Carta bianca

di PONYORULES
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C. ***
Capitolo 2: *** D. ***
Capitolo 3: *** A. ***



Capitolo 1
*** C. ***


 

 

Carta Bianca



Il sole era sorto da pochi minuti quando Constance sentì bussare alla porta del suo modesto appartamento. Trasalì, facendo cadere il guanto di velluto che si stava infilando, concentrata sul cosa mancasse nella dispensa e il giro più corto da fare per raggiungere il mercato.
La domenica mattina, come tutte le donne di Parigi, si dedicava alle faccende di casa e tornava ad essere quella di un tempo, a volte con uno spirito più malinconico mentre altre con l'amaro in bocca.
«D'Artagnan» pronunciò il nome del ragazzo che era appoggiato allo stipite della sua porta d'ingresso, la mano destra ancora alzata e chiusa a pugno nell'atto di ripetere l'azione un'altra volta; quella sinistra persa fra i capelli troppo lunghi per sembrare curati. «Accomodati» aggiunse, mentre con un gesto automatico si rivolgeva verso la finestra del soggiorno per scorgere la sua immagine e verificasse che fosse tutto in ordine. Spostò gli occhi tondi sul suo vestito e vide troppe pieghe da lisciare con una svelta passata di mano come avrebbe fatto in altre circostanze.
«Mi scuso» disse il ragazzo mentre con passi cadenzati e pesanti si accomodava a peso morto sulla sedia di vimini più vicina ed appoggiava la testa sul tavolo di legno. «Non sono ancora andato a riposare».
«Come è possibile? Ormai albeggia fuori!» Constance non avrebbe dovuto sorprendersi, affatto, ma era più forte di lei. Si sarebbe sempre preoccupata per lui, qualunque cosa fosse successa. Per questo motivo gli stava appoggiando di fronte una pagnotta di pane e un bicchiere d'acqua senza averlo interpellato.
«Ho timore ad appisolarmi» ammise D'Artagnan, sospirando fuori non solo la stanchezza ma anche una manciata di tristezza. «Mi spaventa la mia testa».
«Hai paura di fare un incubo?».
«Sì» rispose laconico. Cominciò a mangiare, mentre la donna davanti a lui incrociava le braccia all'altezza del petto. «Come mai sei venuto da me?».
«Perché posso parlarne solo con la mia amica Constance» il sorriso che fece, forse con la speranza di essere perdonato per l'improvvisa intrusione, lasciò gli occhi opachi e spenti. Andò anzi a risaltare le occhiaie violacee che da diverso tempo non volevano proprio abbandonare il suo volto.
Ebbe una fitta dritta al cuore, il dolore che provò non poté però manifestarlo. L'unica cosa che fece fu stringere ancora di più i pugni, sperando che il moschettiere non lo notasse. Sapeva fosse molto attento ai dettagli e ancor più bravo a leggere le reazioni delle persone.
«Parlamene, ordunque» aveva bisogno di distrarsi, Constance aveva bisogno di uscire di casa e perdersi per le vie strette della città, a costo di andare incontro ad un furto compiuto da malviventi.
«Si è dato appuntamento con la regina anche questa notte».
«Ne sei certo?».
«Li ho visti, dietro l'enorme siepe della tenuta reale» cominciò a boccheggiare, le dita tremanti raggiunsero la fronte e iniziò a massaggiarsi le tempie con movimenti lenti e circolari.
«Cosa ti piace di lui?» la domanda di Constance lo raggiunse inaspettata quasi quanto uno schiaffo e rimase ad osservarla. Lei lo odiò, odiò specialmente il suo essere così cieco e ottuso, lo detestò nel suo intimo. Quel quesito non l'aveva posto solo a lui, no.
Al contrario, lei sapeva perfettamente rispondervi: la sua pelle olivastra, che andava a scurirsi intorno agli occhi e alle labbra; i suoi capelli neri come la notte. E ancora: le sue ciglia fitte invidiate da tutte le donne del circondario; i suoi denti maledettamente bianchi da sembrare più una presa in giro che altro. Il suo modo di scherzare, l'odore di cuoio e metallo che le rimaneva incastrato nelle narici anche per giorni interi dopo essersi abbracciati.
«Come posso esserti utile?» ed ecco ancora, la sua totale devozione per quel ragazzo che ancora non aveva capito niente manco di se stesso. Perso, come gli occhi scuri ed inespressivi che vagavano per la stanza in cerca di una soluzione.
«Non è da me fare così».
«Non lo è, hai ragione».
«Mi sta portando alla pazzia» ammise, sconfitto, il peso di quella confessione sembrò pesare maggiormente sulle sue spalle. «Aramis» sussurrò in seguito, quel nome troppo abituato a sfuggirgli dalle labbra.
