In ogni pagina, riga e ombra

di shilyss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sopravvivenza ***
Capitolo 2: *** Il tempo ***



Capitolo 1
*** Sopravvivenza ***


In ogni pagina, riga e ombra ti ho cercato

 

I

 

La sopravvivenza

16 dicembre 1902

Il sorriso era quello della sconfitta. Breve ed educato, appena accennato da un gesto del capo. Raccolse la borsetta, si infilò nuovamente il cappello, sistemò la veletta.

“Chiamerò il mio avvocato,” disse con voce argentina. “Vi farò causa, mi riprenderò ciò che è mio.”

“Lei può fare tutto ciò che vuole, Madame Cushing,” rispose l’uomo alzandosi goffo.

“Sharpe,” lo corresse lei, senza che sul viso delicato, di bambina, scomparisse quel sorriso educato e freddo. “Mio marito, Sir Thomas Sharpe, era, se non legalmente, di fatto vedovo, avendo sua sorella avvelenato le sue precedenti mogli. Questo rende il mio matrimonio assolutamente, inderogabilmente legale e valido. Come vi ho già spiegato,” aggiunse con un breve cenno del capo.

L’uomo assentì, e Edith si girò energica, imboccando a larghi passi l’uscita. Prima che ne varcasse la soglia, tuttavia, l’uomo la bloccò.

“Madame.” La donna si fermò senza voltarsi, le mani piccole e delicate infilate nel manicotto di pelliccia. “Siete davvero certa che è Allerdale Hall, quello che volete? Potreste tornare in America, dimenticare tutto.”

Edith non rispose. A queste domande, non lo faceva mai. Uscì e salì nella carrozza, dove l’aspettava Alan. Il dottore, vedendola, le posò un bacio delicato sulla guancia, con tocco gentile. Anche lui le aveva chiesto perché fosse così importante quel vecchio palazzo tetro e cadente. Dovrebbe essere il posto che più detesti al mondo, Edie. Dovresti volerlo veder bruciare. È per questo che vuoi a tutti i costi che passi a te? Per distruggere ogni pietra, tirare giù tutte le mura, far sparire pezzo dopo pezzo questa casa marcia come i cuori che l’abitavano? Così aveva detto, ma la giovane donna lo aveva guardato con un’intensità tutta particolare e aveva scosso la testa. E nemmeno a lui aveva risposto.

Cigolando, la carrozza si avviò per le strade innevate che dalla città portavano alla tenuta appartenuta agli Sharpe.

Che ne poteva sapere Alan, del dolore e della lacrime che aveva versato svegliandosi, una mattina, con la camicia da notte macchiata di rosso? L’ultima speranza flebile del suo cuore si era spenta – quanto aveva sperato che quel ritardo fosse il segno di una gravidanza! Aveva sospirato, sfiorandosi il ventre piatto, immaginando che fosse rimasta, in lei, traccia di Thomas, di loro. E invece.

 

 

16/12/1908

 

Occhi aperti, nel buio. Fuori pioveva. Pioggia scrosciante, intensa, implacabile, che avvolgeva tutto come il sipario scuro di un teatro. A quell’ora, lo spettacolo sarebbe dovuto finire già da un pezzo. Ma Malcom ancora non era tornato, ed Edith pensò a un modo per descrivere il rumore delle ruote che giravano veloci sul selciato sdrucciolevole. Volle appuntarlo su un foglio di carta, accese la luce del comò. Gli occhi miopi non si abituarono subito alla luce improvvisa e alle lenti degli occhiali e, tra le ombre, alla donna parve di vedere un’ombra scura svanire tra i tendaggi.

“Thomas.” Il suo nome fu un sussurro, una preghiera, una supplica. Lui era tornato. Dopo infinite notti a piangerlo e invocarlo, nonostante il tempo e i nuovi amori. A piedi nudi si avvicinò alla finestra, scostandola, ma nessuna ombra eterea e sfuggente la fissava con occhi tristi, oltre il velluto pesante. Edith era sola, disperatamente, definitivamente, inevitabilmente.

