Heatstroke

di Spoocky
(/viewuser.php?uid=180669)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Disclaimer: sarebbe che se mi pagassero per quello che scrivo avrei meno problemi, no? E invece non guadagno proprio nulla da questa storia, che ho scritto per il puro piacere di farlo ( nella speranza che piaccia a qualcuno)

Buona Lettura ^.^


“Ammiraglio, vi prego: permettetemi di spiegare...”
“Spiegare cosa?!” Harte era furibondo, in tutta la sua vita Aubrey non ricordava di averlo mai visto tanto agitato, nemmeno quando gli aveva mosso l’accusa, fondata, di barare al gioco “Cosa vorreste spiegare?! La situazione è chiarissima: voi e i vostri uomini vi siete permessi di prendere contatto con agenti del Servizio Informazioni di nazionalità spagnola senza degnarvi di avvisarmi. Questo è quanto.“
“Con tutto il rispetto, signore. Gli ordini...”
“Vi dicevano di fare rapporto all’ammiraglio Thornton, ho capito! Si da il caso, tuttavia, che l’ammiraglio Thornton sia indisposto al momento ed essendo io il secondo in comando, avreste dovuto fare rapporto a me! Avete capito?!”
“Sì, signore.”
“Bene! Buon pro vi faccia! Consideratevi fortunato se non vi mando davanti alla corte marziale, voi e i vostri ufficiali. Ma non la passerete liscia: non posso permettere che ogni capitano dello squadrone si permetta di prendere iniziative simili. Sarebbe l’anarchia! Ne pagherete le conseguenze, Aubrey.”

A quel punto Jack era seriamente preoccupato: non c’erano i presupposti per mandare lui né nessun altro alla corte marziale, avevano agito nel pieno rispetto degli ordini. E poi ci voleva l’approvazione di Thornton, che si sarebbe messo a ridere solo all’idea. Ma Harte ne aveva fatto una questione personale, il suo astio nei confronti di Aubrey aveva radici antiche – più o meno da quando lo aveva cornificato, diversi anni addietro – e non ci sarebbe passato sopra.
Anche se sapeva che la presenza di Thornton lo rendeva praticamente intoccabile, guardò con ansia crescente l’ammiraglio scribacchiare un foglietto.
Terminatolo, praticamente glielo lanciò addosso, congedandolo bruscamente.

Lesse la triste missiva sulla scialuppa e, quando salì a bordo, senza fare cerimonie, il suo volto si era fatto scuro e si capì che tratteneva a stento la rabbia quando ordinò, rivolto alla generica posizione del cassero: “Il signor Pullings e il Dottore a rapporto nella mia cabina. Subito.”
Gli veniva male al solo pensiero di ciò che stava per annunciare.



Pullings incassò il colpo senza battere ciglio, Stephen no.
Se il primo si limitò a sedersi, di due gradi più pallido e con il foglio sgualcito tra le dita, sulla sedia che il comandante gli aveva offerto, il medico sbottò immediatamente, sapendo di potersi esprimere liberamente in presenza del secondo in comando.

“Gesù, Giuseppe e Maria! Può farlo? Sul serio?”
“Il regolamento non gli vieta esplicitamente di farlo, quindi può. Teoricamente per assegnare punizioni ci sarebbe bisogno del consenso del comandante in capo, in pratica è nelle sue facoltà, quindi sì: può farlo.”
“E tu non puoi farci niente?”
“Non senza rischiare di peggiorare le cose: Harte ce l’ha con me, lo sai! Non può rivendicarsi su di me perché sa che Thornton e più ancora Keith, se mai lo venisse a sapere, in qualche modo gliela farebbero pagare.”
“Ma su quali basi se la prende con lui?”
“E’ il secondo in comando. Per cui lo ha considerato altrettanto responsabile di me, anche se non avrebbe potuto fare nulla per evitare quando accaduto. Vedi, lui non se l’è presa perché abbiamo contravvenuto a qualche ordine, sa bene quanto noi che avevamo la disposizione diretta dell’Ammiragliato per prendere contatto con... il tuo contatto. Quello che ha contestato è che non lo abbiamo avvisato prima di partire, anche se sa bene che il nulla osta è arrivato da Thornton, e purtroppo questa motivazione è più che valida per intraprendere un’azione disciplinare, che in questo caso consiste nell’assegnazione di più turni di guardia.”
Stephen emise un verso sprezzante, a metà tra un sibilo ed uno sputo: “Come se si dovessero esporre i manifesti per un’azione che richieda la massima discrezione.” Calcò molto bene le ultime due parole “Resta il fatto che non può far proseguire la punizione a tempo indeterminato.”
“Purtroppo la cosa è a sua discrezione, non possiamo farci nulla. Mi dispiace, Tom.”
“Oh, Signore!” difficile stabilire se la ‘s’ uscita dalle labbra di Pullings fosse minuscola o maiuscola, ma lo sconforto era comunque evidente nel suo tono “Adesso che faccio?”
“Ora come ora, ragazzo mio, il mio consiglio è di andare di sotto e farvi un bel sonno. Vi darò qualcosa per dormire. Prima però sarebbe opportuno che faceste un pasto abbondante: non sappiamo quanto lavoro abbiate davanti ed è meglio se fate scorta di energie. Coraggio, vi accompagno.”

