Gli orrori di Soulsville

di TheMadHatter16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Soulsville ***
Capitolo 3: *** Primo giorno ***
Capitolo 4: *** Scheletri nell'armadio ***
Capitolo 5: *** Spaventose apparizioni ***
Capitolo 6: *** La casa infestata ***
Capitolo 7: *** Il ritrovamento ***
Capitolo 8: *** Segreti ***
Capitolo 9: *** Misteriose dicerie ***
Capitolo 10: *** Attenti al lupo! ***
Capitolo 11: *** La cantina ***
Capitolo 12: *** La tana del lupo ***
Capitolo 13: *** Nuovi sospettati ***
Capitolo 14: *** Balla coi lupi ***
Capitolo 15: *** Momenti ***
Capitolo 16: *** Alla ricerca di prove ***
Capitolo 17: *** Luna piena ***
Capitolo 18: *** Gli orrori di Soulsville ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Prologo


Quando ripenso agli orrori di Soulsville, un brivido mi percorre la schiena. Ho visto cose che provo raccapriccio e sgomento a raccontare; sembra impossibile che siano accadute veramente, è come aver vissuto un incubo paurosamente reale. Quella cittadina è maledetta, stregata, di questo sono assolutamente certa.
"Signorina Evans" mi richiama l'ispettore. Alzo lo sguardo verso di lui: devo avere una faccia davvero sconvolta e allucinata, mi rendo conto di stare tremando. Quell'uomo mi guarda come si guarderebbe un fantasma e in effetti devo somigliarci parecchio in questo momento: pallida in viso e con gli occhi sbarrati, semisdraiata in quel lettino d'ospedale in una stanzetta verde illuminata da una triste luce al neon che fa sembrare il mio aspetto ancora più cadaverico.
"Signorina Evans" ripete "so che quegli episodi sono stati particolarmente traumatici per lei, ma abbiamo bisogno di conoscere la storia. Tutta la storia".
Studio con circospezione l'ispettore Thomas: è un uomo di colore sulla cinquantina, un po' robusto, con un accenno di barba e le maniche della camicia accuratamente arrotolate fino ai gomiti. Ha uno sguardo comprensivo, ma deciso: vuole sapere. 
"Sì.. certo" rispondo, deglutendo "comincio dal principio: dal motivo per cui mi sono trasferita a Soulsville".

Salve a tutti, questo è un racconto che avevo iniziato a pubblicare anche su Wattpad, piattaforma che però non mi piace quanto questo sito. Questo è un piccolo prologo, posterò subito dietro a questo anche il primo vero capitolo della storia. Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione! ciao e un bacione :)
 

 

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Capitolo 2
*** Soulsville ***




Soulsville

Mi trasferii a Soulsville, una piccola cittadina canadese a trenta minuti di auto circa da dove abitavo prima, il due novembre duemilaquindici, giorno della festa dei morti. Mia madre si era sposata con rito civile con quello che da circa quattro anni era il suo fidanzato, Adam, un tipo di poche parole, un po' orso, diciamo. Aveva un vocione cupo e scuro e pareva un po' un boscaiolo o un cacciatore, gente che vive nei boschi insomma. Aveva nove anni più di mia madre, ma non li dimostrava affatto: era piuttosto alto e ben piazzato, con un fisico ancora muscoloso e ben fatto da fare invidia a diversi uomini ben più giovani. Era, però, il tipico eremita che abita in campagna e ancora non capisco come abbia fatto un uomo così a piacere a mia madre, una donna tutta abiti chic e aperitivi con le amiche la domenica sera. 
Adam aveva un figlio avuto dal suo precedente matrimonio. Si chiamava Jared e aveva quattro o cinque anni più di me. Lo avevo visto solo quattro o cinque volte a qualche cena che Adam e mia madre avevano organizzato per stare tutti insieme. Jared era indubbiamente un bel ragazzo, con quei lunghi riccioli scuri e quei profondi occhi neri, ma, se possibile, era ancora più orso del padre, un vero burbero, una persona per niente amichevole, ecco. Avete presente quando di un ragazzo si dice che è un "bel tenebroso"? Ecco, questa era una descrizione che gli calzava a pennello. Adam era vedovo e Jared, da quel che avevo capito, non vedeva di buon occhio il fatto che suo padre si fosse fidanzato di nuovo dopo la scomparsa della moglie, avvenuta sei anni prima. Un po' lo capivo, non doveva essere facile, dopo aver subito da poco tempo una perdita così importante, dover sopportare il fatto di avere una "matrigna" e una "sorellastra". 
Ad ogni modo, da quel momento in poi mi sarei dovuta abituare al fatto di abitare con quei due uomini silenziosi e un po' austeri. La cosa non mi faceva impazzire di gioia, ma vedere mia madre felice era sufficiente per me. Lei era assolutamente entusiasta, sembrava sinceramente innamorata di Adam. 
La casa in cui ci trasferimmo era una bella villetta di due piani, vicina a un piccolo boschetto. Era piuttosto carina e aveva un bel giardino. Era lì che Adam e Jared abitavano prima della morte della moglie di Adam.
Adam, poco dopo essere rimasto vedovo, era andato ad abitare in una casetta minuscola nella campagna di Soulsville che io chiamavo "la baita". 
Adam era anche riuscito a trovarmi un lavoro: cameriera presso la tavola calda di un suo amico. Era perfetto, la paga era onesta, gli orari non troppo pesanti e per andare a lavoro ci mettevo meno di dieci minuti a piedi. 
Jared lavorava in un negozio di articoli sportivi poco lontano dal mio posto di lavoro. Lavorava lì assieme a un suo amico di infanzia, Ryan, un ragazzo simpatico e alla mano, decisamente più simpatico di Jared. 
L'unica cosa che non mi convinceva dell'intera faccenda era proprio Soulsville nel suo complesso. Innanzitutto doveva il suo nome al fatto che un grosso incendio avvenuto verso la fine dell'Ottocento aveva ucciso buona parte della sua popolazione e aveva dato vita alla leggenda secondo la quale le anime degli abitanti di Soulsville morti nell'incidente vagassero ancora nel bosco dopo il tramonto. Una cosa che metteva i brividi, senza contare che la mia nuova casa dava proprio sul bosco!
Non so se per via di questa leggenda, ma l'intera cittadina mi sembrava spaventosa e alquanto sinistra. Inoltre, alcuni suoi abitanti (come Adam e Jared, per esempio) mi sembravano alquanto burberi e di poche parole.
Cercai comunque di affrontare con più entusiasmo possibile la mia nuova vita in quella nuova cittadina. Non sapevo che presto il mio entusiasmo si sarebbe spento inesorabilmente.

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Capitolo 3
*** Primo giorno ***



Nella foto: Dylan McColeen



Primo giorno
 

"Jared, porta dentro quegli scatoloni, sono troppo pesanti per Claire" disse Adam al figlio.
"Lascia, faccio io" mi fece Jared, facendomi spostare e sollevando lo scatolone pieno di roba che stavo tentando di trascinare in casa.
"Grazie" mormorai io. Nessuna risposta. 
"Hey Claire" gridò mia madre "Vieni ad aiutarmi con queste valige, ho solo due mani io!". 
Era un lunedì mattina, eravamo appena arrivati a Soulsville ed eravamo indaffaratissimi con il trasloco. Oltre a me, mia madre, Adam e Jared c'erano anche tre operatori della ditta di traslochi che ci aiutavano a portare nella nuova casa le nostre cose. Adam stava trasportando assieme a un tizio che aveva detto chiamarsi Travis il lungo divano di pelle nera che prima stava nel salotto della nostra vecchia casa. Già avevo nostalgia della mia casetta in pieno centro, chi me lo aveva fatto fare di venire a vivere in una piccola frazione di campagna che portava un nome che faceva pensare ai fantasmi?
Mi volta in direzione della villetta vicina alla nostra e mi accorsi che c'era qualcuno alla finestra. Sembrava una figura maschile, un ragazzo. Poco dopo la sagoma sparì. 
"Claire, mi ascolti? Vieni ad aiutarmi?" ripeté mia madre. Sbuffai: traslocare era veramente stressante.

Mentre toglievo dal bagagliaio del fuoristrada di Adam due delle mie valige, pesanti come macigni, udii una voce maschile:
"Serve una mano?". Era un ragazzo a chiedermelo. Stava ritto in piedi davanti a me, sorridendo. Era di media altezza, snello, con i capelli neri e due vispi occhi castani. Doveva avere all'incirca la mia età, forse un anno o due in piu. Riconobbi la sagoma che avevo visto alla finestra dei vicini poco prima. 
Prima che potessi rispondere, Jared mi aveva tolto di mano entrambe le valige. 
"Non ci serve il tuo aiuto McColeen, facciamo da soli" mugugnò fra i denti il mio fratellastro rivolgendosi al ragazzo sconosciuto, poi si avviò, valige alla mano, verso l'ingresso.
"Sempre molto amichevole Myers" constatò ridacchiando il ragazzo, poi mi porse la mano "Io sono Dylan".
"Claire" feci io, stringendo la sua mano. 
"Hai altre valige da portare dentro?"
"Sì, ho questa qui rossa". Indicai la grossa valigia ricolma di abiti. Dylan non se lo fece ripetere, la sollevò e la portò dentro. 
"Sei molto gentile a darmi una mano" gli dissi.
"Figurati, sto solo facendo il mio dovere di buon vicino di casa" rispose lui sorridendo. Aveva un modo di fare davvero grazioso e amichevole. Tutto il contrario di Jared, insomma, che lo stava fissando in cagnesco mentre Dylan depositava la mia valigia nel salone. 
"Come conosci Jared?" gli domandai.
"Eravamo in classe insieme a scuola. Non siamo mai andati particolarmente d'accordo, Jared non ha un caratterino particolarmente socievole. Non c'è da biasimarlo, però, ha avuto un passato non facile". Annuii, abbassando lo sguardo. 
"Hey ciao, piacere, io sono Susan. Sei il nostro nuovo vicino, vero?" ci interruppe mia madre presentandosi a Dylan. 
"Esatto Susan, piacere di conoscerla, io sono Dylan".
"Bene, sono contenta che ci siano dei coetanei qui nei dintorni con cui i miei ragazzi possano fare amicizia" sorrise mia madre. 
Dylan ricambiò il sorriso, poi si rivolse a me: "Vuoi che ti aiuti a portare le valige in camera? Almeno non devi trascinarle su per le scale" mi propose. Accettai. 
Le scale della casa erano in legno e scricchiolavano in modo sinistro ad ogni gradino che Dylan ed io facevamo. Piuttosto inquietante. 
La stanza che avevo scelto era piuttosto spaziosa, con una finestra che dava sul giardino e sul bosco. Era luminosa e mi piaceva molto. 
Quando Dylan depositò anche l'ultima valigia sul pavimento della camera, fece un sospiro di sollievo. "Certo che erano proprio pesanti!" esclamò. Ridacchiai. 
"Dove abitavi prima?" mi chiese.
"Whistler, a una mezz'oretta da qui".
"Carina Whistler, è una località di villeggiatura". Annuii. 
"Pensi che ti mancherà?" mi chiese.
"Forse è un po' presto per dirlo, ma.. sì, so già che mi mancherà" ammisi. 
"Lo immagino, anche se comunque è vicina e puoi tornarci quando vuoi".
"Sì lo so" mormorai. Mi sarebbe mancata la mia vecchia casa, ne ero certa, soprattutto la mia cameretta nella mansarda. 
"Stasera io e un paio di amici andiamo a bere qualcosa al Tex, un pub qua vicino. Se vuoi unirti a noi.." propose. Non sapevo che dire, sono sempre stata una ragazza piuttosto timida e trovarmi in mezzo a tre o quattro ragazzi che non conoscevo mi spaventava un po ' anche se Dylan non era certo un tipo che metteva in soggezione, anzi mi sembrava di conoscerlo da sempre.
"Puoi portare anche Jared, sempre che voglia venirci" aggiunse Dylan.
"Proverò a chiederglielo. Ti faccio sapere. Mi lasci il tuo numero? Così ti scrivo un messaggio" e ci scambiammo i numeri. Forse farsi nuovi amici a Soulsville non era così complicato.

Rieccomi con un altro capitolo! Anche questo è un po' breve, mano a mano che la storia prosegue i capitoli diventeranno sempre più lunghetti, inoltre cercherò di impiegare meno tempo a pubblicare, max 2 giorni in media. Ringrazio le ragazze che hanno recensito! Un bacione e al prossimo capitolo ;)

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Capitolo 4
*** Scheletri nell'armadio ***



Nella foto: Jared Myers


Scheletri nell'armadio


Come supponevo, Jared non volle venire al Tex. 
"Che ci dovrei venire a fare? Per stare con quella palla al piede di McColeen e dei suoi amichetti mezzi scemi? No, grazie, preferisco andarmene a letto". Sbuffai: era davvero un brontolone!
"Sarebbe meglio che non ci andassi nemmeno tu" aggiunse poi.
"E perché?" gli chiesi. Parve quasi in imbarazzo nel rispondere. 
"Be'.. perché lui è un tipo.. un tipo da non frequentare troppo, ecco" mugugnò Jared, sdraiandosi sul suo letto e accendendo la TV. 
"Sì, ma il motivo qual è?" insistetti.
"Perché è così e basta. So quel che dico, lo conosco da anni" rispose lui, arcigno. Decisi di non indagare oltre. 
"Io invece ho voglia di uscire e conoscere gente nuova, quindi uscirò. Buona notte" gli dissi. Il mio fratellastro, in tutta risposta, mi lanciò un'occhiataccia e io uscii dalla sua stanza.

Mentre mi preparavo, inviai un messaggio a Dylan dicendo che sarei uscita assieme a lui e ai suoi amici.
"Perfetto. Scrivimi quando sei pronta, scendo di casa e ci avviamo insieme" mi rispose. Perfetto.
Decisi di indossare un paio di jeans, degli scarponcini e un maglioncino rosso scuro. Faceva piuttosto freddo a Soulsville ed era meglio coprirsi. Sopra indossai il mio solito giubbotto di pelle nero. Decisi di non truccarmi troppo: gli abitanti di Soulsville non erano certo dei tipi con la puzza sotto il naso. In pochi minuti fui pronta.
Scesi le scale e salutai mia madre ed Adam: erano sul divano e stavano guardando un film.
"Esci con Dylan McColeen, il ragazzo che abita nella villetta qui accanto?" mi domandò Adam, un po' sospettoso. Non capivo per quale motivo padre e figlio non vedessero di buon occhio Dylan, a me sembrava un tipo a posto.
"Sì, mi ha chiesto di fare una bevuta assieme ai suoi amici".
Mia madre era entusiasta all'idea che mi facessi nuovi amici mentre Adam non riusciva a nascondere la sua diffidenza verso quel ragazzo.
"Fa attenzione, Soulsville non è un posto rassicurante la notte" si raccomandò il mio patrigno.
"Certo" risposi io e uscii.
Dylan era davanti al mio porticato che mi stava aspettando. 
"Di solito le ragazze ci mettono una vita a prepararsi, tu sei stata quasi più veloce di me" osservò lui ridacchiando. 
"Probabile che sia tu ad essere un narcisista che passa ore davanti allo specchio" scherzai io.
"Può darsi. Dici che sono abbastanza fashion così?" rise lui, fingendo di aggiustarsi i capelli. 
"Sì, decisamente trendy" ridacchiai io.
Ero contenta di non dover fare la strada che porta da casa mia al Tex da sola. Ci si impiegava poco tempo, ma il percorso era piuttosto buio (Soulsville la sera non ha assolutamente un'illuminazione decente) e costeggiava il bosco. Dopo aver sentito le voci che giravano su di essa, avevo davvero fifa di quella foresta. 
"Quella foresta è davvero inquietante" osservai e un brivido mi percorse la schiena.
"È per via di quella leggenda che gira qui a Soulsville, vero? Anime che vagano per il bosco. Non preoccuparti, il massimo che puoi trovare in quel bosco è qualche bestia feroce" scherzò Dylan. Molto rassicurante, pensai.
"Tu non ci credi?" gli domandai.
"Non sono il tipo che crede nel paranormale. Soulsville può spaventare chi non ci è abituato perché di notte sembra una cittadina fantasma, buia, vuota, ma è dei vivi che bisogna preoccuparsi, non dei morti. E poi sei con me, no? Se arriva qualche fantasma ti proteggo io" e mi fece l'occhiolino. Più avanti avrei scoperto che aveva ragione, è dai vivi che bisogna guardarsi, non dai morti.