Constance trattenne il fiato per qualche secondo, presa alla sprovvista. Il modo in cui l’aveva pronunciato, quel nome che la rincorreva durante la notte e che la perseguitava durante il giorno la fece soffrire, comprese per l’ennesima volta di non avere alcuna speranza di competere contro di lui. Per la seconda volta nel giro di qualche minuto si diede la colpa: aveva accettato di collaborare con loro, già troppo persa negli occhi di D'Artagnan per rifiutare.
Invece avrebbe dovuto farlo e continuare con la sua vita; restare sposata ad un uomo che non amava piuttosto che doverlo seppellire. Era una donna indipendente, adesso, ma non era certo semplice.
«Arriverà il momento in cui dovrai affrontare la situazione e dirglielo».
«Non trovo le forze per guardarlo negli occhi, non so dove troverò quelle di confessargli che sono segretamente innamorato di lui».
«Porthos e Athos si sono già accorti di tutto, ma sono buoni amici e brave persone. Il tuo segreto, per il momento, é al sicuro con loro» cercò di tranquillizzarlo perché si era fatto agitato, una gamba aveva preso a tremare sotto al ripiano.
Il ragazzo si alzò in piedi e con fare disinvolto cancellò tutto lo spazio che li separava con due falcate. La strinse in un abbraccio, i capelli a solleticarle l'orecchio.
«Non ti rendi conto di quanto tu sia importante per me».
Non abbastanza, caro. Mai abbastanza.
Succedeva sempre più spesso, questa forza che cercava di allontanarla e districarsi da quelle due braccia i cui bicipiti erano troppo definiti per non notarlo, ma allo stesso tempo di avvinghiarsi maggiormente. Constance si sentiva divisa, le sue giornate ormai erano diventate un insieme di sospiri -quando le forze sembravano venir meno- e imprecazioni -quando le energie tornavano improvvisamente.
«Stai tremando» le fece notare D'Artagnan mentre si distaccava appena con il viso, la distanza fra le loro labbra era poca. Le stava togliendo l'aria, quella vicinanza avrebbe dovuto farle bene, aveva sentito tante chiacchiere al mercato. Storie incrociate prevedibili di donne che avevano trovato l'amore seduto in una taverna ad aspettarle. Che le aveva salvate da un tiranno, dal padre crudele o dal marito adultero. Fino a qualche tempo prima ci aveva creduto, era convinta che quando fosse successo a lei sarebbe stato tutto chiaramente corrisposto.
Le aveva ascoltate con fare disinteressato mentre dava un'occhiata alla bancarella affianco, mentre Benjamin -il fruttivendolo- sbraitava per richiamare la loro attenzione. Ora che ci pensava, i prezzi si erano alzati negli ultimi mesi.
«Stai bene?» si sentì chiedere nuovamente.
«Sì, non è niente» rispose in modo frettoloso, piegandosi immediatamente verso il focolare per nascondere il rossore che aveva affollato le sue guance piene.
«Vuoi che ti accompagni a fare compere?».
Sì, per favore.
«No, ti ringrazio. Sai com'è la gente» scrollò le spalle mentre si malediceva. «gli piace parlare».
«Dovresti lasciarli cianciare» D'Artagnan le prese una mano e fece scorrere appena le labbra sul dorso, ancora inguantato. Constance avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma il suo viso si sarebbe deturpato. E sarebbe stato un vero peccato. «Posso invitarti all'Armeria stasera? Ci saranno tutti, anche il Capitano Treville».
«Pensavo non fossero ammesse le donne» osservò, il tono perplesso. Il ragazzo le lasciò andare la mano, il contatto si interruppe troppo in fretta. Non avrebbe dovuto chiedere, la sua lingua ancora era andata oltre.
«Tecnicamente sei una donna, certo».
Constance cominciò a scuotere vigorosamente la testa in segno di diniego. «Ma no, fa lo stesso, fai come se non avessi detto niente».
«Però hai avuto modo di dare prova del tuo coraggio» lui continuava ad andare avanti non facendo caso agli occhi della donna di fronte a lui, che cominciavano a restringersi per contenere l'odio che a momenti ne traboccava. «Diciamo pure della tua..virilità».
«Credo sia arrivata l'ora di salutarci, caro D'Artagnan» e lo spinse con tutta la forza che aveva fuori dalla porta, accompagnando questo con uno sbuffo adirato, a cui si sentì rispondere con una risata.
«Cosa ho detto di male, Constance? Spari meglio di me, hai una mira perfetta e poi» le fece un occhiolino spavaldo. «Ti donano di più i pantaloni delle gonne a sbuffo».
«Ti ammazzo» fece la finta di rincorrerlo e lo vide scappare a gambe levate, girandosi all'ultimo per farle un inchino con il cappello stretto al petto. «Lo faccio sul serio, vattene».
D'Artagnan si prese qualche secondo in più per ammirare la figura della donna ferma sulla soglia di casa, offesa. La ringraziò con un gesto fugace del capo perché per l'ennesima volta la sua vicinanza lo aveva fatto tornare di buon umore.