Un sospiro le uscì dalla gola, come un rantolo di dolore tenuto soffocato troppo a lungo. Nei suoi romanzi, gli spettri popolavano sempre le notti senza luna dei suoi protagonisti. Erano ombre fugaci tra una stanza e l’altra, profumi intensi e sospiri appena percettibili dietro le spalle. Divenivano corporei e reali solo durante il sonno, quando la loro conformazione eterea si bagnava della sostanza dei sogni e traeva, da essa, forza e vigore. Ma Thomas Sharpe non le appariva mai.

Le rimproverava, forse, il matrimonio sbrigativo con Malcom? O di aver lottato per avere Allerdale Hall per poi, infine, perderla definitivamente?

Malcom era rientrato. La signora Fanny evidentemente doveva essere molto stanca quella sera, se l’aveva rispedito a casa così presto. Fanny era bruna, con dei lunghi boccoli neri e le labbra rosse. Incastonati nel viso, splendevano due occhi scuri come perle. Strano, che fosse sempre una donna dai capelli color inchiostro, a rubarle il marito. Avrebbe dovuto esserne ferita, provare gelosia, rancore, odio, amore. I suoi personaggi lo avrebbero fatto, e Edith stessa si divertì a sciorinare, come fosse un rosario, tutta la gamma di emozioni che le eroine dei suoi romanzi avrebbero vissuto in una situazione simile alla sua. Ma lei non aveva mai amato Malcom, non dell’amore passionale che lui, un tempo, le aveva chiesto con disperata insistenza.

Imparerai ad amarmi come ti amo io, le aveva detto con l’anello in mano e lo sguardo basso. Edith aveva scosso la testa. Se ti sposassi, gli aveva risposto, lo farei solo per scacciare via la solitudine. Non sarebbe giusto, né per te né per me. Il mio cuore è impegnato – c’è ancora Thomas, accanto a me. Sento il suo odore, il suo tocco sulla mia pelle, la mattina prima di svegliarmi.

Ma Malcom non si era arreso, e l’aveva chiesta in sposa ogni sera, per due anni. Qualunque donna si sarebbe intenerita, alla fine. Persino innamorata, forse, anche se i meccanismi dell’amore sarebbero rimasti, per Edith, sempre estranei e sconosciuti, il frutto di una forza imprevedibile, assoluta, tremenda e implacabile. Ma lei no. Aveva accettato per affetto, amicizia, solitudine, pietà. Perché era straziante, rifiutare ogni giorno i sentimenti sinceri di un uomo, in nome di uno spettro bugiardo e profittatore, che solo nell’istante che precede la morte aveva trovato il coraggio di battersi per lei e contrastare l’orrore e l’amore.

Malcom aveva capito. Aveva aspettato. Con dolcezza e pazienza, le era stato vicino in quella causa assurda e ingiusta che aveva riempito le cronache dei giornali di mezzo mondo. Ma, alla fine, aveva smesso di lottare, e aveva iniziato a cercare affetto altrove. Forse, era successo dopo aver letto i suoi romanzi.

Li aveva sfogliati con circospezione, muovendo le pagine come se si dovessero distruggere da un istante all’altro. Più volte, nella lettura, aveva aggrottato le sopracciglia e storto la bocca, chiedendosi se davvero fosse quello, il frutto dell’ispirazione della giovane donna. Glieli aveva restituiti senza un appunto o una sola nota a margine.

