Noi, per il resto del mondo. di Happy_Pumpkin (/viewuser.php?uid=56910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Noi, per il resto del
mondo
Prologo
L’archeologo Sasuke Uchiha si guardò attorno, nel
grande e immenso spazio bianco dove era stato trasferito; socchiuse
appena le palpebre: tutta quell’assenza di colore faceva
persino male agli occhi.
Una volta che
le retine artificiali si furono abituate, abbassò lo
sguardo, per aprire e chiudere le falangi in movimenti lenti ma
costanti, così da testare l’efficienza della
riproduzione grafica del suo corpo. Poté dirsi soddisfatto
per la risposta all’input dei dati.
Poco dopo, in
una deframmentazione di quelli che sembravano cristalli, vide comparire
davanti a sé il proprio compagno, anche se definirlo tale in
quel frangente gli sembrava persino assurdo. Dovevano intraprendere un
compito fondamentale, persino vitale per il futuro della razza umana,
della sua identità e cultura. Ma faticava ad accettare
l’idea che per farlo occorresse davvero la presenza di
qualcuno che non sapeva distinguere una colonna dorica da una ionica,
eppure riusciva a battere i record di robe come Virtual Zombiecide sin
dalla data del release di quella sottospecie di ammasso di luci, suoni
e sangue che era il videogioco.
Videogioco, esatto.
Fece una
smorfia, per poi sospirare e guardare altrove, mentre il nuovo arrivato
dopo un saluto allegro aveva già cominciato a scaldarsi,
agitando le braccia.
Certo, come se
uno che faceva il tester di videogiochi avesse davvero bisogno di fare
un riscaldamento pre… pre-cosa,
esattamente?
“Piantala
di dimenarti. Adesso carichiamo il file Roma, dall’Urbe
all’Impero e saniamo le parti che ci servono,
poi passiamo al prossimo.”
Il gamer
Naruto Uzumaki si tirò su, portandosi le mani ai fianchi,
roteò gli occhi e ribatté:
“Sasuke,
tu rendi tutto così facile, ma sono io con il mio pad a
dover usare questo corpo fittizio per arrampicarmi tra canopi,
necropoli e pile di ceramiche in modo da trovare i bug di sistema,
rimetterli a posto e far funzionare tutto. Tu ti limiti a dire
‘no, quella
non ha la forma di anfora con il puntale è una…
– perse il tono scimmiottante per riflettere –
cilica, kilika, chilo… bah, quella roba
lì.”
“Kylix,
Naruto! Una kylix! Quando imparerai il termine? Ne avrai viste a
centinaia, sei una zucca vuota: per quello servo io, altrimenti avresti
riparato il bug mischiando canopi egizi con aryballoi greci!”
lo aggredì Sasuke, tagliente.
“Oh
Santa Gea che orrore, che crimine contro l’umanità
– vide lo sguardo disgustato e offeso dell’altro,
quindi precisò – dai, Sasuke, scherzo. Apprezzo
tantissimo quello che stiamo facendo e la possibilità di
ripristinare tutto ciò che rimane delle civiltà
antiche da dopo il Grande Terremoto. Solo, mi piace prenderti un
po’ in giro: quando toccano le cose a cui tieni perdi proprio
la calma, sei affascinante.”
Ammise Naruto,
tirando fuori il suo pad personale per incominciare a inserire delle
coordinate e immettere altri dati, in modo da procedere con il
caricamento.
Sasuke vide
sul suo volto un’espressione quasi nostalgica, persino
malinconica. Non capì perché, ma decise di
lasciar perdere, limitandosi a borbottare qualcosa
d’incomprensibile mentre faceva materializzare a sua volta un
pad olografico, in quel caso appartenente invece all’azienda
per cui lavorava, se così si poteva dire, in modo da
controllare i dati vitali.
“La
tua frequenza cardiaca è a posto: ovunque tu ti trovi in
realtà sembri rilassato. Connessioni neuronali funzionanti,
i corpi virtuali paiono rispondere bene e non dovrebbero esserci
problemi con l’interazione dei dati. Tengo aperto il pannello
per confermare gli indici vitali una volta che la realtà
digitale si sarà sviluppata, sperando di non trovare bug
ostici fin da subito.”
Commentò
Sasuke.
Corpi e
realtà virtuale, tutti termini che ormai da più
di un anno avevano preso a far parte della sua quotidianità,
assieme ad altri più vicini al suo mestiere, da quello di terminus ante quem al
carotaggio. Già, perché centinaia di secoli fa la
Terra, come altri archeologi e, in generale, umani la conoscevano,
aveva subito violente scosse telluriche capaci di cambiare radicalmente
la geografia mondiale: continenti un tempo soggetti alla deriva avevano
finito per accatastarsi nuovamente in una sorta di Pangea primordiale,
collassando tra loro con tragiche conseguenze climatiche e vitali.
I
sopravvissuti, anche agli stravolgimenti successivi, avevano perso ogni
traccia di quello che era stato l’Uomo prima di allora. E se,
nonostante tutto, nel tempo la voglia di vivere aveva fatto
sì che l’ingegno prevalesse sulla morte e la
desolazione, con il passare degli anni e grazie a una relativa
stabilità geografica l’uomo aveva sentito la
necessità di riprendere in mano le sue origini.
Se il culto
della Madre Terra Gea aveva sopperito al primo bisogno di conforto e
protezione, specie nei momenti in cui riecheggiava in petto la paura di
un nuovo collasso geologico, la musealizzazione e
l’archiviazione digitale – grazie ai numerosissimi
dati sopravvissuti al Grande Terremoto – avevano concesso
all’uomo la possibilità di ricreare opere
statuarie, città, quadri e beni archeologici di valore
inestimabile in spazi virtuali totalmente tridimensionali, nei quali la
gente comune poteva immergervisi; non solo, riusciva persino a
toccarli, sfiorarli, camminarvi grazie alla creazione di corpi virtuali
connessi a quello vero, esplorando senza rischi oppure ostacoli.
Il videogioco
con la realtà aumentata, in sostanza, era stato la base per
ricreare qualcosa di ancora più profondo dal punto di vista
culturale e storico: merito dell’intraprendenza dei
veneratissimi Fondatori della società Archeo Travel che,
cent’anni fa circa, avevano recuperato i dati sepolti dalla
terra e dal tempo per farli vivere alle persone, guidate dai loro
personali archeologi professionisti.
Da un anno a
quella parte, però, i numerosissimi e consolidati luoghi
digitali archeologici erano stati invasi in maniera inspiegabile da
tantissimi bug; pericolosi, non solo perché alteravano dati
e quindi riproduzioni storicamente corrette, ma anche perché
a volte tramutavano l’ambiente, diventando aggressivi per i
visitatori che vi si trovavano immersi.
Per quel
motivo, diverse squadre composte da un archeologo e un beta tester
professionista erano state incaricate dall’Archeo Travel di
entrare nelle simulazioni, scovare i bug, combatterli in caso di
aggressività e infine ripararli, per riportare nella forma
corretta qualsiasi cosa fosse stata alterata.
Poco tempo fa,
Sasuke e Naruto, ormai colleghi dall’inizio di quella
sfiancante campagna di correzione, dopo essere passati per Cartagine
avevano giusto concluso una sistemazione di Atene; anche se le
Cariatidi del Partenone avevano preso a lanciare loro addosso i
capitelli che, in teoria, avrebbero dovuto stare sulla loro testa e...
ecco, non era stato propriamente piacevole.
Per non
parlare della volta prima ancora, in Egitto, quando la piramide di
Cheope si era trasformata nella piramide in vetro del Louvre e si erano
dovuti arrampicare su ogni singola parete scivolosa per sistemarla, tra
il controllare la corretta inclinazione dei blocchi e il caldo
asfissiante del sole del Cairo, voluto per immergere totalmente i
visitatori nell’esperienza.
In
quell’occasione sarebbe toccato a Roma: una riproduzione di
buona parte dei luoghi fondamentali che avevano fatto la storia della
città, con uno spettro di datazione esteso a millenni di
civiltà in una nazione che, prima del Grande Terremoto, era
nota come l’Italia, sulla base di ricerche compiute da
storici, geologi e geografi memorizzate nel database ritrovato
dall’Archeo Travel.
Sasuke
incrociò le braccia, pensoso, mentre Naruto annunciava di
aver ultimato il caricamento e, per prudenza, aveva imbracciato il
fucile deframmentante. A volte funzionava, scomponendo ad arte qualche
bug aggressivo, altre... beh, non tanto, ma rappresentava comunque un
diversivo simpatico.
Sperò
che le cose non fossero messe tanto male come riportato dalle relazioni
degli ultimi tecnici che avevano ispezionato, tramite computer, le
linee di programmazione di Roma,
dall’Urbe all’Impero, mentre loro due,
come sempre prima di ogni missione, avevano studiato l’intera
planimetria cittadina; comunque, sembrava parecchio plausibile esserci
la mano esperta di qualcuno nell’alterazione di specifici
dati.
Ma, in quel
momento, non ebbe più tempo per riflettere oltre: il luogo
era stato infatti completamente caricato e loro non potevano
permettersi di distrarsi ancora. Il bianco cominciò a
mutare, come se ci fosse stato un invisibile pennello immenso mosso da
un titano: si dipinsero chiazze di colore e luci che attraversarono
l’aria in movimenti rapidi eppure armoniosi. Sasuke, come
Naruto, vennero investiti da quei colori, sembrò ci fossero
vento e luce; il mondo stesso vorticò in un meraviglioso
contorno di vita che si generava dal nulla.
Si ersero
altissime colonne, obelischi trasportati migliaia di anni prima
dall’Egitto lontano, poi arcate imponenti che reggevano le
basi dell’Anfiteatro Flavio, capace di ergersi sopra il resto
di quel bianco accecante con la sua colossale struttura fatta di
mattoni, di sabbia, di celle interrate nelle quali gladiatori e belve
attendevano il loro fatale momento, tra il sudore e le urla di un
pubblico che acclamava gli scontri.
Dopo aver
velocemente controllato le statistiche sul pad, l’archeologo
fece per dire qualcosa, ma quando tornò a guardare Naruto,
vide quest’ultimo sgranare gli occhi e urlargli:
“Giù!”
Istintivamente,
Sasuke lo fece. Ormai aveva imparato a fidarsi: o così, o
rischiava che i bug, l’ambiente stravolto, potessero alterare
in maniera irreversibile i suoi dati e la memoria, sempre
più confusa.
Quando si
chinò di scatto, sentì l’aria
scuotergli i capelli e il rumore metallico di qualcosa che sembrava
fendere l’ambiente sopra di sé; non dovette
nemmeno alzare lo sguardo perché, in un caos di zoccoli e
ruote, gli passò a pochi centimetri dal fianco una biga,
trainata da due cavalli schiumanti che sollevarono un nugolo di
polvere, schizzata da una strada ancora sterrata.
Nonostante lo
shock, Sasuke cercò di rialzarsi rapido, mentre il
conducente, un auriga dal fisico possente e il torace coperto da spesso
cuoio intagliato, eseguì una manovra per invertire la
direzione dei cavalli; allo stesso tempo, l’uomo che gli era
al fianco saltò giù e brandì un
gladio, accompagnato da uno scenografico mantello che si
gonfiò, come sospinto dal soffio di Eolo.
Naruto si mise
di fronte al compagno e sparò un colpo di fucile: dando
però prova di maestria, il loro avversario mosse la spada in
un movimento fluido e deviò il colpo con forza sorprendente;
un’arcata del Colosseo, investita in pieno dalla
velocità del proiettile destrutturante, si
frammentò in numerosissimi pixel che caddero simili a
polvere dalle migliaia di colori diversi, fino a lasciare un vuoto
bianco nel mezzo.
“Maledizione.”
Sbottò Naruto tra i denti.
“Cambia
arma! Usane una contundente!”
“Contu che?”
sbraitò l’altro, sparando un altro colpo che venne
deviato, attaccando un frammento di voluta alla base.
“Appuntita,
va bene? Appuntita! – rispose spazientito
l’archeologo – Punta allo spazio oltre il
torace, verso le spalle e le ascelle!” Aggiunse, osservando
rapido il terreno che sotto le ruote della biga in corsa sprizzava
scintille di pixel, mischiate alla terra polverosa.
“Questo
lo so, grazie tante! Tu vedi di non morire nel frattempo!”
Ribatté
Naruto, per poi sorridere adrenalinico e roteare il fucile; in un
movimento rapido esso mutò forma, dilatandosi in scie che
mischiavano innumerevoli colori brillanti, per poi diventare una lancia
metallica dalla punta capace di penetrare la carne, come le ossa,
persino i resistenti corpi alterati delle unità virtuali.
Schivò
un fendente del combattente che, nel frattempo, lo aveva raggiunto in
una corsa feroce, poi spostò l’arma davanti a
sé in modo da parare l’attacco successivo in
sequenza rapida, facendo schiantare la spada dell’altro
contro il freddo metallo digitale. Dei pixel di un colore uguale al
mercurio s’involarono tra di loro, simili a sudore argentato.
Con una mossa
di mano, Naruto riuscì a reclinare la parte più
bassa della lancia senza sbilanciarsi, così da colpire i
polpacci dell’avversario che non fece in tempo a
indietreggiare, destabilizzandosi; il tester approfittò del
momento per indietreggiare a sua volta di un passo con un salto agile,
caricare il colpo ed eseguire un affondo all’altezza del
braccio, proprio sotto il punto vitale dell’ascella.
Non che ci
fosse un vero cuore, nemmeno pulsazioni o sangue, ma le
unità umanoidi, persino quelle buggate, erano più
sensibili alla deframmentazione se colpite negli ipotetici punti
vitali. Infatti l’entità, dopo un istante in cui
era rimasta assolutamente immobile, gli occhi sbarrati, il mantello che
aveva smesso di fluttuare per restare sospeso nell’aria
sorretto da fili invisibili, esplose in centinaia di migliaia di
frammenti colorati che, sempre più infinitesimali, si
dispersero senza nemmeno cadere a terra, inghiottiti
dall’aria virtuale.
Ma
né Sasuke, né Naruto ebbero tempo per tirare il
fiato: l’auriga ormai era prossimo e, in un trionfo di
cavalli sbuffanti, polvere e frammenti luminosi, si trovava a pochi
metri dai loro corpi, che avrebbe schiacciato e calpestato. Tramite il
collegamento neuronale la simulazione perfetta delle ossa spaccate
sarebbe arrivata dritta all’encefalo di entrambi, provocando
l’idea tragica della morte.
Naruto fece
per aggredirlo, scartando di lato in modo da corrergli incontro e
cercare di disarcionarlo dalla biga, ma Sasuke scosse la testa in un
gesto secco e gli afferrò la lancia. Senza perdere altro
tempo trascinò Naruto dietro di sé,
così da toglierlo dalla traiettoria dei cavalli e, pochi
istanti dopo, quando se li vide passare di fianco riuscì a
schivare il colpo di spada dall’auriga per attaccare a sua
volta.
Sperando che
la forza virtuale lo assistesse e reggesse il contraccolpo,
schiantò la lancia tra le ruote della biga, la quale
collassò in uno schiocco secco di legno che si spaccava,
eiettando l’auriga al di fuori della postazione che ora
raschiava il terreno, trascinata in una corsa folle dai cavalli
terrorizzati.
Sasuke venne
sbalzato a terra, ma resse bene la violenza dell’impatto; fu
però Naruto, tornato in piedi, a oltrepassarlo, afferrare la
spada dell’uomo ruzzolato sull’acciottolato e
trafiggerlo alla gola. Non schizzò sangue, eppure il bug
esplose in nuove scintille vitali, simili alla polvere e al fuoco di
pixel del carro ormai rovinato.
I
sopravvissuti ansimarono, immobili nel silenzio calato
all’improvviso tra di loro, con poco distante
l’imponente struttura del Colosseo, le nuvole immobili del
cielo azzurro e, a qualche metro, il foro totalmente deserto, adornato
dalle tracce distanti di quella che avrebbe dovuto essere la vita e il
passaggio di altri esseri umani.