 

† ‡ †









 

 

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Capitolo 2
*** D. ***


Carta Bianca


Dovunque volgesse lo sguardo vedeva contorni sbiaditi contro al cielo di un blu acceso, figure aggraziate create con siepi e fantasia d'artista. 
Avrebbe voluto avere più luce per posarvi meglio gli occhi ed apprezzare così le forme di quel cespuglio accanto alla fontana principale a cui avevano dato forma di un grande angelo. 
Nella penombra sentì tintinnare ritmicamente una cinghia che teneva allacciata la fodera alla cintura. Riconobbe subito quel suono cadenzato, riconobbe la camminata e la distanza che li separava. Chiuse un attimo gli occhi e svuotò i polmoni di tutta l'aria, perché non solo risultava ingombrante ma sarebbe stata di troppo di lì a poco. Avrebbe dovuto prepararsi prima, come tutte le volte arrivava a quel momento e non sapeva che altro fare se non trovare rimedi insulsi per scacciare via la tensione. 
«Buonasera, D'Artagnan» si sentì appellare.
Aprì gli occhi di scatto e si trovò davanti Aramis, il solito cappello marrone tirato un poco indietro sulla testa per farvi uscire più comodamente qualche ciocca di capelli mossi, le labbra tirate a formare un accenno di sorriso.
Ma certo. 
Per forza si sentiva così contento. 
«Camminiamo assieme oppure ci separiamo?» gli chiese, cercando di mantenere un tono di voce piatto e distaccato.
«Rimaniamo assieme, stasera» ammise l'altro, mentre appoggiava in modo distratto la mano sull'elsa. D'Artagnan lo conosceva talmente tanto bene, che sapeva che quella mossa veniva fatta come a ricordare il proprio ruolo, la propria missione.
«Ho saputo che siete andato a trovare Constance».
«Sì, l'ho fatto».
«Mi è sembrata affranta» lo incalzò Aramis, spostando la mano dall'elsa ad un angolo dei folti baffi che soleva farsi crescere già da qualche anno. Finse un cipiglio pensieroso, ma D'Artagnan non fu tratto in inganno. Sapeva perfettamente che stava soltanto fingendo. «Ed oggi il tempo è stato nuvoloso, mi è dispiaciuto non vedere il sole» aggiunse. 
Il ragazzo più giovane cercò di mascherare una risata dietro ad un nervoso colpo di tosse: anche stavolta c'aveva visto giusto. Aramis era fatto così: concludeva sempre una conversazione che non stuzzicava il suo interesse con una frase fuoriluogo e con l'intento di sviare l'attenzione su qualcos'altro. 
Non lo faceva in malafede. 
Oppure sì? 
«Mi è parso di notare» Aramis era innamorato della sua stessa voce e questo era risaputo da tutti. «Che tenete la fronte corrucciata più del solito, specialmente nelle ultime settimane. C'è qualcosa che vi turba?».
Affermativo.