Thomas, invece, che sotto le macchie dei suoi molti peccati aveva nascosto un’anima appassionata e un vivace spirito critico, aveva riempito ogni spazio libero di pensieri, osservazioni, correzioni. Con lei aveva condiviso una mente particolarmente sensibile e ricettiva ai fenomeni oscuri e ai moti dell’animo, un piacere smodato per le narrazioni e le atmosfere. Ogni volta che rileggeva le chiose vergate dall’inglese con una grafia assai corsiva, ma chiara e decisa, Edith ne apprezzava l’acutezza e la perspicacia, il gusto raffinato e i consigli profondi e brillanti. Ma poi, le pagine scritte fitte finivano e, chiudendo il manoscritto in un cassetto, Edith puntava i gomiti sulla scrivania e si stringeva le tempie tra le dita. Thomas Sharpe voleva i soldi di suo padre. Era un cacciatore di dote, sua sorella un’assassina. In lei, non aveva visto che una preda da raggirare. Eppure, le note a margine del suo romanzo trasudavano un interesse sentito, partecipato, intenso, per la storia che aveva inventato. Non si può mentire così a fondo. Non si possono appuntare frasi tanto intense e vere, in grado di rispecchiare ciò che lei immaginava così fervidamente, senza sentirle come proprie. In quelle chiose scritte in poco più di ventiquattr’ore sir Sharpe, pur animato dalle peggiori intenzioni, aveva svelato l’animo appassionato e brillante e disperato che solo in morte avrebbe trovato la sua esaltazione. No, Thomas non aveva finto quando le aveva detto di aver amato il romanzo. Erano state due anime affini, loro.

Malcom, invece, lesse seduto sulla sua poltrona di velluto verde, di fronte al camino, la stessa su cui si sarebbe addormentato per non svegliarsi più, diciotto anni dopo. Stette a lungo appoggiato allo schienale, la mano che giocava distrattamente con la lunga barba chiara che si era fatto crescere. Quando infine Edith gli si piazzò davanti, con le mani sui fianchi e gli occhiali poggiati sulla punta del naso, sospirò e scosse la testa. Disse che non era il suo genere. Non comprese il valore di quelle pagine nemmeno quando, anni dopo, Edith Cushing divenne una scrittrice famosa. No, il dottore non possedeva l’immaginazione fervida e brillante del baronetto inglese. In verità, era rimasto ferito dagli scritti di sua moglie. Si sentiva tradito, umiliato offeso. Da lei e da se stesso, sciocco e patetico illuso.

Edith scriveva di Thomas. E questo era accettabile, plausibile, giusto. L’inglese, con la sua aria romantica e disperata, pareva davvero uscito da un fosco romanzo dell’orrore. L’avventura vissuta dalla donna era assolutamente degna di essere raccontata. Anzi, imprigionare nella carta le emozioni fortissime vissute nelle lunghe settimane passate ad Allerdale Hall aveva una grande valenza apotropaica. Come medico, Malcom era convinto di ciò.

Ma, come marito, tutto ciò era straziante: Alan aveva compreso come Thomas Sharpe, il bel Thomas dai capelli scuri e gli occhi azzurri come i grandi laghi d’inverno, sarebbe tornato a vivere ogni volta che la penna di Edith avesse tracciato un segno sulla carta bianca. In ogni sguardo, in ogni sorriso, in ogni frase, la moglie avrebbe messo qualcosa di lui, suo unico, disperato e perduto amore.

Lei si rese conto di avergli spezzato il cuore, rovinato la vita. Quando il tribunale aveva sancito definitivamente la sua sconfitta e aveva perso Crimson Peak, Edith si era detta che non le rimaneva niente a questo mondo d’importante, se non la penna d’argento, ultimo regalo di suo padre, e le fantasie accese che popolavano da sempre la sua mente sensibile. Non aveva potuto – né voluto – resistere al bisogno impellente di scrivere, consumare righe e pagine, svuotare sulla carta la sua anima traboccante di mille pensieri. E mentre la penna correva veloce sulle pagine appena ruvide, nel silenzio stregato della notte, Thomas era uscito fuori dall’inchiostro, tragico e disperato fantasma. Così Edith, come la sera in cui aveva ballato per la prima volta il valzer viennese con il baronetto, di nuovo ne era rimasta stregata, lasciandosi traportare da lui – o dalla sua ombra, era lo stesso. In questo modo, il ricordo dell’uomo era emerso, vivo e presente, vibrante e affascinante, e quando pareva si fosse esaurito nella replica della tragedia che lo aveva visto davvero morire – il primo successo letterario della signora Cushing – aveva finito per rivivere, mescolandosi assieme ai tratti fantastici dei personaggi usciti dalla penna di Edith, confondendosi in essi, disperdendo la propria unicità. E, mano a mano che riviveva nelle storie sempre oscure della scrittrice, lei sembrava instaurare un muto dialogo con il fantasma che aveva ormai smesso di apparirle.