Il Tex era un pub piuttosto grande per essere Soulsville così piccola, in effetti era praticamente anche l'unico luogo di ritrovo dei giovani del posto. Era frequentato per lo più da ragazzi della mia età che bevevano birra, mangiavano hamburger, ascoltavano la musica rock che veniva trasmessa e giocavano a biliardo in un angolino. Gli amici di Dylan erano un ragazzo e una ragazza suoi coetanei: Mark e Gwen. Mark era un tipo un po' silenzioso, abbastanza timido, sembrava perennemente in imbarazzo. Aveva i capelli biondi, la pelle talmente chiara da sembrare trasparente e aveva gli occhi un po' distanziati tra loro, di un azzurro chiarissimo. Gwen invece era una ragazza skater un po' maschiaccio, vestiva larghe felpe e pantaloni fuori misura per lei, portava i lunghi capelli castani raccolti in modo disordinato e niente trucco in viso. A differenza di Mark era molto estroversa e diceva tutto quello che le passava per la testa senza preoccuparsene troppo. Era brava a giocare a biliardo più di Dylan e Mark. 
Mark era figlio di un amico di famiglia dei genitori di Dylan e scoprii che lavorava alla tavola calda di Upton, l'amico di Adam che aveva accettato di assumermi come cameriera, quindi presto saremmo diventati colleghi.
"Qui a Soulsville tutti conoscono tutti, succede così nelle cittadine molto piccole" mi spiegò Dylan. 
"Sì, quindi se qualcuno ti sta sul cazzo è un problema perché significa che ti sta sul cazzo più o meno un terzo della popolazione di Soulsville" scherzò Gwen prima di sorseggiare la sua birra. Risi.
"Come ti trovi a vivere con i Myers?" chiese la ragazza "non mi sono mai sembrati tipi particolarmente ospitali".
"Non male per ora, anche se è solo il primo giorno.. diciamo che sono piuttosto silenziosi" risposi. Jared e Adam erano conosciuti da tutta la cittadina come gente antipatica. 
"Non ne dubito, io ero in classe con Jared Myers e giuro, non ci siamo mai scambiato una parola, davvero, nemmeno per dire, che ne so: mi passi la penna? oppure: che compiti ci sono per venerdì? È un tipo che se ne sta sempre per i fatti suoi" affermò Gwen. Non faticavo a crederle, anche io che ero la sua "sorellastra" faticavo ad avere un dialogo con lui.
"Non giudichiamolo, prima che sua madre morisse era un pochino più socievole, poi si è chiuso completamente in se stesso" replicò Dylan. Malgrado non ci andasse particolarmente d'accordo, Dylan non disprezzava Jared, anzi lo comprendeva.
"Anche mia cugina è orfana di madre e nonostante non sia più allegra come prima che succedesse non è diventata una musona che non apre mai bocca. Myers è proprio fatto così, anche suo padre è come lui" ribatté convinta Gwen.
"Gwen, non è il massimo criticare i Myers in questo modo! Claire ha appena iniziato a vivere con loro, finirai per influenzarla negativamente" si intromise Mark.
Gwen continuò imperterrita:
"Mi dispiace Claire, ma chi mi conosce sa che dico sempre quello che penso. Non mi sono mai piaciuti i Myers e secondo me, anzi, dovresti tenere gli occhi aperti con loro. Sono gente con scheletri nell'armadio, quelli"
"Gwen, smettila! Stai esagerando" la rimproverò Dylan, stanco delle accuse che Gwen stava rivolgendo al mio patrigno e al mio fratellastro.
Gwen ammutolì, poi, dopo qualche secondo, fece:
"Scusami Claire, non farci caso".
La serata proseguì senza troppi intoppi, senza che il discorso relativo ai Myers venisse più sollevato.

Rieccomi con un nuovo capitolo! Anche qui in realtà non succede granché, diciamo che abbiamo introdotto ancora un pochino il personaggio di Jared e quello di Dylan, l'azione e i misteri inizieremo a vederli già dal prossimo capitolo. Spero che vi sia piaciuto, ringrazio le ragazze che hanno recensito e vi mando un bacione! Ciao! :)

 
 

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Capitolo 5
*** Spaventose apparizioni ***



 


Spaventose apparizioni 
 

Ad un tratto, mentre me ne stavo al buio, nel mio letto, cercando di prendere sonno, udii un rumore. Mi strinsi nelle coperte, inquieta. Non capivo cosa potesse essere stato a provocarlo, sperai fosse solo il vento. Tentai di chiudere di nuovo gli occhi, ma non ci riuscii, continuavo a tenerli sbarrati. 
Mi alzai a sedere sul letto, cercando di captare ogni singolo rumore. Niente. L'unico rumore udibile era il ticchettare della sveglia appoggiata sul mio comodino. Tic tac, tic tac. Anche quel suono mi sembrava sinistro. Guardai l'ora: erano le tre in punto. 
D'istinto guardai dalla finestra, in direzione del mio giardino e del bosco. D'un tratto mi parve di cogliere un movimento tra le fronde, come una sagoma che si muoveva. Guardai meglio. Nulla. 
TOC. 
Di nuovo un rumore si udì dal piano di sotto, questa volta forte e chiaro. Sussultai. Sembrava il rumore di qualcuno che bussa al portone. 
Per infiniti secondi, di nuovo silenzio. Ansia, angoscia, panico, ero tentata di gridare, ma non lo feci. Non volevo svegliare Adam e mia madre per un nonnulla. Magari non era niente di che e avrei semplicemente fatto la figura della fifona isterica.
TOC TOC TOC. 
I rumori si ripeterono per tre volte consecutive, ravvicinatissime. Iniziai a tremare, rimanendo immobile per la paura. 
TOC TOC TOC. TOC TOC TOC. 
I rumori erano diventati sempre più forti. Era qualcuno che bussava con violenza al portone di casa, ormai era chiaro. Mi domandai come Adam, mia madre e Jared potessero non sentire. Ero completamente in preda al panico, sudavo e tremavo vistosamente, annaspavo alla ricerca di aria, la paura mi bloccava il respiro. 
Decisi di farmi forza e dalla finestra guardai verso il giardino. Il porticato era riparato da una tettoia che non permetteva di vedere chi si trovasse di fronte al portone. All'improvviso la vidi sbucare da sotto il porticato. Si era allontanata dal portone e si era messa proprio sotto la mia finestra e mi stava fissando. Era una giovane donna, pallida, smunta, vestita con un lacero abitino nero. I lunghi capelli scuri erano scarmigliati, il viso era sporco di terriccio: sembrava un cadavere rimasto sepolto per un po' di settimane sotto terra. 
Mi portai una mano alla bocca e trattenni a malapena un urlo. D'un tratto la ragazza si diresse di nuovo verso il mio portone, sparendo alla mia vista, coperta dalla tettoia del mio porticato. Aspettai di udire di nuovo il rumore delle sue nocche contro il mio portone, ma con mio sommo terrore udii, invece, bussare proprio alla porta di camera mia. Mi sentii in trappola. Mi nascosi sotto le coperte, testa compresa, tremando, piagnucolando, sperando che se ne andasse. Nel frattempo i colpi contro la mia porta erano diventati sempre più forti, più violenti, temevo riuscisse a sfondarla. 
Dopo un po', mi resi conto che il rumore era completamente cessato. 
Timidamente sollevai il piumone dalla mia testa e riemersi da sotto le coperte. 
Lei era lì davanti a me, inginocchiata proprio di fronte al mio letto, il suo viso spaventoso a dieci centimetri dal mio e mi fissava con uno sguardo freddo, vitreo, vuoto. Gridai. Gridai più forte che potei.

"Claire! Claire, svegliati, per l'amor di Dio, svegliati!" era mia madre che gridava e mi scuoteva. 
Riuscii ad aprire gli occhi, finalmente. Adam, mia madre e Jared erano tutti in piedi, tesi sopra di me, che cercavano di svegliarmi.
"Bene, si è svegliata" osservò nel suo solito modo neutro Adam, col suo vocione.
"Claire, tesoro, è stato solo un brutto sogno. Non devi avere paura, ci siamo noi con te" mi rassicurò mia madre, abbracciandomi. La tenni stretta. Ero ancora molto scossa: non avevo mai avuto un incubo così terrificante e reale.
"Ho.. ho sognato una ragazza, mamma. Lei era morta, era.. era una specie di cadavere ambulante ed era riuscita ad entrare in camera mia e mi fissava! Aveva uno sguardo vuoto, le orbite completamente bianche, era.. Era spaventosa!" tentai di spiegare balbettando, continuando ad abbracciare mia madre. 
"Le storie di fantasmi che girano qui a Soulsville devono averla turbata" osservò Jared, guardandomi.
"Tutte stupidaggini per terrorizzare la gente, dannazione all'imbecille che ha inventato la storia dei fantasmi che si aggirano nel bosco la notte" mugugnò Adam. 
Dopo avermi tranquillizzata un po', mia madre se ne tornò a letto, seguita da Adam. Nel momento in cui spense la luce, la paura tornò ad impossessarsi di me. Jared, che non era ancora uscito dalla mia stanza chiduendosi la porta alle spalle, se ne accorse.
"Vuoi che rimanga a dormire con te?" mi chiese nel suo solito tono impassibile.
"Cos.. Come?" esclamai io. Dormire con lui? Nello stesso letto?
"Tremi ancora come una foglia, dubito che riuscirai a riprendere sonno, qui al buio, da sola, dopo esserti presa uno spavento del genere. Se vuoi posso rimanere a dormire con te". Non sapevo che dire, ero decisamente imbarazzata all'idea.
"Tranquilla" mi rassicurò lui, vedendomi sulle spine "non ho intenzione di violentarti". Risi. 
Tutto sommato aveva ragione, meglio dividere il letto col mio fratellastro musone e asociale che rischiare di rimanere tutto il resto della notte sveglia, a tremare di paura. 
"Va bene, d'accordo.." acconsentii timidamente. 
Come se niente fosse, Jared si infilò nel mio letto, coprendosi fino al collo. 
"Grazie, è molto carino da parte tua" gli dissi. Ero sincera, lo pensavo sul serio: per come la vedevo, quella era una delle cose più carine che qualcuno avesse mai fatto per me, nemmeno mia madre si era offerta di farmi dormire con lei. 
"Di niente" rispose lui col suo solito modo da orso, poi si voltò dall'altra parte, dandomi la schiena.
Be', perlomeno non ero sola.
La paura ormai mi era passata completamente e, dopo appena un quarto d'ora circa, riuscii a piombare in un sonno tranquillo e senza sogni.

Quando mi svegliai, Jared non era più sdraiato al mio fianco. 
Erano le otto, la sveglia stava suonando. La spensi. 
I raggi del sole inondavano di luce la mia camera. Non c'era più nulla di cui aver paura.
Da di sotto sentivo provenire il rumore dei cucchiaini che venivano agitati nelle tazze: Adam, mia madre e Jared stavano facendo colazione. Mi alzai in piedi. Quello era il mio primo giorno di lavoro.
Mi vestiti, andai in bagno a lavarmi il viso e i denti e scesi in cucina.
"Buongiorno tesoro" mi salutò mia madre "dormito bene? Passata la paura?".
"Sì sì, passata". Jared mi guardava, studiando il mio umore. 
"Sei stato carino, Jared, a fare compagnia a Claire" aggiunse mia madre. Arrossii. La cosa era imbarazzante, insomma avevamo dormito insieme come se fossimo una specie di coppia. Mia madre sembrava non fare minimamente caso alla cosa, sembrava più turbato Adam. 
"Ho visto che era ancora molto scossa e ho immaginato che non sarebbe riuscita a prendere sonno, spaventata com'era, perciò non mi sono sentito di lasciarla da sola al buio" rispose Jared, impassibile.
"Hai fatto bene, sei stato molto altruista" gli sorrise mia madre, porgendogli una frittella. 
Mi sedetti accanto al posto vuoto che immaginai fosse di mia madre che stava cucinando. 
Adam accese la piccola TV poggiata su di un ripiano della cucina. C'era il notiziario.
"Passiamo alla cronaca del distretto regionale. Rebecca Jones, diciotto anni, è scomparsa tre giorni fa da Brown County. Continuano le indagini della polizia". Accidenti, Brown County distava pochissimo da Whistler e da Soulsville. 
"Avevo lavorato anni fa con Amanda, la madre di quella ragazza! Santo cielo, non sapevo che sua figlia fosse scomparsa" esclamò mia madre. 
"Indagato per la scomparsa della ragazza il suo fidanzato, Brian Miller, ventunenne di Whistler. Al momento sembra che il giovane non abbia un alibi consistente. I due giovani avevano partecipato ad una festa in un pub di Whistler la sera di Halloween, poi, secondo il racconto del ragazzo, si erano recati, assieme ad alcuni amici, a visitare una villa che si racconta sia infestata nel bosco di Soulsville, una cittadina a pochi chilometri da Whistler e da Brown County". 
Ebbi un sobbalzo. Soulsville? Casa infestata nel bosco? 
"Brian Miller dice che ad un certo punto ha perso tutti gli altri amici che, probabilmente spaventati da qualcosa, sono scappati in macchina lasciandolo indietro. Brian ha cercato Rebecca nella casa e ha sentito degli strani rumori, come di una bestia che ringhia e ha sentito gridare la sua ragazza. Ad un tratto dice di essere stato aggredito da un'ombra nera simile ad un orso o a un grosso lupo, ma è riuscito ad uscire dalla casa illeso e a raggiungere la stazione di polizia di Soulsville dove, visibilmente scosso, ha raccontato la sua versione dei fatti agli agenti".
Questa storia non mi piaceva affatto. Mentre la telecronista parlava, scorrevano sullo schermo le foto del bosco di Soulsville e quelle della casa infestata: una grande villa sperduta nel bosco che faceva paura solo a guardarla. Poi venne mostrata una foto della ragazza scomparsa e qui ebbi un sussulto: era la ragazza che avevo sognato la notte precedente!
"È lei!" esclamai "è la ragazza che ho sognato questa notte, ne sono sicura!".
"Non è possibile, come fai a sognare qualcuno che non conosci?" chiese mia madre incredula.
"Non lo so, ma sono sicura fosse lei". Ero convinta di quel che dicevo.
"Assurdo" mi smontò mia madre "Sei ancora sconvolta da quel sogno, non è possibile che tu abbia sognato un fantasma". Perché non mi credeva?
"Tua madre ha ragione, non è possibile, te ne stai convincendo ora perché ti senti ancora addosso il terrore provato stanotte. Stai tranquilla, i fantasmi non esistono" aggiunse Adam.
"Forse sei molto impressionabile, le storie di fantasmi che girano a Soulsville devono averti turbata e ora, rimasta traumatizzata da quel sogno, ti sei convinta di aver visto quella ragazza" concluse Jared. Perfetto, nessuno mi credeva.
Troppo spaventata dalla scoperta che avevo fatto, mi alzai da tavola senza riuscire a finire la mia colazione e, dopo aver salutato tutti, mi recai al lavoro.

Ciao a tutti! Rieccomi con un nuovo capitolo! Chiedo scusa se ho postato con un po' di ritardo rispetto al solito, ma sono stata qualche giorno fuori città :) Finalmente iniziamo a vedere qualche cosa di veramente strano e il mistero si infittirà nei capitoli successivi..
Ringrazio come sempre chi mi segue e le ragazze che recensiscono, un bacione a tutti, al prossimo capitolo :D

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Capitolo 6
*** La casa infestata ***




La casa infestata


Non era male lavorare per l'amico di Adam. Voleva a tutti i costi che lo chiamassi per nome, Bill. Era cordiale e alla mano e sembrava avermi presa subito a benvolere. 
Mark non era molto sveglio sul lavoro, era piuttosto lento e a volte sbagliava le comande. Tuttavia Bill non se la prendeva più di tanto.
Intorno a mezzogiorno e mezza, il locale si riempì di gente: erano tutte persone che staccavano dal lavoro e facevano la pausa pranzo. 
Feci anche un incontro inaspettato.
"Hey, buongiorno Dylan!"
"Hey Claire! Come va il tuo primo giorno di lavoro?" mi chiese, sorridendomi. 
"Molto bene, anche se oggi sono un pochino scossa.."
"Perché? Ti ha sconvolto uscire con i miei amici?" scherzò lui.
"No, è che ho fatto un brutto sogno questa notte e mi ha lasciata tutta fuori fase".
"Oh, mi dispiace. Troppe storie di fantasmi qui a Soulsville, devono averti scombussolata".
"Già, deve essere stato quello" risposi, non del tutto convinta. Io ero ancora quasi certa di aver sognato proprio la ragazza scomparsa. Magari non era solo un sogno, magari il suo fantasma era venuto a cercare proprio me. Ma per quale motivo? 
"Se ti va possiamo vederci quando stacchi, almeno ti svaghi un po'. Ti va?" mi chiese lui.
"Certo, perché no? Io stacco alle tre e riprendo alle sette".
"Perfetto. Io lavoro nel negozio qui all'angolo, stacco alle cinque. Se vuoi passo a prenderti a casa oppure ci diamo appuntamento in un posto". Non avevo molta voglia di far sapere a mia madre che uscivo con Dylan, mi avrebbe fatto un sacco di domande come suo solito, immaginandosi già che fosse il mio ragazzo. Per di più Adam e Jared non sembravano approvare affatto che io avessi fatto amicizia con lui. 
"Potremmo anche incontrarci in un altro posto e fare una passeggiata" proposi io.
"Be', allora potremmo vederci al parco, cosa ne dici?"
"Dov'è il parco?".
"È proprio qui dietro, giri l'angolo, attraversi, prosegui dritta per un centinaio di metri e lo trovi" mi spiegò. Mi parve un'ottima soluzione.
"Perfetto, ci vediamo lì allora. Be' cosa vuoi mangiare?" chiesi sorridendogli.

Mi presentai al parco alle cinque e sei minuti. Ero leggermente in ritardo, ma ancora Dylan non era arrivato. In quella città persino il parco giochi era un po' inquietante. Il sole stava iniziando a calare e c'era solo una bimba con sua madre che giocava sull'altalena. I cigolii dell'altalena, i rumori delle foglie secche spostate dal vento, l'abbaiare dei cani in lontananza: tutti i rumori, a Soulsville, erano leggermente sinistri. Magari ero solo io a vederli così perché ero una fifona.
Dopo qualche minuti ecco arrivare Dylan, con un giubbotto di pelle nero, una tuta grigia e scarpe da ginnastica. 
"Sei piuttosto puntuale tu, eh?" mi face, sorridendo. Aveva davvero un bel sorriso quel ragazzo e sembrava sempre di buonumore. Metteva di buonumore anche me.
"Eh sì, con una madre puntuale e ordinata come la mia non potevo nascere diversamente" risposi. 
"Allora? Ti sei ripresa dalla paura del brutto sogno?" chiese sedendosi di fronte a me, sulla piccola giostrina girevole per bambini.
"Un po' sì, ma non del tutto".
"Caspita, dev'essere stato proprio tremendo questo sogno per esserti rimasto impresso tutta la giornata".
"Decisamente sì.. soprattutto perché temo non sia stato solo un sogno" balbettai. Se glielo avessi raccontato ero sicura che nemmeno lui mi avrebbe creduta.
"Se ti va puoi raccontarmelo" mi disse. Lo guardai per qualche secondo negli occhi, indecisa sul da farsi, poi decisi di raccontargli tutto, dubbi su Rebecca Jones compresi.
Mi ascoltò attentamente senza fare domande. Sembrava impressionato, mentre io credevo mi avrebbe riso in faccia. Era molto serio e sembrava non prendere sotto gamba ciò che gli stavo dicendo.
"Ogni tanto qualche comitiva di amici si avventura nella vecchia villa dei King, ma è molto raro perché tutti ne hanno paura e ne stanno alla larga. Si dice sia infestata, non so se sia vero o meno, come ti ho detto ieri io sono piuttosto scettico riguardo a fantasmi e fenomeni paranormali" fece lui, quando ebbi finito di raccontare. 
"Perché si dice sia infestata? Qualcuno ha visto realmente qualcosa?" domandai.
"Ci sono vari racconti alla riguardo, c'è chi giura di aver visto il fantasma di una ragazza alla finestra, chi dice di aver visto aprirsi la porta dal nulla mentre si trovava lì davanti, chi dice di aver sentito le urla di dolore. Personalmente penso che siano invenzioni per essere al centro dell'attenzione oppure illusioni causate dalla paura. Se vuoi ti racconto la storia della casa". Ero curiosa, anche se un po' spaventata. Gli dissi di sì. 
"Molto bene, ma non dare la colpa a me se stanotte farai di nuovo brutti sogni" rise. Gli promisi che non avrei dato la colpa a lui. Poi iniziò il racconto.


