografa. Mio padre
amava la fotografia,
era una passione che coltivava con amore in parallelo alla sua
professione
medica.
L’unica cosa che preoccupava i miei genitori era la mia
assenza
di emozioni, mia madre diceva che secondo lei non avevo
un’anima e lei non
sapeva cosa fare. Si era calmata solo quando una vecchia zingara le
aveva detto
che l’anima di sua figlia sarebbe arrivata quando lei si
fosse innamorata del
ragazzo giusto.
Stronzate, diceva suo padre.
Stronzate.
Il mio cuore si stringe pensando che non potrà
più
dirmelo.
Arrivo al Columbia Hospital di New York sotto una pioggia
battente. Entro e mi dirigo immediatamente all’accettazione,
indosso un paio di
jeans neri, una maglia dello stesso colore e un hijab nero da cui
spunta la mia
corta frangia ribelle.
Ho deciso di indossarlo in onore di mia madre e della sua
religione, un modo come un altro per onorare la sua memoria e rendere
noto a
tutti il mio lutto.
La donna mi squadra – forse spaventata dal mio velo e
pensando che io sia una terrorista – ma poi decide di lasciar
perdere e mi detta
loro le indicazioni per raggiungere la camera mortuaria, anche se si
rivelano
inutili.
Un’infermiera mi scorta e mi racconta i dettagli
dell’incidente: era buio e pioveva, gli occupanti
dell’altra macchina hanno
perso il controllo del mezzo e sono finiti dritti contro quella che
veniva
dall’altra corsia.
Quella dei miei genitori.
Non posso fare a meno di chiedermi se fossero drogati o
ubriachi, guardo i volti di due ragazzi che sostano fuori dalla camera
mortuaria. Hanno entrambi gli occhi rossi e li scruto con odio, infine
mi
decido a parlare.
“Avete ucciso i miei genitori e io non vi
perdonerò mai.”
Dico con la mia voce monocorde e quelli se ne vanno, lasciandomi sola
davanti
all’obitorio, deglutisco e abbasso la maniglia della porta,
dolorosamente
cosciente di quello che mi ritroverò davanti.
I miei genitori sono lì, ricuciti alla bell’e
meglio e
sento qualcosa spezzarsi nelle profondità di me stessa .
In quei freddi corpi riconosco mio padre, quello che mi
spingeva sull’altalena da bambina e mia madre, quella che
preparava spesso cus
cus per non dimenticarsi della sua terra.
Accarezzo i loro volti e sento gli occhi bruciare per via
delle lacrime, poi allungo la mia piccola mano e chiudo loro gli occhi
in un
estremo gesto di pietà e mormoro una preghiera.
“È la figlia dei signori Jenkins?”
Un uomo vestito di tutto punto mi si avvicina, lasciandomi perplessa
dato che
non lo conosco.
“Sono Charles Whright e mi occupo dei servizi funebri per
conto dell’ospedale.”
“Sono Karima, la loro figlia.”
Lui annuisce e iniziamo una discussione sui dettagli
pratici del funerale, preparo tutto per il meglio come a dimostrare in
quel
modo il mio affetto per loro, è l’unico modo che
mi rimane.
In realtà vorrei essere solo a casa mia a piangere per
tutto quello che è successo.
Alla fine lascio l’ospedale e me ne vado in un hotel
vicino che mi ospita per la notte e per la durata dei preparativi del
funerale,
me l’ha consigliato l’ospedale.
Mi sdraio, sperando di dormire un po’, ma non ce la
faccio.
Mille ricordi si affacciano alla mia mente: sorrisi,
racconti, cene di famiglia. E io sento le lacrime scendere, ma non
c’è riposo
per me, solo dolore o una sua pallida eco, una fotografia sbiadita del
passato,
un dagherrotipo sviluppato male.
Scendo a fare colazione non appena la sala pranzo apre e
mangio qualcosa, giusto per riempirmi lo stomaco e non svenire. Una
volta fatto
quello sbrigo le incombenze: telefono a parenti e amici, chiamo i
giornali per
il necrologio e parlo con gli addetti dell’agenzia delle
pompe funebri.
Scelgo la cassa, i vestiti e l’allestimento della camera
funebre.
Tutte queste cose mi rendono esausta e arrivo all’hotel per
pranzo senza un filo di energia, crollerei se una faccia famigliare non
mi
sorreggesse.
Testa pelata, sorriso contagioso, colorito abbronzato da
bravo ragazzo americano: Adam Elmakias.
“Adam, cosa ci fai qui?”
“Ti ho chiamato stamattina per chiederti una cosa e ho
sentito la tua segreteria telefonica.”
“Oh, giusto.”
“Mi dispiace che i tuoi genitori siano morti, erano delle
brave persone.”
“Sì, lo erano. Di sicuro migliori di me.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Non stiamo più insieme, ma i litigi sono gli
stessi!
Tu non vali meno degli altri perché sostieni di non avere
sentimenti o per le tue idee, tu sei perfetta così come
sei.”
Io sorrido debolmente.
Adam è stato il mio primo ragazzo, nonché
l’unico con cui
abbia avuto una storia seria, a volte mi manca, ma lui si meritava di
meglio di
un androide e di sicuro non era la mia anima gemella perché
i miei sentimenti
continuano a non esserci.
“Andiamo a mangiare, hai un aspetto orribile, scommetto
che non hai dormito e a colazione avrai mangiato il minimo necessario
per non
crollare.”
“Sì, ci hai preso.”
Entriamo e ci sediamo al mio tavolo e aspettiamo che il cameriere ci
serva i
piatti che ho ordinato: pasta al sugo e una bistecca ai ferri per me,
lui non
so cosa abbia ordinato.
“Kari, ti mancano?”
Un’ombra passa nei miei occhi strani, è una
domanda comune, ma non per me.
Sì, mi mancano. Mi destabilizza che io senta il dolore a
distanze così abissali, perché sono nata
così?
È una punizione di un qualche Dio? Benedetta da una
maledizione come direbbe Oli Sykes?
“Sì, mi mancano e fa male. Ma devo rispettare la
loro
memoria e organizzare le cose al meglio.”
Lui annuisce comprensivo e noto i suoi vestiti.
Indossa un camicia nera e un paio di jeans dello stesso
colore, io indosso una camicia e un maglione nero, un paio di pantaloni
dello
stesso colore e l’hijab della sera prima.
Il cameriere arriva con i nostri piatti – lui deve
essersi accordato con il direttore prima che io arrivassi – e
iniziamo a
mangiare.
“Ho pensato che una mano ti sarebbe servita, sei una
roccia, ma a volte anche le rocce si crepano.”
Io annuisco.
“Io non so bene come farò ad affrontare i parenti
e gli
amici nella camera funebre.”
“Li seppellisci qui?”
“No. Anche se non avrebbero approvato spendere
così tanti soldi per niente, lo
sai come erano fatti, avrebbero preferito che i soldi fossero dati a
qualche
associazione benefica.
Io però li voglio vicino a me in modo da poter andare
ogni tanto a visitare e tombe.”
“Sì, capisco.
Sicura che averli così vicini ti farà
bene?”
“Chi lo sa, lo sai come sono fatta.”
Dico amara portandomi alla bocca l’ultima forchettata di
pasta, il cuoco deve
essere italiano perché è buona e non è
la solita colla che servono nei posti
che vogliono imitare la cucina italiana e non ne sono capaci.
Mangiamo anche il secondo, il dolce e il caffè. Adam
controlla che io mangi come una chioccia iperprotettiva, immagino che
non farei
una gran bella figura svenendo nel bel mezzo delle condoglianze.
Finito di mangiare andiamo alla camera funebre, che è
già
piena di parenti e amici dei miei genitori, come ho già
detto erano persone
molto amate.
Io ascolto le loro parole, annuisco, mormoro qualcosa su
quanto splendidi fossero e cerco di far penetrare dentro di me le
parole di
consolazione. Ma non ci riesco, è come se il mio cuore fosse
trafitto da mille
schegge di vetro che nessuno dottore potrà mai rimuovere.
È questo il dolore? Anche se è sentito a mille
miglia di
distanza, è questo il dolore?
Mi sento così persa e confusa!
All’improvviso vedo mia zia Jen con suo marito Tom che
stanno parlando con Adam e faccio per avvicinarmi a loro, ma mi fermo a
una
distanza di sicurezza per sentire cosa dicano e non essere inserita
nella
conversazione
“Adam.”
Dice una voce sottile in cui riconosco a stento quella di mia zia Jen
DeLonge.
“Adam, mi dispiace così tanto.”
Si abbracciano e lui cerca di confortare quel corpo minuto, ma alla
fine è lei
che lo conforta, Adam era molto legato ai miei genitori. Tom
è in piedi accanto
a lei, a disagio.
“Come sta Karima?”
“Male, credo. Non esprime mai le sue emozioni e io non so
come aiutarla.”
Lei si asciuga una lacrima.
“Mi sento sola, Danny era il fratellone che mi tirava
sempre fuori dai guai.”
“Era un grand’uomo, faceva del bene a tutti ed
è stato il primo ad accettarmi
nella vostra famiglia. Gli volevo molto bene.”
Dice sinceramente mio zio, i miei nonni non hanno
accettato subito che la mamma si mettesse con un musicista e che
l’aveva anche
fatta soffrire in passato.
“Anche lui te ne voleva, parlava sempre molto bene di te,
anche quando ti sei comportato male con i blink.”
“Era una bravissima persona, immagino che la piccolina stia
male.”
La piccolina sono io, è stato lui ad insegnarmi a suonare
il basso e siamo molto legati, lui mi accetta per come sono e mi spezza
il
cuore vederlo soffrire per me.
“Sì, a suo modo.
Sta arrivando.”
Mi avvicino a grandi passi, una specie di sorriso increspa il mio volto
di
pietra.
“Zio Tom.”
Mi abbraccia forte e accoglie la mia figuretta nelle sue braccia forti,
braccia
che mi fanno sempre stare meglio.
“Grazie per essere qui, per me significa tanto.”
“Non potevo lasciarti sola, piccolina.”
“Cosa farò senza di loro?”
“Andrai avanti perché è questo che
avrebbero voluto.”
“Fa male, zio Tom.”
“Lo so, piccola.”
Abbraccio anche Jen e ascolto le sue parole di consolazione.
Grazie a Tom e Jen il giorno diventa più sopportabile e
finisce prima, anche i due giorni seguenti, anche se costellati di
dolore
finiscono.
Io sono stremata e se non fosse per Adam che controlla
che mangi adeguatamente probabilmente sarei collassata almeno un paio
di volte
al giorno.
Le bare vengono caricate su di un aereo diretto a San
Diego come disposto da me, lo stesso su cui viaggiano noi e gli zii.
Arriviamo in un giorno di sole, uno di quelli che mia
madre amava particolarmente perché le ricordavano la sua
Palestina.
Vengono subito portate in chiesa,noi le seguiamo come
automi, io mi sento svuotata di ogni emozione, persino peggio del
solito.
Cristo, se fa male!
La cerimonia è lunga e toccante, molti parlano dei miei
genitori. Vengono elogiati come persone, viene ammirato il loro impegno
nel
sociale e la loro bravura come medici.
Io li ascolto e cerco di raccogliere il coraggio per
parlare davanti a tutta quella gente, Adam mi appoggia la mano sulla
spalla in
un gesto rassicurante prima che tocchi a me, io sorrido debolmente.
La mia camminata è marziale come quella un soldato, le
spalle dritte, l’hijab nero che sottolinea il mio dolore.
Prendo posto davanti
al leggio e guardo la gente riunita in chiesa, ce la farò?
“Io sono Karima, sono la figlia di Daniel e Aida.
I miei genitori erano molte cose. Erano brave persone,
sempre pronte a dare una mano a chiunque. Medici competenti e generosi,
che hanno
prestato servizio in posti in cui i loro colleghi non sarebbero mai
andati.
Erano anche genitori meravigliosi che mi hanno insegnato cosa conta sul
serio
nella vita.
La loro morte mi spezza il cuore, ma loro non vorrebbero
che ci fossilizzassimo su questo dolore, perciò vi chiedo di
portare avanti la
loro eredità e di non dimenticarvi del loro esempio.
Cercate di imitarli e loro non saranno dimenticati,
vivranno nel nostro cuore e nelle nostre azioni.
È tutto.”
Io scendo e torno nel loro banco, questa volta è zio Tom ad
appoggiare una mano
sulla mia spalla.
“Sei stata coraggiosa.”
“Mamma e papà avrebbero voluto che agissi
così.”
Finito il servizio funebre, Adam, Tom
e altri due amici di mio padre si caricano in
spalla prima la bara di Daniel Jenkins e poi quella di Aida Jenkins,
dirette al
loro ultimo viaggio.
Il cimitero che ho scelto è vicino alla casa dove ho
vissuto la mia infanzia ed è uno spazio verde molto
tranquillo, la prima bara a
essere calata è quella di mio padre e poi tocca a mamma.
Io sono sudata e con il cuore spezzato, ma so che è
questo quello che avrebbero voluto i miei genitori, più o
meno o almeno so che
avrebbero capito la mia scelta. Mi metto a lato delle due fosse e
aspetto che
il prete dica le ultime parole, poi lancio una rosa bianca e una
manciata di
terra su entrambe le bare, il volto impenetrabile come una maschera
africana, eppure
i miei occhi sono lucidi, Adam fa lo stesso.
“Se ti servisse qualsiasi cosa non esitare a
chiamarci.”
Dice Tom, io annuisco, la mente altrove.
Una volta riempita la fossa e ascoltate le ultime parole
degli amici, Adam passa un braccio attorno alle mie fragili spalle.
“Adesso sono da sola.”
“Io ci sarò sempre se mi vorrai.”
“Grazie, Adam.”
Dico con voce spezzata.
“Di niente, piccola.”
La voce solare di Adam ha qualcosa di rassicurante questa vota e io
sento per
la prima volta un calore all’altezza del cuore.
Qualcosa di buono verrà da questa tempesta.
Questa è Karima.
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Capitolo 2 *** 1)La vita della senz'anima. ***
1)La vita della
senz'anima.
Karima p.o.v.
Sono passati tre
mesi dalla morte dei miei genitori e i mie occhi sono asciutti, secchi.
Allah non
permette che nemmeno una lacrima scenda o forse dovrei dire Dio, ma
ogni volta
che pronuncio il nome del dio dei musulmani mi sento più
vicina alla mamma.
Mi manca e mi
manca papà, ma non riesco a esprimere questo sentimento come
non sono mai
riuscita a esprimere altri sentimenti in precedenza.
Sento che il mio
cuore è da sempre avvolto in uno strato di ghiaccio, una
zingara disse una
volta alla mamma che ero nata senza anima e che solo la mia anima
gemella mi
avrebbe restituito la mia mancante.
Non so se sia
vero, forse è stata solo una frottola per avere un
po’ di soldi, ma forse è
vero.
Perché io non
sento emozioni?
O se le sento, le
sento così lontane?
Mi hanno portato
da psichiatri e psicologi e nessuno è mai riuscito a venire
a capo del problema,
la cosa mi fa stare un po’ male. Male quanto può
stare una senza sentimenti.
Con un sospiro
prendo il mio basso verde e inizio a muovere delicatamente le mani
sulle corde,
lasciando che una melodia triste parli per me. Tutte le mie melodie
sono
tristi, ma quelle che compongo ora sono più tristi del
solito. Parlano di
perdita e disperazione al mio posto e provocano leggeri movimenti al
mio
interno, come topi che corrono in una vecchia casa.
Vorrei riuscire a
dirli a voce alta e con le lacrime agli occhi questi sentimenti, vorrei
essere
normale.
Qualcuno bussa
alla porta della mia camera e io appoggio delicatamente lo strumento al
suo
posto, in un angolo della stanza. Adam entra e si siede sul mio letto,
sul suo
volto c’è un’espressione seria.
Da dopo il
funerale è venuto praticamente a vivere da me per
controllare che non mi lasciassi
morire di fame o facessi qualche stupidagine.
“Karima, andrai
per un po’ da zio Tom e zia Jen.”
“Perché?”
“Sono preoccupato per te, sorellina. Non mangi, parli meno
del solito, indossi
sempre questo hijab. Io mi sento tagliato fuori, non so cosa fare per
farti
stare meglio, forse lo zio e la zia ci riusciranno. E poi ho un lavoro
da fare
che mi terrà lontano un mese da San Diego.”
Io abbasso gli occhi.
“Mi dispiace di
essere un peso per te e di farti soffrire ancora di più,
vorrei poterti aiutare,
so che anche tu eri affezionato ai miei genitori…. Ma non ci
riesco. Aspetto
che i sentimenti arrivino sempre, ma non sento nulla.”
Lui mi abbraccia.
“Io ti voglio bene
anche se non riesci a esprimere i tuoi sentimenti o sei nata senza
anima,
vorrei che tu stessi meglio.”
“Allora andrò dagli zii.”
Lui annuisce.
“Inizia a fare le
valigie.”
“Va bene.”
Lui esce e io inizio a infilare cose a caso in una grande valigia:
vestiti,
intimo, salviette, altre cose.
Alla fine riempio
due valigie e io e Adam partiamo alla volta della grande villa dei
DeLonge,
appena fuori San Diego, per far sì che io abbia pace e
tranquillità. Il cancello
si apre e lo zio mostra ad Adam dove parcheggiare la mia macchina, poi
ci
stringe in un abbraccio caloroso.
“Sei diventata
magra, piccolina. Devi mangiare.”
“Lo so, zio.”
Lui e Adam portano dentro i bagagli, i miei zii mi hanno riservato una
camera
grande e molto confortevole e – cosa più
importante – con un bagno personale.
Quando finisco di
mettere via le mie cose e scendo nel salone i miei cugini mi saltano in
braccio, prima Ava e poi Jonas.
“Sei diventato
ancora più bello.”
“E tu magra, Karima! Ma la mamma ti metterà a
posto.”
Una volta lasciati i ragazzi abbraccio la zia.
“Somigli tanto a Daniel,
ma vorrei che i tuoi occhi non fossero così
spenti.”
“Lo vorrei anche
io, zia.”
“Aida mi aveva detto del tuo problema, ma non pensavo fosse
così grave.
È pronta la cena
in ogni caso.”
Andiamo tutti nella grande sala da pranzo e zia ci serve una generosa
porzione
di lasagne, all’improvviso mi sento gli occhi di tutti
addosso.
Con lentezza
esasperante taglio un pezzo con il coltello e lo infilzo con la
forchetta e poi
lo porto alla bocca, mastico e lo inghiotto.
“Molto buone.”
Lei mi sorride radiosa.
“Allora
mangiale.”
Io cerco di
atteggiare la mia bocca a un sorriso e mangio un altro boccone.
Ogni volta che li
inghiotto è una fatica, ma sento di non poterli deludere,
che stanno facendo
tutto questo per me e per aiutarmi. Forse lo sanno meglio di me che se
fossi rimasta da sola mi lascerei morire di fame per raggiungere la mia
famiglia.
Mamma mi manca
soprattutto, lei è quella che si è sentita
più colpevole per il mio problema,
diceva che forse era una punizione di Allah per essersi sposata contro
il volere
dei suoi con un infedele. Le dispiaceva che pagassi per quella che
riteneva
fosse una sua colpa.
Finito di
mangiare la lasagne della zia, mangio anche il dolce e poi mi ritiro
per fare
una doccia, ne ho bisogno.
Sto in bagno per
quella che mi sembra un’eternità e quando esco
pulita, profumata e con i
capelli asciutti trovo mio zio in camera.
“Ehi, scricciolo.
Come va con il basso?”
“Bene, zio. Vuoi sentire qualcosa di mio?”
“Sì, mi
piacerebbe.”
Io inizio a suonare quello che stavo suonando prima che Adam mi
interrompesse,
lui mi guarda ammirato.
“Sai suonare
benissimo, perché non entri in una band?”
“Mi piace di più la fotografia, sento che riesco a
esprimere meglio i miei
sentimenti, anche se per adesso lavoro alla Fueled By Ramen
perché nessuno mi
chiama.”
Gli rivolgo un sorriso triste.
“Sono sicuro che
in futuro andrà meglio, Adam ti
aiuterà.”
Io annuisco e suoniamo insieme come quando ero piccola e lui mi
insegnava a
mettere le dita nel posto giusto.
Suoniamo fino a
mezzanotte, non pensavo che mi avrebbe portato via così
tanto tempo!
“Zio, io domani devo andare al lavoro.”
“Alla Fueled By Ramen?”
Io annuisco.
“Allora ti lascio
dormire.”
Lui esce ed entra mia zia con un bicchiere in mano, io la guardo
curiosa.
“È valeriana, ti
aiuterà a dormire.”
Io annuisco e la bevo senza fiatare.
“Buonanotte,
zia.”
“Buonanotte, Karima.”
Mi metto a letto
e dieci minuto dopo sono già addormentata.
La mattina dopo
mi sveglio e mi vesto con la solita cura: un paio di skinny strappati
neri, una
camicia dello stesso colore con due uccellini azzurri sulle tasche.
L’unica
nota di colore è la mia giacca rossa lunga e un
po’pelosa.
Scendo e trovo la
cucina affollata, Adam mi passa un piatto di uova e bacon.
“Ma…”
“Mangiale, Karima. Hai bisogno di energia.”
Mi dice lui paziente, io inizio lentamente a mangiarle.
Poi ingurgito del
succo di arancia e un paio di pancakes, poi io e lui lasciamo la
cucina, in
salotto noto le valigie.
“Io devo andare,
vedi di sopravvivere, voglio ritrovarti viva al mio ritorno, anche
perché ho
qualcosa che potrebbe interessarti.”
“Cosa?”
“Sorpresa!”
Ci abbracciamo e
poi lui se ne va con le valigie e la sua macchina fotografica al collo.
Io sospiro e mi
dirigo al lavoro, io lavoro in un ufficio della casa discografica.
Parcheggio la
macchina al solito posto e poi salgo in ufficio, ho una marea di
pratiche da
sbrigare, devo anche parlare con i tecnici per vedere cosa fare con le
band che
ogni giorno da noi registrano qualcosa. Alcuni sono bravi e
probabilmente
firmeranno un contratto, altri no, non sono semplicemente ancora pronti.
Alle dieci un
tecnico sale con un sorrisone stampato in faccia.
“Cosa succede,
Ismael?”
“Ci servi per sentire una band. Non riusciamo a decidere se
valga la pena .”
“Va bene. Amelie, puoi finire tu la mia pratica?”
“Sì, certo. Vai.”
Mi fa
l’occhiolino e io alzo gli occhi al cielo, crede che Ismael
mi corteggi.
Esco dalla stanza
insieme e non appena siamo fuori dalla stanza mi domanda
perché la mia amica mi
ha fatto l’occhiolino.
Imbarazzante.
“Non lo sa che ho
una ragazza?”
“No, pensa che saremmo una bella coppia, ha un po’
la mania di fare da cupido.”
“Capisco. Beh, forse dovremmo trovarle un ragazzo.”
“Sono d’accordo.”
“Ma adesso pensiamo alla band.”
Scendiamo nella zona dove ci sono gli studi di registrazione e trovo un
gruppo
di quattro ragazzi
sui vent’anni, uno ha
i capelli di un azzurro fosforescente.
“Lei è Karima,
lavora in ufficio e deciderà se vale la pena
mettervi sotto contratto. Noi
non abbiamo ancora preso una decisione.”
“Non presentarmi
come il giudice supremo! Lo odio.”
Come vi chiamate?”
“Blue Tomatoes.”
“Allora, Blue
Tomatoes. Dateci dentro!”
Dico con il mio solito sorriso falso che uso quando sono al lavoro per
incoraggiare qualcuno e poi mi siedo su una sedia tra i tecnici.
I ragazzi
prendono posto nella sala di registrazione e dopo aver sistemato gli
strumenti
iniziano a suonare un pop-punk veloce e anche un po’ grezzo,
pieno di energia,
anche se il cantante ogni tanto stecca e nemmeno gli altri musicisti
sono
perfetti.
Quando hanno
finito Ismael mi guarda.
“Che ne dici,
Karima?”
“Sono come un diamante grezzo. Hanno energia da vendere e un
sound che ti fa
venire voglia di saltare, se correggiamo gli errori tecnici ne
verrà fuori
qualcosa di buono.”
“Dici di proporli al grande capo?”
“Sì, ma prima fammi parlare con loro per
spiegargli il tutto. Sono sicura che
se darò loro una mano ce la potrebbero fare.”
I ragazzi escono dalla cabina e mi guardano speranzosi.
“Allora, partiamo
dai punti positivi: avete una grande energia e un suono grezzo molto
buono.
Il problema è il
cantante a volte stecca e il chitarrista ha sbagliato un paio di
entrate, ci
sarebbe anche un riff da sistemare.
Ho deciso di
darvi una mano, procuratemi una chitarra.”
“Puoi prendere la mia.”
Si offre il chitarrista, io annuisco e suono il suo riff.
“Questo risulta
poco incisivo in alcune parti.”
Suono un altro riff simile a quello precedente, ma più
energetico.
“Questo suona
meglio.”
“Hai ragione.”
“Allora inseriscilo nella canzone e togli una ripetizione del
ritornello. Mi
raccomando, capelli blu, non steccare e ricordati del riff.”
“Mi chiamo Darren.”
“Scusami.”
“È tutto a
posto.”
“Andate a provare.”
Ritornano nella cabina e questa volta sono decisamente migliori della
volta
precidente, i tecnici mi guardano soddisfatti.
“Karima, fai
miracoli.”
“Non esageriamo, erano solo due cose da sistemare.”
“Ottimo,
ragazzi!”
Urlo nel microfono.
“La prossima la
registriamo, dateci dentro.”
Annuiscono tutti e ci riprovano, questa volta dando il meglio di
sé e – Cristo
– non sembrano nemmeno la stessa band di prima.
“Te lo ripeto,
Jenkins, hai fatto un miracolo.”
Mi dice uno degli altri tecnici, Steve mi pare che si chiami.
“Non sembrano
nemmeno la stessa band di prima, hanno molte possibilità di
essere presi.”
“Allora saluto la band e me ne vado.”
I ragazzi escono dallo studio di registrazione e io vado loro incontro
sorridendo.
“Bella prova,
ragazzi.
Penso che ci sia
una buona possibilità che siate presi, ma io non sono una
dei capi non prendete
le mie parole per oro colato.
Se andasse male
continuate a provarci, mi raccomando.”
“Grazie mille da parte dei Blue Tomatoes, Karima.”
“Di nulla.”
Saluto i ragazzi
e i tecnici e torno in ufficio, Amelie mi aspetta con un sorrisone.
“Quando ti
deciderai ad ammettere che ti piace Ismael?”
“Ha già una ragazza, Amelie.”
“Ah, peccato. Sareste stati una bella coppia.”
“Amelie, hai bisogno di trovarti un ragazzo almeno
smetteresti di fare il cupido.”
Lei sbuffa.
“Smettila di
prendermi in giro.”
“Sono seria.”
Lei sbuffa di nuovo.
“Non dirmi che ti
sei offesa?”
“A volte sei troppo diretta e non te ne accorgi
nemmeno.”
“Scusa.”
Lei sbuffa e riprende a lavorare, ottimo, Karma.
Ottimo.
Hai poche amiche
e te le giochi con il tuo non sentire nulla.
“Amelie, mi
dispiace davvero.”
“È che da quando
Justin mi ha lasciato non riesco a farmene una ragione, non so dove ho
sbagliato.”
“Non ti ha
tradito?”
Lei annuisce sospirando.
“Allora
probabilmente non hai fatto nulla, a volte i ragazzi sono semplicemente
stronzi
per natura o così dice mio zio.”
“Ma non è sposato
con tua zia da una vita?”
“Non c’entra. Lui è Tom DeLonge e prima
di stare con lei è stato con parecchie
ragazze e poche di loro sono state trattate o lasciate
bene.”
“Che?!”
“Che cosa?”
“Tuo zio è Tom DeLonge?!”
“Mh, sì.”
“Perché non me l’hai mai
detto?”
“Non me l’hai mai chiesto.”
“Posso vedere le foto?”
Gliene faccio vedere alcune sul mio cellulare e lei è
sinceramente stupita.
“Un attimo. Tu ti
chiami Jenkins di cognome, come la moglie di Tom.”
“E infatti lei è
mia zia, è la sorella di mio padre.”
“Figo.”
Io annuisco e poi mi incupisco.
“Oh, scusa. Forse
non avrei dovuto parlare dei tuoi genitori, è ancora troppo
presto.”
Io sospiro.
“Prima o poi ne
devo parlare, non posso evitare sempre l’argomento.”
“Hai ragione.”
Lei alza lo
sguardo verso il grande orologio circolare con una nota musicale che
esce da un
piatto di ramen e annuisce.
“È ora di pranzo,
andiamo al solito Mac Donald?”
“Va benissimo.”
Ci alziamo e
prendiamo le nostre giacche, in corridoio incontriamo i nostri colleghi
e
nell’atrio i tecnici e i Blue Tomatoes mi salutano.
“Chi sono?”
“La band che mi hanno chiesto di ascoltare, si chiamano Blue
Tomatoes.”
“Il ragazzo con i capelli azzurri come si chiama?”
“Darren. Vuoi che te lo presenti?”
“Non mi dispiacerebbe.”
“Aspettami qui.”
Mi dirigo verso la band e i tecnici sorridendo.
“Ciao, ragazzi.
Vi piacerebbe uscire con me e con la mia collega?”
Loro guardano verso Amelie e il ragazzo dai capelli azzurri sembra
colpito da
lei.
“Va bene,
andiamo.”
Raggiungiamo Amelie e spero di essermi fatta perdonare la figuraccia di
prima
con questo invito.
Andiamo tutti e
sei al nostro solito Mac Donald, Darren e Amelie parlano tutto il
tempo, i suoi
compagni di band ridacchiano come scemi.
Ordiniamo e poi
ci sediamo.
“Ehi, Dar! Hai
fatto conquiste!”
Commenta il batterista, un corpulento ragazzo dai lunghi capelli neri
raccolti
in una coda.
“Invidioso?”
“Stronzo.”
“No, perché sembra proprio
così.”
“Non si può scherzare qui.”
Si butta sul suo
panino e per un po’la conversazione tace.
“Tu hai il
ragazzo?”
La domanda è del bassista, un biondino mingherlino.
“No, al momento
non ci penso.
I miei genitori
sono morti tre mesi fa e ancora ci sto facendo i conti.”
L’atmosfera si raffredda all’improvviso.
“Scusate, non
volevo rovinarvi il pranzo.”
Borbotto e riprendo a mangiare il mio
panino, pentendomi di avere aperto bocca, combino sempre
casini e non
imparo mai a tacere.
Finito il pranzo
Amelie e Darren si fumano una sigaretta insieme e lei gli lascia il suo
numero,
torniamo alla casa discografica con lei che sorride come una scema, il
suo pranzo
è andato discretamente bene.
“Grazie, Karima.”
“Per cosa?”
“Per avere invitato la band, Darren è
così simpatico, forse ci vedremo fuori
dalla casa discografica.”
“Ottimo, sono
felice per te.”
Rientriamo in ufficio e sono sicura che con questo ho rimediato alla
mia
figuraccia, missione compiuta, Kari!
Mi siedo alla mia
scrivania e ricomincio a lavorare pregando che a routine allontani il
dolore
fino a renderlo solo una macchia sul passato.
I miei genitori
mi mancano ogni giorno e non sono sicura di voler lavorare ancora qui,
la
fotografia mi manca almeno quanto loro. Il fatto è che non
riuscivo a trovare
incarichi e alla fine ho gettato la spugna, ma non sono più
certa che sia stata
una buona idea.
Cosa devo fare?
Non lo so, ma per
il momento è meglio che lavori se non voglio essere
licenziata.
Maledetta vita.
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Capitolo 3 *** 2)Movimenti. ***
2)Movimenti.
Karima p.o.v.
Un mese dopo la
partenza di Adam arrivo a casa dal lavoro per trovare una piacevole
sorpresa:
lui è tornato!
Credevo che stesse via di più, non appena lo vedo lo
abbraccio stretta.
“Ehi, cosa ci fai
qui?
Pensavo dovessi
stare via di più.”
“Se vuoi me ne vado, eh!”
“Che stronzo permaloso!”
“Karima.”
Mi ammonisce gentilmente mia zia, visto che i miei cugini sono ancora
– tutto
sommato – piccoli si è deciso di evitare il
più possibile le parolacce.
“Sì, zia, scusa.
Comunque, come
mai sei qui? Pensavo stessi via di più o almeno mi avevi
detto questo.”
“Te lo spiego a
cena, adesso, se i padroni di casa permettono, vorrei farmi una doccia
e cambiarmi.
Sono partito
quasi di nascosto e al massimo dopodomani devo andarmene.”
Mia zia sorride.
“Non devi nemmeno
chiedere, vai pure.”
Lui sale trascinandosi dietro una valigia e la sua attrezzatura da
fotografo,
io invece vado in cucina da mia zia.
“Ti serve una
mano?”
Le chiedo.
“No, la pizza è
in forno.
Io e i bambini
l’abbiamo preparata insieme oggi, ci siamo divertiti molto.
Magari potresti
preparare la tavola.”
“Certo, va
benissimo.”
Vado in sala e comincio a tirare fuori la tovaglia e i tovaglioli che
dispongo
ad arte.
Apparecchio
disponendo con ordine bicchieri, posate, bibite e tutto quello che
serve, poi
salgo a chiamare Adam, mio zio e i miei cugini. Jonas sta facendo i
compiti e
Ava sta prendendo lezioni di chitarra dal padre.
Scendono tutti e trascorriamo
una cena abbastanza piacevole, ovviamente mi spiano tutti discretamente
per
vedere se mangio o no. Mangio, non ce la farei a deluderli e poi la zia
ha dato
il meglio di sé stessa e lo so che lo fa per me.
“Cosa dovevi
dirmi di tanto importante da fuggire dal tour con i Pierce The Veil,
Adam?”
“Ecco, ho
ricevuto un incarico dalla Hopeless Record, ma non posso accettarlo
perché come
hai fatto notare tu sono impegnato con i Pierce The Veil quindi ho
pensato che
potessi sostituirmi.”
“Sei matto?”
“Cosa ho detto di
male?
Sai fotografare
molto bene e l’unica ragione per cui sei ancora alla Fueled
By Ramen è che non
sei riuscita a trovare incarichi, io te ne offro uno.
Non sei felice a
lavorare in un ufficio, ti manca la fotografia.”
“Cosa ne sai tu di cosa mi manchi?”
Urlo ferita.
Da quando i miei
sono morti, non sono più riuscita a toccare la mia macchina
fotografica, ogni
volta che lo facevo pensavo ai miei. L’ultima volta che
l’ho usata è stata per
fotografare loro per la cazzo di conferenza che me li ha portati via,
certo non
guidavo io il camion che li ha uccisi, ma sento di averli spinti
lì in qualche
modo.
“Ti si legge in
faccia, non puoi continuare a scappare per sempre da quello che ti
piace, che
ti dà soddisfazione perché hai paura di essere
felice o ti senti in colpa per
essere viva.”
Faccio per alzarmi e abbandonare questa conversazione che inizia a non
piacermi, ma mio zio mi appoggia una mano sulla spalla e mi fa risedere.
“Adam, di che
incarico si tratta?”
“Per un paio di settimane dovrebbe fotografare gli All Time
Low in studio
mentre stanno registrando qualcosa di nuovo e poi seguirli durante il
tour. Si
tratta di almeno sei mesi.
Karima, hai
bisogno di cambiare aria. I tuoi zii si stanno occupando benissimo di
te, ma tu
non permetti a te stessa di guarire, pensi che la routine
cancellerà il dolore,
ma non succederà.
L’unico modo per
farlo è fare qualcosa che ti gratifichi, è quello
che avrebbero voluto i tuoi
genitori.”
Io mi alzo in
piedi con tale violenza da rovesciare che cade con il rumore di una
granata e
fulmino Adam con un’occhiataccia, poi salgo in camera mia.
Vorrei buttarmi a
letto, ma sono troppo nervosa e arrabbiata – Adam ha toccato
dei nervi scoperti
– quindi frugo nella mia borsa ed estraggo un pacchetto di
sigarette alla vaniglia
che sono il mio piacere proibito in fatto di fumo.
Esco nel mio
minuscolo terrazzino e ne accendo una aspirando il fumo, ma
è troppo dolciastro
per grattare la gola, sembra indorare la pillola. Non è
quello che voglio,
quello che voglio è prendere a pugni qualcosa, sfogarmi,
rifare l’arredamento
della mia camera come farebbe un tornado.
Ma questa non è
casa mia e io non lo posso fare, vorrei urlare, ma penso che i vicini
chiamerebbero probabilmente la polizia o il manicomio.
Queste rockstar
sono eccessive, fanno casino o danno di matto, non sono buoni vicini.
Mi lascio sedere
senza forze sulla comoda sedia e continuo a fumare in silenzio,
frustrata e
arrabbiata.
Finita la
sigaretta, rimango un attimo a fissare il giardino di mio zio,
è sapientemente illuminato
da luci che però proiettano lunghe ombre e nascondono tante
cose. Potrebbe
esserci un gatto o un serpente nascosto nel buio, forse persino una
persona.
Dove c’è luce c’è
buio, dove c’è buio c’è luce.
Che curioso
pensiero.
Sospirando
rientro in camere e poi scendo al piano di sotto, la cena è
terminata senza di
me, lavo i piatti e mi faccio una doccia, poi cerco di suonare, ma non
mi viene
niente.
“Merda!”
Impreco tra i
denti, a causa di tutte le chiacchiere di Adam non riesco a
concentrarmi a dovere
e a suonare.
“Tutto bene,
scricciolo?”
Mi chiede mio zio, che entra e si siede accanto a me.
“No, per colpa di
Adam non riesco a suonare.”
“Perché? Perché hai reagito
così?
Lui vuole solo
aiutarti.”
“Non è il modo giusto, io non…
Ecco, ho dei
problemi a usare la macchina fotografica, ogni volta che la uso mi
tornano in
mente i miei. L’ultima volta che l’ho usata
è stata per fare loro delle foto e
guarda come è finita.
Sono morti, le
mie foto sono sulla loro tomba.
Le mie foto non
dovevano essere usate così, non è giusto, cazzo.
La proposta è
buona, ma io non me la sento.”
“A parte tutto quello che mi hai detto, come mai?
La tua tecnica è
ottima, Karima.”
“Grazie, zio. La tecnica non è il problema,
è quello che mi suscita prendere in
mano la macchina fotografica, e anche se non mi suscitasse nulla, sono
io il
problema.”
“Cosa vuoi dire?”
“Io sono senza sentimenti, come posso costruire dei rapporti
con la band?
Non ci riuscirei
e rischierei di compromettere tutto, c’è gente
molto più brava di me che merita
una possibilità.”
“Anche tu meriti una possibilità. Secondo me devi
provarci e lasciare da parte
per un attimo il tuo problema.”
Io lo guardo sorpresa, è la prima volta che mi incoraggia a
fare qualcosa, ha
sempre evitato di farlo per non litigare con i miei, anche se mio padre
amava
che io fotografassi.
“Lo pensi
davvero, zio?”
“Ne sono sicuro, ma la decisione spetta a te.”
Già, la decisione spetta a me.
Rimetto a posto
il mio basso, conscia che stasera non suonerò più
nulla e mi sdraio a letto.
Adam passa a darmi
la buonanotte, io lo ignoro. So già che non
chiuderò occhio perché stanotte
oltre a rivivere il momento in cui mi è stato annunciato che
i miei erano morti
ci sarà quella stupida idea di essere di nuovo una fotografa
a farmi compagnia.
Fanculo.
Come previsto non
chiudo occhio.
Mi giro e mi
rigiro alla ricerca di una posizione comoda, prendo a pugni il cuscino,
conto
le pecore e bevo un po’ di latte caldo nel cuore della notte.
Alla fine mi ritrovo
a fumare nel cortile di mio zio con la testa che mi scoppia e
finalmente cedo.
Va bene, proverò
almeno a sostenere il colloquio alla Hopeless Record per
l’incarico che mi ha
detto Adam. Dubito che la sola raccomandazione di Adam, che pure
è un noto
fotografo, basti a farmi assumere.
Stanchissima, mi
trascino in camera mia e mi lascio cadere a peso morto sul letto, mi
copro in
qualche modo e poi finalmente dormo.
Non penso di aver
riposato più di due ore, perché la sveglia suona
impietosa alle sette e io alle
cinque ero ancora sveglia. Mi faccio una lunga doccia e mi metto una
dose
abbondante di correttore sperando che nascondano le borse agli occhi e
l’aspetto da zombie.
Dannato, Adam!
Lui arriva fresco, riposato e sorridente, come una rosa.
Gli ringhio un
buongiorno mentre ingollo una tazza di caffè italiano
particolarmente forte,
poco dopo mangio uova e bacon per farlo felice e mangio anche due
pancakes,
questo solo ed esclusivamente perché amo i pancakes.
“Come mai siamo
così scontrosi stamattina?”
Mi chiede il mio amico.
“Per colpa tua e
della tua idea balorda non ho dormito quasi niente stanotte.”
“Oh, e che hai deciso?”
“Che lo farò, sosterò un colloquio con
la Hopeless Record.”
Odio come le mie parole siano quelle di una persona arrabbiata e la
voce quella
di un robot senza sentimenti.
“Sono davvero
felice.”
“Sì, sì. Vedrai come andrà
bene.”
Mugugno io, ma lui non mi ascolta nemmeno, felice della sua vittoria,
io alzo
gli occhi al cielo.
Usciamo di casa e
lui mi accompagna alla casa discografica, la segretaria che ci riceve
non
sembra molto convinta che io possa avere il lavoro, ma accetta comunque
curriculum, referenze e il mio portfolio.
“Le faremo
sapere.”
Mi dice con la
sua voce piatta, quella di chi è abituato a liquidare
aspiranti musicisti,
bands, segretarie, tecnici e chi più ne ha più ne
metta.
“Karima è
un’ottima fotografa e garantisco io per lei. Mi
conosce?”
La donna alza gli
occhi dal suo computer e li sgrana alla vista di Adam.
“Lei è il signor
Elmakias! Questo incarico era destinato a lei.”
“Esattamente, ma io non posso accettarlo al momento, quindi
propongo la
signorina Jenkins come mia sostituta.”
“Capisco. Come ho
già detto faremo sapere alla signorina Jenkins se e quando
presentarsi al
colloquio. Cerchiamo fotografi davvero abili come lei.”
“La signorina Jenkins ha le mie stesse capacità,
ma a causa di stupidi
pregiudizi sessisti e islamofobici non è riuscita ad avere i
riconoscimenti che
si merita.”
“La signorina è musulmana?”
“No, sono cristiana. Mia madre era musulmana, ma a volte
vesto come una donna
musulmana per onorare la sua religione. A volte la semplice presenza di
un
hijab sembra turbare molto.”
“Cos’è un hijab?”
“Il velo.”
“Quello con la grata davanti al volto? Una persona deve
essere riconoscibile.”
Io stringo i pugni.
“L’hijab copre
solo i capelli e lascia scoperto il volto.”
Dico con il mio tono più gelido.
“Va bene, le
faremo sapere.”
Con un gesto esplicito ci indica la porta.
Appena fuori mi
accendo una sigaretta e fulmino Adam.
“Te la sei
giocata con la storia dell’Islam, non mi assumeranno mai.
Penseranno che io sia
una cazzo di terrorista e le tue referenze e raccomandazioni finiranno
nella
carta straccia.”
Lui sbuffa.
“Karima, ti farò
ottenere quel lavoro a costo di scatenare l’inferno.
È arrivato il momento che
qualcuno riconosca il tuo valore.
Basta smettere di
nascondersi dietro alla religione o a quella storia
dell’anima.”
“Quella è vera, cazzo!
Non fare anche tu
come mio padre che si è rifiutato di crederci fino alla
fine.”
“Ok, Karima, ok.
Adesso ti porto
al tuo lavoro.”
Io annuisco secca, finita la sigaretta salgo sulla sua macchina e mi
faccio
depositare fuori dalla Fueled By Ramen, maledicendolo mentalmente.
Non avendo preso
la mia macchina non ho il passaggio per il ritorno e dovrò
chiedere ad Amelie di
darmi uno strappo.
Entro nella hall
e saluto la ragazza alla reception, mi sembra un po’ fredda.
Cosa le avrò mai
fatto?
Non ne ho la più
pallida idea!
Salgo in ufficio
e mi tolgo finalmente la giacca, Amelie mi guarda curiosa e anche
questo è
strano.
“Sai cosa ho
fatto alla tizia della reception? Non mi parla.”
Le chiedo, lei
ride.
Cos’è? La
giornata di “prendi per il culo Karima”?
“Ti hanno vista
dal nemico, cosa ci facevi lì?”
“Adam Elmakias mi ha chiesto di occuparmi di un suo incarico:
fotografare gli
All Time Low in studio e poi in tour. Alla fine ho dovuto cedere e ho
portato
curriculum, referenze e portfolio a una segretaria stronza.”
“Hai per caso un’altra coppia del portfolio? Vorrei
dargli un’occhiata.”
“Sì.”
Gliela passo senza dire nient’altro, lei lo prende in mano e
inizia a
sfogliarlo.
“Cazzo, ma sei
brava! Cosa ci fai qui a fare la segretaria?
Ci marcisci solo,
la tua vera vocazione è la fotografia e si vede, spero ti
prendano.
Il tuo contratto
è a termine e tra un paio di settimane scade, io non mi
farei scappare
un’occasione del genere.”
“Se lo dici tu.”
“Lo dico, lo dico. So giudicare un buon lavoro quando ne vedo
uno, ti ricordo
che io mi occupo dell’aspetto grafico e queste fotografia
sono davvero buone.”
“Grazie mille.”
Lei ride.
“Di niente.”
Mi siedo alla mia
scrivania e inizio a sbrigare alacremente i miei compiti, senza che
nessun
pensiero molesto mi distragga, mi sembra di aver ritrovato la pace
interiore e
sono felice, per modo di dire.
La tregua dura
fino a mercoledì quando alla fine del turno quando il mio
cellulare squilla,
guardo il mittente e non è nessuno dei miei contatti. Chi
sarà mai?
Qualcuno che ha
sbagliato numero?
“Pronto?”
“Lei è la signorina Karima Isabelle
Jenkins?”
“Sono io, con chi
sto parlando?”
“Sono Ayden Carson della Hopeless Records, la mia segretaria
mi ha fatto avere
il suo curriculum e portfolio per l’incarico che riguarda gli
All Time Low.
A ciò che mi
risulta ha buone referenze e Adam Elmakias, oltre a stimarla molto, si
è fatto
garante per lei. Mi sbaglio?”
“No, è sostanzialmente corretto.”
“Ottimo. Le andrebbe di fare un colloquio con noi
martedì prossimo alle nove?
Il lavoro le
interessa ancora? Ho fatto le mie ricerche e risulta impiegata alla
Fueled By
Ramen.”
“No, mi interessa ancora. Sono solo un’impiegata
alla Fueled By Ramen e
oltretutto il mio contratto a termine è in
scadenza.”
“Ottimo ottimo,
allora ci vediamo settimana prossima, signorina.”
“Va bene, a
settimana prossima.”
Chiudo la
chiamata sbalordita.
“Karima, tutto
bene?”
Mi chiede
premurosa Amelie, mi è grata perché la storia con
quello dei Blue Tomatoes va
alla grande.
“Sì, immagino di
sì.
Mi hanno appena
chiamato dalla Hopeless Records e abbiamo fissato un appuntamento per
settimana
prossima.”
“Wow! Fantastico!
Qui bisogna
festeggiare, che ne dici se ci facciamo un aperitivo?”
Io guardo il cellulare e poi annuisco.
“Va bene, ci sta.
Ho ancora tempo.”
Usciamo dalla
casa discografica e ci infiliamo nel bar vicino ad essa, ogni tanto io
e Amy ci
prendiamo un aperitivo insieme e oggi è una buona occasione
per farlo.
“Allora cosa vi
porto, ragazze?”
Ci chiede il cameriere.
“Due aperitivi
della casa.”
Risponde allegra Amelie, facendogli l’occhiolino.
“Non flirtare con
il cameriere, hai un ragazzo adesso.”
“Tanto il cameriere è…”
“Ho capito.”
Rispondo un po’ brusca e irrigidendomi all’istante.
“Non ti è ancora
passata?”
“Riservo a me stessa la libertà di non conformarmi
all’ipocrisia buonista di
questo mondo.”
Dico fredda.
“Sai, penso che
andrò a casa.
Ciao, Amelie.”
Lascio i soldi sul tavolo e me ne vado.
All’improvviso
non ho molta voglia di festeggiare, sono molto lunatica e basta una
piccola
cosa a far cambiare il mio umore.
Raggiungo la fermata del pullman,aspetto che arrivi e salgo, durate il
tragitto il mio cellulare
si mette a suonare, ma lo ignoro.
Arrivo fino al quartiere dei miei zii, e una volta scesa
controllo chi mi
abbia chiamato: è Adam.
Poco male, visto
che è ancora qui parlerò con lui adesso. In casa
c’è il solito caos che contraddistingue la
famiglia DeLonge:
mia zia che cucina aiutata da Ava, Jonas che apparecchia e mio zio che
suona la
chitarra sul divano, prendendo appunti ogni tanto, con Adam accanto a
lui.
“Buonasera!”
Urlo io.
“Ciao, tesoro!”
Urla a sua volta
mia zia dalla cucina.
“Come mai non ha
risposto alla mia chiamata?”
Mi chiede Adam.
“Ero in pullman
e non l'ho sentito, cosa volevi comunque?”
“Volevo solo sapere se quelli delle Hopeless Record ti hanno
contattata, oggi
sono andato a fare un po’ di pressioni.”
“Adam, non dovevi!”
“Dovevo, lo vuoi o no questo lavoro?”
Io non rispondo.
“Mi hanno
chiamata e mi hanno fissato un appuntamento per martedì
prossimo.”
Adam lancia un
urlo selvaggio che mi fa spaventare e mi abbraccia di slancio,
rischiando di
travolgermi. Cristo, è più felice lui di me!
“Cosa diavolo
succede?”
Arriva di corsa mia zia dalla cucina che ci guarda un po’
spaventata, un po’
incredula.
Non è da Adam
fare così casino, di solito è un ragazzo calmo e
posato.
“La Hopeless
Record le ha fissato un appuntamento per settimana prossima per
l’incarico che
io non posso
svolgere.”
“Ma questo è meraviglioso! Bisogna festeggiare!
Tom!”
Mia zia richiama
lo zio all’ordine.
“Cosa c’è, Jen?”
“Vai a prendere
del gelato, bisogna festeggiare.
Karima ha
ottenuto un colloquio alla Hopeless.”
“Vado subito.”
Si mette la
giacca ed esce immediatamente.
La solita
sensazione di straniamento mi coglie, in un attimo le voci intorno a me
diventano una massa confusa, tante radio fuori frequenza.
Perché sono
condannata a questa assenza di sentimenti?
Qual è il mio
peccato?
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Capitolo 4 *** 3)Un posto per le foglie portate dal vento. ***
3)Un posto per le foglie
portate dal vento.
Karima p.o.v.
In certe
occasioni il tempo accelera, soprattutto quando non vuoi.
Io non so se
voglio il lavoro di Adam, mi sento spinta da altre persone, sento che
tutti
attorno a me vogliono che io lo faccia come riconoscimento del mio
talento, ma
ce l’ho questo talento, poi?
Sì, so
fotografare, ma bene come dicono?
E poi non riesco
a dimenticare che gli ultimi soggetti che ho fotografato –
mamma e papà – sono
morti, ogni volta che guardo le loro foto sento un nodo
all’altezza della gola.
Sembrano così
vivi e sono morti, cibo per vermi, spiriti in paradiso, lontani da me e
mi sento
come un messaggero di sventura.
Quando l’ho detto
ad Adam lui ha detto che è solo il senso di colpa dei
sopravvissuti e di non
dargli troppo peso, ma come faccio?
I loro sorrisi mi
perseguitano e gettano delle ombre che a volte mi impediscono di
prendere la
macchina fotografica in mano e mi fanno prende il basso invece. In
qualche modo
attraverso la musica mi sfogo e i cattivi sentimenti, i demoni se ne
vanno.
E in questo
periodo suono il basso molto spesso, il che dice molto sul mio stato
d’animo.
In ogni caso
anche alla vigilia del grande giorno lavoro normalmente, sebbene i miei
colleghi mi trattino con freddezza come sapessero che sto per
fraternizzare con
il nemico, Amelie è l’unica che è
normale con me.
La fine del turno
arriva e Amelie mi picchia una mano sulla spalla e mi augura buona
fortuna.
Ah, già il
fatidico giorno è domani!
Per un attimo me
l’ero quasi scordato e mi stavo quasi sentendo bene.
Ho troppa
pressione addosso e non so come sfogarmi, cazzo. Persino il basso non
basta
più, penso che domani semplicemente esploderò
durante il colloquio e fine della
storia.
Adam è eccitato all’inverosimile, io ho la mia
solita calma del cazzo, in
questi giorni comunque mi sono esercitata con la macchina fotografica e
ho
fatto qualche scatto alla famiglia DeLonge sperando che non passi a
maggior
vita nei prossimi giorni.
Lo zio dice che
me la cavo bene e se lo dice lui non ci sono dubbi, è o
è Tom Fucking DeLonge?
Oltre a essere un
chitarrista, è un regista e si occupa anche di cortometraggi
animati con Poet
Anderson: è un uomo ecclettico.
Arrivo a casa e
trovo i miei parenti particolarmente sorridenti, mia zia è
addirittura
raggiante.
“Ti ho preparato
la pizza per augurarti buona fortuna!”
“Grazie, zia! Ma
non dovevi sprecare tutto il tuo pomeriggio per me.”
“Mannò, è stata una figata!”
Esclama Ava.
“Mamma ha
permesso a me e JoJo di aiutarla.”
“Sì, è stato divertentissimo.”
Beh, almeno non
hanno sprecato il pomeriggio, mi dico per consolarmi.
Ci sediamo a
tavola e la zia arriva con una teglia lunghissima di pizza condita con
funghi,
prosciutto, peperoni, salame e zucchine.
Wow! Mi ci
vorranno secoli per digerire tutta quella, ma ne sarà valsa
la pena!
Inizia a tagliare
le fette e a distribuirle a tutti, Adam sorride così tanto
che rischia la
paralisi facciale, mio zio sembra soddisfatto e i miei cugini sono
entusiasti
per la pizza.
Io ne mangio un
pezzo e dopo mesi, per la prima volta dalla morte dei miei genitori,
sento di
avere davvero appetito.
Ne mangio due
fette con soddisfazione e questo non sfugge all’occhio di
falco di zia Jen che
sorride soddisfatta.
Dopo cena, come al solito, lavo i piatti e poi salgo in camera mia.
Inizio a
riguardare il mio portfolio in modo maniacale e poi mi metto a suonare
il basso
per scaricare la tensione. A
mezzanotte
qualcuno bussa alla porta della mia camera: è Adam.
“È ora di andare
a dormire o domani non ti sveglierai mai.”
Do un’occhiata alla sveglia e annuisco piano.
“Hai ragione,
metto via il basso e mi lavo i denti.
Tu rimani fino a
quando?”
“Dopo il tu colloquio, poi torno dai Pierce The
Veil.”
“Mi mancherai.”
“Anche tu, ma così va la vita.”
“Già.”
Lui se ne va e io ripongo delicatamente il mio basso nero con un
teschio
messicano disegnato sopra nella sua custodia, poi mi lavo i denti e
filo a
letto, inizio a sentire una certa stanchezza e un po’ di
preoccupazione.
“Oh, al massimo
non mi prendono e amen, continuerò con il mio lavoro, non
penso che mi
licenzieranno se dovesse andare male.”
Dico ad alta voce prima di sdraiarmi, dopo pochi secondi sono
già nel mondo dei
sogni, dove posso sempre riabbracciare i miei genitori.
Mi riempiono di
complimenti e di incoraggiamenti, sorridono felici e sorrido anche io,
perché
in questa realtà ci sono e non sono solo cibo per vermi
chiusi in una tomba.
Quando il suono
della sveglia mi butta fuori da quel piccolo paradiso mi accorgo che il
cuscino
è umido e che ho pianto nel sonno.
Persino nel bel
mezzo di un bellissimo sogno una parte di me sapeva che non era vero e
che
erano solo illusioni, mi prendo la testa tra le mani e singhiozzo un
paio di
volte, per poi passare le dita in quel groviglio verde che sono i miei
capelli.
Adam si affaccia
alla porta della mia camera, preoccupato.
“Karima, va tutto
bene?”
“Ho sognato mamma e papà e quando mi sono
svegliata il cuscino era tutto
bagnato. Ho pianto nel sonno, persino nei miei sogni riesco a far
penetrare la
realtà, sono un mostro.”
Lui si siede accanto a me e mi accarezza i capelli.
“Sei solo
disperata, in lutto.
È tutto normale,
non sei un mostro, non lo sei mai stata e prima te ne convincerai prima
andrà
meglio.
Per quanto sa
doloroso da accettare non puoi fare nulla per i tuoi, nessuno
può fare nulla.”
Io abbasso la testa, per quanto sia doloroso so che ha ragione.
Nessuno li
riporterà indietro dal mondo dei morti.
Nessuno.
Devo solo
imparare a convivere con la loro assenza.
Dopo
aver tentato
di fare colazione – a causa del nervosismo non sono riuscita
a buttare giù
nulla – io e Adam ci dirigiamo alla Hopeless Record e lui
parcheggia.
“Ok, Karima. Da
adesso devi fare da sola, io non posso accompagnarti, ma so che te la
caverai
benissimo.”
“Grazie, Adam. Hai fatto fin troppo per me.”
Lui mi sorride dolcemente e mi accarezza i capelli.
“Niente è troppo
per la mia piccolina, ti voglio bene e voglio che tu sia felice.
Sono sicuro che
con questo lavoro ti sentirai soddisfatta perché finalmente
farai quello che
sai fare meglio e non c’è cosa migliore a questo
mondo.
Dicono che se
riuscirai a fare di quello che ami il tuo lavoro non lavorerai un
giorno in
vita tua.”
Io ridacchio con la mia solita risata metallica.
“Quindi tu non
hai mai lavorato un giorno in vita tua, lazzarone.”
Lui ride a sua volta.
“Mi ha scoperto,
signorina Jenkins, confesso i miei crimini.”
“Sono una brava
investigatrice.”
“Ti meriti un
premio.”
Estrae un donut ricoperto di glassa rosa.
“Mangia.”
“Agli ordini.”
Lo mangio poi scendo dalla macchina.
“Ciao, Adam. Ti
chiamo appena il colloquio è finito.”
“Ciao!”
Mi avvio verso la
porta della casa discografica chiedendomi se sono vestita nel modo
giusto, ho
messo un sobrio tubino nero e un paio di scarpe verde acido lucide e un
po’retrò, abbinate alla mia borsa e ai miei
capelli che sono sciolti.
Entro nella hall
e mi ritrovo davanti alla segretaria dell’altra volta che
questa volta sembra
avere un’aria meno cattiva, io le sorrido un po’ a
disagio e consapevole che i
miei muscoli facciali non lavorano come dovrebbero.
“Buongiorno,
signorina Jenkins.
Prenda
l’ascensore e salga fino all’ultimo piano,
lì troverà ad attenderla la
segretaria del signor Carson.”
“Grazie mille…”
“Signorina Preston, sono la signorina Preston.”
“Ok. Grazie mille
signorina Preston.”
Entro nell’
ascensore che mi indica con un dito scheletrico dall’unghia
smaltata di rosso e
pigio il pulsante dell’ultimo, le porte si chiudono e
l’aggeggio inizia a
salire. Le persone entrano e poi escono ai vari piani, ma
all’ultimo piano ci
arrivo da sola.
Una donna dai
lunghi capelli di un caldo castano molto elegante che indossa un abito
fiorato
alla moda.
“La signorina
Jenkins?”
Lancia una discreta occhiata ai miei capelli verde acido.
“Sì, sono io.”
“Ottimo, il signor Carson la sta aspettando. Noi apprezziamo
molto la
puntualità.”
“Lo terrò a mente.”
La seguo lungo il corridoio di parquet e sento il nervosismo salire,
questo
colloquio non mi sembra più così tanto una buona
idea. Io nella mia routine ci
sto bene, ho proprio bisogno di un salto nel buio?
Finalmente la
donna si ferma davanti a una porta nera.
“Prego, entri.”
“Va bene.”
Apro la porta con quella che è la mia versione del cuore in
gola.
Un uomo dai
capelli castani tagliati corti in un impeccabile vestito di sartoria
italiano
siede dietro a una scrivania di legno chiaro, davanti ci sono due sedie
color
panna.
Lui alza lo
sguardo e mi trapassa con due occhi color ghiaccio che sembrano voler
leggere
dentro di me e scovare ogni singola pecca, un errore.
“La signorina
Jenkins?”
“Signorsì.”
“Prego si sieda, io sono il signor Carson.
Mi occupo della
parte artistica della Hopeless Records e in particolare dei servizi
fotografici, ogni fotografo che segue le band dell’etichetta
in tour o nello
studio di registrazione deve rispondere a me.”
“Io sono Karima
Jenkins e...”
“Lo so, il signor Elmakias l’ha fortemente
raccomandata per l’incarico che
riguarda gli All Time Low, fotografarli durante i tre mesi in studio e
nel
successivo tour.”
“Esatto.”
Dico un po’ intimorita.
“Inizierò
controllando le sue referenze scolastiche.
È stata davvero
alla San Diego Accademy Of Fine Arts?”
“Sì, classe di fotografia.”
“Risulta essersi
diplomata con il massimo dei voti, ma ci sono alcune note dei suoi
insegnati
che la indicano come un elemento non facile. Può spiegarmi
cosa significa?”
“Ho un disturbo per il momento sconosciuto alla psichiatria
che non mi permette
di provare emozioni come tutte le persone. Ciò causa una mia
tendenza
all’isolamento, ma non influisce sulla qualità
delle mie foto e nemmeno sui
miei rapporti.
Se sono obbligata
a lavorare in gruppo riesco a gestire la situazione.”
“Capisco. La stessa cosa la ritrovo nelle referenze dei suoi
datori di lavoro,
ma non ho nulla che riguardi la Fueled By Ramen, mi può dire
qualcosa lei?”
“Lì svolgo un lavoro d’ufficio,
occupandomi delle pratiche che riguardano le
varie bands sotto contratto. Saltuariamente i tecnici mi chiedono aiuto
quando
non sanno se dare un parere positivo o negativo sulle band da mettere
sotto
contratto.”
“Come mai ha questa autorità?”
“Sono una musicista anche io, suono il basso e ho un buon
orecchio musicale,
tutto qua. Nessun favoritismo o autorità
particolare.”
“Capisco, ha con sé il suo book?”
“Certamente.”
“Me lo porga.”
Io glielo passo senza dire una parola e lui inizia a sfogliarlo in
silenzio,
soffermandosi a volte su una foto o su un’altra.
“Le sue foto sono
di ottima qualità, se mi assicura che lei è in
grado di lavorare perfettamente
in gruppo l’incarico è suo. La capacità
di lavorare con altre persone è molto
importante per me.”
“Le assicuro che sono perfettamente in grado di lavorare in
gruppo.”
“Bene, il posto è
suo.
Firmi qui.”
“E il mio contratto alla Fueled By Ramen?”
“Mi risulta che
sia in scadenza tra una settimana, ovviamente parlerò con i
suoi datori di
lavoro del fatto che lavorerà con noi.”
“Capisco.”
Firmo le carte che mi ha passato, poi gliele restituisco, lui mi porge
una
mano.
“Benvenuta alla
Hopeless Records.”
“Grazie mille, mi impegnerò al massimo nel mio
lavoro.”
“Non ci aspettiamo nulla di meno da lei.”
Io sorrido e lui mi fa cenno che posso andare.
Fuori la
segretaria mi fa firmare altra roba e io eseguo docile.
“Perfetto, è
tutto a posto, può andare.”
“Grazie mille…”
“Signorina
Petersen, mi chiami pure Beth.”
“Va bene, Beth. Arrivederci.”
Prendo di nuovo l’ascensore e mi ritrovo nella hall, dove
ritrovo la signorina
Preston.
“E così adesso è
dei nostri, buona permanenza.”
“Grazie mille, signorina Preston.
Arrivederci.”
La saluto e poi esco dalla casa discografica in preda a una strana
sensazione,
metà di tristezza e metà di trionfo.
Il parcheggio è
deserto, io frugo nella borsa e trovo le chiavi della macchina,
così decido di
farmi un giro in spiaggia, il luogo ha sempre avuto una specie di
influenza
positiva su di me.
Ci arrivo il più
presto possibile, parcheggio, scendo dalla macchina ed entro nella
spiaggia. Mi
tolgo le scarpe e
aspiro a pieni polmoni l’aria che sa di sale e vita.
È come se il mare
e il vento mi parlassero di vite passate, tormenti estinti, amori, odi,
rabbia
e terre lontane. Se presto abbastanza attenzione sento persino il
pianto della
mia Palestina, la terra di origine di mia madre, martoriata da anni di
guerre
civili. Sento i pianti di chi ha perso qualcuno, le urla di dolore di
chi è
stato ferito, il rumore dei mitragliatori, dei razzi e dei sassi.