 

16/12/1919

 

Interviste. Foto in bianco e nero catturate di sfuggita, pubblicate sul giornale esposto all’edicola. Cene, galà, conferenze, domande. Edith fumava, reggendo il lungo bocchino d’argento tra le labbra sottili. Gli occhiali d’oro erano ormai fissi sul suo naso, ed era per quelli che la donna aveva deciso di non cedere alle mode e lasciare che i lunghi capelli biondi le incorniciassero il viso. Nel raccolto elaborato erano ormai visibili fili d’argento che si mescolavano implacabili all’oro originale della sua giovinezza. Anche il viso s’era sciupato. Glielo diceva lo specchio ogni mattina, restituendole una ruga nuova. Il prezzo da pagare per la febbre da scrittura che la costringeva da anni ad un’insonnia perenne.

I suoi romanzi venivano letti nelle Università. Erano stati tradotti in più lingue. La gente li amava, così come adorava i personaggi di cui lei scriveva. Con le sue storie gotiche piene di terrore e sangue, aveva ricreato il patrimonio sperperato dopo la morte del padre nel vano tentativo di riprendersi Allerdale Hall.

Il suo accompagnatore le disse qualcosa all’orecchio e lei annuì. Voleva i suoi soldi, ma che importava? Lei desiderava compagnia, momentanea linfa vitale, illusione di felicità. I patti tra loro erano chiari, né Edith avrebbe mai desiderato dall’uomo un interesse maggiore.

L’angolo di Shilyss

Caro Lettore,

Vengo qui a colonizzare una sezione pressoché defunta di Efp. Cos’è questa? Una breve storia parcheggiata nel mio pc da anni, veramente. Se vorrai lasciarmi un pensiero, te ne sarò grata. Detto questo, avrà una fine codesta storia? Sì, ne sono certa, ma è un esperimento che necessiterà di un po’ di pazienza.

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Capitolo 2
*** Il tempo ***


crimson peak 2

Capitolo 2

Il tempo

16 dicembre 1937

 

Nulla era rimasto com’era. Questo faceva più male di ogni cosa. Erano spariti i quadri e gli immensi arazzi, l’inquietante ritratto sopra al camino e il grande orologio a pendolo. Solo il pianoforte di Lucille era al posto di sempre, ombra minacciosa che la fissava dall’angolo. Edith, per un momento, sperò che il fantasma della donna si materializzasse davanti a lei. Si sforzò di evocare nella sua mente l’immagine austera ed elegante della cognata, avvolta negli abiti stretti e sontuosi che aveva sfoggiato con orgoglio e tristezza. Vestiti di un altro secolo, di un tempo perduto.

Si accese una sigaretta e alzò la testa verso il soffitto da cui una volta colavano assieme il cielo freddo e la pioggia, la neve e le foglie portate fin lì dalla brughiera, per poi abbassare gli occhi miopi sul parquet restaurato che nascondeva il segreto di quell’argilla rossa che continuava a traboccare inclemente. L’ossessione di Thomas, il sogno perduto per cui aveva sacrificato ogni momento della sua giornata, cui aveva immolato il cuore e la testa, la ragione e l’onore. Chiuse le palpebre, si massaggiò con due dita guantate le tempie. Si rivide come la giovane sposa innamorata che era stata, tornò in quella casa recuperando l’immagine di quando cadeva a pezzi e tutto era marcio: le mura, il pavimento, le assi crollate del soffitto. Thomas. Ricordava il punto d’azzurro dei suoi occhi, la piega del suo sorriso laterale, il profilo elegante e affilato, ma la voce, quella, era svanita. Un suono perduto e irrecuperabile, perché il timbro di coloro che abbiamo perso è ciò che sfugge più rapidamente dalla nostra memoria. A meno che.