Naruto si
guardò la mano, ancora stretta attorno a una spada che in
realtà, ormai, era svanita, esattamente come era accaduto ai
due nemici fronteggiati pochi istanti fa. Poi annuì e la
tese a Sasuke, il quale con una impercettibile smorfia
accettò l’aiuto, non veramente necessario, a
rialzarsi in piedi.
“A
questo giro sono stati davvero aggressivi. E io già pensavo
di aver visto il peggio con la falange oplitica.”
Commentò Naruto, passandosi una mano tra i capelli.
Sasuke si
tolse la polvere di dosso con qualche gesto brusco, infine ammise:
“Non
mi aspettavo una cosa simile sin dal principio. Temo che se
incontreremo altri bug non andrà decisamente meglio
– occhieggiò sia il Colosseo che i fori, poi
aggiunse – mi affretto a cambiare la matrice per inviare al
tuo pad le indicazioni in modo da sistemare i bug, tu tieni
d’occhio la situazione.”
Naruto
recuperò la sua arma, ancora intatta ma tornata a essere un
fucile – d’altronde era un oggetto inanimato, non
certo connesso a un encefalo pieno di stimoli, dunque non rischiava
come loro di morire o annientarsi, a meno che fossero morti loro stessi.
Dopodiché
ammise: “Quella cosa con la lancia – poi, visto che
Sasuke inarcò un sopracciglio, quasi sfidandolo
inconsapevolmente, precisò – beh, era figa. Una
bella idea.”
L’archeologo
deviò lo sguardo, fissando il pad, per poi commentare
apparentemente impegnato: “Mi ha ispirato quel film
vecchissimo che abbiamo caricato quando attendevamo la simulazione di
Atene.”
“Il
Gladiatore?” domandò Naruto con un sorriso.
“Già.
Era persino abbastanza accurato, anche se non si chiariscono dettagli
fondamentali, per esempio che i barbari sono Quadi e Marcomanni, tra le
altre popolazioni germaniche.” Replicò
l’altro, come se una simile contestazione fosse davvero
importante.
Sollevò
lo sguardo ed entrambi finirono per fissarsi. Non sapeva se prendere a
schiaffi la faccia gongolante del tester, oppure sorridere,
perché sembrava felice di una cosa tanto banale, quando
avevano appena rischiato di morire investiti da un carro virtuale.
Eppure
trattenne un sorriso e continuò a lavorare. Naruto invece lo
fissò, ancora, per poi spaziare lo sguardo sulle vie, le
colonne, i porticati e le strade che si diramavano attorno a loro.
Quando
conclusero il lavoro, sistemando gli ultimi bug, si guardarono
brevemente, soddisfatti. A ben pensarci, dopo un anno di conoscenza
virtuale a conti fatti non conoscevano realmente le rispettive
identità. Sapevano i rispettivi gusti e si erano confrontati
su idee, oppure opinioni tra le più disparate; a volte
avevano litigato, pestandosi fino a rischiare di deframmentare i corpi
virtuali con grande disappunto dell’Archeo Travel,
però alla fine erano riusciti ad appianare le divergenze,
uscendone in qualche modo accresciuti e più consapevoli
l’uno dell’altro.
Sasuke si
chiese se Naruto dovesse avere quell’aspetto, nella vita
reale, con i capelli biondi, gli occhi chiari, quell’aria
energica e a tratti troppo agitata, capace però di lasciar
posto a una determinazione terribile, simile a un fuoco impossibile da
estinguersi.
Sarebbe stato
confortante, egoisticamente, sapere che era come lui. Anche
se non ricordava esattamente certi dettagli, quando avesse cominciato a
sentire che la propria esistenza era sempre uguale a se stessa, pur
nell’imprevedibilità del lavoro svolto.
“Sasuke...”
lo vide guardare oltre le sue spalle.
Per un solo
istante, l’archeologo non si voltò, poi
sentì un suono gracchiante, nemmeno troppo forte, simile
allo statico di una vecchia radio come quelle studiate
all’università dagli studenti del futuro. Poi lo
fece, seguendo lo sguardo sempre più stupito del tester, e
vide una spaccatura verticale che si stava lentamente aprendo.
Indietreggiò
di un passo e Naruto gli fu al fianco, con l’arma stretta in
mano. Dubitava che essa potesse fare qualcosa contro un bug, sempre che
si trattasse di un bug, in grado di alterare lo spazio digitale, ma
proprio non riusciva a rinunciare a difendersi e, allo stesso tempo, a
modo suo proteggere Sasuke.
In stato di
allerta, indietreggiarono ancora, mentre la luce proveniente dalla
fenditura si fece più luminosa e, attorno, le antiche
strutture, il mercato, le colonne, sembrarono scurirsi, pennellate da
ombre profonde. Socchiusero appena gli occhi, la retina digitale
sensibile ai cambiamenti di luce era infatti come quella umana, dunque
quando la luminosità si attenuò poterono scorgere
un uomo uscire lentamente dall’apertura generata: i suoi
folti capelli neri, lunghi oltre le spalle, scompigliati, selvaggi,
erano in contrasto con il bianco accecante dietro di sé. Il
corpo alto, di una muscolatura compatta che si intravedeva oltre
vestiti slargati, indossati senza cura o interesse, si
stagliò di fronte ai due uomini.
Dopo qualche
istante, in uno spegnersi lento del crepitio elettrostatico, i colori
tornarono alla normalità e la ferita nel mondo digitale
sembrò rimarginarsi; calò il silenzio
più totale.
Naruto fece
per aprire la bocca e domandare chi fosse quel tizio spuntato dal
nulla, con gli occhi scuri, un po’ gonfi e le labbra sottili
piegate in un sorriso distorto, ma l’uomo sembrò
persino prevederlo e lo interruppe, asciutto.
“Taci.”
Offeso, Naruto
aprì la bocca in modo da ribattere, ma Sasuke lo prese per
un braccio e l’altro si decise ad attendere che il nuovo
arrivato proseguisse.
Cosa che in
effetti fece, pur non mancando di notevole sarcasmo:
“Bene,
ora che vi siete decisi a smetterla di sprecare ulteriore tempo, vi
avviso di questo: i bug peggioreranno e, soprattutto, dovete avere bene
in mente dove andare. Perché se non è la
direzione corretta prevista dal sistema – aprì la
mano e, in un istante, la richiuse – per voi è
finita. Deframmentati. In questa gigantesca sala virtuale, le vostre
connessioni neuronali imploderanno.”
“Che
stai dicendo? Chi sei?” domandò Naruto, confuso e
con un pessimo presentimento.
Sasuke
fissò l’uomo, in silenzio, con il corpo in
tensione.
Lo sconosciuto
accennò una risata secca, persino tagliente.
“Tutto
questo non ha importanza. Quello che conta sarà dove andrete, per
riparare davvero questo mondo. Dopo il trionfo, in fondo... cosa
c’è? La vittoria.
O intendete perdere?”
Li
provocò, con occhi quasi folli, ma attenti.
“Cos...”
fece per dire Naruto, cercando di afferrarlo, eppure non vi
riuscì: l’uomo, o la sua emanazione digitale,
scomparve all’improvviso, come se non fosse mai esistito.
Per un attimo
i due rimasero in silenzio, circondati da ulteriore silenzio; si
guardarono, vicini, nelle loro orecchie in realtà
l’eco delle parole e del crepitio di un mondo virtuale capace
di ucciderli.
“Dobbiamo
tornare indietro, disconnetterci. Se continuiamo, moriremo.”
Decretò Sasuke.
La cosa capace
di far riflettere Naruto era che l’archeologo non sembrava
affatto spaventato; al contrario, appariva semplicemente logico,
persino scientifico.
Naruto gli
toccò il braccio. Lo sentì così suo in quel mare di
finzione, da credere che forse c’era ancora vita, dopotutto.
Potevano essere assieme, anche se lontani, anche nelle decisioni
più difficili.
“No.
Ci riusciremo. Se ce ne andiamo questo mondo, le sue memorie...
verranno divorate dai bug e per allora sarà troppo tardi
ripararlo. Quando accadrà, nemmeno la tua bravura come
archeologo servirà per ricostruire tutto questo, trasmesso
di secolo in secolo.”
Sasuke gli
guardò prima la mano, poi gli occhi che sembravano
esortarlo, sfidandolo.
Osservò
un istante il foro romano in cui si erano trovati, alle spalle
l’immensità del Colosseo e, oltre, attorno a loro,
il resto della città in una commistione di stili e
monumenti, similmente a come era stata secoli fa, prima che tutto
venisse distrutto. Gli imponenti archi a tre fornici come quello di
Costantino o a uno solo, come quello poco distante da loro,
appartenente a Tito, sembravano caratterizzare le vie contornate da
vestigia di antichi templi – quello di Vesta per esempio, il
cui sacro fuoco si era ormai estinto, senza più alcuna
vestale devota a tenerlo in vita.
“Lo
sconosciuto... – rifletté all’improvviso
Sasuke, per quanto gli sembrava di aver già visto
quell’uomo spuntato dal nulla – ci ha dato un
indizio su dove proseguire.”
Naruto
inarcò un sopracciglio. Poi ripensò alle parole,
osservò la strada percorsa e ciò che invece
ancora avevano davanti a sé, per poi annuire. Rimise il
fucile in spalla e avanzò: dovevano tentare, sperando di
aver avuto l’intuizione giusta, altrimenti avrebbero potuto
dire addio a loro stessi, come alla storia per cui stavano lottando.
Sproloqui
di una zucca
Questa fanfiction
è nata per la caccia al tesoro organizzata dal gruppo
SasuNaru Fanfiction Italia, al quale la dedico con grande affetto.
Tramite il raduno del 27-29 di luglio ho conosciuto e reincontrato
persone meravigliose; spero davvero con il prossimo raduno di poterne
incontrare tante altre.
Nel capitolo è contenuto in indizio per capire quale
successiva tappa della Città di Roma i nostri due
protagonisti dovranno visitare, potete provare anche voi a scoprire e
decifrare l'indizio!
Spero che
vi piaccia, per quanti non hanno potuto assaporarla o, per chi ha
partecipato alla caccia al tesoro, non ha avuto esattamente tempo di
gustarsi i dettagli. Avrà toni
scanzonati, d'avventura, a tratti un po' malinconici e... ovviamente
sarà sasunaru.
Grazie ancora e buona
lettura <3
|
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Capitolo 2 *** Primo Capitolo ***
Primo Capitolo
Naruto ebbe un
brivido. Scosse le spalle, poi guardò dietro di
sé, scorgendo il profilo delle colonne appartenenti al
complesso dei fori, ma anche gli archi di trionfo che sembravano aver
realmente guidato il loro percorso.
Sospirò,
felice, davvero felice di non essersi deframmentato alla stregua dei
bug con cui avevano avuto a che fare fino a poco fa. Se solo non
avessero compreso le parole dell’uomo che era venuto loro
incontro per poi sparire, probabilmente avrebbero sbagliato la strada,
venendo cancellati per sempre; certo, a patto che quel tizio strambo
stesse dicendo la verità riguardo la deframmentazione, ma
dopo aver visto bug assurdi Naruto non si trovava nelle condizioni di
voler a tutti i costi verificare la realtà dei fatti.
Tornò
poi a guardare davanti a sé, con Sasuke che aveva cominciato
a salire le gradinate. A ben pensarci, le parole dell’intruso
erano quasi logiche: dopo il trionfo, la vittoria.
E quale
monumento a Roma poteva rappresentare meglio la vittoria, se non
l’Altare della Patria? Sulle prime, Naruto non aveva capito
la reale connessione, ma Sasuke, con una sorta di pazienza molto
contenuta, gli aveva ricordato che il vero nome con cui
all’epoca era stato fondato il monumento, oltre un millennio
dopo l’età imperiale romana, era il Vittoriano.
Roteò
gli occhi, domandandosi di cosa si nutrisse Sasuke per ricordare tutte
quelle cose. Suppose che la storia e l’archeologia dovessero
davvero piacergli e sentì, in quei mesi di lavoro assieme,
di ammirarlo per la determinazione a non lasciare che le memorie in un
certo senso tangibili dell’umanità venissero
cancellate per sempre. Ovviamente, l’archeologo poteva anche
scordarsi di ricevere parole d’ammirazione dal suo collega.
Almeno per il momento.
“Ehi,
hai intenzione di rimanere lì ancora a lungo, o vuoi far
parte della statuaria?”
Lo
esortò Sasuke, arrestandosi in cima alla gradinata.
Naruto
gonfiò le guance, con disappunto. Bene, Sasuke, scordati per
almeno molti altri anni ancora che io ti dica qualcosa di bello.
“Arrivo,
arrivo, scusa se siamo scampati a morte certa e volevo godermi il
momento!”
Sasuke
sollevò un istante gli occhi al cielo, per poi tornare a
guardare davanti a sé. Al suo fianco si ergeva
l’imponente e gigantesca statua equestre di Vittorio Emanuele
II anche se, a testimoniarlo, non c’erano né il
bronzo del Re, né tantomeno alle sue spalle il Vittoriano
come avrebbe dovuto essere. Al suo posto, infatti, c’era una
gigantesca macchina da scrivere con altrettanto enormi tasti e un corpo
fatto interamente di marmo.
“Fanculo…”
mormorò l’archeologo.
“Che
roba è?” domandò Naruto, incrociando la
braccia mentre reclinava la testa e si domandava che accidenti fosse
quell’affare di dubbio gusto, in mezzo a tutta quella
pretenziosità di marmo.
“Le
civiltà che hanno vissuto a Roma fino a qualche secolo fa
erano solite chiamare il Vittoriano con il nome dispregiativo di
macchina da scrivere. Credo, ecco, che il bug si sia trasformato in
questa versione. E dobbiamo anche rimettere Vittorio Emanuele sul
cavallo – si scrocchiò il collo, annunciando
– ci aspetta un bel po’ di lavoro.”
“Ma
dovremmo smantellare tutto questa gigantesca schifezza, prima di
rifarla. Rispettare le proporzioni e i dettagli, anche tramite il
modello precaricato: non sarà affatto facile, rischiamo
oltretutto di lasciare delle voragini bianche.”
Commentò il tester, avvicinandosi per toccare le pareti
lisce e fredde di quello che doveva essere un oggetto anacronistico, a
sua volta museale, come una macchina da scrivere.
Prima di
rispondere, Sasuke si ingegnò su come cercare di risolvere
il problema e velocizzare tempistiche che, suo malgrado doveva dare
ragione a Naruto, sarebbero risultate eterne. Scorse in lontananza, nel
cielo, quelle che sembravano nuvole, accompagnate da luci remote simili
a tuoni di un’atmosfera carica di pioggia; non gli piaceva
per nulla, soprattutto perché condizioni atmosferiche ostili
in un luogo simile non erano mai state previste.
Ma
non fece in tempo a cercare di escogitare qualcosa che sentì
un suono simile a un clangore metallico, terribilmente vicino.
Istintivamente, entrambi gli uomini si fissarono.
“L’hai
sentito anche tu?” domandò Naruto, attento. Aveva
notato a sua volta la tempesta in lontananza e l’aria, in
generale, era quasi elettrica, come rarefatta.
“Sì.”
Confermò Sasuke.
Sollevò
istintivamente lo sguardo, portandolo verso il cavallo. Naruto lo
imitò, contemplando per brevi istanti l’equino;
accennò un sorriso perché era sicuro che avessero
subito un’allucinazione uditiva.
“Che…”
Ma si
interruppe, sovrastato dallo stesso suono metallico di prima. Quella
volta, fu certo che proveniva dal cavallo. Più precisamente,
da dentro
il cavallo.
Loro malgrado,
sia Sasuke che Naruto sussultarono, non aspettandosi quel colpo secco
tanto all’improvviso. Dopo aver guardato un istante
l’archeologo, il suo collega dai capelli biondi e gli occhi
attenti puntati verso la statua domandò, sentendosi un
po’ stupido:
“Chi…
chi è?”