Esplosioni
lontane nei campi profughi e negli autobus israeliani.
La sento la
follia di chi si fa esplodere perché non ha più
nulla da perdere e si è fatto
riempire la testa di promesse vane e sento la follia di chi bombarda e
avanza
con i carrarmati, innalza muri e odia.
È curioso come la
storia sia la maestra meno ascoltata dal mondo, qualcuno dice la
storia
è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e
molte copie o che si
continui a scrivere in eterno la stessa pagina, ma da mani diverse.
È una verità abbastanza certa che però
non impariamo mai
dai nostri errori, li continuiamo a ripetere anche se conosciamo la
loro
natura.
Raccolgo una conchiglia e sospiro.
Chissà se avrò un microscopico posto nella
storia?
Chissà se il mio lavoro andrà bene?
Presa dalle mie riflessioni non mi sono accorta che è
arrivato mezzogiorno, è arrivato il momento di andare a
casa, gli zii mi
staranno aspettando e vorranno sapere come è andata.
Do un ultimo sguardo al mare e sorrido, spero che un
giorno la pace regni dal posto da dove vengono metà delle
mie radici.
Esco dalla spiaggia e salgo in macchina, guido senza
fretta verso villa DeLonge, ho una strana riluttanza a condividere con
loro
questo fatto. La verità è che ho una paura
fottuta della piega che ha preso la
mia vita. Finora sono sempre stata una foglia portata dal vento che si
è
adattata a fare quello che e veniva chiesto, ma adesso…
Adesso sono io che
dovrò decidere, sono io che dovrò dimostrare che
ho talento e so utilizzarlo e
questo è spaventoso.
Ce la puoi fare.
La voce di mio padre è netta nella mia testa come se
fosse seduto accanto a me e il mio cuore salta un battito.
Sì, Karima. Ce la puoi proprio fare.
La voce di mia madre sostituisce quella di mio padre e mi
sembra di sentire una leggera carezza.
All’improvviso mi accascio sul volante e piango, un
pianto spontaneo ossia qualcosa che non era mai successo prima.
Un cazzo di miracolo arrivato troppo tardi.
Nella mia vita arriva tutto troppo tardi: opportunità,
miracoli, pianti.
Sono un dannato disastro.
Piango per un quarto d’ora buono, poi mi asciugo le
lacrime e mi rifaccio il trucco, non voglio che gli zii si preoccupino
per uno
sfogo emotivo che non conta nulla. Mi guardo allo specchio e lui mi
restituisce
l’immagine di una ragazza impassibile dai capelli verdi.
Esco dalla macchina ed entro in casa, la zia è in cucina
con Ava, lo zio è sul divano con Jonas e Amelie, cosa ci fa
lei qui?
“Ciao!”
Urlo per rendere manifesta la mia presenza.
Amelie si alza dal divano e mi stringe le mani.
“Allora, come è andata, stronza?
Potevi almeno dirmi qualcosa su come era andata.”
Io sono frastornata da questo eccesso di attenzioni.
“Oh, state buoni!
Adesso vi dico tutto! Mi hanno presa!”
Amelie lancia un urlo così forte che probabilmente mi ha
danneggiato a vita un
timpano.
“Ma sei matta?
Vuoi che diventi sorda?”
“Sono solo felice!”
Io mi massaggio l’orecchio.
“Come mai sei qui e come sai il mio indirizzo?”
“Ho dato un’occhiata ai tuoi dati.”
“Hacker pettegola!”
Lei mi fa una linguaccia.
“Sono venuta qui per avere notizie, se avessi aspettato
te!
E poi potevo perdermi l’occasione di andare a casa
dell’idolo della mia adolescenza?”
“E sbavare come una ragazzina, Darren cosa direbbe?”
“Che vorrebbe sbavare insieme a me, acida!
Comunque, complimenti! Mi mancherà la tua ironia.”
“Anche a me mancherà la tua, potresti venire ogni
tanto, ma con un secchio.”
“Mi lasceresti entrare?”
“Aye.”
“Sento di volerti molto bene.”
“Basta che non mi abbracci.”
Lei ride.
“Ragazze, oggi ho preparato le mie famose lasagne per
festeggiare.
Amelie, vuoi rimanere?”
“E me lo chiede?
Certo che sì.”
Mia zia se la ride.
“Tom, hai delle fan divertenti.”
Lui si pavoneggia un po’, come a di solito quando si parla di
musica.
“Per forza, hanno preso da me.”
Lei gli tira un asciugamano.
“Vai a sederti, vanitoso.”
Io rido e mi siedo anche io insieme ai miei zii, cugini,
Amelie e Adam.
Questa è la cosa che ho più vicina alla famiglia
e voglio
tenermela stretta, non voglio che qualcuno me la porti via.
Questa volta il passato non si deve ripetere e non si
ripeterà.
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Capitolo 5 *** 4)Il colpo di mano del destino. ***
4)Il colpo di mano del
destino.
Karima p.o.v.
È passata una settimana ed è stata quella che si
dice una
settimana rilassante.
Non sono andata al lavoro perché il mio capo mi ha fatto
sapere che il capo della Hopeless By Ramen lo ha avvisato che sarei
andata a
lavorare da loro.
Amelie mi ha detto che stanno cercando una mia sostituta,
ma che non gli va molto bene per ora, che le tizie che si sono
presentate sono
state tutte scartate senza pietà.
Io ho fatto pratica con la macchina fotografica e con il
basso, più che altro per la necessità di sfogare
la mia tensione.
Venerdì sono comodamente sdraiata sul mio letto a trarre
accordi pigri dal mio basso quando suona il mio cellulare.
“Karima?”
“Sì, sono io.”
“Sono il signor Carson.”
“Oh, buon pomeriggio.”
“La band vorrebbe conoscerla un po’ meglio prima
che
inizi a lavorare.
È stata invitata alla pizzeria “Bella
Napoli” per le nove.
Conosce il posto?”
“Va bene, ci sarò e, sì, conosco il
posto.”
“Mi raccomando, dia il meglio di sé.”
“Va bene.
Chiudo la telefonata e rimango un attimo inebetita.
Io in una pizzeria? In mezzo a gente che sta bene e ha
sentimenti?
Non ce la posso fare!
Prendo un profondo respiro e poi mi accorgo che alla fine
non sento nulla e mi sento come svuotata, avevo alzato le braccia e le
abbasso
sconfitta.
Metto via il basso ed esco dalla mia camera, scendo al
piano inferiore e trovo solo Adam, credo che oggi sia uno degli ultimi
giorni
in cu rimarrà qui.
“Ciao, chi era al telefono prima?”
“Il capo della Hopeless, mi ha detto che stasera devo andare
a cena con la
band, vogliono conoscermi.”
“Non hai paura?”
Io scuoto la testa.
“Lo sai che non sento nulla. Niente sentimenti, niente
paure.”
Lui sbatte le mani sul tavolinetto basso del salotto.
“Vorrei che questa storia finisse, tu sei perfettamente
in grado di provare sentimenti come chiunque altro.”
“Lo sai che non è vero, mamma e papà mi
hanno portato da un sacco di psicologi
e psichiatri e nessuno è riuscito a cavarci un ragno dal
buco.”
La mia voce suona piatta come al solito.
“Senti, io alle maledizioni e alla gente che nasce senza
anima non ci credo!”
“Questo è un tuo problema, intendere ignorare la
verità è una tua scelta e non
posso farci nulla.”
Lui sbuffa e fa per dire qualcosa, ma la zia – arrivata nel
frattempo – gli fa
cenno di tacere.
“Perché?”
“Perché non è urlandole contro che
risolverai qualcosa e al mondo ci sono un
sacco di cose strane che non si possono spiegare razionalmente e poi
non è
detto che rimanga senz’anima per sempre.”
“Sì, lo so. La storia dell’anima gemella
che ha anche la sua, ma sai cosa
penso?
Che quella zingara se la sia inventata per avere qualche
dollaro da sua madre e che lei abbia qualche problema che la scienza
può
risolvere.”
“Senti sono stata dai neurologi e il mio cervello
è normale. NORMALE.
Sono stata da vari psichiatri e non ho nessuna fottuta
sindrome di qualche genere, sono NORMALE.
Sono stata da più psicologi e psicanalisti di quanto ci
tenga da ricordare e il verdetto è sempre lo stesso: non ho
nulla che mi renda
diversa dalle altre persone.
Niente traumi o malattie, eppure non provo sentimenti o
li sento molto lontani da me.
Papà le ha provate tutte e non ha risolto nulla, non
cambierai tu lo stato delle cose.”
Me ne vado con il mio passo un po’ meccanico un po’
ciondolante ed esco nel
cortile posteriore della casa dei miei zii.
Mi accendo una sigaretta e inspiro il fumo, sento
qualcosa che pulsa molto lontano, nel profondo di me stessa. Immagino
sia
rabbia.
Ma come faccio a saperlo se non provo emozioni?
Non ho nessun modo se non affidarmi alle definizioni dei
vocabolari e questa sembra proprio rabbia, non sopporto che Adam non
accetti il
mio problema.
Mi dà fastidio in generale, ma da lui che è un
amico
ancora di più.
Finisco la mia sigaretta e poi rientro in casa, non
saluto nessuno e salgo in camera mia. Mi siedo alla scrivania e accendo
il
computer, cerco “All Time Low” e guardo le foto
della band, sembrano tipi a
posto. C’è però qualcosa che mi turba,
ogni volta che guardo le foto il mio
occhio cade su un ragazzo dai capelli scuri con un ciuffo biondo e
sento un
lontano calore al mio cuore, un battito distante.
Che sia quello che ha la mia anima?
Stasera lo saprò o almeno spero di capirlo.
Per ora non importa, devo solo calmarmi e pensare alla
cena e a come non apparire una psicopatica o una con problemi mentali,
il che
sarà piuttosto duro: nessuno sembra riuscire ad accettare
che una persona non
possa provare sentimenti.
Rimuginare è inutile, mi faccio una doccia e mi rado
quello che deve essere raso, poi mi butto sul letto, sono solo le
quattro: è
inutile che io mi vesta.
Qualcuno bussa alla porta della mia camera, è mia zia.
“Ciao, tesoro.
Se hai bisogno di qualche abito puoi prendere i miei.”
“Grazie zia, ma non credo di averne bisogno. Andremo solo in
una pizzeria.”
Lei sorride.
“Certo, Alex ama la pizza.”
“Tu li conosci?”
“Sono venuti qui qualche volta.”
“E come sono?”
“Un po’ scemi, soprattutto Alex e Jack, ma sono a
posto.”
“Ok, grazie zia.”
“Quindi non ti serve nulla?”
“No.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Non essere così dura con Adam, è solo
preoccupato per
te. Ti vuole davvero bene.”
“Se mi volesse davvero bene mi accetterebbe per quello che
sono e non
tenterebbe di nascondersi dietro la scusa della malattia.”
Lei mi accarezza i capelli.
“Ti manca Aida, non è vero?”
“Sì, mi manca. Mamma capiva.”
“Hai ragione e so che nessuno te la potrà ridare
indietro, ma lasciati dire una
cosa: lei sarebbe fiera di come stai reagendo.
Potresti farmi un favore?
Porteresti con te il ragazzo che ha appena suonato?”
“E chi è?”
“Un tizio dai capelli azzurri.”
Darren.
“Ok, zia.
Adesso posso stare un po’ da sola?”
“Certo.”
Lei se ne va e io rimango da sola, finisco per farmi un pisolino.
Alle otto sono pronta.
Indosso un paio di jeans strappati, una maglietta della
Drop Dead nera con scritto “Steel City bitch” in
bianco e che ha maniche di
tessuto trasparente, visto che è ottobre e non fa ancora
troppo freddo metto
solo il mio golf rosso, lungo e peloso che è il mio
portafortuna.
Un paio di converse rosse, la borsa e sono pronta.
Darren mi aspetta in salotto, insieme ad Adam che sembra
ancora arrabbiato.
“Accetta Karima per quel che è, non provare a
cambiarla.
Penso sia inutile.”
Gli dice mia zia.
“Io non riesco a non fare nulla mentre vedo che non vive la
vita per un
complesso che si è creata.”
“Adam stai zitto!”
Urlo, portandomi poi le mani alla testa.
Ho percepito una fitta molto forte, come se mi si stesse
per spaccare, è quello che mi succede quando le persone
normali dovrebbero
provare emozioni forti come rabbia, dolore, felicità.
“Va bene, va bene.”
Taglia corto lui e si richiude nel suo mutismo.
“Lo sa Amelie che sei qui?”
Dico a Darren.
“Certo che lo sa, andiamo!”
“Ok, fanboy!
Ciao a tutti!”
Usciamo dalla casa e andiamo alla mia macchina, entriamo
e finalmente partiamo. La pizzeria che hanno scelto si trova
dall’altra parte
di San Diego e ci vorrà un po’a raggiungerla.
“Ah, non ci credo! Dopo Tom Fucking DeLonge
incontrerò
gli All Time Low, sono un ragazzo fortunato.”
“Vedi di non rovinarmi il mio incontro di lavoro.”
Borbotto io.
“Su, non fare la guastafeste. Non sei emozionata,
tu?”
“Lo sai che non sento emozioni.”
“Vero.”
Chiacchieriamo per il viaggio in macchina e poi finalmente arriviamo
puntuali
alla pizzeria, usciamo dalla macchina e noto con piacere che
è un posto
tranquillo sia dentro che fuori.
Lo rimane giusto cinque secondi perché il casino vicino
alla porta d’entrata annuncia l’arrivo degli All
Time Low. Il primo a farsi
vedere è un ragazzo dai capelli cortissimi, leggermente
muscoloso: Rian Dawson.
Poi segue un ragazzo dai capelli leggermente mossi, dal fisico scolpito
e dal
piercing al naso: Zack Merrick. Ed infine le star: un ragazzo dai
capelli di un
azzurro un po’ sbiadito – Alex Gaskarth –
e un ragazzo dai capelli neri con un
ciuffo biondo, Jack Barakat.
Non appena lo vedo sento di nuovo quella strana
sensazione di calore, quella che non ho mai provato in vita mia e sono
consapevole dei sentimenti degli altri presenti alla cena e dei miei
sentimenti. Ho paura e un po’ di curiosità e Jack
mi fa sentire qualcosa che
oserei dire farfalle nello stomaco. Mi sento un essere umano completo,
insomma.
Il mio sguardo deve essere confuso perché Daren mi
sussurra se sto bene.
“Io non lo so.”
Gli dico guardandomi le mani come se le vedessi per la prima volta.
“Io provo dei sentimenti ed è così
strano.”
Lui mi guarda ancora più confuso, io non sono in una
situazione migliore, non
so gestire quello che provo.
“Ma tu non provi sentimenti?
Me l’ha detto anche Amelie.”
“Sì, non li provo. Secondo una zingara che io e
mamma abbiamo incontrato quando
ero piccola era perché non ho un’anima. La mia
anima ce l’ha la mia anima
gemella.”
Lui guarda Jack Barakat un attimo.
“Dai, non può essere lui. Gli piacciono le feste e
le
ragazze, non mi sembra il tipo adatto a te.”
“Sì, ma non capisco. Sento del calore quando sono
vicina a lui e non l’ho mai
sentito, è come se fossi davvero viva.”
Zack attira la nostra attenzione.
“Ciao,
siamo Alex Gaskarth, Jack Barakat, Rian Dawson e Zack Merrick. Meglio
conosciuti come All Time Low.”
L’attenzione si porta su di me e Darren
“Tu sei la nostra nuova fotografa, ci hanno molto parlato
di te, lui invece chi è? ”
Darren si alza in piedi.
“Io sono Darren Johnson, sono un suo amico.”
Stringe la mano a tutti e riceve pacche d’affetto e
incoraggiamenti da tutti.
“E tu non ti presenti?”
“Oh, scusate. Io sono Karima Jenkins e come avete detto
voi sono la vostra nuova fotografa.”
Stringo le mani a tutti e quando arrivo a quella di Jack, una scossa mi
attraversa il corpo, se ne accorge anche lui perché mi
rivolge uno sguardo
stupito.
“Siete solo amici?”
Mugugna.
“Sì, lui ha una ragazza.”
Rispondo io.
“Wow, figo.”
Ci sediamo ai nostri posti, io sono tra Alex e Jack ed è una
situazione
imbarazzante. Sono acutamente consapevole di avere un corpo che sembra
attratto
da quello di Jack come una calamita e sento ancora quel calore
all’altezza del
cuore.
Io mi nascondo dietro al menù, pur sapendo che pizza
ordinerò, e cerco di calmare il battito accelerato del mio
cuore e l’impressione
di sudare.
All’arrivo del cameriere ordino una pizza ai wurstel e
lui una al prosciutto e funghi, l’attenzione di Jack si fissa
ancora su di me.
“Barakat non è un cognome americano, da dove
vieni?”
Balbetto io per rompere questo silenzio.
“Dal Libano, mio padre è libanese.”
“Oh, allora siamo vicini di casa. Mia madre era
palestinese.”
“Era?”
Mi guarda senza capire.
“È …. Morta qualche mese fa.”
La voce mi si spezza sulla parola “morta” come mai
mi era successo, è ufficiale
provo sentimenti, il dolore puro mi azzanna il cuore come un lupo
affamato e
sembra non voler più mollare la preda, come a farmi pagare
tutti i mesi in cui
non mi ha raggiunto come si deve.
“Mi dispiace.”
Risponde imbarazzato.
“Sto cercando di andare avanti e penso che riprendere con
la fotografia sia un buon modo, insieme a suonare il mio
basso.”
“Oh, sì. La musica aiuta molto in questi
casi.”
“Sì. Aiuta a sfogare il dolore.”
Lui guarda un attimo Darren e Rian presi in una fitta conversazione.
“Ma il tuo amico ci sta provando con Rian?”
Io rido e il suono della mia risata mi stupisce e persino Darren mi
lancia una
breve occhiata sorpresa, non mi ha mai sentito ridere sul serio da
quando mi
conosce.
“No, è che vi adora. Soprattutto Rian che
è il
batterista.”
Le pizze arrivano e gli argomenti si spostano sul tour che faremo
insieme, loro
pensano di suonare le canzoni di “Put Up or Shut
Up”perché sono dieci anni che
è uscito e mi
chiedono se mi piace, io
dico che non l’ho mai sentito, ma che rimedierò.
Poi parliamo del loro lavoro
in studio e mi chiedono di vedere le mie foto, un po’ me lo
aspettavo quindi ho
portato il mio book.
Alex lo prende in man e inizia a sfogliarlo attento, le
foto sembrano piacergli.
“Sei davvero brava.”
“Grazie mille.”
Il libro passa di mano tra i vari componenti fino a quando arriva a
Jack e non
so perché arrossisco, nemmeno mi vedesse nuda.
Cosa mi sta succedendo?
Non avevo mai provato nulla di simile, se non un leggero
turbamento guardando le foto di Jack prima della cena.
Finita la pizza mangiamo tutti un dolce e poi Jack si
alza in piedi.
“Noi usciamo a fare un giro per locali, voi venite?”
Io guardo Darren e lui mi restituisce uno sguardo implorante.
Lui vuole andare, ma io non me la sento, non stasera
almeno, prima devo calmarmi e analizzare la situazione.
“Io preferirei di no.”
Dico calma, Darren sembra esserci rimasto male e mi dispiace
Jack rivolge al manager uno sguardo da cucciolo che mi
causa uno scompenso cardiaco che mi spaventa. È
così che si sentono le persone
innamorate?
È così che si sentiva mamma quando vedeva
papà?
“No, Barakat. Ma domani io sono libera, adesso sono
impresentabile.”
“A domani, allora!”
Risponde il chitarrista, fuori ci separiamo e ci salutiamo, la faccia
di Darren
non è delle migliori, sembra decisamente arrabbiata.
“Karima perché gli hai detto di no? Io non so se
domani
posso”
Tuona quando gli All Time Low non ci possono sentire.
“Perché per me non è facile stare in
mezzo alla gente e
mi serviva un po’ di tempo per elaborare la cosa."
E poi non avevo intenzione di passare la mia serata a
vedere Jack Barakat che ci prova con ogni tipa che respira, ma questo
non
glielo dico.
Il ragazzo dai capelli azzurri sembra calmarsi e il suo
volto si addolcisce.
“Scusa, non avrei dovuto urlarti contro. Grazie a te ho
incontrato la mia ragazza, Tom DeLonge e gli All Time Low, dovrei
ringraziarti.
Domani cercherò di liberarmi e magari portare
Amelie.”
Lui entra in macchina del tutto rasserenato.
“Che figo,ho potuto parlare con Rian e mi ha dato un
sacco di consigli.”
Inizia, io però ho l’urgenza di parlare con
qualcuno su
quello che mi è successo con Jack.
“Darren…”
“È davvero un tizio forte. Non se la tira per
niente, non
sembra sia uno famoso.”
“Darren…”
“Davvero, è fighissimo!”
“DARREN!”
Urlo per farmi sentire dal mio amico che mi guarda
sconvolto, non ho mai urlato in vita mia.
“Karima, cosa succede?”
“Ho provato sentimenti ed emozioni in modo normale stasera e
tutto perché ero
seduta vicina a
Jack Barakat. È lui la
mia anima gemella.”
Lui rischia di frenare bruscamente.
“Impossibile, non è il tizio adatto a te.
Se ne fa una diversa ogni sera e penso sia più
emotivamente attaccato alla birra che a qualsiasi ragazza abbia mai
incontrato.”
“Darren, ti dico che è lui.”
La sua faccia diventa fosca all’improvviso, è
chiaro che la faccenda non gli
piace per niente e nemmeno io so cosa pensare.
Cosa accumuna un ragazzo come lui a una tizia senza
grilli nella testa come me?
Apparentemente nulla e non so cosa fare seguire l’istinto
che mi dice di provarci con lui o la testa che mi sconsiglia di farlo,
facendomi presente che rischio di perdere anche il primo lavoro
soddisfacente
che ho da secoli.
Sì, dovrei lasciarlo perdere, ma quello che provo per lui
è così speciale che mi si spezza il cuore
all’idea di farlo.
Ma come è possibile che questa cosa stia succedendo dopo
un solo incontro?
È tutto così strano che mi fa paura, non so come
gestire
questa situazione e non so a chi rivolgermi.
Mamma, la mia unica confidente, è morta, Adam è
arrabbiato con me e Darren mi conosce da troppo poco tempo. Forse
dovrei
parlare con la zia, ma se si arrabbiasse anche lei?
Mi prendo la testa tra le mani e sospiro, una sola cena e
la mia vita è completamente ribaltata, è questo
l’amore?
È questo il famoso colpo di fulmine?
Se è così è davvero una cosa terribile!
Darren appoggia una mano sulla mia.
“Ehy, Karima. Andrà bene, sei tosta.
Hai aiutato la mia band con un paio di consigli e grazie
a te abbiamo avuto il contratto.
Ce la farai, se non dovesse andare con Barakat è lui che
ci perde non tu.”
“Grazie, Darren.”
Adesso mi sento un po’ meglio speriamo che la sensazione
permanga.
Ho un fottuto bisogno di stabilità nel casino che
è la
mia vita.
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Capitolo 6 *** 5)I matti sono i migliori. ***
5)I matti sono i migliori.
Karima p.o.v.
Ogni serata giunge al termine e anche questa non fa
eccezione.
Ritorniamo a villa DeLonge, fuori dal cancello Darren
scende dalla macchina e mi saluta con un abbraccio.
“A domani. Io e Amelie cercheremo di esserci.”
“Va bene. Divertiti, io credo che finirò questa
serata con un bel litigio.”
“Come mai?”
“Io e Adam abbiamo litigato perché lui non crede
al fatto che non ho
sentimenti, figurati come reagirà quando gli dirò
che mi piace Jack.”
“Buona fortuna. Adam Elmakias non sembra il simpaticone che
descrivono.”
“Lo è, solo che è molto protettivo con
me: è stato il mio primo ragazzo.”
“Capisco. Buonanotte, Karima.”
“Buonanotte!”
Entro nel cortile, chiudo il cancello e parcheggio la mia
auto in garage. Adam mi sta aspettando come una mamma apprensiva in
cucina, le
braccia incrociate sul petto. Io mi accendo una sigaretta e ci
guardiamo negli
occhi come a sfidarci.
“Allora, come è andata?”
“Bene, ma ci sono cose che non ti piaceranno su questa
serata.”
“Cos’è? Ti sei presa una cotta per uno
degli All Time Low?”
“Esatto.”
Rispondo fredda.
“Oh, Cristo! Chi?”
“Jack Barakat.”
“Te lo vieto! Quel tizio, anche se è simpatico,
cambia ragazza ogni settimana e
beve troppo.
Non fa per te.”
“La mia anima la pensa diversamente.”
Ride isterico.
“Non hai sempre detto di non avere
un’anima?”
“E continuo a non averla, ce l’ha Jack. Quando sono
vicino a lui sento
sentimenti ed emozioni, quindi è lui la mia anima
gemella.”
Lui batte un pugno sul tavolo.
“Ancora con questa storia di merda! Tu l’anima ce l’hai!
Ce l’hai!
Ce l’hai tu e non nessun altro e Jack Barakat non fa per
te, toglitelo dalla testa.”
“Te lo dico una sola volta, Adam. Stanne fuori e non osare
mai più controllare
la mia vita!”
Urlo, poi spengo con rabbia la sigaretta e lascio la
cucina inseguita dalle sue urla, i miei zii arrivano e ci guardano
senza
capire. Io non do spiegazioni che ci pensi il novello Hitler!
Non sono io ad avere dei problemi, è lui!
Salgo in camera e mi butto a letto senza nemmeno
spogliarmi e mi addormento così. Non mi stupisce che la
mattina dopo io abbia
un accenno di raffreddore e mi faccia male la schiena.
A colazione nessuno parla molto, così sono io a rompere
il silenzio.
“Stasera vado in un club con gli All Time Low.”
“Vengo anche io.”
Borbotta Adam e io gli lancio un’occhiata infastidita.
Lui è di pessimo umore, sembra che la
rivelazione che
Jack possa essere la mia anima gemella lo abbia irritato a morte. Ama
gli All
Time Low, ma non pensa che lui sia adatto a me, ha veramente una fama
terribile
quel ragazzo. Beve, ha un sacco di ragazze, non certo il tizio che un
amico
iperprotettivo come Adam vorrebbe per me. Il fatto è che non
sta a lui
decidere.
“No, penso di sapermela cavare da sola.”
“Karima, non ti ho chiesto il permesso per venire. Ti ho solo
annunciato che lo
farò, che ti piaccia o meno.”
Sibilo uno “stronzo” sottovoce e abbandono la
colazione a metà, non mi piace
che la gente si intrometta nei miei affari, anche se sono amici di
vecchia data
come Adam.
Esco in giardino e accendo una sigaretta seduta su una
delle sdraio vicine alla piscina, cercando di ignorare il mal di testa
feroce.
Perché diavolo deve fare così tanto lo stronzo?
Poco dopo esce mia zia Jen e si siede accanto a me.
“Cosa è successo, Karima?
Adam non vuole parlarne.”
“Lui non ha preso bene la cosa di Jack.”
“In che senso?”
Mi chiede mentre entriamo io mi accendo un’altra sigaretta.
“Che quando sono vicina a lui provo dei sentimenti come
tutti, anche se non so se sia un bene. Quando ho parlato dei miei il
dolore è
stato insopportabile.”
“Ho capito, da bravo amico ha paura che tu diventi
l’ennesima vittima di quel
playboy di Jack.”
“Immagino che sia così, ma io cosa posso farci?
Lui ha la mia anima e in qualche modo devo riaverla e se
significa innamorarmi di lui mi va bene, me lo farò andare
bene.”
“Ma a te lui piace?”
Io rimango in silenzio mentre il fumo sale a spirali
lente, soppesando le parole e quello che ho sentito verso il
chitarrista degli
All Time Low.
“Mi piace. Quando ero seduta accanto a lui mi sentivo
attratta da lui, sentivo un calore all’altezza del cuore e
batteva forte,
sudavo anche.
Ho fatto delle ricerche su internet, li definiscono tutti
sintomi di innamoramento o attrazione.”
“Sei mai stata con un ragazzo oltre ad Adam?”
“Un paio, ma alla fine scappavano tutti perché ero
troppo complicata.
Se ti chiedi se io sia asessuale o una di quelle strane
categorie che si inventano le ragazzine su tumblr, non lo so sono. Sono
etero,
solo che devo trovare la mia anima gemella e la mia anima
prima.”
“Capisco.”
E sembra capire davvero e mi sento un pochino meglio.
“Credo sia ora che tu vada a letto, Karima.
Magari un riposino calmerà i nervi a entrambi.”
Io annuisco, non ne sono per niente convinta, questa è
stata una bella lite.
Prima non aveva mai osato intromettersi così tanto nella
mia vita, non so cosa gli sia preso ultimamente, mi sembra di non
conoscerlo
più.
Forse è vero che le persone non le conosci mai fino in
fondo.
Già, forse è proprio così. Mi dico
mentre mi infilo a
letto e cerco di dormire.
Ce la farò?
Spero di sì.
Dopo mi alzo piuttosto tardi.
Adam non mi parla ancora e mio zio non capisce perché, io
non glielo dico perché non mi va che anche lui inizi a
detestare Jack o a
impedirmi di vederlo.
Verso le undici ricevo un messaggio di Darren in cui mi
chiede se mi va di andare al Mac vicino alla casa discografica, io
rispondo che
mi va bene. Farei qualsiasi cosa o quasi per andarmene da questa casa
l’atmosfera è diventata leggermente pesante e se
sono accorti persino i miei cuginetti,
che hanno chiesto a mia zia cosa fosse successo.
A un quarto a mezzogiorno esco – con gli occhi di Adam
puntati sulla schiena – prendo la macchina e vado al solito
Mac Donald. Arrivo
io per prima e mentre aspetto mi fumo una sigaretta.
Dopo un po’ Darren arriva e parcheggia davanti al Mac, poi
entriamo, lui mi dice quello che vuole, io faccio la fila per entrambi,
non mi
ha mai seccato fare queste cose. Alla fine arrivo con il cibo e ci
mettiamo a
mangiare. Non mi va di parlare di nuovo di me, così cerco di
deviare il
discorso su altro.
“Come va con Amelie?”
Chiedo a Darren.
“Va benissimo. Sembra la solita biondina svampita,
incapace di fare un discorso e interessata solo
all’apparenza, ma è davvero
tosta. È intelligente, simpatica, capace di fare del
sarcasmo e di calmarmi, è
la mia ragazza ideale o quasi.”
Io annuisco, poi alzo lo sguardo dal mio hamburger e quasi rischio di
soffocare, Alex e Jack sono appena entrati dalla porta. Darren segue il
mio
sguardo e li guarda stupito anche lui, i due si accorgono di essere
guardati e
si dirigono verso il nostro tavolo.
“Karima, Darren! Che bello rivedervi.”
Esclama cordiale Alex, Jack mi fissa come se fossi
un’interessante specie
aliena.
Io torno a contatto con i miei sentimenti, come una radio
che trova finalmente le giuste sequenze, e sento il dolore per la morte
dei
miei, il piacere di rivedere Alex e l’attrazione per Jack,
nonché il solito
calore al cuore.
“Ciao, ragazzi.
Volete mangiare con noi?”
“Ci prendiamo solo un milkshake, abbiamo già
mangiato.
Adesso vado a ordinarli, tu lo vuoi al cioccolato, Jack?”
“Uhm, sì.”
Si siede e sorride.
“Siete in pausa per le registrazioni?”
“Sì.”
Rispondo io, piuttosto timida.
“Giornata cazzeggio?”
“Direi di sì.”
“Voi due state insieme?”
Ci chiede il chitarrista degli All Time Low.
“No, io ho una ragazza di nome Amelie. Karima è
single.”
Risponde divertito il ragazzo dai capelli azzurri.
“Ah, capisco. Noi abbiamo appena finito di registrare e
ci è venuta a trovare Tay dei We Are The In Crowd.”
La sua voce ha una sfumatura che mi fa allertare le
difese.
“Ti piace?”
La mia voce si leva un po’ stridula, ma ho le viscere
aggrovigliate,
attanagliate da artigli invisibili che mi fanno vedere rosso, che
immagina un Jack
innamorato della leader dei We Are The In Crowd
“Che? No! Credo che a lei piaccia ancora Alex.”
“Davvero?”
La voce mi esce un po’acida e il mio cuore batte
più forte, qualcuno lo fermi o
morirò presto e sarà colpa di Jack Barakat!
“Ci sarete stasera?”
Lui sembra battere in ritirata da un argomento scomodo, sembra a
disagio quando
sta con me e lui non è certo un tizio capace di essere a
disagio.
“Sì, ci sarà anche la mia ragazza, vedi
di non
rubarmela!”
Darren risponde al mio posto, proprio mentre arriva Alex
con i milkshake, il suo è alla vaniglia, quello di Jack al
cioccolato.
“Allora, come va il vostro nuovo album?
Sono curioso di sentirlo.”
“Come migliaia di altri fan.”
“Io sono il fan numero uno, ho urlato quando ho saputo che
presto ci sarebbe
stato un altro album.”
Risponde con voce ispirata Darren, cosa che fa sorridere
Alex.
“E cosa ha detto la tua ragazza?”
“Che sembravo una fangirl quindicenne che sclerava
perché andava a vedere gli
One Direction.”
Ridiamo tutti.
“Comunque non va affatto bene. Alex ha il blocco dello
scrittore, lui e Lisa hanno litigato per via di Tay. Credo che lei
vorrà
conoscerti, l’ultima cosa che desidera è una
fotografa innamorata del suo
ragazzo.”
“Senza offesa Alex, ma non sei il mio tipo.”
“Non mi offendo affatto, un problema in meno con Lisa, sei
una bella ragazza,
comunque.”
“Grazie.”
Do un morso al mio panino.
“Con chi stai, Darren?
Con Amelie o con Fanny? La bionda o la mora?”
“La bionda, Amelie.”
“Ah, lo sapevo che ti piaceva la mora, sgancia venti dollari,
Barakat!”
“Non è carino scommettere su qualcuno che
è al tuo stesso tavolo.”
“Oh, già! Non hai tutti i torti.”
Alex sembra un po’ in imbarazzo, ma si intasca comunque i
soldi dell’amico, chi
lo capisce è bravo.
“Allora, com’è Darren a letto?
Amelie te l’avrà detto.”
Mi chiede Jack, io arrossisco.
“Non me l’ha mai detto quindi non ne ho idea.
Lei non è mai stato aperta con me sull’argomento
ragazzi,
forse pensa che non lo capisca.”
“Come mai?
Sei una ragazza.”
“Io…Io non provo né emozioni
né sentimenti e non le sarei stata di nessun
aiuto.”
Alex mi guarda senza capire.
“Ma quando sei con noi sembri normale.”
“Questo non te lo so spiegare nemmeno io.”
Mento io, evitando lo sguardo di Jack che sembra volermi perforare
l’anima, lo
sguardo cade sul mio braccio che spunta un po’ dalla felpa.
“Hai un tatuaggio?”
“Sì.”
Io alzo la mia manica destra e mostro due scheletrini in
stile messicano che si tengono per mano.
“L’ho fatto per onorare la memoria dei miei
genitori.
Sono morti da poco.”
“Ci dispiace
Beh, noi andiamo, ci vediamo sabato.”
“A sabato.”
Rispondo frastornata.
Ci prendiamo una cheesecake e andiamo anche noi.
“Cosa facciamo?”
Mi chiede Darren davanti alle nostre macchine.
“Andiamo a fare un giro, non mi va di tornare a
casa.”
“Come mai?”
“Adam è sul piede di guerra per la faccenda di
Jack, non
avrei mai pensato di dirlo, ma non vedo l’ora che se ne vada
tra un paio di
giorni.”
Mi dico accendendomi una sigaretta.
“Cosa ha Jack che non va?
Voglio dire è Jack Barakat!”
“Fanboy! Il problema è che è Jack
Barakat, quello a cui
piacciono le feste e le ragazze.
Dice che non è quello giusto per me che mi farebbe solo
soffrire e blablabla.”
“Non ha tutti i torti.”
“Lo so, ma se lui è la mia anima gemella e
possiede la mia anima accetterò il rischio
e poi…”
“Poi?”
“Facciamola semplice, mi piace. Quando sono con lui ho
tutti i sintomi della ragazza innamorata, ma tu sei un ragazzo e non ti
annoierò elencandoli.”
“Grazie, non sono bravo ad analizzare ogni cosa come fate voi
ragazze.”
“Lo so, lo so.”
Ci avviamo verso la spiaggia, il sole splende caldo e non sembra
affatto
autunno, ma ancora estate.
“Quando sentiremo l’autunno
nell’aria?”
“La sera lo senti.”
“Di giorno, dico. Siamo alla metà di ottobre ormai
e io sono stanca di questo
sole.”
“Cos’è? Sei una di quelle ragazze
tenebrose amanti dei cimiteri?”
“Sì, lo confesso e ti dirò di
più: dormo in una bara e non in un comune letto.”
“Strettino, soprattutto se vuoi portarci un ragazzo, magari
Jack.”
“Con i miei zii, cugini e Adam attorno? Tanto vale tentare
una rapina a Fort
Knox e sperare che non ti prendano.”
Lui scoppia a ridere.
“Visto che sei una di quelle ragazze tenebrose metti un
po’ di sonnifero nelle loro bevande.”
“Sono tenebrosa, non psicopatica.”
“Devi salire di livello.”
“Sei matto, Darren.
Promettimi che non metterai mai del sonnifero nelle
bevande di Amelie.”
“Giuro solennemente che non lo farò mio.”
Io gli do un pugnetto sul petto.
“Non tenere le dite incrociate, lo sai che così i
giuramenti non sono validi.”
Lui le scioglie.
“Lo giuro.”
“Giuri cosa? Di essere un sfigato per sempre?”
Risponde una voce sconosciuta, due fighetti ci guardano con aria di
superiorità.
“Lui sarà sfigato, ma ha un cervello a differenza
tua!”
Rispondo sottolineando le mie parole con un dito medio
alzato.
“Oh, il piccolo arcobaleno ambulante ha parlato.”
Gli arcobaleni non mi piacciono, non mi sono mai piaciuti, quindi la
prendo
come un’offesa seria e mollo un pugno senza preavviso a
quello che ha parlato
che cade a terra tenendosi il naso, il suo amico lo guarda incredulo.
“Ne vuoi uno anche tu?”
“No no, se è caduto lui che è il
campione di risse io non ho speranze.
Sei pazza, ragazzina.”
“Sì, sono matta,
svitata, ho perso la testa anni
fa... Ma ti dirò un segreto: tutti i migliori sono
matti.”
Lui se ne va trascinandosi
via il suo amico.
“Tu sei piena di sorprese. A
guardarti sembri un fiorellino di quelli che cadono al primo soffio di
vento e
invece hai steso un bestione con un pugno.”
“I fiori che crescono nelle
avversità sono quelli più forti.”
Entriamo in spiaggia.
“Perché non sistemi le cose
con Adam alla vecchia maniera, un paio di pugni e – boom!
– lui la smette di
fare opposizione?”
“Perché speravo di non arrivare a questo e
perché lui è un mio amico e non mi
va.”
“Credo di capire, ma potrebbe
essere l’unica soluzione.”
“C’è sempre una soluzione alternativa
alla violenza con gli amici.”
“Hai ragione.
Sei tosta, Karima, mi piace
questo di te.
Sono felice di averti
incontrata quel giorno in sala registrazioni, non solo
perché senza di te non
avremmo avuto il contratto, ma anche perché sei davvero una
persona speciale.
Con o senza anima.”
“Grazie, Darren.
È davvero carino da parte
tua, anche io sono felice di avervi aiutato e incontrato, almeno so
cosa voglia
dire avere un amico.”
Ci sorridiamo e continuiamo a
camminare.
Al mio ritorno a casa
probabilmente dovrò litigare con Adam, ma adesso sto bene o
almeno bene come si
può sentire una come me. Di sicuro sento più del
solito e sono sicura che sia
merito dell’incontro con Jack, quando sono con lui mi sento
completa e non vedo
l’ora di riavere la mia anima.
So benissimo che sentirò
anche dolore riavendola – come quello per la morte dei miei
genitori – ma sono
stufa di questa apatia, di questa assenza di emozioni.
È come vivere dietro a un
vetro e non riuscire a sfondarlo per quanto tu ti ci metta di impegno.
La dannata barriera continua
a essere lì e a separarti dal mondo e io non ne posso
più, mi sembra di non
aver mai vissuto davvero in questi ventotto anni di vita.
Mi sembra di avere solo
tirato avanti.
Devo cambiare questo stato di
cose e non mi importa se per farlo dovrò litigare con Adam,
mi zio o persino
Dio.
Io rivoglio la mia anima e la
rivoglio ora e non mi fermerò finché non
succederà.
Lo
giuro.
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Capitolo 7 *** 6)Quella risata cristallina. ***
6)Quella risata
cristallina.
Karima p.o.v.
Le cose belle devono finire prima o poi e devono arrivare
quelle brutte.
Al mio ritorno dalla passeggiata trovo Adam sul portico
della casa a braccia incrociate, io sospiro, che la guerra inizi!
“Buongiorno, Adam. Quale reato ho commesso oggi?”
“Con chi sei stata a pranzo?”
“Con Alice e il cappellaio matto.”
“Davvero divertente. Con chi sei stata?”
“Con Darren, il tizio con i capelli azzurri.”
Lui sembra pensarci un attimo e poi annuisce.
“Stasera vengo anche io.”
“Non vedo perché, non sei stato invitato.
Dovremmo andare solo io, Darren e Amelie.”
“Non ti lascio andare da sola, chiaro?”
“Sì, mein fuhrer.”
Mi accendo una sigaretta mentre lui rientra in casa, non
avrei mai pensato che potesse diventare così dispotico e
invadente. Forse
davvero le persone non le conosci mai fino in fondo,
c’è sempre un lato
nascosto che salta fuori nei momenti più impensati.
Rientro in casa e salgo in camera mia dove mi metto a
suonare il mio fedele basso, almeno non penserò alla serata
imminente.
La sera arriva, mia zia ci cucina una cena da urlo e poi
io mi chiudo nel bagno a sistemarmi e indosso un vestito nero
semplicissimo e
tacchi non troppo alti. Metto una giacca di pelle e prendo una borsa,
Adam mi
sta già aspettando. Indossa una semplice maglia nera e dei
jeans e sembra molto
pensieroso.
Arriviamo al club e troviamo una Darren con un Amelie
fuori di sé dall’eccitazione, Zack e Rian, ma
nessuna traccia di Alex e Jack.
“Dove sono?”
Chiedo timida io.
“Sono imbottigliati da qualche parte nel traffico di San
Diego, ma arrivano.”
“Partire prima no, eh?
In fondo è da loro che è partita questa
pagliacciata.”
Commenta acido Adam, io vorrei dirgli qualcosa, ma ho
paura di peggiorare solo la situazione, guardo Zack e Rian e loro mi
fanno
capire di stare calma.
Ok, ci proverò anche se tutto quello che vorrei adesso
è
strozzare il mio migliore amico per farlo smettere di essere uno
stronzo
apocalittico. Ma che gli è preso ultimamente?
Io non lo capisco più!
Mezz’ora dopo arrivano i due ritardatari e Adam rivolge loro
una feroce invettiva, sbraitando come un ossesso e solo Zack riesce a
calmarla
un pochino.
Entriamo subito grazie alle conoscenze di Alex e Jack e
ci sediamo a un tavolo, ordiniamo da bere in un silenzio pesante. Una
volta che
Zack e Rian hanno finito la loro birra se ne vanno a ballare, non prima
di
avere scattato delle foto e firmato autografi con Amelie.
Poco dopo anche lei, Darren e Alex se ne vanno – non
prima del resto delle foto e autografi –
e rimaniamo solo io, Jack e Adam, che è impegnato a
incenerire il chitarrista. Gli sta mandando dei segnali per dirgli di
lasciarmi
stare, che sono off-limits e in qualche modo la cosa mi irrita.
“Adam, se devi stare qui a fulminare la gente tanto vale
che tu vada a ballare.”
Gli dico nervosa, lui spalanca gli occhi: non mi ha mai sentita parlare
così.
“Karima, ma stai bene?
Cioè, sei sicura?
Non voglio che ti succeda qualcosa.”
“Se Barakat proverà a violentarmi gli
spezzerò le dita. Una a una.”
“Va bene.”
Se ne va dubbioso lasciandomi sola con lui.
“Esco a fumare.”
“Vengo con te.”
“Me la so cavare.”
Lui non mi ascolta e mi segue verso l’uscita di sicurezza,
lì mi accendo la
sigaretta e cerco di tenere a bada l’imbarazzo che provo
stando vicino a lui.
Il mio cuore batte troppo veloce, sto sudando e ho le farfalle nello
stomaco.
Non c’è dubbio che sia la mia anima gemella, ma
è così sbagliato per me che mi
domando se valga la pena riavere la mia anima. Mi farebbe soffrire, lui
non sa
come si gestisce una relazione, non più di quanto lo sappia
io.
“Adam è geloso?”
“Un po’.”
Dico a sigaretta finita.
Torniamo dentro e vedo Adam appiccicato a una mora che
bacia come se non ci fosse domani, lei si struscia lasciva su di lui
palesemente ubriaca.
Io stringo gli occhi e i pugni, cosa significa tutto
questo?
Prima mi fa la predica e poi bacia la prima sconosciuta
che trova?
Che poi non è che – sotto sotto – Adam
è ancora
innamorato di me?
Merda, non può essere così! Sarebbe la fine della
nostra
amicizia
E perché io non mi sono accorta di niente?
Mi porto le mani alla testa e poi mi dirigo al bancone e
chiedo al barista una vodka. Jack mi raggiunge al secondo shot, io lo
guardo
con aria annebbiata.
“Tutto bene?”
“Non va bene un cazzo! Li vedi quei due che danno spettacolo
in mezzo alla
pista?”
“Sei gelosa anche tu?”
Sbatto il bicchierino con violenza sul bancone.
“NO! È solo che non so cosa passi nella testa di
Adam!
Prima mi fa una predica cantata sul fatto di non frequentarti e poi si
slingua
la prima vacca in mezzo alla pista! Nessuno mi tratta così,
accidenti!
Io non sono una cazzo di bambola da manovrare a suo
piacimento!”
Rispondo feroce.
“Ma non è che lui ti ama ancora? Sei stata la sua
ragazza
per un po’, non ti mai detto qualcosa sul fatto che magari
vorrebbe tornare con
te?”
“No, te l’ho detto. Lui non parla con me, non ho
sentimenti, non potrei
capirlo.”
“Spiegami questa cosa.”
“Beh, fin da piccola non ridevo, non piangevo e non
manifestavo emozioni.
Mi hanno portato da un sacco di strizzacervelli di ogni
sorta: psichiatri, psicologi, psicanalisti, neurologi.
Mio padre era un medico, non si rassegnava a questa
situazione, non poteva credere che non fosse risolvibile in qualche
modo
scientifico, mia madre invece diceva che era colpa sua. Lei era
musulmana e si
era sposata con un cristiano senza il consenso della sua famiglia,
diceva che
Allah l’aveva punita mandandole una figlia senza emozioni.
Per mio padre erano
stronzate, diceva che non poteva esistere un dio così
vendicativo.
Poi un giorno è spuntata una zingara, eravamo in spiaggia
a San Diego in una delle loro rare vacanze e chiese a mia madre se non
voleva
sapere il futuro della sua bambina.
Mio padre sbuffò, ma mia madre accettò.
Non credo ci credesse nemmeno lei, ma voleva avere una
scusa per aiutare quella donna e darle dei soldi. Era vecchia, molto
vecchia.
Sembrava avesse duecento tanto era piena di rughe, me lo ricordo
benissimo.
Allora lei mi prese una mano, la studiò per un tempo che
mi parve infinito e disse una cosa stranissima: che io non avevo
un’anima
perché essa risiedeva nel corpo della mia anima gemella
insieme alla sua.
Come riconoscerla?
Stando vicino a questo ragazzo avrei provato emozioni e
calore al cuore e adesso sta succedendo e non so cosa fare. Vorrei che
mia
madre fosse qui e ne avremmo parlato, ma è sei metri
sottoterra perché un
bastardo si è messo alla guida ubriaco.
E mi manca e la rivorrei qui insieme a papà.”
Scoppio in un pianto isterico e pieno di dolore allo stesso tempo.
“Io non ce la faccio ad affrontare tutte insieme queste
emozioni!”
Lui mi abbraccia e lascia che le mie lacrime bagnino la
sua maglietta, mormorando parole di consolazione e accarezzandomi la
schiena.
Non sento molto di quello che mi dice, sento solo le mani
sulla schiena che mi danno mille brividi, farfalle in volo vicino a me.
È un
sensazione stranissima e bellissima, sono felice sebbene continui a
piangere,
solo con lui esce appieno il dolore della morte dei miei.
All’improvviso si stacca da me e mi guarda negli occhi, i
miei occhi un po’ verdi un po’ castani si perdono
nel nero dei suoi. Un pozzo
nero fatto di velluto.
Non so come sia possibile, ma in un attimo le sue labbra
sono sulle mie in un innocente bacio a stampo. Ci stacchiamo e ci
guardiamo
stupiti per cinque secondi, poi si fionda di nuovo sulle mie labbra e
questa
volta chiede l’accesso con la lingua. No mi sogno nemmeno di
negarglielo e
lascio che la sua lingua esplori la mia bocca con foga e dolcezza allo
stesso
tempo e io faccio lo stesso, portando le mie mani sulla sua nuca per
approfondire il contatto e non farlo andare via.
All’improvviso qualcuno mi stacca violentemente da lui e
mi ritrovo davanti allo sguardo furioso di Adam.
“Che cosa stai facendo?”
“No, che stai facendo tu?
Non ti stavi per scopare una mora in mezzo alla pista?
Vai a riprendere quello che stavi facendo!”
Lui mi fulmina.
“Pensi davvero che si ricorderà di questo bacio o
gli
darà una qualche importanza una volta sobrio?”
“Non lo so, ma voglio scoprirlo.”
“Karima, sei ubriaca. Andiamocene.”
“No! Voglio stare con Jack!”
Jack si alza dallo sgabello e fronteggia Adam.
“Amico, ci stavamo solo baciando! Non reagire come se
avessi violentato la tua amica in pubblico.”
“Non ho intenzione di farla diventare la tua ennesima preda,
lei si merita
meglio di te.”
“Ma vuole me.”
“Perché crede a quella stronzata
dell’anima gemella e tu te ne sei
approfittato.”
Io mi libero dalla presa di Adam e gli do un pugno.
“Sei.Uno.Stronzo!”
Dico scandendo bene le parole, lui mi guarda ferito.
“Io ti amo ancora, cazzo!
Non puoi preferire lui a me che ti sono stato accanto per
tutto questo tempo aiutandoti e supportandoti. Dove era Barakat mentre
affrontavi il lutto dei tuoi?
Torna con me!”
Fa per baciarmi, io gli rifilo la seconda sberla della
serata e poi scappo via, lui rimane lì e si tocca la guancia
sconcertato, Jack
invece mi segue subito e si affianca a me mentre percorro uno dei tanti
viali
affollati di San Diego.
“Ehi, Karima. Dove stai andando?”
“A fare in culo!”
Rispondo irritata, trattenendo le lacrime.
“Dai, non reagire così.
Adam era solo preoccupato per te e ti ama.”
“Non aveva alcun diritto di agire così, non dopo
che quasi si scopa la prima
stronza che incontra in mezzo alla pista, lui può farlo e dirmi che poi mi ama e io
non posso baciare
te?”
Lui rimane in silenzio.
“A volte noi maschi siamo un po’ stupidi.”
“Me ne sono resa conto!”
Finiamo per ritrovarci sul lungomare e per abitudine entro in spiaggia
seguita
da Barakat.
“È pericoloso andarci di notte.”
“La cosa più pericolosa che puoi trovare
è uno fatto di marijuana che balbetta
stronzate incoerenti e in ogni caso ho questo.”
La mia mano fruga in tasca ed estrae un coltello a serramanico che lo
fa
ammutolire.
“Potresti uccidermi se tu volessi.”
“Sì, potrei. So usare i coltelli, mio padre me lo
ha insegnato, ma non ho
intenzione di farlo.”
Cammino verso la battigia sempre seguita da lui che si ferma
all’improvviso.
“Non trovi che la luna sia bella?”
Gli chiedo semplicemente.
“Molto. Posso chiederti chi è la tua anima gemella?
È ovvio che è uno della mia band.”
Io guardo a lungo e le stelle, poi mi avvio verso il mare, ma lui mi
afferra
per un polso.
“Karima.”
Non mi volto, i miei occhi sono calamitati da
quell’immensità scura e così
piena di misteri, esattamente come l’animo che non possiedo.
“Questa è una cosa che non posso dirti. Non
ancora.”
Con una mossa mi libero della sua presa e mi butto
nell’oceano, accogliendo con
piacere il freddo contro la mia pelle accaldata per essere stata troppo
a lungo
in un locale pieno di umani ognuno con la sua storia, le sue cicatrici.
La sua anima.
La mia di anima è rimasta ferma sulla battigia a guadarmi
incredula, incerta se seguirmi o meno.
Vieni, non ti farò del male, sei la cosa più
preziosa che
ho.
Penso e lui mi segue.
Un piccolo tuffo e adesso siamo in due a nuotare.
Tutte
le cose belle prima o poi finiscono,
incluse le nuotate notturne.
Non
l’avevo mai fatto ed è
stato veramente bello, esco dall’acqua seguita da Jack che mi
abbraccia stretta
da dietro.
“Non
avevo mai fatto il bagno
nell’oceano di notte prima d’ora.”
Esordisce.
“Vedi,
ti servivo io per
farlo!
Non
l’avevo mai fatto nemmeno
io per la verità, stasera sono strana, voglio essere
libera.”
Alzo le mani al cielo, come se volessi acchiappare una stella o la
grande luna
piena.
“E
cosa pensi di fare
adesso?”
Mi chiede divertito, con la voce leggermente strascicata.
“Voglio
venire a casa tua.”
Lui ride.
“Vuoi
fare sesso con me per
irritare a morte Adam e spezzargli il cuore?”
Io sospiro.
“Voglio
solo dormire con te,
sono troppo ubriaca per fare sesso con te, quando succederà
voglio
ricordarmelo.”
“E se io non volessi e non mi andasse l’idea di una
notte in bianco?”
“Ti darei un calcio nelle palle e ti mollerei qui.”
Lui ride di nuovo.
“No,
ci tengo alle mie palle!
Cosa
farei senza di loro? Mi
sono utili!
Se un giorno volessi dare origine a tanti piccoli Barakat con il ciuffo
biondo
e una minichitarra che gireranno per casa come farei?”
Questa volta sono io a ridere e mi stupisco del suono cristallino della
mia
risata, mi ricorda quella di mamma.
“Ok,
riformulo meglio la
domanda: ti va di farmi dormire da te o non ti piaccio
abbastanza?”
Lui si
gratta il mento
perplesso, forse non è sicuro di cosa rispondere a questa
domanda.
“Tu
mi intrighi molto. Cambi
completamente quando sei con me e mi va di capire il perché
e come posso farlo
se non standoti vicino?”
“Ottima risposta.”
“Allora preparati a vedere villa Barakat.”
Mi prende per mano, una mano grande, calda e leggermente callosa come
la mia.
“Si
sente che sei una
bassista.”
“È
una cosa negativa?”
“No, non direi.”
Usciamo
dalla spiaggia e
raggiugiamo il locale, lui mi dà una salvietta e io mi ci
avvolgo stretta,
asciugandomi un po’ i capelli e il vestito fradicio.
Jack sale
in macchina e io
salgo dalla parte del passeggero.
“Posso
accendere la radio?”
“Puoi
aspettare un attimo?
Prima
devo avvisare che non
torno a casa a dormire.”
“Adam? Così nel cuore della notte farà
irruzione nella mia villa e mi taglierà
l’uccello e torneremo al problema dei piccoli Barakat e poi
non potrò più fare
sesso, nemmeno masturbarmi!”
Nella sua voce c’è il panico puro adesso, io lo
guardo stranita.
“No,
non voglio chiamare Adam.
Stai tranquillo.”
Compongo il numero di mia zia Jen e aspetto che risponda.
“Ehy,
scricciolo! Come mai mi
chiami a quest’ora?”
“Zia, io sto fuori a dormire… con un
ragazzo.”
Prendo un attimo fiato.
“Jack
Barakat per la
precisione, puoi dirlo allo zio senza farlo preoccupare o
altro?”
Lei sospira.
“Sapevo
che un giorno del
genere sarebbe arrivato, anche se per me sarai sempre la bambina che mi
correva
incontro e si sbucciava regolarmente le ginocchia.
Lo
dirò io a Tom, non ti
preoccupare, solo prendete le dovute precauzioni, ok?”
“Ok, zia.
Grazie di
tutto.”
Chiudo la chiamata, Jack mi guarda interrogativo.
“Vivi
con i tuoi zii?”
“Da quando i miei sono morti Adam ha pensato che avrei
superato meglio il
lutto stando da loro. Tu non ti immagini nemmeno chi sia mio
zio.”
“Non sarà certo Tom DeLonge…”
Mi dice
divertito.
“In
effetti è proprio lui.”
Lui rischia di inchiodare e farci fare un brutto incidente.
“Ma
sei impazzito?”
Gli urlo.
“E
tu che lasci andare la
bomba che sei la nipotina di DeLonge?
Ma come
fai?”
“Beh, mio padre e sua moglie sono fratelli.”
La sua espressione si fa meditabonda.
“In
effetti tu fai Jenkins di
cognome come la moglie di Tom. Oh, Cristo! Non ci posso credere!
Se ti tratterò male verrò pestato da un uomo di
mezza età decisamente più
pesante e forte di me.”
Io sbuffo, lui
continua un
monologo sconclusionato su quanto io sia una ragazza piena di sorprese
anche un
filo pericolosa.
Parlando
parlando arriva a casa sua, apre il cancello e parcheggia la macchina
in un
enorme garage, potrebbe starci una piazza d’armi.
“Vuoi fare
collezione di automobili?”
Gli chiedo.
“Che? Faccio
schifo a guidare!
È colpa del
precedente proprietario, lui ce l’aveva davvero una
collezione di automobili.”
“Figo.”
“Bah, se lo dici tu. Io guido questa perché
è molto facile da guidare, non sono
un tipo da Ferrari e macchine costosissime o d’epoca. Non
saprei guidarle.”
“Capito.”
Entriamo e mi ritrovo in un bellissimo appartamento moderno arredato
con i toni
del bianco e del nero, da una parte c’è una cucina
superaccessoriata divisa
dalla sala vera e propria da un bancone nero. Nero è anche
il divano e sulle
pareti ci sono mensole con i vari riconoscimenti che ha vinto e anche
sulle
pareti stesse.
“Wow.”
“Sì, non sono un
genio nell’arredare, ma mi piace vedere a che risultati
può giungere un idiota
come me.
Vuoi qualcosa da
bere?”
“Del the al limone.”
Dico continuando a guardarmi intorno.
“Ehy, vuoi
rubarmi qualcosa?”
Io rido di nuovo e mi sorprendo ancora una volta di come essa somigli a
quella
della mamma.
Forse una parte
di lei non è morta e vive in me.
È una cosa
bellissima, un miracolo per cui devo ringraziare.
Sorrido, mentre
una lacrima solitaria attraversa la mia guancia, mamma in un certo
senso è
ancora qui.
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Capitolo 8 *** 7)Persa in una città rincoglionita. ***
7)Persa in una
città rincoglionita.
Karima
p.o.v.
Sono a casa di
un ragazzo che conosco a malapena e a stento ci credo, non è
per niente da me,
ma con lui è tutto diverso.
È il primo che
mi interessa sul serio dopo Adam, prima o poi sarebbe dovuto succedere,
non
potevo rimanere in letargo per secoli. E poi c’è
quella storia dell’anima
gemella, che sia un cavolata o meno con Jack sento di nuovo i miei
sentimenti e
quelli degli altri, come predetto dalla vecchia zingara, nella sua
predizione
c’è un fondo di verità come ho sempre
creduto.
La cosa bizzarra
è che la mia anima gemella sia una persona tanto diversa da
me, ma forse è vera
anche la storia degli opposti che si attraggono.
Con davanti una
lattina di the al limone e una di birra – che lui ha portato
– parliamo un po’
di noi.
Argomenti
abbastanza generali come le nostre famiglie e come abbiamo deciso di
imparare a
suonare i nostri strumenti.
Lui è un
autodidatta cresciuto a pane e blink-182 e mi mostra orgoglioso il
tatuaggio
con coniglietto che fugge, il primo simbolo della ex band di mio zio.
Io invece
gli dico che è stato Tom a insegnarmi a suonare il basso
visto che spesso
stavo da loro quando i miei erano in giro per il mondo e la band era a
casa.
Lui è
impressionato, per me è normalità, ma posso
capire come possa sembrare visto
dagli occhi di un fan. Per lui la mia vita deve essere il paradiso in
terra,
per me è solo la mia vita e non ho capito quanto fossi
fortunata fino a quando
non ho osservato e finalmente capito le sue reazioni.
“Quindi sai
suonare il basso per via di Tom DeLonge, lo conosci da prima di me e io
che lo
sognavo da un poster in camera mia.”
“È strano,
vero?”
“Sì,
abbastanza.
Pensi che Tom
DeLonge mi taglierà le palle se bacio la sua
nipotina?”
“Non lo so,
provaci.”
Si avvicina e mi bacia ancora, solo che questa volta è un
bacio diverso. Non è
dolce, ma aggressivo, come se volesse di più di un semplice
bacio.
“Se vuoi
portarmi a letto dovrai aspettare, io non faccio sesso al primo
appuntamento.”
“No, chi lo dice al mio amico là sotto?”
“Vai in bagno e fattela passare.”
Alzo le spalle io.
“Baci sì,
scopate no.”
Mi sento un po’ delusa da questo suo lato, non che non me lo
aspettassi, ma
perché è emerso così presto e io mi
sento un po’ a disagio ora.
“Forse è meglio
che vada ora.”
Mi alzo dal
divano, ma lui mi ritira giù e mi bacia di nuovo, questa
volta come al bar,
senza urgenza o altro.
“Non voglio che
tu te ne vada, mi sento solo.
Non mi va di
stare senza nessuno questa notte.”
“Dipende da che senso lo intendi.”
Lui si porta la mano sul cuore.
“Giuro che non
proverò a portarti a letto, solo coccole.”
“Così va bene.”
Riprendiamo a
baciarci fino a quando suona il mio cellulare, guardo il mittente e non
rispondo, anzi lo spengo per buona misura: è Adam e non mi
va di parlare con
lui.
Che cazzo vuole
poi?
A quest’ora non
si presume che si stia scopando la mora portando a compimento quanto
hanno
iniziato in pista?
“Chi era?”
“Adam.”
“Come mai non gli rispondi?”
“Non mi va di
parlargli, di sicuro non approverebbe quello che stiamo facendo, non
gli piaci,
ti considera un puttaniere.”
“Non ha tutti i torti.”
Io sospiro.
“Lo so, ma sento
che questa volta è diverso.
Forse non dovrei
fare affidamento sul mio istinto, sono stata tanto tempo senza
sentimenti, ma
con te riesco a sentirli.”
“Quindi sarei io
la tua anima gemella?”
Il tono ha una punta di paura, la stessa che provo io perché
è così strano
pensare di affidare la propria vita a un completo estraneo.
“Forse, non lo
so.
Credo che solo
il tempo potrà dircelo.”
“Forse hai ragione, con te c’è qualcosa
di diverso.
Probabilmente lo
dirò ora da ubriaco perché da sobrio non ce la
farei, ma quando sto con te
sento che una parte di me è felice come se avesse ritrovato
un vecchio amico, o
meglio un vecchio amore.
Uno di quelli
forti che non si dimenticano mai e che io non ho ancora vissuto e non
me lo so
spiegare. L’ho detto ad Alex e dice che è un colpo
di fulmine, ma i colpi di
fulmine sono qualcosa che rendono improvvisamente un estraneo il centro
del tuo
mondo, io però non ti sento come
un’estranea.”
Io rimango senza parole, meditando su quello che mi ha appena detto.
“Non mi senti come
un’estranea?”
“No, sento come se ti conoscessi da sempre, ma
l’avessi dimenticato.
Buffo, vero?”
“No, non
proprio. È quello che sento anche io e non so cosa
fare.”
Lui sbadiglia e mi guarda.
“Andiamo a letto
o ti devo accompagnare a casa?”
“A letto, ho già
detto che avrei dormito fuoricasa, ma questo non è un invito
a fare sesso.”
“L’avevo capito.”
Si alza dal divano e mi tende una mano.
“Forza, Karima.
Vieni a vedere la camera da letto di Jack Barakat, la bestia dei
party.”
Io la accetto
ignorando la lieve scossa che ho provato.
Attrazione?
Amore?