“C’è un fonografo qui, dei dischi di cera?”

Una domanda fatta con un tono disinteressato volto a mascherare l’ansia che, improvvisamente, le serrava la pancia. Il giocattolo di un’ereditiera sola e annoiata, avvelenata in quella stessa casa decenni prima, avrebbe potuto, di nuovo, salvarla, restituendole il suono perduto della voce del suo amore lontano, eternamente giovane e disperato (1). Era invecchiata, Edith Cushing. Il tempo degli amanti era finito, scivolato via insieme alla Grande Depressione che si era portata con sé Alan. Morto lontano da lei, nel letto di un’altra che le assomigliava fin troppo, sposata per raddrizzare una vita altrimenti storta e sprecata. Un altro dei suoi fantasmi che non sarebbe venuto a tormentarla, punendola con un’eterna assenza.

“Non c’è più niente, signora Cushing. I precedenti proprietari si sono disfatti di tutto, ogni cosa.”

L’inserviente le aveva risposto in maniera stupita e, allo stesso tempo, scocciata. Nessuno ha voglia di ascoltare le follie di una vecchia eccentrica e sola. Il tempo dei successi letterari e delle foto era svanito insieme alla sua bellezza. Il mondo attorno a lei si incupiva, caricandosi ogni giorno di ombre sempre più scure, e la gente non voleva più leggere di vampiri, mostri e fantasmi. Era in cerca di altro perché doveva ancora esorcizzare la Grande Guerra e il crollo della borsa che aveva inghiottito anche parte dei suoi risparmi. E, come molti scrittori, Edith aveva una sola storia da raccontare, la sua.

Poteva cambiare la città, l’ambientazione, il periodo storico, i tratti del volto, i nomi: non importava. Era e sarebbe rimasta per sempre vittima del fascino della vicenda che le aveva macchiato le mani di sangue e d’inchiostro, schiava in eterno degli occhi azzurri e tristi del baronetto inglese che l’aveva sedotta e amata in un intrico inscindibile di passione e interesse. I professori di letteratura che tenevano ancora lezioni intere su di lei, solevano ricordarle, in lunghe e tediose missive, che i grandi autori non hanno molti temi su cui scrivere. C’è chi racconta il dramma della periferia urbana, chi si concentra sui traumi della guerra, chi sulle differenze sociali: ma in fondo è sempre la stessa storia a essere scritta. A quelle lettere, Edith non rispondeva mai.

 

16 dicembre 1946

 

I fantasmi esistevano. Questo, Edith l’aveva sempre saputo. Erano come insetti intrappolati nell’ambra, eventi destinati a ripetersi ora e per sempre, perennemente in preda alle emozioni che, in morte, si erano impresse su di loro (2). Come le immagini color seppia sulla lastra di un dagherrotipo, le fotografie sulla pellicola di un rullino. Anche Thomas era un fantasma. Morto per salvare lei, espiando l’inganno bieco con cui aveva tentato di intrappolarla. Ma non le appariva più, anzi; non le era mai apparso.