Sasuke
sospirò, guardando altrove. Ma non poté nemmeno
formulare un insulto concreto verso Naruto, visto che dopo quella
domanda apparentemente semplice si aprì
un’apertura all’altezza del ventre del cavallo; uno
sportello si piegò verso di loro e da oltre esso
spuntò la testa appartenente alla figura di un uomo in
bianco e nero, con dei vistosi baffoni che contornavano il volto
oltraggiato. Peccato che tutto il corpo fosse… piatto, come un
foglio di carta o, in quel caso, una fotografia gigante capace di
parlare.
“Terribile,
Signori, siamo allo sfascio, in una situazione di collasso e degrado
della civiltà.” Annunciò.
Ai suoi piedi,
perplessi, sia Sasuke che Naruto lo fissarono. Il primo con evidente
fastidio, il secondo con altrettanta lampante incomprensione.
Più che altro perché non sapeva chi accidenti
fosse quel tizio chiaramente d’altri tempi, emerso dal ventre
in bronzo di un equino. Sasuke, invece, lo sapeva eccome, ma non fu
affatto felice della cosa, in quanto significava che il tutto era
ancora più scombinato del previsto.
“Signor
Chiaradia, o meglio, la sua foto, che cosa sta facendo nella statua?
Dovrebbe trovarsi – esitò un istante, immobile,
per poi dire – alla versione digitale della Biblioteca
Nazionale Norvegese.”
L’uomo
baffuto borbottò qualcosa sulla chiamata alle armi, la
patria e altri valori, così Naruto ne approfittò
per sporgersi verso l’orecchio di Sasuke e domandare, le
labbra a pochi millimetri da lui.
“Chi
è Chiaradia?”
Fu un
bisbiglio quasi affettuoso. Sasuke girò appena gli occhi, lo
sguardo cadde sulle labbra e si sentì vagamente a disagio,
un disagio che però non gli dava esattamente fastidio alla
stregua di quando le persone si avvicinavano troppo o erano invadenti.
“Lo
scultore che ha fatto la statua equestre di Vittorio Emanuele
II.”
“Che
adesso non ha Vittorio Emanuele II sopra.”
“Precisamente.”
Messa
così l’intera situazione sembrava quasi ridicola,
per quanto, al contrario, fosse estremamente tragica. Naruto
fissò Sasuke, perplesso, rimandando a momenti migliori
interrogativi amletici su come il suo brillante collega, per quanto
dotato di buona memoria, fosse riuscito a ricordare un particolare
tanto minuzioso quale la collocazione della foto di un
tizio… insomma, uno sconosciuto, mica si parlava di
Napoleone o di Jim Morrison.
“Popolo!
– esclamò la figura monodimensionale dello
scultore, agitando le braccia – Io recupererò
l’illustre figura di Sua Maestà mediante le
digitali memorie d’intelletto a me connesse, avendo la
matrice di dati e catalogazione simile a quella del Re, al fine di
agevolare la procedura. Al contempo, mi affido alla vostra esperta
guida nell’immettere il corretto indirizzo
d’archiviazione che appartiene alla mia virtuale persona, al
fine di tornare ove era la collocazione originaria.”
“E
dove si trova sua Maestà? Perché qui non abbiamo
esattamente tempo di fare ricerche approfondite.”
Tagliò corto Sasuke.
All’orizzonte,
le nuvole sembravano essere avanzate ancora, sospinte da un vento
distante.
“Poffare!
Quale indegno comportamento da parte di voi giovini sbarbatelli! Quando
con il Vittoriano avrete concluso, dovrete rivolgervi a tutte le
divinità di codesta Terra piena di tribolazioni, per fare
ammenda delle turpitudini che macchiano l’animo vostro. Senza
la religione, sareste perduti e ridotti a uno stato di barbarie,
rimembratelo!”
Fece per
parlare ancora, ma Sasuke lo anticipò:
“Quindi?
La risposta alla mia domanda, Signor Chiaradia. Purtroppo gli dei, al
momento, sono l’ultimo dei miei problemi.”
Lo vide
assottigliare gli occhi e, dopo un istante di oltraggiato silenzio,
rispondere:
“Trompe-l'œil.
Tecnica che andava bene per quei mentitori dei mangiarane francesi
– schioccò la lingua, almeno, sembrò
farlo attraverso il movimento piatto in bianco e nero, comunque
l’eco vibrò nella pancia metallica
dell’equino, dando un suono quasi dignitoso – tutto
questo che voi vedete con i vostri fulgidi occhi, signori miei,
è nient’altro che illusione
nell’illusione. Una maschera. Un canovaccio teatrale male
orchestrato. Fate cadere la maschera e in men che non si dica riavremo
al di sotto di queste ignobili spoglie il vero, sublime Vittoriano e la
statua con Sua Maestà intenta a ergersi in tutta la sua
trionfale possanza.
Mentre che
ultimo le connessioni ancestrali con la mia opera e la bronzea figura
del Re, potreste, suppongo, pensare a come sbugiardare questa menzogna.
Potrei risvegliare questo finto destriero e spingerlo verso nuovi
orizzonti, portandolo a trascinare con sé il suo triste
circo di finzione.”
Si
impettì nel parlare.
Ma, mentre
Sasuke lo guardava con l’intento di metterlo a tacere,
richiudendolo da dove era venuto, Naruto era corso verso le pareti in
marmo della gigantesca macchina da scrivere piazzata al posto del
monumento originario.
“Sasuke!”
chiamò, pochi istanti dopo che lo scultore aveva finito di
parlare.
L’interpellato
si voltò: “Cosa c’è? Non vedi
che abbiamo già abbastanza casino? Adesso ci mancava
rispedire al mittente questo pomposo foglio parlante – Ohibò, piano con le
parole, Signorino udì la voce indignata del
foglio in questione – non ti ci mettere anche tu,
perché la mia pazienza sta già diventando un bug
pronto al collasso.”
“Guarda
qui.” Insistette semplicemente Naruto, troppo esaltato da
qualcos’altro per dar peso al pessimo umore del collega.
In un istante,
sollevò con la mano il marmo
ed esso, simile a una pellicola, venne in parte via, rivelando
tutt’altra struttura al di sotto. Il vero, originale, per
quanto digitale, Vittoriano.
“Mr.
Baffo ha ragione! C’è proprio una maschera al di
sopra. Dobbiamo svestire l’Altare della Patria!”
Esclamò,
esaltato.
“Wow.”
Commentò Sasuke, apatico.
Poi
sospirò e, avvicinandosi, notò effettivamente che
la riproduzione al di sotto della pellicola sembrava proprio il
monumento corretto.
“Sono
metri e metri di strato da rimuovere: visto quanto è grande,
impiegheremo tantissimo tempo.”
“Il
cavallo – rispose Naruto, con gli occhi che scintillavano,
entusiasti e in fibrillazione – Chiappia ha detto che
risvegliava il cavallo finto.”
“Chiaradia.”
Non poté fare a meno di correggerlo Sasuke.
“Sì,
va bene, quello. Comunque – Naruto gesticolò,
girando attorno a se stesso per abbracciare tutta l’imponente
gradinata – se potessimo agganciare tutta ‘sta roba
al cavallo, lo scultore lo attiva, nel frattempo lo rispediamo da
dov’è venuto e in men che non si dica rimettiamo
tutto dove già stava. Che ne dici?”
Sasuke
fissò la struttura, poi l’equino.
Si morse un
labbro. Era una follia ma, accidenti, si poteva fare.
“La
tua arma. Puoi trasformarla in quello che vuoi?”
domandò l’archeologo, occhieggiando il fucile
sulle spalle del compagno.
“Ovvio
– replicò fiero Naruto, impettendosi –
ti ricordi, sulla piramide del Louvre, quando l’ho
trasformato in un rampino che… Sasuke! Cavoli, geniale!
Cioè, pure io, ma anche tu non scherzi! Certo, splendido!
Trasformiamolo in un rampino e colleghiamo le corde coi ganci tra
struttura e cavallo!”
L’uomo
annuì, suo malgrado ritrovandosi nella stessa scia di
entusiasmo, contagiato probabilmente non solo dall’urgenza
del momento, ma anche da quell’eccessivo caos che era Naruto.
Quest’ultimo
imbracciò il fucile e avviò la trasformazione,
mentre l’archeologo corse verso lo scultore, domandandogli:
“Il
cavallo, questo cavallo, lo può risvegliare e…
– se si fosse sentito dire simili stronzate in
un’altra circostanza, si sarebbe preso a schiaffi da solo
– correre giù per le scale con noi in sella? Ci
agganceremo il finto Vittoriano.”
“Ohohohoh!
Quale superba idea, invero si può fare. Chi ve
l’ha, modestamente, suggerita?”
Lo
fissò, in attesa.
Dopo
un’iniziale esitazione, infine Sasuke ammise, cercando di
elaborare un sorriso che risultò essere una smorfia:
“Lei, Signor Chiaradia. Merito del suo brillante
ingegno.”
“Oh,
lei mi rende troppo onore – lo fissò un istante,
per poi concedere – assicurate i legami al nobile destriero,
io provvederò al resto. Nel frattempo, chiederei se mi
usaste la cortesia di rispedirmi alla mia collocazione natia, per
quanto, in fin dei conti, fittizia anch’essa.”
“Certo
– replicò Sasuke, notando Naruto intento a
muoversi con il rampino e armeggiare con le corde – a questo
posso pensare io.”
In breve,
molto più breve se non altro rispetto
all’eventualità di smantellare l’intero
edificio pezzo per pezzo, Sasuke si era issato, arrampicandosi, sul
cavallo di bronzo, con ancora la foto di Chiaradia
all’interno ; nel frattempo, Naruto aveva ultimato di
agganciare le corde in tensione alla gigantesca pellicola, arpionata.
Il tester
rimise il fucile sulle spalle e cominciò a correre.
“Sbrigati!”
lo incalzò Sasuke.
Nel cielo
echeggiò un tuono simile a un gorgoglio cavernoso, diramando
lampi di luce che ricordavano la spaccatura articolata di un vaso.
Naruto corse.
Senza
preavviso, lo scultore disse qualcosa di totalmente incomprensibile.
E… svanì.
Veloce, Sasuke
occhieggiò il pad con i dati ricalibrati per ricollocare la
fotografia nella giusta simulazione.
“Maledizione.”
Mormorò tra i denti. Perché il cavallo di bronzo,
a differenza di Naruto, non accennava a muoversi.
Istintivamente
tese la mano al tester, quando questi cominciò a scalare la
parete di marmo del piedistallo. In quel preciso istante,
però, le cose cambiarono: l’equino, infatti, in
uno scuotersi di criniera dai lucenti fili di rame prese
improvvisamente vita. Emanò un nitrito metallico ma profondo
e si impennò, gli occhi simili a piombo puntati davanti a
sé, mentre il manto sembrava scintillare come una corazza
lucida. Sasuke fece giusto in tempo ad aggrapparsi alle enormi redini
che ricordavano metallo fuso, gelido nelle sue mani, così da
non venire disarcionato dal movimento improvviso.
Con un salto,
il cavallo scese dal piedistallo. Ancora sospeso per aria, in
quell’istante infinitesimale di potenza della creatura,
Naruto per un riflesso dettato dall’esperienza assurda di
quei mesi riuscì ad aggrapparsi alla gamba massiccia, metri
e metri di metallo che gli rendeva però difficile tenere la
presa tanto a lungo.
Quando la
creatura atterrò sulle gradinate marmoree, in uno scossone
di ferro e rame, infatti Naruto rischiò di sfracellarsi a
terra. Vide le sue mani lasciare la presa, lo vide distintamente, al
punto da riuscire a darsi dello stupido e prepararsi a sentire la sua
colonna vertebrale sbriciolarsi all’impatto con le scale,
perché la statua era alta metri e metri, lui invece era solo
un misero umano altrettanto finto ma ben più minuscolo.
Però,
la sua caduta non terminò in quel modo. Anzi, non
terminò affatto.
Sporgendosi
quasi del tutto, con le gambe sommariamente agganciate alle
estremità della sella, Sasuke si era lanciato di getto per
afferrare il collega, che si limitò a scontrarsi appena con
la coscia bronzea dell’animale.
“Sali,
presto!”
Con un colpo
d’addominali, Naruto senza farselo ripetere due volte si
dette la spinta e, facendo appoggio sulle gambe con una presa
più salda, salì fino in cima alla sella, talmente
grande da potercisi sdraiare, se solo si fosse trattato di una
tranquilla camminata domenicale.
Peccato che, a
conti fatti, tutta la questione fosse decisamente lontana
dall’essere tranquilla. Spronato dalle ultime parole del suo
scultore, il cavallo infatti continuò a correre lungo le
magnifiche gradinate, in un trionfo di zoccoli e muscolatura possente.
Dopo che
Naruto era risalito, Sasuke fece appena in tempo a guardare alle sue
spalle, poi imitato dal tester, per vedere l’intera struttura
del Vittoriano venire finalmente svelata: la patina fittizia fu
trascinata dalla corsa impazzita del cavallo che scoprì quel
vecchio vestito per rivelare la bellezza del corpo di marmo
dell’Altare della Patria. Anche la statua equestre originale
era al suo posto, con tanto di Vittorio Emanuele II che, fiero,
sembrava guardarli dall’alto del suo basamento meraviglioso.
In un
frusciare di vesti la copertura s’involò nel
cielo, disperdendosi tra le nuvole in numerosi frammenti simili a
polvere, oro brillante destinato a sparire.
Il cielo
tuonò. Ma non fu l’unico rombo che udirono.
Quando il
Vittoriano si rivelò in tutta la sua bellezza, infatti, ai
margini della struttura cominciò a sgorgare…
“Acqua?”
domandò Naruto, incredulo.
“Le
statue ai lati – spiegò Sasuke, tornando a
guardare davanti a sé e a reggersi per un nuovo sobbalzo
dell’animale in corsa – rappresentano due vecchi
mari dell’Italia, prima che ci fosse il Grande Terremoto. E a
quanto pare… hanno deciso di esondare!”
Con uno
strattone, riportò Naruto a guardare dritto davanti a
sé, lasciandogli parte delle redini per tentare, in quella
corsa folle, di guidare il cavallo decisamente fuori controllo.
“Santa,
fottutissima, Gea!” esclamò il tester, per una
volta senza opporsi al sollecito brusco dell’altro. Quando
l’animale atterrò oltre le gradinate in uno
slancio potente, rimbalzarono sulla sella in un violento scossone.
L’acqua
marina rimbombò alle loro spalle, con
l’impetuosità di una diga esplosa: un trionfo di
schiuma e salsedine sembrò divorare le scale, per poi
arrivare a lambire le zampe del cavallo, schizzando spuma bianca
addosso ai conducenti e al manto metallico.
“Giriamo!”
esclamò Naruto, tirando una redine per far svoltare
l’equino che, nonostante un po’ di reticenza,
curvò seguendo la traiettoria.
Ma
l’immenso muro d’acqua sembrò seguirli,
anziché dirigersi dritto davanti a sé, mosso da
un magnetismo magico verso il destriero e i suoi ospiti.
“Dove
andiamo?” domandò Naruto, guardandosi attorno.
Al loro fianco
avevano piazza Venezia, mentre di fronte si ergeva
l’imponente Colonna Traiana, con il suo incedere crescente
delle scene che narravano la riconquista della Dacia.
La spuma
gorgogliò alle spalle con rabbia sempre maggiore, invece il
cielo riecheggiava dei suoi tuoni come un monito distante. Sasuke si
morse un labbro, stringendo le redini mentre il cavallo, inarrestabile,
avanzava.
“Dove
cazzo è il tizio di prima? Adesso non viene a tirarsela con
i suoi suggerimenti da enigmistica dei poveri?”
esclamò Naruto, voltandosi di tanto in tanto per controllare
la gigantesca massa d’acqua marina che sembrava poterli
travolgere e inghiottire da un momento all’altro.
“Zitto,
lasciami pensare!” ribatté Sasuke, guardando
invece dritto davanti a sé il Foro Traiano che si espandeva
con i suoi resti oltre la meravigliosa colonna, lambita
anch’essa dalle acque del mare.
“Beh,
pensa in fretta, perché non so te, ma io non ho avuto
nessuna illuminazione divina su dove accidenti andare eh…
cazzo – sgranò gli occhi, perché scorse
a pochi metri di distanza qualcosa sfarfallare, come una proiezione
instabile del percorso – no, giriamo, giriamo, non so dove,
ma non andiamo dritto. C’è
un’imperfezione, non è la strada!”