 

"Nella vecchia casa infestata, negli anni sessanta, ci abitavano i King, una famiglia benestante composta da padre, madre e due figlie: una adolescente, di quindici anni circa, l'altra ancora bambina, di nove o dieci anni. 
I King erano una famiglia estremamente religiosa, bigotta, bacchettona. Avevano mandato le loro figlie in un piccolo istituto privato diretto da suore qui a Soulsville, frequentato esclusivamente da ragazze. I genitori temevano che le figlie potessero conoscere dei ragazzi e disonorarsi.
Mentre la più piccola delle due era una ragazzina molto ubbidiente e aveva già espresso, nonostante la tenera età, il desiderio di entrare in convento, la maggiore era una ragazza testarda e ribelle, per di più era molto carina quindi era esposta al "rischio" di essere corteggiata dai ragazzi.
La più piccola fece la spia e raccontò ai genitori che la più grande aveva un fidanzatino, un ragazzo di qualche anno più grande, che abitava vicino al loro istituto e che aveva iniziato a corteggiarla quando lei usciva da scuola. 
I genitori andarono su tutte le furie e, temendo che la ragazza potesse perdere la sua verginità o comunque guadagnarsi la nomea di svergognata, la mandarono da uno psichiatra e neurologo, un uomo conosciuto come "Lo scienziato pazzo di Soulsville". Lo scienziato pazzo dirigeva il manicomio di Soulsville e tutti sapevano che utilizzava metodi poco ortodossi per curare i suoi pazienti. Elettroshock, lobotomie, strani esperimenti, c'è chi sospettava fosse anche interessato all'occultismo e all'esoterismo. 
Non si sa cosa il dottore fece alla ragazzina, ma dopo la sua cura era diventata completamente apatica, mangiava poco e niente, sembrava quasi non riconoscere i suoi familiari, non parlava praticamente più, a volte rideva istericamente da sola. 
I genitori se ne rammaricarono, ma ormai era troppo tardi, il danno era fatto. 
Una notte, la ragazzina prese un grosso coltello dalla cucina, salì in camera dei genitori che dormivano e li uccise barbaramente, poi uccise la sorellina, infine si tolse la vita gettandosi dalla finestra. Da allora si dice che la casa sia infestata. 
Prima che venisse abbattuto, una ventina di anni fa, si diceva che anche il manicomio dove lavorava lo scienziato pazzo fosse infestato. 
Spero di non averti terrorizzata troppo, Claire, sei un po' pallida..".
Non faticavo a crederlo, la storia mi aveva impressionato tantissimo. 
"Be', è una storia piuttosto spaventosa, effettivamente.." ammisi.
"Se vuoi una volta ti porto a visitare la casa" rise Dylan, dandomi una leggera spinta con la spalla.
"No, grazie, non ci tengo" risposi io, ridacchiando forzatamente. 
"Non potrei anche se volessi: la casa è stata chiusa al pubblico, c'è la polizia che sta indagando per la scomparsa di quella ragazza. Immagino l'abbiano recintata con quei nastri gialli che si vedono in CSI" disse lui "ieri ho visto una macchina della polizia ferma proprio qui, davanti al parco. Immagino stiano setacciando tutto il bosco".
Mi voltai. Dietro il parco si estendeva il bosco. L'area boschiva di Soulsville era troppo grande per i miei gusti. 
"Cambiamo argomento, dai, ti vedo un po' troppo spaventata per continuare a parlare di gente pazza e spiriti. Come ti trovi a vivere con i Myers?" mi chiese.
"Abbastanza bene, alla fin fine non sono poi così scorbutici come sembrano". Ripensai a Jared che quella notte era rimasto a dormire accanto a me per tranquillizzarmi. 
"Non penso siano gente cattiva, in fondo, sono solo un po' scontrosi" convenne lui "Li conoscevi bene prima che tua madre sposasse Myers?".
"No, Adam restava ogni tanto a dormire da mia madre, ma se ne andava sempre prima che mi svegliassi io. Jared lo avevo visto pochissime volte".
"Sai, Soulsville è piccola e qui i pettegolezzi fanno presto a girare. Qualche anno fa si era venuto a sapere che Myers si era fidanzato con una donna di Whistler e che Jared non l'aveva presa bene, inizialmente" spiegò Dylan. Questo già lo sapevo, Jared vedeva mia madre come un'intrusa, ecco perché Adam e mia madre non erano mai potuti andare a convivere prima di allora. Solo quando Jared aveva accettato la situazione avevano deciso di sposarsi.
"Dylan, com'è morta la madre di Jared?" gli chiesi.
"Adam non lo ha mai raccontato a tua madre?" si stupì lui "È stata sbranata da un animale". Rimasi gelata. Sbranata? Soulsville era per caso la cittadina delle morti violente?
"Sbranata?" domandai incredula.
"Sì, lei faceva l'infermiera nell'ospedale di Soulsville e mentre tornava a casa dopo aver fatto il turno di notte, percorrendo una via che costeggia il bosco, è stata sbranata da un animale, probabilmente un grosso cane o forse un lupo, anche se è più improbabile: il bosco di Soulsville è piuttosto piccolo e da quel che ne so non ci sono lupi, o perlomeno ce ne sono pochissimi e non si avventurano mai fino in città, ma restano nascosti nella macchia". Ottimo, quindi oltre a fantasmi e case infestate a Soulsville c'erano anche lupi e cani insolitamente feroci? Sempre meglio..
Dopo un po' chiesi a Dylan:
"Dylan, tu che ne pensi del mio sogno? Secondo te è possibile che io abbia visto davvero la ragazza scomparsa?".
Ci pensò un attimo su, poi rispose: "Secondo me è più una specie di illusione generata dalla paura del sogno, hai ricollegato la ragazza dell'incubo a Rebecca Jones. Stai tranquilla, i fantasmi non esistono, anche gli abitanti di Soulsville, nonostante le leggende e i racconti spaventosi, non hanno prove che dimostrino la loro esistenza. Dormi sonni tranquilli". Mi sorrise, rassicurante. 
"Ti va di prendere un pezzo di pizza qui nella pizzeria vicina?" Mi chiese.
Accettai volentieri, un pezzo di pizza forse sarebbe riuscito a distrarmi dai miei incubi.

Rieccomi con un nuovo capitolo! Spero che la storia della casa infestata sia riuscita a risultare sufficientemente inquietante XD
Come sempre ringrazio chi mi segue e chi mi recensisce. Un bacione a tutti :)

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Capitolo 7
*** Il ritrovamento ***





Il ritrovamento


Stavo guardando il notiziario del distretto regionale delle sei mentre aspettavo di andare a lavoro. Fuori pioveva ed ero sola in casa. Adam e mia madre sarebbero tornati entrambi verso le sette, mia madre forse ancora più tardi perché aveva delle pratiche da sbrigare in ufficio. Jared invece staccava alle sei da lavoro, sarebbe stato lì a momenti.
Stavano dando le notizie di economia, di lì a poco sarebbero passati alle notizie di cronaca. 
In quel momento rientrò Jared, tutto bagnato di pioggia, i lunghi riccioli neri completamente zuppi.
"Sei tutto bagnato! Aspetta, ti prendo un asciugamano" gli dissi, salendo in direzione del bagno.
"Non c'è problema, faccio da solo" replicò lui, ma io ormai ero già salita su per le scale scricchiolanti. 
Presi un asciugamano pulito in bagno e scesi di nuovo da lui. 
"Tieni, asciugati" dissi porgendogli il grande asciugamano che avevo preso.
"Grazie, ma non ce n'era bisogno" fece lui, accennando una specie di sorriso. Penso fosse la prima volta che lo vedevo con un'espressione diversa dal solito broncio. 
"Passiamo ora alla cronaca nera. Questa mattina è stato ritrovato nel bosco di Soulsville il cadavere di Rebecca Jones, la ragazza scomparsa quattro giorni fa da Brown County. La polizia non ha ancora rilasciato dichiarazioni, ma sembra che la giovane sia stata uccisa in modo particolarmente violento, il suo corpo è stato ritrovato in condizioni talmente terribili da renderne molto difficoltoso persino il riconoscimento. Dopo l'autopsia si riuscirà a sapere qualcosa di più e forse si potrà anche identificare il killer. Per ora, l'unico sospettato è il ragazzo della vittima, Brian Miller, che continua a dichiararsi innocente".
Jared sembrava molto interessato. Rivedendo di nuovo sullo schermo il viso della povera Rebecca, mi convinsi (o, per meglio dire, cercai di autoconvincermi) che non fosse il suo il volto che qualche notte prima avevo sognato. Quell'incubo era stato solo una conseguenza della mia impressionabilità quando sentivo storie di fantasmi. 
"Quindi c'è un assassino che si aggira per Soulsville" osservai. Jared non disse nulla, aveva lo sguardo atterrito e perso nel vuoto. Forse la morte violenta di quella ragazza gli aveva riportato alla mente quella di sua madre.
"Mi tolgo questi abiti fradici di dosso e ti porto a lavoro, okay? Ti bagneresti tutta ad andare a piedi, in più di questi è tempi non è bene che una ragazza giri da sola di sera" fece lui infine. 
"Grazie, ma si è già offerto di portarmi Dylan" risposi. 
Jared sbuffò e, senza dire una parola, salì in camera sua. 
Sospettavo che fosse geloso di Dylan: forse era per quello che il nostro vicino non gli andava a genio. Magari Jared era interessato a me. Mi faceva strano pensare che uno scorbutico come lui potesse interessarsi ad una ragazza, era un tale misantropo.. alla fine però era un essere umano anche lui, non era così impossibile che potesse interessarsi a qualcuna.

Alle sei e tre quarti Dylan fece suonare il clacson. Scesi di casa col cappuccio della felpa ben calcato sulla testa e salii sul suo enorme pick-up. Aveva una macchina piuttosto grossa per essere un ragazzo di poco più di vent'anni, supponevo che la sua famiglia fosse agiata. Immaginavo che i suoi genitori fossero divorziati o che la madre fosse vedova perché vedevo solo lei in casa e Lucy, la sorella maggiore di Dylan. La madre di Dylan era una donna molto silenziosa, schiva, non salutava nemmeno mai quando vedeva me o gli altri membri della mia famiglia uscire di casa e lei magari se ne stava in giardino ad innaffiare i fiori o a gettare la spazzatura. Era un po' un alterego femminile di Adam, diciamo. 
"Brutta serata, eh?" fece Dylan.
"Puoi dirlo forte, guarda come piove!". Pioveva davvero fortissimo, la pioggia scrosciava con forza sui vetri dell'auto di Dylan, rimbombava mentre si abbatteva sul cofano. Non era una pioggia, era un diluvio. Per di più, lampi e tuoni completavano il quadro. Se possibile, Soulsville sembrava ancora di più una cittadina da film horror durante il temporale.
"Sai che hanno ritrovato il corpo di Rebecca Jones?" gli chiesi.
"Sì, l'ho saputo dal telegiornale. Mai un attimo di pace a Soulsville, ogni tanto la quiete viene funestata da qualche morte violenta" osservò lui.
"Già".
Non parlammo d'altro, io pensavo a Rebecca e lui, vedendo che me ne stavo per i fatti miei, non disse nulla. Dopo un paio di minuti circa eravamo arrivati a destinazione. 
"Be' ti auguro buon lavoro" fece lui "vuoi che ti passi a prendere più tardi, quando stacchi? Magari ci beviamo una birra insieme".
"Io stacco tardi, questa sera devo fare chiusura quindi prima delle undici non posso..".
"Nessun problema, io non vado mai a letto presto" disse facendomi l'occhiolino. 
"Ok allora, ti mando un messaggio quando stacco. A dopo!" e scesi dalla sua auto.

Fu una serata poco impegnativa, pochissime persone vennero a mangiare nel locale di Bill. Forse il temporale le aveva convinte a restare a casa, al caldo. 
"Allora Claire, queste sono le chiavi. Chiuditi dentro dopo che sarò uscito, non si sa mai chi può entrare. Finisci di mettere tutte le sedie sul tavolo e passa lo straccio in terra, poi stacca il contatore della luce che ti ho già spiegato come funziona e infine esci, richiudi a chiave la porta e tira giù la serranda come ti ho mostrato. Okay?" mi disse Bill.
"Certo, farò tutto come mi hai detto" assicurai. 
"Spero tu non abbia troppa paura a rimanere da sola" disse infilandosi la coppola in testa. 
"No, non preoccuparti Bill, so cavarmela" risposi. In realtà non mi piaceva per niente l'idea di dover rimanere da sola, di notte, in quel locale, ma non avevo scelta.
"Molto bene. Buona notte cara, a domani" mi salutò. 
"Buona notte Bill". Appena uscì dalla porta, mi affrettai a chiudere a chiave e poi mi misi al lavoro.

Dopo circa tre quarti d'ora avevo finito. Guardai il grande orologio appeso alla parete: segnava le undici e tre quarti. Era davvero tardi, speravo che Dylan non si fosse addormentato. Jared mi aveva scritto alle dieci chiedendomi se doveva passarmi a prendere e non aveva risposto nulla quando gli avevo detto che sarebbe passato Dylan. 
Ero davvero molto stanca, stavo seduta ad uno dei tavoli a riposarmi, quando sentii un rumore provenire dallo sgabuzzino. 
Mi alzai e andai nel retro del ristorante: forse avevo riposto male una delle scope nel ripostiglio ed era caduta. Era piuttosto buio e male illuminato il retro del ristorante. Sentii un brivido salirmi lungo la schiena. 
Un po' incerta aprii la porta dello sgabuzzino. Buio pesto. Tirai la catenella che accendeva la lampadina appesa al soffitto e me la ritrovai davanti. Rebecca Jones, pallida e sporca di terriccio sul viso, le orbite completamente bianche, vestita di un camice bianco da ospedale. Mi prese per le spalle e gridai. 
Una botta forte al ginocchio. Mi accorsi di essere caduta dalla sedia. Capii di essermi addormentata sul tavolo del ristorante. Avevo solo sognato. Terrorizzata e dolorante mi rialzai, aggrappandomi al tavolo. Improvvisamente sentii bussare con forza alla porta d'ingresso. Urlai di nuovo. Era Rebecca, era venuta a bussare come nel mio sogno!
"Sono io" sentii gridare da di fuori. La voce di Dylan!
"Claire, mi senti? Sono Dylan!"
"Sì, Dylan, arrivo!" gli gridai di rimando. Corsi ad aprire la porta e appena gli fui davanti lo abbracciai, saltandogli letteralmente al collo.
"Wow, che entusiasmo!" esclamò lui ridendo.
"Ho fatto un sogno orribile, Dylan, l'ho sognata di nuovo! Ho sognato che era nel ripostiglio delle scope e mi aveva presa per le spalle! È stato.. è stato terribile!" piagnucolando, stringendomi a lui e nascondendo il naso nel suo giubbotto di pelle. Mi sentivo come una bambina terrorizzata che si stringe al papà dopo aver fatto un incubo.
"Stai tranquilla, Claire, era solo un brutto sogno. Ora è tutto finito, è passato. Ci sono io con te, ora sei sveglia" mi tranquillizzò lui, accarezzandomi con dolcezza i capelli.
Mi staccai leggermente da lui, così che ci ritrovammo faccia a faccia. Era inevitabile che succedesse, eravamo troppo vicini, potevo sentire il suo respiro sul mio viso. Dylan si avvicinò lentamente a me fino a che i nostri nasi si sfiorano. Rimase così, senza muoversi, per qualche secondo, poi io annullai la distanza tra di noi baciandolo. Lui mi strinse a sé e io mi sentii finalmente al sicuro.
Non dovevo più avere paura: c'era lui con me adesso, l'incubo era finito.

Salve a tutti! So di essere mancata per un bel pezzo, purtroppo a causa di impegni e mancanza di ispirazione avevo mollato tutto, ma ora sono finalmente riuscita a terminare la storia e sono pronta per aggiornarla con costanza! Ringrazio chi leggeva già questa fanfic e chi la legge ora per la prima volta, se vi piace seguitela e se vi va di lasciarmi un commentino sappiate che a me fa tanto piacere. Ciao tutti e un bacione!!