E perché mi
sento come se stessi tornando a casa quando della mia vera casa non
rimangono
che macerie in cui io mi aggiro sconvolta, incapace di fare i conti con
la
morte dei miei?
Mi porta al
piano superiore e apre una porta nera da cui si vede una grande e
caotica
camera piena di fogli di carta, chitarre elettriche, con una scrivania
di
legno, un armadio, un impianto stereo dell’ultima
generazione, una tv al plasma
e un grande letto con le lenzuola nere.
“Lenzuola nere,
eh?”
“Fanno molto figo.”
Lui mi supera e comincia a spogliarsi, togliendosi prima la maglia, poi
i jeans
e rimanendo in boxer e calzini che si toglie subito dopo.
Io rimango
pietrificata, lui ridacchia e mi tende una maglia nera con scritto
“Boner”.
“Spogliati.”
“Mettiti sotto le coperte e girati dall’altra
parte.”
Borbotto io, rigirandomela tra le mani.
“Non mi lasci
nemmeno vederti mentre ti spogli?”
Io alzo gli occhi al cielo e mi tolgo il vestito, lasciando che per un
attimo
lui veda l’intimo e poi mi metto la maglia. Mi siedo sul
letto e mi tolgo le
calze, non appena ho finito mi tira accanto al suo corpo e mi bacia
impetuoso.
Io rido e mi
infilo sotto le coperte, immediatamente vengo abbracciata da lui, il
suo odore
di muschio e menta si mischia al mio che sa di cocco, vaniglia e
sigarette.
Mi bacia a
stampo.
“Buonanotte,
principessa.”
“Notte, principe libanese.”
Mormoro prima di
chiudere gli occhi e precipitare in un sonno sena sogni né
incubi aiutata
dall’alcool che ho bevuto.
La mattina dopo
mi sveglio abbracciata a lui.
Sono indecisa
sul da farsi, rimanere o andarmene?
Magari da sobrio
mi considererà un inutile due di picche o una notte in
bianco da dimenticare e
non credo potrei sopportarlo, non ora che ho dei sentimenti.
Mi sfilo piano
dal suo abbraccio e cerco di scendere dal letto, ma una mano si stringe
sul mio
polso con delicatezza.
“Non pensavo
fossi il tipo di ragazza che scappa dal letto mentre il ragazzo con cui
ha
condiviso il letto dorme.”
“Non lo sono, ma non sapevo come avresti reagito.”
“In che senso?”
Io sospiro.
“Pensavo mi
avresti considerata un inutile due di picche o una scopata mancata,
inutile
anche quella.”
Lui ride, la sua risata è piena, capace di metterti di buon
umore.
“Non ho pensato
a te in questo modo.”
“Pensi a me come
a una preda difficile?”
“No, penso a te come a un enigma che mi chiama con
insistenza, come se toccasse
a me risolverlo.”
Io gli sorrido.
“E forse è
davvero così, ma non sono cose da discutere senza prima fare
colazione.
Mi indicheresti dove
è il bagno, per piacere?”
Lui annuisce, si alza e mi accompagna in un’altra stanza, non
senza che io
abbia preso i vestiti della sera prima, la maglia di Jack la
ficcherò in borsa
e cercherò di non farla vedere ad Adam o allo zio o si
arrabbierebbero.
Mi faccio una
lunga doccia e poi facciamo colazione insieme, scherzando e ridendo
come
bambini, poi lui mi riporta a casa.
“Ti direi di
entrare, ma sarebbe una cattiva idea.
Adam non sarebbe
felice di vederti.”
“Immagino sia
così, sei stata una storia importante e ieri sera ti ha
detto che ti ama
ancora.
Immagino che ora
voglia uccidermi o qualcosa del genere.”
“Probabilmente sì, ma nemmeno la sua ira funesta
mi terrà lontana da te,
Barakat.
Ti è andate
male.”
“Mi è andata bene vorrai dire.”
Io sorrido e lui ride, sto proprio bene con lui.
Adesso però è
arrivato il momento di dirsi arrivederci e io ho un po’
paura, più che altro di
quello che mi aspetta a casa.
Lui mi saluta con un bacio, io esco dalla macchina e lo guardo andare
via.
Solo quando la
sua macchina scompare dall’orizzonte mi decido a entrare,
sentendo uno strappo
all’altezza del cuore che è doloroso giusto un
attimo, quello prima di
ripiombare nell’apatia, conscia di dover affrontare Adam e
forse mio zio.
Potrei non
entrare dal cancello e rifugiarmi in uno dei bar, fare colazione e
aspettare
che magari siano meno arrabbiati, ma non sono mai stata una che fugge.
Pur con la mia
assenza di emozioni e sentimenti ho sempre affrontato tutte le
conseguenze
delle mie azioni, che poi di cosa devo vergognarmi?
Di essere
rimasta a dormire a casa di un ragazzo quando ho compiuto ventotto anni
all’inizio dell’anno?
È una cosa
normale per una ragazza della mia età!
Accidenti, sono
senza emozioni, ma non frigida!
Stringo i pugni
per farmi forza e poi suono il campanello, pochi secondi dopo il
cancellino
pedonale della villa si apre e io percorro lentamente il vialetto
lastricato di
grezze mattonelle.
Entro dalla
porta e sento i rumori del brunch domenicale dei DeLonge, ma non posso
raggiugerli, mio zio mi sbarra la strada con le braccia incrociate sul
petto e
un’aria che non promette nulla di buono.
“Dove sei
stata?”
Mi chiede
brusco, io non rispondo.
“Adam se ne è
andato stamattina e mi ha lasciato un biglietto abbastanza strano. Dice
che sei
stata con Jack Barakat, che pensi che lui sia la tua anima gemella. Che
sia il
tizio cha ha anche la tua anima come ha detto quella vecchia zingara,
che è
probabilmente una pazza a cui avete creduto tutti, in primis
Aida.”
Il nome di mia
madre nella sua bocca mi infastidisce, perché la tira in
ballo?
Cosa diavolo
c’entra lei in quelle che sono questioni tra di noi?
“Non sono affari
tuoi.”
Rispondo secca, alla
fine.
“Vivi con me e sono anche affari miei e poi dovresti dirmelo
per rispetto anche
verso la zia Jen che immagino non
lo
sappia nemmeno.”
Io gli lancio
un’occhiata ostile, per quanto me lo permetta il mio solito
comportamento
apatico e meccanico.
“Hai perso la
scommessa, lo sa.”
Lui mi guarda incredulo.
“Lo hai detto a
loro e non a me? Io che sono tuo zio?”
Il suo sguardo è tradito, come se lo avessi pugnalato alla
schiena.
“La casa è tua,
hai ragione, ed è giusto che almeno una persona qui dentro
sia avvisata dei
miei movimenti per educazione, in quanto a te non è
necessario che tu sappia
tutto, zio.
Ho ventotto anni
e non quattordici, penso di saper gestire almeno un pochino la mia
vita.”
Il suo schiaffo mi coglie all’improvviso e mi fa voltare il
volto.
“Ti sei fatta
scopare da Jack Barakat come una puttana qualsiasi e dovrei fare finta
che vada
tutto bene?”
Io stringo il
pugno e lo guardo con quello che spero sia uno sguardo carico di odio.
“Tu ti
comportavi come Jack quando eri giovane e in quanto ad Adam si
è quasi scopato
una mora in mezzo alla pista ieri sera e non un rimprovero è
uscito dalla mia
bocca.
Sei.Un.Fottuto.Ipocrita.”
Scandisco bene le parole in modo che le capisca e poi gli do un
manrovescio che
lo fa barcollare. È tutto assurdo, io e lo zio siamo sempre
andati d’accordo –
anche quando io ero piccola e combina guai –non mi ero mai
ribellata apertamente
alla sua volontà.
Zia Jen esce
dalla cucina e ci guarda preoccupata, la tensione si potrebbe tagliare
con un
coltello e lei non sa cosa fare.
Lui si avvicina
barcollando, una mano alzata – pronta probabilmente a
schiaffeggiarmi di nuovo
– ma io lo precedo e gli sferro un calcio nei gioielli di
famiglia.
Lui cade a terra
imprecando e tenendosi il cavallo dei pantaloni, ha il volto rosso e
gli occhi che
luccicano di lacrime.
Io lo guardo
giusto un attimo e poi infilo la porta e comincio a correre lungo lo
stesso
vialetto che ho percorso poco prima e scavalco il cancellino presa da
una
sensazione sorda e negativa che si agita sul fondo del mio stomaco.
Rabbia.
È pura e
semplice rabbia e per la prima volta la provo quasi come se fossi un
normale
essere umano.
Che sia la
vicinanza di Jack a ridarmi piano piano la capacità di
provare sentimenti?
E quando riavrò
del tutto la mia anima?
San Diego alla
domenica mattina prima di mezzogiorno è una città
rincoglionita.
Ci sono gli
ultimi nottambuli che affollano i bar aperti e poca altra gente che ha
per di
più un’aria stanca che denuncia lontano un miglio
che preferirebbero trovarsi
nel loro letto piuttosto che andare al lavoro.
Io scarto un
paio di locali troppo pieni di gente, sono troppo arrabbiata per
sopportare il
contatto con troppe persone, ho bisogno di solitudine.
Devo smaltire la
rabbia e la delusione che ho provato per colpa di mio zio, senza
contare lo
schiaffo che ho ricevuto – che fa male, la guancia pulsa
– e l’essere stata
chiamata puttana solo perché ho una vita sessuale con uno
che non gli va a genio.
Non ha un cazzo
di senso il suo comportamento! Mi dico con rabbia, guardando le punte
delle mie
scarpe a tacco non troppo alto.
Jack Barakat è
uno dei componenti di una band che lui supporta, un amico di zio Mark
con cui
ha fatto anche delle foto insieme. Da quando lo odia così
tanto? Non ha senso,
accidenti!
Sto per entrare
in un locale relativamente deserto, una vecchia caffetteria stile anni
’50, con
l’esterno color verde acqua e una grande vetrata che
dà sulla strada, quando
qualcun mi afferra gentilmente per il polso.
Sto per
rispondere per le rime, pensando che sia Tom che mi abbia seguito, ma
mi trovo
davanti a una ragazza dai capelli castani e dagli occhi azzurri.
Non ho idea e le
rivolgo uno sguardo interrogativo, chi è?
“Ciao.”
Mi dice cordiale.
“Ciao.”
Rispondo con una debole eco incerta nella mia voce spenta.
“Posso sapere
chi sei?
Non ti ho mai vista.”
Aggiungo poi, lei mi sorride gentile.
“Sono Lisa
Ruocco, la ragazza di Alex Gasgarth.
Tu sei Karima
Jenkins, vero?”
“Sì, sono io.”
“Volevo vedere la ragazza che è riuscita a
rimanere nel letto di Jack
nonostante il due di picche che gli ha dato.”
Io la guardo a
bocca aperta, non sapendo cosa dire.
“Oh, scusa, ti
ho messa in imbarazzo?”
“Un po’. Non ho
fatto colazione e vorrei mangiare qualcosa.”
“Va bene, ti accompagno.”
Io annuisco, non del tutto convinta che sia una buona idea, questa
tizia mi
sembra abbastanza stramba.
Entriamo e ci
sediamo a un tavolo, lei ordina un semplice cappuccino e una brioches,
io un
cappuccino, pancakes con abbondante sciroppo d’acero e un
succo d’arancia.
“Hai fame.”
“Un po’.”
“Stare con Jack fa venire fame lo stesso?”
“Non ci ho fatto nulla e vorrei sapere perché
tutti si sentono in dovere di
dire la loro.”
La voce mi esce un filo acida.
“Non sono
ostile, solo che non è da Jack quello che ha
fatto.”
“E cosa è da Jack?”
“Cacciarti dal suo letto e trovarsene
un’altra.”
“Ah.”
L’arrivo delle nostre ordinazioni pone momentaneamente fine
alla nostra
conversazione.
“Se ti chiedi
cosa abbia di speciale non lo so, sono solo una ragazza come tutte le
altre.
Più o meno,
all’incirca.
Più un
giocattolo rotto che altro.”
“Un giocattolo rotto?”
“Non ho sentimenti, non so comportarmi normalmente, solo con
Jack ci riesco.”
“È impossibile
che tu non abbia sentimenti.”
“Sono un mistero della scienza medica.”
Il tono è un po’ amaro.
“Scusa, forse non ti
fa piacere parlarne.”
“Mi è indifferente. Jack cosa dice di
me?”
“Che sei una ragazza che lo intriga molto e non credo di
averlo mai sentito
dire di qualcun'altra.”
Io bevo un po’ del mio cappuccino.
“Forse sono solo
una scopata difficile.”
“Questo non lo so, sono cose che dice ad Alex.”
“Devo temere il
jalex?”
Lei ride.
“Non devi temere
una cosa che non esiste.”
Il mio telefono inizia a squillare, ma non appena vedo il mittente
chiudo la
chiamata.
“Chi era?”
“Mio zio.”
“Come mai non hai risposto.”
“Abbiamo litigato, sono stata definita una puttana
perché sono rimasta solo a
dormire da Jack, ma quando lui si comportava come Barakat da giovane
era del
tutto accettabile.”
“Mi dispiace.
Ma chi è tuo
zio?”
“Tom DeLonge.”
“Dai, non scherzare.”
“Non sono
dell’umore per scherzare.”
Lei rimane a
bocca aperta e non aggiunge altro.
Immagino stia
processando tutte le informazioni che le ho dato e la fortuna di Jack
che è
coinvolto con la nipotina di uno dei suoi idoli
Finiamo di mangiare in silenzio, poi paghiamo e lei se ne va.
Cosa devo fare?
Non posso tornare
a casa e ho bisogno di sfogarmi.
Dove posso
andare?
|
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Capitolo 9 *** 8)L'appartamento verde. ***
8)L'appartamento verde.
Karima
p.o.v
Non so cosa fare
e finisco per andare nell’unico posto che mi dà un
po’ di pace: la spiaggia.
Salgo sul
lungomare, alla domenica mattina tutti i negozietti sono chiusi e non
c’è in
giro nessuno, solo qualche gabbiano curioso. Non mi danno fastidio, a
volte
penso che gli animali siano più sinceri degli uomini.
Se sei una preda
o gli fai qualcosa ti attaccano, se non sei una preda o li lasci in
pace non ti
fanno niente. Gli uomini ti attaccano anche se non hai fatto nulla,
solo perché
si sentono in dovere di farlo.
Al primo
cancellino scendo sulla spiaggia, il tempo è nuvoloso e il
mare si abbatte con
violenza sulla battigia, sollevano onde che farebbero la
felicità dei surfisti.
Io inizio a
camminare e a passare in rassegna gli avvenimenti della sera prima: il
bacio
con Jack, il litigio con Adam, la nuotata notturna, dormire con Jack,
essere
baciata di nuovo da lui, il secondo litigio con mio zio.
Meritavo
quell’astio?
Non credo.
Cosa ho fatto di
male?
Nulla, mi
comporto solo da ragazza della mia età, forse lui non riesce
ad accettarlo,
forse lui mi vede ancora come quell’adolescente che aveva
bisogno dello zio.
Quel tempo
passato, so che fa male, ma è passato.
Devo imparare a
fare i primi passi nel mondo da sola, convivendo con il mio disagio
più che
posso e stando con chi me lo allevia e poco importa la sua reputazione.
Mi siedo vicino
alla battigia e non so per quanto tempo rimango lì.
Minuti? Ore?
Giorni?
So solo che a un
certo punto qualcuno chiama il mio nome, ma io non rispondo e quel
qualcuno si
siede accanto a me.
“Ciao, Karima.”
Io alzo gli occhi e mi perdo nei pozzi di velluto che ha Jack al posto
degli
occhi.
“Ciao, Jack.
Come mai qui?
Pensavo cercassi
qualcuna per rimediare alla notte che hai trascorso in
bianco.”
“Hai parlato con Lisa?”
“Sì e la tua reputazione ti precede.”
“A volte vorrei che non succedesse.”
Sospira.
“Non sono qui
per questo. Mi ha telefonato un Tom DeLonge arrabbiato
perché non trovava la
sua nipotina preferita e ho pensato che potessi essere qui.
Anche se porti i
colori del verde, sembri più una creatura acquatica che una
della terra.”
“Io sono quello che sono e se mio zio non avesse fatto lo
stronzo la nipotina
preferita di Tom DeLonge si starebbe godendo il brunch domenicale con
la sua
famiglia.”
“Karima, cosa è
successo?”
“Tom DeLonge mi
ha dato della puttana.”
Dico spenta.
“Capisco. Vieni
a casa e chiariamo le cose.”
“Non voglio.”
“Tuo zio è preoccupato e verrò anche io
con te.”
Io sbuffo.
“Così lui ti
insulterà.”
“Sai quanto mi importa.”
Sbuffando ancora mi alzo e lo seguo, lontano dalla spiaggia e dalla mia
pace,
attraverso il lungomare e poi salgo nella sua macchina.
Durante il
viaggio nessuno dice nulla.
“Scusa per tutti
i guai che ti procuro.”
“Tu che ti
scusi?
Sono io che
dovrei farlo, per colpa mia affronterai uno zio
iperprotettivo.”
Ci fermiamo davanti alla villa di mio zio e scendiamo, apro il
cancellino e
percorro il vialetto, mi è sempre piaciuta questa casa, ma
oggi sa di
prigionia.
Non appena apro
la porta mi ritrovo avvolta dall’abbraccio di mia zia.
“Ci hai fatto
preoccupare, scricciolo!
Sei stata ore
senza farci sapere dove eri?
Jack, grazie per
avercela riportata.”
Lui annuisce.
“È stato un piacere
aiutare la moglie del mio idolo.”
“Jack?!”
Una terza voce
si inserisce nella conversazione con la potenza di un ruggito, Tom si
avventa
su di noi e istintivamente Jack mi porta dietro di lui, non ho mai
visto mio
zio così arrabbiato.
“Te la sei sbattuta
di nuovo?
Spero che ti sia
piaciuto, perché sarà l’ultima volta
che la vedrai!”
Esco da dietro Jack con il fuoco negli occhi.
“Ho ventotto
anni, non puoi trattarmi come se ne avessi quattordici, se voglio
frequentare
Jack lo farò, con o senza il tuo permesso.”
Lui cerca di darmi un’altra sberla, ma io fermo la sua mano.
“Se lo farai
ancora ti picchierò fino a ridurti a un sacco di merda, te
lo giuro sul nome
del Profeta.”
Lui mi guarda sbalordito.
“Difendi lui e
non me?”
“Lui mi tratta da donna, tu come un oggetto.”
Lui deglutisce.
“Se è questo che
vuoi smetterò di proteggerti, ma quando questo stronzo ti
farà piangere non
venire da me.”
“Non lo farei nemmeno se fossi l’ultima persona
sulla faccia della Terra, tu
non sei più mio zio, sei un carceriere. Sei uno di quei
islamisti radicali che
disprezzi e io non voglio più avere a che fare con te.
“
“Va bene, da oggi tu non sei più mia
nipote.”
“Ragazzi, state esagerando.
Sono sicura che
c’è un modo civile per risolvere la
questione.”
Cerca di
intervenire mia zia, a cui non piace la piega che ha preso la
situazione, non
piace nemmeno a me, ma è l’unica che potesse
prendere.
Non sono più una
ragazzina o un oggetto di cui si può decidere a proprio
piacimento, nessuno –
nemmeno mio zio – può trattarmi così.
“Esisterebbe se Tom fosse ragionevole, ma non lo è
e non tratto con gente
così.”
“Ragazzi, vi prego.
Siete
arrabbiati, domani ve ne pentirete.”
“NO.”
Diciamo in coro.
“Cosa direbbero
i tuoi genitori?
Non vorrebbero
vedervi divisi.”
Prova ancora la zia.
“I miei genitori
sono morti! Morti!
Non so cosa
vorrebbero perché sono in un posto dove non possono far
sentire la loro voce.
Morti e
stramorti.”
Urlo fuori di me, iniziando a piangere.
“Voglio
andarmene di qui.
Torno al mio
vecchio appartamento, tanto l’affitto è ancora
pagato. Non voglio vedere la sua
faccia intorno e qui sono solo un peso e una preoccupazione,
l’unico felice di
vedermi è Jonas.
Può venire a
trovarmi quando vuole.”
Salgo in camera mia e raduno le mie cose ignorando le voci dei miei zii
e di
Jack, finito di preparare le valigie guardo il chitarrista degli All
Time Low.
“Jack, mi
accompagneresti al mio appartamento?”
“Se pensi che
sia la soluzione giusta.”
“Lo è.”
Dico feroce, fulminando tutti, tanto che Ava scoppia a piangere e si
rifugia
nella sua camera.
“Scricciolo…”
“Ciao, zia Jen.”
La saluto e scendo le scale trascinando la pesante valigia.
“Più tardi verrò
a recuperare il resto.”
Poi esco dalla
villa a testa alta con le lacrime che mi solcano il volto, delusa a
morte dal
comportamento della persona a cui ho voluto più bene in
questa vita.
Carico la
valigia nella macchina di Jack e lui sale malvolentieri sul sedile del
guidatore, io invece mi raggomitolo su quello del passeggero.
“Karima, non è
troppo tardi per parlare con tuo zio.”
Io scuoto la testa decisa.
“Non vedi come
mi ha trattata?
Ha tentato
persino di picchiarmi, io con lui non ci parlo, non è
più l’uomo gentile che
conoscevo. Adesso è solo uno stronzo, che Allah lo
stramaledica, e mia zia non
può cambiarlo.”
“Sei musulmana?”
“No, ma quando uso il Suo nome mi sembra di avere ancora mia
madre vicino.
Sono cristiana e
forse Dio non è contento che nomini il suo rivale e non lui
o forse Dio e Allah
sono la stessa cosa chiamata con due nomi diversi.”
“Ah, non lo so. Io non credo molto in queste cose, dimmi il
tuo indirizzo
piuttosto.”
Io annuisco, nella foga del discorso mi sono dimenticata che la sua
missione è
riportarmi a casa.
“Certo, scusa.”
Glielo dico e lui annuisce a sua volta.
Poi nessuno dice
più nulla e dalla collina scendiamo verso il centro e poi
verso il mare, il mio appartamento è all’ultimo
piano di un tipico condominio californiano.
Quelli da telefilm, con la piscina al centro e due o tre case di al
massimo tre
piani attorno e con il mare non troppo lontano.
Da me abitano
solo ispanici e un paio di surfisti, quindi non mi stupisce di essere
salutata
da un paio di “Buenos dias” e da qualche generico
“Buenas” da parte di due
uomini con i baffi orgogliosamente tenuti e da un gruppo di ragazze.
“Karima, dov’è
il tuo chico.”
“Non è il mio chico e comuqnue è
partito”
“Ah, che
peccato! E così hermoso.”
Io non dico
nulla e saluto con la mano la portoricana bionda che me l’ha
detto.
Chica, non hai
una mezza possibilità con Adam. Mi dico mentalmente, a
quanto pare ama ancora
me.
Ana, così si
chiama la ragazza, non è me, sebbene sia più
simpatica della sottoscritta.
“Karima,
Karima!”
Mi richiama.
“Cosa c’è?”
“Chi è lui? Il
tuo novio?”
“Solo un amigo.”
Rispondo io, lei ride e capisco che non mi crede.
Beh, chi mi
crederebbe?
Arrivo dopo
secoli per di più in compagnia di un bel ragazzo come Jack,
nessuno mi
crederebbe. Sospirando, salgo le scale del palazzo che si trova davanti
all’entrata – un bell' edificio in stile coloniale,
una spanna sopra a quelli che
si trovano di solito in questi condomini – e arrivo fino al
terzo piano. Apro
la porta di casa mia e corro ad aprire la porta della terrazza che
dà sul mare,
lasciando che l’aria salmastra entri come un soffio vitale in
queste stanze che
sono state chiuse troppo a lungo.
“Bella casa.”
Mi dice Jack, raggiungendomi sulla terrazza.
“Non è male, a
me piace molto e non mi lamento.
Vediamo se c’è
qualcosa da mangiare…”
Vado in cucina e constato che ci sono delle patatine e persino un
po’ di caffè.
“Vuoi un caffè?”
Chiedo al ragazzo che è ancora in terrazza.
“Sì, perché no?
Penso di averne
bisogno e poi ho fame.”
“Ordineremo una pizza o dal cinese, in frigo non
c’è niente, domani devo fare
la spesa.”
“È un invito a
pranzo?”
Lo guardo – è
arrivato in cucina – e mi rendo di quello che ho detto senza
pensarci, abituata
a parlare con Adam come
sono, e
arrossisco.
“Beh, solo se
vuoi.
Lisa mi ha detto
che hai una vita molto attiva e non vorrei disturbarti ulteriormente.
Già ti ho
reso partecipe di un dramma familiare di quinta categoria.”
“Lisa parla
troppo.”
“Ma ha ragione o Tom non mi si sarebbe rivoltato contro come
un serpente.”
Lui fa spallucce.
“Sì, è vero. Ma
per oggi va bene così.
Sei una strana
ragazza, Karima, e mi intrighi. Devo avertelo già
detto.”
“Già…”
Dico in tono
pensieroso, mentre metto la moka sul gas e quando il caffè
è pronto lo verso in due tazzine.
“Non sei
convinta?”
“Non lo so.
Io non ho mai
avuto sentimenti e faccio fatica ad abituarmi ad averli.”
Ho detto di nuovo troppo, spero non si ricordi che gli ho raccontato
quello che
mi aveva detto la zingara.
“Quindi sarei io
la tua anima gemella?”
Mi chiede confuso.
No, accidenti!
Eravamo ubriachi, come fa a ricordarselo?
“Non lo so. Forse
dobbiamo scoprirlo insieme se la cosa non ti spaventa.”
“Mi terrorizza e
mi eccita allo stesso tempo, come la mettiamo?”
“Non lo so. Giorno per giorno?”
“Mi sta bene.”
Ci sorridiamo e il fatto di esserci intesi mi fa sorridere e quasi
dimenticare
il litigio, che la vecchia zingara avesse ragione?
“Ma non si era parlato di cibo?”
Mi chiede per alleggerire la tensione tra di noi.
“Effettivamente se ne era parlato, ma non si era deciso
se tu rimanessi o meno.”
“Sono Jack Barakat, non rifiuto mai del buon cibo qualunque
sia la sua
provenienza.”
“Va bene, cinese o pizza?”
“Cinese, non ho voglia di pizza se per te va bene.”
“A me va bene tutto, non ho tutta questa fame, mangio solo
perché devo.”
“Non va bene così.”
“Lo so, ma da quando i miei sono morti mi è
passato l’appetito.”
“Capisco. È stata dura, vero?”
“La cosa più dura che mi sia capitata di
affrontare, i primi giorni non sapevo
nemmeno se sarei riuscita a sopravvivere, ma Adam ha lottato con me e
mi ha
riportato indietro.”
Rimango un attimo in silenzio e mi accendo una sigaretta.
“Questo rende il suo tradimento più difficile da
digerire. Le persone a cui vuoi più bene finiscono sempre
per farti più male
che se non te ne avessero voluto.”
“Questo non ti deve far decidere di lasciar perdere le
persone.”
“Immagino di sì o forse no.
Forse da sola starei meglio.”
Lui mi prende una mano.
“Da sola staresti peggio e poi non vuoi scoprire se sono
io la tua anima gemella?
Se ho io la tua anima?”
“Sì, lo voglio.”
Mormoro e poi gli sorrido.
“Vado a ordinare dal cinese.”
Prendo in mano la cornetta e mi sento meglio, già stare con
lui senza nessun
coinvolgimento emotivo mi rende felice, non oso pensare se iniziassimo
una
storia.
Probabilmente scoppierei dalla felicità contenta che
succeda.
Ordino un po’di tutto, probabilmente esagero, ma almeno
avrò una sottospecie di cena senza dover cucinare.
“Fatto!”
Annuncio raggiante.
“Riso alla cantonese, involtini primavera, pollo alle
mandorle, all’arancia fritto, biscotti della fortuna e gelato
fritto stanno
arrivando.”
“Woah! Hai ordinato per un esercito!”
“Se avanzerà qualcosa almeno avrò la
cena, ma temo che non avanzerà nulla.”
Mi siedo sul divano e mi fumo una sigaretta, lui si siede accanto a me.
“Il tuo appartamento mi piace, è molto
accogliente.”
“Grazie mille, ho pensato a come l’avrebbe arredato
mia madre e ho cercato di
seguire il suo stile, il mio sarebbe freddo e impersonale.”
“Forse o forse no. Non credo che tua madre ti abbia mai
detto di farti i capelli verdi.”
“No, a lei non sono mai piaciuti.”
“Vedi? Hai un tuo stile e il verde non è per
niente un
colore freddo o impersonale, il verde dei tuoi capelli è
fluorescente, vivace,
sembra quasi giallo in alcuni punti.
Qui.”
Appoggia un dito sul mio cuore.
“C’è più di quello che tu
creda e se tu pensi che io
abbia la tua anima, non vedo l’ora di ridartela
perché una persona come te deve
sbocciare e non chiudersi in se stessa, Karima.”
“Se lo dici tu.”
“Sì, lo dico e ci credo.”
L’arrivo del fattorino interrompe questa conversazione che si
è fatta un
po’imbarazzante, nessuno mi aveva mai elogiata
così tanto, nemmeno i miei che
pure credevano in me.
Mi alzo dal divano, vado a prendere e pagare la roba e
poi la do in mano a Jack.
“Beh?”
“Parlando parlando nessuno ha apparecchiato la tavola e non
possiamo certo
mangiare su un tavolo sparecchiato.”
Estraggo una tovaglia e la stendo rapida, poi recupero i
tovaglioli, le posate i bicchieri e qualcosa da bere: della birra,
dell’acqua e
del the.
Jack appoggia tutto sul tavolo e iniziamo a mangiare in
silenzio.
“Ti divertirai lavorando con noi, siamo persone
simpatiche e ogni giorno inventiamo qualche cazzata quando siamo in
studio a
registrare, in tour poi è ancora peggio."
Io sorrido.
“Lo spero, ho bisogno di ridere, non è un bel
periodo.”
Una fitta di dolore mi attraversa il cuore al pensiero dei miei
genitori e
della lite con mio zio, sto lentamente perdendo la mia famiglia, spero
di poter
parlare ancora con zia Jen visto che si è presa cura di me
per tutto questo
tempo senza farmelo pesare.
“Passerà, sono sicuro che Tom ti
perdonerà.”
“Lo spero anche io, perché non mi lasciano
prendere le
mie responsabilità?
Penso di potercela fare, sono così stanca di avere dei
guardiani. Sono loro grata, ma adesso voglio andare avanti da sola, in
un certo
senso, e vivere la mia vita.
Credo sarebbe quello che avrebbero voluto i miei
genitori.”
“Passerà.”
Finiamo di mangiare, lui sbadiglia, io sparecchio.
Lavo le stoviglie e poi lo raggiungo in salotto, lui si
alza dal divano e mi accompagna in terrazza dove mi accendo una
sigaretta.
Ammiriamo in silenzio l’oceano ognuno immerso nei propri
pensieri, ma il calore
che emana Jack mi rassicura in un modo che non so spiegare, non ancora
almeno.
“Penso che sia arrivato il momento che io me ne
vada.”
“Già, devo svuotare la valige e sistemare le cose:
un lavoro abbastanza
noioso.”
Lui ride.
“Già, non è roba per me.”
Lo accompagno alla porta e lo abbraccio.
“Ci vediamo domani mattina.”
Mi dà un bacio pericolosamente alle labbra e poi se ne va,
io mi tocco il punto
sorridendo.
Sì, andrà tutto bene in qualche modo.
Succede sempre così.
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Capitolo 10 *** 9)La solita pecora nera. ***
9)La solita pecora nera.
Karima p.o.v.
La
mattina dopo
mi alzo senza alcuna voglia di andare al lavoro.
Mi faccio una
doccia sperando che mi rivitalizzi, ma non succede, il mio grumo di
emozioni
negative rimane lì e non sembra intenzionato ad andarsene
tanto presto.
Ho aspettato a
lungo questo momento, ma ora che è arrivato mi fa una paura
tremenda, e se non
riuscissi a scattare delle foto?
E se quelle che
scatterò non dovessero piacere a quelli della casa
discografica e venissi
licenziata?
Scuoto la testa
e mi guardo allo specchio, che riflette l’immagine di una
ragazza dai capelli
verdi scompigliati, dagli occhi castano-verde dilatati e
dall’aria un po’
pallida.
“Karima, ripeti
dopo di me.
Sono una brava
fotografa, se così non fosse non mi avrebbero assunta e oggi
scatterò delle
foto da paura. Non mi farò condizionare dalla vicinanza di
Jack, se non in modo
positivo, prendendo solo il bello e lasciando da parte le domande e le
incertezze.”
Ripeto quello
che ho detto e poi mi pettino energicamente raccogliendo i miei capelli
in due
codini, mettendo correttore e matita. Adesso sembro un essere umano
almeno.
Esco dal bagno e
faccio un abbondante colazione, non ho voglia di fermarmi al solito
MacDonald e
incontrare Tom, finendo per discutere di nuovo con lui, magari. Una
volta
pronta esco e salgo in macchina ascoltando un cd degli All Time Low che
Ava mi
ha dato prima che me ne andassi da villa DeLonge, si chiama
“Nothing Personal”
e non è male, mi piace un sacco. Dà un sacco di
energia ed è bello che qualcuno
dia energia alla gente, alla volte ci si sente giù ed
è qui che interviene la
musica.
Persino una
persona senza sentimenti come me ne tre giovamento, la musica
è l’ultima forma
di magia che abita questo mondo in decadenza.
Arrivo alla casa
discografica e parcheggio, poi entro e trovo la signorina Preston al suo posto
nell’atrio, mi saluta cordiale.
“Buongiorno,
signorina Jenkins.”
“Buongiorno, signorina Preston. Dov’è la
sala prove o meglio gli All Time Low?”
“Siamo qui, anzi sono qui.”
Mi volto e mi
trovo davanti Jack con un bicchierino di caffè in mano.
“Oddio, non dirmi
che sono in ritardo!”
“No, non lo sei. Sei in anticipo, sono io che sono arrivato
per primo. Tra poco
arriveranno Zack e Rian e tra un bel po’ arriverà
Alex.
Prima lezione:
Alex Gaskarh è sempre in ritardo almeno di dieci minuti, la
sua sveglia ha una
volontà propria e spesso si rifiuta di suonare, il suo sonno
è simile al coma.”
“Interessante, me
le appunterò da qualche parte.”
“Vuoi un caffè? Ti posso solo offrire quello delle
macchinette che è
disgustoso, ma è meglio di niente.
Ops! Mi scusi,
signorina Preston.”
“Va tutto bene, Jack. Inutile negare la verità,
dirò agli altri di aspettarti
qui nella hall in caso dovessero arrivare mentre non ci sei.”
“Lei è un tesoro signorina Preston.”
“Ragazzaccio!”
Jack mi fa strada
lungo un corridoio in cui si aprono parecchie porte –
immagino siano studi di
registrazione – fino a una saletta con delle macchinette per
il caffè.
Un buon inizio di
mattinata.
Jack infila una
moneta nella macchinetta e poi aspetta che il caffè venga
pronto.
“Tu cosa vuoi?”
“Un cappuccino,
per favore.”
“Okay. Allora com’è andata la
giornata?”
“Noiosa.”
Lui ride.
“E la notte? Sono
apparso nei tuoi sogni?”
“Sì, ma non nella
forma in cui credi.”
Lui alza un sopracciglio, il mio cuore salta un battito.
Di questo passo avrò bisogno di un defibrillatore!
“Sei apparso nei
miei incubi, non riuscivo a fotografarvi e le poche foto che scattavo
venivano
scartate dalla casa discografica, che alla fine mi ha
licenziata.”
Lui rimane un attimo in silenzio poi mi porge il cappuccino.
“Ti racconterò
una cosa che sa solo Alex. Il giorno prima che facessimo il provino per
firmare
qui ero tesissimo e avevo una paura folle che la band potesse non
piacere o che
io non riuscissi a suonare nulla. Alex ha tentato di calmarmi invano,
alla fine
mi sono addormentato e ho sognato che sbagliavo tutto. Non una cazzo di
nota
giusta, entrate alla cazzo di cane, rumori distorti.
Un apocalisse e
la colpa era tutta mia.
Ovviamente nel
mio sogno non ci hanno presi e la mattina dopo mi stavo cagando in
mano. Alex
mi ha persino chiesto sarcasticamente se avessi bisogno di un
pannolino,
inutile dire che è andato tutto bene e che ho sbagliato
pochissimo.
Succederà lo
stesso a te, adesso ti sembra di non valere nulla, ma una volta sul
campo di
battaglia darai il meglio di te.”
“Lo spero davvero.”
Mormoro bevendo il mio cappuccino, sento il mio cuore battere a un
ritmo
irregolare e mi sembra di sudare l’oceano indiano.
“Barakat! Inizi a
sedurre la nostra fotografa ancora prima che inizi a
lavorare?”
Urla Zack che ci
raggiunge.
“No, scemo di un
Merrick, le sto facendo gli onori di casa con questa brodaglia delle
macchinette dato che nessuno di voi lazzaroni c’era
ancora.”
“Disse quello che dormì un giorno intero mandando
in apprensione l’intera band
che lo credeva in coma etilico.”
Jack gli fa una linguaccia.
“Comunque siamo
arrivati tutti, persino il ritardatario per eccellenza ed è
accompagnato.
Vorremmo farti conoscere Lisa.”
“La sua ragazza?
Io e lei ci
conosciamo già, ma mi fa piacere rivederla.”
Finisco il cappuccino e butto il bicchierino nel cestino e seguo i due
ragazzi
che continuano a spintonarsi come se fossero dei bambini di cinque anni.
Finalmente
arriviamo alla hall e trovo Rian, Alex e Lisa che parlano.
“L’ho trovata e
salvata per un pelo dalle grinfie infide di Barakat.”
Il chitarrista dà
una spinta fenomenale al bassista che – nonostante sia
più robusto – cade a
terra, facendo ridere tutti, persino io inizio a farlo prima di
portarmi una
mano alla bocca.
“Barakat, questa
me la paghi.”
Mugugna Zack alzandosi.
“Va bene, va
bene. A cuccia.
Karima, lei è
Lisa…”
“La tua ragazza? Ci conosciamo già,
l’incontrata ieri, è un piacere
rivederti.”
Allungo una mano per stringere la sua, ma lei mi abbraccia,
allarmandomi, non
amo molto il contatto umano.
“Buona fortuna.”
Mi dice prima di lasciarmi andare.
Dà un bacio ad
Alex e sorride.
“Lo lascio in
buone mani, io me ne vado.
Fai il bravo,
amore, registra e non cazzeggiare.”
“La tua fiducia in me è commuovente.”
Lei ride e se ne va sventolando la mano, che la mia guerra inizi.
Due ore dopo le
mie paure sono sparite come neve dopo una giornata di sole.
I ragazzi sono
stati bravissimi a mettermi a mio agio, Jack ha ragione, alternano
momenti in
cui sono seri ad altri in cui sono dei buffoni nati e io riesco a
fotografare
entrambi i lati.
Alla fine me la
sto cavando sul campo di battaglia.
Zack si siede
accanto a me e guarda le foto sulla mia macchina digitale.
“Ehi, ci siamo
anche noi!”
Io alzo un
sopracciglio confusa, chi altro avrebbe dovuto esserci?
“Pensavo che
avessi un intero servizio fotografico a Jack!”
“E me lo sarei
meritato perché sono bellissimo”
Il bassista alza
gli occhi al cielo.
“Non è perché
l’hai già conquistata devi approfittarti di questo
fatto!”
“Non mi ha
conquistata, non sono un oggetto che si può vincere al luna
park, Zack Merrick.
Sono un essere
umano che decide chi frequentare e la mia vita privata non inferisce
con il
lavoro, so che devo fotografare la band e non solo Jack.”
“Questo si chiama rimettere al loro posto le persone,
bambolina!
Posso chiamarti così o bacchetti anche me?”
Mi domanda Alex divertito.
“Preferirei che
non lo facessi.”
“Va bene. Posso
vedere le foto incriminate?”
Io gli passo la macchina e gli spiego come andare avanti e indietro,
lui fa
scorrere le foto e annuisce.
“Non so dove tu
sia stata nascosta in questi anni, ma sono foto davvero belle e io ho
una fame
boia, anche se sono solo le dieci.
Chi viene con me
alle macchinette?”
“Io.”
Si affretta ad
aggiungere Zack.
Immagino si
voglia allontanare da me, mi succede spesso.
“Wow, credo che
nessuno abbia mai risposto in questo modo a Zack.”
“Mi dispiace, Rian.”
“Tutto a posto, Karima.
A volte fa delle
battute stupide e serve qualcuno che glielo ricordi.”
“Forse, ma non sono convinta che accettare questo lavoro sia
stata una grande
idea.”
“Perché?”
Mi chiede Jack.
“Non ci so fare
con le persone come avrai notato, so solo essere cattiva e
ferire.”
“Adesso non esagerare, non mi hai mai ferito da quando ci
siamo incontrati.”
“Tu sei un’eccezione Jack, non lo hai ancora capito?
Di solito non mi
comporto come mi comporto con te con le persone, posso essere acida,
fredda,
indifferente e stronza.”
“Puoi, ma puoi essere anche altro.
Cerca di stare
tranquilla e vedrai che andrà tutto bene, Zack non tiene il
muso a lungo alle
persone.”
Se lo dice Jack
che lo conosce meglio di me allora ha probabilmente ragione e posso
cercare di
rilassarmi.
Dopo un po’ Alex
e Zack tornano, ma le previsioni di Jack sono terribilmente sbagliate,
il
bassista mi sembra ancora arrabbiato con me, infatti mi evita e si
siede al suo
posto riprendendo a scrivere come se non ci fossi.
Io sospiro e
ripendo a fotografare, in fondo mi pagano per questo, non per fare
amicizia con
i ragazzi, se dovesse succedere sarebbe una bella cosa, ma se non
succedesse
andrebbe bene lo stesso o almeno credo.
Continuo a
lavorare fino a mezzogiorno e mezzo, a quell’ora Alex
dichiara che è ora di
pranzo e che non si può continuare a scrivere o registrare.
“Vi va di andare
in quella nuova pizzeria?”
Chiede al resto della truppa con un luccichio negli occhi.
“Sì, ma perché
non ti sposi con una pizza invece che con Lisa?”
Lui sbuffa e
ignora la domanda di Rian.
“Allora?”
“Veniamo, veniamo.
Tu cosa fai
Karima?”
La cosa mi pende alla sprovvista e per un attimo non so cosa rispondere.
“No, penso sia
meglio di no. Vado a mangiare da qualche altra parte.”
Non ho voglia di imporre la mia presenza a Zack e al resto della band.
“Va bene. Sei sicura?”
“Sì sì, certo. Andate pure e non
preoccupatevi per me.”
Rispondo con il mio solito sorriso meccanico.
Jack mi lancia
un lungo sguardo e poi esce con gli altri, io mi siedo un attimo su una
poltrona e mi prendo la testa tra le mani sospirando.
Il primo giorno
non è andato benissimo, ma non si possono pretendere da un
disastro come me,
una che con le relazioni sociali non ci sa fare.
Alla fine mi
alzo e chiudo la porta dello studio, poi mi dirigo nella hall, saluto
la
signorina e poi prendo la mia macchina e vado in un Mac Donald lontano
sia
dalla Fearless Records che dalla Fueled By Ramen. Voglio stare solo in
compagnia di un panino, qualche crocchetta di pollo e delle patatine
fritte,
nessun essere umano amico o nemico.
Parcheggio ed
entro nel locale, ordino il mio menù preferito e delle
crocchette extra, poi mi
siedo in un posto abbastanza appartato. Non deve esserlo abbastanza
perché
qualcuno si siede davanti a me.
“Scusa, potresti
andare a un altro tavolo?
Vorrei stare da
sola.”
“Penso proprio di no.”
Alzo gli occhi e incontro lo sguardo di Rian e non mi piace, mi sembra
di
essere una bambina colta con le mani nella marmellata anche se non ho
fatto
nulla.
“Perché sei
qui?”
“Volevo parlare
con te.”
“Cosa ho fatto di sbagliato ancora?
Mi scuserò con
Zack se proprio la cosa è così grave.”
Lui rimane in
silenzio per un po’, mettendomi ulteriormente a disagio.
“A te piace
Jack, non è vero?”
“Cosa c’entra questo?
Ho letto il
contratto da cima a fondo e da nessuna parte si vietano relazioni con i
membri
della band.”
“Non è per questo che te lo chiedo.”
“Allora temo di non poterti dare una risposta, non voglio
essere sgarbata, ma
si tratta della mia vita privata e vorrei tenerla per me.”
“Ne hai tutti i diritti, non di meno vorrei una
risposta.”
Io rimango in
silenzio, non avendo davvero voglia di parlare con lui.
Ultimamente
tutti sembrano avere una gran voglia di ficcare il naso nei miei affari
e non
capisco perché, non sono più una bambina da tanto
tempo.
“Non vuoi
proprio rispondermi, eh?”
“Ah ah.”
“Penso che Zack si sia preso una cotta per te.”
“Che? Stai delirando?”
“No, è l’unica spiegazione che trovo al
fatto che se la sia pressa così tanto.”
“Non hai mai pensato che forse era solo di
malumore?”
“Può darsi, ma non hai risposto alla mia
domanda.”
Io sbuffo e appoggio sul vassoio il mezzo panino rimasto.
“Sì, mi piace.
Felice?
Adesso posso
mangiare o devi chiedermi altre cose sulla mia vita privata?”
“Solo un consiglio: Jack non è tipo da relazioni
serie, a meno che ti ami sul
serio, finirai scottata da lui.”
“Il che è esattamente quello che mi hanno detto la
metà di mille persone.”
“Ma tu non hai dato loro retta.”
Io sbuffo di nuovo.
“È la mia cazzo
di vita e sono grande abbastanza per viverla come mi pare e piace e
sopportare
le conseguenze.”
“Va bene, va bene! Non ti scaldare, cercavo solo di essere
tuo amico!”
“Beh, grazie mille.
Ora posso
mangiare prima che questo panino si trasformi in una merda
immangiabile?”
Lui annuisce e io riprendo a mangiare di malumore.
Ma chi me l’ha
fatto fare di dare retta al consiglio di Adam?
Perché diavolo ho
accettato questo incarico?
Certo, la mia
vita di prima scorreva tranquilla e anche un po’ noiosa, ma
almeno non dovevo
litigare con mezzo mondo perché mi piace un ragazzo con la
reputazione da
stronzo!
Non ho scelto io il fatto che lui abbia la mia anima, io sono quella
che meno
ha potuto scegliere in questa storia sin da quando sono nata. Costretta
a
dividermi tra quello che credeva papà e quello che credeva
mamma, non creduta
fino in fondo nemmeno dai miei amici più stretti, incastrata
in una storia che
si preannuncia catastrofica.
La mia vita è
una cazzo di catastrofe e nessuno mi ha dato un libretto delle
istruzioni, ho
dovuto cavarmela da sola e temo di non essermela cavata al meglio visto
come
sono ridotta.
Mi alzo dal
tavolo ed esco seguita dal batterista, poi mi accendo una sigaretta.
“Hai fatto il
tuo dovere, ora puoi andare.”
“Sei arrabbiata, Karima?”
“Sì e mi
piacerebbe stare un po’ da sola, se non chiedo troppo, mi
basta anche solo un
quarto d’ora.”
Lui annuisce e mi lascia finalmente da sola con i miei pensieri e
preoccupazioni, non uscirò viva da questo incarico!
Quindici minuti
dopo salgo in macchina con di nuovo la mia maschera impassibile, in
qualche
modo sono pronta a tornare in studio e affrontare la situazione, spero
non ci
siano stati litigi in mia assenza.
Parcheggio e poi
mi dirigo allo studio di registrazione, l’atmosfera
all’interno mi sembra
diversa rispetto a questa mattina, più pesante.
“Ciao.”
Dico incerta, vorrei chiedere cosa sia successo, ma non so se sia il
caso.
“Bentornata,
Karima.
Vieni a prendere
un caffè con me!”
Alex mi trascina via sorridendo verso la saletta dove ci sono le
macchinette,
inserisce qualche spicciolo e poi aspetta.
“Ehm, Alex… Cosa
è successo?”
“Un piccolo litigio tra Zack e Jack, una cosa
normale.”
Io prendo coraggio a due mani.
“Per caso
c’entro io?”
Lui mi guarda sorpreso.
“Come fai a saperlo?”
“Rian è venuto a
parlarmi durante la pausa pranzo e ha detto delle strane
cose.”
“Del genere?”
“Uhm, che Zack si è preso una cotta per me o
qualcosa del genere.”
Alex inserisce gli spiccioli anche per il mio caffè.
“Non so se Rian
abbia ragione, so solo che oggi durante la pausa pranzo Zack si
è lamentato del
tuo comportamento e ti ha chiamato stronza. Scusa.”
“Non fa niente, va avanti.”
“Jack si è scaldato e ti ha difeso, hanno
litigato, ma non penso sia qualcosa
di serio. Gli amici litigano ogni tanto e anche i compagni di
band.”
Io sospiro, prendendo il caffè dalle mani di Alex.
“Beh, spero sia
così perché non voglio essere causa di litigi
all’interno della band. Il mio
ruolo è fotografarvi, se dovessi… dovessi
risultare inadatta me ne andrò.”
“No, non
pensarci, Karima. È solo uno screzio, non prenderla
così male, non ce n’è
bisogno, te l’ho detto che qualche litigio è
normale.
Ecco, magari
domani scusati con Zack, non credo che adesso lui accetterebbe visto
che anche
Jack lo ha attaccato.”
“Ho fatto uno sbaglio ad accettare questo lavoro, non sto
creando altro che
casini.”
Borbotto cupa, lui mi appoggia una mano sulla spalla.
“Dormici sopra e
vedrai che la prospettiva ti sembrerà migliore dopo una
dormita.”
“Grazie del consiglio.”
Bevo il mio caffè.
“Beh, adesso è
ora di tornare nell’arena e combattere contro i
leoni.”
“Suvvia, non
siamo così pericolosi!”
Ride il
frontman.
Forse per la
maggior parte della gente non sono pericolosi, ma per me sì.
Sono la solita
pecora nera.
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Capitolo 11 *** 10)La magia dei bambini. ***
10)La magia dei bambini.
Karima
p.o.v.
Ci sono certi
pomeriggi che sono come certi pomeriggi a scuola: infiniti.
Sembra che sia
passato tanto tempo, ma l’orologio ti dice che sono passati
cinque minuti e che
sarà ancora lunga. Lavorare con Jack e Zack di malumore non
è il massimo,
sapere di essere la causa del litigio non migliora le cose, se solo
fossi
riuscita a tenere chiusa la mia boccaccia!
Il problema è
che non avendo sentimenti a volte non so fermarmi e dico cose a volte
spiacevoli senza averne l’intenzione, magari qualcuno di
normale sarebbe in
grado di esprimere le stesse cose in modo più gentile e
diplomatico. A scuola
mi chiamavano la stronza di ghiaccio per questo e mi sa che anche in
futuro
continuerò a essere chiamata così, forse dovrei
davvero dare le dimissioni da
questo incarico e lasciare che qualcuno migliore di me se ne occupi.
Immersa in
queste cupe riflessioni non mi accorgo che i ragazzi hanno finito fino
a quando
Rian non sventola una mano davanti ai miei occhi.
“Karima, per
oggi abbiamo finito.”
“Oh, va bene.”
Inizio a mettere
via la mia attrezzatura fino a che non è infilata in due
grandi borse nere,
prendo anche la giaccia e la borsa normale e poi esco, i ragazzi
chiudono a
chiave lo studio.
Arrivati nella
hall consegnano la chiave alla signorina Preston e fuori alla casa
discografica
si salutano e ognuno va verso la propria macchina.
Io vado verso la
mia, carico l’attrezzatura nel baule e poi mi metto al
volante, tento di
metterla in moto, ma non ci riesco.
“Merda!”
Esclamo dando
una manata al volante.
Qualcuno
picchietta contro il mio finestrino, io alzo lo sguardo e mi scontro
con le
iridi castane di Jack.
“Ehi, tutto
bene?”
Mi chiede, io abbasso il finestrino.
“No, la mia
macchina non vuole saperne di partire.”
“Posso dare un’occhiata?”
“Certo.”
Io esco e lui entra al mio posto e scoppia subito a ridere, io lo
guardo senza
capire.
“Karima, non
parte perché sei a secco di benzina.
Ti do un
passaggio a casa e domani ti vengo a prendere, così ci
fermiamo a prendere una
tanica di benzina e ti riempio il serbatoio, anzi lo farà
Rian, lui ci sa fare
più di me con i motori.”
Le mie guance diventano di un pallido rosa, sono rimasta senza benzina
come
un’idiota, che figura!
“Non ti
disturbare. Prendo il pullman e vado a casa con quello, è
colpa mia se sono
rimasta a piedi.”
“Non ci penso nemmeno, prendi la tua attrezzatura e mettila
nella mia
macchina.”
“Jack, davvero non ce n’è bisogno!
Ti ho già
rovinato abbastanza la giornata, per colpa mia hai litigato con
Zack.”
“Non mi hai
rovinato la giornata, non è colpa tua se Zack non sa stare
zitto! Dai, prendi
la tua roba.”
“Va bene.”
Scendo dalla macchina, tiro fuori le due pesanti borse e chiudo a
chiava la
vettura.
“Ti serve una
mano?
Quella roba
sembra pesante.”
“E lo è, ma nessun fotografo dà mai la
propria attrezzatura a un profano, è il
nostro tesssoro.”
“Piccola Gollum forzuta!”
Se la ride lui e
poi apre la sua macchina, apre anche il baule e io deposito le preziose
borse e
poi lo chiudo.
“Bene.”
Entro in
macchina, mi siedo sul sedile passeggeri e mi allaccio diligentemente
la
cintura, se l’incidente dei miei mi ha insegnato qualcosa
è di stare attenta al
codice della strada.
Lui sale e si
allaccia a sua volta la cintura.
“Senti, io ti
avviso, non sono molto bravo a guidare, perciò prega per
noi.”
“Va bene.”
Mette in moto e
usciamo dal parcheggio della casa discografica con una manovra
spericolata, non
è davvero bravo a guidare.
Gli detto le
indicazioni e poi – una volta arrivati davanti al mio
condominio – mi saluta,
io entro nel cortile e poi salgo le scale fino all’ultimo
piano sfinita dalla
lunga giornata di lavoro e con il cervello ridotto in pappa.
Davanti alla
porta di casa mia trovo la mia vicina, Marisol, con in mano qualcosa
che sembra
una teglia di cibo.
“Ciao, Karima.”
Mi saluta cordiale.
“Stasera ho
fatto le empanadas e ho pensato che ne volessi un anche una anche tu,
sarai
stanca.
Volevo farti un
regalo di benvenuto ieri sera, ma Ana mi ha detto che sei arrivata con
il tuo
novio e ho lasciato perdere.”
“Grazie mille, Marisol. Non ti dovevi disturbare.”
“Figurati. Cosa che vuoi che sia un’empanadas in
più?”
“Grazie mille, davvero.”
“Prego. Tuo novio senza capelli?”
“Non è il mio
novio, Ana non ti ha detto che questo ce li aveva?”
Lei sospira.
“No, Ana non
parla molto con me ultimamente.
Dov’è andato il
tuo amigo pelato?”
“Via per lavoro
e ne sono felice.”
Lei alza un
sopracciglio.
“A lui non piace
Jack, il novio che ti ha detto Ana.”
“Perdona me.”
“No hay problema, Marisol.”
“Come mai sei
tornata a vivere qui? Non eri da tuo tio?”
Io sospiro.
“Io e mio tio
abbiamo litigato, così sono tornata qui.”
“No bueno. I famigliari non dovrebbero litigare, dovrebbero
aiutarsi a
vicenda.”
“Sì, dovrebbero. Ma a volte gli zii vanno fuori di
testa ed è meglio lasciarli
perdere per un po’.”
“Non gli piace il tuo novio?”
Questa donna ha la vista acuta! Mi dico, come ha fatto a capirlo?
“Tios sono
sempre preoccupati per i chicos, fa parte di loro. Dagli un
po’ di tempo e
passerà, Tom non è cattivo.
Beh, buona
cena.”
“Grazie mille, anche a te.”
Entro in casa mia, preparo velocemente la tavola e poi mangio
l’empanadas fino
a che è ancora calda. Inutile dire che è
buonissima, Marisol è un’ottima cuoca
e mi fa un po’ da madre da quando mi sono trasferita qui, si
è sinceramente
affezionata a me, forse perché non la tratto con la spocchia
tipica di certi
bianchi.
Mentre sto
mangiando il mio cellulare vibra: è Jack.
“Come
è andata
la giornata?”
Mi chiede.
“Lunga e
massacrante. Sai l’incidente con Zack ha un po’
rovinato tutto.”
Rispondo io.
“Ma come mai
me
lo chiedi? C’eri anche tu!”
Mando un secondo
messaggio ridendo ed è una sensazione strana, almeno quanto
il calore al cuore
che sento.
“Hai ragione,
ma
volevo sentirti. Vuoi che ti tenga compagnia?”
Io rifletto un attimo.
“Sì,
voglio
andare con te in un posto che mi rilassa sempre.”
“Va bene,
passo alle nove e mezza. Devo aspettarmi un bagno di
mezzanotte?”
Io rido.
“No, stai
tranquillo.”
Digito infine.
Mangio un po’ di
gelato e vado a prepararmi, visto che tra poco dovrò uscire
di nuovo, ho
intenzione di portarlo nel mio posto segreto che poi non è
tanto segreto.
Mi metto un paio
di skinny neri, una maglia degli All Time Low che mi ha regalato
l’infame
traditore, una camicia a quadri rossa e neri e un paio di anfibi.
Prendo una
giacca di pelle nera, visto che la sera fa un po’ freddo e la
borsa, il mio
cuore inizia a farsi sentire lento e distante di nuovo, come se
avvertisse
l’arrivo di Jack prima di me.
Alle nove e
mezza vedo la macchina di Jack avvicinarsi ed esco chiudendo la porta a
chiave,
anche se mi sento abbastanza sicura. I miei amici ispanici mi hanno
detto che
non ci saranno furti in casa mia, mi hanno preso in simpatia e una
parte poco
simpatica del mio cervello mi dice che hanno detto alle gangs di
latinos di
starmi lontana.
Saluto Ana,
affacciata alla finestra, ed entro nella macchina di Jack.
“Ciao, la tua
amica mi scruta molto interessata.”
“È convinta che
tu sia il mio ragazzo ed è curiosa, ha visto pochi ragazzi
venire a casa mia.”
“Capito. Ti sei ripresa dalla giornata?”
“Oh, sì. Non ho
dovuto nemmeno cucinare, Marisol, la madre di Ana…”
Lui alza un sopracciglio perplesso.
“La ragazza che
ho salutato.”
“Ok, ci sono.”
“Mi ha preparato un empanadas e ho dovuto solo ficcarla in
forno.”
“Che culo,
magari la prossima volta mi trattengo da te e le faccio la faccia da
cucciolo,
così cucinerà anche per me. Mi piace la cucina
messicana e cucinata da una
messicana è il top.”
Io rido, portandomi una mano davanti alla bocca.
“Marisol è una
donna di mezza età molto sgamata.”
“Ma il mio
sguardo da cucciolo è infallibile.”
Mi guarda con due occhioni tristi da cane bastonato.
“Bella mossa,
persino i sassi piangerebbero.”
Lui mi sorride complice.
“Ecco come
convinco la band a seguirmi nelle mie stronzate o a
perdonarmele.”
“Attento, quello che dici potrebbe essere utilizzato contro
di te.”
“Mi fido di te.”
Io sorrido.
“Tu che hai
combinato?”
Lui scoppia a ridere come un matto.
“Sono piombato a
casa di Alex quando ero certo che ci fosse anche Lisa e ho chiesto che
preparassero da mangiare anche per me. Alex mi avrebbe tirato
volentieri una
padella, sospetto che volesse una seratina romantica
dall’inizio alla fine.”
“Sei terribile, ma non sai cucinare?”
“L’unica volta che ci ho provato ho mandato a fuoco
la casa.”
“Dai, non prendermi per il culo.”
“Sono serio, io sono un danno con le gambe per i lavori
domestici, Rian dice
che dovrei assumere una balia, non una cameriera.”
Se lo dice Rian, allora…
“Capisco. Lo
terrò a mente.”
“Come mai quel tono freddo
all’improvviso?”
Io guardo un attimo fuori dal finestrino.
“Diciamo che
Rian si è un po’ impicciato negli affari miei oggi
a pranzo e non l’ho gradito,
tutto qui.
Non mi va di
parlarne, non adesso almeno.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Mi fa piacere
vederti.”
Dice lui all’improvviso per la seconda volta nella serata.
“Anche a me e
adesso segui le mie indicazioni o non arriveremo mai al mio posto
segreto.”
Jack mette in moto e io lo guido verso il mare, parcheggiamo vicino al
lungomare, poi ne percorriamo un breve tratto mano nella mano. Il mio
cuore
accelera, perché lo fa?
Vorrei
chiederglielo, ma non so se sia una buona idea, forse è
meglio lasciare andare
le cose come vanno e affidarsi al flusso, ignorando la crescente
consapevolezza
che ho un corpo.
E un’anima o
almeno qualcosa di simile.
Sento come se
qualcosa di mio fosse prigioniero in Jack e la cosa mi destabilizza un
po’.
In ogni caso,
mettendo da parte le paranoie, arriviamo davanti al grande parco dei
divertimenti che c’è in fondo al lungomare di San
Diego e io glielo indico.
“Questo è il mio
posto segreto, più precisamente la ruota panoramica. Quando
mi sento strana o
diversa dal solito vengo qui e mi faccio qualche giro, vedere la baia e
le luci
mi calma sempre.
Vuoi venire con
me?”
“Solo se mi compri dello zucchero filato, le ruote
panoramiche mi hanno sempre
fatto un po’di ansia.”
Io ridacchio e mi dirigo verso l’uomo che vende lo zucchero
filato che mi
sorride e poi mi saluta, sono una delle poche visitatrici che vengono
al parco
anche d’inverno.
“Due zuccheri
filati, per piacere.”
Lui me li porge e io li pago, poi no lo do a Jack e uno lo tengo per me.
“Pronto per la
ruota panoramica?”
Lui annuisce e insieme ci dirigiamo verso l’attrazione, il
giostraio mi sorride
anche lui.
“Il solito,
Karima?”
“Sì, ma per due.”
Lui annuisce e ci porge i biglietti, poi ci fa entrare nel cubicolo e
lo
chiude, raccomandandoci di non alzarci in piedi. Ho la sensazione che
questo
abbia incollato perennemente il culo di Jack al seggiolino.
“Tranquillo, non
cade.”
“Lo spero.”
Mi siedo accanto a lui e gli prendo la mano, lui mi sorride debolmente
mentre
la ruota inizia a muoversi e poi addenta il suo zucchero filato.
Quando siamo a
una certa altezza gli mostro il finestrino e lui segue il mio dito,
accorgendosi delle stelle, delle luci che si riflettono sulla baia, del
porto e
delle luci stesse della città.
“Wow!”
“Ti toglie il
fiato, vero?
Ti fa sentire
piccolo e fa scivolare via ogni preoccupazione, mette le cose in
un’altra
prospettiva.”
“Non ci avevo mai pensato, ma hai ragione. Sembra di
galleggiare senza peso.”
Io annuisco.
All’improvviso
l’atmosfera cambia, la sua mano si sposta dalla mia e si
appoggia sulla mia
guancia, la accarezza per qualche secondo e poi mi attira verso di lui.
Ci baciamo
piano, come due adolescenti alla prima cotta, il che forse è
vero.
Ci baciamo e la
ruota si ferma al suo apice.
Il mio posto
segreto è diventato il nostro posto segreto e condividendolo
mi sembra di aver fatto
la cosa migliore del mondo.
Adesso una parte
di noi vivrà per sempre qui.
Ci stacchiamo e
ci sorridiamo a vicenda.
“Penso che
questo sia meglio dello zucchero filato per farmi passare la paura
delle ruote
panoramiche.”
“Bene.”
Gliene rubo un pezzo.
“Ehi!”
Io gli faccio
una linguaccia.
“Sei fortunata
che siamo qui o altrimenti me l’avresti pagata con un
po’ di sano solletico.”
“No, pietà!
Ho un altro modo
per pagare.”
“Sarebbe?”
Raccolgo tutto
il mio coraggio e lo bacio di nuovo, sorprendendolo, questa volta il
bacio di
fa più passionale, siamo due persona affamate
l’una dell’altro.
Quando ci
stacchiamo la cabina arriva a terra ed è pronta per il
secondo giro, questa
volta guardiamo il panorama mano nella mano, godendoci il silenzio
complice che
si è creato.
Alla fine del
secondo giro la porta della cabina viene aperta e noi usciamo e
gironzoliamo
nel parco divertimenti, alla bancarella del tiro a segno vedo un
piccolo
scheletro di peluches e mi attacco al braccio di Jack.
“Me lo vinci?”
“Come funziona?”
“Devi centrare il barattolo con un colpo di fucile.”