Tirò
le redini. Sasuke si tenne a malapena per reggere la virata improvvisa
del cavallo, venendo schiaffeggiato da un’ondata
d’acqua che gli incollò i capelli sul cranio.
Troppo occupato a pensare per insultare il suo collega, al quale era
sostanzialmente andato addosso, si portò indietro i capelli
fradici in maniera sbrigativa e gli gridò, per sovrastare il
rombo delle onde prossimo a investirli, visto che avevano deviato
direzione:
“Prima!
Prima che hai detto?”
Naruto lo
guardò appena per scuotere la testa, tornando poi a
concentrarsi sulla guida mentre il fucile rimbalzava sulle sue spalle.
“Ma
ti sembra il momento? Non lo so, dico tante cose…
– schioccò la lingua – non sappiamo dove
andare, ci vorrebbe un miracolo per…”
“Divino!”
In
un’altra occasione, Naruto avrebbe probabilmente replicato
con un sornione modestamente,
grazie per averlo notato, ma trovò che per una
cazzata simile Sasuke lo avrebbe rispedito direttamente da Teti.
Si
sentì invece afferrare per il braccio da Sasuke che,
parlando rapido, lo scosse spiegandogli:
“Chiaradia!
Mi ha detto una frase: dobbiamo
rivolgerci a tutte le divinità di codesta Terra;
c’è un luogo che le racchiude tutte –
nel vedere lo sguardo perplesso dell’altro, però,
brusco aggiunse – di là! Vai in quella
direzione!”
A Naruto non
rimase che fidarsi. In quell’anno sembrava che la fiducia
reciproca, in fondo, avesse funzionato molto bene.
Sproloqui
di una zucca
Eccomi dopo intense
settimane di vacanze XD Dopo quest'aggiornamento i prossimi saranno
più frequenti <3
In questi capitoli
Sasuke e Naruto mi fanno morire per come battibeccano eppure continuano
comunque a cercarsi. Grazie e alla prossima!
|
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Capitolo 3 *** Secondo Capitolo ***
Secondo Capitolo
Pantheon,
tutte le divinità. A Naruto sarebbe venuto da ridere per la
stupidità del collegamento, peccato si trovasse in una
situazione nella quale gli veniva tutto meno che ridere. Stava infatti
ancora in sella a un gigantesco cavallo di bronzo, con accanto il suo
collega archeologo che pareva semplicemente incazzato e sulla
soglia dell’apprensione tragica, inseguito da una gigantesca
massa d’acqua marittima.
Grandi risate,
insomma.
Il peggio di
tutta quella faccenda, però, era che davanti a loro non
c’era il normalissimo edificio verso cui erano stati un
po’ brutalmente diretti, bensì... una voragine:
un’immensa spaccatura nella terra, al cui interno confluiva
ulteriore acqua che pareva essere divorata dalle profondità
più oscure.
Gli venne da
gridare. Un grido di rabbia, più che di semplice paura,
rabbia per dover morire senza combattere.
Ma
più si avvicinavano, più scorse qualcosa
comparire dal gigantesco buco che sembrava essersi generato nel
terreno, tra laterizi e pietre; più che qualcosa: un
edificio affondato senza una crepa o parti danneggiate, come se ci
fosse nato, in quella terra, con tutti i suoi marmi resi ancora
più lucenti dall’acqua che terminavano con un foro
centrale in cima all’immensa cupola.
Il Pantheon.
Sentì
Sasuke mormorarlo, nonostante il galoppare furente dei cavalli e lo
scroscio agitato dell’acqua alle loro spalle.
“Dobbiamo
gettarci nell’apertura della cupola.”
Decretò alla fine l’archeologo, stringendo le
redini senza distogliere lo sguardo da davanti a sé.
Quella frase
Naruto l’aveva sentita ancora meglio. E gli piaceva,
logicamente, persin meno.
“È
un tuo modo creativo per trovare un’alternativa in cui
moriamo schiantati, anziché affogati
dall’acqua?”
Se solo ci
fosse stato tempo, Sasuke avrebbe spiegato con didascalica precisione
il perché della sua scelta, giusto per concludere con un idiota finale che
risultava meno dispregiativo dei primi mesi. Ma anche in quel caso il
tempo non giocava esattamente a loro favore, dunque l’uomo si
limitò a ripetere a voce più alta, in modo da
essere sicuro di farsi sentire:
“Quando
avremo toccato la cupola del Pantheon salta dal cavallo e gettati di
corsa nell’apertura!”
Lanciò
una breve occhiata alle sue spalle: la forza dell’ondata
anomala d’acqua era tremenda, se li avesse travolti ne
sarebbero stati schiacciati, forse addirittura sarebbero morti sul
colpo per l’impatto dalla violenza di un tir schiantato a
tutta velocità.
Si
aspettò un’eventuale protesta di Naruto, ma questi
si limitò ad annuire, corrugando le sopracciglia con uno
sguardo determinato e gli occhi puntati davanti a sé, pronto
per il momento decisivo.
Momento che
non si fece attendere troppo.
Infatti, pochi
istanti dopo il cavallo, ormai fuori controllo, saltò oltre
il margine della voragine. Per qualche istante i due furono in balia
dell’aria, con la criniera in fili di bronzo che
ondeggiò placida, sospesa in un gonfiore leggiadro al pari
dei capelli dei conducenti, plasmati dal vento; specie quelli di Sasuke
che, anche se bagnati, erano comunque piuttosto lunghi.
Poi, il tempo
sembrò riprendere a correre più veloce e in quel
breve attimo di caduta, Sasuke e Naruto lasciarono le redini per
saltare ai lati del cavallo che atterrò in una vibrazione
metallica, crepando la superficie traslucida della cupola; gli zoccoli
schiaffeggiarono l’acqua che, sfidando ogni legge della
fisica, risaliva in ruscelli morbidi la superficie curva della cupola
per poi confluire nell’apertura circolare al centro.
Quando
rotolarono a terra senza farsi troppo male, Sasuke e Naruto si
rialzarono avvertendo ancora le viscere rimestarsi in petto, risalite
fino alla gola per via di tutti quegli sbalzi di altezze; ma non
c’era tempo per riacquistare l’equilibrio o
riprendersi: le gigantesche onde d’acqua continuavano infatti
a inseguirli con ostinata ferocia. Sebbene un po’
traballanti, appena riuscirono a rimettersi in piedi i due corsero, per
dirigersi senza ulteriore esitazione verso l’ingresso in cima
alla cupola.
I loro piedi,
come gli zoccoli del cavallo, lambirono i ruscelli d’acqua
trasparente, sottile, simile a pioggia scrosciante contro un vetro,
spruzzando a ogni salto di quella corsa disperata gocce che si
mischiarono alla spuma del mare. Quando arrivarono al bordo
dell’apertura circolare, Sasuke e Naruto si guardarono un
istante, poi si fiondarono all’interno quasi in
contemporanea; nel gettarsi, il tester trattenne il fiato, che gli
rimase bloccato all’altezza della gola.
Poi venne
travolto da una superficie d’acqua che sembrò
avvolgerlo in quella caduta folle, rimischiandogli ancora gli organi
che, quella volta, cercarono quasi sicuramente di risalirgli oltre il
palato.
Appena
riemerse, inspirò una gigantesca boccata d’aria,
tra la bocca che sapeva di mare e i capelli gocciolanti acqua
– almeno, la simulazione virtuale gli faceva credere a tali
livelli di essersi inzuppato fino al midollo . Preoccupato,
cercò Sasuke e lo vide intento a dare grandi bracciate per
raggiungere quella che sembrava… una canoa fatta di canne e
paglia? Nel bel mezzo di quel gigantesco bacino d’acqua che
sommergeva le statue del pantheon e le sue nicchie?
Bene, tutto
assolutamente normale.
Lo raggiunse e
si issò a sua volta, senza che ovviamente
l’archeologo gli desse una mano e… beh, figurarsi
se lui gli avrebbe chiesto qualcosa. L’imbarcazione
ondeggiò un istante per poi stabilizzarsi. Nonostante
l’aspetto fragile, sembrò reggere bene il loro
peso e anche le acque parvero essersi calmate; meraviglia, forse per
una volta non c’era nulla che stesse cercando di ucciderli!
“Non
so come sistemeremo tutta questa storia – borbottò
Naruto, tirandosi indietro i corti capelli fradici – che ci
fa ‘sta bagnarola nel mezzo del Pantheon, proprio non so. Poi
i romani non erano grandi marinai, giusto?”
Fece presente,
fiero dell’osservazione.
Sasuke gli
lanciò un’occhiata e precisò,
meticolosamente fastidioso: “Per inciso, questa bagnarola
è una feluca egizia. Che… no, non so nemmeno io
cosa rappresenti in questo contesto – guardò un
istante altrove, per poi ammettere suo malgrado –
è vero, i romani non erano grandi marinai, anche se Agrippa
fu determinante per Ottaviano, non solo per le sue capacità
ingegneristiche, basti pensare ad Azio, o…”
Corrugò
appena le sopracciglia, per poi sospirare e scuotere la testa, mentre
la barca galleggiava placidamente: “Lascia perdere, non so
perché ti racconto tutto questo nel mezzo del casino in cui
ci troviamo, sarà il fatto che è stato proprio
Agrippa a erigere il primo Pantheon.”
Ma Naruto
scosse la testa: “No, no, anzi, mi ha fatto piacere! Hai una
luce diversa negli occhi quando parli di ciò che
ami.”
Si fissarono
un istante e Sasuke pensò fosse stupido imbarazzarsi per
quelle parole; parole, se possibile, ancora più stupide
– anche se, avendo conosciuto Naruto in quell’anno,
poté ammettere che non sempre diceva cose totalmente a caso,
il più delle volte lo faceva credendoci davvero.
Ma prima di
poter ribattere, improvvisamente la barca cominciò a
muoversi totalmente da sola, dato che non c’erano remi,
né loro erano ancora dotati di capacità
telecinetiche, per quanto fittizie. Si voltarono entrambi a guardare in
avanti, realizzando che la corrente aveva cominciato a sospingerli
verso una delle estremità del Pantheon, più
precisamente contro una delle pareti; anche se ai rispettivi margini di
tale parete due nicchie, rispettivamente una con la statua della Luna e
l’altra con quella del Sole, cominciarono a sollevarsi
facendo defluire ulteriore acqua in una cascata, la barca
sembrò non accennare a spostarsi da quella direzione.
Anzi, man mano
che la feluca avanzava, la corrente divenne più intensa e
inoltre, sebbene con maggiore lentezza, il volume dell’acqua
stava cominciando a calare drasticamente.
“Finirà
così e ci andremo a schiantare.”
Mormorò Sasuke, guardando l’apertura verso
l’esterno in entrambe le nicchie. Non sapeva esattamente
perché, cosa si fosse alterato, ma aveva la sensazione che
quel mare si estendesse per chilometri e chilometri, con ampiezze molto
più grandi di quelle effettive.
“Puoi
giurarci. Più incrementerete la velocità,
più farà male; e posso assicurarvi che
farà molto
male.”
Nonostante
l’impellente necessità di trovare una soluzione,
dato che nelle colonne in mezzo tra le due edicole sembrava esservi
nient’altro che solido marmo, sia Sasuke che Naruto si
voltarono di scatto al sentire una voce che sembrava in qualche modo già conosciuta.
E per nulla amichevole.
“Il
tizio di prima!”
Esclamò
infatti Naruto, quando vide seduto sulla punta della feluca proprio
l’uomo che avevano incontrato attraverso la fenditura;
riuscì anzi a distinguerne ancora meglio i contorni, i
capelli lunghi e disordinati, nonché quelle che sembravano
occhiaie.
“Madara,
prego.” Replicò tagliente il tizio in questione.
La barca
andò più veloce, fendendo l’acqua nella
sua spuma bianca. Il livello si stava abbassando, ma più
scendeva, più pareva che sotto di loro non ci fosse alcun
pavimento: solo l’abisso, oscuro e terribile, mentre la via
di fuga attraverso le due aperture continuava a rappresentare
l’unica soluzione per andarsene da quel posto infernale.
Sasuke lo
fissò, sentendo una rabbia crescente: “Chi sei?
Cosa vuoi da noi?”
“Non
c’è tempo per le domande – con un cenno
della testa li invitò a tornare a guardare avanti e i due,
loro malgrado, istintivamente lo fecero – decidete, quale
fiume prenderete: Don, Po’, Tevere o Nilo?”
Rise. Poi, in
quell’istante, si abbassarono altre due nicchie, con le
statue ricche di panneggi di Marte e, rispettivamente, di Venere.
Quattro
statue, quattro direzioni diverse.
La corrente
cominciò a cambiare in una serie di turbinii confusi e la
feluca sembrò non saper più dove dirigersi. I
muri colonnati parevano in ogni caso volerli far schiantare e
inghiottire, come l’abisso sotto di loro.
“Quattro
fiumi? Dove li vedi quattro fiumi a Roma?”
Esclamò
Naruto, scuotendo la testa. Fece per allungare la mano e afferrare il
tipo che aveva detto chiamarsi Madara, ma questi sembrò
inconsistente, perché la mano del tester passò
attraverso il corpo dello sconosciuto.
“Che
domanda stupida. Sasuke, almeno tu, Uchiha secchione, non mi
deludere.”
Ci fu aperta
ironia in quella richiesta, ma Naruto si sentì offeso:
“Beh, Casper dei poveri, stupido sarà tutto questo
gioco assurdo; sono io a sistemare i bug evidentemente provocati da te
grazie alle mie conoscenze informatiche. Secchione a lui,
tzé.”
Gonfiò
le guance, incrociando le braccia.
Tevere.
Pensò frenetico Sasuke: l’unico fiume presente era
il Tevere.
Fece per
aprire la bocca e dirlo, quando si bloccò.
Qualcosa non
tornava: era una risposta troppo facile e, in tutto quel casino, se
c’era una cosa chiara era che il tizio seduto ai margini
della barca non sembrava affatto amare le cose semplici.
“Piazza
Navona!” esclamò alla fine, facendo sussultare il
tester. Ovviamente, Sasuke in quei casi si era semplicemente messo a
riflettere, al di là della frustrazione e della voglia di
attaccare alla gola Madara che si era intromesso nel loro
già complicato lavoro.
Chi fosse,
cosa volesse… perché sentiva di ricordare
qualcosa su di lui, persino su di sé, dimenticato nel tempo?
Domande lecite, in realtà, ma necessariamente da rimandare;
per quel motivo aveva ignorato Naruto, come era capitato già
tante altre volte prima di allora a dire il vero, lasciandolo al suo
blaterare mentre cercava di fare qualcosa di concreto.
“La
fontana dei quattro fiumi, quella del Bernini – riprese
più velocemente – il Gange, il Rio della Plata, il
Danubio e…”
“Il
Nilo.” Concluse per lui Naruto.
Sasuke
annuì, ma prima che potesse domandarsi se il collega fosse
davvero a conoscenza di dettagli simili, il tester lo
anticipò, indicando l’imbarcazione:
“Si
tratta di una feluca egizia, no? Forse avevamo l’indizio sin
dal principio.”
“Hai
ragione.” Ammise Sasuke, sorpreso ma non più di
tanto. Quell’idiota dai capelli biondi aveva una conoscenza
archeologica e artistica che rasentava il ridicolo, però non
mancava di spirito d’osservazione e intelligenza. Doveva
ammetterlo, anche se gli costava fatica.
Infatti
prontamente Naruto sgranò gli occhi, provocandolo:
“Oh, incredib…”
Ma Madara lo
afferrò per la collottola della maglia –
chissà come, ma quel tipo sembrava invece poterli picchiare
persino troppo facilmente – e incalzò, con lo
sguardo più folle, persino divertito:
“Quindi?”
“Nilo!
Prendiamo il Nilo!” gli ringhiò contro Naruto,
esasperato.