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Capitolo 8
*** Segreti ***





Segreti

Ormai era quasi da un mese che uscivo con Dylan. Le cose andavano a meraviglia, lui era davvero un ragazzo d'oro. Sempre allegro, di buonumore, con lui passavo sempre dei bei momenti, parlavamo di tutto e ridevamo tantissimo.
Jared non aveva fatto i salti di gioia quando lo aveva saputo, anzi non mi rivolgeva quasi più la parola se non per dire cose come "Passami il sale" o "Puoi mettere sul secondo canale? Da qui non arrivo al telecomando". Forse si era preso una cotta per me e ci era rimasto male. Anche suo padre, Adam, non sembrava approvare del tutto. Forse sapeva dell'interesse del figlio nei miei confronti e avrebbe sperato che scegliessi lui.
Una sera Jared mi chiese: "Come va con McColeen?".
"Bene, perché me lo chiedi?".
"Così per sapere" rispose lui, guardando il pavimento. 
"Stai attenta a lui, però. Non è la persona che sembra" aggiunse poco dopo, serissimo, fissandomi. 
"Scusa, perché mi dici questo? Perché hai una così brutta opinione di Dylan? Che ha fatto di male?" sbottai. Non lo capivo proprio, ormai mi ero convinta che cercasse di smontarmi per gelosia.
"Ti dico questo perché conosco Dylan e so che è come suo padre. Ora scusami, ma devo andare" concluse e, infilandosi il giubbotto, scese le scale. 
"Che vuoi dire con questo? Fermati, devi spiegarmelo, non puoi lasciarmi qui così, nel dubbio" gli gridai dietro, seguendolo e scendendo anche io le scale. Jared era già sulla porta.
"Non ho tempo ora, devo vedermi con i miei amici, mi stanno aspettando e sono già in ritardo" mi disse, mentre apriva il portone. 
"Immagino che stasera non esca con te, vero?" mi domandò infine.
"No, aveva una cena con dei suoi ex compagni di classe delle medie" risposi io. Cosa centrava questo?
"Già, ne ero certo" mormorò, poi si chiuse la porta alle spalle, lasciandomi lì come un'ebete.
Udii il rombo della sua motocicletta, poi lo sentii allontanarsi dal nostro garage e scendere in strada, andandosene. 
Che cosa diamine significava tutto questo? Che cosa voleva dire con quella frase? Dylan aveva un'altra? Era risaputo fosse un dongiovanni e io non lo sapevo? Magari era uno di quei ragazzi che prendono in giro le ragazze e aspettano solo che loro si decidano a fare sesso con loro per poi mandarle a quel paese? Probabilmente Jared intendeva proprio dire che Dylan era un ragazzo poco serio: suo padre, infatti, era in uomo che aveva abbandonato la famiglia, probabilmente per fuggire con un'altra donna. Una sera era andato a prendere le sigarette e non era più tornato a casa. Classica scusa per abbandonare la famiglia. D'altronde Sarah, la madre di Dylan, sapeva da tempo che lui aveva un'amante. Molto spesso aveva trovato impronte di rossetto rosso sui colletti delle camicie del marito, ma aveva fatto finta di niente per quieto vivere, per la famiglia, aveva scelto di non chiedere il divorzio per non destabilizzare Dylan, allora adolescente né sua sorella maggiore, Liv.
Ne ero certa, Jared voleva convincermi del fatto che Dylan fosse un poco di buono e che non era uscito con me quella sera perché probabilmente era con un'altra. Ero sicura che stesse bleffando solo perché spinto dalla gelosia nei miei confronti, però ormai aveva insinuato in me il dubbio che Dylan non fosse, il realtà, il bravo ragazzo che mostrava di essere. 
Avevo tantissime domande che mi frullavano in testa, ma decisi di tentare di mettere un freno alle mie preoccupazioni. Erano le otto, di lì a poco mi sarei dovuta vedere con Grace e Beth, le mie migliori amiche. Avevamo appuntamento in un ristorante di Whistler, la mia vecchia città. Avremmo mangiato una pizza insieme e poi saremmo andate in qualche locale. 
Salii in camera a prepararmi. Mi vestii interamente di nero: jeans neri, canotta nera e giacca nera. Mi lisciai i capelli con la piastra, mi truccai leggermente, infilai ai piedi degli stivali con un po' di tacco, mi misi sciarpa e giubbotto e uscii.

Ero contenta di rivedere Grace e Beth: da quando mi ero trasferita a Soulsville ci vedevamo molto meno. Ora ci vedevamo una volta a settimana mentre prima uscivano insieme quasi tutti i giorni. Eravamo ex compagne di classe, eravamo sempre state amiche e lo eravamo rimaste. Grace lavorava come commessa in un negozio di vestiti, mentre Beth faceva la centralinista. Nessuna di noi tre era mai stata particolarmente brillante a scuola e avevamo tutte preferito il lavoro allo studio.
"Non so come tu faccia a vivere a Soulsville, è una città davvero macabra. Per di più ci sono anche bestie feroci che vagano per i boschi!" osservò Grace, rivolgendosi a me. Si era scoperto, infatti, che la povera Rebecca Jones era stata sbranata da un animale, forse un grosso cane o un lupo o addirittura un orso. Niente assassino a piede libero per Soulsville, dunque. 
"A me metteva un po' paura all'inizio, ora non più. Sarà che esco con un ragazzo da un mesetto e sono troppo presa da questo per pensare a leggende e fantasmi". Era vero, da quando uscivo con Dylan non avevo più paura di Soulsville, non avevo più nemmeno fatto sogni terrificanti. Ora però avevo quegli antipatici dubbi su di lui..
"Wow Claire, davvero? Non ci avevi detto niente! Chi è il fortunato?" squittì Beth, entusiasta.
"Sì chiama Dylan, Dylan McColeen". Beth cambiò immediatamente espressione.
"McColeen hai detto? Oddio, proprio lui, Claire?" fece Beth, con aria contrita.
"Sì, lui. Perché? Che c'è che non va? Tu lo conosci?". Usciva anche con lei per caso? Come conosceva Dylan?
"Be', no, non lo conosco.. immagino che sia suo nipote.." balbettò lei.
"Il nipote di chi?" incalzai. Dovevo sapere.
"Il nipote di Gregory McColeen, il famoso "Scienziato pazzo di Soulsville", il neurologo che faceva esperimenti illegali sul cervello e che è stato ucciso dai suoi poveri pazienti del manicomio!".

Salve a tutti, nonostante un lungo periodo di assenza mi sono decisa a tornare a postare capitoli dato che la storia è completa e mi dispiaceva lasciarla a metà.
Vi auguro una buona lettura e fatemi sapere che ne pensate nei commenti! ;)
Grazie!
xoxo

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Capitolo 9
*** Misteriose dicerie ***




Misteriose dicerie

 

"Suo nonno era "Lo scienziato pazzo di Soulsville", vero? Ecco cosa intendevi dire! Ecco perché anche tuo padre è così diffidente nei confronti di Dylan!" sbottai entrando in camera di Jared come una pazza. Era sabato mattina ed erano le undici. Jared ancora dormiva. Era rientrato molto tardi la sera prima e non ero riuscita ad aspettarlo tutta la notte alzata. Stava ancora dormendo della grossa e sobbalzò quando entrai nella sua stanza sbraitando.
"Ti pare il modo di svegliare uno che dorme? Mi hai fatto prendere un colpo, cazzo!" si lamentò. 
"È per questo che non ti sta bene che io lo frequenti?" gli domandai, ignorando le sue proteste per il brusco risveglio.
"Anche" rispose lui, stropicciandosi gli occhi. 
"Anche? Che altro c'è? Perché ieri sera hai tirato in ballo suo padre?".
"Perché anche suo padre era pazzo come suo nonno, sua madre è un'altra pazza, sua sorella pure. È una famiglia di pazzi, insomma. Se vuoi continua pure a frequentarlo, ma poi non dire che non ti avevo avvisata" mugugnò, chiudendo di nuovo gli occhi e cercando di rimettersi a dormire. 
"Un'ultima cosa" dissi, prima di uscire dalla sua stanza "Perché eri così sicuro che ieri sera non sarebbe uscito con me?".
Aprì gli occhi e mi fissò "Perché ieri sera c'era la luna piena". Non credevo alle mie orecchie: aveva davvero sparato una simile stronzata?
"Cioè adesso oltre che il nipote di un neurologo pazzo sarebbe addirittura un lupo mannaro? Soulsville pullula di licantropi, oltre che di fantasmi? Non mi prendere per il culo, Jared!" e sbattei la porta alle mie spalle.

"Povera Molly" esordì mia madre, mentre cucinava il pranzo e io leggevo un romanzo di Jane Austen seduta in poltrona.
"Eh?" feci.
"Sono andata dal parrucchiere stamattina e ho incontrato Molly, una signora che viene sempre lì a farsi i capelli e con cui ormai ho fatto amicizia. È sparito suo padre stanotte".
"Come?" per poco il libro non mi cadde dalle mani. 
"Sì, è uscito per andare a portare a spasso il cane verso le undici di sera e non è più rientrato. Sai come sono gli anziani, a volte si perdono e non riescono più a tornare a casa. Molly è molto preoccupata. Spero solo che non centri niente quell'animale che si aggira nel bosco! Adam è uscito con altri uomini di Soulsville per cercare quel pover'uomo nella foresta e sono un po' preoccupata, anche se sono tutti armati di fucile". 
"Già, lo spero anche io". Continuai a leggere silenziosamente il mio libro senza capire niente di quello che stavo leggendo.

A mezzogiorno e mezza scese in sala Jared, ancora assonnato. Salutò solo mia madre. Si sedette sul divano a guardare la TV e non disse una parola.
Poco dopo tornò a casa anche suo padre. 
"Niente, del vecchio nessuna traccia. I cani sono sempre stati molto agitati per tutto il tempo, ringhiavano ad ogni passo, quasi, ma non sono riusciti a trovare nessuna pista".
"Povera Molly, chissà come sarà in apprensione!" esclamò mia madre. 
"Adesso se ne occuperà la polizia. Lo ritroveranno sicuramente" affermò Adam.
"Speriamo. Il pranzo è pronto, tutti a tavola ora" fece mia madre, spegnendo il gas.

"C'è qualcosa che non va? Non sei la Claire di sempre, sembri preoccupata, c'è qualche problema?" Mi chiese Dylan, accarezzandomi una guancia. Non ero affatto brava a mascherare le mie emozioni e lui si era accorto subito che quel pomeriggio ero davvero strana. 
"Be', sì.. in effetti c'è qualcosa che mi preoccupa".
"Che cosa? Riguarda me?"
"Sì Dylan, riguarda te. Vedi, ho scoperto.. ho scoperto che tuo nonno era Gregory McColeen, "Lo scienziato pazzo di Soulsville"". Ecco, glielo avevo detto. Lui abbassò gli occhi, visibilmente a disagio.
"E così finalmente lo hai scoperto, eh? Te lo ha detto Jared?" chiese mestamente. 
"No, è stata Beth, una mia amica di Whistler". Lui rise amaramente.
"La sua fama era nota anche là?".
"Perché non mi hai detto niente? Perché quando mi hai raccontato la storia dei King non mi hai detto che il neurologo che aveva curato la loro figlia maggiore era tuo nonno?" gli domandai in tono comprensivo.
"Perché è un'eredità di cui non vado fiero! Essere il nipote di un dottore che invece che curare faceva stare peggio la gente, quando non li uccideva addirittura, non è certo una di quelle cose che non vedi l'ora di raccontare alla ragazza che ti piace!" sbottò lui. Riuscivo a capire come si sentisse, sicuramente non era una cosa facile, per lui, da dire in giro, specialmente ad una ragazza per la quale provi interesse. Avere un nonno di quel tipo è come un'etichetta, un brutto marchio. Forse, se lo avessi saputo prima, avrei avuto dei pregiudizi nei suoi confronti e, partendo prevenuta, non sarei riuscita ad apprezzare la persona che era. 
"Ascoltami, Dylan, io non ti giudico. Non mi importa se tuo nonno era " lo scienziato pazzo di Soulsville" o "Jack lo Squartatore". Io voglio te, non tuo nonno, non un tuo trisavolo, ma te, hai capito? E d'ora in poi dimmi sempre tutto, okay? Niente potrà farmi cambiare idea su di te" gli dissi, prendendo il suo viso tra le mie mani. Lui si girò leggermente a destra e baciò teneramente la mia mano. Poi ci baciammo a lungo, sulla panchina del parco giochi, incuranti dei passanti e dei bambini che giocavano vicino a noi. 
Ad un tratto mi staccai da lui. Dovevo chiedergli una cosa, era da un mese che avevo quella curiosità.
"Dylan, volevo chiederti una cosa. È da un po' che volevo chiedertela, ma poi mi scordo sempre di farlo".
"Dimmi tutto" fece lui, continuando a tenermi abbracciata. 
"Perché un mese fa la tua amica Gwen ha detto che i Myers hanno probabilmente degli scheletri nell'armadio?". Lui rise, un po' imbarazzato.
"Non devi ascoltarla, Gwen a volte dice stupidaggini e parla a vanvera".
"Be', ma ce lo avrà un motivo per aver detto questa cosa, no?"
"Ieri sera mi pare ci fosse la luna piena, giusto?" mi chiese. Rimasi interdetta.
"Sì, perché?".
"Jared è rimasto a casa?".
"No, è uscito..".
"Ecco, appunto" fece, serissimo. Poi scoppiò a ridere "Ecco quali voci girano su di lui". Io non riuscii a riderci su.

 

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Capitolo 10
*** Attenti al lupo! ***




Attenti al lupo!
 

Non ci capivo più niente. A sentire Jared, Dylan era un lupo mannaro; Dylan, invece, pensava lo fosse Jared. A dire il vero Dylan aveva soltanto riportato le voci che giravano sul conto del mio fratellastro, in realtà lui non credeva al sovrannaturale. Già riteneva non potessero esistere i fantasmi, figuriamoci creature ancora più strane come i licantropi!
Fatto sta, però, che la sera prima c'era stata la luna piena ed entrambi erano spariti dalla circolazione: per quel che ne sapevo potevano essere entrambi dei lupi mannari.
Ma cosa stavo andando a pensare? I lupi mannari non esistevano, erano solo bestie immaginarie nate da racconti di tradizione popolare. Eppure per tutto il giorno ebbi la testa fra le nuvole: non facevo che pensare a Dylan, Jared e a strane bestie che si nascondevano nel bosco.
Quel sabato sera lavoravo da Bill e c'era stata anche più gente del solito.
"Tutto bene, Claire? Ti vedo spenta oggi" mi incitò lui, entrando nel ristorante alle sette e un quarto, indossando un collare. 
"Che hai fatto Bill? Perché porti quel collare?" gli chiese Angela, la mia collega. 
"Piccolo incidente automobilistico. Niente di rotto, ma tanta paura. 
Ero in macchina da solo, ieri sera, intorno a mezzanotte e stavo tornando a casa dopo aver fatto una bevuta al bar con i miei amici. Ad un tratto mi attraversa davanti una grossa bestiaccia nera". Rimasi impietrita. Avevi sentito bene?
"Una specie di grosso lupo nero, con dei canini esageratamente lunghi che sembravano coltelli. L'ho evitato per un pelo, altrimenti mi avrebbe sfasciato completamente la macchina perché era bello grosso. 
Insomma, io ho inchiodato di brutto e a causa della brusca frenata mi sono incriccato tutto il collo. 
Mi sono ritrovato davanti questa bestia mostruosa, grossa quasi quanto una mucca, che se ne stava lì impalata davanti al cofano della mia macchina a fissarmi da dietro il vetro e ringhiava, coi denti scoperti.
Miracolosamente sono riuscito, più veloce che ho potuto, a ripartire e seminarlo, anche se quella bestiaccia tentava di inseguire la mia auto ed emetteva dei versi gutturali spaventosi.
È stato veramente terribile, se quella specie di mostro fosse riuscito a sfondare i vetri della mia macchina mi avrebbe certamente sbranato! Per fortuna che sono riuscito a darmela a gambe!" spiegò lui. Ero allibita: luna piena, strane bestie..
"Potrebbe essere un lupo mannaro?"azzardai io, titubante. Era giusto per sentire le opinioni in merito della gente di Soulsville. 
"Buona questa, un lupo mannaro!" rise lui "Ad ogni modo secondo me il bosco sta iniziando a pullulare di lupi fuori misura. Sarà per colpa dell'inquinamento, del cambiamento climatico o delle radiazioni, un po' come le zanzare esotiche che invadono l'Occidente, no? Ad ogni modo bisogna fare qualcosa, queste bestie non rimangono confinate nella macchia, ma vengono in città e aggrediscono i cittadini. Bisognerà avvertire le autorità".
La storia del cambiamento climatico che aveva portato i lupi a diventare più grossi e feroci poteva essere una spiegazione plausibile, certo, ma ormai nella mia testa si stava facendo strada la convinzione che o Dylan o Jared fossero lupi mannari. Di conseguenza, c'erano buone probabilità che l'assassino di Rebecca Jones fosse uno dei due. Già, ma chi?