Lucille no. Lei suonava al mattino svegliandola dal suo sonno leggero e inappagante, ombra nera che si stagliava nella luce fioca dell’alba. Sua cognata morta gestiva ancora Allerdale Hall; il suo viso pallido e severo la accompagnava dall’alba al tramonto sfoggiando una neutralità devastante. Il colpo che l’aveva uccisa non pareva aver lasciato traccia alcuna sulla sua ombra altera, e sembrava, anzi, che il fatto di ritrovarsi nella stessa casa con la sua assassina non le suscitasse nient’altro che indifferenza. (3)

 

All’inizio, Edith aveva parlato, gridato, pianto, accusato. Armata di tutto il suo coraggio, le aveva detto di farsi avanti ancora una volta. Non aveva avuto paura di lei quand’era una ragazzina spaurita e non l’avrebbe avuta adesso, che era una donna adulta e smaliziata. Lucille Sharpe l’aveva fissata accennando nient’altro che un pallido sorriso. Edith aveva lasciato Crimson Peak in fretta per tornare negli Stati Uniti. Che Allerdale Hall rimanesse preda dei fantasmi che l’avevano sempre abitata. (4)

Lucille sorrideva ancora, quando Edith varcò di nuovo la soglia dell’antica dimora degli Sharpe. Il suo era un sorriso mesto, consapevole, carico di una neutralità agghiacciante. Le sembrò che avesse l’espressione di chi osservasse semplicemente qualcosa di già vissuto e visto e così, in effetti, era: aveva già attraversato la soglia di Crimson Peak due volte, di cui una tra le braccia del suo amore perduto. Thomas. Viso recuperato con l’inchiostro e la penna, cercato in altri amori che del primo non erano che l’eco storpiata. Ragazzi spiantati e volitivi, talvolta poveri e intelligenti o ambiziosi e vanesi che l’avevano amata per il suo nome e i suoi soldi, come aveva fatto lui, per poi tradirla con fidanzate e altre amanti tenute nascoste, di nuovo. Nomi che negli anni si erano confusi uno con l’altro nella mente di Edith, fino a svanire insieme alla giovinezza. Amore pagato e comprato per cui si era meritata il biasimo dei suoi detrattori, ma che non aveva rinnegato mai perché se un uomo importante poteva consolarsi con una ragazza più giovane poteva farlo anche lei. Discorsi, questi, che aveva pronunciato senza essere contraddetta solo nei circoli di artisti che frequentava al tempo, tra pittori affamati di gloria, pennivendoli e scrittori che cercavano l’ispirazione dentro una bottiglia di whisky. Uomini dabbene come Alan avrebbero detto che ragionava come una puttana.

 

I fantasmi esistono, questo Edith l’aveva sempre saputo. Era tornata a Crimson Peak con il viso segnato dall’età e dalla stanchezza e la schiena curva, ma il suo cuore era rimasto quello della ragazza che voleva diventare una scrittrice, e le sue dita indolenzite dall’artrosi battevano ancora rapide sulla Remington che usava per scrivere, ancora una volta, la storia della sua vita con un colori sempre diversi. Lucille l’aspettava a mani giunte sulla soglia di Allerdale Hall, severa e compita com’era sempre stata. In cosa era intrappolata, Lucille? Perché non l’aveva terrorizzata e avversata, limitandosi, invece, a divenire una presenza muta e costante delle sue solitarie giornate? (5)

Si era detta che, forse, stava diventando pazza; il suo cervello abituato a elaborare trame doveva essersi inceppato, replicando immagini del passato e proiettandole davanti ricordi antichi. Un vento freddo spazzava la brughiera desolata e triste, scompigliando alcune delle sue ciocche bianche. Si avvicinò allo spettro di Lucille ricordandosi che l’aveva uccisa con un colpo di pala e si decise a porgerle la domanda essenziale, quella che da quando aveva ricomprato Allerdale Hall le premeva sulla gola e aveva mancato di farle quand’era scappata.

“Dov’è Thomas?”