«Affatto, ma mi conoscete: durante le ronde attorno al palazzo sono molto concentrato e con i sensi sempre allerta» rispose, punto sul vivo.
Con la coda dell'occhio riconobbe un improvviso irrigidimento della schiena, la solita falcata ampia e orgogliosa dell'altro moschettiere si era fatta titubante e scostante.
Quando non lo vide più al suo fianco, si voltò e lo trovò fermo a qualche passo di distanza. Lo guardò con aria interrogativa in cerca di spiegazioni senza porre alcuna domanda.
Con la luce della luna la pelle di Aramis brillava, donandole un pallore che su chiunque sarebbe risultato spettrale, ma su di lui ricordava la perfezione delle statue di gesso che D'Artagnan aveva visto spesso adornare i cortili dei nobili.
«E che cosa avete visto durante il vostro turno di guardia di ieri?» la voce gli tremò.
Il ragazzo dalla pelle olivastra capì di non avere scelta e disse la verità.
«Non mi è sfuggito alcun dettaglio».
Suo malgrado riaffiorarono i ricordi e la scena a cui aveva assistito, silenzioso spettatore davanti ad uno spettacolo fatto di baci e di ansimi, di vesti scostate con gentilezza e di spinte ritmiche e sensuali.
«Potreste essere più preciso? >>.
«No, preferisco di no. Continuate a camminare, dobbiamo ancora controllare l'ala sud della tenuta» gli voltò le spalle, troppa la fatica a celare i suoi sentimenti e a fingere indifferenza.
«Perché ve ne andate?».
«Perché non c'è niente di cui parlare e ancora tanto lavoro da fare».
Si sentì stringere una spalla da una mano guantata e trasalì, mettendo immediatamente la mano sull'elsa della spada, pronto a sguainarla e a combattere. Ma era solo Aramis, il viso allungato dalla preoccupazione.
«Non mi state dicendo tutta la verità».
«Non servirebbe, perché già sapete come la penso a riguardo, ma sono scelte personali e non potrei mai giudicarvi a causa di esse» il petto cominciò a dolere, un pulsare forte che si riverberava negli arti. Si impose di continuare a camminare, andare avanti senza voltarsi indietro.
«Fermatevi» il tono del suo compagno ora si era fatto più duro e autorevole e il suo orecchio reagì al comando, come anche i suoi piedi, ora inchiodati al terreno.
«Io la amo» D'Artagnan non si preparò a sufficienza per ricevere questa triste verità e il risultato si riversò talmente forte sul suo corpo e sulla sua anima, che riconobbe avrebbe preferito essere infilzato dalla sua spada più e più volte. «Amo la regina».
Aramis ora lo guardava, erano alti uguali e i loro visi molto vicini, per riuscire a scorgere meglio l'uno l'espressione dell'altro in mezzo all'oscurità sempre più crescente.
Il ragazzo più giovane decise improvvisamente di ricambiare ciò che gli aveva appena fatto provare.
«E io amo voi».