"Seguimi, Claire!".
"Non ci riesco, rallenta!" le gridai. Stavo inseguendo una ragazza nel bosco. Tutt'intorno a me sentivo solo i rumori delle foglie secche che calpestavo al mio passaggio. Era notte ed era quasi buio, solo la luce della luna rischiarava un po' l'ambiente circostante. Alberi, alberi, alberi a non finire. Era inquietante, la foresta di notte, avrei voluto andarmene, ma sentivo che dovevo rincorrere quella ragazza. Non riuscivo a vederla, ma sapevo che era davanti a me. Era velocissima, mi aveva staccata di parecchio. Io avevo il fiatone ed ero madida di sudore. 
Ad un certo punto mi arrestai. Ero di fronte a una vecchia casa disabitata. Era lugubre, spaventosa. Le luci erano accese, ma sembravano fiamme e non lampade: sembrava che lì dentro si stesse consumando un incendio. Per di più sentivo delle urla lancinanti provenire da lì dentro, come di gente che sta venendo massacrata. Era la casa infestata! 
La ragazza era davanti alla porta di ingresso, ad una decina di metri da me. Si voltò: era lei, Rebecca Jones! Aveva il suo solito abitino corto, nero e lacero, pallida in viso e tutta sporca di terriccio. I suoi occhi, però, non erano completamente bianchi, ma erano nocciola. Erano gli occhi di una ragazza viva ed erano occhi disperati, bagnati di lacrime.
"È lì dentro, è nella cantina! È lui, mi ha uccisa!" gridò fra le lacrime, per sovrastare le grida di dolore, indicando la casa.
"Chi? Chi è lì dentro?" domandai, non capendo.
"Guarda tu stessa!" rispose, continuando ad indicare la porta di ingresso. 
La cosa giusta da fare era scappare di lì, e di corsa, anche. Nonostante tutto, però, decisi di avvicinarmi alla casa.
Lentamente mi incamminai verso la porta di ingresso. La porta era socchiusa, la luce filtrava attraverso di essa. Aprii timidamente la porta, che scricchiolava paurosamente. 
Entrai in casa. Il salotto stava andando letteralmente a fuoco, tutta la casa stava bruciando! Non me ne curai e mi avviai verso una porta in un angolino. La aprii. C'erano delle scale, portavano ad una cantina. Iniziai a scendere le scale quando sentii un rumore provenire da sotto, un ringhio sapeventoso. Poi udii qualcuno che saliva le scale. Qualcuno o.. qualcosa
Era velocissimo, d'un tratto me lo ritrovai di fronte: era una grossa ombra nera, pelosa. Vidi, nella semi-oscurità, brillare delle lunghe zanne bianchissime. Mi saltò addosso.
Mi svegliai con un sussulto. Avevo avuto un incubo, di nuovo. 
Ero a casa di Dylan. Avevamo deciso di guardare un film a casa sua, ma io, stanca dopo la lunga serata di lavoro, mi ero addormentata. 
"Finalmente ti sei svegliata" mi fece lui. 
"Già" mormorai, stralunata, tirandomi lentamente su a sedere sul divano.
"Avevi troppa paura e hai deciso di metterti a dormire?" mi prese in giro lui. Prima che mi addormentassi lui aveva scelto di guardare un film horror. 
"No, ero semplicemente troppo stanca" risposi stropicciandomi gli occhi. Il film era finito e Dylan stava guardando la TV. C'era il notiziario.
"Un'altra vittima dei lupi della foresta di Soulsville. Si tratta di John Bridger, 76 anni, pensionato di SoulsvilleBridger era uscito ieri sera intorno alle undici per portare il suo cane, un pastore tedesco, a fare una passeggiata e non ha più fatto ritorno a casa. Preoccupate, la moglie e la figlia hanno avvertito le autorità che hanno trovato il cadavere sbranato dell'uomo nella foresta di Soulsville. Anche il cane dell'uomo è stato barbaramente ucciso, mangiato quasi interamente dalla bestia. I cittadini di Soulsville sono preoccupati e chiedono che polizia e guardia forestale facciano qualcosa per tutelare la loro incolumità". 
Ricacciai indietro un conato di vomito. Avevo la nausea. Il padre dell'amica di mia madre era stato ucciso barbaramente e l'assassino poteva essere lì di fianco a me o magari mi aspettava a casa mia, nella stanza a fianco. 
"Dovranno fare qualcosa con questi lupi, non è possibile che ogni tanto qualcuno venga aggredito" sentenziò Dylan. 
"Pensi sia Jared?" gli domandai, serissima. 
"Cosa? Jared? Andiamo, Claire, credi davvero a queste stupidaggini? Jared è tante cose, ma non è un lupo mannaro!" rise lui.
"E se fossi tu?" gli domandai, tra il serio e il faceto.
"Se fossi io, be', non mangerei anziani" fece lui, ridendo "preferirei fare una bella cena a base di giovani biondine succulente" terminò, riferendosi a me e mi si gettò addosso, facendomi sdraiare sul divano, sotto di lui.
Lo guardai negli occhi: capii le sue intenzioni.
Iniziò a baciarmi, prima lentamente, poi con più foga, in modo meno casto. Sentii la sua mano che si avventurava sotto la mia maglietta. Lo fermai.
"Dylan".
"Che c'è?" mi domandò, un po' dispiaciuto del fatto che lo avessi interrotto.
"Dovrei andare. Sono molto stanca" mormorai, non guardandolo negli occhi. 
"Non te la senti ancora? Pensavo.. pensavo fossi pronta". 
"Be', lo sai che io non l'ho mai fatto e.." cominciai, ma lui mi fermò.
"Non ti fidi di me? Pensi che sia uno che vuole una cosa sola?".
"No Dyl, assolutamente, io mi fido di te, è solo che..".
"È per quella cosa di oggi pomeriggio? Credi che sia uno psicopatico come mio nonno?" mi domandò. 
"Assolutamente no. Te l'ho già detto. È solo che non sono ancora pronta, tutto qua" conclusi.
"Va bene pulce" fece, un po' triste, prendendomi per mano e ritirandomi su a sedere. 
"Non farò il lupo mannaro questa sera" ridacchiò prima di baciarmi. Lui ci scherzava su, ma non sapeva di essere davvero nella mia lista dei sospettati!

 

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Capitolo 11
*** La cantina ***




La cantina


Dovevo trovare un modo, un modo per entrare in quella casa. Forse lì avrei trovato le risposte che cercavo. 
"Povera Molly, è terribile" commentò mia madre mentre lavava i piatti. 
"Questi lupi sono sempre più aggressivi" convenne Adam, mentre passava il piccolo aspirapolvere da briciole sulla tovaglia. 
Jared se ne stava in silenzio, seduto al suo posto e io facevo lo stesso, seduta di fronte a lui. Lo fissai. Lui mi guardò, inespressivo, con uno sguardo che voleva dire "che vuoi, che hai da guardare?". Era lui il lupo mannaro? O era Dylan? 
"Salgo in camera" fece infine Jared, alzandosi da tavola. Io lo seguii. 
Entrò, in camera, si sedette sul letto e accese la TV. Io mi sedetti in fondo al suo letto, fissandolo. 
"Devi dirmi qualcosa?" mi chiese, guardandomi come si guarda una pazza.
"Pensi che sia stato Dylan a uccidere quell'uomo e Rebecca Jones? Pensi sia un lupo mannaro?" gli domandai.
"Sì, Claire, è un lupo mannaro. Mio padre invece è un vampiro, tua madre un fantasma e tu sei una credulona" disse, ridendo di me mentre cambiava canale. 
"Mi prendi per il culo?" sibilai.
"Claire, sei fuori di testa per caso? Era una battuta! Secondo te McColeen è davvero un lupo mannaro? E soprattutto: secondo te i lupi mannari esistono? Dio, non ho mai visto nessuno che a diciannove anni ancora crede a queste cose..". Quindi scherzava. Eppure sia lui che Dylan scherzavano sulla stessa cosa. Un po' strano. Forse Jared aveva accusato Dylan di essere un lupo mannaro perché in realtà è di lui che tutti sospettavano. Forse il lupo mannaro era lui. 
"E se fossi tu il lupo mannaro?" gli domandai. 
"Allora ti mangerei subito, così la smetteresti di fare domande assurde" rispose, continuando a guardare la TV e scuotendo la testa. Mi trovava proprio stupida. 
Non avrei ottenuto niente a continuare a parlare con quello scorbutico. Mi alzai e uscii, non prima di avergli detto: "Tanto scoprirò la verità su questa faccenda". 
"Fammi sapere quando la scopri, sono curioso" fece lui, ridendo. Sbuffai e mi richiusi la porta alle spalle.

Nel pomeriggio, Adam e mia madre uscirono per andare a fare compere. Io indossai una pesante tuta felpata e un giaccone, scarponcini da montagna ed entrai in camera di Jared. 
"Io esco, ci vediamo dopo" lo salutai.
Lui era al PC che cazzeggiava su Facebook. 
"Passeggiata romantica con la tua dolce metà?" mi domandò pigramente.
"No, escursione nel bosco da sola" risposi. 
Sobbalzò. Mi guardò come si guarda una pazza irresponsabile.
"Nel bosco da sola? Sei un'incosciente! Non li guardi i notiziari?" mi gridò. 
"Sì, ma le vittime sono state tutte uccise durante notti di luna piena, ho controllato. Quindi adesso non dovrei correre pericoli" gli risposi candidamente.
"Tu sei veramente pazza furiosa! Vuoi farti sbranare, per caso?". 
"Mamma mia quanto urli! In ogni caso devo scoprire delle cose, quindi correrò il rischio" risposi, stringendomi nelle spalle.
"Allora verrò con te" disse risoluto, spegnendo il PC. 
"No, non ce n'è affatto bisogno, so badare a me stessa". 
"Certo, come no.." ironizzò lui, infilandosi il giaccone di renna. 
Si mise gli scarponi ai piedi e aprì l'armadio.
"Questo è badare a se stessi" disse estraendo un grosso fucile a pompa.
"Hai un fucile anche tu? Credevo che solo Adam ne avesse uno" mi stupii. Che razza di gente erano? Quante armi possedevano?
"La gente di campagna tende ad avere parecchie armi in casa" rispose. Iniziò a pulirlo. Io lo guardavo affascinata: non avevo mai visto fare quelle operazioni, mio padre non aveva mai posseduto armi da fuoco. Mio padre però aveva una farmacia, non era un uomo di campagna.
Dopo aver finito di pulire e caricare il fucile, prese un'altra cartuccera di scorta e se la legò alla vita. Decise anche di spiegarmi come funzionava quell'arnese "in caso ne avessi avuto bisogno".
"Adesso possiamo andare" sentenziò.

"Sia chiaro, ci staremo poco qua. Non mi va di vagare nel bosco di notte" mi avvertì Jared. 
"Io ho portato una torcia" dissi indicando il mio zainetto. 
"Tu dovresti portarti dietro il cervello, ogni tanto" fece lui. Da quando ci eravamo addentrati nel bosco non aveva fatto altro che dirmi che ero una pazza, una sconsiderata, una visionaria, etc. A me non importava delle sue critiche, volevo fare ciò che mi ero messa in testa: entrare nella casa infestata. 
Camminammo per un bel pezzo. Davanti a noi alberi su alberi. Era bella la foresta, di giorno. I raggi del sole filtravano attraverso i rami delle querce e degli abeti e creavano affascinanti giochi di luci e ombre. Fiori selvatici crescevano spontaneamente qua e là e c'erano cespugli di bacche e more. Di notte quel paradiso si trasformava in un oscuro luogo spaventoso, buio e popolato da spiriti inquieti e bestie feroci affamate di carne umana. 
Ad un tratto vidi una grossa cosa nocciola a qualche metro da me e sentii un odore insopportabile.
"Che puzza!" esclamai "che cos'è?"
"Viene da quella" rispose lui, indicando l'ammasso nocciola "è una carcassa".
Ci avvicinamento, con i nasi tappati. Era la carcassa di un povero cerbiatto. Le mosche gli ronzavano intorno. Doveva essere morto da qualche giorno. Era stato sventrato e in parte smembrato. 
"I lupi devono averlo mangiato" osservai. 
"Da qualche giorno poi. A giudicare dallo stato della salma direi più o meno un paio" osservò Jared "Mi pare un buon motivo per andarcene" aggiunse poi.
"Io non me ne vado" ribattei. 
"Cosa vorresti vedere? Hai trovato un cervo sbranato dal lupo, non ti basta?".
"Ne so quanto prima. Io voglio scoprire di più su questa bestia".
"Allora torna a casa e cerca su internet la parola "Lupo", avrai tutte le informazioni che ti servono. Adesso andiamocene" ordinò lui, girando i tacchi e facendo per andarsene. 
"No! Io voglio andare nella casa infestata!" sbottai.
"Che cosa? Ti sei bevuta completamente il cervello per caso?" mi gridò lui, avvicinando il suo viso al mio. Non mi feci impressionare.
"Ho fatto un sogno, ho sognato di nuovo Rebecca Jones, la ragazza morta sbranata nella foresta. Mi ha detto di entrare nella casa infestata, lì avrei scoperto la verità" spiegai. Maledizione, mi ero esposta troppo! Poteva essere lui il licantropo, non dovevo raccontargli del sogno! Be', ormai glielo avevo detto..
"Be', se è così, Rebecca Jones è una maledetta stronza. Entrando in quella casa lei è morta e vuole che muoia anche tu". 
Si voltò e fece per andarsene.
"Io torno a casa, tu fa un po' come ti pare" disse.
"Tornaci pure, sei un codardo. Io vado dove ho deciso di andare" feci risoluta e iniziai ad incamminarmi. 
Sentii Jared che si allonava. Poco male, sarei entrata in quella casa da sola. Già, ma la casa dov'era?

Camminai per una ventina di minuti, ma non trovai la casa. Iniziai a preoccuparmi. Mi ero allontanata parecchio ed ero sola: sarei stata almeno in grado di tornare a casa mia? 
E poi entrare nella casa da sola mi faceva parecchio paura. Jared era un vero stronzo, mi aveva abbandonata nella foresta!
Camminai per un altro centinaio di metri e infine la vidi. Si ergeva minacciosa di fronte a me, era come l'avevano mostrata nel telegiornale e come l'avevo vista nel mio sogno: era la casa infestata. 
Avevo davvero paura ad entrarci: era lugubre, tetra, buia all'interno.
Mi feci coraggio e mi avvicinai alla porta. Era chiusa, non riuscivo ad aprirla. La polizia doveva averla sigillata. Vidi, però, che la finestra era aperta. Molto strano. Decisi di entrare da lì. 
Mi ritrovai in un vecchio salotto pieno di polvere e sporcizia. C'era una vecchia poltrona coperta da un telo e un pianoforte tutto impolverato. Metteva davvero paura.
Sentii un rumore provenire dal pavimento e qualcosa colpire il mio scarpone. Feci un sobbalzo. Era soltanto un topo. 
"Fanculo a te" imprecai contro l'animale. 
Mi guardai attorno. Nessuno spettro. 
Mi aggirai per la sala con circospezione. Arrivai di fronte alla sala da pranzo, anch'essa impolverata e piena di ragnatele. La casa era esattamente come nel mio sogno! 
Mi voltai: in un angolo vidi la porta, quella porta! La porta che conduceva alla cantina. Con mano tremante girai la maniglia. C'erano le scale, come nel mio sogno, ancora più buie di come le avevo viste io. Presi dal mio zaino la torcia e le illuminai. Erano tremendamente sinistre. Iniziai a scenderle. Avevo una paura incredibile, tremavo come una foglia, non sapevo se avrei avuto la forza di andare fino in fondo. 
A un tratto sentii un rumore provenire da in cima alle scale. Mi voltai terrorizzata verso la porta e vidi una sagoma scura sulla soglia. Lanciai un urlo di terrore e la torcia per poco non mi cadde dalle mani.
"Hey, calma, smettila di gridare, sono io!" gridò la sagoma. La illuminai con la torcia: era Jared. 
"Sei impazzito? Mi hai fatto prendere un colpo" gli urlai, tremando ancora fortissimo. Ero rimasta paralizzata dallo spavento. 
"Non potevo certo lasciare che ti avventurassi in una casa disabitata da sola! Potrebbe anche esserci qualche barbone qui dentro o gentaccia che viene qui a drogarsi!" si giustificò lui, scendendo le scale. 
"Fa andare avanti me" disse poi, estraendo anche lui una torcia dal suo zaino. Avere lui accanto a me (armato, per di più) mi tranquillizzava non poco. 
Scendemmo le scale e arrivammo a un piccolo corridoio. Faceva un gran freddo lì sotto.
Inciampai in qualcosa mentre camminavo. Guardai a terra. C'era un grosso ratto morto, sventrato. 
"Jared, guarda" dissi puntando con la torcia il povero animale.
Jared non disse nulla e proseguì, la faccia preoccupata. 
E se fosse stato lui il lupo? Se fosse stato lui ad uccidere quelle persone? Be', in quel momento era giorno fuori e non c'era la luna piena. Ma Jared aveva un fucile: se avesse deciso di uccidermi? Se, sentendosi scoperto, mi avesse sparato?
"Hai paura?" mi chiese lui, guardandomi. Non avevo paura, ero terrorizzata e forse mi si leggeva in faccia. Annuii. Lui mi prese la mano e me la strinse. Era calda, mentre la mia era gelata. Mi sorrise. Pensai che era la prima volta che lo vedevo sorridere in quel modo: dolce, protettivo, come a dirmi "ci sono io qui con te".
Proseguimmo per mano per qualche metro, poi giungemmo in una piccola stanza. 
"Oh mio Dio!" esclamai, togliendo la mia mano da quella di Jared e portandomela alla bocca.

 

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Capitolo 12
*** La tana del lupo ***




La tana del lupo


La cantina della casa era un ammasso di mobili ammucchiati e scatoloni pieni di roba. Quello che mi lasciò basita erano le condizioni di quel luogo. Era completamente a soqquadro, come se fosse passato di lì un uragano. Le pareti erano piene di graffi, come se qualcuno avesse tentato disperatamente di uscire di lì. Qualcuno con artigli lunghi e acuminati. 
C'erano resti di carne cruda, lì dentro e macchie di sangue ovunque. Seguii con la torcia le macchie per vedere dove portavano e la vidi: era la testa mozza e parzialmente mangiucchiata di un cane, un pastore tedesco! 
"Quello era il cane dell'anziano ucciso!" esclamai. Mi voltai verso Jared. 
"Allucinante.." mormorò fra sé e sé lui. 
"Cosa?" gli domandai. 
"Vieni, andiamocene" disse tirandomi per un braccio e tentando di trascinarmi via.
"Perché tanta fretta Jared? È qui che vieni a nasconderti quando viene la luna piena?" gli gridai. Non era saggio farlo arrabbiare, forse il lupo mannaro era lui. In quel momento, però, agii d'impulso.
"Ancora con queste stronzate dei lupi mannari? Basta con queste fantasie, andiamocene via!" ringhiò lui. Nella foga, la cintura con le cartucce gli scivolò giù dai fianchi e cadde a terra. La chiusura a strap si aprì un poco e vidi che le pallottole all'interno erano insolitamente lucide. 
Mi abbassai per guardarle. Non c'erano dubbi. Jared fu svelto a richiudere il tutto e a cercare di rimettere la cintura al proprio posto, attorno ai suoi fianchi.
"E tu saresti quello che non crede ai lupi mannari? E perché allora carichi il tuo fucile con pallottole d'argento?" gli sbraitai contro. 
Jared non rispose. Guardava il pavimento e non diceva nulla. 
"Te lo spiegherò. Ora però ti prego, andiamocene di qui" mormorò infine. Mi prese per mano e mi costrinse a seguirlo.