“Ok.”
Jack paga due biglietti, uno per tentativo, il primo lo manca
miseramente, il
secondo no. Becca quello giusto per farmi vincere lo scheletrino.
“Bravo, Jack!”
Urlo
abbracciandolo.
“Sono un killer nato,
baby.”
Il proprietario
della bancarella ride e gli consegna il premio, io lo metto a sedere
sulle mie
spalle come se fosse un bambino.
“Grazie,
killer.”
Continuiamo a
camminare e raggiungiamo due panchine, io mi accendo una sigaretta.
“Fumare fa male.”
“Vivere anche, ma il suicidio non è né
consigliato né accettato.”
“Perché fumi?”
Io scuoto le spalle.
“Così, perché mi
va. Non ho nessuna ragione in particolare, perché tu
bevi?”
Questa volta è lui a scuotere le spalle.
“Per nessuna ragione particolare, mi piace bere, a volte mi
fa sentire meno
solo. Sono conosciuto come il cazzone che non ha bisogno di una ragazza
fissa e
che vive di feste e stronzate, ma sto crescendo. Alex tra poco si
sposerà, Rian
è fidanzato da una vita con Cass e Zack è
più posato di me, ogni tanto anche io
vorrei avere qualcuno che mi accoglie quando arrivo a casa o mi manda
un
messaggio solo per dirmi buongiorno.”
Io gli prendo una mano tra le mie e gliela accarezzo.
“Scusa, era
fuori luogo.”
“No, non lo era.
Pensi che io sia così diversa da te?
Sono sempre
stata la stronza acida della situazione, quella di cui ti stanchi di
tentare di
abbattere i muri di cui si circonda, persino Adam a un certo punto ha
dovuto
arrendersi… E anche io ogni tanto vorrei un ragazzo che mi
accolga quando
arrivo a casa o che mi mandi un sms solo per augurarmi
buongiorno.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Come hai
scoperto questo posto?”
“Come la
maggioranza dei bambini di San Diego, mi ci hanno portato i miei, ma
poi tutti
i bambini crescono
e ci vengono sempre
meno, i ragazzi per impressionare le ragazze, le ragazze per farsi
impressionare. La magia che aveva questo posto per i bambini sparisce
con
l’età, ma a me non è successo. Io
continuo a venire per trovare un po’ di pace,
per vedere una bambina che corre tra le giostre con
un’apparenza di felicità
sul volto.”
“Capisco.”
“Il fatto è che ci sono poche persone che mi
credono quando dico che non ho
sentimenti, pensano che sia solo una fissazione, ma non lo è.
No, non lo è.”
Mi alzo in piedi
e guardo la luna alta nel cielo.
“È ora di andare
a casa, domani dobbiamo andare a lavorare.”
“Karima…”
“Sì, Jack?”
“Perché scappi
quando si tratta di parlare con me di questo problema?”
“Perché a volte temiamo il giudizio di certe
persone, quelle a cui teniamo di
più di solito.”
“Quindi tu tieni
a me?”
“È ora di andare
a casa.”
Ci eravamo
promessi di vedere come sarebbe andata, non mi sembra il caso di
accelerare le
cose ora, potrebbe decidere di scappare.
“Karima…”
“Se ti dicessi
la verità vorresti scappare, un passo alla volta,
Jack.”
Lui annuisce e si alza anche lui dalla panchina, usciamo dal luna-park
salutando i vari proprietari delle bancarelle e poi saliamo sulla sua
macchina.
Durante il
percorso verso casa non parliamo molto, ma il silenzio non è
imbarazzato, è
piacevole, è quello tra due vecchi amici.
Lui si ferma
davanti a casa mia, io scendo dalla macchina.
“Grazie della
bella serata, Jack.”
“Di nulla, immagino sia troppo presto per chiederti di
salire.”
“Esatto.”
Gli do un rapido bacio.
“Buonanotte.”
Sussurro a pochi centimetri dalle sue labbra, poi me ne vado ed entro
nel
cortile del condominio sorridendo come un’idiota.
Questa è stata
una delle serate più belle della mia vita nella sua
semplicità.
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Capitolo 12 *** 11)Il segreto dei dolci giapponesi ***
11)Il segreto dei
dolci giapponesi
Karima p.o.v.
Questa mattina
mi alzo di quello che potrebbe essere definito buonumore.
Sento un certo
calore in fondo al cuore che mi fa sorridere, mi stiracchio come un
gatto e
afferro il mio smartphone e digito un rapido buongiorno a Jack, poi mi
faccio
una doccia.
Al mio ritorno
un nuovo messaggio è arrivato: grazie e buongiorno anche a
te, dice.
Anche questo mi
fa sorridere, mi vesto e poi faccio colazione e aspetto che Jack mi
venga a
prendere.
“Buongiorno,
splendore!”
Esclama quando
mi vede.
“Dai, non prendermi
in giro. Sono vestita come un barbone e stamattina i miei capelli non
volevano
essere pettinati.”
Lui alza gli
occhi al cielo.
“Donne!
Se non
fai loro un complimento sei un bruto che non nota quando cambiano anche
solo un
vestito, se fai loro un complimento ti dicono che sono brutte, chi le
capisce?
Ma non potete
pubblicare un manuale con le istruzioni per l’uso su come
trattarvi?”
Mi dice ridendo mentre entro in macchina.
“Oh, anche voi
potreste farlo. A volte siete strani e mandate segnali
confusi.”
“La vecchia
storia che le donne vengono da Venere e gli uomini da Marte.”
“Immagino di sì.”
Lui mette in
moto e si mette a canticchiare una canzone dei blnk-182.
“Qual è il programma?”
“Ci fermiamo alla stazione di benzina più vicina
alla
casa discografica, compriamo una tanica e poi Super Rian ci
aiuterà a
trasferire la benza dalla tanica al serbatoio della tua
macchina.”
“Roger, hai portato la tanica?”
“Sì, è nel baule.
Grazie del messaggio.”
“Figurati è stato un piacere.”
Rimaniamo di nuovo in silenzio fino a quando arriviamo al
distributore, Jack scende dalla macchina, apre il baule e tira fuori
una tanica
che si fa riempire e che poi rimette via.
“Fatto, adesso santo Rian da Baltimora ti
aiuterà.”
Mette in moto e guida fino alla casa discografica, il batterista ci
aspetta nel
parcheggio a braccia conserte sorridendo.
“Scusa, Rian. Scusa se ti faccio perdere tempo.”
Dico costernata, lui sorride.
“Non ti devi preoccupare perché, sicuro come
l’inferno,
Alex sarà in ritardo. A volte credo che quell’uomo
viva in una zona in cui il
fuso orario devia da quello del resto della città.”
Lui e Jack trafficano attorno alla mia macchina per un po’,
poi il batterista
mi guarda sorridendo.
“È tutto a posto, hai benzina sufficiente per
andare a
casa, ma ti consiglierei di fermarti a un distributore domani
mattina.”
“Ok, grazie mille, Rian.
Dopo ti offro un caffè.”
“Ottimo! Allora vedrò di aiutarti più
spesso con la macchina.”
Ridiamo insieme, questa giornata sta davvero iniziando bene.
Entriamo nella casa discografica, salutiamo la signorina
Preston e ci dirigiamo verso la saletta delle macchinette e
lì ricevo la prima
sorpresa sgradita: Zack sta bevendo un caffè.
Non appena ci vede si irrigidisce e si allontana.
“Ma è ancora arrabbiato per ieri?”
Chiedo a nessuno in particolare.
“Sì, penso di sì.
Forse se Jack non fosse stato così
aggressivo…”
“Forse se lui non avesse iniziato a sputare veleno come una
cheerleader stronza
con le sue amichette…”
“Ragazzi, basta! Adesso vado e risolvo la
questione.”
Mi frugo nella borsa, estraggo il portafoglio e do i soldi necessari a
Jack e
Rian.
“Prendete un caffè o quello che volete come
ringraziamento per avermi aiutata con la macchina.”
Anche se allontanarmi da Jack mi costa uno sforzo quasi fisico lo
faccio e vado
verso la sala di registrazione. Lui è lì dentro e
sta bevendo il suo caffè da
solo.
“Senti, risolviamo questa questione una volta per tutte.
Ieri sera ho esagerato, non pensavo di offenderti in questo modo, ma io
so poco
dei sentimenti.
So però che dovremo lavorare insieme per un lungo periodo
di tempo e non possiamo farlo così, ci mettiamo una pietra
sopra?”
Allungo una mano e lui me la stringe.
“Karima, ti andrebbe di uscire con me?”
“Io… io non posso, Zack. Sto già
uscendo con Jack.”
Balbetto sorpresa, lui ringhia.
“Un’altra caduta nella rete di
quell’idiota, pensavo più
intelligente della media, ma mi sbagliavo.
Ti pentirai di avere scelto lui quando ti metterà
più
corna di un alce!”
Esclama, puntandomi contro un dito e poi uscendo come una
furia dallo studio, io mi schiaffo una mano sulla faccia: invece di
risolvere
la situazione l’ho peggiorata.
Torno alla saletta dove ci sono Rian e Jack e prendo una
cioccolata dalla macchinetta.
“Cioccolata? Hai un lato tenero, allora!
Pensavo fossi una di quelle ragazze che bevono caffè a
litri.”
“Sono quel tipo di ragazza, ma quando ho appena ricevuto una
batosta ricorro ai
poteri curativi del cioccolato.”
“Che cosa è successo in quella stanza?”
Io guardo Jack per un attimo.
“Niente. Niente di importante.”
Il chitarrista però non si fa ingannare.
“Karima, non mi piace quando qualcuno mi mente. Zack
è
uscito con un’espressione omicida e ho avuto
l’impressione che se avesse potuto
mi avrebbe fatto male, molto male, poi esci tu e ti prendi una
cioccolata con
un’aria più depressa del solito.
Sono un idiota, ma non ci vuole un genio per rendersi
conto che è successo qualcosa in quella stanza e voglio
sapere cosa.”
“Jack, forse è meglio che tu rispetti il silenzio
di Karima.”
Prova a blandirlo il batterista.
“No, voglio la verità.”
Si impunta lui, io guardo Rian disperata e lui mi fa cenno di
sì: che la bomba
sia sganciata!
“Beh, mi sono scusata per quello che gli ho detto ieri e
lui ha accettato le scuse.”
“Poi?”
“Jack…”
“Karima.”
“Ok, mi ha chiesto di uscire con lui e io ho rifiutato,
perché io e te siamo
usciti insieme ieri sera.”
Proseguo rossa come un peperone.
“Lui non l’ha presa bene e mi ha detto che mi
pentirò di
non avere scelto lui quando tu mi metterai più corna di un
alce.”
Jack ringhia qualcosa e fa per muoversi, forse vuole raggiungere il
bassista e
farci a botte, ma Rian lo ferma e per fortuna è troppo ben
piantato per essere
spostato.
“Fare a botte non migliorerà la situazione, anzi
la
peggiorerà. Dagli solo un po’ di tempo, okay?
Okay, Jack?”
“Okay!”
Lui si allontana furioso.
“Tanto robusto come sei non riuscirei a spostarti se non
con l’aiuto di qualcosa e non posso ferire il batterista
della band il giorno
delle prove!”
Se ne va nello studio di registrazione, io e Rian rimaniamo da soli.
“Forse dovrei dare le dimissioni e far assegnare questo
lavoro a qualcun altro.”
“Questo non cambierebbe le cose.”
Mi risponde il batterista e purtroppo ha ragione.
Quando Alex arriva si trova davanti a un chitarrista
arrabbiato, un batterista silenzioso e una fotografa che fa finta di
montare la
sua attrezzatura quando è già perfettamente a
posto.
Non gli ci vuole molto per capire che sia successo
qualcosa, così appoggia le mani ei fianchi e corruga le
sopracciglia.
“Cosa diavolo è successo?”
Nessuno gli risponde.
“Siete diventati sordi oltre che muti? Cosa cazzo
è
successo?”
“Jack e Zack hanno litigato.”
Risponde finalmente Rian.
“Cosa diavolo è successo ancora tra voi
due?”
“Non sono affari tuoi, Gaskarth!”
Bercia Jack.
“È anche la mia band, quindi sono anche affari
miei!”
“Beh, non ho intenzione di dirtelo!”
Si alza di nuovo dalla sedia e tenta di uscire di nuovo
dalla stanza, ma viene bloccato dai suoi due amici.
“Manca già il bassista, non ho intenzione di far
scappare
anche il chitarrista!
Dobbiamo scrivere oggi, cazzo!”
“E come facciamo? Ci manca il basso l’hai detto
anche tu.”
“Ci facciamo prestare uno tecnici che sappia suonare il basso
e che segua gli
appunti di Zack, li ha lasciati qui.”
Indica una pila di fogli, io prendo fiato.
“Io so suonare il basso.”
Dico infine, mi guardano tutti.
“Karima, grazie della proposta, ma ci serve una
professionista.”
“Lo sono, ho suonato in un paio di band e ho avuto un maestro
d’eccezione: Tom
DeLonge.”
“Dai, non scherzare.”
“Non scherza, viveva con Tom DeLonge, l’ho visto
io.”
Alex guarda Jack a occhi sgranati.
“Come mai Tom DeLonge ti ha dato lezioni di basso?
E come mai ti vivevi a casa sua?
Chi sei tu?”
“Sono sua nipote, mio padre e la moglie di Tom erano
fratelli.”
Lui mi guarda un attimo.
“Tu fai Jenkins di cognome, come Jennifer Jenkins, la
moglie di Tom….
Oh, mio Dio! Tu non stai scherzando!”
“No, non ho l’abitudine di scherzare.”
“Allora, certo che puoi sostituire Zack. Adesso chiamo per
farti avere un basso
come quello di Zack, non ti fa niente, vero?”
Io scuoto la testa, lui prende in mano il cordless e
compone un numero, parla brevemente con qualcuno e poco dopo la porta
si apre.
Un tecnico consegna il basso di scorta di Zack e tutto il necessario,
insieme
lo sistemiamo e poi io lo accordo.
“È a posto, ragazzi.”
Il tecnico annuisce e se ne va, io prendo i fogli di Zack e comincio a
provare
per imparare le sue parti, gli altri si mettono dall’altra
parte della stanza e
discutono delle parte di batteria e dei testi.
Se Zack mi vedesse ora mi ucciderebbe probabilmente,
pensando che gli sto rubando il lavoro.
Mi piacciono questi ragazzi, ma mi sto pentendo di avere
accettato questo lavoro, sto causando loro un sacco di guai e non se lo
meritano.
Dopo averle imparate suono con i ragazzi e Alex scrive le
correzioni che a suo parere andrebbero apportate sui fogli di Zack.
Lavoriamo così fino alla pausa pranzo, poi decidiamo
tutti di andare a mangiare una pizza, chiudiamo lo studio e prendiamo
le
chiavi.
Alex sceglie un posto non tanto lontano dalla casa
discografica, ma che fa una buona pizza, il pranzo è
tranquillo, chiacchieriamo
di argomento leggeri, Jack ogni tanto mi stringe la mano.
L’uragano deve arrivare dopo pranzo nella forma di uno
Zack Merrick molto arrabbiato che stringe in mano i suoi fogli.
“Cosa significano queste annotazioni, Alex?”
“Che abbiamo provato e che secondo me dovresti apportare i
cambiamenti che ti
ho scritto.”
“Chi ha suonato al mio posto?”
Io guardo brevemente Alex per fargli capire che non deve dire il mio
nome o
rischia la terza guerra mondiale, ma il cantante non è molto
sveglio e non
recepisce il mio messaggio.
“Karima, è la nipote di Tom DeLonge, le ha
insegnato lui
a suonarlo.”
Esattamente le parole che non avrebbe dovuto dire, il bassista adesso
è
bordeaux dalla rabbia.
“Fantastico! Sei la troia raccomandata di Elmakias, la
nipote di DeLonge che non vede l’ora di mostrare la sua
bravura e la ragazza di
Jack.
Cos’altro vuoi?
Il mio posto nella band? Prenditelo, tanto sei di sicuro
migliore di me.”
“Zack, io non voglio il tuo posto.
È stato solo un caso, giuro!”
“Non ti credo, tu sei come un cancro che si è
insinuato
nella nostra band per distruggerla!”
Lui fa per darmi una sberla, ma Jack lo ferma.
“Toccala e te lo spezzo questo polso.”
“Non ne sei capace, hai la forza di un mollusco.”
“Mettimi alla prova!”
Alex si mette in mezzo.
“Ragazzi, non è il caso di litigare!
Zack non c’era, Karima sa suonare il basso abbastanza
bene e, invece di chiedere un tecnico, abbiamo usato lei. Nessuno vuole
buttarti fuori dalla band.
Jack, molla il suo polso.”
“Solo se non picchierà Karima.”
“Zack, non picchiare Karima.”
“Ho qualche altra scelta?
Siete in tre pronti a difenderla!”
Jack lascia andare il polso del bassista che gira sui
tacchi e se ne va sbattendo la porta per la seconda volta nella
giornata.
Non ce la faccio più, è stata tutta colpa mia,
sono un
disastro che porta solo guai!
Prendo la mia borsa ed esco anche io di corsa dalla
stanza e mi dirigo verso il parcheggio, entro in macchina e scoppio a
piangere.
Avere un’anima significa anche stare così male a
quanto
pare, ma la rivoglio lo stesso, sono stanca di questa apatia, di farmi
vivere
dalla vita e non di viverla, di essere solo un passeggero su questo
strano
autobus.
Sto per metterla in moto quando qualcuno apre la portiera
e si siede accanto a me sul sedile passeggiero, io guardo chi sia e mi
trovo
davanti Jack.
“Dovresti essere a provare con gli altri.”
Balbetto io sorpresa.
“Non possiamo provare, ci manca il bassista e Alex ha mal
di testa.
E poi volevo essere sicuro che tu non facessi sciocchezze
come correre dal capo a rassegnare le dimissioni.”
“Sarebbe una cosa saggia da fare vi ho portato solo guai, per
colpa mia la
vostra band si è divisa.”
“A Zack passerà, tra un giorno sarà
tutto a posto.”
“Ne dubito.”
“In ogni caso non ho intenzione di lasciarti andare via, a
costo di legarti al
tavolo dello studio.”
“Ma perché tutti dubitano di te? Di noi?
Non possiamo essere l’eccezione che conferma la regola?
E poi non stiamo ancora insieme e già profetizzano la
catastrofe!”
“Lasciali perdere, per favore.
Viviamo secondo per secondo. Se dovesse andare male
almeno non avremo rimpianti.”
“Se lo dici tu, io ho una paura folle.”
“Anche io, ma non possiamo farci condizionare, siamo in ballo
e dobbiamo
ballare. Io sono attratto da te, tu da me qualcosa deve
succedere.”
“Forse hai
ragione. No, sicuramente hai ragione, ma la reazione di Zack mi ha
scosso,
anche se dovevo aspettarmela.”
Lui aggrotta le sopracciglia.
“Come mai?”
“Rian mi aveva detto che secondo lui Zack si stava prendendo
una cotta per me,
ma non l’ho ascoltato.”
“Come mai?”
“Mi sembrava un’intromissione senza senso nella mia
vita e poi cosa avrei
dovuto fare?
Dire di sì a
Zack e illudere tutti e due?”
“Direi di no.”
“Dovrei rassegnare le dimissioni.”
“Abbiamo già parlato di questa cosa e ti ho detto
di non farlo.”
“Lo so, ma…”
“Niente ma! Dove andiamo piuttosto?”
Io rimango in silenzio.
“Non lo so. Io
andrei ancora alle giostre, ma sospetto che tu non voglia andarci di
nuovo.”
“Già. Stavo pensando che c’è
un posto che c’è un posto in cui ti piacerebbe
andare: si chiama Sakura. Servono the e dolci tradizionali giapponesi.
Ogni tanto io e
Alex ci andiamo e so che lui ci va anche con Lisa.”
“Va bene, non ho idee migliori.
Dettami le
indicazioni."
Lui esegue
ubbidiente e ci ritroviamo in un quartiere poco fuori dal centro, pieno
di casette
all’americana. Il locale sembra un vecchio pub inglese, ma
l’impressione
svanisce non appena si entra: ci sono tatami e paraventi orientali che
separano
ogni tavolo.
Una cameriera ci
viene incontro.
“Buongiorno,
signori.”
“Vorremmo un tavolo per due.”
“Certo, seguitemi.”
La seguiamo tra i vari tavolini e ci sediamo a
uno, immediatamente la donna tira un
paravento di carta rossa con disegni dorati per consentirci un
po’ di privacy.
“Cosa vi porto?”
“Due the dolci e un po’ di pasticceria
mista.”
Risponde Jack.
“Va bene.”
Lei se ne va e lui mi guarda.
“Ti piace il
the, vero?”
“Sì.”
Rido
all’improvviso.
“È tipico di te
fare le cose e poi chiedere il permesso, giusto?”
“Abbastanza, ma i dolci sono buoni te lo giuro.”
Poco dopo arriva la cameriera con un vassoio su cui ci sono: due tazze,
una
teiera e diversi dolcetti dall’aria esotica.
“Vi ho portato dell’anmitsu, daifuku, dango,
dorayaki, imagawayaki,
kuzumochi, manju, mochi, taiyaki. Così la tua amica
può farsi un’idea dei dolci
tradizionali giapponesi e poi mi sembra triste, un po’ di
dolci le solleveranno
il morale.
Buon appetito.”
La ragazza se ne va.
“La conosci bene.”
“Te l’ho detto, vengo spesso.”
Iniziamo a mangiare e anche se ogni tanto i gusti che sento mi sembrano
strani,
tipo la pasta di fagioli azuki, sono davvero buoni.
“Buoni!”
“Sono felice che ti piacciano.”
“Un giorno devi provare il knafeh, mamma lo preparava a ogni
mio compleanno.”
“Cos’è?”
“Un dolce tipico palestinese, di Nablus per la
precisione.”
“Capisco. Sì, mi piacerebbe provarlo.”
Io sorrido sentendo un calore invadermi all’altezza del
cuore, non ho mai
condiviso con nessuno questo aspetto così intimo della mia
esistenza, la mia
parte palestinese.
“Vedo che il tuo umore è migliorato, non vuoi
più
licenziarti, vero?”
“No, non voglio più.”
Lui mi sorride.
“Sono felice che i dolci giapponesi ti abbiano fatto
tornare il sorriso.”
Non sono stati loro, ma la semplice presenza che di Jack che si
preoccupava per
me, ma è ancora un po’presto per dirglielo.
Per ora rimarrà il mio piccolo segreto.
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Capitolo 13 *** 12)La castigamatti. ***
12)La castigamatti.
Karima p.o.v.
Prima o poi bisogna sempre tornare alla realtà, anche
dopo i piccoli momenti più belli.
Stare in questa pasticceria con Jack è stato molto bello,
ma ora è arrivato il momento di andarsene e di tornare
nell’arena ad affrontare
i leoni: ossia gli All Time Low.
Io e Jack torniamo alla Hopeless Record, lui non dice
nulla, si limita a guardare fuori dal finestrino con aria assente.
“Karima, sai una cosa?”
“No, dimmela.”
“Sei la prima ragazza che porto in quella
pasticceria.”
“Ne sono onorata, se continuiamo così finirai per
presentarmi anche a tua
madre.”
Lui ride.
“Non correre troppo, tigre.”
Rido anche io e l’imbarazzo sembra essersene andato.
Parcheggio la macchina e poi andiamo dritti allo studio
di registrazione, ci sono solo Rian e Alex e il cantante sembra a un
passo
dallo sbattere la testa al muro.
“Siamo tornati.”
“Sia ringraziato il cielo, ricordatemi di uccidere Zack
domani.”
Borbotta Lex.
“Non ne vale la pena, amico. Rischieresti la pena di
morte per niente.”
“Niente? Per colpa dei suoi sbalzi di umore da donna
mestruata le registrazioni
stanno andando da schifo, senza offesa, eh Karima!”
“Non c’è problema.
C’è qualcosa che posso fare per
aiutarvi?”
“Sostituisci ancora Zack e se domani avrà qualcosa
da ridire lo so io dove
glielo ficco quel basso.”
“Va bene.”
Prendo in mano il basso e ricominciamo a lavorare, il pomeriggio passa
velocemente e direi che è proficuo vista la
quantità esorbitante di note che
Alex lascia a Zack, sospetto che si stia vendicando per averlo mollato
nel bel
mezzo delle registrazioni.
Finite le registrazioni Alex lancia un’occhiata sbilenca
a Jack.
“Stasera c’è Lisa da me, vorremmo
cercare di avere quello
che tu hai interrotto ieri sera: una cenetta romantica.
Fatti vedere da me e ti sparo anche se sei il mio miglior
amico.”
Jack alza le mani.
“Okay, Alex. Non c’è bisogno di essere
così violenti.”
“Era giusto per essere chiari.”
Usciamo tutti dallo studio ridendo, ci salutiamo e mi
accorgo che Jack mi segue.
“Cosa c’è?”
“Voglio provare il mio sguardo da cucciolo e vincere
un’empanadas.”
“Jack, è la mia vicina di casa. Non voglio
rovinare i miei rapporti con lei.”
“Suvvia, cosa vuoi che sia!”
“C’è un modo per farti
desistere?”
“No.”
“Lo sospettavo.”
Entriamo tutti e due nella mia macchina, io metto in moto e guido verso
casa
mia.
“Devo risolvere questa faccenda di Zack o non riuscirete
a registrare.”
“Io vorrei pestarlo.”
“Questo non cambierebbe le cose, anzi le peggiorerebbe ed
è l’ultima cosa che
voglio.”
“Va bene. Anche perché se ci provasse sarei io a
uscirne
malconio, l’unico che è deboluccio come me
è Alex e anche lui ha un dannato
sguardo da cucciolo.
Se provi a minacciarlo te lo fa e ti sembra di far male a
un neonato.”
Io rido.
“Tu e Alex siete proprio amici.”
“È come se fosse mio fratello, tanti fraintendono
il
nostro rapporto pensando che ci sia qualcosa di più, ma non
ti scopi un
fratello.”
“Lo spererei o avremmo un problema.
Un po’ ti invidio, non ho mai avuto un vero amico.”
“Adesso hai noi, non ti devi preoccupare. Una volta che
entri nella famiglia degli All Time Low è come con la mafia,
non ne esci più.”
Io sorrido e parcheggio sotto casa mia.
“Empanadas, arrivo.”
Io sospiro e saliamo insieme fino all’appartamento di
Marisol, lui suona il
campanello, lei viene ad aprire la porta e io mi metto le mani davanti
alla faccia.
“Buonasera, sono Jack. Sono un amico di Karima e lei mi
ha detto che lei fa delle empanadas che sono la fine del mondo. Visto
che io
sono una frana a cucinare e Karima è stanca non è
che potremmo provarle?”
Lui le rivolge lo sguardo da cucciolo che mi ha fatto vedere.
“Marisol, scusa, scusa, scusa.”
Balbetto io, lei ride.
Io tolgo le mani dalla faccia e mi accorgo che ha un
sorriso che le va da un orecchio all’altro.
“Tuo novio è furbo oltre che bello. Mia madre mi
ha dato
un paio di empanadas, nessuno ha voglia di mangiarle, potete prenderle
voi.
Entrate.”
Lei si fa da parte ed entriamo nel suo appartamento con le pareti
gialli e gli
arredi di colori vivaci, Ana mi saluta e guarda Jack con sguardo
calcolatore,
domani mi toccherà subire un suo interrogatorio. Arrivati
nella cucina di
Marisol, lei mette mi dà una teglia con dentro due empanadas
che sembrano
deliziose.
“Scaldale nel forno a microonde e saranno perfette.”
“Va bene, grazie e scusa ancora per il disturbo.”
“Nessun disturbo. Adesso andate, sarete stanchi tutti e
due.”
“Effettivamente.”
Lei ci riaccompagna, noi salutiamo Ana e poi usciamo.
“Jack, sei qualcosa! L’hai convinta al primo
colpo!”
“Mi ci sono voluti anni per perfezionare l’arte
dello sguardo da cucciolo,
adesso raccolgo i frutti.”
“Povere le persone che hanno fatto da cavia!”
Saliamo al mio appartamento, Jack si mette comodo sul divano, io metto
le
empanadas nel microonde e preparo la tavola.
“Saresti un marito terribile che farebbe fare tutto alla
moglie.”
“Sono abbastanza ricco da permettermi una domestica quindi
non credo che mia
moglie faticherebbe troppo.”
“Non farti sentire dalle femministe.”
“Sto bene attento a non farlo. Il mondo di oggi è
così complicato, le ragazze
sono persino più complicate che in passato, dici una mezza
battuta e mi
mangiano la testa.”
“Va bene, va bene. Adesso alza il culo e aiutami a preparare
la tavola, così
possiamo mangiare poi.”
Lui annuisce, non appena abbiamo finito di prepararla il forno ci
annuncia che
il cibo è pronto.
Io servo le empanadas e iniziamo a mangiarle.
“Buonissime, sono buonissime.
La madre della tua vicina è una dea della cucina, devo
venire più spesso da lei.”
Io gli tiro una pedata.
“Esci con me per la cucina o perché ti
piaccio?”
“Per tutte e due le cose in questo momento.”
Io alzo gli occhi al cielo, questo ragazzo è impossibile!
“Jack!”
“Cosa ho detto di male?
Sono un ragazzo in crescita, devo mangiare!”
“Hai ventotto anni e sei una pertica, quanto vuoi crescere
ancora?”
Lui ride.
“Con te non la vinco quasi mai, mi piace. Fossi stata
un’altra ragazza ti saresti riempita la dispensa di empanadas
pur di tenermi
legato a te.”
“Non penso che un’empanadas, anche la migliore del
mondo,
possa trattenerti se vuoi andare.”
“Hai ragione, ma c’è qualcosa in sospeso
tra di noi che riguarda il cibo.”
“Cosa?”
“Il knafeh.”
“Oh. Giusto, ti avevo detto che te l’avrei fatto
assaggiare. Cosa ne dici di
venire da me domenica?
Ti preparo del the magari.”
“Così fa vecchia signora inglese. Devo mettermi il
tailleur giallo canarino e
il cappellino abbinato?”
“Cristo, no. Vieni vestito normale.”
Jack ride di nuovo, poi il suo sguardo si fissa su qualcosa dietro di
me.
“Cosa c’è?”
“Stavo guardando quella foto, l’unica che
c’è.”
Io mi volto e sospiro: è una foto che ritrae me, mamma e
papà quando avevo
quindici anni.
Mio padre è un uomo biondo con una leggera barba
dall’aria bonaria, mia madre sorride felice con il suo hijab
preferito, quello
verde acido, e poi ci sono io con i miei capelli castani, il mio
piercing al
naso e la mia aria assente.
Mi alzo e la vado a prendere così Jack può
vederla bene,
lui la osserva a lungo.
“Sono i tuoi genitori, vero?”
“Sì.”
Indico mio padre.
“Lui è Daniel, mio padre. Era un medico brillante
che
aveva deciso di mettere la sua bravura al servizio degli ultimi della
terra.
Sapeva parecchi dialetti arabi e ha lavorato nei campi profughi
palestinesi e
afgani. Aveva un grande cuore e una mente razionale, pensava che la mia
assenza
di emozioni fosse un fatto fisico o psicologico.”
Poi indico mia madre.
“Lei invece è Aida. Era nata a Gaza, ma la sua
famiglia
ha finito per trasferirsi a Nablus, in uno dei tanti campi profughi che
ci sono
attorno alla città. Lì ha studiato da infermiera,
grazie alla sua professione
ha conosciuto mio padre. Si sono sposati contro il volere della sua
famiglia e
secondo lei il mio essere così è una punizione di
Allah per aver mancato loro
di rispetto. Era molto dolce, ma anche un
po’superstiziosa.”
“Il verde era il suo colore preferito, vero?
È per questo che ti sei tinta i capelli di quel
colore?”
“Sì, come fai a saperlo?”
Lui scuote le spalle.
“Intuizione. Quando sono con te mi capita di avere delle
intuizione sul tuo passato, non so perché.”
Io non dico nulla, servo il dolce e il caffè.
Io e Jack ci fumiamo una sigaretta insieme e poi lui se
ne va a casa sua, non prima di avermi dato il bacio della buonanotte.
Dopotutto questa giornata non è stata un totale
fallimento.
La mattina dopo mi sveglio senza alcuna energia né voglia
di lavorare, mi sembra di non aver dormito per niente, anche se sono
andata a
letto alle nove, subito dopo che Jack se n’è
andato.
Evento questo che non si verificava da quando andavo alle
elementari, sono sempre stata un animaletto notturno.
In ogni caso la sveglia suona e io la spengo con una
manata poco caritatevole, sbuffando scalcio via le coperte e vado
a farmi una doccia. Magari mi ripiglio ed evito di arrivare al lavoro
con
un’espressione da zombie.
Ma chi ha voglia di andare al lavoro?
Zack mi odia, Rian sarà seccato perché non gli ho
dato
retta, non ho idea di che umore potrebbe essere Alex e non mi va di
pensarci
vist che ieri sembrava uno psicopatico pronto a far fuori chiunque lo
intralciasse, l’unico felice di vedermi sarà
probabilmente Jack, ma è perché le
nostre anime sono in qualche modo connesse.
Che schifo!
Fatta la doccia, mi preparo la colazione, mi vesto, prendo
l’attrezzatura, la
giacca e la borsa e chiudo a chiave l’appartamento. Saluto
Ana e Marisol che mi
riempiono di complimenti per il mio nuovo ragazzo e salgo in macchina,
oggi il
sole non splende in California, novembre si avvicina e il tempo ce lo
ricorda.
Halloween sarà tra un paio di settimane, è la mia
festa
preferita e quest’anno non la sento affatto, niente magia
nelle zucche
intagliate, nei travestimenti o altro, solo freddo.
Arrivo alla casa discografica e parcheggio, entro e trovo
la signorina Preston nell’atrio che mi rivolge uno sguardo
imperscrutabile.
“Buongiorno?”
Azzardo.
“Buongiorno a te, si può sapere cosa è
successo ieri?
Zack Merrick è uscito due volte come se avesse il diavolo
alla calcagna e la seconda volta sei uscita anche tu seguita da Jack
Barakat.
Siamo già alla fase del triangolo?”
“Non esattamente, a me piace Jack e lui sembra ricambiare, ma
piaccio anche a
Zack.
Può controllare i suoi sentimenti, signorina Preston?
E può controllare quelli degli altri?”
“Mi era giunta voce che non ne avessi.”
“Normalmente non ne ho, ma quando sono vicino a Jack li ho,
li sento, sono
vicini a me e mi tendono la mano per essere presi.”
“Che strana cosa! Ma ho visto un sacco di strane cose stando
qui, l’umanità più
varia.
Credo che dovresti parlare con Zack.”
“Lo farò se lui me lo permetterà.
È già aperto lo studio di registrazione?
Vorrei depositarci queste cose e bermi un caffè.”
Lei mi tende le chiavi.
“Oggi sei stata la prima ad arrivare.”
“Grazie.”
Dico prendendole, poi mi avvio verso la stanza con la mia
pesante attrezzatura.
Arrivo allo studio, depongo il tutto in un angolo per far
sì che non dia fastidio e che la gente non ci inciampi e poi
vado a prendermi
un caffè.
Lo sto bevendo seduta su una delle sedie quando qualcuno
si siede accanto a me, io alzo lo sguardo e mi scontro con quello di
Jack.
“Ehi, raggio di sole.”
“Ciao, neko-chan.”
“Miao! Alla fine hai deciso di restare.”
“Sì, in qualche modo
risolverò.”
E poi non posso più stare troppo lontana da te, Jack, non
più.
“Molto bene.”
Prende anche lui un caffè e lo beve con me, poi andiamo
in studio, dopo di noi arrivano Rian e Alex, ma di Zack non
c’è traccia. Ci
guardiamo e alla fine il cantante compone il numero del bassista, ma
lui non
risponde.
Ci prova almeno cinque volte, prima di imprecare e
gettare il cellulare per terra, arrabbiato.
Verso le dieci la porta dello studio si apre e appare uno
Zack con le borse sotto agli occhi iniettati di sangue e la barba non
rasata.
“Dove cazzo sei stato? Ti ho anche chiamato e non hai
risposto!”
Bercia Alex con il suo telefono in mano, ma Zack va dritto verso il suo
basso.
“Zack, credo che dovremmo parlare di ieri.”
Dico piano io.
“Facciamo finta che ieri non sia mai esistito, adesso
iniziamo a provare, siamo dei professionisti.”
Alex diventa rosso di rabbia, probabilmente ingoia anche un paio di
insulti
rivolti al suo amico, ma alla fine fa quello che gli è stato
detto. Se loro
sono professionisti anche io lo sono, sistemo la mia apparecchiatura e
comincio
a fare delle foto.
Lavoro in silenzio fino a mezzogiorno, anche perché
è
impossibile parlare visto che Alex e Zack stanno litigando
così
ferocemente che è un miracolo che lo studio non crolli fino
a rimanere un
cumulo di macerie. Il bassista non ha gradito:
a)che fossi io a suonare le sue parti e fanculo a chi è
stato il mio maestro (comprensibile).
b)la quantità smisurata di appunti che Alex ha preso
sulle cose da cambiare, secondo Zack almeno la metà sono
stronzate.
Alla fine la signora Preston bussa alla porta dello
studio con aria perplessa.
“Ragazzi, va tutto bene?”
“No, ne ho piene le palle di lavorare con questo psicopatico
che usa i
minimi pretesti per litigare.”
Fa per uscire dallo studio, ma Alex scatta inaspettatamente e lo placca
facendolo cadere a terra.
“Oh, no, signor mestruato! Non questa volta!
Non mi va di perdere un atro giorno di lavoro perché la
ragazza che ti piace ti ha dato picche! Hai detto che dobbiamo essere
dei
professionisti. Bene, dimostralo rimanendo e non scappando
ancora.”
“Alex, mollami o ti spacco la faccia a forza di
calci!”
“Fallo! Così poi ti denuncio e ti faccio rimanere
in mutande, Merrick.
Dovrai pregarmi in ginocchio sui ceci in una notte di
inverno per tornare in questa band.”
Io e la signorina Preston ci guardiamo perplesse, poi le do in mano la
macchina
e mi piazzo in mezzo alla stanza.
“BAAAAASTAAAA!”
Urlo con tutto il fiato che ho in corpo, facendoli
voltare verso di me.
“Zack, mi dispiace, ok?
Mi dispiace un sacco di non poter ricambiare i tuoi
sentimenti, ma adesso stai esagerando! Non puoi semplicemente mandare a
fanculo
la band perché il tuo orgoglio maschile è ferito,
cerca di passarci sopra. Non
volevo ferirti o creare casini, se la mia presenza è davvero
così problematica
darò le mie dimissioni!”
“No!”
Urla Jack.
“Zitto, Jack! E tu, Alex… Capisco che tu sia
arrabbiato
con Zack, ma comportandoti come uno stronzo non risolverai nulla,
metà delle
correzioni che hai fatto al materiale di Zack erano un dispetto nei
suoi
confronti!
Basta, cerca di risolvere le cose come una persona civile
e non come un bambino.
Adesso alzatevi.”
I due mi ubbidiscono.
“Zack, scusati con Alex e digli che un comportamento del
genere non si ripeterà in futuro.”
Lui rimane in silenzio.
“Forza! O devo prenderti a calci in culo?”
Il bassista tende una mano in modo piuttosto meccanico.
“Scusa, Alex. Mi sono comportato peggio di una donna
mestruata e gelosa, cercherò di non farlo più in
futuro.”
Il cantante rimane a guardarlo torvo.
“Forza, Alex. Accetta le sue scuse e ammetti di essere
stato un po’ stronzo e vendicativo.”
“Devo proprio?”
“Vuoi mandare a puttane la band e un’amicizia per
una stronzata?”
Lui stringe – sempre in modo meccanico – la mano
del bassista.
“Scusa, Zack. Ieri ho esagerato con le correzioni
perché
ero arrabbiato con te, il materiale era buono e metà di
quello che ho scritto
erano cazzate.”
“Pace fatta?”
I due annuiscono.
“Bene, così posso rassegnare le dimissioni senza
pesi
sulla coscienza.”
“NO!”
Urlano tutti, inclusa la signorina Preston.
“Vi ho causato solo guai, perché volete che
rimanga?”
La signorina Preston mi appoggia una mano sulla spalla.
“Perché, ragazza, hai fatto filare questi
scapestrati
come un generale degli Stati Uniti il suo plotone e questa è
una dote più unica
che rara. Ero scettica su di te, ma ora mi sono ricreduta, tu sei
quello di cui
questi ragazzi hanno bisogno: un domatore.”
“Non siamo animali da circo!”
Commenta offeso Jack, la signorina Preston gli punta un dito contro.
“Tu, bevi troppo e sei quasi sempre sbronzo. Alex
è
sempre in ritardo e nasconde un lato molto stronzo dietro quel sorriso
da
impunito. Zack è permaloso e si scalda per niente, in quanto
a Rian non riesco
a trovargli un difetto, ma anche se ne avesse uno Karima saprebbe come
trattarlo.”
I quattro rimangono muti, nemmeno io riesco a dire una parola.
“Ed è questa la ragione per cui non darai le
dimissioni.”
La signorina lascia lo studio.
Forse io so domare i ragazzi, ma lei sa domare tutti noi
e forse è questa la ragione per cui lavora qui.
Sì, penso proprio che sia questa la ragione.
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Capitolo 14 *** 13)Sa di adolescenza. ***
13)Sa di adolescenza.
Karima
p.o.v.
Domenica è
arrivata e posso dormire fino a tardi.
Quando mi
sveglio il pallido sole autunnale illumina la stanza, ricordandomi che
Halloween è dietro l’angolo e che devo comprare
una zucca.
Mi stiracchio
come un gatto, non ho voglia di mettermi a cucinare per pranzo, quindi
penso che andrò al
Mac Donald che c’è in fondo alla via e
usufruirò del loro menù brunch.
Oggi comunque
devo cucinare lo stesso, Jack verrà da me nel tardo
pomeriggio per mangiare la knafeh
e devo cucinarla. Per fortuna ho preso
tutti gli ingredienti: pasta kunafah (o kadaif) in un
supermercato
etnico, burro, acqua, zucchero, ricotta, acqua di fiori d'arancio e
succo di
limone.
Mi alzo, mi faccio una doccia, indosso una vecchia
maglietta dei blink-182, jeans strappati, una vecchia felpa nera, gli
anfibi,
poi prendo la borsa militare e il mio golf rosso lungo e peloso.
Sto per uscire quando suonano alla porta, io apro e mi
trovo davanti mia zia.
“Ah, ciao.”
Dico un po’fredda.
“Stavi uscendo?”
“Sì, in realtà. Stavo andando al Mac
per il brunch, non ho voglia di cucinare.”
“Vengo anche io. Tom è da sua madre con i
bambini.”
"E come mai non ci sei andata anche tu?”
Lei striscia le scarpe con il tacco.
“Beh, volevo parlare con te, ma visto che Tom è
ancora
arrabbiato e non vuole che nessuno di noi parli con te gli ho detto che
non
stavo bene.”
“Se è ancora arrabbiato non vedo la ragione della
tua
visita, zia. Io non ho intenzione di rinunciare a Jack per la sua
assurda
gelosia.”
“Lo so che non scusa il suo comportamento, ma Tom
è preoccupato per te.”
Io sospiro.
“Andiamo al Mac prima che finisca tutto, tanto la
commedia possiamo recitarla anche lì.”
“Karima, sei così
uguale a Daniel che
a volte mi spaventi. Anche lui non voleva che la gente gli dicesse cosa
fare, è
stato uno skater e un punk come Tom.”
“Dimmelo davanti a del cibo, perché non ce la
faccio a sopportare queste
reminiscenze a stomaco vuoto.”
Dico con la mia solita voce fredda.
“Sì, sei proprio
sua figlia. Una parte di lui vive in te.”
Io mi blocco come se mi avessero dato uno schiaffo.
“Lui è morto,
andato, perduto, nulla lo riporterà qui.
Che ci sia
qualcosa dopo la morte o non ci sia, lui è in un posto dove
non possiamo
contattarlo, ha lasciato questo mondo.”
“No, Karima. Le persone lasciano davvero questo mondo solo
quando nessuno si
ricorderà più di loro e saranno un nome su di una
lapide senza che nessuno ne
conosca la storia.
Finche Daniel è
nei nostri ricordi, finché rivive nel tuo carattere testardo
e indipendente come
il suo, mio fratello non ha lasciato questo mondo.”
Io stringo i pugni.
“Va bene, zia.
Come vuoi.”
“Lo so che non mi credi, lo so che sei arrabbiata, ma quando
la rabbia se ne
sarà andata vedrai che c’è della
verità nelle mie parole.”
Io non rispondo e mi incammino a passo svelto verso il locale, ordino
il menù
brunch e poco dopo mi trovo il vassoio riempito di un assortimento di
cibi
dolci e salati: pancakes, cheesecakes, muffins al cioccolato, un panino
al
prosciutto e formaggio, cipolla fritta, uova e bacon, oltre a una tazza
di
caffè e una di latte.
Inizio a
mangiare il panino in silenzio.
“Cosa ti stavo
dicendo di tuo padre?
Ah, sì! Lui era
uno skater e un punk, adorava tuo padre al liceo, era il suo modello,
ma quando
Tom mi ha ferita tradendomi lui non ha esitato un secondo a stare dalla
mia
parte. Io ero la sua sorellina e Tom lo stronzo che mi aveva ferita.
Tu sei come lui,
Jack è il ragazzo che ami e senti il bisogno di proteggerlo
dai giudizi
negativi di Tom e questo prova il fatto che tuo padre non ci ha del
tutto
lasciati e nemmeno tua madre.
Lei ha fatto
quello che hai fatto tu: si è messa contro la sua famiglia
per il suo amore.”
Io sbatto la mia tazza sul tavolo facendo voltare qualche avventore.
“Sono morti, zia.
MORTI.
Dire che loro
vivono in me non mi fa stare meglio, mi fa solo stare peggio. Loro
avevano
tante cose da fare e da dare al mondo, io invece non ho fatto che
lasciarmi
condurre dalla vita senza un vero obbiettivo. La mia vita non serve a
nulla, la
loro sì.
Avrei dovuto
morire io al loro posto.”
Lei impallidisce.
“Karima, non
dirlo mai più! Aida e Daniel ti volevano un mondo di bene e
non avrebbero
voluto sentirti parlare così.”
Io sospiro di nuovo.
“Sono morti, non
conta più ormai.”
“No, conta. Che ti piaccia
o no tu sei
quella che porta la loro eredità e non devi pensare queste
cose.”
Io abbasso lo sguardo.
Non può dirmi
cosa pensare, anche perché sono mesi che macino questi
pensieri.
“Karima, da
quanto le pensi?”
“Non ha alcuna
importanza. Perché sei venuta da me?”
Adesso è lei a essere a disagio.
“Quello che è
successo tra te e Tom ha creato una frattura nella mia famiglia, Ava e
Jonas
sono arrabbiati perché lui ti ha fatto andare via.”
“Non per colpa
mia.”
Ribadisco iniziando a mangiare le uova con il bacon.
“Lo so. Karima,
ti prego! Cerca di capire Tom, lui lo ha fatto per
proteggerti.”
“E come andrà
avanti questa storia?
Tom pensa che io
sia ancora quella marmocchia poppunk a cui insegnare come suonare il
basso e a
fare skate?
Beh, notizia
straordinaria! La marmocchia ha ventotto anni e non ha più
bisogno della
protezione dello zione, che forse farebbe meglio a badare ad Ava che
ormai è
un’adolescente.”
“Lo so, Karima. Ma lui non riesce a capirlo.”
“E cosa ti aspetti che faccia?
Che smetta di vedere
Jack, vada a casa sua e mi prostri ai suoi piedi chiedendogli scusa?
Beh, no,
grazie.”
“Karima, è solo
un ragazzo.
La famiglia è
più importante.”
Io non dico nulla e infilo quello che resta della mia colazione in una
borsa di
plastica.
“Scusa, devo andare
a casa. Ho delle cose da fare e non ho tempo da perdere con una persona
che non
ha fatto altro che manipolarmi parlandomi di mio padre per ammorbidirmi
e farmi
fare quello che vuole. Forse non raccolgo né porto avanti
l’eredità dei mie
genitori, ma una cosa la so: mio padre sarebbe stato disgustato da
simili
maneggi.
Siete liberi di
dimenticarvi dov’è casa mia e di me fino a quando
non tornerete a essere
persone mature e in grado di rispettare le decisioni degli altri. In
quanto
alla frattura nella tua famiglia vai da un ortopedico.”
Mi alzo.
“Karima…”
“Ciao.”
Dico brusca e lascio il locale.
Ho un amaro in
bocca che è la fine del mondo.
A casa finisco
di mangiare i pancakes, la fetta di cheesecakes, i due muffins al
cioccolato e
la cipolla fritta. Il latte e il caffè li ho bevuti per
strada, non c’è nulla
di meglio dei pancakes con lo sciroppo d’acero per farmi
passare i malumore,
oltre a una sigaretta.
Adesso non resta
che preparare il dolce, faccio sciogliere il burro e lo lavoro insieme
alla
pasta che è una matassa indefinita, poi ne metto
metà in una grossa teglia
imburrata.
Preparo lo
sciroppo: zucchero, acqua, succo di limone in un pentola e via si
mescola a
fuoco medio fino a ottenere un sciroppo denso e fluido che rimane
attaccato al
cucchiaio.
Mi sento quasi
una strega.
Adesso aggiungo
l’acqua di fiori d’arancio, la mescolo e la lascio
cuocere ancora due minuti.
Poi la tolgo dal
fuoco, la lascio raffreddare e la metto in frigo.
Sorrido,
ricordandomi quando aiutavo mia madre a farla per il mio compleanno o
per altre
occasioni speciali come il compleanno di papà.
Ora passo al
ripieno, lavoro la ricotta con una forchetta e la dispongo sulla pasta,
poi la
ricopro con la pasta avanzata.
La appiattisco
bene con le mani e la cuocio in forno per un’ora a circa 160
gradi, poi alzo la
temperatura a 220 gradi fino a quando la superficie non è
ben dorata.
La tolgo dal
forno e verso subito lo sciroppo freddo sulla superficie, poi la
guarnisco a
piacere con dei pistacchi.
Mi stiracchio,
mi faccio una doccia, mi metto un vestitino di cotone lavorato a pizzo
con le
maniche lunghe, un paio di anfibi argentati e poi esco in terrazza a
fumarmi
un’altra sigaretta, improvvisamente molto nervosa.
E se a Jack non
piacesse? E se mia zia avesse ragione?
La mente mi dice
che potrebbe essere così, ma il cuore dice
un’altra cosa, per la prima volta in
vita mia si fa sentire e mi dice di avere fede, di aspettare e che
tutto andrà
bene e che riavrò la mia anima anche se non sarà
facile o indolore.
Finalmente il
campanello suona e io vado ad aprire la porta, lui indossa un semplice
giubbotto di pelle e un paio di jeans neri stretti.
“Wow! Come mai
così elegante?”
“Così, mi andava.
Forza, vieni. È
pronto.”
Lui mi afferra
per un polso e mi fa voltare verso di lui e guardandolo negli occhi mi
sento
stranamente nuda.
“Karima, cosa
c’è?
Oggi sei
strana.”
“Sono sempre strana.”
“Oggi lo sei più
del solito.”
“Non ho nulla, davvero.”
Lui stringe gli occhi a fessura.
“Karima, non
mentirmi, per favore.”
“Perché vuoi saperlo, Jack?
Non è una cosa
importante, a volte capita di essere di malumore.”
“Lo so, ma penso che questa cosa sia importante.”
Io sospiro.
“Ok. Stamattina
mi sono svegliata tardi e ho deciso di fare brunch al Mac
all’angolo, solo che
quando stavo per uscire mi sono trovata mia zia sulla porta.
Mi ha fatto
capire che dovevamo parlare e siamo andate al Mac, lì ha
iniziato a parlarmi di
mio padre, di come io gli somigli e di come io abbia il dovere di
portare
avanti l’eredità dei miei genitori.”
“Nulla di strano fin qui.”
“No, infatti.
Solo che ha fatto tutti quei bei discorsi per un motivo: farmi capire
che la
famiglia è più importante di una banale storia
d’amore e che dovrei lasciarti.”
“Cosa?”
“Sì. Mi ha detto che il fatto che mio zio mi abbia
cacciato da casa sua ha
causato una specie di lacerazione nella sua famiglia perché
i suoi figli si
sono arrabbiati con loro padre.
Mi ha fatto un
lungo e articolato discorso su mio padre, condito di reminiscenze
infantili e
adolescenziali solo per dirmi che la famiglia è
più importante di tutto.
E in nome della
famiglia dovrei lasciarti, così tutto tornerà a
posto.
L’ho mollata al
Mac, io sono stufa di tutte queste interferenze e da lei non me lo
aspettavo.
Insomma so che
mio zio è iperprotettivo, che mi vede ancora come la
ragazzina che aveva
bisogno di consigli dallo zio figo, ma mia zia… Lei non
è mai stata una tizia
da sotterfugi o manipolazioni e non mi aspettavo che tirasse in ballo i
miei
genitori.
Ok, forse non
sono la figlia migliore del mondo o la più adatta a portare
avanti la loro
eredità fatta di amore, amore e altro amore, ma so che non
avrebbero voluto
essere usati per questo.”
Mi accendo una sigaretta nervosa.
“Scusa, forse
essere coinvolto in questo dramma assurdo non è quello che
volevi. Mettiti al
tavolo e aspetta che ti servo la knafeh.”
Mi alzo dal divano su cui ci eravamo seduti, lui mi
afferra per un polso.
“Ehi, mi piace mangiare, ma con me puoi parlare se
vuoi.”
“Jack, si raffredda. Tiepida è più
buona.”
Lui mi guarda confuso.
“Io non ti capisco, Karima.”
“Ascolta, per me è tutto nuovo.
Non ho mai litigato seriamente con la mia famiglia.
Niente liti o ribellioni adolescenziali, niente di niente.
Apatia, apatia e ancora apatia.
Adesso invece sto sperimentando quello che le persone
normali sperimentano a quindici anni tipo il sentirsi soli contro il
mondo e
non avere nessuno accanto. E poi non ho mai avuto un vero amico o un
confidente
e non so come ci si comporta.
Se poi ci aggiungi che tu mi piaci, potrai capire come io
non sappia più cosa fare perché è
tutto nuovo.
Ho ventotto anni, dovrebbero lasciarmi fare i miei sbagli
o prendere le mie decisioni, ma allo stesso tempo mi sento vulnerabile.
Ho la testa che mi scoppia, per favore possiamo almeno
mangiare?
Forse con la pancia piena le cose mi appariranno in una
prospettiva diversa.”
“Ok. Non hai mai parlato così tanto,
wow!”
“Scusa.”
“Non ho detto che è una cosa negativa.”
Io gli sorrido lievemente.
“Dai, mangiamo questo dolce. Forse dopo ti sentirai
meglio, non hai detto che è un dolce speciale?”
“Sì, lo mangiavano ai compleanni e nelle occasioni
speciali.”
Lui si siede finalmente al tavolo e io servo la knafeh tagliandone due
fette
abbondanti.
“Io l’ho già vista.”
“Uh?”
Adesso è il mio turno di guardarlo confusa.
“Non mi ricordavo il nome, ma l’ho già
vista e mangiata.
È stato quando la mia bisnonna è venuta dal
Libano poco prima di morire.”
“E ti era piaciuta?”
“No, ma secondo la mia bisnonna la mamma l’aveva
cucinata da schifo. Diceva che
gli occidentali non sapevano cucinarla.”
“Oddio!”
Mi porto le mani davanti al volto, un altro passo sbagliato.
“Karima, è tutto ok. Sul serio, mia madre non
sapeva
cucinare le cose orientali, ci metteva tutto il suo impegno, ma il cous
cous o qualsiasi
altro piatto arabo non
le è mai venuto bene.”
“Ok.”
Lui mi sorride e stacca un pezzetto con una forchettina, poi se lo
mangia.
“Uhm, buona!”
“Lo dici per tirarmi su?”
“No, sul cibo non mento mai. Sono uno stronzo, se fa schifo
lo dico e lo
imparerai quando andremo in tour.”
“Quindi ti piace sul serio?”
“Sì, la mia bisnonna avrebbe approvato, peccato
che sia
morta.”
“Mi dispiace.”
“Lei ha vissuto la sua vita ed è morta serena, mi
ricorda ancora come un tenero
bambino e non come un danno con le gambe e la chitarra.”
“Lei ti vede e ti vuole bene anche adesso.”
“Credi alla vita dopo la morte?”
“Più o meno.”
Continuiamo a mangiare il dolce e capisco che Jack dice la
verità quando chiede
una seconda fetta.
“Quindi pensi che la mia bisnonna sappia tutto quello che
ho combinato?
Credi che approvi?”
“Sei felice?”
“Sì.”
“E allora approva, di solito le nonne vogliono la
felicità dei loro nipotini.”
Lui mi sorride.
“Grazie, Karima.”
“Di niente, Jack.”
“Tu non li hai conosciuti i tuoi nonni?”
“Ho conosciuto quelli paterni, anche se non li vedo molto,
quelli materni no.
Non hanno mai accettato il matrimonio dei miei genitori
né me, mamma pensa che il fatto che io non abbia
un’anima sia una punizione per
essermi sposata senza il consenso della sua famiglia.”
“Oh. Io non sono un esperto di religioni, ma non penso
che sia così, ci deve essere un altro motivo.
Forse ti ha reso speciale per provare un grande amore, di
quelli che la gente comune se li sogna.”
“Grazie, Jack.”
“Di niente.”
Guarda l’orologio.
“Io adesso devo andare a casa, posso prendere un
po’ della
knafeh?”
“Sì, certo.”
Mi alzo e metto un paio di fette in una teglia, poi la avvolgo nella
carta
stagnola.
“Mettila qualche minuto nel microonde e dovrebbe
bastare.”
“Va bene.”
La prende in mano e poi mi guarda in modo indecifrabile per qualche
secondo.
“Karima, verresti a un appuntamento con me?”
“Cosa?”
Chiedo, presa alla sprovvista dalla sua domanda.
“Sai, uscire insieme io e te. Magari una cena e poi un
cinema o quello che vuoi.”
“Oh, sì, certo. Sì, vengo.”
Lui mi rivolge di nuovo quello sguardo imperscrutabile.
“Come mai hai esitato e fatto quella domanda?”
“Non me lo aspettavo semplicemente. Con Adam è
stato più
semplice, perché, pur volendogli molto bene non
c’era in gioco il cuore.
Dio, con te mi sento una quindicenne alla prima cotta.”
“Ehi, va tutto bene. Per me è lo stesso.
Te l’ho già detto che mi intrighi, che sei come un
mistero che devo risolvere e questo mi rende vulnerabile. Non so come
comportarmi, di solito sono un ragazzo che usa le ragazze, ma
– per quanto
sembri un cliché – tu sei diversa.
Io non voglio usarti.”
“Grazie mille o ti avrei preso a calci.”
Lui ride.
“Sapevo che l’avresti detto.”
“Sono prevedibile?”
“Sei te stessa e questa cosa mi piace, di solito le ragazze
si atteggiano
quando sono con me, fanno le oche o le fan o altro. Tu invece sei te
stessa e
non ti fai problemi.”
Io alzo le spalle.
“Che senso ha fingere? Prima o poi le maschere cadono e i
veri colori si svelano.”
“Sì, hai ragione.
Cosa ne dici di sabato prossimo a cena?”
“Dico che mi va benissimo.”
Gli do un bacio sulla guancia, lui si sposta e finisco
per dargli un bacio sulla bocca, so che dovrei staccarmi da lui, ma le
sue
labbra sono troppo invitanti e finisco per approfondire il bacio.
Quando ci stacchiamo siamo entrambi rossi e sorridenti.
“Anche questo sa di adolescenza.”
Lui mi fa l’occhiolino e poi se ne va, io rimango sullo
stipite della porta
toccandomi le labbra che sanno ancora di lui.
Ok, sarà anche adolescenza, ma mi fa stare benissimo.
Mi sento sulla proverbiale nuvoletta rosa, speriamo che
cadere non faccia troppo male.
Torno nel mio appartamento.
In qualche modo andrà, inutile preoccuparsi.
In qualche modo andrà.
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Capitolo 15 *** 14)Non smettere mai di ribellarti. ***
14)Non smettere
mai di ribellarti.
Karima p.o.v.
La mattina dopo mi sveglio con un enorme sorriso sul
volto, il che è quantomeno strano.
Sono una di quelle persone che grugniscono come orsi
prima del caffè e diventano completamente umane solo verso
le undici del
mattino.
In ogni caso mi faccio una doccia, indosso un paio di
jeans, una maglietta con una zucca di Halloween e una felpa nera con le
ragnatele sui gomiti.
Prendo l’attrezzatura e vado alla casa discografica,
purtroppo per me l’unico membro della band presente
è Zack. L’imbarazzo è
palpabile, io prendo il secondo caffè della giornata e non
dico nulla, lui fa
lo stesso e rimaniamo seduti nella saletta fino a che – a
sorpresa – non arriva
Alex.
Questo fornisce a Zack la giusta scusa per andarsene.
“Gli passerà, Alex?”
“Se la farà passare, non vedo altre soluzioni, tu
ormai esci con Jack.”
“La cosa è così di dominio
pubblico?”
“No, è che sono il suo migliore amico, mi dice
tutto.
Ieri avete mangiato un dolce insieme, è stato molto
carino, almeno non si è sbronzato.
Mi ha detto anche una strana cosa: adesso è sulla lista
nera di Tom DeLonge.”
Io sbuffo.
“Oh, quello! È che mio zio non approva la nostra
relazione, pensa che Jack sia un puttaniere che vuole solo
scoparmi.”
“Beh, Jack non è il tipo più romantico
e adatto alle relazioni di questo mondo,
ma da quando sei entrata nella sua vita non cerca più
scopate da fine
settimana.”
“Non so se sia una bella cosa o no.”
“Lo è. Almeno non rischia di prendersi qualche
malattia venerea o ingravidare
qualcuna.
Ho saputo che avete un appuntamento sabato prossimo,
quasi non ci credevo.
L’ultima volta che è uscito con qualcuna per fare
qualcosa di serio è stato al liceo.”
“Whoa.”
“Esattamente la mia reazione.”
“Su cosa?”
Una terza voce si inserisce nella conversazione ed è
quella di Jack.
“Su come Jack Barakat, il re delle one night stand,
sabato andrà a un appuntamento.”
“Vi ho sconvolto tutti, vero?”
Se la ride, poi si siede accanto a me e mi dà un bacio a
stampo che mi fa arrossire di piacere.
“Diabetici.”
Esclama Alex fintamente disgustato.
“Jack, grazie, ma forse è meglio non dare
dimostrazioni
pubbliche d’affetto qui. Zack potrebbe rimanerci male, la
ferita è ancora fresca.”
“Sì, hai ragione.”
Mi risponde lui.
“Non hai una cugina che ti somiglia?”
“Non lo so, la famiglia di mia madre non l’ho mai
incontrata e poi dubito che
una famiglia musulmana possa permettere alla loro figlia di uscire con
una
rockstar.”
“Forse, ma magari in questi anni sono cambiati.”
Io alzo le spalle.
Se persino una rockstar ha dei pregiudizi su di un’altra
rockstar, come può non averli una famiglia tradizionalista
come la mia?
“Lazzaroni, è ora di iniziare a
lavorare!”
La voce allegra di Rian ci fa alzare e ci dirigiamo allo studio, loro
iniziano
a lavorare sulle canzoni e io a fotografarli.
Lavoriamo tranquillamente fino a mezzogiorno, poi ci
prendiamo una pausa e per la prima volta accetto di mangiare con loro.
Mi
diverto persino, Alex e Jack sono una specie di duo comico, se fossi
una
ragazza normale avrei paura di un rapporto così forte, ma
qualcosa in fondo al
cuore – forse i miei sentimenti che Jack possiede –
mi dice che sono solo amici
e che non c’è nulla da temere.
Finito il pranzo fumo una sigaretta con Rian e guardo
Zack che si tiene a distanza da tutti.
“Per quanto durerà?”
“Zack? Non lo so sinceramente, non mi ha mai parlato di
quanto fosse profonda
la sua cotta per te.”
“Mi dispiace per lui.”
“Anche a me, ma non possiamo farci nulla.”
Io sospiro.
Ha ragione lui, nessuno può farci nulla.
“E la tua storia con Jack come va?”
“Non è proprio una storia, non ancora. Sabato
avremo il nostro primo vero
appuntamento e vedremo come andrà, per adesso siamo ancora
amici.”
“Uhm, intanto però lui ha smesso di cercarsi una
ragazza diversa ogni fine
settimana e beve di meno e tu sembri accenderti quando ce
l’hai attorno.”
“Lui ha la mia anima.”
Lui mi rivolge uno sguardo confuso e io gli spiego la teoria della
zingara su
dove sia la mia anima.
“È un po’ folle.”
“Lo so, ma sento che è così. Anche io
provo dei sentimenti quando sono con
lui.”
“Capisco o almeno credo. Ma ti rendi conto che stai
giocando con il fuoco?