Nell’accompagnare il tenente alla porta, tenendogli una mano sulla schiena perché faticava ad arrivargli alla spalla, Stephen si voltò verso Jack.
Non disse nulla ma dai suoi occhi il Capitano capì che l’amico era furente e cominciò a preoccuparsi.
L’ultima volta che aveva avuto quello sguardo aveva ucciso un uomo in un duello.
 


La mattina dopo, alle quattro in punto, Tom Pullings lasciò la branda.
Secondo le disposizioni dell’ammiraglio, indossò l’uniforme completa.  Rispetto alla tenuta da cerimonia era più leggera e comoda ma il caldo umido del Mediterraneo non tardò a farsi sentire.
Quel primo giorno il sole rimase per lo più coperto ed il cielo rannuvolato ma l’umidità elevata permeava l’aria rendendola quasi irrespirabile.
Non passò molto tempo dal sorgere del sole che lo videro tamponarsi la fronte con un fazzoletto.

Stephen andava spesso a controllarlo, offrendogli una bevanda fresca o un sandwich, perché non gli era permesso smontare nemmeno per prendere i pasti: perché finisse serviva l’ordine diretto dell’ammiraglio e quest’ultimo non sembrava avere fretta. Anche se la situazione si stava facendo preoccupante.
A metà pomeriggio il tenente era sudato fradicio e verso sera, nel tastargli discretamente il polso, Maturin lo trovò pericolosamente rallentato.
Dato che si trovavano nel pieno di un blocco navale, c’era davvero ben poco da fare: bastava dare di quando in quando un’occhiata all’orizzonte con il cannocchiale e mettere sporadicamente mano alla velatura per mantenere la nave in posizione.
Ciononostante, Pullings si presentava visibilmente affaticato, tanto da doversi appoggiare alla paratia per stare in piedi.
Fu solo per un qualche miracolo se riuscì ad arrivare dopo il tramonto senza svenire.

A notte fonda, quando ormai le luci dell’ammiraglio Harte si erano spente da un pezzo, Jack salì in coperta, dove Tom Pullings si aggirava sul cassero come uno spirito inquieto nella reggia di Macbeth.
Facendo sfoggio delle proprie migliori capacità diplomatiche, lo convinse a sdraiarsi in un angolo tranquillo con la giacca piegata sotto la testa.
In circostanze normali, addormentarsi durante il turno di guardia era un reato da corte marziale ma quelle non erano circostanze normali e aveva comunque fatto più di quanto fosse umanamente possibile.
“E’ giusto obbedire agli ordini, per quanto assurdi, di un superiore. Ma non è il caso di ammazzarsi per un capriccio simile.” Concluse Aubrey, e il tenente si arrese.

Si addormentò poco dopo aver chiuso gli occhi, rannicchiato contro la paratia in un cantuccio riparato, e Jack lo coprì con la propria mantella perché si stava alzando una brezza fredda ed era ancora sudato.
Gli avrebbe lasciato almeno quattro ore di sonno prima di svegliarlo per la seconda comandata, Harte poteva anche andare all’Inferno.
Comunque non lo avrebbe mai scoperto.
 