Con una virata
brusca, la feluca cambiò direzione e si diresse verso
l’edicola un tempo appartenente a Venere, la quale era
però sparita, in modo da lasciare lo spazio sufficiente per
passare.
Madara li
osservò un istante, poi li provocò:
“Chissà
se riuscite a risalire fino alle acque vergini, pivelli!”
Ma non si
godette le gioie di vederli cercare di replicare qualcosa
perché sparì, facendo sussultare leggermente la
feluca che, però, proseguì il suo incedere rapido
fuori dal Pantheon, trasportata dalla corrente forte ma non travolgente.
Metro dopo
metro, le acque si fecero meno dense e violente, finché
l’imbarcazione sembrò paradossalmente spiaggiarsi
in quella che, come previsto dalla normale urbanistica, era Piazza
Navona. Placida, la fontana funzionava quasi fosse stata una tranquilla
giornata qualsiasi, con le sue statue e le sue alture rocciose che le
elevavano. Un po’ sospettosi, Sasuke e Naruto scesero
dall’imbarcazione, scrollandosi per quanto possibile un
po’ d’acqua dai vestiti e dai capelli zuppi.
Le nubi
all’orizzonte sembravano più lontane, ma erano
sempre presenti e incombevano su di loro come una spada di Damocle.
“Wow
– mormorò Naruto – incredibile,
però siamo ancora vivi.”
Strizzò
ulteriormente la maglia, gocciolando acqua salmastra.
“Già.”
Convenne Sasuke.
Si
girò e, già preoccupato all’idea di
come accidenti avrebbero fatto a risistemare un Pantheon interrato e
affogato nel mare, rimase di sasso quando realizzò che
l’edificio era perfettamente normale, con tanto di marmi
lucenti, la sua gloriosa cupola e le alte colonne frontali che
sorreggevano il frontone austero.
Prontamente,
il tester tirò fuori il pad personale per memorizzare i
codici modificati e salvarli nel suo database, in modo da facilitarsi
eventuali nuove correzioni.
Nel frattempo,
lo scroscio dell’acqua proveniente dalla fontana e del
tintinnare di monete si espanse nell’aria con un effetto
persino rassicurante.
“C’è
una valuta virtuale?” domandò Naruto
all’improvviso, contemplando a sua volta il Pantheon, a
caccia di eventuali buchi dovuti a imperfezioni residue.
“Come?”
si riscosse Sasuke, tornando a guardarlo.
Naruto si
voltò, scrutando alle proprie spalle, infine
spiegò: “Non so, mi è venuto spontaneo
chiedere. Ho sentito qualcosa che ricordava un tintinnio, ma forse
è solo la mia immaginazione, in mezzo a tutto questo
casino.”
Ridacchiò.
“Allora
lo senti anche tu, il tintinnio.” Constatò invece
Sasuke.
Deviò
lo sguardo: oltre la fontana, scorse la figura di un ometto con un
cappello elaborato, decorato da una piuma svolazzante, e addosso una
giacca dai pretenziosi orli in filo dorato, fatta di un tessuto che
ricordava velluto.
“Lui…
lo vedi?” sussurrò Sasuke.
“Non
so se esserne felice, ma… sì, lo vedo.”
“Messeri!”
esclamò all’improvviso l’uomo, facendo
una leggera corsetta. Lo seguiva un carro in legno semplice, guidato da
due cavalli senza cocchiere; tutto il contrario, insomma, della
ricchezza portata addosso a quella figura bassa e un po’
sovrappeso.
“Dimmi,
Sasuke, si tratta di un altro degli artisti che conosci soltanto
tu?”
Sasuke
roteò gli occhi, faticando come sempre a seguire
l’ironia dell’altro, per poi replicare asciutto:
“Non
so chi sia questo tizio, va bene?”
Lo osservarono
fermarsi per controllare una scarsella in cuoio che, a giudicare dal
suono metallico in quel momento riconoscibile, doveva essere piena di
monete tintinnanti.
“Messeri,
quale gaudio avervi trovato! Non so per quale ragione, ma stavo
rientrando verso la magione di famiglia e tutto è tanto
subitamente mutato. Orrore! Sortilegio demoniaco!”
Fece per
agitarsi, ma Naruto lo bloccò, cercando di mostrarsi
rassicurante e non mettersi a ridere per l’effetto comico
della combinazione piuma-cappotto improbabile:
“Signore,
stia tranquillo, stiamo cercando di risolvere la cosa.”
L’ometto
respirò una boccata profonda, lo fissò, infine,
ignorando il fatto che i due messeri fossero bagnati fradici e vestiti
in maniera totalmente anacronistica per quelli che sembravano i suoi
ricchi gusti, spiegò:
“Il
mio cocchiere, lestofante, è scappato, lasciandomi in balia
del nulla coi cavalli che potrebbero imbizzarrirsi e correre ovunque,
portandomi a morte certa – spalancò gli occhi,
come prospettando immagini orribili di sé intento a
involarsi oltre il carretto – già è
stato difficile reperire qualcosa di meglio oltre a questo catafalco
pietoso, almeno tento di rientrare alla magione al fine di recuperare i
mezzi di trasporto che si convengono al mio stato.”
Naruto
annuì, dispiaciuto per quel signore che, in fondo, gusto nel
vestire a parte sembrava tener davvero a rientrare a casa. Forse se lo
avessero aiutato, indipendentemente dalla strada, non si sarebbero
disintegrati in milioni di pixel; magari poteva essere un modo come un
altro per correggere il bug di chi non si trovava nel posto giusto,
come la simpatica foto monodimensionale di Chir…
Chiam… Chiaradia.
Ma Sasuke
scattò, sospettoso:
“Chi
sei, esattamente? E perché dovremmo aiutarti? –
poi guardò Naruto e ribatté, incurante della
presenza dell’ometto, per quanto virtuale – Chi ci
dice che non sia un trucco di Madara per mandarci
fuoristrada?”
Naruto avrebbe
voluto ribattere che Madara, per quanto perverso, non avrebbe mai
potuto partorire un design così orripilante per qualcuno
sostanzialmente progettato per ucciderli, ma venne interrotto proprio
dal presunto killer in questione che ribatté, oltraggiato:
“Io
sono un banchiere, poffare! La mia famiglia ha acquisito uno dei
maggiori simboli del potere e del prestigio
insito…”
Le sue parole
si fecero più deboli quando vide i cavalli nitrire e, dopo
uno sbuffo, decidere che forse conveniva loro galoppare da
un’altra parte.
“I
destrieri! Ohibò, intendete aiutar questo
pover’uomo o volete bighellonare come donnine di facili
costumi?”
“Ci
ha appena dato delle puttane?” domandò Sasuke,
inarcando un sopracciglio.
Ma Naruto non
badò a simili sottigliezze linguistiche, afferrò
per un braccio il collega e cominciò a correre, urlando:
“Signor Banchiere, le acchiappiamo i destrieri, magari ci da
un passaggio!”
L’uomo
li seguì con una corsa più goffa, tenendosi il
cappello per evitare di farlo volare via.
In un modo o
nell’altro riuscirono a raggiungere il carro e, prima di
aiutare Sasuke a salire, Naruto con un balzo si mise al posto di guida,
afferrando le redini al volo. Riuscì, se non proprio a
frenare del tutto i cavalli, perlomeno a rallentarli.
Giurò
che dopo quella volta, tra equini giganti di bronzo e altri invasati
digitali, non avrebbe più toccato un cavallo se non tra
molto, moltissimo tempo.
Sasuke si
issò, aiutando suo malgrado il banchiere che, ansimando, si
accasciò sulla panca di legno, la quale
scricchiolò sotto il peso del corpo comunque denso.
Nonostante
avessero già superato Piazza Navona e il carro stesse
proseguendo lungo quello che rimaneva dello Stadio di Domiziano, i due
visitatori non erano ancora spariti, il che tutto sommato era un buon
segno. Sasuke un po’ si dispiacque per aver trattato
così male quel tizio ansante al suo fianco, ma non troppo.
Dette un colpo
di tosse e domandò:
“Di
che famiglia fa parte, quindi?”
“Ehi,
Sasuke – lo interruppe Naruto, i cui capelli sembrarono
più dorati, quasi sabbiosi – guarda,
c’è della gente sugli spalti che ci acclama! Figo!
Mi piace questa versione!”
Sia
l’archeologo che il banchiere deviarono lo sguardo verso
l’unica ala ancora integra dello stadio, dove le sole
scalinate presenti erano quelle di accesso; nessun bug, per una volta:
a livello museale, da prima della Pangea quello che rimaneva dello
stadio iniziale era solo una triste mezza curva.
“Spero
bene che abbiano pagato lo spettacolo.” Borbottò
l’ometto, sistemandosi meglio sul sedile come per darsi
importanza.
Sasuke
incrociò le braccia, un po’ a disagio per quella
situazione. Incredulo, però, roteò gli occhi
quando sentì addirittura Naruto esultare e ruggire.
Andava bene la
gloria e la parata in pompa magna, ma era quantomeno ridicolo
atteggiarsi tanto solo per fare un paio di metri nella sabbia
dell’arena, oltretutto a bordo di quattro assi di legno che
per miracolo non si erano ancora distrutte.
“Smettila
di ruggire, sei fastidioso.” Lo pungolò.
“Ma
che ruggire? Ho solo salutato!” ribatté Naruto,
voltandosi un istante.
Nel farlo,
però, sgranò gli occhi, guardando qualcosa alle
spalle dei due passeggeri improvvisati.
Si
elevò un altro ruggito che sembrò più
vicino. Come già accaduto, da prassi del manuale delle cose
destinate a precipitare, Sasuke seguì lo sguardo del collega
e mormorò, con piccata rassegnazione:
“Leoni. Perfetto,
davvero perfetto.”
Infatti un
branco di tre leoni ruggenti, con tanto di criniera folta ed enormi
zampe che si schiantavano sul terreno, era intento a correre nella loro
direzione e, a giudicare dalle fauci immense, i tre animali erano anche
pronti a divorarli con tutto il pacchetto, carro sgangherato compreso.
Ironia della
vita, non li avevano incontrati al Colosseo, figurarsi se potevano
esimersi dall’averci a che fare nel momento meno opportuno di
sempre.
Fu Naruto
però a dirgli: “Sasuke, prendi tu le redini, io mi
occupo dei leoni.”
Senza che
l’altro potesse esprimere qualcosa in contrario, il tester si
era già voltato, in modo da balzare sul carretto che
tremò un istante, come incerto se sbilanciarsi. Prima di
trovarsi scaraventati a terra, suo malgrado Sasuke dovette saltare al
posto di guida e prendere il controllo dei cavalli che, spaventati,
cominciarono ad avere un’andatura discontinua, a volte
cozzando l’uno contro l’altro.
Il banchiere
si fece il segno della croce e mormorò qualcosa in latino.
Naruto
imbracciò il fucile e lo trasformò in una mazza
da baseball.
“Non
si preoccupi, Signor Banchiere. È previsto un ritorno alla
base.”
“Gesù.”
Mormorò l’uomo, guardando quello strumento
demoniaco estratto dal legno. Sbiancò.
Sasuke
sentì i capelli sul collo rizzarsi. Non si voltò,
ma sapeva, lo sentiva a pelle, Naruto stava progettando qualche cazzata.
“Sasuke,
non prendere velocità o questa carretta non regge! Lascia
fare a me!”
Fu allora che
l’archeologo, ovviamente incredulo sulla reale
possibilità di lasciare tutto nelle mani di Naruto, si
voltò e assistette allo spettacolo più
tragicomico della sua esistenza: vide infatti l’uomo tutto
determinato, in piedi, con tra le mani quella che era… una mazza da baseball.
Sembrava la
versione contraffatta di un film hollywoodiano di Ercole con la
versione alternativa della clava; ci mancava solo che al posto del
copricapo in pelle di leone si mettesse un cappellino con visiera ed
era pronto per sfondare nel mondo del cinema amatoriale.
“Una
clava! Potevi almeno usare una fottutissima clava!”
Sbottò,
convinto che ormai la loro fine fosse prossima.
“Vieni,
Nemeo: ti aspetto, stronzetto!”
Quasi
richiamato dalla provocazione, un enorme leone gli balzò
addosso, ma Naruto fece una potente torsione del busto che si concluse
con uno schianto della robusta mazza in legno contro la mandibola
spalancata della creatura, pronta a divorare l’intero
carretto.
Il leone
finì nella polvere in un ruggito frustrato, per poi sparire
in una pioggia di pixel dorati.
“Uno
a zero per me, yeah!”
Sasuke,
decisamente, non sapeva se essere più stupito per quello
strike portentoso contro un leone volante, o se per il fatto che Naruto
si fosse ricordato del leggendario leone Nemeo ucciso da Ercole in una
delle sue fatiche. L’aveva pure soprannominato stronzetto, ma
quelli erano dettagli.
Con
altrettanta energia, mentre ormai Sasuke guidava i cavalli lungo le
strade di fronte a sé, sperando sempre di non venir
cancellato assieme a banchieri, leoni e giocatori di baseball
improvvisati, Naruto colpì gli altri felini che gli andarono
addosso; urlò pure, per sovrastare i loro ringhi e darsi la
carica.
Quando fu
certo che non li seguisse più nessuno, ansimante, il ragazzo
si sedette sul legno, socchiudendo un istante gli occhi.
“Cavoli,
non mi sento più le mani.”
“Sei
stato bravo – ammise Sasuke dopo qualche istante –
a conti fatti credo che senza la tua idea ci saremmo sfracellati
già da tempo.”
Felice per
quel complimento sincero, anche se esausto Naruto sollevò il
pollice in segno di trionfo.
Il banchiere
si schiarì la voce, ritrovando un po’ di colore
sul volto terreo.
“Chigi.”
Disse alla fine.
“Chigi?”
domandò il tester.
“La
mia famiglia – replicò l’altro, quasi
come se fosse la cosa più scontata del pianeta, dopo i leoni
cancellati a colpi di mazza da baseball – i rinomati
banchieri che hanno acquistato l’omonimo palazzo.”
“Palazzo
Chigi – intervenne Sasuke – dirigiamoci
lì.”
Forse,
dopotutto, la missione del banchiere aveva davvero impedito al sistema
di cancellarli, anche perché non avevano ancora esattamente
capito dove andare.
Proseguirono,
oltrepassando varie strade: la Chiesa della Santa Maria Maddalena con
il suo stile Rococò pieno di fronzoli – Sicuro che non è un
bug? Aveva commentato Naruto – per poi
costeggiare Montecitorio e, finalmente, giungere fino a Palazzo Chigi,
così rinominato in seguito all’acquisto nel 1659
da parte di una famiglia di banchieri senesi, i Chigi per
l’appunto.
Sasuke tenne
per sé quelle nozioni di cultura, aveva parlato anche troppo
per i suoi standard e quell’operazione di ripristino mista a
fuga disperata si stava rivelando ancora più lunga del
previsto.
Eccetto i
leoni, se non altro né Piazza Navona, né i resti
dello stadio sembravano danneggiati, lo stesso valeva per quanto visto
di Montecitorio; inoltre, con uno certo spirito pratico il tester aveva
provveduto a memorizzare i codici scannerizzati mediante il pad.
Quando
fermò i cavalli, il banchiere sospirò sollevato e
discese, aiutato da Naruto che gli evitò una rovinosa caduta
a terra. L’arma del tester era ritornata il classico fucile
multiuso.
“Vi
sono debitore, messeri. Se volete aprire un conto e ottenere un
prestito, vi farò un prezzo di favore, miei prodi. Lo
diceva, il mio astronomo di fiducia, che il segno della Vergine sarebbe
stato benedetto da Dio quest’oggi. E l’acqua il mio
elemento fortunato.”
Sorrise,
battendosi qualche colpetto sul ventre un po’ abbondante.
Sasuke fece
una smorfia, domandandosi in che modo l’astronomia potesse
incastrarsi con Dio, ma non aprì dibattiti in merito. Il
cielo aveva ripreso a rannuvolarsi e lui aveva la sensazione che il
tempo stesse per scadere.
“Dove
dobbiamo andare?” provò invece a chiedere
all’ometto, un po’ a bruciapelo.