Jack può ferire e molto, anche se mai in modo
intenzionale.”
“Lo so che non è tagliato per le relazioni serie,
ma in qualche modo credo che
ce la faremo.
Sarà quello che sarà, sono disposta a soffrire
per
riavere la mia anima.”
“Ehi, Rian! Smettila di flirtare con Karima o lo dico a
Cass.”
Jack si intromette nella nostra conversazione e mi passa un braccio
attorno ai
fianchi.
“Qualcuno qui è geloso!”
Jack sbuffa.
“Jack Barakat non è mai geloso, sono solo amico di
Cass.”
“Pff! Gelosone!”
Rian si allontana ridendo, lasciandoci da soli.
“Sei davvero geloso, Jack, o è solo
scena?”
“Un
po’ sono geloso ed è strano perché
non mi è mai successo e so che Rian è un amico
fedele, non mi farebbe mai del
male.”
“Un po’ ti invidio, sei circondato da buoni
amici.”
Dico con una punta di tristezza nella voce.
“I miei amici possono diventare i tuoi, se vuoi.”
“Mi piacerebbe, ma se dovessimo mollarci sarebbe
imbarazzante.”
Lui mi scompiglia i capelli.
“Smettila di pensare al peggio e goditi il momento, era
quello che ci eravamo promessi, no?”
“Hai ragione.
Gli dico sorridendo.
È inutile preoccuparsi delle cose prima che accadano.
Il pomeriggio passa tranquillamente, i ragazzi
registrano, si scambiano idee in modo civile e il lavoro prosegue. Gli
screzi
dei giorni precedenti sembrano essere stati dimenticati ed è
una buona cosa, i
miei sentimenti si manifestano in modo intermittente come sempre quando
c’è
Jack in giro.
Ogni tanto ho le palpitazioni e ho attacchi di
insicurezza cosmica, altre volte sono nel mio solito stato apatico in
cui nulla
può scuotermi.
Finiscono di registrare verso le otto di sera, si salutano
tutti con grandi pacche sulle spalle e poi se ne vanno tranne Jack che
rimane
seduto in un angolo a osservare me che metto via la mia attrezzatura.
“Mi raccomando non aiutarmi!”
“Hai detto tu che non lasci toccare la tua preziosa
attrezzatura a dei profani.”
Mi dice sornione e io mi mordo la lingua.
È vero, l’ho detto e ciò giustifica il
suo starsene in
panciolle, una volta finito gli consegno una delle mie borse.
“Trattala bene.”
Borbotto.
“Cos’è? Un segnale segreto di fiducia o
un tentativo di
avere un motivo per uccidermi?”
“Entrambi.”
Saluto la signorina Preston ed esco nel parcheggio, fuori è
già buio e c’è una
brezza fredda che mi fa sorridere.
“Arriva.”
“Chi?
“Halloween.”
“Patita di Halloween?”
“Ovvio che sì, è la mia festa
preferita.”
“Non so perché, ma me lo immaginavo.
Beh, visto che hai tirato fuori l’argomento te lo
chiedo.”
“Cosa?”
“La casa discografica organizza un party di Halloween,
sarebbe due giorni prima della nostra partenza. Ti va di venire con
me?”
Io quasi inciampo, ma fortunatamente non cado per terra.
“Certo, da cosa ci vestiamo?”
“Con quei capelli potresti essere Beetlejuice.”
Io sbuffo.
“E tu cosa vorresti essere, Lydia?
Scordatelo, non ti cederò mai un vestito del genere,
sarà
il mio vestito di nozze.”
Lui sbuffa.
“Ok, ok. Mai mettersi tra una ragazza e le sue dannate
fantasie sulle nozze, farò io Beetlejuice e tu sarai
Lydia.”
“Yay!”
“Attenta alla macchina.”
Mi prende bonariamente in giro lui.
“Scemo. Mi inviti a una cena e poi a un party e ti
aspetti che io rimanga salda sulle mie gambe?”
“Pensavo avessi un po’ più di coraggio
rispetto alle
ragazze normali.”
“Tutte le ragazze diventano un po’ deboli davanti
al ragazzo che gli piace.”
Snocciolo mentre apro il baule della mia macchina e poi appoggio
delicatamente
la borsa, Jack fa lo stesso.
“Immagino sia così, anche noi ragazzi ci sentiamo
stupidi
davanti alle ragazze che ci piacciono, soprattutto se sono
carine.”
“Allora puoi depennarmi dalla seconda parte.”
“Io non sono d’accordo.”
Io arrossisco.
“Sei carino, ma guarda che so che non sono una bellezza,
non una di quelle che frequenti di solito almeno.”
“Quelle vengono da me solo perché sono Jack
Barakat, quello famoso.”
“Non credo che la cosa ti dispiaccia.”
“No, non mi è dispiaciuta per un bel po’
di tempo, ma anche i più incalliti
donnaioli a un certo punto hanno crisi esistenziali.”
“Spero di non essere solo un rimedio temporaneo alle tue
crisi.”
Lui rimane in silenzio.
“Questo non lo so. Tu non avrai sentimenti, ma io non
sono un genio con i miei, ho sempre una guerra dentro e spesso non so
cosa fare
o faccio cazzate.”
“Grazie dell’avvertimento.”
Chiudo il baule, lui si avvicina, appoggia le sue mani
sulle mie guance, poi mi dà un bacio appassionato che mi
lascia senza fiato.
“Buona serata, Karima.”
Quel ragazzo sa proprio come confondere le ragazze.
Salgo in macchina sorridendo come un’ebete, esattamente
come stamattina, la cosa inizia a farsi strana anche per me.
Guido fino a casa mia, parcheggio e prendo la mia
attrezzatura, poi mi avvio verso il cortile. Su una delle sdraio
sgangherate
vicino alla piscina è seduta Ava, i lunghi capelli biondo
scuro che le coprono
parzialmente il volto.
“Ava?”
La chiamo incerta, lei alza la testa.
“Ciao, Karima.”
Mi siedo accanto a lei.
“Come mai sei qui?”
“Non mi andava di stare a casa.”
Io alzo un sopracciglio.
“C’è qualcosa che non va?”
“Tutto non va. Tutto.”
Sbotta lei.
“Vuoi salire da me così parliamo?
Non è il massimo discutere qui.”
“Va bene.”
Il cellulare le suona e lei lo spegne con il gesto impaziente tipico di
suo
padre quando non vuole essere disturbato.
Saliamo al mio appartamento e dopo aver deposto la mia
attrezzatura al suo posto chiamo la mia pizzeria preferita e ordino due
pizze a
domicilio.
“Cosa succede?”
“Sto scoppiando, Karima. Non ce la faccio più a
vivere in quella casa, è un
manicomio.
Papà lavora tutto il giorno, se non sono gli Ava
è
Strange Times, se non è quello è il suo giornale
sugli ufo o modlife o i libri
o Poet Anderson. Vede più Ilan Rubin che noi e mamma lo
giustifica.
Quando non è chiuso nel suo buco fa l’autoritario
con me,
controlla i miei amici e se c’è qualche ragazzo
che mi piace. Sono costretta a
nascondere il mio diario segreto in un posto diverso ogni giorno per
evitare che
lo legga. È così da quando te ne sei andata
tu.”
“Non capisco cosa c’entri io con tutto
questo.”
“Dice che con te ha fallito, che non è riuscito a
impedirti di stare con Jack
perché non lo rispetti abbastanza come autorità e
non vuole che succeda lo
stesso con me. Non capisco perché fa tutto questo casino per
Jack, è un figo
della madonna ed è simpatico.”
Io stringo le labbra.
“Lo considera un ragazzo che cambia ragazza ogni
settimana, un cattivo ragazzo o come diavolo si dice.”
“Perché lui cosa è stato? Pensa che non
legga le sue canzoni o quello che
scrivono su di lui?
Lo so che quando era a scuola cambiava ragazza ogni
settimana e che probabilmente metteva le corna alla mamma durante i
tour.
Oppure le dichiarazioni da idiota che faceva come se non avesse una
ragazza o
una moglie, forse pensa che io non lo sappia, ma lo so e trovo tutto
questo
ipocrita.”
“Lo penso anche io, ma non so cosa posso farci.
Me ne sono andata di casa per quello, perché a ventotto
anni non mi andava di sopportare le ingerenze di un uomo che una volta
non era
esattamente un santo, ma tu non puoi.”
“Lo so che non posso o l’avrei già fatto!
Non vuole che i ragazzi mi girino attorno, ma io ho una
cotta per uno e non so cosa farci, mi piace e basta, ma non posso
nemmeno
invitarlo a casa per fare i compiti o lui mi piomberebbe
addosso.”
Io sospiro.
“Beh, ho ordinato la pizza, almeno ci consoleremo
mangiando quella.”
“Da brave ragazze pop-punk.”
Dice amara lei.
“La pizza piace a tutti.”
“Mi manchi, almeno avrei potuto parlare con qualcuno. Mamma
mi dice di cercare di
capire papà, che fare i genitori non è facile.
Ok, ma nemmeno fare i figli lo è. Ho quattordici anni e
voglio provare a vivere come tutti senza sentirmi in colpa.”
“Chi era al telefono prima?”
“Mamma. Ho litigato con lei, ho saltato scuola quattro
volte perché ho delle persone che mi rompono le scatole e
insegnanti stronzi.
È quasi caduta la casa a suon di urla, come se mio padre
non avesse saltato scuola ogni due per tre, dice che non rispetto
più le regole, che
bado più ai miei amici che alla casa, che non devo avere un
ragazzo perché mi
distrarrebbe ulteriormente e bla bla bla.”
Alza gli occhi al cielo.
“Senti, io devo fare una telefonata. Puoi pagare tu il
pony pizza se dovesse arrivare?”
“Sì, certo. Karima, posso prendere una delle tue
sigarette?”
“Sì.”
Ne prendo una anche io ed esco in terrazza, la accendo e chiamo mia zia.
“Karima, come mai mi chiami?”
Il tono è seccato.
“Per dirti che Ava è qui e di non precipitarti qui
a
prenderla, peggioreresti solo le cose.”
“Cosa ne vuoi sapere tu?”
“Hai ragione, io non so niente di niente, ma so una cosa. Se
mettete qualcuno
sotto pressione come fate con lei prima o poi scoppia. Smettila di
giustificare
Tom e di pretendere tutto da tua figlia e inizia ad ascoltarla. Tutti i
dittatori cadono prima o poi, lo dice la storia.
Tom non può tarparle le ali perché non ce
l’ha fatta a
farmi mollare Jack, non ha un cazzo di senso, lo capisci?
Ha quattordici anni, fatela respirare un pochino o le
cose andranno peggio. Magari dalle sigarette passa alle canne e dalle
canne
alla coca e poi sono affari vostri.”
“Come gestiamo le nostra famiglia non è affare
tuo.”
“Hai perfettamente ragione, se volete creare
un’adolescente ribelle sono cazzi
vostri, ma adesso che è a casa mia segue le mie regole.
Ci mangiamo una pizza, parliamo un po’ e poi la riporto
al lager.
Te lo ripeto, ascolta un po’ di più quello che
vuole
invece di incolpare me dei problemi della tua famiglia.”
La sento ringhiare.
“D’accordo, Karima.”
Chiudo la chiamata, do un ultimo tiro alla sigaretta e poi spengo
rabbiosamente
il mozzicone nel posacenere.
Rientro in casa e trovo due pizze sul tavolo.
“Hai chiamato mia madre, vero?”
Mi chiede Ava.
“Dovevo. Cosa diavolo è successo alla tua famiglia?
Non la riconosco più.”
“Non la riconosco più nemmeno io, da quando
papà ha lascito i blink non sembra
più lui, vuole sempre darsi da uomo saggio e …
perfetto?
Sì, credo che la perfetto sia la parola giusta. Vuole
farsi passare per uno che non ha mai sbagliato e sappiamo tutte e due
che non è
vero, come un sostenitore dell’amore e questa è
una cazzata. La pizza si
raffredda, è meglio mangiarla.”
Finisce, troncando il discorso a metà, è proprio
arrabbiata.
Mio zio sta facendo proprio un buon lavoro come padre, mi
dico ironica, non so cosa diavolo gli sia preso e non sono sicura di
volerlo
sapere. Non è più la persona che ricordo e questo
mi rende molto triste, era
forte prima che finisse invischiato in tutta questa rete di cose e
diventasse
iperprotettivo tutto all’improvviso.
“Non posso rimanere a vivere da te?”
“Mi piacerebbe, ma hai i tuoi genitori
e…”
“Devo vivere da loro, ho capito. Se rimanessi qui sarebbero
capaci di
inventarsi che mi hai rapito o qualcosa del genere.”
Io annuisco.
“Ava, adesso ti do un consiglio che tuo padre non
approverà ed è questo: non smettere mai di
ribellarti. Se pensi che quello che
fanno i tuoi genitori sia sbagliato non smettere mai di dirglielo e di
opporti, una cosa non
deve piacerti solo perché la fanno tutti o perché
te la impongono i tuoi
genitori.
Ti interessa un ragazzo?
Continua a provarci con lui anche se questo fa arrabbiare
la tua famiglia, vivere sotto una campana di vetro non serve a nulla.
Sei
forte, sei più forte di loro, non possono impedirti di usare
la tua voce per
esprimere le tue opinioni. Non permettere mai a nessuno di farlo,
ok?”
“Ok. Grazie, Karima.”
Finita la pizza chiacchieriamo un altro po’, ci fumiamo una
sigaretta, poi lei
prende il suo zaino e io le chiavi della mia macchina.
“Non ho voglia di tornare a casa.”
“Comprensibile.”
“Posso tornare da te?”
“Certo, ogni volta che vuoi, solo dillo a qualcuno o si
scatenerà un altro
casino.”
Lei alza gli occhi al cielo.
“Ok. Grazie per avere ascoltato i lamenti di un
adolescente incompresa.”
La accompagno a casa e poi mi dirigo verso la spiaggia dove faccio una
lunga
camminata senza pensare a nulla, solo il rumore dell’oceano.
Sembra dirmi che non importa quante tempeste si possa
attraversare alla fine c’è sempre il sereno ad
attenderti.
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Capitolo 16 *** 15)La bambina che ero. ***
15)La bambina che ero.
Karima p.o.v.
Sabato è finalmente arrivato e con lui una cosa che non
ho mai sperimentato prima: l’ansia di andare a un
appuntamento.
Mi rado, faccio una doccia, asciugo accuratamente i miei
capelli notando con orrore che stanno sbiadendo in un verde pastello,
devo
assolutamente ritingerli e non ho tempo.
Sospirando mi metto la biancheria – nera, di pizzo, Lisa
mi ha consigliato di fare così – e
mi
avvolgo in un accappatoio e vado in camera mia e mi piazzo davanti
all’armadio.
Lo apro e ho una mezza crisi di nervi, nonostante sia
pieno di vestiti, non c’è nulla che vada bene per
l’occasione, mi metto le mani
nei capelli e chiamo Lisa. Lei mi ha detto di farlo nel caso ne avessi
avuto
bisogno.
“Pronto?”
“Ciao, Lisa. Sono Karima.”
“Ciao, aspettavo una tua chiamata. Sono da te in dieci
minuti.”
“Grazie, ti devo la vita.”
“Esagerata.”
“Voglio che Jack mi trovi carina.”
“Ok.”
La sento sorridere dall’altra parte del telefono.
Io sospiro di nuovo e mi accendo una sigaretta, in attesa
del suo arrivo.
Jack è stato piuttosto misterioso sul nostro
appuntamento, non ho idea di cosa aspettarmi, se un ristorante elegante
o una
pizzeria o altro.
Una decina di minuti dopo suona il campanello, è Lisa e
mi osserva.
“Vedo che hai seguito il mio consiglio.”
“Mi sembrava sensato.”
“Adesso andiamo a vedere il terribile armadio che tanto ti
spaventa.”
Io annuisco e le faccio strada verso la mia camera, lei apre
l’armadio e
comincia a frugare tra le miriade di t-shirts, jeans e leggins,
finché alla
fine non estrae trionfante un vestito.
È color verde acqua scuro sfumato con tonalità
più scure
e con un disegno di ragnatele nere, ha le spalline larghe e mi arriva
sopra il
ginocchio.
“Questo mi sembra ottimo, si adatta alla tua
personalità.
Chi te l’ha regalato?”
“Mia cugina, ha quattordici anni e non l’avevo
preso in
considerazione.”
“E hai fatto male. Forza mettitelo con un paio di
calze.”
“Okay. Potresti uscire?
Non mi piace cambiarmi davanti alla gente.”
Lei annuisce ed esce dalla stanza.
Io mi metto un paio di calze a rete nere e il vestito,
qui è autunno, ma non fa ancora freddo, basta che io metta
un coprispalle e un
giubbotto di pelle e starò benissimo.
Esco dalla mia camera e Lisa applaude.
“Passiamo alle scarpe, hai già
un’idea?”
“Sì, per quelle sì. Ho un paio di
stivali che amo alla follia.”
Torno in camera mia ed estraggo un paio di stivali argentati stile anni
’70 a
punta tonda, li mostro a Lisa che alza un pollice.
“Dove hai trovato una cosa del genere?”
“A Portobello, a Londra.”
“Quando sei stata a Londra?”
“Quando avevo quattordici anni. I miei hanno trascorso un
mese in Inghilterra,
due settimane siamo stati a Londra e poi sulla costa, a
Brighton.”
“Figo.”
Esclama lei.
Mi dà una mano con il trucco e i capelli, poi io mi metto
il coprispalle e tengo a portata di mano la giacca e la borsa.
“Ciao, Lisa e grazie.”
“Di niente, sei una delle ragazze a cui Jack si è
interessato veramente ed è un
piacere aiutarti.”
Se ne va a e io rimango da sola, chiedendomi se mi troverà
carina o solo pazza.
Ma che io sia pazza lo sa già.
“Beh, sono un casino e non posso cambiare questa cosa,
quindi sarò un casino attraente.”
Mi dico per farmi forza, tentando persino di sorridere.
L’effetto che mi fa questo ragazzo è sconvolgente,
mi fa
quasi paura, è luce che irrompe in stanza buie, vento che
scuote le foglie
d’autunno, eppure è lui che ha la mia anima, lo
sento.
Mi siedo sul divano e mi accendo una sigaretta, cinque
minuti dopo suona il campanello, io prendo il coprispalle, la giacca di
pelle e
la borsa.
“Arrivo!”
Urlo al citofono e chiudo a chiave il mio appartamento, dopo essere
uscita.
Scendo le scale, saluto una maliziosa Ana e poi vedo Jack
che indossa una semplice giacca di pelle nera sopra i jeans dello
stesso
colore.
“Pronta per la serata, mia signora?”
“Pronta, principe libanese.”
Lui sorride.
“Se io sono un principe libanese tu sei una principessa
palestinese.”
“Il mio stato non esiste.”
“Non importa, principessa.”
Dice aprendomi la portiera della macchina, io entro
sorridendo.
Entra anche lui e mette in moto sorridendo.
“Ho pensato a lungo a dove portarti, poi mi sono
ricordato di una pubblicità che ho visto e mi sono detto che
quello era il
posto perfetto per te.”
Ci dirigiamo verso la zona della spiaggia, parcheggiamo,
poi Jack ape un cancello che dà su un grande giardino,
qualcuno mangia fuori
sotto un albero decorato con vasetti che contengono candele.
Finalmente arriviamo davanti al ristorante e noto
finalmente di che tipo è: cucina mediorientale.
“Jack, è cucina mediorientale.”
“Visto il dolce che mi hai preparato, buonissimo tra
parentesi, ho pensato che
questo fosse l’ideale.”
Apre la porta.
“Dopo di te, principessa.”
C’è una hall non troppo grande, due sale e una
terrazza sul mare, una cameriera
vestita di bianco si materializza dal nulla.
“Buonasera, signori.”
“Buonasera, ho prenotato un tavolo per due a nome Barakat
sulla terrazza.”
“Certo, seguitemi.”
La donna ci scorta fino alla terrazza e noto che è proprio a
picco sul mare,
decorata con delle lucine.
“Quello è il vostro tavolo, spero che trascorrete
una
piacevole serata nel nostro ristorante, questi sono i
menù.”
“Grazie mille.”
La ringrazio, godendomi la fresca brezza dell’oceano, presto
farà troppo freddo
per cenare fuori.
“Io non conosco la cucina mediorientale e mi affido a
te.”
“Va bene.”
Faccio scorrere il menù e sorrido, so cosa prendere.
“Ok, per primo prenderemo la shorba. È una zuppa algerina di ceci
e pomodori,
arricchita con l’hararat, un mix di
spezie.”
Lui annuisce.
“Per secondo il kibbeh.
È un piatto di carne tipico della cucina libanese: sono
polpette a base di carne d’agnello, bulgur cioè
grano spezzato, cipolle, pinoli
e menta.
Poi se ci sarà spazio prenderemo il dolce, ho già
visto
qualcosa che potrebbe piacerti.”
Lui annuisce.
“Grazie per avere pensato a me per il piatto
libanese.”
“Di nulla.”
La cameriera arriva e ci sorride.
“Avete già deciso?”
“Sì. Due shorba per primo e due kibbeh.”
“Ottimo, volete da bere?
Vino?”
“No. Io direi della cedrata, tu che ne dici,
Karima?”
“Per me è okay e anche una bottiglia di acqua
naturale.”
La cameriera annuisce.
“Le bevande arriveranno presto.”
Se ne va lasciandoci da soli, dovremmo conversare, ma sento un nodo
all’altezza
dello stomaco.
Timidezza immagino.
“Com’è stato avere dei genitori che
giravano per il
mondo?”
Mi chiede Jack per spezzare il silenzio.
“Interessante. Non che mi portassero con loro,
perché
solo due incoscienti avrebbero portato una bambina nelle zone di
guerra, ma una
volta all’anno si prendevano un mese di vacanza e giravamo un
paese: il Regno
Unito, la Francia, l’Italia, la Spagna, il Giappone, ecc.
Abbiamo visto un bel po’ di posti.”
“E per il resto dell’anno?”
“Stavo con i nonni materni o dai DeLonge, tanto vivono tutti
a San Diego ed è
così che Tom DeLonge mi ha insegnato a suonare il
basso.”
“Wow. E la fotografia?”
“Quello è stato mio padre. Ogni volta che tornava
dalle zone dove operava aveva
sempre con sé un sacco di foto e io ne ero incantata. A
cinque anni mi ha messo
in mano la mia prima macchina fotografica e ha cominciato a insegnarmi
come
fare.
Mi diceva di fotografare quello che mi ispirava e poi
lentamente mi ha iniziato a delle tecniche vere e proprie. Quando
è arrivato il
momento di andare al college è stato naturale scegliere la
fotografia.”
“Capisco. Io non ho nemmeno pensato a cosa fare al
college, avevo la band, sapevo che la musica sarebbe stata la mia vita.
Non
volevo piani B perché credevo troppo nel piano A.”
“Hai fatto bene, guarda dove sei ora.”
“Dicono che la fortuna premi gli audaci o forse solo gli
incoscienti.”
“Non lo so.”
Dico in tono meditativo.
Chi premia davvero la fortuna?
Chi sta nel seminato o chi, come me, ha deciso di seguire
i suoi sogni?
Le cena è ottima
Jack gradisce molto la shorba e il kibbeh e persino il
dolce. Scelgo per entrambi Il mutabbaq, che è un dolce di
ricotta e pasta fillo
simile a quello che abbiamo mangiato a casa mia.
Con la pancia piena e sorridenti ci alziamo dal tavolo e
Jack mi prende per mano, le pulsazioni del mio cuore aumentano, ma
glielo
lascio fare, è un gesto che mi fa piacere.
Ovviamente paga tutto lui e nessuna delle mie proteste va
a segno, usciamo dal ristorante e saliamo in macchina.
“Dove andiamo adesso?”
Gli chiedo con una punta di esasperazione.
“Sorpresa, ma ti piacerà.”
“Va bene, ma potevi lasciarmi pagare.”
“Non lo sai che agli appuntamenti pagano sempre i
ragazzi?”
“Penso sia stupido.”
“Io penso si carino, brontolona.”
Inaspettatamente mi viene da ridere.
“Ok, hai ragione. Tu come hai cominciato con la
chitarra?”
“Come quasi tutti i ragazzi che amano il pop-punk: volevo
emulare la band di
tuo zio. L’estate dei miei quattordici anni ho lavorato
invece di divertirmi e
ho raggranellato i soldi per comprare una chitarra acustica e una
elettrica. Ho
preso qualche lezione e poi ho continuato da autodidatta
Poi ho incontrato Alex, poi Rian e Zac ed eccoci qui.
All’inizio pensavo di stare sulle palle ad Alex
perché era un ragazzino molto
chiuso, suo fratello era appena morto, ma alla fine siamo diventati
amici.”
“Devo credere al jalex?”
Lui ride.
“Hai fatto un giro su internet, eh?”
“Già, ho pensato che sarebbe stata una buona idea,
ma ho solo le idee più
confuse di prima.”
“Quella cosa non esiste, è solo uno scherzo a cui
le fan
abboccano. Fan service.
Alex si sposerà presto con Lisa e a me piacciono le
ragazze. Non credere a tutto quello che leggi su internet,
metà sono stronzate
create da persone troppo ossessionate da noi.
I rischi del mestiere.”
“Ti confesso che questa parte della tua vita mi fa un
po’ paura, non so se
riuscirei a sopportarne il peso. Io non sono tagliata per essere
diplomatica o
per queste cose, mi fanno venire i nervi.”
“Lo terrò a mente. Sei una ribella a modo
tuo.”
“Sì, non ce la faccio a dire che una cosa va bene
se penso che non vada bene.”
“Punk. Tom DeLonge ha trovato per i suoi denti.”
Io annuisco.
Poco dopo la macchina si ferma davanti a un lunapark.
“Wow!”
Esclamo io vedendo un’imponente ruota panoramica.
“Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto, è esattamente
all’estremità opposta a quello in cui di solito
vai tu.”
“Bella idea, non mi era mai venuto in mente di andarci.
Immagino di essere anche un’abitudinaria in fondo, legata ai
ricordi.”
“In questo momento è normale.”
“Già.”
“Spero di avere avuto una buona idea e di non avere creato
una fotocopia
dell’altra volta in cui siamo stati in un lunapark.”
Io scuoto le spalle.
“Non mi interessa, quello che conta è passare del
tempo
con te, mi piace molto.”
“Anche se sono una pericolosa celebrità?”
“Anche se sei una pericolosa celebrità, in fondo
sono la figlia di due persone
che hanno vissuto rischiando la loro vita per la maggior parte del
tempo. Devo
avere qualche gene di sconsideratezza.”
Jack ride e mano nella mano entriamo nel lunapark,
immediatamente la mia attenzione viene catturata dalla bancarella del
tiro a
segno.
“C’è qualcosa che vorresti
vincere?”
Chiedo a Jack.
“Ehy, dovrei essere io a chiederlo a te.”
Io scuoto le spalle.
“Ho voglia di sparare.”
“Spero non a me.”
Gli do un pugnetto sulla spalla.
“Scemo! Allora?”
“Mi piacerebbe vincere quella rana verde.”
“Oh, Keroro. Allora la vincerò.”
Pago al proprietario della bancarella un paio di tiri e
lui mi consegna un fucile caricato a salve, che il divertimento abbia
inizio.
Io prendo accuratamente la mira
e poi sparo due volte centrando due
diversi bersagli, il proprietario mi guarda sconcertato.
“Di solito sono i ragazzi a sparare e vincere qualcosa
per le loro ragazze.”
“Io sono una beduina e faccio tutto al contrario.”
Jack ride sotto i baffi.
“Beduina, eh? Da dove vieni?”
“Sono mezza palestinese.”
“Questo spiega un sacco di cose. Allora cosa vuoi?”
“Il pupazzo della rana e quella tartarughina.”
Lui mi consegna entrambe le cose e sbuffa, io mi allontano con un
sorriso.
“Come mai hai voluto la tartaruga?”
“Ma hai visto come erano tenute?
Tutte ammassate e con pochissima acqua! È un crimine
contro le tartarughe, per fortuna ho ancora tutte le cose di
Jasmine.”
“Di chi?”
“Della mia tartaruga, è morta due anni
fa.”
“Mi dispiace.”
“Non preoccuparti, so che è in un posto migliore e
che avrà accolto i miei
genitori alle porte del paradiso.”
Jack annuisce e si mette la rana a cavalluccio.
“Adesso si fa come dico io: montagne russe!”
“Figo, io le adoro!”
Esclamo saltellando come una bambina.
“Bene, pensavo che avresti detto di no. Dovremo evitare
che Bassam prenda troppi scossoni.”
“Bassam?”
“La tartaruga.”
“L’hai chiamata con il tuo secondo nome, che
megalomane!”
Jack ride.
“Come volevi chiamarla, beduina? Aladin?”
“Mh, forse.”
Lui mi prende per mano.
“Dai, andiamo alle montagne russe.”
Mi trascina con sé, mentre io sono ancora scossa da una
risata incontrollabile,
non mi era mai successo prima.
Jack compra i biglietti per un paio di giri e poi ci
mettiamo diligentemente in fila.
“Da quanto non vai sulle montagne russe.”
“Da un sacco di tempo, di solito vado sulla ruota panoramica
per calmare i
nervi.”
“Capisco, a me piace l’adrenalina che
danno.”
“Non so perché, ma lo avevo immaginato.”
“Sono prevedibile?”
“No, ma è come se riuscissi a capire anche quello
che non dici, se la mia frase
ha un senso.”
“Credo di capire. Beh, se io ho la tua anima, forse questa ti
comunica anche
quello che non dico.”
“Boh.”
Mi accendo una sigaretta intanto che aspettiamo.
“A che età hai cominciato?”
“Sedici anni. Zio Mark e zio Travis lasciavano sempre in giro
i loro pacchetti
di sigarette e io gliele rubavo. Un giorno la zia mi ha scoperto ed
è andata su
tutte le furie, ha fatto una lavata di capo ai compagni di band di suo
marito.”
“E poi?”
“Nulla. AI tempi mio zio era ancora un individuo ragionevole
e non un
cavernicolo e ha detto che non c’erano problemi, basta che
non esagerassi.”
Jack annuisce e arriva il nostro turno.
Saliamo sul lungo veicolo e ci allacciamo bene le
cinture, quando parte non
sembra possa andare
così veloce. Mi ricredo quando facciamo la prima discesa,
urlo come una pazza,
ma non ho paura, sono solo felice. Alzo le braccia al cielo urlando e
ridendo,
Jack fa lo stesso.
Non mi sono mai sentita così leggera in vita mia,
è come
se fossi tornata la bambina di dieci anni che amava le montagne russe,
godendosele in compagnia del suo papà.
Quando il primo giro finisce sono senza fiato e non posso
nemmeno abbracciare Jack come vorrei, così gli do un bacio a
stampo.
“Grazie mille, Jack.
Grazie per avere riportato qui la bambina che ero.”
“Di niente, tesoro.”
Il veicolo riparte e io mi godo anche il secondo giro, questo
appuntamento sta
andando benissimo.
Finito anche quello Jack mi aiuta a scendere e io posso
appendermi come un koala a lui.
“Grazie, è stata una pensata geniale.
Adesso dove andiamo? Alla ruota panoramica?”
“Oh, no! Adesso ce ne andiamo via da qui. Voglio portarti
in un posto.”
“Dove?”
“Segreto!”
Mi risponde lui con un ghigno.
“Dai, Jack!”
Lui si limita a sorridere e usciamo mano nella mano dal paco
divertimenti.
Chissà dove mi porterà?
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Capitolo 17 *** 16)Al diavolo! ***
16)Al diavolo!
Karima p.o.v.
Odio andare in un posto senza sapere dove sia di preciso.
La curiosità mi uccide, non posso fare a meno di
continuarmi a chiedere dove Jack mi porterà e con quali
intenzioni.
“Jack, dove mi porti?”
“Segreto.”
“Dai!”
Batto i piedi come una bambina.
“In un posto dove posso seppellirti in pace e dove non ti
troveranno mai.”
“Ah, è questo che fai alle tue ragazze!”
“Dalla prima all’ultima.”
“Quindi io sto uscendo con un serial killer! Che
emozione!”
Mi porto una mano al cuore con fare drammatico.
“Esatto, baby. Ma non dirlo in giro o la mia carriera
è
finita.”
Io rido.
“Scommetto che non riesci a maneggiare un coltello senza
tagliarti, figuriamoci fare a pezzi qualcuno.”
“In effetti ogni volta che metto piede in cucina la
California dovrebbe entrare
in stato di allerta, potrei dargli fuoco senza rendermene conto o fare
di
peggio. Io vivo di cibi pronti e di piatti che mi prepara la cuoca che
viene un
paio di volte alla settimana.
Una signora che potrebbe essere mia madre e che non fa che
ripetere che sono un disastro di ragazzo che dovrebbe trovarsi una
ragazza se
vuole sopravvivere.”
Io rido.
“Sei davvero così pessimo?”
“Sì, ecco perché piombo in casa ai
ragazzi appena posso. Non so quante cenette
ho rovinato a Lisa e Alex e a Cass e Rian. Ormai quei due hanno preso
l’abitudine di avvisarmi quando vogliono stare da soli o di
non rispondere al
campanello.”
“Povero Jack!”
“Sì, povero idiota. Ma forse sto per smettere di
essere la piaga della band.”
“Cosa vorresti dire?”
“Oh, nulla. Lo scoprirai presto, comunque.”
“Odio i tizi che fanno tanti misteri per nulla come
te.”
“Ma ti attizzano o mi avresti lasciato perdere.”
Io sospiro e alzo una mano portandomi l’altra al cuore.
“Sì, vostro onore. Mi avete scoperto.”
Jack ride come un matto, ma non mi dice dove siamo diretti, che rabbia!
Si dirige fuori città, forse vuole davvero uccidermi?
Sì, come no. In realtà Jack Barakat è
un moderno Jack lo
Squartatore e nessuno ha ancora scoperto le sue vittime. O forse vuole
fare
l’amore con me?
La cosa mi riempie di emozioni contrastanti, da una parte
vorrei, dall’altra non mi sento ancora pronta. E se mi
violentasse?
No, impossibile. E se ci provasse so difendermi meglio di
lui che mi sembra poco coordinato e non eccessivamente forte.
“Siamo arrivati.”
Mi dice la voce ironica di Jack.
“Ok.”
Rispondo io con aria stordita.
“A cosa stavi pensando? A come scappare dal serial killer
o evitare di essere
violentata dal
mostro Barakat?”
Io arrossisco di botto.
“Come fai a saperlo?”
Lui si gratta la testa.
“Non lo so di preciso, qualcosa mi dice cosa pensi e cosa
senti, il che a volte è imbarazzante perché io
sono un ragazzo e nemmeno molto
romantico. Stasera però è stato divertente,
quando scleri sei tenera.”
Io non riesco più a dire nessuna parola e ormai sono viola
per l’imbarazzo, lui
scuote la testa e mi prende per mano.
Lo seguo e ci ritroviamo in una piccola spiaggia con la
sabbia bianchissima circondata da cespugli che – nonostante
sia autunno – sono
ancora pieni di fiori bianchi illuminati dalla luna, che è
altra in cielo. Si
sente il rumore lento e ritmico del mare, il profumo della salsedine
attenuato
da una brezza fresca e da quello dei fiori.
Tolgo gli stivali e la giacca, chiudo gli occhi e alzo le
braccia al cielo e inizio a ballare godendomi la sensazione della
sabbia
morbida e calda sotto i piedi.
All’improvviso sento il click di una fotografia scattata
e noto che Jack ha in mano il suo cellulare, mi fermo e lo guardo.
“Eri bella, sembravi una sirena uscita
dall’acqua.”
“Ero solo imbarazzante.”
“No, eri come in quella canzone di Lana Del Rey.
I got my
red dress on tonight
Dancing in the dark in
the pale moonlight
Got my hair up real big
beauty queen style
High heels off, I'm
feeling alive.”
Canticchia lui.
“Summertime Sadness. Sì, la versione dei poveri
però.”
“Vieni qui, brontolona ipercritica.”
Mi fa cenno di sedermi accanto a lui e io lo accontento.
“Questo è il mio posto segreto, diciamo.”
“E quando l’hai scoperto? Io vivo
qui da
una vita e non l’ho mai trovato.”
“Per caso a dire il vero, stavo guidando fuori
città perché non riuscivo a
dormire e mi sono fermato nella piazzola per pisciare.”
“Romantico, eh?”
Lui scuote le spalle.
“Ehi, il vantaggio di essere un uomo è che puoi
pisciare
ovunque.”
“Vabeh, andiamo avanti. Dopo che hai pisciato cosa
è
successo?
Come mai non te ne sei andato?”
“Ho visto delle lucciole, l’ultima volta che mi era
successo avevo dieci anni e vivevo a Baltimora così mi sono
avvicinato. Loro si
sono allontanate e io le ho seguite, sembrava volessero guidarmi da
qualche
parte e ho trovato questo posto.
Mi sono seduto e ho ascoltato per un po’ il rumore del
mare, immediatamente mi sono sentito meglio, come se quello che
opprimeva se ne
fosse andato in qualche modo. Ho visto una stella cadente e ho capito
che se un
Dio esiste in quel momento mi aveva dato un segno e un posto dove
andare ogni
volta che la maschera dell’idiota si fosse fatta troppo
pesante da portare.
Ed eccomi qui con te.”
“Anche adesso te la sei tolta.”
“Cosa?”
“La maschera.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Sì, me la sono tolta.”
“Jack, puoi promettermi una cosa?”
“Dimmi.”
“Che con me ti toglierai la maschera se diventerà
troppo pesante, non avere
paura di me, io non ti giudicherò.”
Lui sorride.
“Ok, lo farò.”
Io gli sorrido di rimando, mi sembra un buon traguardo.
“È proprio una bella notte.”
Dico appoggiando la mia testa contro la sua spalla.
“Sì, non sembra di essere a pochi chilometri da
una
grande città.”
“Il mondo riserva ancora qualche sorpresa allora.”
“Che cinica! Io non sono abbastanza come sorpresa?”
“Tu non sei una sorpresa, sei una calamità umana
che si è abbattuta sulla mia
povera vita ribaltandola!”
Lui ride di gusto.
Una folata di vento si alza da dietro di noi.
“Si alza il vento bisogna tentare di vivere.”
Io rimango in silenzio, forse ha ragione, ma io ho ancora paura, non so
quanto
siano forti le mie ali.
“Hai paura?”
“Sì, perché riesco a vivere davvero
solo accanto a te e
questo mi spaventa, hai un potere immenso tra le mani: puoi
distruggermi o
farmi felice.
Mi sento vulnerabile.”
“Alex dice che è così che ci si sente
quando si è
innamorati.”
“Oh.”
Replico colpita io, staccandomi da lui.
Jack sorride e appoggia delicatamente le mani sulle mie
guance e mi attira a sé baciandomi con dolcezza, senza
fretta.
Continuiamo a baciarci fino a che non ci manca il fiato,
poi scoppiamo a ridere.
“Adesso questo è il nostro posto
segreto.”
Dice piano lui.
“Sì, adesso un ricordo di noi aleggerà
per sempre qui.
Ci pensi mai a quanti minuscoli pezzi lasciamo in giro?”
“No, perché i pezzi che lasciamo in giro non ci
distruggono, sono solo fili che
compongono la vita.”
“Hai ragione.”
Ci sdraiamo sulla sabbia abbracciati, la mia testa è
all’altezza del suo cuore e lo ascolto battere felice, mi
sembra il suono
migliore del mondo.
Potrei rimanere per sempre ad ascoltarlo.
Il “per sempre” non esiste, anche i momenti
più magici
devono lasciare spazio alla dura realtà.
Dopo non so quanto tempo in cui lui guarda la luna e mi
accarezza i capelli contemporaneamente, si accende una sigaretta e ne
passa una
a me.
“Dopo questa dovremmo andarcene, si è fatto tardi.
Rimarrei qui tutta la notte, ma inizia a fare freddo e
non vogli congelarmi.”
“Hai ragione.”
Accendo una sigaretta e aspiro una lunga boccata sorridendo.
“Ti è piaciuto il nostro appuntamento?”
Mi chiede Jack.
“Sì, molto. E a te?”
“Anche a me molto, mi arrischierei quasi a chiedertene un
secondo, ma prima c’è
un’altra cosa che voglio chiederti.”
Qualcosa nel suo tono mi fa alzare di scatto e lo scruto attentamente,
come se
avessi paura che gli fosse spuntato un corno.
“Jack?”
“Non prenderla così, è una cosa bella.
Sono solo io a essere impacciato perché non è una
cosa
che chiedo spesso.”
“Vuoi un mio rene? Un polmone?”
Lui ridacchia.
“No, non proprio.
Karima, vuoi essere la mia ragazza?”
Io spalanco gli occhi stupita.
“Io… Oddio! Sì, certo che
sì!”
Urlo prima di abbracciarlo e rischiare di bruciarlo con la mia
sigaretta.
“Ehi, calma!”
Ride lui, decidiamo di finire le nostre sigarette prima di abbracciarci
e
baciarci un’altra volta, poi rimaniamo qualche minuto
abbracciati e a
malincuore lasciamo la spiaggia con i mozziconi in mano. Li buttiamo
nel
cestino della piazzola di sosta e torniamo in macchina, lì
Jack mette un cd dei
blink e rimane in silenzio, sorridendo.
Chissà a cosa pensa?
È un tizio talmente misterioso, aperto ed esuberante, ma
anche molto criptico sui suoi veri sentimenti ed emozioni.
Arriviamo a casa mia e lui ferma la macchina.
“Sai una cosa?
Se la prima a cui chiedo di essere la mia ragazza dai
tempi del liceo, finora avevo avuto solo storie senza
importanza.”
“Ne sono onorata. È così che si
dice?”
“Sì, si può dire anche così.
Hai accalappiato lo scapolo d’oro degli All Time
Low.”
“E io che pensavo fosse Zack.”
La sua faccia si oscura.
“Ehi, stavo scherzando, non prendertela.”
Lui sospira.
“Quel bassista dai muscoli d’acciaio e dal sorriso
aperto
è un temibile rivale, le ragazze lo vedono come
più affidabile rispetto a me.”
Io gli accarezzo una guancia.
“Non ti devi preoccupare, a me vai bene
così.”
Lui sorride sollevato.
“Sei sicura? Tra qualche tempo potresti pentirtene.”
“Correrò il rischio.”
Sbadiglio.
“Sei stanca?”
“Un po’, ma non ho voglia di stare da sola, non
ancora.
Non lontano da qui c’è un bar sulla spiaggia,
suonano del
reggae servono dei cocktail al cocco, tutto molto tranquillo.”
“Va bene.”
Rimette in moto la macchina e seguendo le mie indicazioni
ci ritroviamo di nuovo alla spiaggia, parcheggia e ci dirigiamo verso
quella
che sembra una capanna.
Entriamo dalla parte della spiaggia e saluto il barman.
“Il solito, Karima?”
“Sì.”
Guido Jack fino a un tavolino con le delle casse colorate
di giallo, rosso e verde al posto delle sedie, intorno a noi si
diffonde della
musica reggae.
Poco dopo il barista arriva a prendere l’ordinazione di
Jack.
“Una vodka al cocco.”
“Va bene.”
Io alzo un sopracciglio.
“Sicuro che sia una cosa giusta?
Devi guidare dopo.”
“Lo so, al massimo mi ospiti
sul tuo
divano.”
Io divento di fiamma.
“Va bene.”
Lui non lo nota e si guarda attorno, io mi accendo una sigaretta,
essendo il
locale mezzo all’aperto posso.
“Vieni qui spesso.”
“Sì. Da cosa l’hai dedotto?”
“Hai salutato il barista e lui ti ha chiesto se volevi il
solito.”
“Giusto, che scema. Sì, ci vengo spesso, mi piace
la pina colada ed è molto
rilassante: musica tranquilla, atmosfera rilassante, il rumore del
mare.”
“Tu non sei tipa da luoghi affollati, vero?”
“No, non molto. Di solito la folla mi infastidisce,
contatto umano indesiderato.”
“Capisco.”
Il barista arriva con le nostre ordinazioni.
Jack alza il suo bicchierino e io il mio bicchiere, li
facciamo scontrare.
“A noi.”
Beviamo un primo sorso, poi percepisco una presenza, alzo
gli occhi dal cocktail e noto una ragazzina è in piedi
accanto al nostro
tavolo. Avrà diciotto anni al massimo e dei capelli fucsia e
viola molto
voluminosi.
“Tu sei Jack Barakat?”
Chiede speranzosa, lui sorride.
“In carne, ossa e capelli.”
“Oddio!”
Squittisce portandosi le mani alla bocca.
“Non ci credo, non posso essere così
fortunata!”
“Beh, lo sei…”
“Violet, mi chiamo Violet.”
“Lieto di fare la tua conoscenza, Violet.”
Lei arrossisce.
“E io di averti incontrato, la tua musica mi ha salvato
la vita e la tua storia d’amore con Alex è un
obbiettivo da raggiungere per me
e il mio…”
“Jack non ha nessuna storia d’amore con
Alex.”
Intervengo con una voce secca e priva di inflessione, lei
sembra accorgersi di me.
“E tu chi sei?”
“Lo spirito del Natale passato.”
“Cosa?”
“Mi chiamo Karima Jenkins, Violet, e sono la ragazza di
Jack.”
“Oh.”
Lei sbianca.
“Ma io pensavo…”
“Pensavi male.”
Lei guarda verso il mio ragazzo triste e quasi arrabbiata.
“Posso avere un autografo e una foto con te?”
“Sì, certo.”
Lui firma un foglio di carta e si scatta un selfie con lei, poi la
ragazzina
guarda di nuovo me, gli occhi che bruciano d’invidia.
“Tu non ti meriti un ragazzo come Jack, Jack è di
Alex.”
Io prendo il mio bicchiere ancora pieno di pina colada e le verso
addosso il
cocktail, poi sbatto i soldi sul tavolo e lascio il locale.
Non mi curo che Jack mi segua, che lecchi pure il culo a
quella piccola esaltata, è lui quello famoso, io non ho
questo tipo di doveri.
Mi accendo un’altra sigaretta e cammino svelta verso
casa, un quarto d’ora dopo sono davanti al mio condominio, mi
guardo attorno
un’ultima volta e poi salgo fino al mio appartamento.
Chiudo la porta a chiave, mi tolgo il vestito e gli
stivali e mi metto una tuta da casa poi mi butto senza grazia sul
divano.
Il mio cellulare inizia a suonare, ma io lo spengo, non
me la sento di parlare con nessuno.
Lo sapevo che non sarebbe stato facile stare con lui, ma
trovare subito una ragazzina sputasentenze mi ha messo di malumore.
Ma che ne sa quella di me? Di noi?
Del vero rapporto che lega Alex e Jack?
Sono obbiettivi per lei e il suo fidanzato?
Stronzate, borbotto, una marea di grandissime stronzate.
Esco in terrazza a fumarmi una sigaretta e a masticare
amaro, non godendomi la brezza fresca o la stellata pazzesca, sono
troppo legata
a cose terrene come la rabbia.
Stava andando tutto così bene, perché poi il
karma ha
decido di rovinare tutto?
Immagino che non ci sia una risposta precisa, a volte va
semplicemente così.
Spengo la sigaretta con un colpo secco e torno in casa,
mi sa che è arrivato il momento di andare a letto.
Mi tolgo i pantaloni e mi infilo nelle lenzuola stanca e
depressa, il mio vestito occhieggia dalla sedia e sembra prendermi in
giro per
le mia assurde speranze che filasse tutto liscio al primo appuntamento
con un
ragazzo famoso.
Lo sanno tutti che quelli hanno un sacco di scheletri
nell’armadio e fan pazze.
Alla fine volto le spalle all’odioso vestito
e cerco di mettermi a dormire, ignorando il
senso di cocente delusione.
Dopo essermi girata un numero imprecisato di volte cado
in un sonno senza sogni che sono sicura che non mi riposerà
per nulla.
Al diavolo.
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Capitolo 18 *** 17)Solo un po'di nero. ***
17)Solo un po'di nero.
Karima p.o.v.
Mi sveglio nel bel mezzo della notte perché qualcuno sta
urlando come un pazzo in strada.
Bestemmiando a bassa voce mi accendo una sigaretta e mi
affaccio dal terrazzo della mia camera, parecchi volti si sono
già affacciati
dalle finestre.
Metto bene a fuoco la figura che si agita sotto un
lampione e la sigaretta mi cade dalla bocca e finisce dritta sulla
testa di
quello che abita sotto di me che se la toglie seccato: il pazzo
è Jack.
Torno in camera e mi infilo i pantaloni e le ciabatte,
poi scendo in strada e affronto il mio nuovo ragazzo, non appena mi
vede fa per
mettersi a urlare, ma io lo zittisco con uno schiaffo che rimbomba come
una
fucilata nel silenzio della notte, sento qualcuno ridacchiare.
Ma bene! Non è nemmeno un giorno che stiamo insieme e
già
diamo spettacolo.
Lo prendo per un orecchio e lo trascino all’interno.
“Ma sei completamente pazzo?
Cosa ti è saltato in mente di fare tutta questa commedia?
Domani tutto il condominio vorrà sapere cosa diavolo
volevi.”
Saliamo cinque piani di scale, io che impreco e lui che grugnisce.
Quando finalmente siamo dentro all’appartamento
finalmente mollo il suo orecchio e lui se lo massaggia.
“Bene, posso mettermi un dilatatore senza andare da un
piercer ora, ho un orecchio lungo come quello di un elefante.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Cosa vuoi, Jack?”
“Parlare con te.”
“Non ….”
“Non potevo telefonare perché il tuo cellulare era
staccato e non ho il tuo
numero di casa, ho provato a suonare il campanello per almeno
un’ora, mi sono persino
venuti i crampi al dito, ma tu non hai risposto.
Ma tu dormi o vai in coma durante la notte?
Quindi non mi rimaneva che urlare e sperare che il casino
ti svegliasse visto che non ho un carrarmato o dei cannoni per sparare
a
salve.”
“Ok, ok. Di cosa vuoi parlare?”
“Per prima cosa ti sei dimenticata di Bassam.”
Io lancio un urlo e corro nel ripostiglio, inizio subito a trafficare
con il
grande acquario e tutto quello che serve alla tartarughina.
Lo riempio d’acqua, controllo la temperatura, attivo le
lampade
uvb e tutto il resto, poi la metto nell’acquario, lei nuota
felice per un po’,
poi emerge e si mette al caldo sotto la lampada.
Ho una stanza a posta per la tartaruga, i precedenti
proprietari la usavano come stanza per i bambini.
Bassam sta bene, domani devo comprare del cibo adatto ma
per ora le do un po’ di insalata, di carote e del pesce che
ho nel frigo. Non è
il cibo migliore, ma è quello che ho.
Bassam mangia e poi torna a nuotare e poi io guardo Jack
che nel frattempo si è seduto sul mio divano.
“Bassam sta bene.”
“Bene, ora possiamo parlare d’altro?”
“Di che cosa? Della tua presunta storia con Lex o del fatto
che non sono adatta
a te?”
“Lo sai che io e Alex non abbiamo una storia o Lisa mi
avrebbe già tagliato le
palle!
E poi che ne sa quella ragazzina se tu sia o meno adatta
a me?”
“Perché non mi hai difesa?
Perché diavolo non le hai detto nulla?”
“E come avrei potuto farlo?
Le hai tirato subito il bicchiere.”
“Quando lei ti ha detto che siete l’obbiettivo di
coppia suo e del suo ragazzo
perché non le hai detto che non è vero?
Perché hai fatto finta che non ci
fossi?”
“È solo lavoro.”
“Il tuo lavoro è suonare la chitarra e fare i
cori, non alimentare le fantasie
malate delle persone!
Se hai intenzione di nascondermi come una lebbrosa, hai sbagliato
persona.
Non voglio pubblicità, ma non voglio nemmeno essere
ignorata e costretta ad agire da stronza per difendermi.
Non avevi il diritto di venire a fare casino sotto casa
mia!”
“Perché ti stia arrabbiando così
tanto?”
“Ti comporti come lo stronzo che tutti descrivono.”
“Cos’hai contro il jalex? È
innocuo.”
“Oh, sì. Vedo.
Jack, vattene, per favore e dimentica la mia risposta
positiva.”
“Karima qual è il problema?”
Io non lo guardo in faccia.
“Il mio primo ragazzo era… quello che era, mi ha
usato come
copertura. Mi ha illuso tutto il tempo e lo sapevano tutti, ero lo
zimbello
della scuola.
Lui negava, ha negato anche quando l’ho trovato a letto
con un … un … un.. ra..ra… ragazzo.
Quindi non ho intenzione di ripetere la stessa
esperienza.
Vai via.”
“No.”
Per accompagnare la sua risposta si siede di nuovo sul divano, io lo
guardo con
gli occhi che lanciano fiamme.
Forse ha la mia anima, ma non so più se il gioco vale la
candela.
Lo sollevo di peso e lo butto fuori dalla mia casa.
“Vai vai e non farti più vedere.
Domani mi licenzio.”
Chiudo la porta a chiave e poi mi lascio andare a un pianto isterico
rannicchiata contro il legno, ignorando lui che picchia contro la
porta. A un
certo punto sento delle voci con una morbida inflessione spagnola e lui
smette.
Io continuo a piangere, rannicchiata in quella scomoda
posizione, finché non mi addormento.
Che serata di merda.
La mattina dopo mi alzo dolorante, gobba come una vecchia
di ottant’anni e con il cuore a pezzi.
Mi faccio una lunga doccia, bevo una tazza abbondante di
caffè nero, amaro e forte, e poi scarico e compilo il modulo
delle dimissioni
dal sito della casa discografica.
Indosso un semplice paio di jeans, un lungo e informe
maglione nero, una giacca mimetica e un paio di anfibi, prendo la borsa
ed esco
da casa mia.
Parcheggio davanti alla casa discografica, scendo ed
entro, saluto la signorina Preston e mi accingo a salire ai piano
superiori per
parlare con i capi.
Alex è appostato all’inizio delle scale e mi si
para
davanti.
“Cosa vuoi?”
Gli chiedo scontrosa.
“Parlarti.”
“Fallo dopo, adesso devo andare a rassegnare le mie
dimissioni, non ho tempo.”
Il mio tono è ancora più scontroso di prima.
“Ho bisogno di parlarti prima che tu lo faccia.”
“E se io non volessi farlo?
E se io ne avessi le palle piene di questa storia?
E se io non volessi essere lo zerbino del tuo amico?
Perché sei qui per conto suo, ci scommetto le ovaie, ci
hai pensato a me?”
Ringhio, ma lui non si scompone più di tanto.
La cosa mi irrita, vorrei tanto prenderlo a pugni, ma non
posso.
“Karima, stai per commettere un errore e non posso
permettere che succeda.”
“Perché? Quella che ci smena sono io e non mi
conosci
abbastanza per preoccuparti di me.”
“Jack sta male.”
“Ah, ecco. Ecco qual è il vero problema e il tuo
vero interesse: Jack.
Non io o quello che è successo tra di noi.
Mi sono messa contro la mia famiglia e Adam perché ho
creduto che lui potesse essere la mia anima gemella visto che sentivo
dei
sentimenti, ma probabilmente l’intera faccenda è
una stronzata. Un modo come un
altro che una vecchia zingara ha usato per guadagnarsi cinque dollari e
che
collimava con il senso di colpa di mia madre.”
“Non ci credi nemmeno tu, Karima.”
“Non importa, lasciami andare.”
“Non ho intenzione di lasciarti rassegnare le dimissioni
perché hai paura di
Jack e vuoi scappare da lui.”
Lui mi afferra per i polsi e io mi metto a urlare come
un’aquila.
“Lasciami andare, stronzo!
Lasciami andare! Lasciami!”
La signorina Preston e il resto della band accorrono e ci osservano.
“Alex, cosa stai facendo?”
Chiede preoccupato Jack e fa per avvicinarsi, ma la
signorina Preston lo ferma.
“Gaskarth, lascia quella povera ragazza o chiamo la
sicurezza.
Non tollero violenze in questo posto.”
Lui mi lascia andare e io scappo via, abbattendo Zack e
ignorando i rimproveri che Jack e la signorina fanno ad Alex.
Salgo in macchina, metto in moto ed esco sgommando dal
parcheggio con il cuore che mi batte a mille e i polsi doloranti.
Non so dove andare e giro per un po’ senza meta, poi
finalmente mi decido ad andare a casa, parcheggio la mia macchina e
salgo al
mio appartamento.
Lì mi tolgo i vestiti e mi butto a letto.
Mi addormento quasi subito e sogno di essere in spiaggia,
mia madre è seduta accanto a me con il suo hijab verde e un
lungo vestito nero.
“Ciao, mamma.”
“Ciao, tesoro. Come mai rifiuti quel ragazzo?”
“Credevo fosse la mia anima gemella, ma mi sbagliavo, non lo
è.
Forse non è nemmeno vero che non ho un’anima,
probabilmente ce l’ho e ho voluto credere alla storia per
giustificare tutte le
mie stranezze.”
“Lo sai che non è così.”
Il suo tono è dolce.
“Cosa senti nel cuore?”
“Un vuoto che non va mai via.”
Lei mi sorride enigmatica.
“Lo so cosa vuoi dire, è la mia anima che manca,
ma non
so se sia vero.
Non so più nulla.”
Tutto svanisce e mi ritrovo sveglia nel mio letto, mi
metto le mani nei capelli disperata.
“Basta, basta, basta!”
Esclamo con un’angoscia che rasenta la pazzia.
Prendo la mia preziosa attrezzatura e la distruggo con
rabbia, la mia macchina fotografica va in pezzi insieme a tutto il
resto.
Quando ho finito ansimo e mi accorgo di avere le mani
sporche di sangue, così vado in bagno e mi medico togliendo
le schegge e
bendando poi il tutto.
Dopo di che me ne torno a letto e cado in un sonno senza
sogni.
Quando mi sveglio il sole è già calato e la mia
stanza è
disseminata di macerie, io sospiro e mi rivesto. Prendo la lettera di
dimissioni, la borsa e le chiavi della macchina e torno alla casa
discografica.
La signorina Preston mi saluta di nuovo e io faccio lo
stesso, nessuno mi ferma e io salgo ai piani superiori.
Busso alla stessa porta a cui ho bussato quando questo
manicomio è iniziato, saluto la segretaria e lei mi guarda
curiosa.
“Buonasera, signorina Jenkins.
Come mai è qui?”
“Vorrei rassegnare le mie dimissioni, non riesco a lavorare
con la band.”
“Ho sentito del suo incidente con il signor Gaskarth e sono
molto dispiaciuta,
non era mai successo prima. Le consegnerò al signor Carson e
poi le farò
sapere, per ora siamo soddisfatti del suo lavoro.”
“Grazie mille.”
Appoggio il modulo sulla scrivania, lei lo prende e lo mette insieme ad
altre
pratiche.
“Arrivederci.”
“Arrivederci.”
Esco dall’ufficio e spero che non ci siano problemi e le
accettino, non ce la
faccio più a stare qui.
Non incontro nessuno e vado tranquilla a casa, la
sorpresa spiacevole mi aspetta lì: Jack è
appoggiato all’entrata, io stringo i
pugni anche se le ferite mi fanno male.
“Cosa vuoi?”
Gli chiedo brusca.
“Cosa ti è successo alle mani?”
“Non sono affari tuoi.”
Dico guardinga.
“Senti, lo so che non mi sono comportato bene, ma sono qui
per scusarmi.”
Io lo guardo fisso negli occhi.
“Tu non sei minimamente pentito di quello che hai detto,
tu pensi di avere ragione e sei venuto qui solo perché vuoi
convincermi della
bontà de tuo punto di vista ora che ti sembro un
po’ meno pazza.”
“Karima…”
“Jack, vai via, per favore.
Ho rassegnato le mie dimissioni, non mi avrai più tra i
piedi e ti troverai qualcuno che è migliore di me come
ragazza.”
Il mio tono è incolore come al solito.
“E la storia dell’anima gemella?”
“Stronzate che mi hanno condizionata perché ci ho
creduto.”
“Adesso sei tu che menti.”
“Anche se fosse? Ha una qualche importanza?”
Lui mi prende una mano, io gemo per il dolore, lui la lascia subito
andare.
“Importa perché mi stai allontanando per un motivo
stupido!”
“Non è stupido e se tu non ci arrivi, io non posso
farci nulla.”
Entro in cortile e lui mi segue.
“Vattene.”
“No.”
“Vattene!”
“No, che non me ne vado. Non ho intenzione di buttare tutto
all’aria tu solo perché
tu hai avuto una specie di crisi isterica.”
La mia mano parte da sola e si stampa sulla sua guancia.
“Idiota.”
Sibilo, carica di odio.
Salgo le scale di corsa fino all’appartamento e chiudo la
porta a chiave, poi cucino una cena senza pretese e mi metto davanti
alla tv
spenta.
Non so quanto tempo trascorro lì, so solo che il suono
del telefono mi fa sobbalzare e quando questo succede la sveglia segna
mezzanotte.
Strano come passi alla svelta il tempo quando ci si
disconnette dal mondo.
Rispondo come un automa.
“Pronto?”
“Karima, il tuo chico è ancora giù in
cortile vicino alla piscina. Non vuole
andarsene, gli hanno anche mollato due pugni, ma è ancora
lì.”
“Annegatelo in piscina e fate finta che sia un
incidente.”
“Querida, non puoi scappare per sempre. Digli che non lo vuoi
più vedere e
risolvi la questione.”
“Gliel’ho già detto, ma lui non vuole
capirlo.”
“Allora, prova a farglielo capire un po’
meglio.”
“Ok.”
Mugugno scoraggiata, poi chiudo la chiamata e scendo in
cortile.
Un paio di ragazzi stanno girando attorno a Jack.
“Allora, te ne vai?”
“No.”
Risponde atono lui.
“Andate, ci penso io a lui.”
I due mi fanno un cenno e se ne vanno.
“Allora, cosa vuoi ancora?”
Gli chiedo con le mani appoggiate ai fianchi.
“Parlarti, possibilmente non davanti a tutto il
condominio.”
Io lo fulmino.
“Ok, va bene.”
Saliamo nel mio appartamento e lui spalanca gli occhi quando vede tutti
i pezzi
sparpagliati.
“Cosa è successo?”
Non rispondo.
“Ma questa è la tua attrezzatura, la tua preziosa
attrezzatura!”
Guarda le mie mani e poi i pezzi.
“Sei stata tu ed è per questa ragione che hai le
mani
fasciate.
Ma perché?”
“Perché ho chiuso con la fotografia come ho chiuso
con te.”
“Ma perché?”
“Perché non smentisci le stronzate nemmeno quando
ci sono io, come se fossi
invisibile.
Io per te non conto nulla o ti saresti sbattuto a dire a
quella ragazzina che io ero la tua ragazza e non un pezzo
dell’arredamento del
bar.
A te non frega nulla di me, a te importa solo di Alex e
della tua fama.”
“Non è così, è solo che non
ci sono abituato e poi non c’è nulla
…”
“Di male nel fatto che credano al jalex, bla bla bla.
Allora ieri sera non mi hai ascoltato bene, io non farò
più la copertura per nessuna di queste stronzate, vere o
presunte.
Se tu non capisci questo o pensi ancora di avere ragione
vai via o chiamo i ragazzi e ti lascio in mano loro.”
“Karima, io non volevo.”
“La prossima farse di circostanza che userai quale
sarà?
Non è come sembra?”
“Karima…”
Io muovo le braccia su e giù.
“Perché accidenti non vuoi capire?
Perché vuoi decidere quello in cui devo o non devo
credere come tutti?
Se non vuoi davvero scusarti, vattene via!”
La mia voce si incrina, lui fa per abbracciarmi, ma io gli lancio un
cuscino.
“Vattene.”
“Voglio solo provare a risolvere le cose, ma tu non me lo
permetti.”
“Vai via!”
Urlo al colmo della disperazione e comincio a tirargli dietro qualsiasi
cosa mi
capiti sottomano, lui alla fine è costretto a battere in
ritirata.
Io sono senza parole, esco in terrazzo a fumarmi una
sigaretta e lo vedo attraversare il cortile e poi lanciarmi
un’ultima occhiata
a cui mi mostro impassibile.
Varca anche l’ultima soglia e sparisce nella notte, io
finisco di fumare la mia sigaretta con gli occhi vuoti.
Rientro in casa e mi butto sul letto, forse vorrei
piangere per le emozioni tutte negative della giornata, ma non ci
riesco.
Finisco per addormentarmi subito completamente vestita e sprofondo in
un altro
sonno senza sogni che sembra un coma e mi va bene così.
Non voglio pensare o ricordare nulla, voglio solo che
l’obblio cada su di me come una coperta e mi soffochi.
Non voglio replay di questa giornata, non voglio rivedere
mia madre che mi dice che sbaglio.
Voglio solo un confortante nero in cui cadere senza fine.
Solo un po’ di nero.
Un dolce caro obblio.
E vengo accontentata, grazie a Dio.
Domani non sarò riposata, ma almeno non sarò
angosciata
ed è già qualcosa.
Perché la mia vita è andata di nuovo a puttane?