Il secondo giorno fu anche peggio del primo: il sole picchiava forte e in una delle giornate più calde fino ad allora e il fisico, già provato, del tenente ne risentì più di tutti.
Dopo una mattina passata a grondare sudore, verso mezzogiorno la pelle gli si asciugò completamente ed il volto assunse un colorito grigiastro.

Si fece progressivamente più irritabile, cosa rara visto il carattere generalmente accomodante, e cominciò a trattare gli uomini in modo brusco, rispondendo al minimo errore con i peggiori insulti. Verso metà pomeriggio, lo si vide sporgersi due volte oltre la paratia per vomitare quel poco che erano riusciti a fargli mangiare.
Per sua fortuna, gli uomini della Worcester ormai lo conoscevano bene e non diedero peso alle sue uscite. Sebbene nessuno li avesse informati esplicitamente di cosa stesse succedendo era lampante che non si stesse seguendo un regolare ritmo dei turni di guardia e le voci di una presunta punizione erano state diffuse tempo addietro da Preservato Killick il cui orecchio era sempre incollato alla porta della cabina, qualora sospettasse una qualunque novità interessante. Vale a dire sempre.
Ad ogni modo, persino il capitano lasciava correre ed era risaputo quanto tenesse al rispetto reciproco sulla nave. Per cui non sentivano di doversi preoccupare.
“Sarà in quel periodo del mese.” Scherzò un gabbiere al suo primo viaggio con Aubrey.
“Gli passerà prima che a te.” Ribatté Barrett Bonden, suo vicino di mensa, assestandogli uno scappellotto sulla nuca.

Stephen era sempre più preoccupato per le condizioni del tenente e Martin, con il quale stava discutendo di una particolare specie di pulcinella di mare avvistata al largo dell’Islanda, non tardò ad accorgersi delle repentine occhiate che lanciava alla porta del quadrato come se si aspettasse che qualcuno vi piombasse dentro da un momento all’altro.
Uno stato di bruciante, pruriginosa agitazione, non dissimile da una febbre, gli aveva preso ogni nervo del corpo e per quanto si sforzasse di nasconderlo non riusciva ad averne ragione.
Alle quattro del pomeriggio, poco meno di trentasei ore dall’inizio di quella guardia infinita, Tom Pullings si accasciò sul cassero con un tonfo sordo, il viso ormai cianotico nell’incavo del gomito. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Disclaimer: no gain, only pain. (Dei personaggi, non mio)

Buona Lettura ^.^


Richiamato sul ponte da una serie di schiamazzi incoerenti Stephen, con Martin al seguito, si precipitò sul cassero, dove nel frattempo si era radunato un nutrito capannello di allievi.  
Il loro arrivo coincise con quello di Jack, che allontanò immediatamente chiunque non fosse indispensabile.
Pullings era steso a terra come morto, la testa puntellata da un ginocchio di Bonden.
Chinandosi su di lui Stephen notò immediatamente che aveva il respiro accelerato, al tatto la pelle era secca, le labbra erano screpolate e sanguinavano dove se le era morse per la tensione, scottava tanto da rendere inutile un termometro.

“Ha la febbre alta.” Annunciò, tentando il più possibile di non lasciar trapelare un’oncia della rabbia che aveva in corpo “Martin, bisogna portarlo subito in infermeria. Una volta di sotto spogliatelo, avvolgetelo con degli asciugamani bagnati e fatelo stendere sotto la manica a vento con le gambe alzate, per sicurezza provategli la febbre. Se si sveglia dategli da bere, acqua. Molta e a piccoli sorsi. Jack, la mia barca prego: devo fare rapporto all’Ammiraglio.”

L’ira funesta che lo permeava cancellò ogni incertezza e, forse per la prima volta nella sua vita, lo si vide trasbordare senza cadere in acqua.
Per sicurezza Jack lo seguì lo stesso con il cannocchiale fino a quando fu a bordo dell’ammiraglia della squadra rossa. Giusto per accertarsi che ci arrivasse vivo.
 