 
† ‡ †

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Capitolo 3
*** A. ***


Carta Bianca

«Ne avete parlato persino con Athos e Porthos, eppure vi siete sentiti liberi di omettere con me questa verità» la voce di Aramis era talmente tagliente che rischiò di ferire i timpani di D'Artagnan, seduto di fronte a lui. Aveva entrambe le mani a coprire il viso, in un gesto a metà fra il disperato e l'imbarazzato. 
Aramis rimase in silenzio per qualche minuto, spostando lo sguardo altrove. Dalla finestra che dava sullo spiazzo del quartier generale poteva sentire gli stallieri iniziare a spazzolare e sellare i cavalli; i mercanti incominciare ad urlare ai pochi passanti quanto fosse di qualità la loro merce. Avrebbe voluto continuare a sentire la città  animarsi e guardare il tutto da quella finestra, dimentico della situazione. Vide D'Artagnan muoversi a disagio, come ad alzarsi.
«Dove pensate di andare?» gli domandò, la voce fattasi di nuovo dura. 
«Da nessuna parte» gli rispose subito l'altro, slacciandosi la fibbia che sorreggeva il fodero della spada. «Ma almeno vorrei essere comodo» appoggiò anche la grande pistola esattamente in mezzo a loro due. Aramis assottigliò gli occhi, chiedendosi cosa potesse voler significare quel gesto. 
«Ho bisogno di spiegazioni».
«In realtà c'è molto poco da dire, Aramis» D'Artagnan sorrise, ma gli occhi rimasero tristi. Prese un bel respiro, chiuse gli occhi e si mise una mano sul cuore. «Non volevo arrivasse mai questo giorno, però» ammise poco dopo.
«Mi offendete».
«Mi offende maggiormente il vostro sguardo, Aramis» gli rispose subito. «Ciò che state pensando di me, immagino che cambi tutto ora».
«Potete giurarci» si sentì dire. «Come potrei fidarmi di nuovo di voi? Combattere al vostro fianco, cavalcare assieme, proteggere la Regina? Io non riesco a capire, perché?» si alzò in piedi, sbattendo un pugno sul piano. «Pensavate di poterlo nascondere per sempre?».
D'Artagnan alzò il mento per poterlo guardare meglio. «Sì, perché non reputo questi sentimenti casti, cristiani e degni di essere provati».
«Parlate chiaro!» gridò Aramis, sporgendosi verso di lui. Sentiva il corpo scosso da terribili fremiti, la rabbia stava cominciando a montare veloce, come non succedeva da anni. 
«E perché dovrei?! Per essere poi umiliato in seguito?!» D'Artagnan schizzò in piedi, facendo cadere all'indietro la panca con un tonfo sordo. 
«Potreste almeno scegliere la sincerità, stavolta» l'uomo dai folti ricci castani si allontanò di qualche passo, abbassando le braccia e lasciandole abbandonate lungo i fianchi. «Tutto questo mi distrugge».
«Su questo siamo d'accordo» anche l'altro scrollò le spalle, cercando di ritrovare il controllo.
«Da quanto?».
«Non importa, Aramis».
«Voglio saperlo».
«Non serve, dav-».
«D'Artagnan! Vi prego!».
La distanza era troppa, Aramis sospirò e capì che doveva fare qualcosa per evitare che la situazione si complicasse. E anche perché, nel profondo di sé stesso, aveva bisogno di qualcosa che l'altro in quel momento avrebbe potuto rifiutargli. Valeva comunque la pena rischiare.
Girò attorno al tavolo, incurante di vedere D'Artagnan indietreggiare e sbattere le spalle contro al muro, accorgendosi di essere in trappola. Continuò ad avvicinarsi, non gli interessò sentirsi intimare di smettere. Quando gli arrivò di fronte gli mise le mani sulle spalle, le stesse che tante volte lo avevano riportato a casa ubriaco fradicio, dopo troppi brindisi alla Regina, vago ricordo di un amore troppo doloroso da provare.
«State soffrendo quanto me?».
Lo vide iniziare a piangere, in silenzio. Lo abbracciò, lo strinse a sé. 
«Vi amo, Aramis» disse D'Artagnan, fra i singhiozzi. «E so che non verrò mai ricambiato da voi, per questo motivo ve l'ho tenuto nascosto».
«Ora mi è tutto chiaro, vi chiedo scusa per aver usato parole così forti con voi» Aramis, con gli occhi lucidi, lasciò andare l'amico e lo guardò a lungo. «Dispiace anche a me».

Parlarono a lungo, non smisero neanche quando iniziarono ad arrivare altre persone.
Athos li vide in un angolo e li salutò con un semplice gesto del mento, decidendo di non intromettersi; si girò verso Porthos, in quel momento intento a pulire la propria pistola. 
«Vedo che si sono chiariti» disse quest'ultimo, ammiccando nella loro direzione e non riuscendo a nascondere un sorriso.
«Ne sono lieto anche io» gli rispose Athos, sedendosi affianco a lui. «Ma sarà difficile riuscire a convivere con i sentimenti di entrambi, d'ora in poi» aggiunse, incrociando le braccia al petto.
Porthos si trattenne a fatica e si girò verso il capitano, divertito. «Quindi dite che..».
Athos annuì con la testa. «Esatto, Aramis ancora non ha capito di amare D'Artagnan».
A quel punto Porthos non riuscì a resistere e proruppe in una sonora risata, che riecheggiò a lungo.
 
Fine

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