"Perché Jared? Perché carichi il tuo fucile di pallottole d'argento?" gli domandai nuovamente mentre ci incamminavamo nel bosco. Dovevamo fare in fretta, il sole stava tramontando. 
"Hai capito benissimo perché, non fare domande di cui sai già la risposta" fece lui, scontroso. 
"Perché non mi hai detto che anche tu credi nei lupi mannari?" gli domandai ancora.
"Perché è un segreto. Un segreto che appartiene a me e alla mia famiglia" rispose semplicemente. 
"Quale segreto? Che centra la tua famiglia con questo?".
"Mia madre" sbottò lui, rabbioso, voltandosi di scatto verso di me "è stata uccisa da un lupo mannaro. La mia missione e quella di mio padre è di uccidere quella bestia mostruosa". 
"Mi stai dicendo che Dylan ha ucciso tua madre?" gli domandai. 
"No" rispose lui, secco. 
"E allora chi è stato? Chi è il lupo mannaro?".
"Ascoltami Claire, meno ne sai di questa storia e meglio è, chiaro?" mi disse, con tono un po' più pacato, ma che non ammetteva repliche. Nonostante la mia insistenza, non riuscii a farmi dire da lui chi fosse il misterioso lupo mannaro.

Uscimmo dal bosco che era crepuscolo. Dylan mi stava aspettando davanti alla porta di casa. 
"Hey Dylan" lo salutai. 
"Ciao" mi salutò lui freddamente. Era piuttosto nervoso. Lui e Jared si scambiarono uno sguardo furioso. 
"Entro in casa" mi disse Jared sbattendosi alle spalle il portone con forza.
"Sei impazzita per caso? Andare nel bosco da sola con Myers?" mi rimproverò Dylan.
"Be' è il mio fratellastro, mica un serial killer. Ho fatto un'escursione nel bosco con lui" risposi, con finta nonchalance.
"Hai visto cosa succede ultimamente a chi si avventura nel bosco? Sei un'irresponsabile!". Eccone un altro che rimproverava la mia condotta incosciente. Io, invece, ero soddisfatta di ciò che avevo scoperto, dovevo ringraziare Rebecca Jones. 
"E che avresti fatto nel bosco?" mi domandò lui.
"Sono andata nella casa infestata" risposi. Volevo metterlo alla prova. 
Sgranò gli occhi e boccheggiò.
"La casa infestata? Sei.. sei diventata completamente fuori di testa? L'ultima ragazza che è entrata lì dentro ci è morta!" esclamò lui, incredulo di ciò che avevo fatto.
"Be' avevo sognato la povera Rebecca Jones che mi diceva di entrare lì dentro e l'ho ascoltata" risposi.
"E cosa hai trovato in quella stamberga?" mi domandò lui, incuriosito. 
"Le prove che di lì ci è passato un lupo mannaro. È lì che si nasconde nelle notti di luna piena" risposi, soddisfatta. Volevo vedere come l'avrebbe presa lui. 
Dylan sbiancò completamente. 
"Quindi è lì il suo nascondiglio" mormorò Dylan. Non capivo.
"Vieni in casa, dobbiamo parlare" fece, trascinandomi trafelato in casa sua.
Ero un po' spaventata, ma vidi dalla finestra che in casa sua c'era anche la madre Sarah.
"Ciao ma'" fece Dylan entrando di corsa in casa. 
"Ciao.. dove vai così di fretta?" gli domandò lei. Stava cucinando un pollo, aveva le mani sporche di sangue. Impallidii: ne avevo viste abbastanza di cose splatter quel giorno. 
"Devo far vedere una cosa sul computer a Claire" spiegò velocemente, salendo le scale e trascinandomi in camera sua senza dare alla madre il tempo di replicare nulla.
Entrato in camera, chiuse la porta dietro di sé. 
"Ascoltami Claire, puoi raccontarmi quello che vuoi, farmi credere che sia stato un fantasma a dirti di andare in quella casa, ma io so che non è così. È stato Jared a portartici, vero?" mi chiese, guardandomi dritto negli occhi con apprensione. 
"No, ti giuro di no! Ho sognato Rebecca l'altra sera a casa tua, mentre guardavamo il film e io mi sono addormentata" gli spiegai. 
"Facciamo finta che io ci creda. Dimmi: cosa hai visto là dentro?".
Gli raccontai brevemente cosa avevo visto. Dylan ascoltava con attenzione, con aria preoccupata.
"Claire, devi stare molto attenta. Scendere in quella cantina con Myers è stato un gesto irresponsabile! Hai rischiato molto, lo sai?" mi disse infine. 
"Promettimi che farai attenzione, Claire" aggiunse. 
"Non capisco: perché ho rischiato? Perché dovrei avere paura di Jared?" gli domandai. 
Dylan mi fissò, indeciso. Non sapeva se dire qualcosa o starsene zitto. Alla fine parlò:
"Claire, ci sono cose che non posso rivelarti. Posso solo dirti di fare molta attenzione a Jared Myers da ora in poi, di cercare di evitare di rimanere sola con lui, di stare alla larga dal bosco e, soprattutto, di non uscire mai e dico mai durante le notti di luna piena!".

 

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Capitolo 13
*** Nuovi sospettati ***




Nuovi sospettati


Forse Jared e Dylan avevano ragione. Forse avrei dovuto semplicemente stare alla larga dai guai e farmi gli affari miei senza pensare ai lupi mannari.
Magari nessuno dei due ragazzi centrava niente con quella faccenda oppure entrambi ne erano coinvolti. Avrei dovuto solo tenermi un calendario lunare in camera per non uscire mai di casa impreparata e non impicciarmi in faccende che non mi riguardavano. Il mio rapporto con Dylan, però, stava risentendo degli ultimi avvenimenti. Nutrendo dei sospetti su di lui, non riuscivo più a comportarmi come se niente fosse, con naturalezza. Non è cosa da niente temere che il proprio ragazzo una volta al mese si trasformi in una bestia spaventosa e se ne vada in giro a sbranare la gente. E anche temere che il proprio fratellastro, con cui abiti sotto lo stesso tetto, faccia la stessa cosa non è certo piacevole. 
Ripensai al gesto di Jared in quella cantina gelida e che puzzava di chiuso e di polvere, a come aveva preso con dolcezza la mia mano fredda nella sua, grande e calda. In quel momento mi ero sentita protetta, al sicuro. Avevo provato una strana sensazione, come uno sformicolio in tutto il corpo, un senso di accaloramento improvviso. Io un ragazzo ce l'avevo, non avrei dovuto farmi certe fantasie. Eppure mi era inevitabile. Jared, in una qualche strana maniera, mi attraeva. Forse perché mi faceva paura o forse perché quando ero con lui di paura non ne avevo. 
Mentre ero assorta nei miei pensieri, mi trovavo a lavoro. Era un martedì sera e di gente ce n'era stata poca. Eravamo quasi in chiusura e l'unico cliente rinasto era un uomo sui quarantacinque anni, alto e robusto, con i capelli castano-rossicci e una folta barba dello stesso colore. Doveva avere parecchio appetito perché aveva mangiato per tre. 
"Faccia con comodo" lo tranquillizzai mentre iniziavo a mettere le sedie sui tavoli vuoti "non le metto fretta, mi sto solo portando avanti col lavoro".
"Tranquilla, non mi disturbi affatto" bofonchiò lui con la bocca piena. Stava mangiando un hamburger enorme ed era il terzo. Mi domandai come avrebbe fatto ad alzarsi in piedi da quel tavolo camminando e non rotolando. 
"Torni a casa tutta sola, ragazzina?" mi chiese lui. Oh no, il solito marpione, pensai.
"No, viene a prendermi il mio ragazzo" risposi, cercando di smontare ogni sua fantasia. In ogni caso non avevo nulla da temere perché non ero sola: Angela stava riordinando la cucina. 
"Bene, perché con le bestiacce che ci sono in giro di questi tempi non c'è tanto da stare tranquilli" disse lui, senza scomporsi. 
"Già" confermai "sembra un'invasione di lupi mannari".
"Infatti lo sono" confermò lui. Lo guardai sbigottita. Quel tipo ne sapeva qualcosa? 
"Lei ne sa qualcosa?" gli domandai, incuriosita. 
"I lupi mannari hanno iniziato a comparire a Soulsville più o meno una cinquantina d'anni fa. Io non ero ancora nato, ma mio padre me lo ha raccontato. A quell'epoca ce n'era uno in attività particolarmente pericoloso. Non restava confinato nel bosco, ma aveva fatto diverse incursioni in città uccidendo uomini e donne, ma i suoi preferiti erano i bambini. Una volta al mese le strade di Soulsville si tingevano di rosso; ad ogni notte di luna piena il lupo uccideva cinque o sei persone. La polizia tentava di sparargli, ma i loro proiettili comuni facevano solo il solletico alla bestia". 
"Servivano proiettili d'argento" lo interruppi io, mentre ascoltavo il racconto dell'uomo appoggiata al bancone. 
"Esatto. Servivano proiettili d'argento. Ad ogni modo quel lupo è stato ucciso nei primi anni settanta" terminò lui.
"Qualcuno gli ha sparato?" domandai.
"No" disse l'uomo "è stato pugnalato a morte quando era in forma umana. Si chiamava Gregory McColeen, ma tutti qui in città lo chiamavano "Lo scienziato pazzo". Era un neurologo pazzoide con l'ossessione per la magia nera che faceva esperimenti sul cervello umano. Lavorava qui, nel manicomio di Soulsville. Una notte un suo paziente, tale Albert Rubens, ne ha incitati altri quattro a scappare dalle loro camere e ad aiutarlo ad uccidere il neurologo. Secondo la polizia si è trattato di un semplice gesto di follia di cinque pazzi. Rubens e gli altri quattro pazienti sono stati rinchiusi nell'ospedale psichiatrico di Whistler e lobotomizzati. Il povero Rubens è persino morto durante l'operazione per via di un'emorragia. Quell'uomo in realtà non era pazzo, aveva solo scoperto il segreto di McColeen e, non a caso, aveva utilizzato una lama d'argento per ucciderlo". Ero allibita. Non solo il nonno di Dylan era un folle, ma era anche un licantropo! A questo punto il lupo mannaro doveva essere Dylan, non c'erano dubbi! Magari la licantropia era una cosa ereditaria e Dylan aveva ereditato i geni del nonno. 
"E il lupo mannaro che terrorizza Soulsville oggi chi può essere?" domandai. Temevo mi rispondesse "il giovane McColeen, il nipote dello "Scienziato pazzo". Invece mi disse:
"Non so risponderti, cara. Non ho la più pallida idea di chi possa essere. Fossi in te, però, mi terrei alla larga da Adam e Jared Myers. Sono padre e figlio, abitano proprio in fondo a Cotton Street e sono gente che secondo me ha degli scheletri nell'armadio. Mi raccomando però: acqua in bocca, fai finta che io non ti abbia detto niente".
Deglutii rumorosamente.

Ero molto silenziosa quando Dylan mi passò a prendere. Non mi chiese nemmeno che cosa avessi, tanto ormai sapeva cos'era a turbarmi. Il nostro rapporto si era raffreddato parecchio. Anche con Jared, del resto, i miei dialoghi si erano pressoché azzerati. La questione del lupo mannaro mi aveva allontanata da entrambi.
"Ho parlato con un uomo, stasera, a lavoro" iniziai. Non sapevo come introdurre il discorso. 
"Un pervertito che sbava dietro alle ragazzine?" domandò lui col solito tono distaccato che aveva ultimamente. 
"No.. uno che si intende di lupi mannari".
"Ah sì? E che ti ha detto?" mi chiese, interessato.
"Mi ha detto di stare attenta ai Myers, che sono gente con dei segreti..".
"È un uomo saggio" convenne Dylan.
"..e mi ha detto che tuo nonno era un lupo mannaro" terminai. 
Dylan ebbe un moto di fastidio, la sua presa sul volante aumentò, lo sentii digrignare i denti. 
"Non è vero, non è assolutamente vero! Quel paziente che lo ha ucciso era un pazzo che credeva di essere una specie di eroe: "ho scoperto la verità! Forza compagni, andiamo ad ammazzare il mostro!". C'era un lupo mannaro in città, a quell'epoca, ma non era mio nonno. Il punto è che mio nonno era un uomo sadico e folle e quindi è stato fin troppo facile accusarlo di essere una bestia assassina. Guarda caso, però, i fenomeni di licantropia non si sono estinti alla sua morte" ribatté lui con veemenza. Una vena gli pulsava sul collo, non lo avevo mai visto così innervosito.
"Vuoi dire che il lupo ha continuato a colpire anche dopo la morte di tuo nonno?" gli domandai.
"Certo che sì! Il lupo mannaro ha continuato ininterrottamente a mietere vittime dagli anni sessanta fino ad oggi, non si è mai fermato. Ha persino ucciso la madre di Jared Myers, sei o sette anni fa" rispose lui. Era vero, il lupo non aveva mai smesso di uccidere. 
"Secondo il tuo ragionamento, però, il lupo mannaro dovrebbe essere un uomo anziano di almeno una sessantina d'anni, forse settanta" dissi, riflettendo. 
"Quanti anni ha Adam Myers, Claire?". Rimasi interdetta.
"Sessantuno.." mormorai.

Nella foto: Claire Evans

 

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Capitolo 14
*** Balla coi lupi ***




Balla coi lupi


Che confusione, ora c'era addirittura un terzo sospettato! Non avevo mai pensato ad Adam Myers come possibile lupo mannaro, avevo sempre sospettato solo di suo figlio Jared e di Dylan. 
Quindi aveva ucciso lui stesso sua moglie? E cosa aveva raccontato a suo figlio? Forse aveva convinto Jared che l'assassino di sua madre fosse il suo compagno di classe, Dylan McColeen, approfittando del fatto che si sospettava che suo nonno fosse un licantropo? Ma come aveva fatto Jared a non accorgersi che suo padre una volta al mese dormiva fuori casa? Cosa raccontava a suo figlio? Che andava nel bosco, fucile in spalla, a cercare di uccidere il lupo che gli aveva sbranato la mamma mentre invece andava a nascondersi nella cantina della casa infestata in mezzo alla foresta? 

Troppe domande mi frullavano nel cervello, non riuscivo assolutamente a dormire. In quel momento avrei voluto fare un paio di domandine a Rebecca Jones, ma lei non veniva a farmi visita a comando e soprattutto non veniva a farmi visita quando ero sveglia. 
Decisi di alzarmi e andare nella stanza di Jared: non riuscivo a tenermi tutto per me.