Ogni volta che credo che stia andando bene vengo
smentita.
Basta, da domani non crederò più a nulla.
A nulla.
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Capitolo 19 *** 18)Come le stelle lontane e menefreghiste. ***
18)Come le stelle lontane
e menefreghiste.
Karima p.o.v.
Il suono giunge da lontano, più o meno dalle parti di
Saturno, ma è tenace.
Ci si mette di impegno a rompere ogni barriera del mio
sonno e alla fine si rivela per quello che è: la suoneria
del mio cordless che,
come al solito, è sul comodino.
Grugnendo allungo una mano e lo prendo, accetto la
chiamata senza nemmeno guardare chi è il mittente.
“Pronto?”
Rispondo con una voce cavernosa.
“È la signorina Karima Jenkins?”
Un senso di déjà-vu mi piomba addosso come un
macinio, tutti i ricordi della
notte che sono morti i miei mi attanagliano le viscere svegliandomi
completamente.
“Sì, sono io.”
“Sono la signorina Petersen, la segretaria dl signor
Carson.”
“Sì, certo.”
I brividi se ne vanno, è solo la segretaria del mio capo.
“Il signor Carson ha rifiutato le sue dimissioni,
perciò
la invito a presentarsi alla casa discografica.”
“Cosa? Perché?
Ieri sono stata assalita da Alex Gaskarth, non ho
intenzione di tornare.”
Lei sospira.
“Siamo a conoscenza dell’incidente con il signor
Gaskarth, abbiamo parlato con lui e ha giurato che non si
ripeterà mai più.
Capisco che lei ne sia rimasta spaventata, ma non corre alcun
pericolo.”
“E se lo rifacesse? Chi mi garantisce che non lo
rifaccia?”
Il mio tono è isterico.
“Se dovesse succedere di nuovo chiami la sicurezza e
questa volta accetteremo le sue dimissioni.”
“Va bene.”
Sospiro io.
“Lasciatemi il tempo di sistemarmi e arrivo.”
Con la gioia di un martire che va verso l’arena mi faccio una
doccia e mangio
qualcosa per colazione senza nemmeno sentirne il sapore.
La mia attrezzatura è ancora in pezzi, ma ho una macchina
fotografica di riserva, dopo il lavoro comprerò qualcosa di
nuovo.
Armata di una macchina che, pur essendo buona, mi sembra
ridicola rispetto alla mia vecchia attrezzatura vado alla Hopeless
Record.
Mi fermo dalla signorina Preston e le espongo il mio
problema.
“Abbiamo un’attrezzatura che nessuno usa,
apparteneva a
un fotografo che lavorava per noi, se l’è
dimenticata qui e non è più venuto a
riprendersela.
Forse c’è quello che ti serve.”
Io annuisco, la donna esce da dietro il banco della reception e mi
accompagna
in uno sgabuzzino, accende la luce e io contemplo
un’attrezzatura completa da
fotografo, la controllo ed è anche in buono stato.
“Non ci credo. Questa è una signora attrezzatura
che vale
anche un po’ di soldi e nessuno è mai venuto a
riprenderla. Certa gente ha
tutte le fortune.”
Prendo tutto e me lo carico sulle spalle, poi mi dirigo verso lo studio
di
registrazione, la parte più difficile inizia adesso. Busso
con la rabbia che
inizia a pompare nelle vene, un tecnico viene ad aprire e nello studio
cala il
silenzio.
Alex e Jack si avvicinano, ma io li fulmino con
un’occhiataccia.
“Karima, noi vorremmo…”
“No. Statemi lontano, tutti e due.
Sono qui per lavorare non per socializzare con voi due o
con qualche altra persona.
Tornate al lavoro e fate finta che io non ci sia, è
l’unico
modo per far funzionare le cose.”
“Ma io vorrei…”
“Scusarti? No, grazie.
So a chi va la tua lealtà e forse qualcos’altro.
Non
voglio essere invischiata nei vostri casini, ho già i miei a
cui badare.”
“Per favore, dacci una seconda
possibilità.”
Mi domanda accorato Jack, io scuoto la testa.
Il mio cuore vorrebbe, ma il mio cervello ha una presa
salda su di lui.
Mi hanno ferito tutti e due, non c’è ragione per
essere
buoni e concedere seconde possibilità, mi hanno
già fregata una volta.
“Vi prego di lasciarmi stare.”
La mia voce è gelida come il ghiaccio, loro tornano a
lavorare, io invece
sistemo in silenzio la mia attrezzatura e comincio a scattare foto.
Le ore passano lente, ma alla fine arriva la pausa
pranzo, sia Alex che Jack mi lanciano un’occhiata e poi
escono dallo studio,
Zack sembra volersi fermare a dirmi qualcosa, ma poi rinuncia e se ne
va. Rian
invece non demorde e di avvicina a me.
“Non so cosa sia successo di preciso tra te e Jack, lui
non ne vuole parlare e diventa aggressivo se qualcuno gli forza la
mano, ma
credo che dovresti almeno accettare le loro scuse.
Alex è sinceramente pentito di averti trattato male, non
è nella sua natura essere cattivo.”
“Non so cosa sia nella natura di Alex Gaskarth, ma non mi va
di scoprirlo. Lo
so che ti piace impicciarti nei problemi degli altri per dare loro una
mano, ma
questa volta, Rian, si sono spinti troppo in là tutti e due.
Jack mi ha ignorata davanti a una fan – il che ci
può
anche stare, sebbene sia poco carino dopo che ti ha chiesto di essere
la sua
ragazza – e le ha fatto credere che la sua storia con Alex
esiste.
Davanti a me.
E si rifiuta di ammettere il problema, la pazza sono io.
In quanto ad Alex mi ha messo le mani addosso e non lo
sopporto.
So che non sei cattivo e non sono arrabbiata con te, ma,
per favore, stai fuori da questa storia.
Io avevo dato le dimissioni, sono qui unicamente perché
non le hanno accettate e mi pento di avere iniziato questo lavoro. Ne
avevo uno
solido e tranquillo e l’ho gettato via per seguire un sogno
stupido e ne pago le
conseguenze.”
Rian non dice nulla.
“Vorrei avere qualcosa di sensato da dire, ma non mi
viene niente. Penso solo che tu non abbia sbagliato a voler seguire i
tuoi
sogni, ma adesso non sei nel momento giusto per accettare questa
opinione.
Rispetterò il tuo bisogno di silenzio per ora.”
“Grazie mille.”
Dico formale, lui se ne va per fortuna.
Non ce l’avrei fatta a sostenere ancora la conversazione.
Sistemo la mia attrezzatura e chiudo a chiave lo studio
di registrazione.
Sono tentata di andare dal mio kebabbaro preferito per
tirarmi su il morale, ma – considerando che il mio umore
sarà basso fino a che
lavorerò qui – è meglio che non lo
faccia, in questi mesi potrei diventare una
palla.
Decido di andare in una pizzeria e lì ordino una
margherita pensando che la vita fa semplicemente schifo.
Nulla di nuovo per me.
Il pomeriggio si trascina lungo e
noioso come quelli
scolastici quando hai delle materie che non ti interessano. Gli All
Time Low
hanno smesso di interessarmi sotto ogni profilo, sebbene il mio cuore
supplichi
di parlare con Jack e ascoltare quello che ha da dirmi. La mia mente sa
quello
che è meglio per me, perciò le do retta quando mi
dice di lasciare perdere.
Arrivate le sette di sera il mio lavoro giunge al
termine, smonto la mia nuova attrezzatura, la porto fuori dallo studio
e la
carico in macchina.
“Karima?”
La riconoscerei tra mille quella voce, il mio corpo si
irrigidisce, combattuto com’è tra
l’impulso di abbracciarlo e quello di
prenderlo a calci.
“Jack.”
“Karima, mi dispiace davvero.
Non volevo ferirti, non pensavo che…”
“Ecco la frase giusta, non hai pensato.
Io ti ho aperto il mio cuore, il tuo invece è sempre
rimasto chiuso a doppia mandata dietro la maschera del ragazzo
divertente, un
po’idiota, ma a posto alla fine.
Proprio una bella recita, ci sono cascata in pieno.”
“Non recitavo, ti prego, lasciami
spiegare…”
Io chiudo violentemente il cofano della macchina e lo fronteggio.
“È troppo tardi, non capisci?
Dovevi offrirmi una spiegazione convincente ieri sera
quando ne volevo disperatamente una, non adesso. Ora non me ne faccio
nulla!
Mi hai trattato come una pazza e hai minimizzato tutto quello che tu ho
detto,
non riesco a passarci sopra.
Hai sbagliato tempistica come io ho sbagliato a fidarmi
di te e adesso, scusami, devo andare, devo andare a prendere le cose
per
Naruto.”
"Chi?"
“La tartaruga.”
“Non si chiamava Bassam.”
“Pensi davvero che io tenga in casa una tartaruga con il tuo
secondo nome?”
Lui abbassa gli occhi.
“Pensavo che in qualche modo ti volessi ricordare di
me.”
“Dopo ieri sera non ne ho alcun desiderio.”
“Ti prego, concedimi almeno una
possibilità.”
“No. Non dopo ieri sera, non dopo che Alex mi ha messo le
mani addosso per
difendere te.
Sono stufa marcia di questa band e di questo lavoro, sono
pentita di averlo accettato, di aver pensato di poter vivere grazie
alla
fotografia.
Forse la mia vita era noiosa prima, ma almeno non
soffrivo.
Lasciami andare.”
“Io non voglio.”
“Allora dovresti trattare con più cura le persone
a cui dici di tenere o queste
se ne andranno.”
Detto questo salto in macchina e quasi lo investo nell’uscire
dal parcheggio.
Non ho voglia di andare a casa, non ho voglia di rivedere
i pezzi della macchina fotografica che sembrano descrivere alla
perfezione alla
vita.
Distrutta e senza uno scopo, incastrata in qualcosa che
non voglio più.
Alla fine il richiamo del mare
è più potente di qualsiasi
cosa, persino della tristezza e del dolore.
Mi fermo a un bar sulla spiaggia e mangio un panino, poi
vado in spiaggia, mi siedo quasi sulla battigia e guardo le onde che si
infrangono. Ho sempre pensato di volere dei sentimenti, che persino
sentire
dolore sarebbe stato meglio che non sentire nulla, ma mi sbagliavo.
Il dolore e la delusione sono peggio dell’apatia, sono
artigli che ti affondano nelle carni e ti lacerano l’anima,
fanno male.
Non sono come le ferite, non puoi medicarle e metterci un
cerotto, non guariscono, rimangono lì testarde. Ed
è tutta colpa di Jack, forse
non è una stronzata quella dell’anima, ma forse
non voglio neanche sentire
tutto questo.
Alzo una mano e la guardo: unghie smaltate di verde,
anello con una pietra di luna.
Mani piccole, con le dita forse un po’ troppo corte.
Mani che vorrebbero sprofondare nell’oblio e nel torpore
dell’apatia, ma che non possono.
Mani che adesso si muovono freneticamente alla disperata
ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi, un ricordo felice,
un’emozione positiva
non legata a Jack, ma non ci riescono.
È come annegare solo che non c’è acqua
attorno a te, solo
tanta solitudine e non avere nessuno a cui parlarne.
Non credo che né Amelie, né Lisa, né
Darren capirebbero,
sono io quella sbagliata.
Mi sdraio sulla sabbia e guardo le stelle, risplendono
così lontane e così menefreghiste, vorrei essere
come loro: bella, ma fredda.
A proposito di freddo, una brezza non esattamente calda si
alza dall’oceano a ricordarmi che Halloween è tra
un paio di giorni e presto
non farà più caldo nemmeno in California.
A malincuore mi alzo e vado verso la macchina, salgo e
guido fino a casa mia, pensando a cosa fare con Naruto. Non mi sento
pronta a
tenere di nuovo una tartaruga e che comunque dovrò partire
per un tour tra
qualche tempo, ho agito senza pensare il giorno che l’ho
vinta alle giostre.
Ci rimugino un po’ sopra e poi decido che la soluzione
migliore sia darlo a Marisol, il figlio minore vuole una tartaruga.
Arrivo a casa mia, parcheggio la macchina e poi salgo
fino al mio appartamento, quello di Marisol è sulla strada e
provo a bussare
sperando che non sia troppo tardi. Pr fortuna mi apre.
“Karima!”
“Ciao, Marisol. Scusa per l’orario, ma ho bisogno
di parlarti di una cosa.”
“Dimmi pure.”
Si scosta per lasciarmi entrare e io mi siedo su una delle poltrone del
suo
salotto colorato.
“È successo qualcosa di grave?”
“No, non preoccuparti. Qualche giorno fa ho vinto una
tartarughina, io non me
ne posso occupare, l’ho capito quando ormai era troppo tardi,
uno dei miei
impulsi da amante folle delle tartarughe.
So che tuo figlio ne vuole una, posso darla a te?
Ti do tutto quello che serve e ti spiego come prendertene
cura, se avessi qualche problema sono sempre disponibile.”
Lei mi guarda per un attimo.
“Non è solo perché non te ne puoi
occupare, è anche per
qualcos’altro.”
Io sospiro e muovo i piedi a disagio.
“L’ho vinta a un appuntamento con Jack, ma adesso
io e
lui abbiamo rotto.”
“E come mai?”
“Non è il ragazzo adatto a me.”
“Non è che hai paura di una relazione con un chico
così famoso?
Qualcuno che può metterti in secondo piano per la
fama?”
“Forse, fatto sta che non è andata.”
Lei annuisce.
“Io gliela darei una seconda possibilità
perché lui mi
sembra molto interessato a te.”
“Lui è interessato a ogni ragazza e poi continua a
illudere le ragazzine di
avere una relazione con un suo compagno di band.”
Lei rimane un attimo in silenzio.
“Sì, la prendo la tartaruga, ma tu pensa a quello
che ti
ho detto.”
“Va bene.”
Ci alziamo tutte e due dalla poltrone.
“Miguel sarà felice, come si chiama?”
“Naruto. Ma è ancora troppo piccola per essere
certi del sesso, potrebbe essere
una Hinata.”
“Uh?”
“Naruto è il biondino del poster che
c’è in camera di tuo figlio, quello dei
cartoni animati. Hinata è la ragazza innamorata di
lui.”
“Ah, ho capito.”
Usciamo dal mio appartamento e cominciamo a spostare le varie cose,
fortunatamente hanno una camera vuota da quando il figlio maggiore se
ne è
andato, così portiamo la vasca e tutto il resto
lì.
Io le spiego cosa fare, lei annuisce e promette di
chiamarmi se ci saranno dei problemi.
Il rumore attira Miguel che spalanca gli occhi quando
vede l’enorme vasca e corre subito a guardare cosa ci sia
dentro.
“Mamma! È una tartaruga! Dicevi che non avevamo i
soldi
per comprarla!”
“Karima ce l’ha gentilmente data insieme a tutta
l’attrezzatura.”
Il bambino mi guarda e poi mi abbraccia forte.
“Grazie, Karima! Ho sempre voluto una tartaruga.”
Io mi abbasso alla sua altezza.
“Lo so, mi devi promettere una cosa.”
“Dimmi.”
“Ti prenderai cura di lei meglio che puoi, lo farai?
Adesso lei è nelle tue mani.”
“Lo farò.”
Mi risponde serio, io gli scompiglio i capelli e lui torna a guardare
la vasca.
Io sorrido, a volte basta poco a fare felici le persone.
Vorrei tornare bambina, solo una bambina con le emozioni
a posto e non una problematica, forse adesso saprei come affrontare le
cose.
Forse adesso saprei cosa fare con
Jack,
stringo i pugni quando la mia coscienza lo nomina.
“Beh, io adesso vado, così potrai fare conoscenza
con
Naruto.”
“L’hai chiamata Naruto! Forte.
È un maschio quindi?”
“Forse, non lo so. È troppo piccola per essere
sicuri che sia davvero un
maschio, potrebbe diventare una Hinata.”
“Per fortuna non hai detto Sakura, non la sopporto.”
Borbotta lui.
Io sorrido, nemmeno a me piace molto quel personaggio.
“Grazie ancora, Karima.”
“Di niente, Marisol. Tu hai fatto tanto per me.”
Li saluto un’altra volta e poi esco dal loro appartamento,
pensando che i miei
genitori mi mancano più che mai. Ho come una fitta al cuore,
come se una parte
delle mie emozioni si fosse risvegliata, ma solo quella negativa.
-Non hai ancora tutta la
tua anima, se ti allontani da
Jack presto non sentirai più nulla di nuovo, è
questo che vuoi?
Non è quello
contro cui hai combattuto tutta la vita?-
Mi chiede spietata la mia coscienza, io non rispondo.
Non mi è mai piaciuto il torpore, ma mi ha anche protetto
da tante cose, da tutti quei piccoli grandi dolori che le persone
comuni
provano durante l’adolescenza.
Arrivo finalmente al mio appartamento, con un sospiro
sistemo la mia nuova attrezzatura e pulisco il soggiorno dai pezzi di
quella
vecchia. Alla fine riempio un sacchetto della spazzatura solo con
quella, buffo
come i sogni che mi hanno condotto a risparmiare ogni centesimo per
comprarla
si siano ridotti così.
Stanca, sia fisicamente che mentalmente esco sul terrazzo
della mia camera. Questo appartamento ha due terrazzi: quello della
sala dà sul
cortile interno, quello della camera sul mare.
Mi accendo una sigaretta e rivolgo uno sguardo
malinconico alla strada, al lungomare, ai suoi chioschi, per poi
spaziare alla
spiaggia buia alla distesa nera dell’oceano.
Sento il rumore delle onde e cerco di concentrarmi su di
quello, di solito mi calma, stasera no.
È come se avessi dei pesi attaccati alle braccia che mi
impediscono di librarmi in uno stato meditativo. Ripenso agli occhi
castani e
feriti di Jack, ai suoi goffi tentativi di chiarire con me e mi sento
una
stronza.
Probabilmente ho esagerato, ma non mi va di essere
coinvolta in una situazione che sembra una copia di quella in cui mi
sono
ritrovata in passato.
Non voglio soffrire ancora, soprattutto ora che so con
precisione cosa sia il dolore.
Sospiro e mi porto una mano sul volto, mentre la brezza
fredda e profumata di salsedine mi accarezza.
All’improvviso noto una figura sotto uno dei lampioni del
lungomare, una figura allampanata che guarda verso la mia terrazza.
Che sia Jack?
Spengo bruscamente la mia sigaretta, prendo il sacco con
i resti della mia macchina fotografica e scendo con la scusa di
buttarlo nel
cassonetto.
Esco da casa mia e poi dal condominio, apro il cassonetto
e butto il sacco, poi attraverso la strada facendo attenzione, sotto il
lampione non c’è più nessuno.
Rimango un attimo perplessa, chiedendomi se non
mi sono immaginata tutto, poi noto qualcosa
che luccica debolmente attaccato alla panchina più vicina.
Prendo in mano una
catena lunga e sottile di un colore tra l’oro e il rame a cui
è attaccata una
chiave, la osservo con attenzione per un paio di minuti, poi il mio
cuore salta
un paio di battiti.
È di Jack, la indossa spesso ultimamente, il che
significa che è stato qui e non mi sono immaginata nulla.
È consolante sapere
che non sto impazzendo.
Mi siedo sulla panchina rigirandomi la collana tra le
mani, chiedendomi cosa fare, tenerla?
Buttarla?
Alla fine me la metto al collo, domani gliela restituirò.
Ritorno a casa mia e mi accendo un’altra sigaretta,
osservo con attenzione le luci delle navi che si muovono
sull’acqua, alcune sono
lente, altre più veloci.
Perché Jack è venuto qui e mi ha lasciato la
collana?
Cosa significa questo gesto?
Continuo a fumare, poi mi metto a letto e stringo il
ciondolo tra le mani, pronta a una notte insonne, invece con mia grande
sorpresa mi addormento subito.
Sogno qualcosa di bello che non ricordo la mattina dopo e
mi chiedo se non sia merito della vicinanza di quel ragazzo.
Come può una persona ferirti e guarirti allo stesso
tempo?
È qualcosa che non riesco a capire, sono sicura che
c’entri l’amore, ma non so come.
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Capitolo 20 *** 19)Candele e falene. ***
19)Candele e falene.
Karima p.o.v.
La mattina dopo sono fisicamente riposata e mentalmente
uno straccio.
Lo specchio del bagno mi restituisce l’immagine di una
ragazza dagli occhi vuoti e dai capelli verdi sbiaditi. Dovrei
ritingermeli, ma
non mi sento più in sintonia con il verde, sospirando apro
l’anta di un
armadietto e cerco tra i vari barattoli di tintura verde della tinta
nera,
l’avevo presa per mia madre poco prima che lei morisse.
Controllo la scadenza, dopo il lavoro mi tingerò i
capelli, guardo il ciondolo di Jack e mi dico che oggi glielo
restituirò.
Mi preparo e poi esco dall’appartamento, mi fermo in un
bar a fare colazione e infine arrivo alla casa discografica. Non
c’è ancora
nessuno, quindi sistemo la mia attrezzatura e poi mi metto a giocare
con il
cellulare. Uno a uno mi passano davanti i membri degli All Time Low e
io li
saluto con un cenno della mano. Una volta arrivati tutti inizio a
lavorare e
non restituisco la collana a Jack
Non gliela restituisco nemmeno durante la pausa pranzo o
dopo il lavoro.
Perché sono così riluttante a farlo?
Non mi ero detta che lo volevo fuori dalla mia vita?
Forse il mio cuore sta facendo i capricci e sta sabotando
le decisioni prese dal mio cervello.
In ogni caso quando arrivo a casa trovo Ava seduta su una
delle sdraio della piscina condominiale.
“Ehi, ciao. Lo sa tua madre che sei qui?”
“No, pensa che io sia da un’amica, il tuo nome
è ancora
tabù in casa nostra.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Dai, vieni. Ho del ramen precotto.”
Insieme saliamo al mio appartamento e io inizio a cucinare.
Una volta servita la cena guardo mia cugina, ha i capelli
castani con qualche ciocca più chiara come mia zia e gli
occhi di mio zio: è
proprio cresciuta.
“Karima?”
“Sì?”
“Cosa c’è?”
“Nulla, pensavo solo che sei cresciuta, tutto qui.”
“Come va con Jack?”
“Ci siamo lasciati.”
“Come mai?”
Le racconto brevemente dell’incontro con le due fan e del
litigio successivo.
“Non pensi di avere esagerato?”
Io sospiro.
“Io per lui mi sono messa contro la mia famiglia e contro
Adam e lui non è riuscito a dire che ero la sua ragazza a
una stupida
ragazzina, anzi ha alimentato le sue fantasie malate.
Non funziona così, non c’è
rispetto.”
“Credo che l’amore non si misuri in base ai gesti che si fanno per
l’altro…”
“Sì, si misura in base alla sua
profondità e blablabla.
Il suo amore per me doveva essere molto profondo se mi ha
ignorato completamente, era come se non ci fossi a quel tavolo e non ha
capito
le mie motivazioni.
Può scusarsi quanto vuole, ma è tardi, Ava.
A volte semplicemente le cose non vanno.”
“O non si vuole farle andare. Quella collana è
sua, non è
vero?”
“Come fai a saperlo?”
“Gliel’ho vista in alcune foto.”
Io sospiro.
“Ieri era sotto casa mia, mi spiava. Quando sono scesa a
vedere se ci fosse davvero o avessi le allucinazioni ho trovato questa
collana
appesa alla panchina vicina a dove stava lui.”
“Credo che stia tentando di farti sapere che pensa ancora
a te, visto che tu non gli parli.”
“Gliela restituirò, avrei dovuto farlo
già oggi, ma non ci sono riuscita.”
“E non ti sei chiesta perché?”
Io scuoto la testa, mentendo e sapendo di mentire.
“Probabilmente perché nel profondo nemmeno tu vuoi
lasciarlo.”
“Perché dovrei rimanere con un tizio che mi
rispetta così poco?”
“Perché lo ami e perché lo sai anche tu
che non ti sei comportata bene con lui,
che non gli hai permesso di chiarirsi.”
Io sussulto, colpita nel profondo.
“Non… Non posso permettergli di farmi ancora del
male,
adesso che so cosa si prova.”
“Critichi mio padre dicendo che è troppo
orgoglioso, ma
tu ti comporti esattamente allo stesso modo.”
“Ava, credo che sia ora che io ti riaccompagni a casa o tua
madre si
preoccuperà.”
Lei sospira.
“Va bene. Ma promettimi che almeno ci penserai a quello
che ti ho detto.”
“Perché volete tutti farmi tornare con
lui?”
“Le decisioni prese quando sei incazzata spesso non sono le
migliori.”
Sparecchiamo la tavola e poi la riporto a casa.
Una volta fatto quello lavo i piatti e poi mi metto in
terrazza a fumare e ad ascoltare il rumore dell’oceano. Mi ha
sempre
confortato, ma oggi sembra rimproverarmi anche lui.
Mi tolgo la collana in un impeto di rabbia e faccio per
lanciarla in strada, ma non ci riesco, la mia mano stretta a pugno
rimane
sospesa a mezz’aria.
Sospirando la abbasso, la apro e guardo il dannato
ciondolo a forma di chiave, chiedendomi se Ava non abbia ragione.
Non lo so, ma domani gliela restituirò senza esitare.
Ho preso la mia decisione e non posso tornare indietro.
Rientro sentendo un peso sullo stomaco, così vado in
bagno, prendo la tintura, mi metto i guanti di lattice, la preparo e
poi me la
spalmo sulla testa.
La lascio in posa il tempo richiesto, poi mi sciacquo i
capelli e mi faccio uno shampoo, dopo averli asciugati mi guardo allo
specchio.
Ora una ragazza dai capelli neri lunghi fino alle spalle con una
frangia corta,
spenti occhi verdi e un piercing al naso mi guarda con lo stesso
sguardo triste
di stamattina.
Non è cambiato nulla, ma almeno i miei capelli sono
più
in tinta con il mio umore, magra consolazione.
Sospiro ed esco di nuovo in terrazza, mi accendo una
sigaretta e ascolto il suono del mare, immaginando di volare via verso
isole
tropicali sospinta dal vento e di atterrare su una spiaggia bianca dove
non c’è
nessuno che possa farmi male.
Apro gli occhi e sono nelle tenebre di San Diego.
Spengo la sigaretta e vado a letto.
Sogno ancora mia madre che mi dice di dare una seconda
possibilità a Jack, perché non posso nemmeno
riposare in pace?
La mattina dopo striscio fuori dal letto con la bocca
impastata e la verve di un cadavere.
Mi faccio una rapida doccia senza lavare i capelli e poi
mi guardo ancora allo specchio, mi fa strano rivedere il colore
naturale dei
miei capelli dopo tante tinte per nasconderlo.
Faccio colazione, indosso un largo maglione nero
dall’ampio scollo da cui spunta una canottiera a righe
bianche e nere, degli
skinny jeans pieni di tagli e gli anfibi.
Sono pronta o quasi per affrontare anche questa giornata
di lavoro.
Salgo in macchina e dopo aver attraversato il traffico
mattutino di San Diego arrivo alla casa discografica, la signorina
Preston
lancia un’occhiata perplessa ai miei capelli.
“Ti sta bene il nero.”
“Grazie mille.”
Vado nello studio e comincio a montare la mia
attrezzatura come al solito, poco dopo entrano Rian a Zack
chiacchierando.
Smettono non appena mi vedono.
“Si può sapere che ti succede?
Niente codini e capelli neri?”
“Non penso siano affari vostri e comunque i miei capelli sono
naturalmente
neri.”
“Non può tornare come prima?”
“No, le cose non possono tornare come prima. Ho
l’impressione che mi
consideriate una specie di amica, ma io sono solo una dipendente di
questa casa
discografica. Una volta che il tour sarà finito potremmo
anche non vederci mai
più, quindi è inutile fingere
interesse.”
“Ma noi non fingiamo! Noi siamo preoccupati per te e per Jack.
State male tutti e due e non volete nemmeno risolvere le
cose, oggi lui non viene perché dice di essere malato, ma la
verità è che non
vuole vedere te.”
“Non so cosa farci! Io avevo dato le mie dimissioni, ma non
le hanno accettate!
Nemmeno a me fa piacere venire qui ogni giorno!”
“Non puoi passare sopra al …”
“No, non posso. Lui mi ha ignorato, lui ha minimizzato il
problema e non mi ha
ascoltata, che relazione possiamo avere?
Lui che se la gode e io nascosta in un angolo senza
diritto di parola?
Perché non mi fate indossare un burqa o un mantello
dell’invisibilità già che ci siete?
Non pretendo che lo scriva sui muri o lo gridi a ogni
intervista che mi ama o che sono la sua ragazza, ma non voglio essere
ignorata
e non voglio che si incoraggino bugie quando ci sono io.
Io non sono la bambola di nessuno!”
Non me ne sono accorta, ma man mano che il mio discorso
proseguiva ho alzato la voce fino a urlare.
“Scusate, torno subito.
Quello che ho fatto è stato poco professionale e ho
bisogno di darmi una calmata se voglio poter lavorare oggi.”
Uscendo mi scontro con Alex.
“Ho sentito quello che hai detto, mi dispiace, ok?”
Io non dico niente e lo oltrepasso rapida, sento l’aria
mancarmi. Arrivo all’atrio e
poi finalmente all’aria aperta, dove inizio a respirare
profondamente, concentrandomi
sull’aria che entra ed esce dai miei polmoni.
Dopo qualche minuto inizio a sentirmi decisamente meglio,
ma rimango fuori ancora un po’ per essere sicura di avere del
tutto recuperato
il mio autocontrollo.
Quando me la sento rientro e torno allo studio, sono
tutti già ai loro posti.
“Jack non c’è oggi.”
Mi dice Alex.
“Lo so, Zack e Rian me lo hanno già
detto.”
Annuisce.
Loro iniziano a lavorare e io a fotografare quello che
ritengo necessario o adatto senza parlarci ed è meglio
così. Quello che è successo
prima è la prova che non sono ancora pronta ad avere una
conversazione con
loro.
Per la milionesima volta mi chiedo perché mi sia proposta
per questo lavoro, io non sono adatta a stare tra la gente, sto meglio
dietro
alla scrivania di un ufficio.
Non avrei mai dovuto dare retta ad Adam o a mio zio,
lavorando qui mi sono successi solo casini.
-Ok, dopo questa
parentesi scomoda tornerai alla Fueled
By Ramen e striscerai per riottenere il tuo posto.-
Sì, penso che farò così.
Eppure c’è una parte di me che si ribella
all’idea, che
vuole continuare a fotografare.
È questo il problema con il fuoco, non ti bruci soltanto,
a volte qualcosa si accende dentro di te e non riesci più a
spegnerlo e Jack è
stato fuoco per me.
“Karima?”
La voce di Rian mi riporta alla realtà.
“Sì?”
“È arrivata la pausa pranzo.”
“Ok, grazie.”
“Vieni a mangiare qualcosa con noi?”
“No, grazie.”
“Dai, dovremo fare un tour insieme!”
“E voi mangiate con i vostri tecnici di solito?”
“A volte.”
“Fate che questa sia una di quelle volte che non vi
va.”
“Per favore, Karima. Lasciaci rimediare ai nostri
errori.”
“È troppo tardi.”
Guardo Alex e lui distoglie lo sguardo.
“Mi dispiace, Karima.
Mi sono comportato male con te, ho pensato solo a Jack e
non ho ascoltato la tua versione, mi dispiace.”
“Mi hai messo le mani addosso, Gaskarth.”
“Mi dispiace anche per quello, non avrei dovuto
farlo.”
Non so cosa fare, mi sento come se fossi in trappola: una
parte di me vorrebbe accettare le
loro
scuse, un’altra no.
Mi guardo intorno con aria disperata, perché sento di
nuovo il respiro venire meno, alla fine il mio mondo diventa nero e
sento le
forze abbandonarmi.
Mi risveglio in un locale molto bianco sdraiata su di un
lettino, non sembra un ospedale, la porta si apre ed entra la signorina
Preston.
“Dove sono?”
Chiedo con voce cavernosa.
“In infermeria.”
“Co-cosa mi è successo?”
“Niente di grave, sei solo svenuta. È stato un
semplice calo di zuccheri forse
dovuto a un qualche shock. Sei rimasta incosciente per un
po’.”
La porta si spalanca ed entra un Jack dall’aria trafelata.
“Co-cosa ci fai qui?”
Chiedo tirando il leggero lenzuolo fin sopra il mento.
“Alex mi ha chiamato dicendomi che eri collassata, era
nel panico più totale.”
“Sono solo svenuta, l’erba cattiva non muore
così facilmente.”
“Karima, ero solo preoccupato per te.”
“Non ce n’era bisogno, so cavarmela da
sola.”
Jack guarda la signorina Preston, poi esce.
“Per quanto ancora vuoi farlo soffrire?”
“Io vorrei solo che mi lasciasse in pace.”
“Non è vero e lo sappiamo tutte e due, ti sei
innamorata
di lui e certi sentimenti non si cancellano così
facilmente.”
“Io non provo sentimenti.”
“So riconoscere una ragazza innamorata quando ne vedo una e
tu sei innamorata
di quel ragazzo e credo che tu gli interessi abbastanza da precipitarsi
qui per
un semplice svenimento.”
Io non dico nulla.
“Cosa è successo, comunque?”
“Rian mi ha chiamato per la pausa pranzo, mi hanno
chiesto di uscire con loro e io ho rifiutato.
Poi Alex si è scusato e all’improvviso tutto
è diventato
nero.”
Lei mi guarda paziente.
“Dà loro una seconda possibilità, non
sono cattivi
ragazzi alla fine.”
Io rimango di nuovo in silenzio.
“Alex ha tentato di picchiarmi.”
“Ma si è pentito.”
“Sì, mi ha anche chiesto scusa, ma io faccio
fatica a
credergli. Di solito passavo sopra a cose come queste perché
non sentivo dei
sentimenti, ma questa volta è diverso.”
“Sono sicura che al momento giusto, dentro di te, saprai cosa
fare.
Stai sdraiata per un’altra decina di minuti e poi portai
alzarti.”
“Va bene.”
La signorina se ne va lasciandomi sola con i miei pensieri, uno
più confuso
dell’altro. Davvero alla fine non sono poi così
pessimi?
Beh, Alex si è scusato e gli altri hanno tentato di fare
pace, ma io sono spaventata, ho paura che mi possa ferire di nuovo se
non
peggio.
E poi c’è Jack. Jack che mi ha lasciato il suo
ciondolo e
si è precipitato qui non appena ha saputo che sono stata
male. Perché lo ha
fatto?
Se per lui sono una tizia da nascondere perché
preoccuparsi così tanto?
Mi porto le mani alla testa e rimango sdraiata per dieci
minuti, poi mi alzo cautamente in piedi e noto che non crollo a terra
né mi
gira la testa.
Sto di nuovo bene.
Esco dall’infermeria, Jack è appoggiato al muro.
“Cosa ci fai qui?”
“Volevo sapere come stavi.”
“Meglio, è stato un semplice svenimento, niente di
che.”
“Ma c’erano i ragazzi…”
“Se ti chiedi se siano violenti o qualcosa del genere, la
risposta è no.
Si stavano scusando a dire il vero, soprattutto Alex, io
sono svenuta all’improvviso. Tutto qui, nulla di strano.
Sarà stato un calo di
zuccheri.”
“Karima, possiamo parlare di quello che è successo
tra di noi?”
“No. È già stato detto tutto.”
“Non mi hai lasciato parlare, spiegare…”
“Che cosa, Jack?
Qualsiasi cosa che non mi facesse sentire una pazza
esaurita non l’hai detta quella notte. Il resto è
storia.”
“E i tuoi capelli?”
“Sono naturalmente neri, è un ritorno alle
origini.”
“Karima, ti prego.”
“Scusa, ma devo tornare a lavorare e ti consiglierei di
tornare a casa, ti sei
dato malato e non sarebbe una bella cosa se ti trovassero qui in
perfetta
salute.
Ciao, stammi bene.”
“Karima.”
Lo guardo con un grande sforzo.
“Un giorno mi ascolterai e capirai e le cose torneranno
come prima, ne sono sicuro.
Io sono qui che ti aspetto.”
Io non so cosa dire, quindi – dopo averlo guardato per un
po’ – giro i tacchi e
torno allo studio di registrazione. Su un tavolo
c’è del cibo che proviene dal
più vicino Mac Donald.
“Non hai mangiato.”
Butta lì a mo’ di spiegazione Alex.
“Grazie.”
Io mi siedo e mangio in silenzio, è tutto ottimo come al
solito, non c’è nulla
di cui lamentarsi.
“Grazie, era tutto buonissimo.”
Dico mentre butto i cartoni nel cestino.
“Di niente. Tu stai meglio?”
“Sì, grazie.”
“Hai parlato con Jack.”
“Sì, ma non abbiamo chiarito, io non mi fido
ancora di lui.”
Alex sospira, ma non dice nulla.
Riprendiamo a lavorare senza dirci molto, solo le cose
essenziali e con una lentezza impressionante arriva la fine anche di
questa
giornata lavorativa.
Non vedo l’ora di fare la muffa sul divano, viva la vita!
Finalmente anche questo giorno di lavoro finisce, smonto
la mia attrezzatura e saluto la band con aria assente, poi –
visto che sono
l’ultima – chiudo a chiave lo studio e consegno le
chiavi al portiere.
La fresca aria notturna è un toccasana dopo tante ore
passate al chiuso, con un mezzo sorriso vado verso la mia macchina e
carico
tutto nel baule.
Tanto per cambiare c’è traffico e arrivo a casa
piuttosto
tardi, dopo aver trascinato tutto fino al mio appartamento mi faccio
una doccia
e cucino un po’ di pasta.
Sono talmente stanca che non mi va nemmeno di guardare la
tv, quindi vado direttamente in terrazza e mi accendo una sigaretta per
poi
lasciarmi cadere senza grazia su di una sedia di plastica.
Il mio sguardo vaga dal mare al lungomare e lo vedo di
nuovo: un’altra figura con una ciocca di rossa tra irti
capelli neri.
Jack.
Fermo nello stesso punto dell’altra volta, lo guardo
ipnotizzata, indecisa se ignorarlo e scendere a dirgliene quattro.
Alla fine decido di lasciar perdere, non ho la forza di
affrontare un altro litigio con lui o forse ne ho paura. Ho paura di cedere e di
dargli una seconda
possibilità, ho paura di farmi male di nuovo.
Ma lui per me è l’equivalente di una candela per
una
falena, per quanto ancora resisterò alla tentazione di
avvicinarmi a lui?
Non lo so e la cosa mi spaventa.
Sono sempre stata io ad avere il controllo della
situazione e ora che non è così non so cosa fare.
Finita la sigaretta mi butto a letto, la mano stretta
alla collana di Jack, e cado in un sonno senza sogni.
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Capitolo 21 *** 20)La chiave. ***
20)La chiave.
Karima p.o.v.
Un mese dopo, alla metà
di novembre, il tour parte o
almeno la parte prenatalizia.
A un’ora assurda della notte chiamo un taxi e carico le
mie valigie per il tour augurandomi di non avere dimenticato nulla.
Entro in
macchina con gli occhi gonfi di sonno facendo un inventario mentale di
quello
che ho caricato adesso e delle valigie che ho portato oggi al lavoro.
La macchina percorre una San Diego tranquilla, ma con
ancora qualcuno in giro come accade in ogni grande città.
Dicono che le grandi
città siano come animali che non dormono mai e probabilmente
è vero. Arrivata
alla Hopeless Record pago il taxista e Rian mi aiuta a scaricare i
bagagli. Ho
ripreso a parlare con la band, ma non con Jack, è
già qualcosa immagino.
Una volta chiuso il cofano del bagagliaio la macchina
riparte, io e il batterista mettiamo alcune cose nel bagagliaio del
pullman e
altre le porto sul tourbus.
Gli altri sono già dentro, Jack dormicchia sul divano,
Alex e Zack sono seduti a un tavolinetto con la testa che ciondola.
“Che la festa abbia inizio.”
Mugugna il cantante.
“Se non vi offendete vado a letto, sono stanchissimo. Non
ho dormito per salutare Lisa come si deve.”
“Selvaggio.”
Grugnisce il bassista.
“Vado a letto anche io o devi farci qualche foto,
Karima?”
“No, senza offesa sembrate dei morti viventi e ho sempre
pensato che
fotografare la gente mentre dorme sia una cosa un po’da
maniaci. E poi ho sonno
anche io.”
“Bene, allora ti faccio vedere il tuo bunk.”
Il cantante si alza, scosta la tenda che divide la zona giorno da
quella notte
e mi indica un minuscolo lettino chiuso da tende.
“Sei sopra al bunk di Jack, ho pensato che sarebbe stato
meglio per te non essere chiusa in un bunk al piano terra al tuo primo
tour.
Sono piuttosto claustrofobici.”
“Grazie e poi speri che io chiarisca con lui, vero?”
“Qualcosa del genere.”
“Ok. Adesso sistemo le mie cose e mi metto in pigiama, di
solito dormo con una
maglia a mezze maniche lunga. È un problema per
voi?”
“No. Non giriamo in boxer solo perché non
è estate.”
Rapidamente metto via le mie cose negli spazi che mi sono stati
indicati, poi
vado in bagno e mi metto una lunga maglia degli Avenged Sevenfold.
“Bel pigiama.”
La voce di Jack è impastata dal sonno.
“Grazie, buonanotte.”
Rispondo piuttosto fredda, per poi scostare le tende e infilarmi sotto
le
lenzuola fresche.
Dovrei analizzare il fatto che lui mi abbia vista mezza
nuda, ma sono semplicemente troppo stanca per farlo. Il mio cervello
non
connette molto bene e infatti mi addormento cinque minuti dopo che ho
appoggiato la testa sul cuscino.
Finisco per ritrovarmi su una delle spiagge di San Diego,
è piena estate perché il sole è caldo
sulla pelle ed è una bella giornata, una
di quelle che ti invitano a fare un bagno nell’oceano.
Seduta, mi domando se non sia il caso di alzarsi e
raggiungere la distesa d’acqua davanti a me, quando qualcuno
mi si siede
accanto.
Incuriosita mi volto e mi ritrovo faccia a faccia con mia
madre, i capelli neri sciolti mossi dalla leggera brezza, senza
l’hijab sembra
ancora una ragazzina.
“Mamma.”
“Karima. Vedo che hai deciso di tornare al tuo colore
naturale, stai molto bene.”
“Grazie, mamma. Com’è la vita
dall’altra parte? Se esiste quest’altra parte e
non sei frutto della mia immaginazione.”
“Allora ti ho insegnato davvero poco, certo che esiste
l’aldilà, ma non è
permesso parlarne ai vivi, morti e vivi non devono
mischiarsi.”
“E allora perché sei qui?”
“I sogni sono un canale percorribile perché si
possono dimenticare se si
vuole.”
“Credo di capire, non influenzano la tua vita a meno che tu
non glielo
permetta.”
“Esatto.”
Io mi accendo una sigaretta, lei me ne ruba una dal pacchetto e se la
accende a
sua volta.
“Fumavo quando ho conosciuto tuo padre, la mia famiglia
era una molto tradizionalista e fumare mi sembrava un grande gesto di
ribellione visto che non era permesso alle donne o almeno a quelle non
sposate.
Alcune donne sposate
lo facevano se il
marito glielo permetteva.
Poi ho conosciuto tuo padre e lui mi ha convinto a
smettere, ma ho sempre avuto la tentazione di riprendere.
Dall’altra parte
posso fumare senza pericolo di morire.”
Ride, io la guardo senza capire.
Non è venuta di sicuro per raccontarmi che una volta
fumava.
“Mi hai già chiesto perché sono
qui.”
“Sì, l’ho fatto, ma tu non mi hai
risposto.”
“Sono venuta per Jack.”
Io mi irrigidisco.
“Mamma, ne abbiamo già parlato: non è
il ragazzo per me.”
“È la tua anima gemella, vedo la tua anima dentro
di
lui.”
Io sospiro.
“Mamma, inizio a credere che non sia vero, che sia io a
possedere la mia anima come tutti.”
Lei mi rivolge un’occhiata penetrante.
“Da quando hai iniziato a mentire a te stessa? Forse da
quando lasci che l’orgoglio guidi le tue azioni?”
“Ma lui non mi ha rispettato, non si è comportato
bene con me, mi ha trattato
come un sacco di merda.”
“Lo so, lo so.”
Mi prende le mani.
“Ma ha anche cercato di scusarsi e di sistemare le cose,
ma tu non glielo hai mai permesso.”
“Nessuno ama essere fregato due volte se può
evitarlo.”
“E allora perché porti al collo la collana che ti
ha
dato?
Perché in un mese non gliel’hai ancora restituita,
nonostante tu abbia avuto mille occasioni per farlo?”
Io non rispondo.
“Perché in fondo al cuore ti importa ancora di lui
e a
lui importa molto di te e prima lo accetterai e meglio sarà
per tutti,
soprattutto per te.
Sei stata bene in questo mese?”
All’improvviso tutto inizia a tremare e vengo risucchiata in
un buco che si è
formato a pochi centimetri dai miei piedi.
Precipito nel nero e urlo.
Urlo che qualcuno mi salvi.
Mi sveglio nel mio bunk, sudata e ansante.
Appoggio le mani sulla fronte e cerco di regolarizzare il
respiro, una volta raggiunta una calma accettabile, mi metto una felpa
e un
paio di jeans e striscio in cucina.
Mi sento ancora scossa, fuori è mattina presto e vorrei
dormire ancora un po’cerco delle bustine di camomilla senza
trovarle.
“Cazzo!”
Impreco a bassa voce.
“Karima?”
Mi volto e vedo Alex solo in boxer e maglietta.
“Sì, Alex?”
“Cosa c’è?”
“Cerco della camomilla, ma non la trovo.”
“Non c’è camomilla su questo pullman,
solo del the.”
“Okay.”
Rispondo rassegnata e mi faccio una tazza di the, lui rimane a
guardarmi.
“Cosa c’è?”
“Nulla, ho avuto un incubo.”
“Di che genere?”
Io mi guardo attorno, il pullman sembra deserto, ma non si
può mai sapere.
“Jack dorme?”
“Sì.”
“Bene. Allora sediamoci sul divano, almeno ti copri con
la coperta.”
Lui annuisce e andiamo nella zona relax, lui si avvolge in una coperta
e mi
guarda curioso.
“Ero su una delle tante spiagge di San Diego, era una
bella giornata estiva di quelle che ti fanno venire voglia di farti un
bagno e
fanculo i problemi. Stavo per andare verso l’oceano quando
è arrivata mia
madre.”
“E non è bello?”
“In un certo senso sì. Abbiamo parlato
dell’aldilà e poi
il discorso è finito su Jack. Secondo lei è la
mia anima gemella e dice che vede la
mia anima dentro la sua. Le ho detto che si è comportato
male con me e non mi
ha rispettata, ma lei mi ha detto che anche io ho sbagliato, che non
gli ho
permesso di scusarsi e che mi sto facendo trascinare
dall’orgoglio.
Ah! E mento anche
a me stessa quando metto in dubbio la faccenda
dell’anima gemella o
della mia mancanza di un’anima. Poi si è aperta
una voragine sotto di me e sono
precipitata nel nero e mi sono ritrovata nel mio letto.
Che cazzo! Perché tutti mi mettono pressione addosso,
persino l’anima di mia madre, io non ce la faccio
più!”
Esclamo frustrata.
“Forse perché tutti vogliamo aiutarti a
riflettere, Jack
ti piace ancora o non porteresti la sua collana.”
Io sospiro.
“Dovrei restituirgliela, ma ogni volta che ci provo qualcosa
mi blocca.”
“Credo che sia il tuo istinto.”
“Forse.”
Mi prendo la testa tra le mani, perché è tutto
così
complicato a questo mondo?
Alex mi passa un braccio attorno alle spalle.
“Andrà tutto bene, Karima. In qualche modo tutto
si
risolverà, se siete destinati a stare insieme
arriverà un momento in cui tutti
i tuoi dubbi e le tue paure spariranno, non perché qualcuno
le abbia cancellate
come per magia, ma perché la paura di perdere Jack
diventerà più forte.”
“Se lo dici tu…”
All’improvviso sento uno sguardo ostile su di me, Jack
torreggia su me e Alex
accigliato. Le mani sui fianchi con addosso solo un paio di jeans.
“Cosa sta succedendo?”
“Nulla, Karima ha solo avuto un incubo.”
“E da quando la consoli? Mezzo nudo soprattutto.
Pensavo non la sopportassi.”
Io mi stacco da Alex bruscamente.
“Jack non sta succedendo nulla, non c’è
bisogno di
reagire così.”
Lui mi guarda a lungo e poi se ne va.
Poco dopo arrivano anche gli altri e si mettono tutti
intorno al tavolo a fare colazione, Jack non parla ad Alex nemmeno per
errore.
Io rimango sul divano a guardare sentendomi un sacco di merda che porta
solo
guai. Finita colazione Jack torna nella zona dei bunk e Alex rimane
seduto al
tavolo, faccio un cenno a Rian.
“Cosa sta succedendo?”
“Credo che Jack sia geloso di Alex, ma cosa è
successo?”
“Nulla. Ho avuto un incubo e Alex mi ha consolata, Jack
è arrivato e non ha
gradito la cosa.
Credo sia meglio che vada nella cabina dell’autista,
almeno lì non combinerò guai.”
Mi alzo dal divano e raggiungo la cabina, l’autista
è un uomo di circa
cinquant’anni con un’espressione tranquilla.
“Tira una brutta aria là?”
“Che?”
“Di solito la gente che viene qui vuole scappare
dall’atmosfera pesante,
pensano tutti che la vita della rockstar sia rose e fiori, ma sono
umani anche
loro e hanno i loro momenti no.”
“Ha perfettamente ragione.”
“Dammi del tu.”
“Ma lei po… no, non fa niente.”
Lui mi lancia un’occhiata perplessa di sbieco.
“Stavo per dire che lei potrebbe essere mio padre, ma mio
padre è morto due mesi fa.”
“Mi dispiace, un cancro?”
Io rido amara.
“Uno stronzo ubriaco è andato addosso alla
macchina dei
miei genitori a New York, sono morti tutti e due, il bastardo non si
è fatto
nulla.”
“Mi dispiace davvero.”
Rimaniamo in silenzio.
“Cosa è successo?”
“Diciamo che io e Jack abbiamo avuto una mezza storia che
è finita perché io mi
sono tirata indietro. Ho avuto un incubo, Alex mi ha consolata, Jack si
è
arrabbiato.
Secondo Rian è geloso di Alex.”
“E ha una qualche ragione per esserlo?”
“No. Alex non mi piace e ha una ragazza.”
“Vedi, ragazzina…”
“Mi chiamo Karima.”
“Karima. Molte ragazze in passato si sono interessate a Jack
per arrivare ad
Alex, il fromtman figo e stronzate simili. Jack ci ha sempre riso sopra
e ha
sempre detto che almeno ci ha rimediato del buon sesso, ma in
realtà ci è
rimasto male. Pensa di valere meno di Alex, ma non glielo dice per non
farlo rimanere
male.”
“E lei è sicuro di queste cose?”
“Me le ha dette Jack, io conosco i loro segreti.”
Io stringo i pugni.
“Se lei conosce i loro segreti può togliermi un
dubbio?”
“Dimmi.”
“Alex e Jack hanno mai avuto una storia? O ce
l’hanno tuttora?”
“Hai scoperto del Jalex o ti sei scontrata con qualcuno che
ha tentato di
fartelo digerire come verità?”
Io annuisco.
“È tutto falso, non c’è mai
stato nulla fra di loro, sono
solo amici.”
“Capisco. Si può fumare qui dentro?”
“Sì.”
“La mia risposta non ti ha soddisfatta.”
“Non del tutto. Il problema è più
profondo, Jack mi aveva chiesto di diventare
la sua ragazza e io avevo accettato, poi abbiamo incontrato una
ragazzina che
si è messa a blaterare su come il jalex fosse
l’obbiettivo della relazione con
il suo ragazzo. E Jack non solo è stato zitto e mi ha
ignorato come se non ci
fossi, ma l’ha anche incoraggiata. Quando gliel’ho
fatto presente, lui ha
tentato di farmi credere che fossi solo una pazza che si arrabbiava per
nulla.
È questo il problema, se nelle sue priorità vengo
dopo
una bugia che futuro possiamo avere?
Può scusarsi quanto vuole, ma le azioni rimangono.”
“Sì, ma a volte possiamo dare una seconda
possibilità, forse lui non credeva
fosse così grave.”
“E allora non ha mai capito nulla di me.”
Mi chiudo di nuovo nel mio silenzio, sento la rabbia pulsare e ripenso
a tutte le volte che le persone mi hanno ignorato, finto
sentimenti per me o usato per arrivare a mio zio o ad Adam.
È un nodo in gola che non si scioglie e che mi soffoca.
“Perdonalo e starai meglio, forse pensi che sia una
cazzata, ma a volte il perdono libera.”
“Mi dispiace, ma non sono d’accordo.”
“Sei una ragazza tosta, a volte dura, ma molto più
autentica di tante persone
che fanno le buoniste, forse è per questo che piaci a
Jack.”
Io non dico nulla.
Dopo non so quanto tempo Zack si affacci alla cabina.
“Karima, è pronto il pranzo.”
“Arrivo, grazie della chiacchierata.”
Dico all’autista.
“Di niente, Karima.”
Seguo Zack con aria depressa, non muoio dalla voglia di tornare in una
zona di
guerra.
“Cosa si mangia?”
“Hambuger e patatine fritte.”
“Va bene. Com’è la situazione di
là?”
“Alex e Jack ancora non si parlano.”
“Lo sapevo che dovevo insistere con la storia delle mie
dimissioni, cercherò di
risolvere questa cosa.”
Lui annuisce.
Ci sediamo al tavolo e mangiamo in silenzio, il cibo non
è male.
“Tutto buonissimo. A chi devo fare i complimenti?”
“A me.”
Risponde Zack.
“Allora, complimenti Zack.”
Jack sbuffa, io lo guardo.
Gli altri percepiscono la tensione e levano la tende.
“Jack, io e te dobbiamo parlare.”
“Ah, ora mi parli?
Cos’è? Vuoi dirmi che trovi Alex più
interessante o che è
lui il proprietario della tua anima?”
“No! Stai facendo casino per niente!”
“Ho avuto una buona maestra.”
Io non replico, non sono qui per gettare benzina sul
fuoco.
“Io e Alex siamo solo amici.
Non che ci si possa definire migliori amici, ma non siamo
quello che pensi tu, non sono interessata ad Alex.”
“E allora perché con lui parli e con me
no?”
“Dio, Cristo! È possibile che tu sia
così idiota?”
“Sì, sono un cazzo di idiota che vuole una
spiegazione!”
Dice alzandosi violentemente in piedi, tanto da ribaltare la sedia su
cui era
seduto.
“Alex è solo un amico, è per questo che
sono passata
sopra alle sue azioni.
Tu non eri un amico, coglione, tu eri qualcosa di più!
Mi avevi chiesto di diventare la tua ragazza e di avere
un posto della tua vita, ma poi mi hai dimostrato che nella tua vita
per non
c’era spazio. Mi hai ignorato e mi hai dato della pazza, e
io…
Io ti amavo e forse ti amo ancora, ecco perché non ti
parlo.
Tu mi hai ferita e hai deciso che non te ne fregava
nulla.”
Con un gesto teatrale mi tolgo la sua collana e la butto per terra, poi
esco
come una furia dalla minuscola cucina e vado a rifugiarmi nel mio bunk.
Inizio a piangere disperata pensando che questo ragazzo
non ha capito nulla di me e che è un idiota. Sento la tenda
tirarsi.
“Vai via, chiunque tu sia, ne he piene le scatole delle
band!”
“Sono io, Rian.”
“VAI VIA!”
La tenda si tira di nuovo e io vengo lasciata da sola con il mio
dolore, erano
anni che non piangevo così, forse è la somma di
tutte le cose che mi sono
successe ultimamente.
Ogni tanto anche le persone senza anima come me si devono
sfogare o impazziscono.
Continuo a piangere, il petto squassato dai singhiozzi
fino a che non mi addormento, ovviamente il mio sonno è
turbato da ogni genere
di incubi: dalla morte dei miei, a quella fatidica serata in cui io e
Jack
abbiamo litigato, al fatto che il fantasma di mia madre mi perseguiti.
Quando mi sveglio, ho gli occhi secchi e un gran mal di
testa, sbadiglio e mi dico che è arrivata l’ora di
prendere un antidolorifico.
Allora mi accorgo che c’è qualcosa sul mio
cuscino: una
collana che ha come ciondolo una chiave di bronzo con un biglietto
accanto.
“Sono
stato uno stupido, scusami.
Per favore non togliertela più, almeno so che per noi
c’è
ancora speranza, che in qualche modo rimetteremo a posto tutto.
Ti prego.
Jack”
Io me la sto per infilare in tasca
per ridargliela, ma la
mia mano scatta verso l’alto e mi ritrovo a indossarla di
nuovo.
Cos’è questa forza sconosciuta che guida le mie
azioni?
Destino, amore o qualcos altro? Oppure qualcun altro?
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Capitolo 22 *** 21)Solo una figlia rotta. ***
21)Solo una figlia rotta.
Karima p.o.v.
Il giorno dopo – il secondo del tour – mi sveglio
con un
gran mal di testa e una voglia pazzesca di vomitare.
Probabilmente le emozioni del giorno prima mi hanno
scombussolato al punto che mi sembra di avere compiuto una traversata
con un
mare in burrasca invece di essere su di un pullman.
Con la verve di un cadavere striscio fuori dal mio
lettino, metto un paio di jeans e un golf lungo arancione e mi avvio
verso la
cucina.
Sono tutti svegli tranne Jack.
“Dove sono le aspirine in questo manicomio?”
“A che ti servono?”
Mi chiede Zack, che mi dà le spalle intento a cucinare
quelle che sembrano uova
e bacon.
“Girati e capirai da solo.”
Lui esegue e trasalisce.
“Cazzo, che brutto aspetto! Sembri la morte.”
Io gli lancio un bacio sarcastico e mi lascio cadere su una sedia.
“Ti sei ubriacata?”
“No, a meno che l’abbia fatto da
sonnambula.”
Non appena Zack ha finito, mi preparo un the che bevo insieme a qualche
biscotto, cercando disperatamente di non vomitare il tutto.
“Le aspirine sono nel primo cassettino del bagno.”
“Grazie, Rian.”
Vado a prenderne una, poi mi fumo una sigaretta e mi sdraio sul divano
in
attesa che faccia effetto. Mezz’ora dopo il senso di nausea
è sparito, il mal
di testa è notevolmente diminuito e mi sembra di sentire una
scintilla di vita.
Ottimo, metto un paio di calzini e tiro fuori la macchina
fotografica, devo o non devo documentare questo tour?
Alex e Zack stanno giocando alla play, Rian si sta
esercitando con il suo kit portatile, io scatto foto a tutti, cercando
di
cogliere al meglio le loro espressioni e con la vaga idea di
trasformarle in
foto in bianco e nero con la magia dei programmi di grafica.
“Ma Jack?”
Chiede il batterista.
“Non si è ancora visto, qualcuno vada a
controllare che
non sia morto.”
Il cantante e il bassista sbuffano, Rian si alza,
all’improvvisto qualcuno mi
afferra per il polso e mi costringe a girarmi. Un click e una foto esce
da una
vecchia polaroid tenuta in mano da Jack che la sventola soddisfatto.
Io sono troppo sorpresa e sconvolta per protestare, ma mi
riprendo subito e cerco di afferrare la foto, ma lui è tropo
alto per me. Forse
potrei dargli un calcio nei coglioni in modo che si abbassi, ma sono
pagata per
fotografare i ragazzi e non per far loro del male. Jack la studia
tenendola in
alto.
“Oh, sì! Sei uscita proprio bene!”
“Fa’ vedere!”
Alex si alza e Jack gli passa la foto alzandosi sulla punta dei piedi,
che
rabbia!
“Sì, è carina!”
“Ma bene, rubami anche il lavoro!”
Sbotto arrabbiata e la prendo dalle mani di uno stupefatto Alex. La
foto fa
schifo, ho un’espressione sorpresa che qualcuno potrebbe
definire buffa e
tenera, i capelli raccolti in una crocchia grazie a una matita e gli
occhi con il
trucco nero leggermente colato. Sto per strapparla, ma il chitarrista
è più
veloce di me e si rifugia nel suo bunk.
“L’ho messa dove non la troverai mai, quindi non
provare
neanche a cercarla.”
“Perché diavolo mi hai fatto una foto?”
“Visto che non vuoi parlarmi parlerò alla tua
foto.”
Cerco qualcosa di velenoso da replicare, ma non mi viene in mente
nulla, così
lui se ne va in cucina con un ghigno soddisfatto dipinto su quella
faccia da
impunito.
“Cosa devo fare con lui?”
Urlo frustrata.
“Tornare a parlare con lui?”
“Dargli una seconda possibilità?”
Mi rispondono in coro Zack e Alex, io grugnisco insoddisfatta.
Perché nessuno mi capisce?
“Karima, trascorreremo mesi insieme, non puoi continuare
a evitarlo.”
“Saremo a casa tra meno di un mese per Natale.”
“E dopo?”
“Dopo non lo so.”
Provo una curiosa sensazione, una parte di me vorrebbe
dare loro retta, l’altra grida “no” e mi
ricorda perché io e Jack non ci
parliamo più.
Un’ora dopo, dopo aver scattato altre foto tra cui alcune
anche a Jack – sebbene con estrema riluttanza –
Alex si alza in piedi e mi
guarda.
“Sarebbe mezzogiorno, ora di pranzo.”
“E perché me lo dici?”
Poi spalanco gli occhi.
“Oh! Vuoi che io cucini!”
“Sì.”
“Sì, va bene. Mi cimenterò
nell’ardua impresa di preparare un piatto di pasta.”
“Guarda che siamo esigenti.”
Io sbuffo.
“Ti do una mano!”
Dice Jack, urlano tutti “no!” in coro, lui guarda
ferito i suoi amici.
“Beh?”
“Senza offesa, Jack, ma sei un pericolo per
l’umanità quando ti avvicini a una
cucina. Sei riuscito persino a far bruciare la minestra.”
“Begli amici che ho.”
Borbotta lui.
Io sono felice che non cucini con me, saremmo troppo
vicini in uno spazio troppo ridotto.
Lui proverebbe a fare qualcosa e io non me la sento, ho
paura di cedere perché sento che è quello che
tutti vorrebbero, ma non quello
che voglio io.
Se mai dovessi tornare a parlargli deve essere una cosa
spontanea, non così forzata.
In ogni caso vado in cucina, metto una pentola di acqua
calda sul gas, ci butto una manciata di sale, e poi misuro le porzioni
di pasta
per cinque persone. Metto del sugo in un pentolino e aggiungo un
po’ di cipolla
e aglio.
Quando l’acqua inizia a bollire ci verso la pasta e metto
sul gas il sugo.
“Ragazzi, preparate la tavola.”
Rian e Zack arrivano, da fuori arrivano rumori di lotta.
“Che sta succedendo?”
“Niente, Alex sta convincendo Jack a preparare la tavola con
lui ricordandogli
che la cucina è zona off limits.”
Io scuoto la testa, non sapendo cosa pensare.
Perché diavolo lui si è così fissato
su di me con tutte
le ragazze che ci sono al mondo?
In qualche modo la tavola viene preparata e servo la
pasta.
“Buon appetito.”
Annuiscono e iniziano tutti a mangiare e questo elimina la
conversazione, una
cosa molto bella.
Finito il pranzo lavo io i piatti, al mio ritorno nella
zona relax Rian sta guardando qualcosa sul suo computer –
forse un film – e
intanto messaggia con Cass, Alex e Zack stanno finendo la partita di
questa
mattina e Jack sta suonando qualcosa con la sua chitarra. Qualcosa che
somiglia
pericolosamente a “Remembering Sunday”. La sua
collana pesa un po’ di più
attorno al mio collo, io torno nel mio bunk e prendo la macchina
fotografica.
Faccio altre foto, poi mi ritiro a leggere un libro, peccato che perda
la
concentrazione ogni tre righe. Irritata con me stessa lascio perdere e
apro il
mio portatile, mi connetto a internet e cerco un film da vedere.
Come al solito finisco per vedere qualcosa dello Studio
Ghibli, questa volta scelgo “Una tomba per le
lucciole” perché se dobbiamo
deprimerci è meglio farlo alla grande con un film che mostra
la crudeltà della
guerra, soprattutto quando colpisce i più deboli come i
bambini.
A metà film la tenda si apre e la faccia di Jack fa
capolino.
“Che stai facendo?”
Io non rispondo.
“Per quanto vuoi continuare a non parlarmi?”
Non rispondo di nuovo.
“Fino alla fine del tempo? Fino a che non ti
chiederò
perdono in ginocchio su dei ceci in una gelida notte
invernale?”
Io sbuffo.
“Dimmi cosa devo fare.”
“Lasciarmi in pace.”
“No, ti ho lasciata in pace fin troppo. Non
voglio perderti, voglio farti capire che
ho imparato la lezione.”
Io scuoto le spalle.