Stephen rimase stupito, una volta a bordo, dal fatto di essere introdotto immediatamente nello studio dell’ammiraglio Harte.  Quasi come se lo stessero aspettando.
Il segretario Wray lo introdusse con un atteggiamento un po’ troppo espansivo per essere spontaneo, che gli lasciò un brutto presentimento.
Una volta entrato si piazzò davanti alla scrivania. Non gli fu offerta una sedia, ma neppure l’avrebbe accettata: era troppo nervoso per stare seduto. Inoltre sapeva che Harte aveva la sgradevole abitudine di sporgersi sulla scrivania per intimidire il suo interlocutore e non voleva dargliene l’opportunità.
In ogni caso, l’ammiraglio si prese tutto il tempo di firmare una serie di carte prima di degnarlo di attenzione.
Per tutto il tempo Stephen non fece che pensare a Pullings che lottava tra la vita e la morte, ansimando e lamentandosi in una branda anonima, in preda alla febbre e forse in delirio.
Non fece che aumentare la sua rabbia.

Quando finalmente si rivolse a lui, Harte aveva un sorriso troppo tirato per essere sincero: “Dottor Maturin, vi aspettavamo. Spero che sappiate spiegarci il motivo per cui il tenente Pullings non si trova sul cassero come da mio ordine.”
Stephen dovette far ricorso ad anni di auto-condizionamento per non dare sfogo alla sua furia omicida, il tono con cui riuscì a rispondere era freddo, quasi metallico, al limite dell’insubordinazione: “Il signor Pullings al momento è ricoverato in infermeria, sotto le mie cure, per un colpo di calore: ha la febbre tanto alta da non poter restare cosciente. E’ anche il motivo per cui sono qui: ho voluto prendermi la responsabilità diretta di fare rapporto sul mio paziente. Il capitano Aubrey non ha nulla a che vedere con questo. Ad ogni modo,” aggiunse dopo una breve pausa “mi è stato chiesto di mostrarvi i nostri ordini, tali e quali li abbiamo ricevuti dall’Ammiragliato e potrete notare come sia richiesto specificatamente” calcò l’ultima parola sillabandola, onde evitare incomprensioni “di fare rapporto solo ed esclusivamente all’ammiraglio Thornton, per ragioni di discrezione e sicurezza che non mi sono state specificate ma credo intenderete benissimo. Se Aubrey non vi ha fatto rapporto prima di partire non è stato per sua volontà ma per un ordine diretto del Primo Lord, come potete vedere.”
 Harte si prese tutto il tempo di esaminare il plico, leggendolo con evidente scetticismo fino ad arrivare all’inconfondibile firma del Primo Lord dell’ammiragliato ed al sigillo, che fugava ogni dubbio sull’autenticità della carta.

“Molto bene. Vi concedo che l’ordine del Primo Lord non vi permettesse di fare altro ma io non sono stato avvisato della vostra partenza. Quindi la punizione rimane: gli uomini della Worcester devono imparare che la disciplina e l’obbedienza ai superiori...”
Un colpo di tosse, discreto ma percettibilissimo, da parte di Wray interruppe quella che si sarebbe prospettata una lunga tiritera.
“Che c’è?! Che c’è adesso?!”
“Veramente, signore” spiegò il segretario, estraendo da una tasca del panciotto un foglio spiegazzato “qualche giorno prima della partenza della Worcester è arrivata una nota dell’ammiraglio Thornton. Con tutti questi incartamenti devo essermi dimenticato di farvela avere. Vi porgo le mie scuse, signore.”
“Sì, sì: datela qua!”

La nota constava di tre righe, in cui si spiegava che la Worcester avrebbe potuto abbandonare lo squadrone da un momento all’altro, che l’ammiraglio Thornton era perfettamente al corrente della cosa e che non si sarebbe dovuto chiederne conto agli ufficiali né al comandante, perché non potevano risponderne che a lui, cordiali saluti.
Questa volta toccò ad Harte trattenere la furia omicida: “Appena tornate a bordo informate il tenente Pullings che la sua punizione è revocata. Buona giornata.”