 

A Buffalo, da giovane, Edith si era convinta che la propria grafia tondeggiante tradisse il suo essere donna. Per nascondere le ipotetiche tracce della sua mano gentile, aveva chiesto di poter ribattere a macchina il suo romanzo nell’ufficio del padre: Thomas era entrato all’ennesimo capoverso e, scorgendola, si era tolto il cappello. (6)

Cosa l’aveva affascinata, quel pomeriggio lontano? La bellezza triste del suo sguardo, l’accento inglese, i modi di fare eleganti e raffinati? L’immagine del baronetto non era che l’impronta sbiadita di un ricordo sfocato, di cui riusciva ancora a ricostruire i dettagli, ma senza vederli davvero. C’era stato un tempo in cui una fotografia del marito perduto era custodita in un medaglione che portava sempre al collo: un giorno aveva perso il gioiello, e a Crimson Peak non era rimasta nessuna immagine di Thomas.

Non era stato quando si era tolto il cappello con un gesto fluido del braccio, che l’inglese aveva fatto breccia nel suo cuore, ma quando aveva preso tra le dita le pagine sfuse del suo romanzo e le aveva lette con avidità e attenzione. Puntandole addosso i suoi occhi chiari e intensi, le aveva posto una domanda secca, decisa. “Lo avete scritto voi?”

 

“Lucille, dov’è Thomas?” Lo chiese – ripeté per l’ennesima volta – al fantasma dal viso di porcellana e dal sorriso enigmatico che sostava poco oltre la soglia dello studio e quella rimase a fissarla muta, immobile. Eppure, stringendo le palpebre nascoste oltre le lenti, Edith vide lo spettro della cognata fissare un punto preciso accanto a lei; seguendo quello sguardo che la morte non aveva reso meno feroce, incontrò le bozze di un romanzo che forse non avrebbe mai finito. La domanda rimase sulle sue labbra un tempo dolci, ora severe e piegate verso il basso. Sei qui, amore mio? In ogni pagina, riga e ombra?

 

Le dita ormai artritiche di Edith sfiorarono la carta scritta fittamente. Lucille si limitava a tenerle quella sua compagnia malsana priva di parole: come quand’era ancora viva, la rabbia e la follia si celavano dietro un tè servito con impeccabile grazia, una carezza sbrigativa e leggera. Forse anche lo spettro della donna travestita da dama dell’Ottocento soffriva per l’assenza di Thomas. Allerdale Hall era invecchiata di nuovo e stava iniziando a scricchiolare sotto il peso della neve e la forza del vento del Cumberland, tanto che Edith aveva cominciato a pensare che l’enorme casa stesse tornando lentamente a essere quella cosa viva che respirava e pulsava e grondava sangue come se non fosse una costruzione fatta di mattoni, legno e pietra, ma un essere vivente con un cuore e un cervello. E le andava bene così. Distolse lo sguardo dalla figura severa di quel ricordo che ancora scivolava tra le mura del palazzo e fissò un punto oltre alla finestra.

“Oh Lucille, lo stai aspettando anche tu, non è vero?”

 

 

16 dicembre 1957

 

Quando il vento, da nord, soffiava impietoso sulla valle desolata su cui sorgeva, immota eppure viva, Allerdale Hall, un rumore sinistro echeggiava per l’ampia dimora. Così era stato, quando solo la luce fioca e traballante delle candele illuminava quelle vaste sale, e così era persino ora, che finestre spesse fermavano l’aria gelida e la luce elettrica illuminava ogni cosa.

“Signora Cushing possiamo cominciare?”

Edith strinse gli occhi, provando a mettere a fuoco, oltre il velo di nebbia che le offuscava la vista, la giornalista americana venuta ad intervistarla. Daisy McHorn. Capelli castano chiaro, occhi celeste pallido grandi e rotondi cerchiati da una riga diritta di eyeliner che per Edith non era che una macchia sfocata. Gettò uno sguardo fugace al pianoforte oltre la ragazza e poi un poco più in alto, tanto che l’infreddolita Daisy si voltò pensando che fosse improvvisamente entrata una cameriera.

“Signora Cushing,” incespicò la ragazza, “cosa pensa dell’idea che possa essere realizzato un film su Crimson Peak?”