“Porti ancora la mia collana.”
Io gli lancio un cuscino, questo lo zittisce e lo
allontana, due piccioni con una fava.
Peccato che non serva assolutamente a nulla, ormai la mia
concentrazione oscilla tra Jack e il film, non esattamente il risultato
sperato.
È vero, mi dico, una volta che hai capito
com’è avere dei
sentimenti, non riesci a tornare alla cara vecchia apatia.
Irritata tiro fuori il mio basso e inizio a suonare
qualcosa, tempo cinque minuti quattro paia di occhi maschili mi
fissano, solo
quelli di Zack sono curiosi.
“Allora lo sai suonare davvero il basso.”
Mi dice quest’ultimo.
“Così parrebbe, ma come mai siete tutto
qui?”
“Abbiamo sentito qualcuno suonare e non capivamo chi
fosse.”
“Mi sento un cazzo di leone allo zoo.”
Borbotto io, facendo per togliermi lo strumento dal grembo.
“No, continua.”
Io sbuffo e inizio a suonare “Carousel” dei
blink-182, facendoli ammutolire.
“Tu non la sai suonare così, Merrick.”
“Non hai detto che è stato Tom DeLonge a darle
lezioni di basso?
Ci scommetto che lo sa suonare così bene, ha preso
lezioni da chi lo ha scritto.”
“Mi stai sfidando? Sta bene.”
Suono “Part II” dei Paramore,
“Lullaby” dei Cure, “Undisclosed
desires” dei
Muse e “Money” dei Pink Floyd.
Questo pare zittire il bassista.
“Ok, me la sono cercata.
Mi ritiro, spero solo che dopo questo non mi caccino
dalla band e prendano te.”
“Non voglio entrare in una band.”
Dico frettolosa io.
“E noi non vogliamo sostituirti.”
Detto questo se ne vanno tutti e mi lasciano al mio
basso, io continuo a suonarlo assecondando le idee che mi vengono, le
solite
melodie tristi che hanno sempre accompagnato la mia vita.
È bello sapere che qualcosa non cambierà mai,
dà un senso
di sicurezza.
Dopo non so quanto tempo la tenda si apre di nuovo e
appare Rian.
“È pronta la cena.”
“Ottimo, ho fame. Cosa c’è?”
“Pizza, ha cucinato Alex e con le pizze surgelate se la cava
bene.”
“Okay.”
Lo seguo fino in cucina e mi siedo al mio posto, subito cala il
silenzio. Forse
è per il mio piccolo attacco di esibizionismo, forse per la
situazione con
Jack.
Dovrei risolverla, ma non so come, a volte è difficile
perdonare o far finta di nulla.
Ci sono certe azioni che lasciano un segno indelebile su
di noi, ma non credo sia questo il caso, forse devo solo mettere da
parte
l’orgoglio e la paura, ma come?
Alla fine rinuncio a fare conversazione anche io,
limitandomi a dire ad Alex che la pizza è buona dopocena.
Lui mi ringrazia e poi lava i piatti.
“Adesso cosa facciamo?”
“Guardiamo un film.”
Dice deciso Rian e inserisce uno dei vari Fast and Furious nel lettore
dvd, io
li fotografo tutti per la prima ora del film, poi mi siedo a mia volta.
Jack
striscia con noncuranza verso di me, io cerco di spostarmi, ma non
c’è scampo,
a meno che non cada dal divano non posso evitare l’averlo
vicino.
A peggiorare la situazione decide di passarmi un braccio
attorno alle spalle, gettandomi nella confusione più totale,
una parte di me è
felicissima di questo contatto, l’altra invece vorrebbe solo
scappare.
Sono stanca di questo perenne conflitto.
Cerco di svicolarmi, ma il divano è stretto e non ci
riesco, cosa devo fare?
“Rilassati, non ti mangio.”
Mormora Jack.
"Non dovresti fare così, lo sai che…”
“Non siamo più una coppia e nemmeno amici?
Lo so, ma non l’ho deciso io.”
“Smettila di forzarmi.”
“Smettila di seguire il tuo maledetto orgoglio.”
“State zitti!”
Borbotta Rian.
“Ma…”
“Ok, ok. Jack, lasciala stare.
Non è ancora pronta a perdonarti e non puoi obbligare le
persone a farlo.”
A malincuore si stacca e mi manca già.
Sono messa male.
Finito il film mi ritiro nel mio bunk, con la scusa di
essere stanca.
In realtà mi stendo, mi copro, ma il sonno non viene,
rimango per quelle che sembrano ore a guardare il soffitto.
I ragazzi chiacchierano di là, poi sento Rian ritirarsi
nel suo bunk e telefonare a Cass e poco dopo anche Alex fa lo stesso
per
chiamare Lisa.
Probabilmente dopo si addormentano perché non li sento
più, Zack e Jack chiacchierano ancora un po’, poi
sento Jack entrare nel bunk
sotto il mio.
“Buonanotte, finta addormentata.”
Io non rispondo e continuo a fissare lo stesso soffitto di prima fino a
che non
mi addormento.
Mi risveglio in un uno strano posto, sembra New York,
piove e fa freddo. Davanti a me c’è la gigantesca
arcata di un ponte della
ferrovia, un vecchio treno a vapore passa sferragliando facendolo
tremare.
Mi guardo attorno e attraverso la strada attirata dalla
luce di quello che sembra un bar costruito a ridosso di un arcata. La
luce e le
tendine rosse da locale giapponese mi attirano come una lampada una
falena.
Entro e mi accorgo con orrore che è pieno di tombe in stile
giapponese, stele
sottili con eleganti ideogrammi, solidi rettangoli di pietra, piccole
casette
con il tetto a pagoda sormontate da una sfera.
Lo attraverso sentendole sussurrare, poi il terreno
cambia e ci sono tombe arabe, altre stele sottili che terminano con una
forma a
cupola da minareto.
Seduta su una di queste c’è mia madre, con il suo
solito
hijab nero e l’aria triste.
“Mamma.”
Mormoro io.
“Siediti qui con me.”
“Ma non so di chi sia quella tomba.”
“È la tua, quella che avrai in un futuro spero
lontano.”
Io deglutisco e faccio quello che mi è stato detto,
è completamente folle
sedere sulla propria tomba ed essere ancora vivi.
“Quando la smetterai, figlia mia?
Per quanto ancora vuoi torturarlo?”
“Di chi parli, mamma?”
“Di Jack.”
“Mamma, lo sai che tra noi non può
funzionare.”
“Non è vero e lo sai anche tu.”
Mi dice dolcemente nel suo inglese con vaghe influenze arabe.
“Tu non vuoi che funzioni, è molto
diverso.”
“Mamma, lui non vuole me.”
Lei scuote la testa e sospira.
Perché sono sempre bloccata in questa storia?
Sempre la stessa domanda, sempre le stesse risposte, un
film già visto che mi stanca.
“Perché non vuoi capire?
Perché tutti non volete capire?
Non è adatto a me, ci abbiamo provato e non è
andata, che
senso ha riprovarci?”
“Perché non è il cuore che guida le tue
azioni, è l’orgoglio e non porta a
nulla di buono. È lo stesso orgoglio che ha portato la mia
famiglia a
disconoscermi, a non voler incontrare te, che ti ha privato di due
nonni
fantastici.”
“Io non sono come loro!”
“Sì, che lo sei.
C’è una voce dentro di te che ti dice di
perdonarlo e tu
non la ascolti.”
“Non voglio soffrire, mamma. È così
difficile da capire?
Se tornerò da lui soffrirò.”
“Non lo puoi sapere, credi di saperlo, ma non lo sai.
È la paura che ti dice
che non funzionerà, lo so perché quando mi sono
innamorata di tuo padre avevo
paura anche io.
Sapevo che la mia famiglia non l’avrebbe mai approvato,
che avrei dovuto scegliere loro o lui e la cosa mi terrorizzava. Non
volevo
perdere né tuo padre né la mia famiglia, ho
cercato di reprimere, ma non è
servito a nulla.
Alla fine è uscito tutto e ho scelto tuo padre.
Sì, ho
sofferto, ma so di avere fatto la scelta giusta, perché se
non avessi sposato
lui non avrei mai avuto una figlia splendida come te.”
“Sono una figlia rotta, mamma.
Non so niente di sentimenti o relazioni umane.”
“Sei un fiore in attesa di sbocciare.”
Mi accarezza i capelli.
“Ed è lui ad avere la tua anima, lui è
la chiave per la
tua felicità.”
Io mi tocco il ciondolo a forma di chiave.
“Non è un caso che ti abbia dato quel ciondolo,
nulla
accade per caso, ci sono simboli che ricorrono, eventi che hanno un
significato
più profondo.”
“E qual è il senso di questa chiave?”
“È la chiave del suo cuore e della tua anima e
l’ha data
a te, sta a te decidere se usarla o meno.”
Io non so cosa dire, lei si alza dalla tomba.
“Ora io devo andare.
Arrivederci, Karima.”
Si allontana con quel passo dimesso e deciso allo stesso tempo,
lasciandomi da
sola, seduta sulla fredda roccia.
Il mio sguardo è perso e annebbiato, stringo
convulsamente la chiave terrorizzata da cosa significhi averla.
All’improvviso la tomba sotto la lapide si apre e mi
inghiotte, cado in un nero denso e senza appigli, un nero che mi
soffoca e mi
fa urlare.
Mi risveglio nel mio letto con il fiato corto e le
coperte mezze fuori dal bunk, è stato solo un sogno, ma
è stato sconvolgente.
Per un po’ ascolto il rumore del mio respiro che si
normalizza, poi i rumori del pullman che si muove nella notte, il
leggero
russare di Rian e poi la voce di Jack.
Mormora qualcosa, ma non capisco cosa, così mi concentro
su di lui e basta.
“Karima…”
Dice piano, facendo saltare un battito al mio cuore.
“Karima, scusa…”
Mi porto una mano sulla bocca.
“Mi dispiace, ti prego, non andare. Non
abbandonarmi.”
Questa è la mazzata finale.
Ora guardo il soffitto che diventa sfuocato per via delle
lacrime. Avevo giurato di non piangere più per lui e ora
eccomi qui a
infrangere il giuramento.
Cosa devo fare?
Torno a guardare il soffitto e mi sento sconfitta, come
se avessi perso il controllo sulla mia vita senza accorgermene e ora
non ho
idea di come riprenderlo.
Cosa devo fare?
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Capitolo 23 *** 22)Potrebbe perfino funzionare. ***
22)Potrebbe perfino
funzionare.
Karima p.o.v.
Odio le notti insonni.
La mattina dopo sono un relitto, le voci delle persone mi
giungono a grande distanza e non riesco a connettere in nessun modo.
Provo a rimediare ai danni con una bella tazza di caffè
forte, ma non ci riesco, sono lo stesso cadavere di prima.
“Hai avuto un incubo?”
“Sì.”
Rispondo prima di realizzare che è stato Jack a chiedermelo.
“Cosa hai sognato?”
“Non me lo ricordo.”
Mento, vorrei chiedergli cosa abbia sognato lui per mormorare il mio
nome, ma
non ho il coraggio di farlo.
“Vieni.”
Mi fa cenno di seguirlo verso la zona relax, lui si siede
sull’angolo estremo
del divano nero, io lo guardo senza capire.
“Usami come cuscino, dicono che io sia comodo.”
“Non posso, è troppo… intimo.”
“Hai bisogno di dormire.”
“Posso farlo nel mio bunk.”
Lui alza un sopracciglio.
“Per avere un altro incubo?”
Sono stanca di combattere oggi, così cedo.
“Va bene, ma non farti troppi viaggi.”
Mi sdraio appoggiando la testa sul suo grembo, è comodo, ha
ragione.
Gli occhi mi si chiudono come se le palpebre fossero
fatte di cemento, lui mi accarezza i capelli, io grugnisco, lui smette.
“Quando la smetterai di tagliarmi fuori?”
Io non rispondo, non sono più certa della risposta.
“Karima, per favore.”
“Jack, basta!
Mi scoppia la testa, mi sento debole e non mi va che tu ne
approfitti.”
“Non voglio approfittarmene, è che non riesco a
parlare con te.”
Io sbuffo e chiudo gli occhi, non volendo proseguire
oltre la conversazione, già pentita di avere accettato la
sua offerta.
In ogni caso devo essere davvero stanca perché piano
piano le sue parole iniziano a sbiadire si confondono in un brusio
indistinto e
poi spariscono. Adesso ci sono solo silenzio e sogni: angoli di San
Diego e di
posti che non esistono in questo mondo, come un cielo viola con due
lune e un
deserto di sabbia bianca accecante.
Mi sveglio verso mezzogiorno e mi accorgo che anche Jack
si è addormentato, senza fare rumore mi alzo e raggiungo la
cucina. Zack è ai
fornelli.
“Hai bisogno di una mano?”
Gli chiedo grattandomi la testa.
“No, sto cucinando dei tacos. Non credo mi servirà
il tuo
aiuto.”
Rimane un attimo in silenzio.
“Stai cedendo, Karima?”
“Non lo so, sono così confusa.”
Lui sospira.
“Tu conosci già la risposta solo che hai paura di
accettarla e non capisco perché.”
“La paura di soffrire, credo. A nessuno piace stare male,
no?”
“No, ma nemmeno negarsi ogni cosa per paura di
soffrire…”
Io non rispondo, ormai sto imparando che la mia voce non è
sempre necessaria.
“Sei cambiata da quando sei venuta a lavorare da noi,
prima eri una tosta adesso hai sempre questa aria infelice e
tormentata.”
“Ecco perché volevo dare le dimissioni.”
“C’è solo un modo per tornare a come eri
prima, devi affrontare le tue paure e
devi perdonare.
Perdonare non è un segno di debolezza o un modo per
incitare la gente a calpestarti, solo un’ammissione che hai
sbagliato.”
“Non sono io ad avere sbagliato.”
“Lo so, volevo dire che è ammettere che anche gli
altri possono sbagliare e
pentirsi.”
“Preparo la tavola.”
Dico funerea.
Stendo la tovaglia e poi penso al resto, Zack scuote la
testa.
“Non ho mai conosciuto una persona più complicata
di te.”
Io scuoto la testa, lo so che sono una specie di pazza psicopatica, non
c’è
bisogno che me lo si faccia notare.
Non ce la faccio più, il tour è iniziato da due
giorni e già
non vedo l’ora che finisca e di poter essere libera dagli
impegni che ho preso
con la band, mi pesa tutto e non so cosa fare.
La mia vita è un casino e non riesco a sistemarla,
è
parecchio frustrante, di solito ero io ad avere il controllo, non so
quando
l’ho perso.
-Da quando hai permesso
a Jack di entrare nella tua vita,
nonostante il parere contrario di tutti.-
Mi ricorda impietosa una vocina nella mia testa e non
posso darle torto.
Finito di preparare la tavola arrivano tutti, Jack ha
un’aria piuttosto triste, come se ci fosse rimasto male per
non avermi trovata
con lui al suo risveglio.
Ci sediamo e Zack serve tacos a tutti, io inizio a
mangiare senza apprezzarli particolarmente visto che non amo il cibo
piccante o
speziato.
“Le cose vanno meglio tra te e Jack?”
Mi chiede Alex.
“Uh?”
“Oggi sembravate parecchio in sintonia mentre dormivate sul
divano.”
“Ah. Beh, sembrare è diverso dall’essere
in sintonia.”
“Quindi la guerra continua.”
Io vorrei tirare una testata al tavolo, sono al mio limite della
sopportazione:
o impazzisco o lascio il tour o devo perdonare Jack.
Non so quale delle tre prospettive sia la più spaventosa.
“Grazie per il sostegno.”
Commenta ironico Jack che si è accorto che le parole di Alex
hanno fatto più
danno che altro, il cantante mi guarda.
“Scusa, Jack.”
“Mi raccomando, continuate a parlare come se io non ci fossi
e non potessi
sentire.”
Borbotto io, sentendomi a disagio.
“Scusa, Karima.”
Finiamo di mangiare parlando della prossima data, poi io lavo i piatti,
è con
un certo sollievo che li vedo allontanarsi dalla cucina.
Ora che sono di nuovo in forma
posso di nuovo riprendere
a fare il mio lavoro.
Il mio capo non si aspetta che io fotografi ogni secondo
della loro vita in tour, ma di sicuro molto materiale da supervisionare
e poi
inserire in un documentario o qualcosa del genere.
Jack e Alex giocano alla play e non fanno altro che
prendersi in giro, la tensione di prima sembra essere stata dimenticata
o
essere stata messa in secondo piano.
Ottimo, almeno i miei sensi di colpa si placheranno un
po’.
In quanto a Rian sta chiamando la sua ragazza, Zack
invece sta leggendo un libro e non voglio disturbarlo con una
conversazione.
Finiti i miei scatti mi chiudo nel mio bunk a vedere un
film dello Studio Ghibli, così da non dover parlare con
nessuno. Di solito la
magia di queste pellicole mi calma, mi permette per un attimo di
dimenticare i
miei problemi e di immergermi in un altro mondo, oggi non succede, i
momenti
trascorsi con Jack continuano a venirmi in mente.
Fare finta di nulla e provare a dimenticare non è servito
a nulla, ma dargli una seconda possibilità è
rischioso, anche se lui sembra
davvero pentito.
Cosa devo fare?
“Guardare il film, ecco cosa devi fare, continuare a
rimuginare non ti servirà a nulla se non a
impazzire.”
Dico a bassa voce e cerco di concentrarmi davvero sul film.
Dopo un po’ qualcuno bussa al mio bunk, io mi tolgo gli
auricolari e apro la tenda, Rian mi guarda curioso.
“Ciao.”
Dico a disagio.
“Senti, ti va di darmi una mano con la cena? Voglio
preparare della carne e non voglio mandare a fuoco il
pullman.”
Io alzo un sopracciglio perplessa.
“Zack mi ha detto che sei quello che se la cava meglio in
cucina.”
“Ok, mi hai sgamato. Volevo parlare con te.”
“E di cosa?”
“Lo sai.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Non ce la fate proprio a lasciarmi in pace.”
“Tu stai male, Jack sta male e noi siamo stufi di fare gli
spettatori. Dovete
risolvere questa situazione.”
“Il passato non si può cambiare.”
Dico brusca facendo per tirare la tenda, ma lui mi ferma.
“Sì, il passato non si può cambiare, ma
si può imparare
dagli errori.
Jack credo che l’abbia fatto, vuoi proprio continuare a
ignorare questo fatto?
A ferirlo? A ferirti?
Perché puoi fare la dura quanto vuoi, ma si capisce che
ti manca e che vorresti solo perdonarlo.”
“Lascia la mia mano, lasciala o mi metto a urlare.”
Dico fredda come il ghiaccio, colpita a morte dalle sue parole, sono
davvero un
libro aperto per gli altri? Sono davvero così maledettamente
ingenua e
manovrabile?
“Karima…”
“Lasciami e la carne preparatela da solo, non prenderti
nemmeno il disturbo di
cucinare per me, non mangio.”
Lui fa quello che gli dico e io chiudo la tenda con un
gesto rabbioso.
Mi butto a letto e mi tiro il cuscino sopra la testa.
È tutto così dannatamente frustrante!
Rivoglio il controllo della situazione ora e subito!
Rimango a macerare nella rabbia fino a che qualcuno non
bussa di nuovo al mio bunk.
“Sono morta!”
Urlo.
“Beh, risorgi perché ho la tua cena.”
Mi risponde Alex.
“Avevo detto a Rian che non avrei mangiato.”
“Lui ha deciso di non darti retta.”
“Esiste qualcuno che mi dà retta qui o quello che
dico io sono solo stronzate?”
“Rian è una chioccia, non prenderla
così male.”
Io do una testata al cuscino e apro la tenda, mi siedo,
Alex mi passa il piatto e poi si siede accanto a me.
“Non puoi andare avanti così a lungo, tra un
po’ ti verrà
un esaurimento nervoso e dovrai lasciare il tour.”
“Speriamo che venga presto allora.”
Borbotto io, iniziando a tagliare la mia cotoletta.
“Scappare non è la soluzione e dubito che
riuscirai a
tenere lontano Jack se ti venisse un esaurimento nervoso. Sarebbe
sempre al tuo
capezzale.”
“Forse avrei dovuto dare retta a tutti e lasciarlo
stare.”
“Forse. Ma sei stata bene con lui?”
“Sì.”
Ammetto a malincuore.
“Allora non è stato un errore.”
“Ma guarda come è finita!”
“Dagli una seconda possibilità, non è
così idiota come
sembra.”
“Continuate tutti a ripetermelo.”
“Perché vogliamo bene a entrambi e siamo stanchi
di
vedervi soffrire.”
Io rimango un attimo in silenzio.
“E se abbandonassi tutto?”
“Probabilmente dovresti pagare una penale
salatissima.”
Io ripenso alle clausole del contratto e annuisco.
“Sì, hai ragione.”
“Quindi devi solo prendere una decisione.”
Io sbuffo.
“Mi piace la tua semplicità, devo solo prendere
una
decisioni. Non è come scegliere cosa mangiare o il colore
delle tende o dei tappeti
di casa mia, qui c’è di mezzo la mia
vita.”
“E vuoi continuare a rimanere paralizzata?
Ti piace soffrire?”
“No, non mi piace, ma forse se sto lontana a lui questa
cosa mi passa.”
Lui alza un sopracciglio scettico, non c’è bisogno
che me
lo dica che ho appena detto una cazzata.
“Non mi sembra che abbia funzionato.”
Io sospiro.
Ha dannatamente ragione e io non so cosa fare.
“Grazie della cena.”
“Prego.”
Se ne va con il piatto lasciandomi da sola.
I miei pensieri sono schegge
impazzite in un
caleidoscopio che non smette di girare.
Memorie taglienti come pezzi di vetro di momenti felici
continuano a vorticare nel mio cervello, come a ricordarmi cosa rischio
di
perdere se continuo così.
Lo so benissimo e l’unica cosa che mi impedisce di
perdonare Jack seduta stante è il seguito di quei ricordi:
il non sentirsi
importante, la sensazione di sentirsi invisibile e di essere stata
coinvolta in
qualcosa di più grande di me.
Continuo a ripetermi che quello che temo non esiste o
Alex non mi spingerebbe a tornare da Jack, non avrebbe senso, ma quando
nella
tua testa c’è la guerra non
c’è molto che abbia senso.
Mi alzo dal mio bunk e mi dirigo verso la cucina con
l’andatura di uno zombie, la testa che rischia di esplodermi
da un momento
all’altro.
Barcollando apro il frigo con l’intenzione di prendere
una lattina di the freddo, ma all’improvviso tutto diventa
nero. Un nero che
non avevo mai sperimentato, sembra che lì la luce non sia
mai esistita o fatta
vedere.
È quasi confortante rimanere qui, senza pensieri e senza
peso, ma credo di dover tornare alla realtà. Tutto intorno a
me inizia a
sgretolarsi e ben presto i miei occhi si aprono piano, accecati dalla
luce
delle lampade del pullman, mentre attorno a me il brusio sale di
intensità.
Finalmente riesco a cogliere delle parole di senso
compiuto.
“Karima, stai bene?”
Mi chiede Alex.
“Credo… credo di sì, cosa mi
è successo?”
Articolo con una certa difficoltà, la lingua ancora
impastata.
“Sei svenuta davanti al frigo. Eravamo nei bunk e abbiamo
sentito un tonfo, ti abbiamo trovata per terra con il frigo
aperto.”
“Volevo bere qualcosa, avevo un tale mal di testa.”
Mi passo una mano sulla fronte e scopro che è sudaticcia.
“Adesso hai ancora mal di testa?”
“Sì.”
Alex annuisce e si alza dalla posizione inginocchiata in cui era.
“Adesso vado a prenderti un’aspirina, tu non
muoverti.”
E dove pensa che possa andare?
Mi sento ancora debolissima, noto che Jack mi sta tenendo
le gambe in alto e Rian non c’è, poco dopo il
batterista torna con un bicchiere
d’acqua.
“Forza, bevila. È acqua e zucchero, dovrebbe farti
bene.”
Io mi alzo un pochino e prendo il bicchiere, ne bevo un
sorso e mi sembra di bere il nettare degli dei, sento
l’energia scorrermi di
nuovo nelle vene.
Lo bevo fino all’ultima goccia e poi restituisco il
bicchiere a Rian.
“Grazie mille, mi sento meglio.”
“Hai accumulato troppa tensione, Karima.”
Alex arriva con il bicchiere di acqua e aspirina, ingollo anche quello,
tra un
po’anche il mio mal di testa se ne andrà. Questo
incidente mi ha fatto capire
che è arrivato il momento di risolvere le cose con Jack se
non voglio impazzire
sul serio.
Sospiro e mi passo di nuovo una mano sulla fronte.
“Ragazzi, non voglio passare per l’ingrata di
turno, ma
ho bisogno di parlare con Jack da sola.
Vi ringrazio per quello che avete fatto per me, ma
potreste lasciarci soli, per favore?”
“Certo!”
Alex, Zack e Rian se ne vanno lasciandomi sola con il chitarrista.
“A quanto pare fino a che la situazione tra di noi non
sarà risolta non potrò avere pace né
di giorno di né di notte.”
Borbotto.
“Mi dispiace per tutto quello che è successo,
Karima. Se
potessi tornare indietro non mi comporterei così.”
“Ma non si può tornare indietro, solo andare
avanti in qualche modo. Sembra che
noi siamo andati avanti in modo sbagliato.”
“Cosa vuoi dire?”
“Ho sperato che tagliandoti fuori le cose sarebbero tornate
come prima di
conoscerti, ma non è successo. Devo accettare che provo
qualcosa e che questo
condiziona la mia vita come non credevo possibile.”
“E quindi?”
“O ti ammazzo o ti do una seconda possibilità.
La prima è allettante, ma illegale, quindi non mi resta
che la seconda.”
Lui si illumina come un bambino il giorno di Natale e mi abbraccia
stretta, non
lo ammetterei nemmeno sotto tortura, ma mi era mancato il suo corpo, la
sua
vicinanza.
È come se davvero la mia anima gemella, quello che ha la
mia anima, ma allora perché mi ha fatto soffrire
così?
Un’anima gemella non dovrebbe completarti e portarti
gioia?
Probabilmente ci sono cose dell’amore che ancora non
capisco e che forse capirò con il tempo, adesso dovrei
smettere con le
elucubrazioni e godermi il momento.
Come si fa a spegnere il cervello?
“Karima, tutto bene?”
“Il mio cervello non ha ancora accettato che io ti abbia
perdonato, continua a
mandarmi dubbi su dubbi.”
Rispondo sincera.
“Capisco. Mi comporterò bene questa volta, lo
giuro.
Lo so che non avrò un’altra possibilità
dopo questa.”
“La vita è più complicata di quanto
immaginassi chiusa nella mia apatia.”
“Forse è solo questione di lasciarsi andare e
seguire il
flusso.”
Io lo guardo scettica.
“È quello che ho fatto quando ti ho conosciuto e
guarda
dove ci ha portati.”
“Non ho detto che sarà sempre un viaggio
piacevole, le
cose brutte capitano a tutti, ma il segreto è non lasciarsi
abbattere e provare
ancora.”
“Forse hai ragione.”
“Posso abbracciarti di nuovo?”
“Sì.”
Apro le mie braccia e provo di nuovo quella strana sensazione e forse
è su
quella che devo focalizzarmi: sul lato positivo delle cose.
Quello che mi ha permesso di perdonarlo più o meno,
insieme alla sua insistenza.
Proverò a seguire il flusso e spero solo che non
sarà un
disastro, perché non so se sarò in grado di rialzarmi ancora.
Meglio non pensarci.
Lasciamo che tutto vada come deve andare senza
preoccuparsi in anticipo.
Potrebbe persino fuzionare.
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Capitolo 24 *** 23)Primi passi. ***
23)Primi passi.
Karima p.o.v.
Da quando io e Jack ci siamo riappacificati l’atmosfera
sul tourbus è cambiata.
Da tesa è diventata rilassata, i ragazzi giocano e
scherzano molto di più e fotografarli è
più facile, mi sento meno un’intrusa e
più una parte della strana famiglia degli All Time Low.
“Karima!”
Mi chiama Jack.
“Sì?”
“Ti va di vedere un film con noi?”
“Va bene, fammi sistemare l’attrezzatura e
arrivo.”
Ripongo la macchina nella sua custodia e poi nello spazio che le
è stato dato
nel tourbus, chiudo a chiave la stanzetta e poi vado nella zona relax.
Sono già tutti seduti sul divano, io mi accomodo
nell’unico posto libero, quello accanto a Jack.
“Allora che si vede?”
Chiedo curiosa.
“Suicide Squad.”
“Uhm, okay. Va bene.
Ci sto, mi piace il personaggio di Harley Quinn.”
“Probabilmente perché siete matte tutte e
due.”
“Grazie mille, Zack. Ti voglio bene.”
Borbotto io facendolo scoppiare a ridere, secondo me è
meglio dei musi lunghi.
“Comunque questa è una cospirazione.”
“Cosa vuoi dire?”
Mi chiede Alex.
“Mi avete lasciato a posta il posto vicino a Jack.”
“Beh, dovete riprendere a fare amicizia, no?”
Io sbuffo.
“Gli avete dato un’occasione per poter fare la
piovra con
me.”
“Una volta non ti dispiaceva.”
“Le cose cambiano.”
“Su, non litigate, guardiamo il film.”
Alex inserisce il film nel lettore dvd e torna al suo posto.
Come prevedevo Jack ne approfitta per abbracciarmi e
tenermi stretta a sé, quasi fosse lui quello che ha paura
quando dovrei essere
io ad averne.
Io lo lascio fare, non so ancora bene come interpretare
tutto questo, se davvero lo sto perdonando o se è solo per
il quieto vivere.
Lo amo ancora, ma c’è ancora una parte in me molto
restia
a farglielo capire o a incoraggiarlo a riprendere il nostro rapporto
dove si
era bruscamente interrotto.
Finito il film cucino la cena e poi me ne vado a letto
stanca, domani arriveremo alla prima tappa ed è meglio che
sia in forma se
voglio fare bene il mio lavoro.
Cado subito addormentata e cinque minuti dopo mi sembra
di risvegliarmi nel tourbus, nello stato in cui sono non riesco capire
se sia
la realtà o un sogno.
Mi guardo attorno smarrita senza avere il coraggio di
aprire la bocca.
“L’abbiamo fregata.”
La voce di Alex giunge chiara da un bunk, io mi avvicino.
“Sì, c’è cascata in pieno.
Adesso possiamo proseguire la
nostra relazione in pace, abbiamo entrambi una copertura.”
Io tiro la tenda e vedo Jack e Alex a letto insieme nello stesso
lettino.
Mi metto a urlare come un animale ferito, allora avevo
ragione, non era solo una fantasia delle fans, ma la realtà.
Sono stata fregata
e usata ancora.
All’improvviso tutto si dissolve attorno, per un secondo
è tutto nero, poi apro gli occhi e mi ritrovo nel mio bunk
con il respiro
affannato, sudata e con le coperte tutte arrotolate ai miei piedi.
Mi porto una mano al petto per cercare di normalizzare il
respiro e il battito impazzito del mio cuore.
“È solo un sogno, Karima. Non è la
realtà, non devi avere
paura.
È solo un sogno.”
Quando mi sembra di non essere più a un passo
dall’infarto scendo dal mio bunk,
godendomi il contatto con il pavimento freddo del bus, controllo che
Alex sia
nel suo letto e Jack nel suo e poi mi dirigendo in cucina.
Lì bevo un bicchiere
d’acqua e mi siedo un attimo, ma non riesco a calmarmi.
Sbuffando recupero il
mio pacchetto di sigarette e apro una finestra, poi me ne accendo una,
incurante del vento freddo della notte che mi frusta la faccia, mi
serve per
riprendere contatto con la realtà.
Il sogno mi ha spaventato, mi ha reso insicura e
preoccupata, temo già di avere fatto uno sbaglio, di avere
ceduto a un qualcosa
che finirà per ferirmi.
“Karima?”
Sobbalzo violentemente e vedo Jack guardarmi preoccupato.
“Cosa vuoi?”
Rispondo aspra.
“Mi hai fatto preoccupare. Ti ho sentita muoverti nel
bunk sopra il mio, urlare e poi sei scesa e hai controllato che fossi
nel mi
letto.”
“Ho avuto un incubo.”
Il mio tono è piatto ora.
“Vuoi dormire con me?”
“No.”
“Perché?”
“Perché l’incubo l’ho avuto su
di te e preferirei non farlo.”
Lui corruga le sopracciglia.
“Cosa hai sognato?”
“Sono affari miei.”
“Anche miei se ci sono io.”
“Il sogno è mio.”
Lui sbuffa.
“Dai, dimmelo.”
“Tu e Alex eravate a letto insieme, felici perché
mi avevate fregata ed
entrambi avevate una copertura alla vostra relazione. Adesso vattene,
questa
sigaretta sta diventando pessima grazie a te.”
“Lo sai che è solo un sogno.”
Io non dico nulla, perché non se ne va?
“Karima?”
“Jack, perché non te ne vai?
Perché non ti interessi a una persona meno complicata di
me?
Abbiamo già provato e non è andata,
perché riprovare una
seconda volta?”
“Perché non voglio una persona meno complicata,
voglio te con i tuoi pregi e i
tuoi difetti.
Sei sempre nella mia testa anche quando provo a dirmi di
lasciarti perdere, è inutile concentrarsi su qualcun'altra e
so che per te è lo
stesso.”
“Come fai a dirlo?”
“Se non te ne fregasse nulla di me non avresti incubi del
genere.”
Io lo fulmino colta nel profondo dalla sua osservazione.
“Non fare quella faccia.”
“Ti dai troppa importanza.”
Dico voltandogli la schiena, perché non veda il conflitto
nei miei occhi.
“Forse, ma so di essere nel giusto.”
Io finisco la mia sigaretta e chiudo il finestrino.
“Torno a letto.”
“Dormi con me?”
“Così che gi altri sparlino e tu magari ne
approfitti per allungare le mani?”
“Non allungherò le mani e gli altri lo sanno
benissimo cosa c’è tra di noi.”
“Non penso sia una buona idea.”
Lui appoggia le mani sui fianchi.
“Scommettiamo che se dormi con me questa notte non avrai
altri incubi?”
“Sei esasperante, immagino che non mi lascerai uscire da
questa stanza finché
non ti avrò detto di sì.”
“L’idea è quella.”
“Va bene, ma…”
Alzo un dito minacciosa.
“Se ci provi con me ti taglio le tue preziose
manine.”
“Ok. Non ti fidi proprio più di me.”
Si volta verso i bunk e io lo seguo di malavoglia pensando che comunque
avrò
degli incubi e domani mattina sarò un maledetto straccio.
Jack si infila nel suo e mi fa cenno di raggiungerlo, io
arrossisco e mi sdraio accanto a lui, cercando di mantenere le
distanze,
purtroppo questi lettini sono davvero minuscoli e contro la mia
volontà mi
ritrovo mezza sdraiata sul suo petto.
“Merda.”
Lui appoggia una mano sulla mia testa e la accarezza zittendomi e
calmandomi.
La mia mente può non averlo perdonato, ma il mio corpo
l’ha fatto eccome, in un modo che mi fa paura. Il potere che
questo ragazzo ha
su di me è qualcosa di incredibile.
“Stai calma, andrà tutto bene.”
Io non dico nulla.
“Karima…”
“Perché tu?
Perché tu hai questo potere su di me?
Perché non un altro ragazzo? Uno meno complicato.”
“Perché io sono il casino e tu sei la calma,
insieme ci completiamo.
Abbiamo demoni compatibili.”
Io sospiro.
Ha ragione da vendere, cazzo.
La mattina dopo mi sveglio
riposata.
Incredibilmente non ho fatto nessun incubo, quindi – a
conti fatti – Jack aveva ragione, ma mi scoccia dirglielo. Lo
guardo dormire e
sembra un bambino innocente, non il solito uragano in forma umana. Con
gentilezza mi sottraggo alla sua presa ed esco dal suo bunk per farmi
la doccia
mattutina e cambiarmi, quando arrivo in cucina Zack e Rian mi lanciano
occhiate
maliziose, lo farebbe anche Alex, se fosse sveglio, ma per fortuna
dorme
ancora.
“Vedo che avete fatto pace, ma siete stati
silenziosi.”
Commenta Rian.
“Non so di cosa stai parlando, non abbiamo fatto sesso,
abbiamo solo dormito insieme e nemmeno se fossimo ancora insieme lo
faremmo con
tutte le persone che ci sono su questo bus.
Per chi mi hai preso?”
“Quando la natura chiama…”
“Io non sono un accidenti di coniglio.”
Rispondo aspra per poi versarmi il mio caffè mattutino e
sedermi al tavolo.
Non sono molto gentile prima del caffè e questo da
sempre, sono una caffeinomane della peggior specie, un vizio che ho
ereditato
da mio padre.
Lo zucchero e lo assaggio, è a solita brodaglia
americana, rassegnata ci inzuppo qualche biscotto e me lo faccio andare
bene.
Chi si accontenta gode o almeno così dicono.
Una selva di ululati saluta l’arrivo di Jack.
“Ma la smettete di fare casino per nulla?”
Borbotto io.
“Come sei suscettibile!”
“Posso essere anche peggio prima del mio caffè e
della mia sigaretta
mattutina.”
Sbuffano tutti, io li imito scocciata.
“Allora, amico. Pace fatta?”
“A cosa ti riferisci, Alex?
Oh!”
Esclama poi.
“No, non abbiamo fatto sesso. Abbiamo dormito insieme
perché Karima aveva gli incubi.”
Zack gli passa un braccio attorno alle spalle e con
l’altra mano passa il pugno sui capelli di Jack.
“Ma che tenerone! Come ci siamo rammolliti!
Dall’animale che eri ti sei trasformato in un
cuscino.”
Un cuscino comodo, oserei aggiungere.
Stupita dal mio pensiero arrossisco leggermente e poi
lascio la cucina sbuffando, disturbata da tanta idiozia maschile.
Apro la finestra e poi mi accendo la solita sigaretta,
tra un’oretta saremo alla prima città del tour,
sarà interessante vederli sul
palco e interagire con i fan. Spero solo che non siano tutti come
quella
ragazzina invasata che ho incontrato.
-È una pia
speranza, te ne rendi conto?
La maggior parte del
loro fanbase è così, siano esse
ragazzine o più grandi.-
“Karima, cosa stai facendo?”
Mi chiede Rian.
“Mi preparo spiritualmente a incontrare le vostre fans,
la prima volta è stata un completo disastro.”
“Capisco. Non ti piacciono molto.”
“Quella non mi è piaciuta, spero che le altre
siano meglio o almeno non vengano
da me. Non sono brava nelle pubbliche relazioni.”
“Ti ci abituerai, credo.”
Io grugnisco poco convinta.
“Dai, su con la vita.
Stai per assistere a un nostro concerto gratis,
c’è gente
che venderebbe la madre per un privilegio del genere.”
Io lo guardo male.
“Ops, scusa.
Mi ero dimenticato che i tuoi sono morti.”
“Beato te che te lo puoi dimenticare.”
“Scusa.”
“È tutto a posto, arrabbiarsi non serve a nulla,
non li
riporterebbe indietro.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Forse non se ne sono mai andati, vivono dentro di
me.”
“Che fate voi due?”
La voce di Jack si inserisce nella conversazione.
“Niente, parliamo.
Jack, non sarai geloso?”
“Chi? Io?
Ma ti pare?”
“Mi pare, mi pare.
Devo ricordarti che sono innamorato di Cass e lei di me?”
“No, non serve.”
I suoi occhi scuri sono pozzi freddi, Rian si rende conto di essere
stato
indelicato ancora una volta.
“Scusami, non era la frase giusta da dire.
Beh, me ne vado, ho combinato abbastanza danni.”
Si allontana lasciandoci da soli, io sono perplessa.
“Cosa ti ha detto di sbagliato?”
“Davvero non ci arrivi?”
Io scuoto la testa.
“Lui è innamorato di Cass e lei lo ricambia, io
sono
innamorato di te e tu non fai che respingermi.
Non è bello, te lo posso assicurare.”
Io lo guardo a occhi spalancati, lui innamorato di me?
“Non guardarmi così, quando ci siamo messi insieme
ti
avevo detto che ero innamorato di te e i miei sentimenti non sono
cambiati.
Sono i tuoi a essere un mistero.”
Il tono è amaro.
“Jack…”
Inizio, ma poi le parole vengono meno, non so cosa dirgli.
Ci sono talmente tante cose sospese che non so da dove
cominciare e il mio cuore è in tumulto, come succede spesso
quando sono vicina
a lui.
“Ok, non fa niente. Un giorno riuscirai a dirmi quello che
provi senza bloccarti dopo il mio nome.”
Se ne va lasciandomi da sola in preda a emozioni che mi confondono.
Per fortuna quindici minuti dopo arriviamo al luogo del
loro primo concerto e nella confusione di scaricare le cose e
documentare il processo
e la fila che c’è già non ho occasione
di parlare ancora con Jack.
Mi aggiro furtiva come un’ombra tra i fan in attesa,
i roadie e i tecnici che sistemano le varie cose. Faccio un sacco di
fotografie
alle loro prove e al soundcheck sentendomi nel mio elemento, dove non
sono
obbligata a parlare con le persone, la mia macchina parla per me.
Solo a mezzogiorno mi ritrovo di nuovo con i ragazzi.
“Allora come ti siamo sembrati?”
Mi chiede un Alex carico come non mai.
“Hai assunto della cocaina?”
“Che?”
“Boh, sei così esaltato…”
Dico dando un morso al mio panino alla salamelle e cipolle.
“No, è che sono nel mio elemento e sono felice e
questa
felicità mi rende carico.
Tu, piuttosto…”
“Io cosa?”
“Come fai a mangiare quella roba?”
“Ho bisogno di energia.”
Rispondo alzando le spalle.
“Ok, la salamella ci sta, ma le cipolle?”
“Ho un debole per le cipolle.”
Lui guarda ancora un attimo il mio panino.
“Posso provarlo?”
Io rido e glielo passo, lui dà un morso e mugugna qualcosa.
“Le cipolle ti hanno ucciso?”
“No, è sorprendentemente buono.”
Jack ci guarda torvo, ma non dice nulla.
Sarà gelosia?
Forse, ma non posso farci nulla, anche perché finito il
pranzo non avremo occasione di vederci di nuovo prima della cena e poi
del
backstage del concerto.
Il pranzo non dura molto, io li saluto con un cenno della
mano e mi confondo tra la folla, all’improvviso qualcuno
appoggia una mano
sulla mia spalla. Infastidita da questo contatto non voluto mi volto
per vedere
chi è e mi trovo davanti alla ragazzina per cui io e Jack
abbiamo litigato.
“Tu!”
Esclamo.
“Mi hai riconosciuta, vedo.”
“Difficile dimenticarsi di te.”
Borbotto io.
Lei mi stringe le spalle con rabbia.
“Stai lontano da Jack, lo stai rendendo infelice.”
I miei occhi diventano freddi come il ghiaccio, non sento nemmeno il
dolore
alle spalle.
“Lascia che ti dica una cosa io: stai lontano da me e
Jack.
Tu e le tue fantasie trasferitevi su un altro continente
o meglio ancora su di un altro pianeta.
Questo è il primo e ultimo avvertimento che ti do, se ti
becco a ficcanasare di nuovo non sarò così
gentile e ti pentirai di avermi
provocato.”
Con un gesto deciso tolgo la mano dalla mia spalla e mi allontano da
lei verso
il backstage, faccio delle foto ai tecnici per non doverla incontrare
ancora.
A cena mangio una pizza con i ragazzi e li accompagno in
camerino, Zack e Rian si mettono a fare ginnastica, Alex fa degli
strani
vocalizzi che sembrano più che altro i lamenti di
un’anima dannata, Jack si
siede e giochina con il cellulare per tutto il tempo.
Dopo un po’un uomo si affaccia alla porta del camerino.
“All
Time Low, tocca a voi.”
Zack e Rian scattano ed escono subito, Alex esce poco dopo
e lascia me e
Jack da soli.
“Beh, io vado.”
Dice lui alzandosi dal divano e oltrepassandomi.
“Jack!”
Lui mi guarda interrogativo e io copro la breve distanza che ci separa.
“Buona fortuna.”
Gli do un leggero bacio sulla guancia e poi mi volto.
Per qualcuno sarà poco, per me è tanto.
È il primo passo verso una riconciliazione.
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Capitolo 25 *** 24)La mia anima. ***
24)La mia anima.
Karima p.o.v.
Il concerto di stasera è un’emozione stupenda e
quasi
unica.
Ho vissuto qualche concerto dei blink da dietro le quinte
quando ero piccola, perché mia madre a volte mi lasciava da
zia Jen. Questa
volta però è diverso, non solo perché
devo saltare come una cavalletta anche
io per cogliere i momenti migliori, ma anche perché
è lui che suona.
C’è qualcosa di speciale nel vedere la persona che
ti
piace mentre fa qualcosa che la rende felice, è quasi
magico. Jack è nato per
stare su quel palco, lo si vede da come si muove e da come sorride.
Mi fa domandare se sorriderà mai a quel modo a me e
d’improvviso capisco cosa voleva dire la zia quando diceva
che sposare un
musicista è come sposare un bigamo, solo che invece di
un’altra donna c’è la musica.
Sorrido, questo è un genere di bigamia che posso
accettare, vederlo così felice rende felice anche me, anche
se non capisco da
dove arrivi tutta questa voglia di perdonare.
-Forse dal fatto che hai
accettato che ci tiene davvero a
te e che eri stanca di ferirlo, perché stavi ferendo anche
te stessa. C’è
qualcosa che vi lega e sai benissimo cosa è, lo sai nel
profondo di te stessa,
anche se ora lo neghi.-
Sì, la storia dell’anima gemella che ha anche la
mia.
In quest’ultimo periodo non ci ho creduto molto,
l’ho
negata con tutte le mie forze, ma ora penso che sia inutile negare
quello che è
vero.
Tra me e Jack c’è qualcosa che va al di
là della semplice
attrazione, della cotta e dell’innamoramento: è la
sensazione di conoscerlo da
sempre, di condividere qualcosa con lui, qualcosa di importante e
profondo. E
forse è proprio questa sensazione mi ha fatto scappare da
lui, fa paura, è come
essere sul ciglio di un precipizio con una forza che ti spinge a
saltare
assicurandoti che volerai, mentre il raziocinio ti dice che cadrai e
morirai.
Finito il concerto vado subito a farmi una doccia e poi
esco a fumare nella notte fresca di novembre, si sente
l’inverno nell’aria e lo
si sentirà ancora di più visto che stiamo andando
a nord.
Forse vedrò la neve e il pensiero mi mette di buon umore.
“Come mai sorridi?”
La voce di Jack mi fa sobbalzare.
“Ehi.”
Lo guardo mentre si accende una sigaretta, stupita da quel gesto che
sembra
così strano su di lui.
“Non sapevo fumassi.”
Lui alza le spalle.
“Quando sono nervoso mi concedo una sigaretta.”
“Come mai sei nervoso? Il pubblico ha fatto quasi cadere
l’arena a suon di urla
e sono sicura che metà delle persone presenti vorrebbero
rapirvi o venire a
letto con voi.”
“Beh, è ovvio che sono contento del concerto, il
motivo è un altro.
Il concerto ti è piaciuto?”
“Ho fatto delle foto molto belle o almeno a mio giudizio lo
sono.”
“Non intendevo questo.”
Io sospiro, una nuvoletta di fumo si disperde nell’aria.
“Sì, mi è piaciuto. Siete stati molto
bravi, erano anni
che non mi divertivo così ed ero così
felice.”
“Felice?”
“Uhm, sì. Non capisco perché, ma
vederti scatenato su quel palco mi rende di
buonumore.”
“Se mi sono scatenato tanto è stato grazie a
te.”
“A me?”
Mi indico sorpresa.
“Mi hai baciato, mi piace pensare che tu mi stia
perdonando.”
Io rimango in silenzio.
“Jack?”
“Sì?”
“Mi abbracci?”
“Perché?”
“Non lo so, c’una parte di me che ha assolutamente
bisogno di un tuo abbraccio e mi sento di assecondarla. Hai ragione, ti
sto
perdonando, le cose stanno tornando lentamente come prima.”
Lui mi abbraccia e io mi stringo al suo corpo magro e inspiro a pieni
polmoni
il suo profumo e mi coglie una profonda nostalgia.
Posso negare quanto voglio la storia dell’anima gemella,
ma il mio corpo sa perfettamente quello che vuole e vuole Jack, forse
non si
può scappare dal destino.
In parte ce lo scriviamo noi, ma in parte è frutto di
forze misteriose che ci spingono da una parte o dall’altra e
le si deve
assecondare, cavalcare l’onda come meglio si può
senza cadere.
“A volte penso ci sia un disegno superiore anche se non
credo al destino, forze che ti spingono verso qualcuno o qualcosa e tu
sei uno
di quei qualcuno.”
“Sai, stavo pensando giusto la stessa cosa.”
La porta dietro di noi si apre e Alex fa capolino sorridendo.
“Scusate se vi interrompo, ma c’è una
festa a cui vale la
pena di partecipare.”
“Gaskarth, la prossima volta ti tiro una scarpa.”
Borbotta Jack.
“Non fare il suscettibile, alla festa potete abbracciarvi
quanto volete.”
Se ne va soddisfatto, noi finiamo le nostre sigarette e rientriamo.
Jack è perfettamente a posto con i jeans e la sua
maglietta scura, io invece non lo sono con i miei larghi pantaloni
color verde
militare e pieni di tasche e la mia felpa gialla.
“Non so questo è un vestito adatto a una
festa.”
“No, va bene. Poi stai con noi, che hai sotto la
felpa?”
“Una maglia gialla con un tizio con una motosega e del
sangue, tipo quella di
Hayley Williams dei bei tempi andati. Insomma, sono vestiti comodi per
lavorare, non pensavo a una festa.”
“Ti conviene portarti un cambio la prossima volta, ci piace
andare alle feste.”
Io sospiro.
“Va bene, immagino di non avere molta scelta.”
“No, benvenuta nella vita del dopo concerto degli All Time
Low.”
“Grazie.”
Vado nel loro camerino per pettinarmi e sistemarmi il
trucco, alla fine mi guardo allo specchio.
Non sono Miss Mondo – non lo sono mai stata – ma
sono
passabile.
Con un ultimo sospiro esco dalla stanza e spero vada
tutto bene.
Venti minuti dopo siamo in un
locale che mi mette
ansia.
C’è una parte sopraelevata con i tavolini e il
bancone illuminata
con luci al neon blu e la parte della pista con il dj, la gente che si
muove a
ritmo di house e due spogliarelliste su due cubi.
Proprio il posto in cui non verrei mai, ma che ci faccio
qui?
Sono stanca e non mi va di bere niente di alcolico, questo
è il genere di posto frequentato da gente che si approfitta
delle ragazze
ubriache.
Ora siamo tutti seduti ai tavolini e io mi guardo
nervosamente in giro, le orecchie disturbate dalla musica a volume
troppo alto
e con le palpebre che minacciano di cadere da un momento
all’altro.
Zack è il primo ad alzarsi e a buttarsi in pista, Alex e
Rian lo seguono poco dopo, Jack guarda prima me e poi il mio
bicchierino di
vodka al cocco intatto.
“Tutto bene?”
“No, sono stanca e questo non mi piace.
Posti come questi non mi sono piaciuti, mi sento a
disagio perché io sembro e sembrerò sempre una
barbona in confronto alle
ragazze semisvestite che ci passano accanto.
Vorrei andare al tourbus.
Sì, credo che me ne tornerò al bus,
chiamerò un taxi.”
“Vengo anche io.”
“Non ce n’é bisogno,
divertiti.”
“Non ho voglia di stare qui.”
Io annuisco, se non riesco a fermarlo, tanto vale assecondarlo.
Usciamo insieme dal locale e ci ritroviamo circondati da
una massa di ragazzine, solo che non sono adoranti come al solito, ma
piuttosto
aggressive e pronte al linciaggio.
“Beh, che problema avete?”
Esordisco io.
“Tu sei il nostro problema, Jack non deve stare con una
come te, lascialo immediatamente.”
“Non prendo ordini da una banda di nane da giardino e Jack
è abbastanza grande
da scegliere chi frequentare senza i vostri suggerimenti.
E poi cosa ci fate qui?”
“Vi abbiamo seguiti.”
“Questo è folle, ve ne rendete conto?”
Il gruppetto non mi ascolta e serra i ranghi, pronto ad attaccare, io
mi
preparo a una rissa, inaspettatamente Jack si para davanti a me.
“Se volete pestare la mia ragazza prima dovete pestare
me, siete mie fans, non mie amiche. Non mi conoscete, non sapete cosa
meriti o
no, posto che questa cosa del meritare non ha senso.
Lei mi piace e questo vi deve bastare, state superando
una linea che non deve essere superata.”
“Lei si intromette nella tua amicizia con Alex.”
“Lei e Alex sono buoni amici.”
Questo sembra zittirle per un attimo, poi rinserrano di nuovo i ranghi,
non
mollano.
Riconosco la capo ultras nella ragazzina con cui ho
litigato prima e sbuffo.
“Non stai agendo in modo corretto, portarti le amichette
per picchiare una persona. Scommetto che sei contro il bullismo eppure
non
esiti ad agire come una bulla.”
“Per gente come te faccio un’eccezione.”
Jack corruga le sopracciglia.
“Adesso basta!”
A gesti richiama il buttafuori della discoteca che è
costretto, a malincuore ad abbandonare il suo ruolo di giudice
– scommetto che
gli piace un sacco – e a disperdere la piccola folla.
“Scusami, Jack. Non mi sono accorto che fossero arrivate,
ti hanno dato delle noie?”
“No, a parte voler pestare la mia ragazza.”
L’uomo di colore sembra arrossire.
“Scusami ancora, spero che verrai comunque in questo
locale in futuro.”
“Stai tranquillo, verrò.
Ci si vede.”
L’uomo mi guarda.
“La tua ragazza è carina.”
“Ehi, non vorrai soffiarmela?”
Ride il chitarrista.
“No, figurati. Ho una moglie e un figlio, mia moglie
è
ancora più cattiva di me con una padella in mano.”
Se la ride l’omone e poi ci lascia andare.
Chiamiamo un taxi, durante il percorso non ci diciamo
molto, Jack paga la corsa e saliamo finalmente sul tourbus. Lui si
siede sul
divano sospirando di sollievo, io vado in cucina.
“Vuoi una cioccolata? Me ne sto per fare una!”
“Ok, ci sto.”
Preparo due tazze, aggiungendoci anche qualche fogliolina di menta, poi
le
zucchero al minimo e le porto nella zona relax. Jack prende la sua e
beve un
sorso.
“Che ci hai messo?
Ha un sapore strano.”
“Foglie di menta, mia madre le metteva sempre.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Grazie per prima, non c’era bisogno che mi
difendessi,
ma l’ho apprezzato.”
“Cosa pensavi di fare? Di pestarle tutte.”
“L’idea era quella, ne sarei uscita malconcia, ma
lo stesso si sarebbe detto di
loro.”
Lui ride, ma torna subito serio.
“Per fortuna ti ho fermato, sarebbe stata cattiva
pubblicità per la band.”
“Oh.”
“Sì, insomma, dobbiamo quasi sempre chiudere un
occhio o agire attraverso vie
legali se non vogliamo scandali. Non te l’hanno
detto?”
“Non lo so. Forse hanno pensando che essendo la nipote di una
celebrità queste
cose le sapessi già. È buona la mia
cioccolata?”
“Sì, molto.
Mia nonna fa il the alla menta, senza zucchero e con solo
qualche pinolo ad addolcirlo in fondo.”
“Quello lo faceva anche mia madre e lo faccio anche
io.”
“Davvero sei felice che io ti abbia difesa?”
“Sì.”
Lui sorride.
“Cosa facciamo?”
“Guardiamo un film?”
“Ok.”
Jack mette un dvd nel lettore e ci sediamo sul divano, forse troppo
vicini, ma
in questo momento va bene così.
“Quello che hai detto a quelle ragazzine lo pensavi
davvero?
Che ti piaccio, insomma?”
“Cosa devo fare per dimostrartelo?
A volte ho l’impressione che non mi crederesti nemmeno se
ti regalassi la luna.”
“Lascia la luna al suo posto, non mi sono mai interessati i
beni materiali, ma
quello che uno ha nel cuore all’incirca. È tutto
così confuso!”
“Dunque è dei miei sentimenti che non ti fidi,
quella volta ho combinato un bel
casino!”
“Sì, abbastanza grosso. Vorrei che quella sera non
fossimo mai andati a quel
bar.”
“Lo vorrei anche io, ma
non possiamo
cambiare il passato.”
“Ma possiamo costruire un futuro nuovo.”
Io rimango in silenzio, senza sapere bene cosa dire.
Il mio cuore mi fa male, vorrei dirgli che lo amo, ma non
voglio stare male di nuovo, non voglio sentire il dolore.
Lui mi prende una mano tra le sue e mi guarda dritto negli
occhi.
“Io ti amo, Karima.”
All’improvviso succede qualcosa di strano, sento un calore
all’altezza del
cuore, come se qualcosa fosse penetrato nel mio petto.
È caldo.
È freddo.
Rivedo frammenti di episodi della mia vita, ma questa
volta sento tutte le emozioni: gioia, dolore, paura, frustrazione,
soddisfazione, felicità, amore.
Mi porto le mani al cuore con gli occhi pieni di lacrime
pensando al funerale dei miei e poi di gioia pensando a Jack.
È troppo per me, sono come un computer in cui abbiano
immesso
troppi dati tutti insieme, diventa tutto nero.
Un nero confortevole in cui è piacevole stare, sembra di
galleggiare in un cielo senza stelle.
“Non devi stare qui per troppo tempo.”
Mi ammonisce la voce di mia madre.
“Perché?”
Le chiedo.
“Moriresti.”
Mi dice semplicemente.
“Sei in una specie di coma, ma questo non è il tuo
posto.
Non ancora."
Mi dà una leggera spinta appoggiandomi un dito sulla
fronte, questo è sufficiente a spingermi via e a farmi
vedere di nuovo da
spettatrice la mia vita.
Ci sono momenti in cui piango e altri in cui rido, fino a
quando non arrivo davanti a una luce, mi guardo un attimo intorno e
decido di
attraversarla.
Di nuovo mi sembra di cadere, ma questa volta è un volo
spaventoso che finisce in un buio senza gioia, pesante. Capisco che non
è il
buio a essere pesante, sono io o meglio il mio corpo.
Sono tornata nel mio corpo e da lontano sento la voce di
Jack.
“Karima, svegliati!
Ti prego! Volevo solo una risposta, non che tu morissi di
infarto!”
Sento un battito debole: è il mio cuore, quindi sono
viva.
Tento di aprire un occhio con tutte le forze
non la smetto finché non ci riesco, mi
ritrovo a fissare con mezzo occhio il volto preoccupato di Jack.
Lui prende il mio volto tra le mani.
“Jack…”
“Stai bene?”
“Credo di sì. È successa una cosa
strana.”
“Ci credo! Sei praticamente morta!”
“Che?”
Gli chiedo stupita con la voce debole come non mai.
“Ti sei portata le mani al cuore, piangevi, poi sei
svenuta.
Ho provato a rianimarti in ogni modo, ma non ti svegliavi
e non sentivo nemmeno il battito del tuo cuore. Eri morta.”
“Ero in coma.
Io… Sembra folle dirlo ora, ma credo che sia il momento
più adatto.
Ho la mia anima, Jack.
La sento dentro.”
Lui si porta istintivamente la mano al petto.
“Sì, ho l’impressione che manchi
qualcosa dentro di me e
allo stesso tempo che sia qui davanti a me.”
“È davanti a te, è in me, sono
io.”
Appoggio delicatamente le mie mani sulle sue guance un
po’ ispide di barba e lo bacio, sento le leggendarie farfalle
nello stomaco.
“Ti amo.”
Sussurro sulle sue labbra.
“Ti amo anche io.
Mi perdoni?”
“Sì.”
Una risposta spontanea che sale dal cuore, che non è
filtrata dalla ragione come al solito.
È un miracolo!
Pensavo non sarebbe mai successo!
“Davvero?”
“Sì, ti perdono.
Non chiedermi come ciò sia possibile perché non
lo so, so
solo che se mi farai soffrire ancora così non avrai una
seconda possibilità.”
Dico con una voce eccitata, mi sembra di essere nata per la prima volta
oggi.
Tutto ha un odore e un colore nuovo.
“Karima, stai bene?”
“Sì, è strano. È come se
sentissi, annusassi, vedessi
tutto oggi per la prima volta.”
“Io invece vedo il mondo meno colorato.”
Si gratta il mento, poi scoppia a ridere: un suono bellissimo.
“Dobbiamo solo riequilibrarci.”
“Immagino di sì.
Dio, tutto questo è folle.”
“Puoi giurarci, ma sono felice di vivere questa follia
con te. È come se fosse scritto che dovesse essere
così.”
“L’anima gemella.”
“Probabilmente.”
Ci sorridiamo a vicenda e ci abbracciamo stretti, come a
non volerci mai lasciare.
Che buffa la vita!
A volte basta lasciarsi andare un attimo e tutto va a posto, i rancori
vengono
perdonati, i torti subiti perdono importanza e conta solo
l’amore che provi per
un ragazzo.
“Cosa facciamo adesso?”
Mi chiede Jack strofinando il naso contro il mio.
“Sono quasi morta, direi che andare a letto è una
buona
idea.”
“Sono d’accordo, è stata una serata
stressante.”
Mi prende per mano e mi conduce al suo bunk, lì si spoglia
fino a rimanere in
mutande con nonchalance, io arrossisco.
“Scusa, ma credo che ti dovrai abituare.”
“Sei sempre sicuro di te.”
“Sempre o quasi.”
Entriamo nel bunk e ci mettiamo sotto le coperte.
“Sai, di solito sono molto sicuro di me, ma
c’è
un’eccezione.
Non ero sicuro di riuscire ad avere il tuo perdono e a
riaverti nella mia vita. Mia madre mi ha sempre detto che un giorno
avrei
trovato la ragazza che mi avrebbe fatto mettere la testa a posto, ma io
non le
credevo. Aveva ragione.
Quella ragazza sei tu.”
Io arrossisco.
“Grazie, Jack.”
Dico seppellendo la testa nel suo petto, poco dopo mi addormento.
È stata davvero la giornata più lunga e
stressante della
mia vita, ma anche la migliore.
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Capitolo 26 *** 25)Vivi un po'. ***
25)Vivi un po'.
Karima p.o.v.
La mattina dopo mi sveglio riposata e felice tra la
braccia di Jack.
Il mondo sembra più vivido e magico che mai, di una bellezza
che non avevo mai colto, quella di un raggio di sole che penetra dalla
tendina
non tirata bene e del paesaggio innevato che c’è
fuori dal finestrino.
Qualcuno mi abbraccia da dietro e appoggia la testa sulla
mia spalla: è Jack.
“Sembra che siamo arrivati in un posto dove ci sia il
vero inverno, come a Baltimora.”
“Ti manca la tua città natale?”
“Sì. A dire la verità dopo questo tour
penso di tornarci, mi piacerebbe che tu
venissi con me.”
“Ci penserò. Non sono mai stata troppo lontano da
San Diego, avevo troppa
paura, ma credo sia arrivato il momento di cambiare.”
“Beh, hai tutto il tour per pensarci. Non devi decidere
subito.”
“Già.”
Ci rivestiamo e raggiungiamo gli altri in cucina, inutile dire che
sorridono
tutti complici, nemmeno la loro squadra del cuore avesse vinto una
qualche
coppa.
“Beh?”
Chiedo confusa.
“Avete risolto, vero?”
Mi chiede Alex.
“Sì, ma come mai siete tutti così
felici?”
“Siamo felici per voi, vi shippavamo.”
“Di’la verità, Alex.
C’è di mezzo qualche scommessa?”
La voce di Jack è divertita.
“Beh, sì. Effettivamente c’è
di mezzo una scommessa, i
fratelli Fuentes dicevano che Karima non ti avrebbe mai perdonato, noi
invece
eravamo convinti di sì e non ci sbagliavamo.
Mike e Vic ci devono dei soldi.”
Io sono incredula, Jack invece si limita a scuotere la
testa.
“Siete sempre i soliti, non si dovrebbe scommettere sugli
amici.”
“Perché no? Soprattutto quando si sa di
vincere.”
“Qualcuno mi dia un caffè.”
Borbotto io a mezza voce, Rian mi passa una tazza che sembra piena di
quel
caffè forte italiano tanto buono.
Ne bevo qualche sorso.
“Buono.”
Mi siedo stranita.
“Come facevate a essere così sicuri di
vincere?”
“Oh, eravate due calamite che non facevano altro che
attrarsi, prima o poi
qualcosa sarebbe successo.”
“Capisco, beh, la prossima volta non scommettete su di me:
è davvero strano.”
“Ok, Karima.
Oh, i siti di gossip sanno già di voi.”
Jack alza un sopracciglio mentre si versa dei cereali nella tazza piena
di
latte.
“Ci sono foto di voi fuori dalla discoteca.”
“Devono essere state quelle ragazze.”