Il banchiere
si fece perplesso: “Dove, mi chiede, messere? Ma io non lo
so, quali scempiaggini dite! L’unica cosa che so è
che gli equini valgono, di questi tempi, quindi me li
restituite.”
“E
tutta quella storia del debitore, dei prodi,
blablabla…” lo provocò Naruto, piccato.
L’uomo
borbottò qualcosa per poi aggiungere: “Parlavo di
tasso di interessi favorevole, un fondo destinato…”
Ma sia Sasuke
che Naruto scesero, mollando redini, cavalli e carretti.
“Sa
cosa? Si tenga i suoi tassi e pure i suoi cavalli. Andiamo a
piedi.” Tagliò corto Sasuke.
“Ben
detto.” Convenne Naruto.
Senza nemmeno
badare all’espressione stupita dell’uomo, i due si
allontanarono, ma non tantissimo, giusto per fare scena e attendere che
il banchiere se ne andasse, con tanto di cavalli che riluttanti lo
seguirono.
“Tassi
e cavalli. Bella battuta.” Ridacchiò Naruto.
Suo malgrado,
Sasuke accennò un sorriso e scrollò le spalle,
effettivamente divertito: “Mi è uscita
così.”
Risero
assieme, scaricando le tensioni di quel viaggio frenetico.
Poi,
lentamente, la risata si smorzò e ritornò la
consapevolezza pressante di dove accidenti dirigersi senza rischiare la
deframmentazione.
Quella volta,
se non altro, tempeste furenti a parte avevano qualche istante in
più per rifletterci.
“Sarà,
ma io non sono della Vergine e si vede, data la sfiga che mi
perseguita, anche se l’acqua è stata persin troppo
il mio elemento.” Borbottò Naruto, memore delle
dissertazioni astronomiche del Signor Chigi.
Sasuke lo
fissò, pensoso:
“Vergine.
Acqua.”
Naruto lo
scrutò: “Stai avendo un’idea brillante
da indizi assurdi, come il detective che risolve un caso
d’omicidio?”
“Non
so, è che… Madara – domandò
all’improvviso l’altro – aveva detto
qualcosa prima di andarsene.”
“Innanzitutto
ci ha dato dei pivelli, e già per questo quando giungeremo
al boss di fine livello gliela farò scontare tantissimo,
poi… boh, ci ha detto
chissà se riuscite a risalire fino alle acque vergini.”
Lo
scimmiottò Naruto, per poi bloccarsi. Pareva avere un senso,
ora che pensava a come tornavano i dettagli.
Sasuke fece un
sorriso trionfante e perfettamente sicuro di sé; Naruto lo
trovò inquietante ma bello al tempo stesso, cosa che lo fece
un po’ imbarazzare.
L’archeologo
infatti gli chiese, con sfida e accattivante esaltazione:
“Sai
presso quale fontana sorgeva l’acquedotto
dell’Acqua Virgo?”
Naruto
incrociò le braccia, guardando altrove:
“Oh,
dai, su, mister Genio, dimmelo, visto che muori dalla voglia di farmi
sapere quanto sei speciale.”
Sasuke gli
tirò un pugno sul braccio e lo mandò a fare in
culo, ma alla fin fine, orgoglioso, gli rispose, aggiungendo che
dovevano ancora superare un edificio ben più moderno prima
di giungere a destinazione, la Galleria Alberto Sordi. E Naruto, in
fondo, convenne che Sasuke ne sapeva davvero tantissimo. Oltre a essere
un figo, ma questo non glielo disse.
Sproloqui
di una zucca
Eccoci con questo
nuovo capitolo, decisamente il mio preferito: mi sono divertita un
mondo a scriverlo e spero abbia strappato anche a voi una risata. Mi
auguro che vi siano piaciuti gli indizi e che la trama in generale vi
acchiappi, sempre con quell'avvicinarsi progressivo di Sasuke e Naruto.
Grazie ancora a chi
legge e segue questa storia. Alla prossima!
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Capitolo 4 *** Terzo Capitolo ***
Terzo Capitolo
Per una volta,
il rumore delle acque scroscianti non fu per i due viaggiatori virtuali
una fonte di disagio, o segno di una morte prossima, bensì
rappresentò un suono confortante, quasi un ritorno a casa.
Nonostante questo, quando giunsero di fronte alla meravigliosa Fontana
di Trevi, non ebbero comunque modo di tirare proprio del tutto un
sospiro di sollievo: la fontana in parte era effettivamente come la
ricordavano, con i cavalli, l’acqua e l’elaborato
corredo artistico, coperto però da… un gigantesco
maxischermo bianco, le cui basi affondavano fin nel pavimento in marmo.
Di fronte, sul
lastricato, c’erano due poltrone rivestite di tessuto rosso,
simili a quelle che si potevano trovare al cinema, peccato che di un
normale cinema non ci fosse un bel nulla; oltretutto, ben presto sia
Sasuke che Naruto si accorsero che i cavalli in marmo avevano preso a
eiettare improvvisamente pop-corn, anziché acqua.
“Sedetevi,
prego, la proiezione sta per cominciare.”
Si
levò nell’aria una voce meccanica, simile a un
registratore standardizzato; a tratti sembrava provenire
dall’interno della fontana – che nel frattempo si
stava riempiendo in misura sempre maggiore di pop-corn e meno di acqua
– a tratti dal cielo stesso, quasi come se i tuoni
all’orizzonte ormai scuro avessero preso una forma sonora
simile alla parola.
I due si
guardarono un istante.
In maniera
progressiva, tutte le luci del cielo cominciarono a cambiare: il sole
fittizio del giorno aveva lasciato posto alla luna e alle stelle che si
affacciavano sul panorama di una serata estiva; mancavano le cicale che
frinivano e, di per sé, il venticello piacevole dopo una
giornata di caldo, ma l’effetto avrebbe potuto essere molto
simile. In un certo senso, più si incamminava con sospetto
verso i posti a sedere, più Sasuke aveva
l’impressione che la notte stesse calando.
Quando
finalmente giunsero di fronte alle poltrone, Naruto lo
guardò con la faccia di chi si aspettava di dover saltare
via per evitare di essere azzannato dalla sedia reclinabile; allora
l’archeologo fece un cenno di esortazione, consapevole del
rischio di poter realmente fare una fine simile.
I due si
sedettero quasi in contemporanea, l’uno accanto
all’altro, ma appena poggiarono le natiche sulla soffice
imbottitura si accorsero che, a dispetto delle nefaste previsioni, non
stava succedendo assolutamente nulla; anzi, il cielo sembrava persino
aver smesso di scurirsi e di contorno si erano accese delle luci molto
poetiche ai bordi della fontana, per quanto sostanzialmente la magia
del riflesso luminoso sull’acqua fosse andata totalmente
persa, a causa del sovraffollamento dei pop-corn che ogni tanto
scoppiettavano.
Ancora un
po’ in tensione, per quanto apprezzassero
l’opportunità di fermarsi un istante e riprendere
fiato, l’archeologo e il tester portarono lo sguardo sul
maxi-schermo che, nel frattempo, aveva cominciato ad avviare una
proiezione un po’ traballante, simile a una vecchia bobina di
un cinema d’inizio Novecento – tutto questo,
nonostante alle spalle dei due spettatori non vi fosse alcuna traccia
di un proiettore, nemmeno volante. Dopo qualche secondo, le immagini si
stabilizzarono e comparvero sullo schermo tre figure
dall’aspetto strano, tutte prese a ridacchiare tra di loro
come se non si fossero minimamente rese conto della presenza di altre
persone.
Uno era un
tizio con gli occhiali dalla spessa montatura nera e l’aria
seria, al suo fianco c’era una sorta di donna dalla parvenza
tranquilla ma inflessibile, con un vestito ampio, decorato da quelli
che ricordavano numerosi rullini e pellicole cinematografiche di un
nero scintillante. Eccentrici eppure eleganti, si estendevano simili a
boccoli delicati lungo l’ampia gonna; in mano, teneva un
grande libro dalle pagine un po’ ingiallite, con scritto a
caratteri gotici Quiz.
Più
sul fondo, c’era una sorta di macchia d’inchiostro
fluttuante che ogni tanto si disperdeva in numerose gocce, altre volte
ondeggiava placida.
Insomma, un
bell’insieme di fenomeni da baraccone.
“Benvenuti.”
Annunciò l’uomo con gli occhiali, a
metà tra il gentile e l’asciutto.
“Sembra
Asimov.” Sussurrò Sasuke.
“Non
lo sono – i due ragazzi seduti sussultarono appena,
non aspettandosi di venire uditi – questo è un
avatar della mia persona. Anche se è un po’
più complicato di così.”
“Per
usare un eufemismo.” Convenne la donna con il vestito
bizzarro.
L’inchiostro
sembrò ridacchiare, la vernice fresca sussultò
infatti in onde divertite.
“Siete
tutti avatar? Anche la macchia che fluttua?”
Domandò
Sasuke.
L’inchiostro
si agitò in protesta, ma la donna rispose con fare
apparentemente tranquillo:
“La
tua assunzione è corretta. Vi ringraziamo per il lavoro
svolto fino a ora sul nostro
Roma, dall’Urbe all’Impero e anche
sui mondi precedenti.”
“Nostro?
Cosa intendente con nostro?”
inquisì l’archeologo.
Ormai era
chiaro che non si trattava più di una semplice proiezione,
bensì di un confronto vero e proprio con chiunque altro
fosse in quelle teste digitali.
I tre si
guardarono – sì, persino l’inchiostro
– infine l’uomo replicò con una sorta di
mezzo sorriso:
“Nostro
perché noi siamo i Fondatori dell’Archeo
Travel.”
Immobili,
Sasuke e Naruto fissarono lo schermo. Qualche istante di ragionamento,
poi Naruto commentò:
“Ma
– deglutì, una sola volta, per accennare infine un
sorriso isterico – ma l’Archeo Travel è
stata fondata almeno cento anni fa, voi dovreste essere...”
“passati
a miglior vita?” intervenne l’avatar di Asimov.
“defunti?”
incalzò la donna.
“Morti.”
Decretò nuovamente il signore con gli occhiali.
“Esatto.”
Convenne Naruto, rimasto un istante senza fiato.
“Abbiamo
fatto in modo di caricare le nostre identità e
volontà sul sistema per portarle avanti, ispirandoci a
quanto già accaduto in passato, in modo da assicurarci che
nei secoli niente e nessuno interferisse con i nostri
sistemi.” Spiegò il finto Asimov, con tono
tranquillo nonostante le parole sembrassero parecchio perentorie.
“Tipo
Madara.” Notò Naruto. Sasuke li fissava,
mordendosi leggermente un labbro; nella testa avevano cominciato ad
affiorare pensieri confusi. Sentì l’impulso di
tornare a casa, ma… dov’era casa, dopo tutti
quegli anni?
La donna
sorrise, ci fu uno scintillio negli occhi: “Anche.”
L’inchiostro
sembrò dire loro qualcosa, agitandosi come mare oscuro in
tempesta. Lo ascoltarono, infine Asimov domandò, quasi come
se stesse studiando i suoi soggetti:
“Avete
mai pensato di conoscervi dal vivo?”
Sasuke
fissò Naruto, il quale replicò veloce:
“No, mai avuto il tempo. Ma a voi che vi frega? In sostanza,
che volete?”
“Arrogante.”
Commentò Asimov.
La donna
schioccò la lingua: “Effetto
dell’eccessivo lavoro, congiunto probabilmente a una scala di
valori sfalsata rispetto a quella a cui eravamo abituati noi,
Emme.”
L’inchiostro
sembrò fare una linguaccia in direzione del pubblico molto
risicato, poi Asimov o, come appena scoperto da tale pubblico, Emme
aggiunse:
“Torniamo
a noi. Va bene così, la vita virtuale ha una sua serie di
vantaggi innegabili, ignorarli sarebbe da stupidi e voi non lo siete,
giusto? – non attese nemmeno una conferma che
incalzò – Madara è pericoloso. Lavorava
per noi, prima che succedesse tutto questo, ma a un certo punto ha
deciso che non lo pagavamo abbastanza; ora ci ricatta, devastando coi
suoi virus interi mondi. Rischiamo di perdere dati importantissimi, lui
deve essere trovato ed eliminato. Per qualche motivo sembra avervi
preso particolarmente a cuore, vi sta dando degli indizi su come
evitare la deframmentazione in maniere orribili; nessuno è
mai arrivato fino a questo punto nella simulazione Roma, dall’Urbe
all’Impero.”
Naruto
gonfiò appena le guance in una smorfia di disappunto; certo, a cuore, insultandoci e
tutto il resto, pensa se ci odiava. Ma ebbe il buon senso
di tacere e ascoltare le ultime parole di quelle specie di
oracoli/mummia di cent’anni fa.
“Bì,
a te le conclusioni – esortò Emme, osservando
l’inchiostro che era diventato una sorta di patetico punto
nero – Zeta, non preoccuparti, era chiaro quello che volevi
dire; i codici si sono sfalsati, ma l’impatto comunicativo
è comunque molto efficiente, sei stata solo un po’
sfortunata.”
Il punto nero
sembrò persino sospirare e tornò a essere una
normale chiazza d’inchiostro, per quanto fosse normale vedere
una macchia fluttuare nell’aria, simile a una versione
dark-goth del mercurio da termometro.
“Bene,
viaggiatori. Siccome Madara ha reimpostato il mondo secondo una
programmazione molto categorica, dobbiamo attenerci alle linee guida
per evitare di insospettirlo: se tutto andrà secondo
procedura, lo troverete e potrete affrontarlo per eliminarlo; il bug
che genera altri bug.”
“Ma
se quando ho provato ad afferrarlo era trasparente!”
protestò Naruto.
“La
prossima volta lascia che lo prenda Sasuke. Tu pensa a colpirlo con
l’arma digitale.” Replicò Emme,
fissandoli.
“Sasuke?
Perché lui dovrebbe riuscire in quello che io...”
protestò il tester, ma l’archeologo
ribatté tagliente:
“Sta’
zitto. Non è questione di riuscire o meno –
guardò un istante altrove e Naruto lo fissò,
confuso – allora, volete dirci cosa fare o ci tocca andare
per tentativi fino a morire ammazzati?”
“Il
gergo! Contenetevi.” Li esortò Bì.
Ma alla fine
aggiunse, paziente:
“Vi
faremo un quiz; una serie di domande che avranno solo una risposta. Se
corrette, vi guideranno per tutti i luoghi da percorrere.”
“E
se sbagliamo?” domandò Sasuke, artigliando il
bracciolo. All’improvviso aveva l’impressione di
non stare poi così comodo.
“Beh
– spiegò Emme, tirandosi su gli occhiali con un
mezzo sorriso – le poltroncine sono reclinabili per un
motivo. E fa male, quando siete incastrati in mezzo. Il dolore,
viaggiatori, distrarrà Madara in caso di errore, un
po’ come se steste rischiando di finire contro un muro
virtuale: penserà che state semplicemente andando per
tentativi.”
“Secondo
me siete solo dei sadici.” Borbottò Naruto.
La nuvola
d’inchiostro ridacchiò.
“Allora,
interrogatorio con tortura delle sedie reclinabili o deframmentazione
mentre vagate come le patetiche pecore che sarete?”
decretò Emme.
“Vada
per la tortura.” Disse Sasuke, dopo aver guardato un istante
Naruto, che annuì.
“Delizioso.”
Convenne Bì.
I pop-corn
smisero di essere sparati. Finalmente, i due viaggiatori ripresero a
sentire il gorgheggio placido dell’acqua e anche le luci
della retroilluminazione erano più morbide.
Ci fu un
silenzio quieto, la pace di un viale notturno in una passeggiata
solitaria.
La donna
aprì il libro, le cui pagine cominciarono a scorrere una
dopo l’altra in un fruscio leggero, emanando una luce
intensa, fino a bloccarsi; tutto, in quell’istante,
sembrò fermarsi, persino la macchia galleggiante
d’inchiostro.
“L’acqua
Virgo prosegue il suo percorso, trasportata come polline, ma
è un falso.”
La voce parve
lontana, l’eco di qualcosa dimenticato nel tempo, remoto e
antico.