Entrai in camera sua a passo felpato, senza bussare. Jared stava dormendo su un fianco, un braccio che penzolava fuori dal letto. Era carino mentre dormiva, aveva un'aria tenera e non il solito broncio scorbutico. 
Mi chinai accanto al suo letto.
"Jared" mormorai, scuotendolo delicatamente. Nessuna risposta.
"Jared" lo scossi un po' più energicamente. Grugnì, ma non si svegliò. Provai con le maniere un po' più forti. Gli diedi una bella scossa e questa volta sobbalzò, svegliandosi. 
"Ma dico, sei impazzita? È questo il modo di svegliare qualcuno che dorme? E poi ti rendi conto che sono le due del mattino? Che vuoi?" mi aggredì, sbraitandomi contro sottovoce. Era una specie di buffo bisbiglìo "gridato". 
"Scusami, ma dovevo dirti una cosa importante" mi scusai, sempre sottovoce e mi sedetti sul suo letto.
"Sarà meglio che lo sia, dopo avermi svegliato in questo modo" sbuffò lui, tirandosi su a sedere sul letto.
"Ho parlato con un uomo questa sera, a lavoro. Mi ha detto che il nonno di Dylan era un lupo mannaro". Jared non fece una piega. Evidentemente già sapeva quel che si diceva in giro. 
"Ne ho parlato con Dylan e nega che suo nonno lo fosse, anche perché dopo la sua morte il lupo ha continuato ad uccidere. Mi ha detto che si sospetta.." non riuscivo a proseguire.
"Si sospetta cosa?" mi incitò lui.
Presi un bel respiro e terminai la frase: "..si sospetta che il lupo mannaro sia tuo padre". Ecco, lo avevo detto. Il volto di Jared diventò una maschera d'ira. Era furioso. 
"Questa è l'ultima trovata di quel bastardo di McColeen? Adesso il lupo mannaro sarebbe il mio, di padre?" e dopo aver detto questo, Jared fece una smorfia come di chi si è pentito di aver parlato troppo. Cosa aveva voluto dire con quella frase? Forse era il padre di Dylan ad essere un lupo mannaro? 
"Che significa tutto questo? Jared, chi è il lupo mannaro? Dimmelo, per favore" lo supplicai. Ormai ero vicina alla verità, dovevo sapere. 
"Non posso Claire, davvero" mormorò lui, scuotendo la testa.
"Ti prego, Jared, dimmelo!" dissi stringendogli una mano. Lui mi fissò per un po', indeciso sul da farsi, poi cedette:
"Il nonno di Dylan, lo "Scienziato pazzo", era un uomo ambizioso, assetato di potere, il suo delirio di onnipotenza lo aveva fatto impazzire. Gregory McColeen era inoltre appassionato di occultismo ed esoterismo. La sua ambizione si era spinta fino al punto di fargli desiderare di ottenere l'immortalità. Riuscì ad ottenerla chiedendo l'aiuto di una sensitiva di Soulsville che praticava la cartomanzia, la magia rossa e nera, gettava malocchi, maledizioni e roba simile. Più che una sensitiva era una specie di strega, insomma. Lei gli consegnò una cintura di pelle di lupo e gli fece una specie di strano battesimo con acqua piovana raccolta nelle impronte lasciate da un lupo, poi recitò strane formule eccetera e alla fine McColeen ottenne ciò che desiderava: l'immortalità. Unico svantaggio: nelle notti di luna piena si sarebbe trasformato in un lupo assetato di sangue. Era una specie di maledizione che McColeen, però, era stato ben felice di ricevere. 
Il lupo mannaro iniziò a mietere diverse vittime e Soulsville era nel panico anche perché in pochi pensavano che quello fosse un licantropo. La maggior parte della gente lo scambiava per un grosso lupo aggressivo, alcuni addirittura per un orso. 
Un certo Rubens, un paziente del manicomio di Soulsville affetto da depressione, aveva scoperto tutti questi segreti che il dottore aveva appuntato in una specie di diario e riuscì a convincere altri quattro pazienti ricoverati nell'ospedale psichiatrico ad agire per fermarlo. Tutti insieme scapparono una notte dalle loro stanze e, mentre gli altri quattro lo tenevano fermo, Rubens pugnalò otto volte il neurologo sadico con un coltello d'argento che era riuscito fortunosamente a procurarsi. 
Rubens fu trasferito in un altro ospedale psichiatrico e morì dissanguato in un'operazione di lobotomia malriuscita. 
McColeen, però, doveva aver lasciato in eredità la cintura di lupo maledetta a suo figlio Michael, che seguì le orme di suo padre e divenne anche lui un lupo mannaro. Michael era un imprenditore ed era un uomo ambizioso quanto suo padre. A differenza di suo padre, però, usciva raramente dal bosco e quindi destava pochi sospetti. Una sera di sei anni fa, però, si avventurò in città e uccise una povera donna di appena cinquant'anni, un'infermiera che tornava a casa dopo aver fatto il turno di notte in ospedale, mia madre..". La voce di Jared si incrinò, come un muro quando si crepa. Per quasi un minuto intero restò zitto, guardando in basso, incapace di riprendere il racconto. Gli accarezzai dolcemente una guancia, quasi commossa dal suo dolore. Lui mi guardò negli occhi, il marrone scuro che si incontrava con l'azzurro. 
"Allora" proseguì, con voce malferma, spostando con delicatezza la mia mano dal suo viso "mio padre decise di organizzare una specie di "battuta di caccia" assieme ad altri uomini del luogo. Io all'epoca ero ancora un ragazzino, ma decisi comunque di partecipare: dovevo vendicare mia madre.
Stanammo il lupo, gli sparammo addosso una decina di scariche (tutti proiettili d'argento, ovviamente). Quella fu la notte in cui il padre di Dylan "sparì misteriosamente", abbandonando la sua famiglia. Sua moglie Sarah non fu in grado di prendere in mano le redini dell'impresa che passò nelle mani del cognato della donna.
Dylan non perdonò mai a me e mio padre per avere ucciso il suo, ma è sempre stato abbastanza subdolo da riuscire a nascondere agli occhi altrui il proprio odio verso di noi. Ora anche lui ha deciso di diventare un lupo mannaro e, fosse l'ultima cosa che faccio, io lo ucciderò". 
"Ma Jared, se in città, un tempo, tutti i sospetti erano rivolti verso la famiglia di Dylan, perché ora alcuni pensano che siate voi Myers i lupi mannari?" gli domandai. Proprio non capivo: secondo la logica tutti avrebbero dovuto sospettare di Dylan.
"Claire, non stiamo parlando di tutta la cittadina, stiamo parlando di una cerchia ristretta di persone: la maggior parte degli abitanti di qui crede che Soulsville sia semplicemente abitata da grossi lupi famelici. Ad ogni modo, coloro che erano presenti la notte in cui il padre di Dylan è stato braccato e ucciso, hanno avuto il sospetto che io fossi stato morso dal lupo" spiegò. 
"Ed è vero? Il padre di Dylan ti ha davvero morso?" gli domandai col cuore in gola. Dimmi di no, ti prego, dimmi che non sei anche tu un lupo mannaro, sperai. 
Jared era molto titubante. Non sapeva cosa dire. Abbassò lo sguardo e disse mestamente:
"Purtroppo sì, Claire. Sono riuscito a nascondere la ferita e a dire che sono stato semplicemente graffiato, ma in realtà sono stato davvero morso. Sono anche io un lupo mannaro".

Nella foto: Adam Myers

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Capitolo 15
*** Momenti ***




Momenti

Quindi era così: sia Jared che Dylan erano lupi mannari, anche se Dylan per scelta, mentre Jared era stato morso. 
Dylan mi aveva sempre mentito e aveva addirittura accusato Adam di essere un licantropo. 
Mi dispiaceva per Jared. Mi dispiaceva per il modo in cui aveva perso sua madre, mi dispiaceva di non avergli creduto quando mi diceva che Dylan non era come si era sempre mostrato, ma soprattutto mi dispiaceva per la sua situazione, per il fatto di essere costretto ad essere un licantropo. 
Jared mi spiegò che lui, a differenza di Dylan, non era immortale e poteva invecchiare perché aveva contratto la licantropia per contagio, non tramite uno speciale rito. Godeva però di un altro vantaggio dato dalla licantropia: quello di essere pressoché indistruttibile. Ogni qualvolta lui si feriva, le ferite si rimarginavano a grande velocità. Nessuna lama o colpo di pistola poteva ucciderlo, tranne, ovviamente, l'argento che, per le sue proprietà disinfettanti, era letale per i lupi mannari.
"Dove vai a nasconderti nelle notti di luna piena?" gli domandai.
"Accanto alla casa di campagna dove abitavo prima di ritrasferirmi qua c'è una specie di stalla. Mio padre ha fatto rinforzare porta e pareti, praticamente è un bunker. Quando c'è la luna piena mi rinchiudo lì dentro con un po' di carne cruda come cosciotti d'agnello, bistecche e così via e getto la chiave fuori dalla finestra. È una finestra piccola, protetta da una grata, da lì non posso uscire. Rimango lì tutta la notte, tanto non ci sono abitazioni nei paraggi e nessuno mi sente ululare. 
Il mattino dopo mi sveglio sempre stanco, dolorante e privo di forze. È veramente terribile, un incubo". 
Istintivamente decisi di abbracciarlo. Lo strinsi forte a me come a dirgli "mi dispiace" o forse come a dirgli "ci sono io qui con te, io ti sono vicina". Inizialmente rimase un po' stupito, quasi inebetito. Alla fine mi strinse a sé con forza, come se non volesse più lasciarmi andare via. 
Non so perché, ma decisi che dovevo baciarlo. Mi sentivo di farlo, era come una specie di attrazione magnetica, come se le sue labbra fossero ferro e le mie una calamita. Lo feci, d'impulso. Poggiai le mie labbra sulle sue. Rimase un po' basito, di primo acchito, non reagì al bacio. Mi sentii una stupida e cercai di allontanarmi dalle sue labbra, ma fu lui a non permettermelo, incollando di nuovo la sua bocca alla mia e approfondendo il bacio. La sua lingua accarezzava, impudente, la mia e le sue mani stringevano la mia schiena e i miei fianchi.
Ero a cavalcioni sopra di lui, sentivo che potevamo arrivare al punto di non ritorno. Le sue mani accarezzavano la mia schiena da sotto la maglietta a mezze maniche che indossavo per dormire, le sue labbra erano scese a baciarmi il collo lasciando scie bollenti . Con Dylan non avevo mai provato simili sensazioni, una tale passione. Era come avere un fuoco dentro di me che mi invadeva completamente. Ad un tratto Jared, resosi conto che la cosa si stava inesorabilmente spingendo piuttosto in là e la situazione diventava sempre più bollente, si staccò da me, anche se si vedeva che lo faceva controvoglia.
"Scusami Claire, è che forse la cosa stava andando un po' oltre.." Si scusò, imbarazzato. 
"Non.. ti piaccio?" gli domandai, un po' delusa dal fatto che aveva interrotto quel bacio così intenso.
"No, assolutamente, anzi.. il problema semmai è che tu mi piaci fin troppo e non so se è una buona idea" spiegò, balbettando mentre si passava nervosamente una mano tra i riccioli neri. 
"Certo, capisco..". Non sapevo cosa dire, mi sentivo terribilmente impacciata ora. Ero ancora seduta a cavalcioni su di lui e sentivo che le guance mi andavano a fuoco. Avrei voluto baciarlo di nuovo, assecondare le voglie che mi passavano per la testa in quel momento, ma mi sentivo come bloccata dopo quello che aveva detto.
"Be', forse è meglio che io vada a letto.." feci, imbarazzatissima, scendendo dal letto.
"O..okay" fece da lui, non meno impacciato di me.
"Allora buona notte" lo salutai. 
"Buona notte Claire". Velocemente uscii dalla sua stanza. 
Quella notte faticai non poco a prendere sonno.

Il mattino seguente, quando scesi per fare colazione, Jared era già sveglio e stava sgranocchiando una fetta biscottata ricoperta di marmellata. Mi guardò, piuttosto imbarazzato, senza osare nemmeno salutarmi. Io gli feci un sorriso un po' impacciato e mi sedetti al mio posto senza far verbo. 
"Buongiorno Claire, dormito bene?" mi chiese mia madre, servendomi una grossa tazza di caffèlatte. 
"Ehm.. sì, sì, benissimo.." balbettai, sorridendo nervosamente. Temevo che in un qualche modo mi si potesse leggere in faccia che la notte prima avevo baciato il mio fratellastro che ora se ne stava silenziosamente seduto di fianco a me, con la bocca piena e l'aria di chi sta nascondendo qualcosa. La colazione più imbarazzante di tutta la mia vita.

Mia madre era da poco uscita per andare a lavoro e Adam non lo avevo proprio visto quella mattina, doveva essere uscito prestissimo. Mi stavo finendo di preparare per andare a lavoro, quando sentii bussare alla porta della mia camera. 
"Avanti" dissi. Jared entrò con circospezione, incerto.
"Volevo chiederti se volevi un passaggio. Posso portarti io alla tavola calda, se vuoi" si offrì. Aveva degli occhioni teneri e un po' tristi, quasi da cucciolo. 
"No Jared, grazie, ma non ce n'è bisogno. Fare una passeggiata mi può fare solo bene" rifiutai, gentilmente.
"Te lo avevo chiesto perché questa è una mattinata molto fredda" spiegò lui, poi accennò una specie di sorriso deluso e uscì dalla mia stanza.
Avevo bisogno di fare una passeggiata, di stare sola, di pensare e fare un po' di ordine mentale. Ultimamente mi erano successe tante di quelle cose..
In quel momento mi arrivò un messaggio sul cellulare. Guardai: era Dylan. 
"Hey piccola, che ne diresti di guardarti un filmetto da me stasera?".
Una strana idea mi balenò in testa. Accettai.

 

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Capitolo 16
*** Alla ricerca di prove ***


 



Alla ricerca di prove

Non ero particolarmente stanca quella sera. Non c'era stata molta gente da Bill e quindi avevo avuto una giornata poco impagnativa. Mi stavo mettendo il mascara. Erano le nove e venti e di lì a poco sarei dovuta andare a vedere un film a casa di Dylan. Sentii bussare alla porta. Immaginai che fosse Jared. 
"Avanti" mormorai con la bocca aperta in una strana smorfia mentre mi pettinavo le ciglia con lo scovolino del mascara. 
Jared entrò velocemente e si richiuse freneticamente la porta alle spalle. 
"Stai andando da lui, vero?" mi domandò, a denti stretti. Era furibondo. Non capivo se fosse preoccupato per me o se fosse semplicemente geloso. 
Non risposi. 
"Sai anche che razza di persona è, eppure tu non riesci a stargli lontana?" mi domandò ancora Jared. Io avevo un piano un mente, ma non avevo nessuna intenzione di farne parola con lui. 
"Non posso lasciarlo di punto in bianco sulla base di dicerie e leggende metropolitane, devo continuare a fingere, per un po', che nulla sia cambiato" spiegai. 
"Anche questa notte non è cambiato niente per te, Claire?" mi domandò lui. Rimasi interdetta. Certo che era cambiato, tutto era cambiato, in me. Non ebbi la forza di dirglielo. 
"Io non sono l'amante di nessuno, chiaro? Non puoi fare il doppio gioco e tenere il piede in due scarpe. Vai pure dal tuo mostro assassino. Fra noi, qualsiasi cosa ci sia stata, ora è finita" sentenziò furibondo. 
"Jared.." tentai di fermarlo, ma lui se n'era già andato e si era richiuso con poca grazia la porta di camera mia alle spalle.

Io e Dylan ce ne stavamo abbracciati sul letto di camera sua a guardare "Nemico Pubblico", un film con Johnny Depp. Inutile dire che non stavo seguendo affatto il film: la mia testa era affollata di pensieri riguardanti licantropi assetati di sangue e Jared che non voleva più saperne di me. 
Dylan era piuttosto assonnato quella sera. Aveva staccato tardi da lavoro ed era piuttosto stanco. Era una fortuna, per me, pensai. 
Dopo circa tre quarti d'ora di film, mi accorsi che il respiro di Dylan si era fatto più pesante. Mi voltai a guardarlo. Dormiva come un angioletto. Spostai il suo braccio che mi cingeva il fianco e, molto delicatamente e cercando di non fare il minimo rumore, scesi dal suo letto. 
Presi dalla mia borsa il cellulare e azionai la funzione "Torcia". 
Mi gettai subito sull'armadio, la prima destinazione ovvia. 
Aprii l'anta e iniziai a rovistare. Niente, ovviamente. Non poteva trovarsi tra gli abiti appesi.
Aprii i cassonetti che c'erano sotto. Tutta roba estiva: pantaloncini da mare, canotte, boxer del costume da bagno. Richiusi l'armadio, insoddisfatta. 
Provai con i comodini a lato del suo letto. Comodino sinistro: niente. 
Comodino destro. Come mi ci avvicinai, Dylan fece un movimento brusco e credetti si svegliasse. Per fortuna si voltò semplicemente dall'altra parte. Aprii il secondo comodino. All'interno vi erano solo calzini, mutande, magliette della salute.. 
Stavo perdendo le speranze: dove poteva averla nascosta? In camera di sua madre forse? O magari.. in soffitta? Siccome Sarah stava dormendo e non potevo piombare in camera sua a rovistare in cassetti e armadi decisi di avventurarmi nella soffitta. 
La soffitta di Dylan era una mansarda ben illuminata da una forte luce al neon e profumava di bucato appena steso perché Sarah ci stendeva sempre i panni lì. C'era la lavatrice in funzione che copriva anche i miei eventuali rumori. 
Era piuttosto piccola e l'unico posto in cui avrei potuto cercare era un massiccio mobile antico in legno stipato contro il muro. Mi ci avventai sopra. Primo cassetto: niente. Secondo cassetto: ancora niente. Terzo ed ultimo cassetto. Rovistai a lungo con le mani e infine sentii una specie di fagottino involtato in un cellophane. Lo estrassi. Bingo! Me lo infilai sotto la felpa e scesi le scale, dopo aver spento la luce e richiuso ermeticamente la porta della soffitta. 
Mentre ero nel corridoio, Dylan uscì fuori dalla sua camera, facendomi sobbalzare. Per poco ciò che avevo trafugato dalla soffitta non mi cadde da sotto la felpa.
"Che fai qui? Non vieni a finire di vedere il film?" mi domandò. Sorrideva, aveva un'aria serena. Non si era accorto di nulla, fortunamente. 
"Certo, ero andata un momento in bagno" fui svelta a replicare. 
"Ci vado anche io ora" fece lui e andò in bagno. Quello era il mio giorno fortunato. Lesta, lesta, infilai il fagotto nella mia borsa e richiusi la zip. Per fortuna ho la passione per le borse grandi e capienti. 
Molto bene, ero riuscita nel mio intento.

"Sai Dylan, stavo pensando a quello che mi hai detto ieri.." iniziai. Il film era finito e Dylan stava chiudendo la pagina internet dei film in streaming.
"Riguardo Adam Myers?" mi domandò, senza voltarsi a guardarmi.
"Già, riguardo a lui" risposi, mordendomi poi il labbro, un po' nervosa "Tu sei sicuro che sia lui il licantropo che terrorizza Soulsville?"
"Be', non ne ho la certezza piena, ma queste sono le voci che girano a Soulsville. In realtà si dice che padre e figlio siano entrambi lupi mannari, ma io credo che Jared non lo sia. Non credo che il padre passerebbe mai la maledizione al figlio" rispose Dylan, sedendosi sul letto accanto a me. Che razza di meschino: tramandarsi la licantropia da padre a figlio era esattamente ciò che era successo nella sua famiglia!
"E come mai proprio lui? Perché si sospetta proprio di Adam? Per via dei modi burberi e un po' scontrosi?" domandai ancora. 
"Si sospetta di lui perché è stato visto spesso aggirarsi nelle notti di luna piena dalle parti del bosco, col suo fucile in spalla, a cercare di uccidere il mostro che gli ha portato via la moglie. In realtà tutti pensano che il mostro sia lui stesso. In tanti, qui a Soulsville hanno armi da fuoco, a tanti sono stati portati via i propri cari dal licantropo, ma nessuno avrebbe mai il coraggio di scorazzare da solo, in piena notte, nel bosco. È un tantino strano, non ti pare?". Riflettei sulle sue parole. Quello che aveva Dylan contro Adam erano solo chiacchiere di quartiere. Jared aveva indizi ben più sostanziosi contro Dylan. 
"È stato molto pericoloso andare con Jared nella casa infestata. Quello sarebbe un posto perfetto per nascondersi durante le notti di luna piena. Se Jared avesse intuito che tu sospetti di suo padre avrebbe potuto ucciderti per mantenere il segreto" continuò Dylan. Un posto perfetto per trasformarsi, già. Lui lo sapeva bene. 
"Jared ormai è un membro della mia famiglia" obiettai. Dylan replicò "Non è un membro della tua famiglia. A lui importa solo di tenere ben nascosto il segreto di suo padre. Non fidarti di loro". Io, invece, era in Dylan che avevo perso ogni briciolo di fiducia. Ormai, poi, avevo la prova decisiva contro di lui.