Edith Cushing giocherellerò con un lembo del plaid che le copriva le gambe. La sua fortuna si era dissipata, era sparita dietro vizi e passioni, si era esaurita in quella casa che respirava a ogni soffio di vento accartocciandosi e dilatandosi, era gocciolata via insieme alla salute sempre più instabile che i medici di Londra e New York non erano in grado di ripristinare. Né era giusto che lo facessero, del resto. Lei non era che l’ombra avvizzita di ciò che era stata; un’anima appassionata e una mente vivace rinchiuse dentro il corpo malandato di una vecchia strega avvizzita, costretta per sempre a confrontarsi con la bellezza eburnea e senza tempo della sua unica e vera rivale: Lucille. (7)

Forse consisteva in questo, il motivo della presenza della cognata folle al suo fianco. Lady Sharpe era rimasta intrappolata nella sfida mortale che le aveva viste una contro l’altra e doveva tormentarla ricordandole ogni giorno quanto stesse diventando debole e folle. Rispose alla giornalista che era felice di sapere che Crimson Peak sarebbe diventato un film; che con la casa di produzione avevano concordato un adattamento di suo gradimento, che il regista aveva una visione che lei adorava e gli attori che avrebbero interpretato i protagonisti della storia erano delle stelle, dei divi che lei apprezzava.

Tutte menzogne. Aveva ceduto i diritti per necessità, dopo che Hollywood le aveva fatto una corte serrata per anni. Stritolata dai debiti, si era ritrovata di fronte alla necessità di snaturare – violentare – la sua opera mettendola in mano a un gruppo di squali, che ironia, vogliosi solo di spremere la sua storia per renderla la favoletta oscura e morbosa con cui turbare ragazzine e casalinghe (8). Crimson Peak sarebbe stato offeso, stracciato, vilipeso, cambiato per permettere ai produttori di incassare dollari su dollari e a lei di essere seppellita in maniera degna. Forse, in verità, la cosa che realmente la infastidiva non era che il suo più grande successo fosse messo su pellicola, ma che Thomas venisse rappresentato e si fissasse nell’immaginario collettivo con il viso abbronzato di un altro. Di uno il cui spirito non vibrava di orgoglio e desiderio, gentilezza e terrore, follia e abnegazione.

In piedi di fronte a lei, a Buffalo, una disperata sera lontana nel tempo Thomas l’aveva guardata e, a denti stretti, aveva detto che lei non sapeva niente dell’amore. E aveva ragione.

 

 

Continua…

L’angolo di Shilyss

Caro Lettore,

Devo ringraziarti per essere giunto in una sezione poco animata di Efp e aver letto questa storia. Contro ogni mia aspettativa, ho ricevuto diversi consensi per questa idea. Voglio ringraziare chi ha preferito/ricordato/seguito e commentato, nonché chiesto sui social di proseguire a scrivere. Grazie e… fatemi sapere cosa pensate di questa svolta e nutrite la Fatina ^^

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1 Come ricorderete, ad Allerdale Hall c’erano dei dischi di cera contenenti delle registrazioni di Thomas e di una delle sue ex mogli. I dischi di cera sono gli antenati dei vinili, in soldoni.

2 Questa battuta è un calco preso dal film.

3 Come ricorderete, alla fine del film Edith uccide Lucille per salvarsi la vita.

4 La casa di Crimson Peak è abitata da numerosi fantasmi, come ammette anche Thomas Sharpe nel film.

5 Eh sì, la Remington non fa solo piastre per capelli! Un tempo produceva anche macchine da scrivere.

6 Edith, come ricorderete, sta rievocando un evento del film.

7 Chi ha visto il film ricorderà la natura particolare che legava Thomas e Lucille. Qui c’è un vago accenno.

8 In un’intervista il regista Guillermo Del Toro dichiarò che il nome Sharpe fu scelto per l’assonanza con la parola shark, in inglese “squalo.”

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