Le pagine,
lente, secondo dopo secondo ripresero a muoversi, sfogliate da un vento
invisibile; Naruto ebbe la sensazione che se il libro fosse arrivato al
fondo senza ricevere una risposta da parte loro, sarebbe stato molto,
molto doloroso. Probabilmente la deframmentazione avrebbe rappresentato
una fine di gran lunga migliore.
“Stiamo
parlando di una piazza con una fontana, quindi.”
Commentò, per poi girarsi verso Sasuke. Lo vide
però più distante, mentre di solito era
terribilmente concentrato sulla risposta, come per dar prova di tutta
la sua infinita conoscenza.
“Peccato
che a Roma sia pieno di piazze e di fontane, eh?”
incalzò il tester, per stemprare la tensione. Ma
l’altro nemmeno se ne accorse: aveva il capo leggermente
abbassato, le dita intrecciate e l’espressione di chi cercava
di ricordare qualcosa.
“Sasuke?”
lo chiamò ancora Naruto, toccandogli la mano.
L’archeologo
sussultò, per poi girarsi e guardarlo con
un’espressione saggia, eppure ferita. Allora, Naruto non
comprese.
“La
fontana delle api – gli rispose Sasuke quasi in automatico,
con voce piatta – in Piazza Barberini. Si tratta di una
ricostruzione del 1915, cambiata in molti dettagli rispetto
all’originale del 1644, persino nel collocamento.”
Naruto lo
guardò, ma non riuscì a togliere la mano da
quella dell’altro, come se avesse bisogno di riportarlo con
sé; non aveva nemmeno ascoltato la sua risposta, troppo
preso a guardargli gli occhi, così scuri, così
vuoti.
Si riscosse
nel sentire Bì pronunciare con voce tranquilla,
improvvisamente più umana:
“Risposta
corretta. Possiamo passare alla tappa successiva del vostro
percorso.”
L’archeologo
chiuse gli occhi, poi li riaprì. Guardò la mano
di Naruto, ma disse semplicemente:
“Concentriamoci
sulla prossima.”
Allora il
tester la ritrasse, annuendo senza ribattere. Nel tornare a guardare
davanti a sé vide il libro sollevarsi e volteggiare, fino a
cascare tra le mani di Emme; inoltre l’acqua della fontana
– o qualsiasi liquido ci fosse all’interno
– era divenuto più scuro e lucido, così
simile alla chiazza d’inchiostro fluttuante che ondeggiava
placida, poco più indietro rispetto alle proiezioni virtuali
sullo schermo.
Emme
parlò, dopo che il libro si era fermato su di una pagina
specifica. Gli occhiali sembrarono non riflettere nulla,
l’espressione del volto era immobile, eccetto per le labbra
sottili che si mossero scandendo parole meccaniche:
“La
Cappella Sistina è così chiamata dal Papa Sisto
IV; oltre cent’anni dopo qualcos’altro
prenderà il nome dal nuovo Papa Sisto V, nel futuro si
erigerà anche un teatro.”
Lentamente, le
pagine cominciarono a spostarsi in un frusciare di carta e luci
leggere, quasi per seguire gli angoli cartacei, come se dita invisibili
appartenenti a entità luminose le spostassero.
D’istinto
Naruto esclamò:
“La
via Sistina!”
Non seppe
perché lo fece; semplicemente, si limitò a
ripensare alla mappa della città esaminata prima di avviare
il programma e gli venne in mente il nome di quella via, in principio
convinto che si chiamasse così perché collegata
all’appunto famosa Cappella Sistina, per poi realizzare che
non c’entrava assolutamente nulla.
Sasuke si
voltò di scatto verso di lui, con l’espressione di
chi probabilmente non se l’aspettava; Naruto
immaginò già le sedie piegarsi e schiacciarli, le
ginocchia che puntavano al volto, le viscere compattate per risalire
fino alla gola tra atroci sofferenze. Cavoli, perché aveva
parlato? Nemmeno sapeva se ci fosse un teatro lungo la dannatissima
via, anzi, ora che ci pensava nemmeno aveva visto monumenti come arene
e similari.
Chiuse un
istante gli occhi, per poi afferrare i braccioli, pronto nonostante
tutto ad affrontare con coraggio e determinazione anche
quell’ulteriore sofferenza.
“Esatto.”
Annunciò
la voce di Emme, senza troppo entusiasmo.
Naruto lo
guardò, sgranando gli occhi: “Cos... come?
Davvero?”
“Sì.
O avrei provveduto personalmente a strizzarti come un limone fino a
farti defecare persino l’ultimo chicco.”
Replicò
asciutto, per poi aggiustarsi gli occhiali.
Naruto fece
una smorfia:
“Beh,
direi che è stato chiaro nei suoi intenti.”
“Hai
avuto buona memoria – ammise Sasuke – il teatro
è molto più recente, di prima di Pangea. Un tempo
esistevano cinema e teatri a ben pensarci, oggi la gente guarda tutto
con la realtà virtuale e non esce di casa.”
Sembrava
triste. Era triste, a ben pensarci, come perso in ricordi remoti.
Naruto ritenne, nonostante le difficoltà, di essersi
divertito molto più quell’anno che in tanti altri
della sua... lunga
vita.
“Grazie.
Ogni tanto capita che ne combino una giusta.” Rise appena il
tester.
Sasuke,
sorprendentemente, accennò un sorriso; gli spigoli del volto
sembrarono più morbidi, persino gli occhi scuri, dagli echi
malinconici, avevano un’aria più serena.
Tornarono a
guardare davanti a loro e si accorsero che sia Bì che Emme
erano spariti: al loro posto, era rimasta solo la chiazza fluttuante;
quest’ultima poi cominciò a muoversi,
avvicinandosi progressivamente alla presunta telecamera che riproduceva
la sua immagine sullo schermo.
“Ci
dev’essere una terza domanda, anche se...”
L’archeologo
tacque, fissando perplesso l’incalzante avanzata della
macchia che andò a ricoprire porzioni sempre più
grandi dello schermo. Le luci divennero meno intense, l’acqua
scura sgorgò più rapida e delle leggere onde si
andarono a infrangere sulle pareti di marmo della vasca, agitate da
qualcosa di abissale che le faceva ribollire.
“Sasuke,
attento!”
Esclamò
Naruto. Ma non fu abbastanza veloce: la macchia si andò
definitivamente a schiantare contro lo schermo e, improvvisamente,
passò oltre, investendo d’inchiostro vischioso i
due ragazzi seduti sulle sedie che si erano reclinate, bloccandoli.
Fu come
ricevere un’ondata oscura di qualcosa di più denso
dell’acqua che impregnò i loro abiti, altrettanto
virtuali, e colò sul volto, persino oltre i capelli pregni.
Si pulirono
con una certa lentezza il viso, troppo sconvolti da quel gesto
così improvviso.
“Bastardo.”
Sbottò Naruto.
“Bastarda,
stronzetto.”
Lo stronzetto
in questione, ora che poteva nuovamente vedere, si accorse che era
scomparso anche il maxischermo; al suo posto c’era la fontana
di Trevi, uguale a se stessa, eccetto per il piccolo e insignificante
dettaglio dell’acqua, scura e torbida come un insieme di
inchiostro e petrolio. Ribolliva, furente, sgorgando fuori di tanto in
tanto, mentre la voce metallica sembrava parlare attraverso le bolle
che ogni tanto scoppiavano, simili all’intruglio scaldato in
un pentolone da strega.
“Oh,
scusa se non ho dato il femminile a una massa di melma!”
“Beh,
la melma è femminile, genio!” replicò
acida.
“Non
ha tutti i torti.” Commentò Sasuke, sollevando un
sopracciglio con aria leggermente ironica.
“Vaffanculo.”
Ribatté Naruto, lanciandogli un’occhiataccia.
“Ehi,
attenzione a me, tipetti, e basta perdere tempo! Ora, vediamo di
concludere la pantomima, oh, Bì ed Emme approverebbero
l’uso di una parola così figa, e passiamo
all’ultimo interrogativo.”
I due tipetti
annuirono istintivamente e Zeta sembrò riuscire comunque a
vederli, nonostante fosse in forma liquida, dato che il libro
tornò a fluttuare e a bloccarsi a metà, sospeso a
pochi centimetri dal mare ribollente e oscuro.
“Alla
base del tre, c’è la barca prossima ad
affondare.”
Attenti,
Sasuke e Naruto ascoltavano, pronti a sentire il seguito.
Ma non vi fu
altro, eccetto il silenzio improvviso: le acque smisero di agitarsi, le
onde cessarono, c’era solo un mare oscuro contenuto in mura
di marmo. Il libro, però, muoveva incessantemente le sue
pagine, una dopo l’altra, più veloci, sempre
più veloci.
“Il
tempo scorre, avventurieri.”
Sasuke
guardò un istante Naruto che, determinato, annuì
per incoraggiarlo, anche se non sembrava averne bisogno; ma, in
quell’anno, di Sasuke aveva capito che possedeva tante
fragilità, eppure sapeva nasconderle bene. Non sempre,
però Naruto questo non gliel’aveva mai fatto
capire.
“Non
per me.” Replicò l’archeologo, di getto,
quasi in un pensiero sconnesso.
Parlò
all’inchiostro, ma guardò il compagno
d’avventure quando lo disse. Naruto inarcò un
sopracciglio, preso per qualche istante in contropiede.
Allora, Sasuke
dette la sua risposta. E Naruto si ritrovò, invece, pieno di
domande.
Sproloqui
di una zucca
Ebbene, anche questo
capitolo surreale è andato XD In realtà dal
prossimo le cose inizieranno a farsi un po' più serie e si
comincerà a capire la realtà dietro ai fatti: ci
saranno ancora due capitoli e si tratterà di passaggi
piuttosto lunghi però intensi. I tre personaggi misteriosi
siamo in realtà: Michele/Rekichan, Blair e me medesima
(sì, sono una Zucca-macchia d'inchiostro, ahahah), gli
organizzatori del raduno del gruppo, quindi rientrava perfettamente
nello spirito di queste fantastiche giornate passate assieme.
Come sempre, grazie
per seguire questa storia! Alla prossima <3
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Capitolo 5 *** Quarto Capitolo ***
Quarto Capitolo
Sasuke e Naruto avevano seguito il percorso indicato dalle risposte al
quiz posto dai Fondatori – o chi per essi –
accorgendosi che l’inchiostro schizzato loro addosso
scivolava via man mano che avanzavano, fino a riportarli a un sommario
stato di pulizia. Inoltre, siccome più di altre volte Sasuke
non sembrava dell’umore per parlare, avevano percorso le
varie strade senza intrattenersi in elaborati dialoghi.
Ogni tanto si
erano dovuti fermare per riparare eventuali bug, come la presenza di un
sushi gigante con tanto di tridente al posto del Tritone
dell’omonima fontana, o le api sostituite da farfalle. La Via
Sistina era invece diventata un gigantesco corridoio a volte
affrescate, molto belle sicuramente, ma purtroppo ben lontane dalla
versione originaria.
Infine,
arrivarono alla tanto sospirata Piazza di Spagna, con la fontana
costituita, appunto, da una barca piena d’acqua e in procinto
di affondare; in cima alla maestosa scalinata vi era Santa
Trinità del Monte, con le sue terrazze e i lampioni che
illuminavano i gradini con la loro calda luce dalle sfumature gialle.
Effettivamente,
rifletté Naruto, gli indizi quella volta erano stati
più semplici del solito, forse i tre spostati tenevano
particolarmente a far fuori Madara, dopo che aveva scombinato decine e
decine di mondi.
Anche se...
come mai quella sottospecie di hacker aveva deciso di comparire solo in
quel posto? Mai in nessun’altra realtà virtuale,
considerando oltretutto che da almeno un anno vari team stavano
lavorando per risistemare le cose.
Quando furono
ai piedi della lunga scalinata che dava sulla piazza, scrutò
di sottecchi Sasuke, domandandosi se avesse elaborato delle teorie a
riguardo, per non parlare di quella strana frase tirata fuori forse per
provocare la macchia d’inchiostro. Ma realizzò che
l’archeologo guardava avanti, con le braccia incrociate e
l’espressione un po’ cupa, eppure
straordinariamente concentrata.
Chissà se
è così bello anche dal vivo.
Accennò
una risata, considerandosi stupido e pretenzioso nel farsi un
interrogativo simile.
“Le
scale hanno qualcosa di diverso.” Annunciò
all’improvviso l’archeologo.
Infatti gli
eleganti scalini in marmo avevano cominciato a inclinarsi uno dopo
l’altro, con una serie di colpi secchi, quasi meccanici, fino
a rendere la scalinata non solo in discesa e simile a una rampa, ma
anche difficilissima da salire per via del marmo lucido e scivoloso.
Naruto infatti
provò a muovere qualche passo, però senza troppi
risultati perché le scarpe non avevano sufficiente aderenza;
si ritrovò anzi ad andare all’indietro, persino
quando provò a piegarsi per tenersi con le mani.
“Ma
dobbiamo proprio salire fin lassù?”
Domandò
alla fine, gonfiando le guance con disappunto evidente.
“I
nostri indizi si fermano qui, purtroppo. Forse dobbiamo metterci a
correggere il bug scalino dopo scalino.”
“Wow,
che meraviglia, non vedevo l’ora, specie dopo tutto il lavoro
fatto mentre arrivavamo fino a qui.”
Quando
concluse la frase, però, si sentì un fischio
sempre più acuto provenire da un punto indefinito del cielo,
con le sue nuvole mascherate dalla luce serale successiva al tramonto,
accompagnata dai lampioni e dai fari che illuminavano le strade come i
monumenti.
Sasuke
sollevò la testa verso l’alto, imitato dal
compagno di viaggio, mentre l’intensità del
fischio cresceva. A ben pensarci ricordava il suono di un colpo di
mortaio intento a precipitare loro addosso, almeno in base a quanto
l’archeologo aveva memorizzato dagli antichi filmati
trasposti in digitale sull’evoluzione del modo di combattere
nei secoli. Non ricordava come avesse ottenuto simili memorie e
concetti, però non ebbe tempo per rifletterci ancora.
Trattenne
infatti un istante il fiato, per poi gridare in modo da sovrastare il
rumore:
“A
terra!”
“Eh?”
Domandò
l’altro, gridando a sua volta, ma Sasuke gli dette uno
spintone e lo fece cadere sulle scale reclinate, mentre qualcosa
precipitò in un fragore simile a una saetta capace di
spaccare in due un albero.
In effetti, a
pochi centimetri dai due c’era una sorta di lancia piantata
nel terreno, crepato dalla violenza dell’urto, mentre si era
sollevata una leggera polvere di marmo simile a talco che si disperse
impalpabile nell’aria. Uno addosso all’altro e
ansimanti per l’adrenalina dello scatto improvviso, i due
guardarono l’oggetto, poi si fissarono e Naruto rise,
esclamando:
“Sasuke,
non pensavo che dopo un anno finalmente ti saresti deciso a saltarmi
addosso!”
“Sta’
zitto, idiota, la prossima volta lascerò che tu venga
passato da parte a parte.” Sbottò
l’altro, scostandosi in fretta e con un certo disagio.
Il tester si
sollevò in piedi, dandosi qualche pacca sui pantaloni, per
poi bloccare ogni altro commento alla vista di ciò che era
accaduto al resto della scalinata: numerose ulteriori lance erano
infatti state scagliate a terra, disposte casualmente lungo tutta la
superficie inclinata con articolate crepe che si diramavano
intersecandosi, simili a strade antiche affossate nel terreno arido.
Quella volta
il fischio fu propriamente umano e d’apprezzamento, non certo
sinonimo di una pioggia imminente di lance-proiettili pronte a
infilzarli come spiedini.
“Possiamo
usarli come punto d’appoggio per risalire, magari arriviamo
fino alla terrazza prima della chiesa in modo da avere una prospettiva
dall’alto.”
Commentò
alla fine, valutando le varie distanze e la pendenza.
Sasuke suo
malgrado dovette constatare: “Effettivamente non ci rimane
molta altra scelta: giunti a questo punto, non ha senso tornare
indietro.”