 

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Capitolo 17
*** Luna piena ***




Luna piena


Erano passati più di venti giorni da quando avevo litigato con Jared. Lui non mi rivolgeva praticamente più la parola e faceva finta che non esistessi nemmeno. Non avevo nemmeno provato a parlargli per sistemare le cose. Ero come intimorita dal suo silenzio e dai suoi musi. Anche mia madre si era accorta che c'era qualcosa che non andava (lei nota sempre tutto), ma aveva preferito tacere. Evidentemente aveva intuito la situazione e aveva capito che fra sorellastra e fratellastro fra cui c'è (o per meglio dire: c'era stato) del tenero è meglio non mettere il dito. Adam era teso, parecchio. Iniziava ad essere sempre più nervoso ogni volta che uscivo di casa e immaginava che mi vedessi con Dylan. Per quest'ultimo io ormai non nutrivo più alcun interesse. Non ci baciavamo quasi più, niente più coccole e parole dolci. Solo silenzi e facce tristi. Una sera Dylan, stanco della situazione, mi aveva chiesto cosa non andasse. Gli avevo risposto semplicemente che non provavo più le stesse sensazioni per lui, che forse era solo un momento o forse no. Dylan si era rattristato e mi aveva chiesto se volessi lasciarlo. Gli avevo risposto che volevo prendermi una pausa di riflessione per capire cosa stesse succedendo dentro di me. 
Così eccomi qui, in una serata di fine dicembre. Ero a cena fuori a Whistler con le mie amiche storiche: Grace e Beth. Ero felice di essere finalmente insieme a loro: avevo passato un Natale da schifo assieme alla mia "famiglia" e ritrovare i miei vecchi affetti mi faceva sentire di nuovo a casa. Parlavamo di come avremmo trascorso il Capodanno imminente e tutto sembrava essere come una volta: niente preoccupazioni. Eppure a casa mia c'era quella cosa, quell'oggetto che avevo trafugato da casa McColeen. Se ne stava nascosto nel mio armadio e da quando ce l'avevo non ero più riuscita a dormire decentemente senza fare incubi spaventosi: entità maligne, spiriti inquieti, mostri pelosi. Le mie notti erano davvero terribili. Non ero ancora riuscita a farne parola con Jared. Mi mancava, Jared, tanto. Quanto avrei voluto vederlo sorridermi di nuovo. Ora mi riservava, invece, solo occhiate di disprezzo. Mi mancavano i suoi baci e la stretta del suo abbraccio. Ripensavo al calore della sua mano che aveva stretto la mia nella cantina della casa infestata. Ora era tutto perduto. 
Ero preoccupata anche per un'altra faccenda: quella sera la luna era piena. Dylan e Jared si sarebbero trasformati: chi nella casa in mezzo al bosco, chi in una specie di stalla in aperta campagna. Rabbrividii. 
"Tutto bene Claire?" Mi domandò Beth, vedendomi impensierita. 
"Sì, sì, certo, tutto bene" risposi sorridendole. 
"Quindi ti va di venire al Chemistry, dopo?" mi domandò Grace.
Il Chemistry era una discoteca di Whistler, piccola, ma molto carina e con bella musica. Il mio umore, però, non era esattamente quello giusto per ballare e scatenarmi. 
"Veramente sarei un po' stanca, non so se è il caso" obiettai.
"Eddai, Claire, te ne stai sempre in casa in quel paesino desolato, ti può fare solo bene uscire un po' a ballare. Non siamo più andate a ballare insieme come ai vecchi tempi da quando ti sei trasferita!" insistette Grace. 
"In più ora sei single, DEVI rimorchiare" ridacchiò Beth. 
Alla fine mi lasciai convincere. Forse passare una serata danzante in compagnia avrebbe potuto farmi solo bene, magari mi avrebbe distratto un po'.

Il Chemistry era piuttosto affollato. Era da un bel po ' che non andavo più a ballare in discoteca, non ci ero più abituata. 
Io e Beth guidavamo, mentre Grace, che era completamente ubriaca, no. Lei era sempre stata quella più festaiola mentre io e Beth eravamo le più tranquille. Forse se mi fossi ubriacata anche io sarei riuscita a staccare un po' la spina. Peccato che avessi la macchina. 
Alle cinque passate decidemmo di andare a casa. Grace si fece riaccompagnare a casa da un suo "amico" (io e Beth avevamo capito benissimo che quello era più un amico di letto) e noi due prendemmo le rispettive auto. 
Mi accorsi subito che qualcosa non andava: la mia auto non voleva saperne di partire. Il mio vecchio fuoristrada era morto. Fui costretta a lasciarlo lì nel parcheggio del Chemistry e a farmi riportare a casa da Beth. Prima di tornare a casa decidemmo di fermarci anche a fare colazione in un bar così che si fecero quasi le sei. Era davvero tardissimo.
Una volta sotto casa, ringraziai Beth e scesi dall'auto. 
Stavo per salire le scale del porticato quando sentii un rumore. Beth era scesa dall'auto. 
"Beth, che stai facendo?" le domandai. 
"Devo fare pipì, assolutamente. Non ci arrivo fino a casa, me la faccio addosso" rispose concitata, attraversando la strada e andandosi a riparare vicino ad un albero. 
Stavo per dirle che non era una buona idea starsene lì fuori quando sentii un rumore provenire dal bosco. 
"Cos'è stato?" chiese Beth, tirandosi in piedi di colpo e rimettendosi a posto le mutandine. 
"Beth, entra in macchina, svelta!" le gridai.
"Sta venendo verso di noi!" strillò lei, iniziando a correre verso l'auto parcheggiata al di là della strada. L'enorme ombra scura che correva verso di noi, però, fu più veloce di lei.
Fu un attimo: vidi la bestia con le fauci spalancate lanciarsi sulla mia amica. Pochi secondi dopo, la testa di Beth era schizzata via dal suo corpo ed era rotolata ai miei piedi, sporcandomi gli stivaletti di sangue. 
Corsi come una pazza fino al portone, ma, come spesso accade, nella fretta non riuscii a trovare le chiavi di casa. Maledetta borsetta! Mi voltai: la bestia mi stava saltando addosso. Riuscii a lanciarmi giù dalla ringhiera del porticato e atterrai di schiena sul prato. La spalla destra mi bruciava terribilmente: il lupo era riuscito a graffiarmi con i suoi lunghissimi artigli acuminati mentre ero in aria. 
La bestia scavalcò la ringhiera. Indietreggiai da seduta. Era vicinissima a me. I suoi lunghi canini erano ancora leggermente macchiati del sangue della mia amica. L'orrido animale annusò l'aria, poi si voltò verso destra. Mi accorsi che qualcosa stava arrivando velocemente. In un attimo, un altro lupo, leggermente più corto, ma più massiccio dell'altro, si gettò addosso alla bestia, azzannandola. C'era anche Jared! Ma perché era lì? Non avrebbe dovuto trasformarsi nella sua specie di stalla in campagna come al solito?
Le due bestie iniziarono a ringhiarsi addosso e a lottare. Capii che Jared, però, non era venuto a salvarmi: non aveva il controllo di sé mentre era in forma animale. Probabilmente lottava con Dylan perché voleva mangiarmi anche lui.
In quel momento, udii uno sparo. Le due bestie si fermarono. Adam era uscito di casa e aveva sparato in aria. I lupi sembravano intimoriti dal suo fucile, non si muovevano di un centimetro. 
"Claire, entra subito in casa" mi ordinò Adam. Obbedii e corsi dentro. Continuando a tenere il fucile puntato contro di loro, anche Adam entrò in casa dietro di me. 
Una vota dentro, Adam iniziò a sbarrare tutte le porte e le finestre.
"Ora vai su in camera da letto con tua madre e chiuditici dentro, chiaro?" mi intimò. Annuii. Stavo iniziando a salire le scale quando Adam, che stava sbarrando una delle finestre della cucina, fu attaccato da uno dei lupi che era riuscito a rompere il vetro prima che lui potesse fermarlo. Iniziai a correre su per le scale mentre sentivo le urla di dolore di Adam, i ruggiti dei lupi e il rumore della carne che viene strappata dall'osso, un po' come quando si mangia una bistecca. Non so come riuscii a trattenermi dal vomitare. 
Invece di entrare nella stanza di Adam e mia madre, mi diressi in camera mia. Mia madre aveva la porta chiusa, ma riuscii comunque a sentire che stava piagnucolando nella sua stanza, spaventatissima. 
"Claire! Claire vieni qui, ti prego!" mi gridò. Doveva aver sentito i miei passi. 
"Non posso, mamma. Fidati di me e non uscire per nessun motivo dalla tua camera" le urlai di rimando. Ignorai tutto quello che mi gridò lei dopo.
Presi dal mio armadio l'oggetto che avevo rubato dalla soffitta dei McColeen e mi recai in camera di Jared. Jared fumava e aveva degli accendini che teneva sempre sulla scrivania, accanto a un posacenere.
Per prima cosa estrassi dal suo armadio il suo fucile a pompa. Quando mi aveva spiegato come faceva a pulirlo, Jared mi aveva detto anche come si toglieva la sicura da un fucile come quello. "Così se ti dovesse servire, sai come sparare" mi aveva detto. Bene, ora mi si presentava l'occasione adatta.
Estraetti l'oggetto rubato, la prova della colpevolezza di Dylan, dal cellophane. In quel mobile nella sua soffitta, infatti, ero riuscita a trovare la famosa cintura di lupo maledetta. Avevo fatto le mie ricerche su internet e in biblioteca e avevo scoperto che secondo alcune antiche credenze, bruciare quella cintura uccideva il lupo.
Presi quindi uno degli accendini di Jared e iniziai a dare fuoco all'indumento malefico. Non appena i primi peli presero fuoco, la stanza iniziò a impegnarsi di fumo nero e di una puzza nauseabonda di carne bruciata. Avevo il voltastomaco. Sistemai sulla scrivania la cintura di pelliccia e me ne allontanai. Udii chiaramente un latrato disperato provenire dal piano di sotto: Dylan stava morendo. In quel momento iniziai a piangere: lui era comunque il mio ex ragazzo e pensare che in quel momento fosse agonizzante tra atroci sofferenze mi faceva un male terribile. Non avevo scelta, però. La scrivania di Jared stava prendendo lentamente fuoco. Se non fossi uscita di lì al più presto sarei morta carbonizzata, decisi quindi di andarmene. Aprii la porta con circospezione, lentamente. Nessun lupo in vista. Non si sentivano più nemmeno i latrati di Dylan. Solo il respiro pesante di Jared che si aggirava per il piano di sotto. Corsi a rinchiudermi in camera di mia madre. Era chiusa a chiave.
"Mamma sono io" bisbigliai bussando.
Lei corse ad aprirmi, mi fece entrare e si richiuse subito la porta alle spalle. 
"Che hai fatto fino adesso? Perché non sei venuta subito qui? Mi hai fatto morire di paura!" mi sgridò lei sottovoce. Subito mi abbracciò, felice che fossi ancora viva. 
"Ho ucciso uno dei due lupi, mamma. Solo che ce n'è un altro in casa" spiegai. 
"Ho sentito un lungo ululato, infatti, ho immaginato che.." ma mia madre non riuscì a finire la frase. 
Jared aveva sfondato la porta e se ne stava sull'uscio, il muso sporco di sangue e la bava che gli scendeva dalle fauci. Anche le sue zampe erano insanguinate e lasciavano impronte rosse. 
Sparai un colpo al muro e puntai poi l'arma verso di lui. Se ne stava a fissarmi immobile, impaurito, diffidente, ringhiando piano.
"Nasconditi sotto il letto" ordinai a mia madre.
"Sparagli Claire!" mi incitò lei. 
"Non posso.." risposi. Lacrime iniziavano a solcarmi le guance.
"Vuoi farci ammazzare?" mi gridò lei. Vedendo che non reagivo, mi diede una forte spinta che mi fece finire contro l'armadio, mi prese il fucile dalle mani e sparò. Lo mancò per un pelo. Jared indietreggiò. 
"Fermati!" feci io. Non avevo quasi le forze necessarie a parlare, la botta che avevo dato alla testa contro l'armadio era stata forte, mi sentivo tutta frastornata. Mi portai una mano alla testa e me la controllai: stavo perdendo sangue, parecchio sangue. 
Mia madre non mi ascoltò e non si accorse di quanto stessi sanguinando. Sparò un altro colpo a Jared,
colpendo lo stipite della porta e mancandolo di nuovo. Il lupo indietreggiò ancora, sparendo alla vista di mia madre. 
"Bestiaccia maledetta" imprecò mia madre continuando a tenere il fucile puntato verso la porta. 
Sentii che stavo per svenire, il sangue mi colava sull'occhio sinistro, non ci vedevo più.
"Mamma fermati" biascicai. Prima di perdere i sensi, una luce colpì il mio occhio destro, quello non offuscato dal sangue. Un raggio di sole stava filtrando dalle finestre. Fu l'ultima cosa che vidi. Poi svenni. 

 

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Capitolo 18
*** Gli orrori di Soulsville ***




Gli orrori di Soulsville

 

"..e poi mi sono risvegliata qui" termino. Sono in un letto di ospedale. Sono stata medicata e fasciata, sia nel punto in cui ho sbattuto contro l'armadio, sia in quello dove sono stata graffiata da uno dei lupi. 
L'ispettore Thomas mi guarda come si guarda una povera pazza. Lupi mannari, bestie feroci. Non mi crederà certamente. Io ho bisogno di parlare con qualcuno della mia storia, ho bisogno di raccontare la verità. Non mi interessa più di mantenere il segreto di Soulsville. 
"Va bene signorina, grazie per avermi raccontato la sua versione dei fatti" mi ringrazia l'ispettore, alzandosi dal mio letto. Ecco, non mi crede. Del resto perché dovrebbe credere a una ragazzina che farfuglia cose su mostri e altre assurdità paranormali? Penserà che sono scioccata. 
"Avremo modo di parlare meglio della faccenda più avanti, per ora si riposi. Buona serata" mi dice se ne va, lasciandomi sola in quella umida stanzetta d'ospedale.
Appena uscito, viene permesso a mia madre di tornare nella mia stanza. 
"Come ti senti, tesoro?" mi chiede, accarezzandomi una guancia.
"Bene. Mi fa solo un po' male la testa" rispondo.
"È naturale. Mi dispiace per averti dato quella spinta, non volevo certo far del male alla mia bambina, ma ero troppo spaventata che quella bestia ci divorasse" si giustifica lei.
"Nessun problema mamma, è tutto a posto" faccio io "Come.. come sta Jared?" le domandai. 
"Sta bene. Lo stanno interrogando ora. Dice che è rientrato nel momento in cui la bestia se n'è andata e ha trovato la salma semi-carbonizzata di un lupo, il cadavere.." mia madre fa una pausa. La sua voce trema vistosamente.
"..il cadavere di suo padre Adam, me in stato di shock e te a terra, svenuta che perdevi sangue. È stato lui a chiamare l'ambulanza e a portarci fuori dalla casa in fiamme, io ero troppo scossa per fare qualsiasi cosa" termina. 
"Tu ci credi? Intendo dire.. credi che non sia un licantropo?" le domandai. 
"Io.. io non so più cosa pensare, Claire, so solo che appena ti sarai rimessa lasceremo questo paesino per sempre e torneremo a Whistler. Ci lasceremo alle spalle gli orrori di Soulsville e non ne parleremo più. Capito?". E' un ordine questo. Mia madre vuole cancellare tutto quanto: Adam, Jared, Dylan, dovremo fare come se non sia successo nulla, come se queste persone non le avessimo mai conosciute, come se non avessimo mai vissuto quei due mesi infernali a Soulsville.
"Non cercherai mai più Jared Myers, mi hai capita? Soulsville sparirà dalle nostre vite, non ci seguirà a Whistler. Quel ragazzo è un pericolo per noi come lo è quell'inquietante cittadina" aggiunge mia madre. Annuisco, lo sguardo triste e perso nel vuoto, fisso il muro verdino della mia stanzetta d'ospedale. 
Una lacrima solitaria scende, rigandomi una guancia.

Ci lasceremo alle spalle gli orrori di Soulsville..

 

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Capitolo 19
*** Epilogo ***




Epilogo


21 marzo 2016.
Eccomi qui: sono Claire Evans, ho diciannove anni e faccio la commessa in un supermarket di Whistler. 
Tre mesi fa sono tornata a vivere nella mia città natale, dopo aver abitato per due mesi a Soulsville, un paesino non lontano da qui.

Non so spiegare come mi sento. Spesso la notte ho degli incubi, dormo solo un paio d'ore e il giorno dopo sono sconvolta. Altre volte mi capita di addormentarmi prestissimo la sera, senza neppure cenare e non desiderare altro che farlo per sempre, semplicemente perché non voglio pensare. 
Io e mia madre non parliamo mai di Soulsville, né di Adam, né di Jared. Però sappiamo. Entrambe sappiamo che l'altra ancora ci pensa, a quello che è successo laggiù.
A volte sembra tutto così vicino, così presente, così reale. Altre volte sembra di aver fatto semplicemente un lungo, brutto sogno, di quelli opprimenti, da cui ti svegli stanco, spaventato, scosso fino alle interiora. 
Mia madre si è buttata a capofitto nel lavoro. Sta a casa giusto il minimo indispensabile, a volte anche meno. Spesso sta fuori tutto il giorno e torna solo quando è ora di andare a dormire. Anche lei credo abbia paura di pensare, di ricordare. 


 

Non ho più visto né sentito Jared, ma non passa giorno che io non pensi a lui. E' arrivata la primavera e mi piace immaginarmelo che sfreccia sulla sua motocicletta con indosso un giubbotto di pelle, per le strade di campagna, al tramonto. So che starà soffrendo, ora, solo ed orfano, dopo aver perduto anche il padre che era l'unico suo appoggio. Magari sentirà perfino la mia mancanza o forse no. So anche, però, che Jared è forte e troverà il modo di rialzarsi.
E' un lupo solitario, quello che ulula tristemente alla luna, abbandonato a se stesso, ma che non si lascia distruggere né scalfire da nulla.

Forse, un giorno, troverà la sua pace. Forse incontrerà una persona a cui poter rivelare i suoi segreti, con cui dividere quella solitudine, con cui scacciare via quei fantasmi e quella tenebra che si porta appresso. Forse avrà dei figli, ai quali insegnerà a stare lontani dalla foresta e a guardarsi dalla luna piena. 
Forse, un giorno, ci rincontreremo. 
Forse.

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