Lui annuisce, questa volta sono gli altri a non capire.
“Ieri sera c’erano delle fans fuori dal locale,
volevano
pestare Karima, ma io mi sono messo in mezzo, immagino che questa sia
la loro
vendetta.”
“E cosa facciamo?”
“Niente, non stiamo facendo nulla di male. Agiremo solo se
qualcuno chiamerà
dalla casa discografica, spero che non succeda, non amo chi si
intromette nella
mia vita privata.”
Annuiscono tutti e continuiamo a fare la colazione tranquillamente,
arriveremo
alla seconda data solo nel pomeriggio.
“Torneo di videogiochi?”
Propone Zack, annuiscono tutti.
“Tu giochi, Karima?”
“No, non so giocare. Penso che andrò a letto, ho
ancora sonno.”
Dico sbadigliando.
“Che bradipo che sei.”
“Ieri è stata una giornata faticosa, vorresti
dormire anche tu se ti fosse
successo quello che è successo a me, Rian.
Buon torneo.”
Torno nel bunk di Jack, ancora tiepido, e mi infilo sotto le coperte,
abbracciando il cuscino su cui lui ha poggiato la sua testa: sa di
buono, sa di
lui.
Ben presto mi addormento e non sogno nulla per fortuna,
ogni tanto ho bisogno di una pausa dai miei sogni strani. Non ho voglia
di
rivedere mia madre o cimiteri, ho solo bisogno di staccare la spina, ho
vissuto
abbastanza esperienze al confine della realtà da bastarmi
per un po’.
Gli umani non sono fatti per superare certi confini o
almeno non frequentemente come è successo a me, i morti
devono stare con i
morti, i vivi con i vivi o si finisce per impazzire e non si comprende
più cosa
sia reale e cosa no.
Non voglio impazzire, solo dormire.
Dopo qualche ora mi sveglio a
causa del solito raggio di
sole rompicoglioni e per il casino che fanno i ragazzi.
“Eppure alla mia età dovrei sapere tirare le tende
decentemente.”
Mugugno mentre mi stiracchio.
“Miao!”
La faccia di Jack
fa capolino.
“Miao a te, come mai ti senti un gatto oggi?”
“Sembravi un gatto mentre ti stiracchiavi. È
pronto il pranzo.”
“Scatolette o croccantini?”
“Tacos.”
“Mh.”
Lui alza un sopracciglio.
“Non ti piacciono?”
“Non mi piacciono tanto i cibi piccanti, ma per oggi lo
mangerò.”
“Ok, al primo supermercato dobbiamo prendere della roba per
te. Qui
mangiano tutti piccante.”
“Whoa.”
Scendo dal letto e seguo Jack verso la cucina, i ragazzi sono
indaffarati
attorno al tavolo.
“Ciao, finalmente ti sei svegliata, pensavo fossi
morta.”
Mi dice Rain, io trasalisco.
“Che ho detto di male?”
“Stanotte sono morta davvero.”
“Che?”
“Te lo giuro, dopo che le ho detto che l’amavo
è svenuta e non aveva più polso.
Morta.”
Rian ci guarda sconvolto.
“È che ho ricevuto la mia anima, Jack
l’ha finalmente
sganciata. Chi ha vinto il torneo?”
“Zack. Ma sei morta davvero?”
“Sì.”
“E cosa c’è dopo?”
“Lo saprai a tempo debito.”
Commento misterioso.
“Jack è il solito melodrammatico, si dichiara a
una
ragazza e questa raggiunge il regno dei morti.
Cass non ha fatto così quando mi sono dichiarato a
lei.”
“Che? Mi invidi?
Ho preso un infarto ieri sera quando ho sentito che non
c’era polso, come avrei spiegato la sua morte a voi? Alla
polizia?
Mi avreste appoggiato nel seppellire il cadavere da
qualche parte?”
Io gli do una leggera gomitata.
“Stronzo.”
“Scusa, ma non sapevo più cosa pensare.”
“Procedure di primo soccorso, no?
Massaggio cardiaco? Respirazione bocca a bocca?”
“Ma che ne so io di quella roba? So solo che la respirazione
bocca a bocca è un
modo per baciare una ragazza.”
Gli do un’atra gomitata.
“Amore, un’altra di queste gomitate e il primo
soccorso
dovrai praticarlo su di me perché mi avrai spaccato una
costola.”
“Va bene.”
“A tavola!”
Urla Alex e noi gli diamo retta, con quel grembiule a
fiori gialli sembra proprio una mamma chioccia. Distribuisce un taco
ciascuno e
io inizio a mangiarlo, non è poi così piccante
come pensavo!
“Ti piace?”
Mi chiede il cantante.
“Sì, per essere della roba piccante,
sì.”
“Uh?”
“Non mangio cibo piccante.”
“E come fai?”
“Beh, me lo porto alla bocca con una forchetta e
poi…”
“No, come fai a vivere senza mangiare piccante?”
“Respirando ossigeno come tutti?”
Lui sbuffa.
“Ok ci rinuncio. Mi sa che con te è una battaglia
persa.”
Io annuisco ridendo e riprendo a mangiare tranquillamente.
Chiacchieriamo tranquillamente durante il pranzo, poi i
ragazzi lavano i piatti.
Alex chiama Lisa e Rian Cassadee, poi Jack sparisce nella
cabina dell’autista, poco dopo il pullman si ferma a una
stazione di servizio.
“Come mai ci fermiamo?”
Chiedo perplessa.
“Beh, per comprare cibo messicano non piccante per
te.”
“Non dovevate! Insomma…”
Jack mi appoggia un dito sulle labbra.
“Va bene così, ok?
Faremo rifornimento, ogni tanto lo facciamo anche noi e
poi non credo che un’ora faccia la differenza tra la vita e
la morte.”
“Va bene, va bene. Immagino che qualsiasi cosa
dirò non
cambierà la tua decisione, giusto?”
“Giusto, sono un tipo testardo.”
“Lo so.”
Ci avviamo verso i carrelli, Jack ne estrae uno mettendo la moneta
nell’apposita fessura e poi mi indica l’interno.
“Cosa?”
“Entra.”
“Che?”
“Dai, è divertente!”
“Sì, ma…”
“È da bambini? Si, lo è ed è
per questo che è divertente.
Vivi un po’, Karima!”
“Va bene.”
Entro nel carrello e mi lascio condurre all’interno, i due
cassieri ci guardano
male, Jack risponde con un sorriso smagliante come a dire che a lui
della loro
disapprovazione non importa un fico secco. Potrebbe metterlo come
epitaffio
sulla sua tomba quello che non gliene frega niente delle opinioni della
gente.
Compriamo qualche genere di prima necessità, qualche
stronzata come patatine e caramelle gommose, poi andiamo dritti al
reparto
surgelati. Jack inizia a controllare i vari tipi e marche di tacos ed
empanadas
e le butta nel carrello solo quando è sicuro che non
contengano roba piccante.
Dopo averne impilata una discreta quantità lascia il
reparto, io esco dal carrello e facciamo entrare altre stronzate e
delle birre.
Arriviamo alla cassa e paghiamo tutto, anche gli altri
sono in coda con noi con i loro carrelli pieni.
Usciamo dal supermercato e una folata di vento freddo
rischia di farmi volare via il berretto con i colori rasta che indosso.
“Woah! Fa freddo qui!”
“Oh, sì! Vedrai più su!”
Mi dice allegramente Rian, tutti sembrano abituati tranne me, che ho
lasciato
raramente San Diego.
Carichiamo le cose sul tourbus, poi Jack mi fa di nuovo
cenno di entrare nel carrello e comincia a spingerlo, poi –
una volta
acquistata una certa velocità – salta sui ferri
che coprono le ruote e urla.
È da folli?
Sì.
Da bambini?
Sicuramente.
Ma è anche fottutamente divertente e vorrei che non
finisse mai, non mi sono mai sentita così libera viva e
felice come adesso.
Il tourbus è ripartito
da circa un’ora.
Ho risposto ad Amelie e Darren che volevano sapere se
davvero ero diventata la ragazza di Jack e poi mi sono messa a
fotografare i
ragazzi sotto l’occhio attento di Jack che non perde una mia
mossa.
“Cosa c’è, Jack?”
Gli chiedo a un certo punto.
“Nulla, mi piace guardarti.”
“Ok, è molto dolce, ma anche inquietante. Sembri
una maestra che tiene d’occhio
il suo allievo più indisciplinato in attesa che compia una
marachella.
Lui alza le spalle.
“Guardarti mi piace e poi Alex è in piena febbre
creativa
e Zack e Rian mi hanno di nuovo escluso dalla loro partita.”
“Non è colpa mia se fai schifo.”
Risponde il bassista.
“Ehi! Bada a come parli!
L’ultima volta ti ho stracciato!”
“Quale ultima volta? È successo
quest’anno almeno?”
“È successo nel 2010.”
Dice con dignità il mio ragazzo.
“Oh, un’ultima volta molto recente.”
“Ma è successo e non puoi negarlo.”
“È successo una sola volta e non si è
più ripetuto, è
stata un’eccezione. Rassegnati.”
Lui sbuffa.
“Karima, digli qualcosa.”
“E cosa gli devo dire? Io non ci capisco nulla di
videogiochi.”
“Non so, qualcosa come darmi una seconda
possibilità.”
“Oh.”
Mi gratto la testa.
“Zack, non gli daresti una seconda
possibilità?”
“No, perché non fate qualcosa da
coppiette?”
Il suo tono ha qualcosa che mi fa ricordare all’istante che
io ho rifiutato lui
per stare con Jack, per poi soffrire, sembra quasi risentimento o un
“te
l’avevo detto” non espresso.
“Ok. Dai, Jack.
Andiamo in cucina e beviamoci una cioccolata.”
Lui mi segue senza fare commenti, io verso due bustine di cioccolata
già pronta
in un pentolino e poi il latte che serve.
“Jack, Zack è ancora arrabbiato perché
io l’ho rifiutato?”
“Forse. Non parliamo di quell’argomento,
è una specie di accordo segreto tra di
noi, però credo che gli bruci ancora un po’visto
come è andata all’inizio tra
di noi.”
“Capisco, mi dispiace si sia creata questa
situazione.”
“Passerà, non puoi farci nulla.”
Io annuisco e verso il contenuto del pentolino in due tazze e poi le
appoggio
sul minuscolo tavolino.
“Ecco la nostra cioccolata.”
Lui ne beve un sorso.
“Non è male.
Senti, dopo il prossimo concerto avremo un paio di giorni
liberi.
Ti va di uscire con me?”
“Cos’è? Un appuntamento?”
“Uhm, esattamente. Sei la mia ragazza, no?
Posso invitarti fuori.”
“Sì, certo che puoi. Sono solo preoccupata di
trovare
un’altra gang di ragazzine fuori dal ristorante.”
“Cercherò di tenerlo segreto, poi se
succederà…
Beh, purtroppo dovrai abituarti, lo so che suona da
stronzi dirlo, ma purtroppo questa è la mia vita. Da
ragazzino non pensavo che
avrebbe avuto lati negativi, volevo solo essere come Tom dei
blink.”
Io gli prendo una mano tra le mie.
“È tutto ok, Jack.
Lo so che non è facile essere famoso, lo so
perché è così
anche per mio zio, cercherò di farci l’abitudine,
porterò sempre con me un
lanciafiamme.”
“Vuoi fare Jack alla brace?”
Mi domanda divertito Alex, che è entrato proprio ora.
“No, sta pensando di usarlo contro le nostre fan se
dovessero farsi vive al nostro appuntamento.”
“Dolce. Ci farebbe guadagnare un sacco di
pubblicità, anche se non esattamente
positiva, magari il nostro manager sarebbe felice.
Ma questa è una notizia secondaria, voi due andate a un
appuntamento?”
“Sì, cosa c’è di
strano?”
Chiedo io guardandolo stranita, Alex sembra uno che stia
trattenendo delle grasse risate.
“C’è che Jack non va a un appuntamento
serio da quando
aveva sedici anni, voglio un racconto particolareggiato e magari
qualche
filmato.”
“Non sapevo fossi una specie di maniaco, Alex.”
Lo guardo di sbieco.
“Semplice curiosità.”
Io scuoto la testa.
“Non vi capirò mai, non so come faccia Lisa a
sopportarvi.”
“Lisa è una ragazza paziente.”
“Io non lo sono.”
Lui ride.
“Lo so, lo so. La prossima volta cercherò di
essere meno
invadente.”
“Guarda che se ti becco sotto al nostro letto la prima
notte che faremo l’amore ti pesto di brutto.
Uomo avvisato, mezzo salvato.”
“Ok, me lo ricorderò. Telecamere?”
“Satana, esci da questa cucina.”
“Ok, ok.”
Se ne va ridendo come un matto.
“È un’altra delle cose a cui devo
abituarmi?”
“Ehm, sì.”
Io scuoto la testa.
“Non ho ancora capito se io abbia fatto una buona scelta
accettando di diventare la tua ragazza.”
“Baby, non dire così. Mi ferisci.”
Si porta una mano
al cuore con fare
teatrale.
“Sei proprio un buffone.”
“Ma ti piaccio.”
Io sospiro.
“Sì, mi piaci.”
Lui sorride e mi bacia.
Dopotutto non è male stare con lui, non ci si annoia mai
di sicuro.
Sarà quel che sarà.
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Capitolo 27 *** 26)Un appuntamento magico. ***
26)Un
appuntamento magico.
Karima p.o.v.
Siamo arrivati a Portland, ieri sera c’è stato il
concerto.
È stato un successo e ho fatto delle buone foto, dovrei
essere contenta, invece sono in preda a un dubbio tipicamente
femminile: cosa
mi metto?
Non avevo previsto la possibilità di un’uscita
romantica
e non mi sono portata nemmeno un vestito adatto. Sbuffo sonoramente e
guardo il
mio guardaroba con aria truce.
“I tuoi vestiti ti hanno fatto qualcosa? Tipo tentare di
ucciderti?”
Mi chiede Rian.
“No, mi hanno fatto l’affronto di
mancare.”
“Cioè?”
“Jack mi ha invitata a uscire e non ho nemmeno un vestito
adatto.”
“Esci e fai shopping, non è quello che fate voi
ragazze?
Almeno, Cass fa così, se le manca un vestito esce e se lo
compra.”
“Vuoi la verità?
Ho paura di uscire, non voglio chiederlo a Jack perché
non voglio che si inquieti ancora di più per la storia delle
fans e non voglio
chiederlo a voi.”
“Perché no?”
“Le fans potrebbero fraintendere e pensare che mi faccia
l’intera band.”
Borbotto cupa.
“Capisco. Beh, non hai molta scelta o te la fai passare o
non vivi più.”
“A quanto pare.”
Sospirando mi infilo gli anfibi e la mia giacca, poi prendo una borsa e
controllo il contenuto del mio portafoglio,
posso comprarmi qualcosa di carino.
“Io vado, ciao.”
Esco dal pullman, consulto la cartina della città e poi mi
incammino verso il
centro, sarà una bella camminata, ma servirà a
sciogliere la tensione che ho
addosso. Non sono stata del tutto sincera con Rian, non sono solo le
fans a
preoccuparmi, ma anche la prospettiva dell’appuntamento
stesso.
L’ultima volta che io e Jack siamo usciti insieme abbiamo
rotto e non vorrei che la cosa si ripetesse anche questa volta.
-Non essere paranoica,
Karima.
Non
c’è motivo per cui voi dobbiate rompere, siete o
non
siete anime gemelle?-
Teoricamente lo siamo, ma chi lo può mai dire fino in
fondo?
È solo paranoia, torno a ripetermi come se fosse un
mantra che potesse calmarmi in qualche modo, che poi a me non
è nemmeno mai
piaciuto fare shopping.
Macinando pensieri arrivo in centro e mi guardo attorno:
i negozi che ci sono qui sembrano tutti troppo costosi per me, quindi
devo
aguzzare gli occhi e cercare un posto più economico degli
altri.
Alla fine ne trovo uno seminascosto ed entro, deve essere
l’ultima bottega sopravvissuta al nuovo assetto urbano. Mi
guardo attorno e
vado verso quella che è la zona dei vestiti un po’
più eleganti e comincio a
osservarli uno ad uno, alla ricerca di qualcosa che mi piaccia.
Alla fine la mia scelta cade su un semplice tubino nero
con e maniche e lo scollo in pizzo, abbastanza aderente. Lo provo e
noto che mi
calza a pennello, anche se non sono esattamente una modella e non lo
sarò mai.
Va bene lo stesso, comunque.
Me lo tolgo, lo sistemo meglio che posso – non sono mai
stata un asso a sistemare i vestiti – e poi mi rimetto i miei
vestiti. Compro
anche un paio di ballerine nere con il cinturino alla caviglia a punta
tonda e,
dopo aver pagato, esco dal negozio.
Mi piacerebbe fare un giro per la città, ma non mi sento
sicura, anche se so che è assurdo avere paura di un gruppo
di ragazzine.
Torno verso il pullman con il mio sacchetto in mano e
arrivo giusto in tempo per il pranzo, Zack sta servendo a tutti della
pizza.
“Bentornata! Dove sei stata?”
Mi chiede, io arrossisco.
“Io? A comprare un vestito, niente di che!”
Appoggio tutto quanto nel mio bunk e poi mi siedo a
tavola, dove mi trovo davanti a una pizza margherita.
“Che vestito hai comprato?”
“Niente di che.”
“Dai, Karima!”
Mi stuzzica Alex.
“Un vestito per l’appuntamento.”
“Posso vederlo?”
Mi chiede Jack.
“Lo vedrai stasera, penso tu possa resistere ancora
qualche ora.”
“Dai, Karima!”
“Ho detto di no, accidenti!”
Sbuffo io, iniziando a mangiare.
La verità è che mi vergogno terribilmente del mio
corpo e
non voglio che Jack lo veda prima del tempo, non sono come le ragazze
con cui è
abituato a uscire e ho paura di non reggere il paragone. Da dove viene
tutta
questa pressione? Questa paura?
Cosa c’è di sbagliato in me?
Credevo che una volta riavuta la mia anima tutto sarebbe
stato più facile, ma non è affatto vero,
è persino più difficile. Tutte queste
emozioni nuove mi confondono e mi rendono fragile, anche felice, ma
soprattutto
fragile.
Mi sono sempre vestita come più mi piaceva, cosa
è
cambiato?
Jack mi ha visto vestita in modi peggiori, non sexy, e
sudatissima dopo avere fatto foto per tutto il concerto, cosa dovrebbe
cambiare
questa volta?
Non dovrebbe cambiare nulla, ho solo bisogno di riposo,
mi dico per tentare di dare un senso al tutto. Finito di mangiare mi
alzo da
tavola.
“Beh, vado a riposare un attimo.”
Mi guardano tutti stupiti, ma nessuno dice nulla.
Devo averlo scritto in faccia che ho qualcosa che non va,
a volte mi manca la mia vecchia impenetrabilità.
Era bello potersi nascondere ogni tanto.
Dormo circa un paio d’ore, poi mi chiudo in bagno per
fare la doccia, depilarmi e tutte le operazioni preliminari.
Jack entra dopo di me e si cambia nella zona notte con la
solita disinvoltura, indossa un paio di jeans neri, una camicia e un
maglione
dello stesso colore.
Io prendo il mio tubino e mi chiudo in bagno.
Metto le calze, poi il vestito e infine mi trucco di
nero, con la sola macchia di colore del rossetto rosso, poi finalmente
esco e
indosso le ballerine.
Ansiosa come non mai vado nella zona relax, i ragazzi
stanno parlando, ma al mio arrivo si zittiscono e mi guardano.
“Beh?”
Chiedo.
“È che tranne per quella volta che ci siamo
incontrati al
club non ti abbiamo mai visto con un vestito.”
“Sto così male?”
“No, stai benissimo. Perché pensi di stare
male?”
“Non so, mi guardate come se fossi una specie di alieno!
Lo so che non sono la tipica ragazza che Jack si porterebbe a letto, ma
potreste essere più carini!”
Jack sospira.
“Dunque, è questo il problema.
Pensi di non essere all’altezza?”
“Sì.”
Rispondo io, abbassando gli occhi come una bambina scoperta con le mani
nella
marmellata.
“Ragazzi, lasciateci cinque secondi da soli.”
Il resto della band non se lo fa ripetere e presto rimaniamo solo io e
Jack.
“Ascolta, non devi avere paura delle mie ex o di come sta
il vestito.
Quelle ragazze me le volevo solo portare a letto, non
volevo una relazione seria con loro, con te è diverso, tu
sei diversa.
Mi piaci a prescindere, ti trovo carina con ogni vestito
addosso, perché sono il tuo carattere e la tua
personalità ad affascinarmi. Non
penso solo a portarti a letto, spero che io e te andremo più
lontano di questo.
Molto più di questo.
Io ti amo, Karima, lo sai questo?”
Mi prende le mani tra le sue.
“Lo so, non capisco cosa mi prenda.”
“Ansia, ma è normale. Almeno per quanto riguarda
uscire con un tipo come me,
non sono una persona raccomandabile, ma a te voglio mostrare il mio
lato
migliore.
Per favore, credimi e dammi una possibilità.”
Io sospiro.
“Va bene.”
Lui mi bacia e tutto sembra tornare di nuovo a posto, ogni mia paura
svanisce.
“Sei pronta adesso?”
“Credo di sì. Come si fa a capire se si
è pronti?”
“Sei gioiosa e impaziente.”
“Più che altro preoccupata di fare una delle mie
terribili figuracce o
scenate.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Va beh, andiamo.”
Usciamo dal tourbus per dirigerci verso una piccola utilitaria.
“L’ho noleggiata, mi sembrava poco romantico andare
a un
appuntamento con i mezzi.”
Io annuisco ed entro dalla parte del passeggero.
“Beh, dove mi porti?”
Chiedo tanto per spezzare la tensione.
“Uhm, mi hanno parlato molto bene di un ristornate
italiano, così pensavo di andare lì.
La cucina italiana piace a tutti, no?”
“Sì, hai ragione.
La adoro.”
Lui mi sorride e appoggia una mano sulla mia, poi mette in moto dando
il via
ufficiale al nostro appuntamento. Inserisce le coordinate nel
navigatore
satellitare e segue le indicazioni, solo che invece di trovarci davanti
a un
ristorante italiano ci troviamo davanti a un’officina, il
meccanico esce
curioso.
“Problemi con la macchina?
Potrebbe ripassare domani, per favore? Sto chiudendo.”
“Non ho problemi con la macchina, ho problemi con il mio
navigatore!
Dovevo arrivare davanti a un ristorante che si chiama
“Salvatore”, non qui.”
“Oh. Beh, quei cosi non funzionano mai come dovrebbero,
perché non ha guardato
una cartina o su Google Maps?”
Jack arrossisce.
“Non ci ho pensato, non starò in città
per molto.”
Molto gentilmente il meccanico ci spiega come raggiungere il ristorante
e
arriviamo con una mezzora di ritardo rispetto al previsto e la
cameriera che ci
accoglie all’ingresso sembra muoverci un muto rimprovero.
“Scusi, ci siamo persi, non siamo di qui.”
Balbetta Jack.
“Va bene, signori. Seguitemi.”
Noi eseguiamo gli ordini e attraversiamo una sala affollata per
arrivare a una
più intima illuminata solo dalle candele dei tavoli e dalle
lanterne
elettriche.
“Questo è il vostro tavolo e questi sono i
menù.”
Se ne va facendo ticchettare i suoi tacchi alti.
“Non è la persona più simpatica di
questo mondo, vero?”
Mi chiede Jack.
“No, decisamente no. Se anche le cameriere si credono
chissà chi, immaginati i proprietari.”
Lui ride e annuisce prima di iniziare a sfogliare il suo
menù.
“Che cosa prendi?”
Gli chiedo.
“Non lo so. Mi hanno detto che il risotto ai funghi e la
grigliata mista sono i loro piatti forti.”
“Prendiamo quelli allora.”
Lui annuisce e poco dopo la cameriera arcigna ritorna con il suo
blocchetto.
“Avete deciso, signori?”
“Uhm, sì. Due risotti ai funghi e due grigliate
miste di pesce.”
“La grigliata mista è generalmente un piatto per
due persone, molto adatto alle
coppie.”
“Oh, ok. Allora solo una.”
La cameriera annuisce.
“Cosa vi porto da bere?”
“Acqua e vino bianco.”
Annuisce e se ne va.
“La sua simpatia aumenta di minuto in minuto scommetto
che se potesse ci sbatterebbe fuori.”
“Lo penso anche io e non verrò mai più
in questo
ristorante, nemmeno se il cibo fosse divino.”
“Già.”
Cinque minuti dopo torna con le nostre bevande, versa il vino a Jack e
dell’acqua per me, poi sparisce di nuovo. Jack alza il
bicchiere, io faccio lo
stesso.
“A noi?”
Mi chiede.
“A noi!”
E faccio scontrare i due calici. Il sorso
d’acqua scende grato nella mia povera gola, non
mi ero accorta di avere così sete, stasera non sono davvero
me stessa!
“Come ti è sembrata la tua prima esperienza di
fotografa musicale?”
“Completamente folle. Un lavoro faticosissimo, ma a volte
dà delle soddisfazioni,
spero che alla casa discografica piacciano le mie foto.”
“Sono sicuro che sarà così, durante i
nostri concerti sembri un pupazzo a
molla, saltelli ovunque alla ricerca degli scatti migliori.”
“Sì, credo di aver perso qualche chilo. Dovrebbe
essere positivo, ci sono donne
che farebbero carte false per dimagrire.”
“Sì o venderebbero la madre.”
Ride lui.
“A volte voi donne siete strane.”
“Anche voi uomini.”
“Ok, siamo tutti strani solo che qualcuno lo nasconde
meglio.”
Mi concede lui.
“Stai bene, Karima?”
Mi chiede.
“Non lo so, non so perché sono così
agitata. Mi hai visto
in situazioni peggiori.”
“Credo che tu non ti sia ancora abituata alle emozioni,
datti tempo e le cose miglioreranno.”
Mi stringe una mano tra le sue, un momento magico interrotto da quella
maledetta cameriera che tossicchia. Credo che prima della fine della
cena le
tirerò un piatto addosso per manifestare la mia simpatia nei
suoi confronti,
capisco che certi clienti possano non piacere, ma non
c’è motivo di essere
sgarbati.
“Guarda che i soldi per pagare la cena e lasciarti una
mancia li abbiamo.”
Sbotto io, lei sbatte falsamente gli occhi e appoggia i nostri piatti.
“Dicevo che puoi anche smetterla di guardarci come se
fossero degli scarafaggi che non puoi schiacciare, i soldi li abbiamo
insieme
al diritto di venire in questo ristorante ed essere trattati come
esseri
umani.”
La ragazza arrossisce per la stizza.
“Credo che la signora abbia interpretato male il mio
comportamento.”
“Senti, non sono nata ieri. Lo so che non ti piacciamo, ma il
tuo lavoro è
essere gentile con la gente che servi, se non sai farlo cercatene un
altro.”
“Almeno io un lavoro ce l’ho.”
Sibila lei.
“Anche io, sono una fotografa.”
Dico con voce flautata e gli occhi duri, lei se ne va fulminandoci.
“Wow. Meglio non farti arrabbiare!”
“Quando ci vuole ci vuole. È una cosa che mia
madre
faceva spesso, tutti la guardavano per via dell’hijab e lei
li rimetteva a
posto.”
“Una cosa di famiglia, insomma.”
“Un caro ricordo che ho di lei.”
Dico sorridendo.
“Beh, mangiamo e speriamo che non ci avvelenino i
secondi.”
Il tono di Jack è allegro e iniziamo a mangiare il nostro
riso ai funghi, che è
effettivamente molto buono, ma non al punto da giustificare una tale
boria.
“Buono, ma non giustifica la sua reazione.”
Lui annuisce.
Poco dopo ci vengono serviti i secondi e poi dolce e
caffè, Miss Simpatia sembra avere una voglia matta di
buttarci fuori dal
ristorante come due sacchi di spazzatura indesiderati.
Quando paghiamo ci guardiamo bene dal lasciarle una
mancia, probabilmente non torneremo mai più in questo posto.
Fuori Jack si stiracchia e mi guarda.
“Che si fa?”
“Un giro per il centro?
Ci sono le luminarie per Natale, anche il Ringraziamento
si avvicina.
Tornate a casa?”
“No, abbiamo deciso di no. Lo festeggeremo tra di noi,
sarebbe inutile
strapazzarci con un viaggio così solo per un
giorno.”
“Capisco.”
“Tu lo festeggi?”
“Sì, lo festeggio. Ma sono felice di non tornare a
casa, non ho voglia di
rivedere mio zio e sarebbe il primo Ringraziamento senza i
miei.”
“Oh, mi dispiace.”
“Non fa niente, devo abituarmi al fatto che loro non ci siano
più.”
Lu mi stringe a sé e camminiamo verso il centro della
città dove le luminarie
sono già accese, sottili fili di luci dorate e argentate,
alternati a sfere,
fiocchi di neve e
stelle, davvero ben
fatto.
“Mi piacciono le luci di Natale.”
Dico senza un motivo preciso.
“Oh, anche a me.”
Mi sorride Jack, poi alza dolcemente il mio viso verso il suo e mi
bacia con
dolcezza, come se temesse di farmi male, sono io ad approfondire il
bacio: ho
bisogno di sentirlo mio.
Ancora non mi sono del tutto abituata all’idea che
noi
due stiamo insieme, certe volte penso sia solo un lungo sogno e che
presto mi
sveglierò.
“Dimmi che non finirà, non subito.”
“Finirà quando ci stancheremo e penso che non
succederà presto.”
Ci baciamo ancora e poi riprendiamo a camminare nel freddo pungente
della
città, chiacchierando stando abbracciati, ridendo per cose
senza senso come
fanno gli innamorati.
È il migliore appuntamento della mia vita forse
perché
grazie a lui possiedo i miei sentimenti e tutto è
amplificato e magico, come se
fosse il primo appuntamento.
All’improvviso piccoli fiocchi bianchi e leggeri iniziamo
a scendere dal cielo.
“Magico! La neve!”
Esclamo io alzando le braccia.
“Davvero magico, questo rende il nostro appuntamento
perfetto, forse qualcuno lassù approva la nostra
unione.”
“Mia madre.”
“Beh, grazie, signora Jenkins.”
Dice lui serio.
Con la mia mano stretta nella sua stanotte tutto mi
sembra possibile, anche essere completamente e totalmente felice per
tutta la
vita o quasi.
E il sorrido che rivolgo al cielo è il più
autentico e
felice della mia vita.
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Capitolo 28 *** 27)Il giorno del Ringraziamento. ***
27)Il giorno del
Ringraziamento.
Il giorno del Ringraziamento
è finalmente arrivato e ci
ha colto piuttosto lontani da un qualche hotel, quindi dovremo cucinare
noi qualcosa
e non sarà facile dato che abbiamo solo un cucinino.
I ragazzi hanno comprato un megatacchino secondo la
tradizione, Zack si sta occupando della squartatura, io invece della
preparazione del ripieno.
Castagne, pane raffermo, burro, cipolla, un gambo di
sedano, limone, vino bianco, rosmarino, prezzemolo, maggiorana, timo,
olio,
sale, pepe e mirtilli rossi mescolati in un amalgama perfetta, quasi
come una
pozione magica.
Finito, Zack lo distribuisce nel povero tacchino e poi lo
infila nel forno non so nemmeno io come, quel coso è enorme.
Adesso devo preparare salse e contorni.
La prima è quella ai mirtilli che in realtà non
sono i
mirtilli che pensano gli europei, ma frutti chiamati ossimoco o
mortella di
palude
Faccio riscaldare in un tegame alcuni di questi frutti
freschi, a cui aggiungo a piacimento una grattugiata di zenzero, di
buccia
d’arancia, dello zucchero di canna e per ammorbidire il tutto
del succo
d’arancia. Questa salsina dovrà essere servita
fredda ed è per questo che la
preparo per prima.
Apro il forno e tolgo un po’ del liquido di cottura dal
tacchino e mi accingo a preparare la seconda salsa chiamata Gravy.
Prendo il liquido di
cottura, le interiora dell’animale reprimendo un conato di
vomito, verdure,
brodo di tacchino e farina.
Anche questa è fatta.
Preparo il purè di patate, poi ci metto del latte, del
burro, della noce moscata, del prezzemolo o della salvia fritta. Visto
che i
ragazzi amano i sapori decisi aggiungo anche un trito di aglio e
scalogno.
Nella parte finale della preparazione aggiungo della panna acida, del
cheddar
ed un altro formaggio a scelta. Mi asciugo il sudore con una manica.
Adesso manca solo la torta.
“Zack!”
Chiamo, lui arriva immediatamente.
“Ce la facciamo a farci stare la torta nel forno?”
Lui controlla e poi annuisce.
“Sicuro?”
“Sì.”
Io prendo della polpa di zucca che avevo fatto cuocere
precedentemente, panna diluita con il latte, zucchero bianco e di
canna,
cannella, zenzero, noce moscata, garofano e uova leggermente sbattute.
Mischio
tutto e lo verso in uno stampo in cui c’è
già della pasta frolla per crostate e
inforno.
“Zack, vado a farmi una doccia. Ti affido il tutto.”
Esco dalla cucina e mi tolgo l’hijab che ho usato come
turbante, guardo Jack e
gli sorrido.
“Come è andata?”
“Penso mangeremo bene, adesso è tutto nelle sante
mani di Zack. Io vado a fare
una doccia e poi vi raggiungo.”
Sorrido di nuovo al mio ragazzo e gli mando un bacio con la mano, poi
vado alle
docce e mi ci infilo sotto. Cucinare mi piace, ma stanca anche e io
sono
distrutta.
Finita la doccia, asciugo i capelli e li raccolgo in una
coda, poi indosso un vestito rosso a maniche lunghe con lo scollo alla
coreana,
ma che si apre appena sopra il seno. Mi trucco e torno dai ragazzi.
Jack
fischia non appena mi vede e mi abbraccia, baciandomi poi.
“Sei bellissima e io sono tanto fortunato ad averti come
ragazza.”
Mormora con quel suo sorriso tenero.
“Grazie, non esagerare.”
“Non esagero. Oggi deve essere un giorno felice.”
“Allora sediamoci.”
Ci invita Alex, noi annuiamo.
La tavola è già stata apparecchiata con una
tovaglia
bianca e bicchieri e posate non di plastica.
“Wow!”
“Sorpresa, vero?
Ce li siamo portati dietro proprio per festeggiare come
si deve il Ringraziamento.”
“Abbastanza, spero non si rompano.”
“Non essere così fiduciosa in noi, potremmo
montarci la testa.”
Mi risponde allegro Rian.
“Ok, va bene. Niente commenti acidi per oggi.”
Ci sediamo e poco dopo Zack arriva con il tacchino e Alex con le salse
e le
patate.
“Adesso vedremo se la ragazza di Jack è una brava
cuoca.”
“Se non ti fidi delle mie capacità, potevi
cucinare tu,
Alex. Ho faticato tutta la mattina.”
“Non ti piace cucinare?”
“Credo di poter dire di sì, ma è
faticoso.
Mia madre diceva sempre che si spendeva una mattinata in
cucina per far sparire tutto in cinque-dieci minuti.”
“Dubito che faremo sparire questa bestia in così
poco tempo.”
Dice sorridendo Zack e inizia a tagliarlo.
Piano piano le porzioni vengono distribuite a tutti e sul
tavolo c’è un momento di silenzio, Rian recita la
preghiera tradizionale e
iniziamo a mangiare.
“Devo dire che è davvero buono, anche le
salse.”
Commenta Alex.
“Metà del merito è mio e
metà è di Karima.”
“Allora, complimenti a Zack e Karima!
Brindisi?”
Annuiscono tutti e versano del vino rosso nei bicchieri.
“A Zack e Karima!”
I bicchieri si scontrano con il tradizionale “cin
cin!” e poi riprendiamo tutti
a mangiare, senza parlare molto. Di solito c’è
sempre silenzio quando si mangia
e la cosa mi fa piacere perché so che il pranzo è
riuscito e perché non sono
ancora molto brava nelle conversazioni.
Dopo un po’ il tacchino viene finito, la frutta viene
messa in tavola e divorata anche quella, adesso è il turno
della torta, la
famosa pumpkin pie.
Sparecchio il necessario e la porto in tavola,
l’attenzione di tutti è calamitata su quella, come
se non avessero affatto
mangiato prima.
Senza sapere cosa dire taglio le porzioni e le
distribuisco.
“Buon appetito.”
“Buon appetito anche te.”
Il pranzo riprende, ci sono lodi anche per la torta.
Servo il caffè e poi l’ammazzacaffè,
ora siamo tutti sazi
e felici.
“Beh, credo sia arrivato il momento.”
Sentenzia il cantante.
“Uhm, quale?”
Chiedo io.
“Quello di ringraziare per le buone cose che sono
successe quest’anno.”
“Oh, già.”
“Inizio io.”
Dice allegramente Lex, alzandosi in piedi.
“Per prima cosa vorrei ringraziare questi tre scemi per
essere ancora qui con me a suonare in questa band. Senza di voi non
saprei cosa
fare, quindi grazie mille per sopportarmi.
E grazie anche al Signore ovviamente.
Vorrei anche ringraziare Lisa per essere la mia ragazza,
ha coraggio se non è ancora scappata davanti alla mia follia.
In ultimo vorrei ringraziare Karima per essersi unita a
questo tour e aver cucinato per noi questo buonissimo pranzo.
Ho finito.”
Si siede, il prossimo ad alzarsi è Rian.
“Uhm, non sono sicuramente originale,
ma ringrazio Dio per avere questa band. Non
molte persone fanno il lavoro che vogliono in compagnia dei loro
migliori
amici.
È un grande dono e sapere che si rinnova ogni anno mi
rende molto felice.
Ringrazio anche per avere Cass nella mia vita, è una
meravigliosa ragazza che capisce alla perfezione le mie esigenze. Le
auguro
ogni bene e che la sua carriera da solista decolli, lo sanno tutti che
sono il
suo fan numero uno.
Credo sia tutto.”
Si siede sorridendo e si alza Zack, sono un po’ nervosa
dati i nostri trascorsi.
“Come tutti ringrazio Dio per poter suonare in questa
band con delle persone davvero fantastiche, spero che continueremo
ancora a
lungo!
L’unica cosa che vorrei chiedere è una ragazza,
inizio a sentirmi un po’ fuori
posto tra tutte queste persone felicemente in una relazione.”
Ride imbarazzato.
“Potrei avere una vita peggiore, molto peggiore, quindi
non posso lamentarmi troppo alla fine.
Agli All Time Low.”
Ora tocca a Jack.
“Ovviamente ringrazio come tutti di essere in questa
band. Ehi, sono con i miei migliori amici e il mio fratello di
un’altra madre,
non ho nulla per cui essere infelice.
Ringrazio anche Karima per la sua infinita pazienza e per
avermi fatto imparare cosa significa amare qualcuno. Senza di te non lo
saprei,
tesoro, e te ne sono infinitamente grato.
Spero che la vita continui così, perché
onestamente non mi
sono mai sentito così felice in vita mia.”
Io arrossisco, poi mi rendo conto che tutti mi guardano,
adesso tocca a me.
Cavolo, cosa devo dire?
Tento di parlare, ma mi esce solo un suono strozzato.
Ok, devo essere calma, non è nulla di così
terribile.
“Beh, ecco. Sono grata alla Hopeless Records per avermi
assunta e avermi dato la possibilità di svolgere questo
fantastico lavoro. Non
è stato facile all’inizio, ma adesso credo di
avere ritrovato la vera me stessa
a cui piace fare foto.
Ringrazio anche le persone che mi sono state vicine e
sono diventati miei amici, so di non essere una persona facile da
sopportare.
In ultimo, ma non per importanza, ringrazio Jack. Non è
stato facile nemmeno con lui, ci sono stati scontri, momenti in cui non
ci
siamo parlati, ma alla fine...
Alla fine ho riavuto la mia anima e sono la sua ragazza,
è molto per cui ringraziare.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Credo di avere finito.”
Spero di non avere fatto pessime figure, ma Jack sorride
quindi credo che vada tutto bene.
Finito il pranzo, sparecchio e lascio Zack a lavare i
piatti, dice che è giusto così visto che io ho
cucinato.
Raggiungo gli altri, Jack mi viene incontro, io lo guardo
un po’ansiosa.
“Come me la sono cavata?”
Chiedo.
“Bene. Pensavi davvero tutte quelle cose?”
“Sì, solo non sapevo come dirle. Ho scoperto che
da quando ho i sentimenti non
riesco più a parlare in modo sciolto come prima.”
“Forse adesso pensi all’effetto che faranno le tue
parole sulle persone?
“Sì, credo che il problema sia questo. Non ho
ancora
capito se sia un bene o un male, a volte sono confusa.”
Lui mi accarezza la testa.
“È assolutamente normale, non ti devi preoccupare.
È come
se fossi una bambina in questo senso, devi imparare a controllare le
tue
emozioni, ma so che ce la farai.
Sei forte, Karima.”
“Lo spero, ho paura di essere solo un peso per tutti
ora…”
“Non lo sei. Stai calma, va tutto bene, ci sono io con
te.”
Io annuisco e mi siedo sul divano con gli altri.
“Bel discorso, Karima.”
Si complimenta Rian.
“E pensare che all’inizio non ci
sopportavi.”
“Si fanno dei passi avanti.”
Rispondo a disagio.
“Tutto bene?”
Mi chiede il batterista.
“Per la verità mi sento come se un camion mi
avesse
travolta, troppe emozioni in una volta sola.”
“Capisco. Controllarle non è facile,
vero?”
“Sì, è vero.
La vita è diventata bella, ma anche complicata e non
c’è
più l’apatia in cui rifugiarsi.”
“Perché dovresti rimpiangere qualcosa de
genere?”
“Perché è confortevole, non senti le
emozioni positive, ma nemmeno quelle
negative.
Ti dà anche coraggio in un certo senso, perché
non ti
importa nulla di quello che potrebbe pensare di te la gente.”
“Credo di capire, ma ancora mi suona tutto così
strano.”
Io sospiro e non dico più nulla, nessuno può
capire fino in fondo cosa provo,
perché la mia non è stata una situazione normale
per anni.
Sono io la strana.
Il pomeriggio passa tranquillo.
Guardiamo film e beviamo una cioccolata, a cena mangiamo
tutti the e biscotti perché il tacchino del pranzo era un
piatto molto
sostanzioso.
Alla fine della giornata c’è una certa stanchezza
nell’aria, Zack fila a letto, Alex e Rian si chiudono nel
loro bunk per
chiamare Lisa e Cass, così rimaniamo solo io e Jack.
“Giornata lunga?”
“Abbastanza.”
Rispondo io sbadigliando.
“Karima, ti piacerebbe venire a Baltimora dai miei per
Natale?”
Io lo guardo sorpresa.
“Sinceramente non lo so, devo pensarci.”
Lui annuisce.
“Come mai me l’hai chiesto?”
“Vorrei che la mia famiglia ti conoscesse, ho parlato
spesso di te quindi sono curiosi.”
“Vorrei che anche la mia famiglia fosse così
positiva, mio zio è sempre
dell’idea che tu non vada bene per me, l’unica che
mi chiama è Ava.”
“Capisco. Beh, se decidessi di venire potresti trascorrere il
Natale in
famiglia, i miei sono un po’ fanatici del Natale, mia madre
più che altro.”
“A me piacciono le luci di Natale e la neve, mi ricordo che
qualche volta,
quando mio padre aveva dei convegni, ci portava tutti a New York e
trascorrevano il Natale.
Mi piaceva molto.”
Un silenzio un po’imbarazzato cale su di noi.
“Ti mancano, vero?”
“Sì e mi mancheranno sempre, sono i miei
genitori.”
“Hai ragione, ti ho fatto una domanda stupida.
È che io non riesco a pensarmi senza i miei genitori,
forse sono solo un mammone.”
“Mannò, è normale, credo.
Voglio dire sono la tua famiglia, sangue del tuo sangue e
ti sono sempre stati accanto, ti hanno sostenuto. Sono io
l’eccezione, vorrei…
Ecco avrei voluto recuperare la mia anima prima della loro morte per
vederli
felici. Soffrivano molto per la mia situazione.”
“Mi dispiace.”
“Fa parte della mia vita, è inutile piangere sul
latte
versato e poi mi vedono da lassù e spero che ora siano
felici.”
“Mi piace la tua fede nell’aldilà, io
non sono così
sicuro che ci sia.”
Io sospiro.
“Non riesco a concepire la nostra vita come una meteora che
brucia nel cielo
del tempo e poi si spegne di botto. Deve esserci qualcosa di
più, sennò perché
vivere, amare, soffrire e ancora soffrire solo per un periodo
così breve?”
“Forse hai ragione. Io vivo la vita con previsioni a
breve termine, non mi preoccupo del futuro o del senso generale delle
cose.”
“E questa è probabilmente la ragione per cui ci
completiamo.”
“Già.”
Sbadiglio.
“Sei stanca?”
“Un po’. Cucinare mi piace, ma stanca
anche.”
“Vuoi andare a letto?”
“No, stiamo ancora un po’ qui.
A Baltimore nevica?”
“Sì, avrai un bianco Natale.”
“Bello.”
Dico io sorridendo, cercando di dare forma a questa città
che mi è ancora
sconosciuta.
“Sembra che l’idea ti piaccia.”
“Non mi piace passare il Natale da sola e qualcosa mi dice
che succederà, visto
che io e te non ci siamo ancora lasciati.”
“Pensi che ce la farà mai a sopportarmi?”
“Dagli qualche anno, ammesso che tu voglia sopportare me per così tanto
tempo.”
Lui ride.
“Voglio provarci. Sei una persona davvero interessante e
ti amo.”
“Ti amo anche io.”
Ci baciamo e poi rimaniamo ancora un po’ sdraiati sul
divano.
Mi sento felice e sonnolenta come non mi era mai
capitato.
Io e la mia famiglia abbiamo sempre festeggiato il
Ringraziamento per conformarci alle tradizioni di questo paese e non
mostrarci
ostili o cose del genere, ma non ne avevo mai capitoil senso
fino ad oggi.
Pensavo fosse solo una buona occasione per ingozzarsi di
tacchino, salse e dolci, la mia assenza di sentimenti mi aveva impedito
di
coglierne l’essenza. È la festa in cui ringrazi
per quello cha hai per quanto
poco possa sembrare, ringrazi per la famiglia, gli amici che hai, il
lavoro e
tante altre cose.
“Ho capito il Ringraziamento.”
Mormoro.
“Non l’avevi mai festeggiato prima?”
“Sì, ma non lo capivo.
Mi sembrava solo una festa commerciale, ora l’ho
capito.”
“Perché ora hai la tua anima?”
“Esatto.”
“Scommetto che pensi la stessa cosa anche di
Natale.”
Io annuisco piano.
“Vediamo se riesco a farti cambiare prospettiva anche su
quello.”
“Potrebbe succedere.”
“Sarebbe bellissimo, non credi?”
“Non lo so. Lasciamo che accada e poi te lo dirò.
E luci di Natale mi piacciono però, le ho sempre sulla
testata del letto.”
“Capito.”
“Ma il Natale non è solo questo o almeno credo,
non siamo cristiani.”
“Io sì, anche se ogni tanto prego per mia madre
con le preghiere musulmane che
lei avrebbe voluto.”
“È un pensiero dolce.”
“Non l’hi ancora capito che sotto la corazza di
dura
tutta d’un pezzo batte un cuore di panna?”
“Sì.”
Ride e continuiamo a rimanere abbracciati.
A volte bisogna solo vivere il momento e la gioia che ti
dà, senza analizzare, pensare o cercare spiegazioni.
A volte non servono.
Così chiudo gli occhi cullata da questa felicità
sconosciuta che spero rimanga nella mia vita il più a lungo
possibile.
Dolcemente.
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Capitolo 29 *** 28)Completa. ***
28)Completa.
Karima p.o.v
Natale è arrivato.
È il 25 dicembre e sono nella csa di Baltimora di Jack,
è
grande e spaziosa, a due piani, io sono davanti al camino avvolta in un
golf e
guardo alternativamente il fuoco e le luci del grande albero di Natale.
Jack è sotto la doccia per prepararsi ad andare dalla sua
famiglia e io vorrei che si sbrigasse, ho freddo e non so nemmeno se i
miei
regali piaceranno.
Ho preso una rosa di Natale per andare sul sicuro e ho
cucinato il knafeh per rendere contenta la nonna del mio ragazzo, spero
apprezzino.
Finalmente la porta del bagno si apre e Jack esce, io
scatto come un serpente e corro per le scale, lui si sta
tranquillamente
asciugando i capelli spettinati con
addosso solo un asciugamano.
“Dillo subito che vuoi che arriviamo in ritardo,
così
risolviamo subito la questione.”
Lui si guarda e scoppia a ridere, poi si avvia verso la
nostra camera, io lo seguo mio malgrado.
Recupero le cose che mi servono e vado in bagno, giro la
manopola della doccia per portarla alla temperatura giusta e poi mi ci
infilo
sotto.
Dopo una lunga doccia mi sento meglio, ora non mi resta
che vestirmi, visto che mi sono depilata ieri, indosso calze nere, un
vestito
aderente a maniche lunghe – nero con arabeschi argentati
– mi raccolgo i
capelli di nuovo verdi in una coda e mi trucco.
Decido di stare sull’eccentrico, ma non troppo: matita
nera, ombretto argento e rossetto scuro.
Il risultato mi soddisfa, così mi metto un po’ di
profumo
e i miei stivali argento dall’aria vintage, credo di essere
elegante, ma non ne
sono sicura.
Esco dal bagno e Jack mi applaude, lui indossa, jeans,
camicia e giacca neri.
“Cravatta?”
“Le odio.”
“Sta bene. Come sto?”
“Sei fantastica, sembri una creatura scesa dallo
spazio.”
“Non se sia una buona cosa, non mi sembra
natalizia.”
“Chi se ne frega? L’importante è che ti
piaccia, non
credo i miei faranno storie, sono abituati ai miei look.”
“Tu sei loro figlio, è abbastanza normale che
siano più tolleranti con te.”
Sbuffo io, nervosa come mai nella mia vita.
Sento che più che andare a un pranzo di Natale sto
andando all’arena dove le persone vengono uccise o salvate
secondo la volontà
dell’imperatore.
“Non essere ansiosa, andrà tutto bene.”
Mi abbraccia lui, io non riesco a condividere questo suo ottimismo, non
ancora
almeno.
“Va bene.”
Io prendo il dolce e lui i fiori, poi finalmente andiamo alla casa dei
genitori
di Jack, è una tranquilla villa di periferia decorata per il
Natale con due
macchine già parcheggiate.
“Ci saranno anche mia sorella May e il suo fidanzato e
Joe con la sua ragazza.
May è la mia sorellona e Joe il mio fratellino.”
“Ok. Ce la posso fare.”
Jack suona il campanello e una donna dai capelli castani viene ad
aprirci.
“Ciao, Jack! Che bello vederti ogni tanto!
Tu devi essere Karima, vero?
Io sono Joyce, la madre di Jack.”
“Piacere di conoscerla.”
“Non darmi del lei, mi fai sentire vecchia. Entrate,
forza!”
Ci dice sorridendo, noi eseguiamo e anche un uomo
dall’aria mediorientale ci viene incontro.
“Lui è Bassam, mio padre.
Papà, lei è Karima.”
“Piacere di conoscerla. Beh, io ho portato delle rose di
Natale e una knafeh.”
I due accettano i fiori sorridendo.
“Ho sentito bene? Una knafeh?”
Una terza voce si inserisce nella conversazione e una
donna anziana in un abito di velluto rosso scuro con hijab coordinato
fa la sua
comparsa.
“Lei è mia nonna Naima.”
“Hai detto knafeh?”
Mi dice lei guardandomi con due penetranti occhi scuri.
“Sì.”
“E l’hai fatta tu?”
“Sì, mia madre mi ha insegnato la
ricetta.”
Lei sorride all’improvviso.
“Sei libanese?”
“No, sono mezza palestinese. Mia madre era palestinese,
ma ora è morta.”
“Mi dispiace, ma sono felice che ti abbia insegnato
quella ricetta.
Sono anni che non magio una knafeh come si deve.”
“Mamma!”
“Sì, lo so, figlio mio.”
Lei se ne torna in sala e Jack la segue, io invece vado in cucina per
posare il
dolce.
“Mi dispiace di averti messa in imbarazzo.”
La madre di Jack ride.
“Non ti preoccupare, è una specie di gioco tra me
e mia suocera,
ogni tanto va in una pasticceria con specialità arabe e si
rimpinza di quello
che vuole.”
“Capisco.”
“Mi dai una mano a portare gli aperitivi?
Prosecco e noccioline.”
“Ok.”
Prendo un vassoio con calici colmi di vino chiaro e lo
porto in sala accolta da un applauso. Non appena lo poso quelli che
immagino
siano May e Joe mi vengono incontro.
“Tu sei Karima, vero?
Jack ci ha parlato tanto di te.”
“Beh. Sì, sono io e che diceva?”
“Era felice di aver trovato una ragazza con cui mettere la
testa a posto e lo
sono anche io. Questo pazzo mi ha fatto preoccupare per anni con la sua
band e
i suoi comportamenti.”
“Dai, May! Si è giovani una volta sola!”
“Jack, hai quasi trent’anni. Accasarsi è
normale, lo sai,
vero?”
“Mio Dio, non dirmi che vuoi già dei
nipotini?”
“No!”
Esclama Joe.
“Sono giovane per fare lo zio e Jack è figo
così com’è.”
Io mi sento un filo fuori posto.
“Smettetela, mettete a disagio Karima. Facciamo onore
all’aperitivo piuttosto!”
“Ok, ok!”
Beviamo il nostro calice sgranocchiando noccioline e chiacchierando,
ovviamente
io e Jack siamo l’argomento principale.
Che imbarazzo.
Finalmente ci sediamo a tavola,
vengono portati gli
antipasti: ci sono tartine con la salsa tonnata, vol au vent e insalata di pesce. Non
ci sono salumi
probabilmente per rispetto alla nonna musulmana e forse al padre del
mio
ragazzo.
“Tuo padre è religioso?”
“Uhm, moderato. Diciamo che non segue il precetto
sull’alcool perché il vino
gli piace e pure la birra.”
“Capisco.”
“Adesso basta con le chiacchiere o le tartine spariranno
senza che noi le
abbiamo assaggiate!”
Ne prendiamo due ciascuno e mi accorgo che ha ragione, ne sono
scomparse più
della metà e dopo averle assaggiate capisco
perché.
“Sono buonissime!”
“È la salsa di mamma!”
“Posso darti la ricetta se tu mi farai un corso intensivo
per cucinare la knafeh, Naima dice che sembra proprio buona.”
“Oh, beh. Perché no?”
I vassoi spariscono e poco dopo arriva una teglia di lasagne che sembra
uscita
da una rosticceria italiana.
“Anche questa l’ha cucinata tua madre?”
“No, May. È lei la maga delle lasagne.”
“Sembrano davvero buone.”
“Fidati, lo sono.”
Joyce taglia le porzioni in modo preciso e le
distribuisce.
“Buon appetito!”
Urlano tutti e poi si inizia a mangiarle.
Sono effettivamente molto buone e May si merita il titolo
di maga delle lasagne, le mie non sono così buone, anche se
mi impegno sempre
al massimo.
Tra il primo e il secondo c’è una pausa in cui
tutti
chiacchierano amabilmente di qualcosa, chi di ricette, chi del lavoro,
chi
della band di Jack e qualcuno di noi.
Naima è la più interessata alla mia storia e io
rispondo
pazientemente a tutte le sue domande, alla fine sembra soddisfatta.
“Sembri proprio una brava ragazza, quella che speravo di
vedere accanto al mio Jack, ho sempre temuto che ci portasse a casa
un’oca.”
“Grazie della fiducia, nonna.”
“Beh, è vero. Finora le due ragazze che hai
portato a casa sapevano a stento
presentarsi.”
“Nonna!”
“La verità fa male, figlio mio?”
“Farebbe meno male se avessi davanti del cibo per
consolarmi.”
“Oh, Jack! Non è che ti mancano?”
Chiedo io.
“Assolutamente no. Non dare retta a mia nonna, a volte sa
essere molto polemica, ma fortunatamente ti ha presa in
simpatia.”
Io e lei ridiamo insieme.
“A me tua nonna piace.”
“Bene. Mi sento felice, ma non alleatevi contro di me,
okay?”
“Questo non posso prometterlo, Jack.”
Lui sbuffa e alzagli occhi al cielo, ma sotto sotto è
contento che io sia stata
accettata da una persona che è così importante
per lui.
“Qualcuno si lamenta per la mancanza di cibo?”
“Io, mamma. Karima e la nonna si sono alleate contro di
me.”
“Allora sii felice, sto per servire il mio arrosto con
patate.”
“Mamma, ti amo.”
“Sì, solo perché ti nutro a
dovere.”
Ride lei.
Poco dopo torna con l’arrosto e poi con una teglia di
patate al forno, con metodo e con pazienza divide le porzioni per tutti.
“Buon appetito!”
Dice allegra.
Sia l’arrosto che le patate sono buonissime, se Jack
è
cresciuto con questi standard devo darmi da fare in cucina,
sarà una sfida
interessante.
“A che pensi, Karima?”
Mi chiede il mio ragazzo.
“Che nutrirti sarà una sfida interessante visto
che tua
madre cucina benissimo.”
“Sono un ragazzo di poche pretese.”
“Ma dallo stomaco vorace.”
Lui sogghigna.
“Forse un po’, ma, ehy! Amo la pizza, possiamo
ordinarne
d’asporto quanta ne vuoi.”
Io sospiro.
“Sì, ma non la cucinerei io.”
“Su, non prendertela a male.”
Finiamo di mangiare, do una mano a sparecchiare e poi servo i formaggi
e la
frutta, consumati anche quelli le conversazioni riprendono.
Io inizio a sentirmi sonnolenta e decido che è arrivato
il momento di una sigaretta, così mi alzo da tavola,
immediatamente gli occhi
di tutti sono addosso a me.
“Vado a fumare una sigaretta, ehm.”
Balbetto io, annuiscono tutti e io prendo la borsa e il cappotto.
Lascio il salotto e poi esco sul portico imbiancato della
casa, noto che c’è già un posacenere e
quindi mi accendo la sigaretta
tranquillamente. Mi siedo su una delle sedie e mi guardo attorno:
quartiere
tranquillo, neve che rende tutto magico, atmosfera da Natale
d’altri tempi.
Sembra che per me sia stato creato lo scenario perfetto
per conoscere la famiglia Barakat e mi chiedo se abbia superato o meno
l’esame.
La porta si apre dietro di me e Jack esce, sfregandosi le
mani.
“Fa freddo, non potremmo celebrare il Natale in
estate?”
“E la magia creata dalla neve dove la metti?”
“Sì, ma in Palestina non c’è
la neve e il Signore è nato
lì.”
“Magari quell’anno ha nevicato, chi lo sa. Ogni
tanto la
neve arriva anche in Palestina.
Comunque… Ho superato l’esame della tua famiglia o
mi
odiano?”
“Alla nonna piaci e credo anche ai miei genitori, non ho
sentito un solo
commento negativo su di te finora.”
“Speriamo che sia andata bene.”
“La tua famiglia ti ha scritto?”
“Solo Ava, mi ha augurato buon Natale.”
“Tuo zio è uno zuccone.”
“Abbastanza, forse è una caratteristica di
famiglia.”
Lui ride.
“Forse, ma alla fine tu hai ceduto, forse cederà
anche
lui.”
“Lo spero, è tutto così
frustrante.”
“Passerà.”
Prende una delle mie mani tra le sue e la stringe
dolcemente, amo quando fa così, non mi fa pentire della mia
scelta.
“Sei sicuro, Jack?”
“Certo. Se mi considera un puttaniere e nota che la nostra
storia va avanti
senza che io faccia stronzate cambierà idea. Non
può stare incazzato in
eterno.”
“Sono d’accordo.
Sono felice di essere venuta qui, andata come sia andata
ho sentito tanto affetto attorno a me, passare il Natale da sola
sarebbe stato
deprimente.
Devo dire che ogni tanto mi manca la mia assenza di
sentimenti, almeno nono provavo dolore o tristezza o qualsivoglia
emozione
negativa.”
“Io ti preferisco così, con gli occhi che
brillano, curiosa e pronta a fare un
sacco di figuracce.”
“Questo non è molto carino.”
“Io lo trovo tenero.”
Io alzo gli occhi al cielo, fare figuracce non è tenero
è
da stupidi.
La porta si apre all’improvviso e la faccia del fratello
di Jack spunta.
“Ehi, piccioncini! Tornate dentro, è arrivato il
momento
del dolce e la nonna non vede l’ora di vedere di provare la
tua knafeh, dice
che si presenta bene.”
“Arriviamo.”
Spengo la mia sigaretta e sia che io che Jack rientriamo in casa, le
due teglie
di knafeh sono al centro del tavolo, Naima ha in mano un coltello.
“Bentornati, sedetevi su.”
Facciamo quello che ci è stato detto e la guardiamo con aria
curiosa.
“Visto che sono la più vecchia farò io
le porzioni e
giudicherò ovviamente.”
Dice con un mezzo sorriso.
“Mamma, non spaventarla.”
“Buono, Bassam. Se tua moglie non è ancora
scappata dopo le mie critiche sono
sicura che Karima reggerà.”
Con maestria taglia le fette e le distribuisce, nessuno però
la tocca,
aspettano tutti Naima. Lei ne taglia un pezzo con il cucchiaino e se la
porta
alla bocca. Mastica lentamente con espressione pensierosa facendo
calare
un’atmosfera nervosa sulla tavolata.
Alla fine sorride.
“Tua madre doveva essere una brava donna, questa knafeh
è
ottima, quasi come quella che mangiavo da mia nonna in Libano.
Esame superato, mi auguro che vi sposiate presto e che mi
diate un nipotino o una nipotina, invecchio anche io, non sono
eterna.”
Sia io che Jack arrossiamo.
Matrimonio?
Figli?
È troppo presto per pensare a queste cose, ci conosciamo
da troppo poco tempo!
“Ehm, grazie.”
Balbetto io.
I genitori di Jack ridacchiano.
“Mamma, hai spaventato Karima e Jack con le tue allusioni
al matrimonio.”
“Cosa c’è di male a volere un nipotino o
una nipotina?
Mangiate, su!”
Effettivamente mangiare mi sembra una buona opzione, almeno ci
aiuterà a
superare l’imbarazzo.
Mi fanno tutti i complimenti e la madre di Jack vuole che
io le insegni a prepararla, dice che probabilmente sono meglio di un
tutorial
scovato su internet.
Finiamo la knafeh, beviamo il caffè e poi tutti si
disperdono, Naima, Joyce e May vanno in cucina a lavare i piatti e
rifiutano
cortesemente e così rimango in salotto a guardare la tv con
gli uomini di casa.
Mi appoggio cauta alla spalla di Jack e cerco di seguire
un vecchio cartone natalizio, ma i chiacchiericcio me lo impedisce.
Loro
parlano della loro famiglia, del lavoro e di altre cose, ma io non sono
in vena
di fare conversazione, questa giornata mi ha stancato psicologicamente.
Jack deve capirlo perché mi passa un braccio attorno alle
spalle con fare protettivo e gliene sono grata.
Torno a guardare la tv, lasciando che la tensione se ne
vada a ondate e lasci il posto alla stanchezza, è faticoso
interagire con gli
altri per me.
Anni e anni priva di anima mi hanno resa una mezza
incapace sociale, una che non sa conversare o dare pareri se non
strettamente
professionali.
Il lavoro è l’unica cosa che mi riesce bene sia
come
fotografa, sia di supporto ai musicisti: non so fare altro. Immagino
siano le
conseguenze di essere cresciuta in una casa di musicisti e poi mi
mancano i
miei zii, Ava e Jonas.
Dopo un po’ arrivano anche le donne e giochiamo a
tombola, per me è un misto di caos e divertimento.
Credo di poter sopportare ancora un po’.
“Non essere così tesa.”
Sussurra Jack.
“Siamo la tua nuova famiglia.”
Un brivido serpeggia lungo la mia spina dorsale, ma non è
spiacevole, è come
un’epifania.
È come capire qualcosa di ovvio, che è sempre
stato lì
davanti a te, ma che non hai mai visto per chi sa quali motivi.
“Davvero?”
“Sì.”
Mi stringe la mano sotto al tavolo e io sorrido, in un angolo mi sembra
di
vedere anche i miei genitori sorridere.
Lui ha ragione, questa è la mia nuova famiglia e io sono
lieta di averla trovata.
Mi sento fortunata.
Mi sento finalmente in pace con il mondo.
Mi sento felice.
Ho trovato il mio posto nel mondo e l‘amore e non
lascerò
che mi siano tolti.
Ora so che i sentimenti sono positivi e ti rendono
completa, che sia la magia del Natale.
Sorrido un po’ di più e spero di sì.
Spero che la magia ci accompagni a lungo, magari per
sempre.
Una ragazza può sognare, no?
E con Jack i miei sogni possono diventare realtà, anzi lo
sono già diventati.
Ora sono completa
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