Wray lo accompagnò alla porta e, per tutto il viaggio di ritorno, Stephen non fece che lambiccarsi il cervello su quanto accaduto. Possibile che fosse un teatrino orchestrato ad arte? O Wray aveva davvero dimenticato il biglietto? Sir Joseph lo aveva informato della presenza di alcune mele marce nel Mediterraneo, che fossero più vicine del previsto? Certo: l’atteggiamento del segretario era stato quantomeno ambiguo, ma era anche vero che finora non aveva fatto nulla per destare sospetti.
Per quanto si sforzasse, non gli riuscì di trovare alcuna risposta.
 


Nella penombra dell’infermeria, in un angolo tranquillo e rinfrescato dalla manica a vento, Martin sedeva accanto all’unico paziente, e lo accudiva sia come infermiere che come cappellano.
Stephen lo trovò intento a fare spugnature sulla fronte del malato, compito che svolgeva con estrema cura e determinazione ma che non gli impedì di notare l’arrivo del medico.

“Oh, Maturin! Bentornato! Vorrei potervi dire che il vostro paziente mostra segni di miglioramento ma, ahimè, non ve n’è stato alcuno. Non ha neppure ripreso conoscenza.”
 “Vi è sembrato che dicesse qualcosa?”
“Nulla. Solo qualche gemito inarticolato e sporadico. Come avevate chiesto, gli ho provato la febbre. Mi sono permesso di usare il vostro termometro Fahrenheit.”
“Avete fatto bene. Il responso?”
“103,1°[1]
Stephen annuì, a occhio la temperatura gli era sembrata quella: “Non gli avete somministrato nulla?”
“Assolutamente no: non saprei davvero dove mettere le mani. A dire il vero, avrei voluto dargli da bere ma non mi sono fidato, con lui incosciente: avrei rischiato di soffocarlo.”
“Se non vi siete sentito sicuro, avete fatto la scelta giusta.”
“Pensate che sopravvivrà?”
“Mio caro Martin, in casi come questo è sempre il cuore a destare maggiore preoccupazione e quello del nostro amico è giovane e forte. Tuttavia, bisogna ammettere che non sono situazioni da sottovalutare, in particolar modo poiché lo stato d’incoscienza risulta prolungato. Se dovesse riprendere i sensi nelle prossime ore vorrebbe dire che, per quanto la febbre sia alta, gli umori celebrali non sono stati danneggiati gravemente. Ma se è sopraggiunto il coma, e questo non c’è modo di stabilirlo con certezza allora non c’è davvero più nulla che possiamo fare.”
“Sarebbe una tragedia. Un così bravo giovane!”
“Non fasciamoci la testa prima di cadere, Martin. Il polso è stabile e respira bene: le nostre speranze sembrano avere un solido fondamento, almeno per ora.”
 


Con il volto segnato dalla preoccupazione, Stephen ripescò una boccetta di vetro dalla sua valigetta e la aprì: un gradevole odore di lavanda si sparse nella stanza. Intinse un dito nell’olio e lo spalmò sulle labbra spaccate di Pullings, per lenire il dolore di quelle piccole ferite.
Una volta finito gli appoggiò la mano sulla fronte: ancora scottava. Se la febbre si era abbassata, lo aveva fatto davvero di poco.
Sentendo il contatto della pelle fredda del medico, l’ufficiale emise un lamento appena udibile. Come aveva detto Martin, lo aveva già fatto diverse volte, ma questa tentò di aprire gli occhi.

“Tom? Riuscite a sentirmi?”
“Coraggio, figliolo: aprite gli occhi.”
Con un gemito, l’ufficiale obbedì ma sembrava avere difficoltà a mettere a fuoco i volti degli uomini accanto alla sua branda, per quanto fossero chini su di lui: “Dottore?”
“Sono qui, Tom. E questo è il reverendo Martin. Avete perso conoscenza per un colpo di calore e vi abbiamo portato in infermeria. Come vi sentite?”
“Ho bisogno... acqua... per favore... acqua...”
Era troppo debole per tenere su la testa e Martin gliela resse mentre Stephen gli accostava la tazza alle labbra: “Fate piano, mi raccomando. Piccoli sorsi. Così: piano. Piano.”
Pullings riuscì a finire due tazze d’acqua prima di crollare di nuovo sul cuscino.

Mentre era incosciente, qualche buon’anima gli aveva intrecciato i capelli perché non gli tenessero caldo alla testa e Stephen gli spostò il codino di lato perché stesse più comodo.  Poi gli passò di nuovo l’olio di lavanda sulle labbra mentre Martin gli premeva uno straccio umido sulla fronte. Sebbene cosciente, respirava ancora a fatica e aveva gli occhi lucidi per la febbre, non sembrava del tutto consapevole di quanto gli stava accadendo.
Infatti, di lì a poco tentò di alzarsi.
Stephen lo afferrò per un braccio e Martin per l’altro, insieme tentarono di riadagiarlo nella branda. Non si aspettavano che ponesse resistenza. Cosa che non accadeva da quando il tifo gli aveva causato una febbre anche peggiore di quella, ma che si ripeté inaspettatamente anche in quella circostanza.
“Tom, state giù! Dovete riposare!”
“Suvvia, figliolo, siate ragionevole...”
“Gesù, Giuseppe e Maria! Non costringetemi a legarvi alla branda!
”Sono di guardia.”
“Non se ne parla!”
“Maturin, non lo tengo più!”
Finalmente Stephen trovò le parole giuste: “L’ammiraglio ha revocato la punizione! Mi sentite, Tom? La punizione è stata revocata!”
Dovette urlargli in faccia, producendo il suo caratteristico strillo dissonante, ma riuscì a farsi capire. Pullings crollò improvvisamente tra le braccia sue e di Martin, che lo aiutò a distenderlo di nuovo sui cuscini.
Di nuovo lo riaccomodarono e gli aggiustarono addosso gli asciugamani, il reverendo si curò di sostituire quello sulla fronte, che nella concitazione era caduto a terra.

Ancora ansimando per lo sforzo, il tenente si voltò nella direzione generale del medico: “E’ vero?”
“Cosa?” Stephen gli porse un’altra tazza d’acqua e lo aiutò a finirla prima di lasciarlo continuare.
“Harte ha davvero ritirato la punizione?” aveva una voce talmente sottile che Stephen dovette praticamente accostargli l’orecchio alle labbra per sentire.
“Sì. Gli ho spiegato la situazione e gli ho dimostrato come non potessimo fare diversamente. Ha revocato la punizione immediatamente. Vorrei potervi dire che vi manda le sue scuse ma sapete com’è.”
Sentendo la parola ‘scuse’ Pullings avvampò di nuovo, questa volta di vergogna: “Dottore...”
“Sì?”
“Mi dispiace.”
“Per cosa?”
“Per prima...”
“Shh. State tranquillo: non è successo niente. Vero, Martin?”
Martin, a dir la verità, era ancora decisamente scosso. Traumatizzato, addirittura.
Però sapeva bene che il poveretto non agiva lucidamente e non poteva essere considerato responsabile per quanto accaduto: “Ma sì. Non preoccupatevi, figliolo: è tutto a posto.”
“Sentito, Tom? Adesso però cercate di riposare: sono stati giorni molto duri e dovete recuperare le forze.”
Gli stesero addosso una coperta leggera e lo guardarono addormentarsi.
Di nuovo, Stephen gli appoggiò una mano sulla fronte.

“Ha ancora la febbre?”
Il medico fece cenno di sì con la testa: “Ci vorrà qualche ora, prima che scenda.”
“Volete che vi faccia compagnia durante la veglia?”
“Se non avete di meglio da fare. Non voglio rubarvi altro tempo.”
“Oh, quanto a quello! E’ un piacere farvi compagnia. E assistere gli infermi resta uno dei precetti anche quando si è in mare, presumo. Per cui è mio dovere essere qui.”
“Vi ringrazio davvero, è molto gentile da parte vostra. Non posso però garantire che quanto accaduto poco fa non si ripeta.”
“Me ne farò una ragione. Ora, tornando a quell’interessantissimo esemplare di pulcinella di mare...”

Nel discutere con Martin di uccelli, tra una spugnatura e l’altra, Stephen ricominciò a tormentarsi con il quesito di prima, che continuava a tornare quasi fosse lui stesso vittima di un delirio febbrile:  possibile che lui e Sir Joseph avessero sottovalutato la presenza di doppiogiochisti nel Servizio Informazioni?

Possibile che Andrew Wray avesse agito consapevolmente contro di lui?
 
- The End -

Note:
[1] 39,5° C

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3783825