Così
cominciarono ad arrampicarsi spostandosi da una lancia
all’altra, a volte con una corsa insperata, altre con qualche
salto improvvisato, per quando le distanze erano più ampie e
meno a portata. Man mano che si spostavano, Naruto memorizzava i dati
e, dietro la supervisione archeologica di Sasuke, rimetteva a posto i
bug usando il suo pad: le lance scomparvero, lasciando posto ai gradini
propriamente detti, con la giusta angolatura che nulla aveva a che fare
con le rampe inclinate percorse fino ad allora.
In quel modo,
anche se magari ogni tanto non riuscivano a calibrare bene lo
spostamento e cadevano, non dovevano necessariamente partire
dall’inizio, bensì dagli ultimi punti ripristinati
correttamente, il che rendeva tutta quella faticosa procedura un
po’ meno frustrante.
Quando
giunsero alla terrazza prestabilita, aiutandosi a vicenda, Sasuke
pensò che non aveva mai avuto così tanto contatto
in rapida successione con Naruto; la cosa ben più
imbarazzante era che, in fin dei conti, non gli aveva dato nemmeno
fastidio.
Accaldati ma
soddisfatti, si misero in piedi dopo aver sistemato l’ultimo
bug; da quella posizione sopraelevata contemplarono il paesaggio sotto
di loro: la magnifica piazza si espandeva circondata da edifici, mentre
gli scintillii della fontana rifrangevano la luce delle lampade che la
decoravano.
Sospirarono,
con Naruto che aveva messo le mani sui fianchi e sorrideva orgoglioso
per quanto avevano compiuto. Sasuke lo osservò un istante,
studiando gli occhi azzurri, alla stregua dei capelli chiari che
richiamavano le trionfanti e calde sfumature di giallo delle luci,
riflesse sui marmi e sulle superfici d’acqua.
“Bellissimo.”
Commentò Naruto, con voce che pareva vibrare
nell’aria serale.
Sasuke
guardò a sua volta avanti, smettendo di fissarlo.
“Devo
dirti una cosa.”
Sentì,
lo percepì con la coda dell’occhio, Naruto aveva
preso a guardarlo, un po’ sul chi vive, forse persino
curioso, come aveva dimostrato di essere in quell’anno
passato fianco a fianco.
Quando si
voltò, però, lo vide aprire la bocca e dire in
una successione rapida di parole:
“Anch’io.”
Rimasero zitti
entrambi.
Perché
qualcuno, alle loro spalle, aveva cominciato ad applaudire.
“Ma
che bravi!”
Si voltarono e
rividero l’uomo dai folti capelli neri, il sorriso tagliente
e gli occhi scuri folli, perennemente arrabbiati, come se non gli fosse
rimasto altro che odiare, a quel punto.
“Madara.”
Sussurrò Sasuke, gelido.
Io
l’ho visto… altrove. Naruto deve sapere dei miei
dubbi.
Il tester
imbracciò il fucile, spostandolo da dietro la schiena per
poi mettere il loro avversario in guardia:
“Siamo
alla resa dei conti. Facciamola finita con tutti i tuoi indovinelli e i
tentativi di ammazzarci!”
L’uomo
li fissò, poi lo esortò:
“Avanti,
allora. Spara!”
Sgranò
gli occhi quando lo disse, sembrava persino divertito.
Naruto
schioccò la lingua con disappunto, per poi replicare:
“Io
non so se tu sia vero o meno. Quei fondatori dagli avatar strani, per
esempio, lo sembravano e tu pure, nonostante tutto –
puntò il fucile, ma non avvicinò il dito al
grilletto – perché non la piantiamo con questa
situazione ed eviti di farmi venire il dubbio con tanto di sensi di
colpa?”
Parlò
con quella che sembrava ironia, quando in realtà avrebbe
davvero preferito salvare quel tizio piuttosto che ammazzarlo, per
quanto fuori di testa.
“Spara!”
ripeté semplicemente Madara, cominciando ad avanzare.
Non verso di
lui, bensì verso Sasuke che, però, non
indietreggiò; lo guardò cupo, persino oscuro.
Naruto, quella
volta, mise il dito sul grilletto:
“Fermati!
Che cazzo pensi di fare? Ho detto fermati!”
Madara
però non lo ascoltò e compì anzi uno
slancio, uno solo, portando indietro un braccio per caricare quello che
era chiaramente un pugno, le dita contratte in una morsa letale.
Saltò e si sollevò in aria: i capelli scuri,
foltissimi e lunghi, ondeggiarono un istante.
Sasuke
sollevò a sua volta un braccio per difendersi e fu allora,
in quel perfetto frammento d’immobilità, che
Naruto sparò. Perché sentiva che se Madara avesse
colpito Sasuke, quest’ultimo non ne sarebbe uscito indenne;
inoltre, alle sue spalle c’era la gradinata e le sue altezze,
per colpa delle quali l’archeologo avrebbe finito per
ammazzarsi.
Lo sparo
partì.
E, lungo il
tragitto capace di fendere l’aria in scie luminose,
mutò forma: il metallo del bossolo si divise in tanti
frammenti che ricordarono petali di un antico fiore dorato, i quali si
sollevarono di più fluttuando un istante, fino a cadere a
terra in una serie di morbidi tintinnii metallici.
Quando il
primo petalo toccò il pavimento in marmo, Madara
slanciò il pugno in avanti e... aprì le dita.
Le
aprì, per afferrare la spalla di Sasuke. Non il collo,
né il volto che avrebbe potuto graffiare, deturpare, persino
accecare, bensì la spalla.
E Sasuke,
d’istinto, lo prese a sua volta per il polso, come per
scostare l’uomo da sé.
Naruto li
guardò un istante, sconvolto, l’arma ancora tenuta
in mano che nel frattempo si era trasformata in un enorme,
profumatissimo mazzo di fiori dai mille colori sgargianti.
Poi,
all’improvviso, tutti e tre scomparvero.
Naruto
sentì infatti le proprie viscere venire agganciate dalla
base del ventre, per poi essere trascinate in su, oltre la gola, mentre
l’encefalo sembrò essere schiacciato e compresso
nella scatola cranica, gli occhi in procinto di esplodere.
Quando
atterrò, in piedi, credette di poter vomitare, gli organi
frullati in un insieme di punti scomposti per tutto il corpo e la testa
che vorticava. Impiegò diversi secondi per abituarsi, mentre
sia Madara che Sasuke erano ancora vicini, artigliati l’uno
all’altro.
Il tester si
rese conto di continuare ad avere in mano la composizione floreale; in
quell’istante soffiò un vento leggero, capace
però di disfare il nastro che teneva uniti i numerosi gambi
dei fiori, i quali s’involarono fino alla cima di un elevato
tetto a cupola, coi petali che si staccavano l’uno dopo
l’altro per poi discendere a terra, in una pioggia delicata
di colori e profumi.
Dopo qualche
secondo, Naruto avvertì nuovamente sulle spalle il peso di
quello che riconosceva essere il suo fucile, tornato alla forma
originaria; non cercò però di sparare: lo sentiva
a pelle, se anche in quel momento avesse provato a usare
l’arma, Madara l’avrebbe comunque ritrasformata
senza fatica, vanificando ogni sforzo.
Per una
questione di pochi istanti, quest’ultimo riuscì a
schivare un pugno di Sasuke che sembrava intenzionato a ferirlo,
siccome, a conti fatti, lui a differenza di Naruto poteva
effettivamente toccare il proprio avversario.
Questi si
difese, per poi indietreggiare di qualche passo. Naruto allora si prese
un istante per cercare di capire dove accidenti fossero capitati:
l’interno era una chiesa, con il soffitto costituito appunto
da una cupola, una pianta non perfettamente circolare bensì
ellittica e sei cappelle laterali che adornavano ai margini
l’ampia e unica navata centrale, nella quale erano disposte
in due file delle panche di legno dall’aria antica.
“Sasuke
sai farti valere, finalmente. Dopo tutti
questi anni.” Osservò Madara, in guardia, ma
distante diversi metri da loro. Se l’archeologo avesse
provato ad attaccarlo, sarebbe stato facile prevedere sulla lunghezza i
suoi movimenti.
I due compagni
di viaggio si guardarono. E Naruto lesse sull’espressione
vagamente seccata di Sasuke quello che era un senso di colpevolezza
crescente; ormai lo conosceva sufficientemente bene da capire quando il
suo apparente malumore fosse solo un modo per difendersi da
ciò che lo tormentava.
Madara rise,
una risata roca e breve. Dopodiché domandò, con
tono quasi asciutto:
“Non
mi dite che non vi siete ancora parlati. Davvero non sapete la
verità l’uno dell’altro? Dopo tutti
questi mesi... ah, patetici e codardi. Ma coi sentimenti funziona
così, giusto? Non sono nozioni da imparare a memoria,
né bug da correggere. È tutto più
difficile, quando si ha a che fare con gli esseri umani.
Se vi fiderete ancora
l’uno dell’altro, ci vedremo dove un tempo
c’era un pioppeto.”
Dopo aver
parlato, Madara sparì.
Quando
l’uomo scomparve, lentamente le nicchie cominciarono a
ruotare in un rumore remoto di pietra che sfregava, sollevando nuvole
di polvere antica. Le panche affondarono nel terreno, divenuto in quei
punti improvvisamente liquido e mutevole, come acqua su cui fossero
stati versati centinaia di barattoli di vernice dai colori
più svariati.
Naruto smise
di vedere Sasuke. E Sasuke, a sua volta, si trovò solo.
Seppur alte,
le pareti si strinsero, illuminate solo da qualche luce sporadica;
tutto il contrario dei marmi bianchi e lucidi della chiesa che lui
aveva riconosciuto, allo stesso modo aveva riconosciuto il luogo in cui
Madara li aspettava.
Si
pentì di non averlo spiegato a Naruto, così come
di non avergli rivelato, in realtà, ciò che lo
stava tormentando. E quel posto, si rese conto man mano che il cunicolo
si espandeva in tutta la sua claustrofobica lunghezza…
realizzò nuovamente di ricordarlo. Anche se non
avrebbe dovuto.
Era una sua
memoria? Era una falla del sistema?
D’altronde
era un bene che ricordasse. Ricordare era un suo dovere, giusto?
Qualcuno lo
chiamò.
Un uomo in
camice bianco. L’archeologo non rispose, non sapeva cosa
dire, all’improvviso aveva dimenticato persino come
respirare. Ma sembrò andar bene ugualmente,
perché la persona in camice aveva proseguito a passo rapido;
era seguito da altra gente, vestita normalmente, agitata, ma con lo
sguardo più fiero che Sasuke avesse mai visto.
Lo aveva
già scorto in Naruto, quello sguardo; tempo fa,
l’aveva visto anche in se stesso.
Seguì
il gruppo, scrutando i volti che sembravano incapaci di vederlo.
Più andava avanti, passo dopo passo, più
cominciò a riconoscere ognuna di quelle persone.
Sì,
la donna con i capelli raccolti in una coda di cavallo, Kate; Mike, lo
prendevano sempre in giro per il suo pizzetto, poi Kaori,
Jean-Baptiste, Miguel… sì, sì, quando
si era dimenticato di loro? Perché gli era sembrata assurda
la routine vissuta fino ad allora?
Sapeva chi
fossero: erano i suoi colleghi.
Con loro aveva visitato il mondo, scattato foto, archiviato
documentazioni. Archeologi, storici, restauratori; tra loro
c’erano classicisti, orientalisti, esperti egittologi e
persino hittitologi. Il passato plurimillenario
dell’umanità, immagazzinato in menti dotate di
braccia e gambe che ora correvano perché la terra, in quel
bunker, stava cercando in tutti i modi di resettare quella conoscenza,
per sempre: una folata di vento su un mazzo di carte vincente.
Sasuke perse
un battito. Tutte le sue memorie di quel giorno, la
paura, la consapevolezza dell’annientamento lo colpirono come
un’ondata d’acqua presa nel pieno della tempesta
furente. Corse a sua volta. Il cuore incominciò ad andare a
mille, impazzito.
Era una sala
gigantesca, dalla ventilazione ormai scarsa, le luci che tremavano,
poche, attorno alle quali il buio sembrava paradossalmente
più forte. Dei macchinari ronzavano, disperati, collegati
alla luce del sole immagazzinata in fotocellule progettate per durare
centinaia di anni, se non fossero rimaste danneggiate dai crolli.
Sasuke
ricordava anche quello, fu come imparare a respirare, un qualcosa di
automatico.
“Dobbiamo
fare in fretta. Non c’è più molto
tempo.” Decretò l’uomo.
C’erano altri tre colleghi, uno dei quali stava inserendo dei
codici di programmazione.
Una serie di
cabinati erano collegati da cavi robusti all’impianto
principale, mentre ogni tanto dei frammenti d’intonaco si
staccavano in polvere bianca dal soffitto, accompagnati dal sottofondo
remoto della terra gorgheggiante che tremava.
Sasuke si
accorse che quella gente, gli scienziati, come gli archeologi,
stava… piangendo. Qualcuno farneticava, un’ultima
preghiera, un saluto a cari ormai estinti.
Eppure tutti,
nessuno escluso, entrarono nelle cabine.
La terra
tremò con forza ancora maggiore. I sistemi ronzarono
sovraccarichi e le porte a pressione dei cabinati si chiusero, in uno
sbuffo gelido di quello che ricordava vapore.
Fu allora che
Sasuke si vide.
Vide se stesso
appoggiare il proprio palmo contro il vetro e guardare altrove, verso
l’oscurità.
Poco distante,
scorse Madara.
Si
sentì pronunciare le prime parole che, da allora, non
avrebbe mai dimenticato; mai più:
“La
nostra memoria. Per il resto del mondo.”
Poi ci fu un
boato tremendo: il soffitto crollò, una voragine affamata di
calce e vita si aprì nel terreno, inghiottendo tutto il
resto in un rombo cupo, un titano oscuro che, ingordo, parlava a tutti
gli esseri umani del loro tempo e di ciò che avevano creato:
la terra reclamava altra terra, capace di elevarsi fino al cielo in
edifici maestosi.
Quando Sasuke
aprì gli occhi, dovette portare un avambraccio davanti a
sé per ripararsi dalla luce del sole: i raggi erano
così luminosi da fare male, specie dopo tutto quel buio.
Quando si abituò, scorse pile di macerie attorno a
sé e venne investito da un odore di calce misto a terra
umida, il vomito brullo del nucleo terrestre.
Sussultò,
nel vedere un vecchietto davanti a sé chinarsi appena per
tendergli la mano e aiutarlo ad alzarsi.
“Sei
pallido, giovanotto. Non sembri stare molto bene.”
Sasuke
accettò l’aiuto e si sollevò in piedi,
ancora con la testa che sembrava fischiare.
“Dove
siamo?”
L’uomo
sorrise; anche con la schiena leggermente curva era ancora alto, il
fisico non propriamente atletico ma che non necessitava di supporti.
Lo
guardò un po’ perplesso e gli si accese un guizzo
divertito negli occhi:
“Sulla
Terra, mi sembra ovvio, Santa Gea! Dai, ti offro dell’acqua
fresca e qualcosa da mettere sotto i denti.”
Sasuke lo
scrutò brevemente, ma non disse nulla.
Si
guardò attorno, passeggiando per le strade che non avevano
traccia di macerie, sembravano anzi migliorate rispetto a come le
ricordava, persino più moderne di quelle ricreate dalla sua
immaginazione: macchine sopraelevate da terra viaggiavano rapide,
mentre gli edifici dall’intonacatura di un bianco abbagliante
erano leggeri
– non sapeva come altro definirli, ma parevano capaci di
piegarsi e rimettersi in piedi, come combattenti esperti che non
cadevano mai veramente, pronti a difendersi. Le persone in giro,
però, erano pochissime, per quanto ogni angolo fosse
illuminato da innumerevoli luci accompagnate da ronzii meccanici.
“Sono
tutti in casa, a portare avanti il loro lavoro virtuale, il loro sport
virtuale, il loro amore virtuale. Anche io è raro che esca,
ma sentivo che avevi bisogno di me.”
Precisò.
Le rughe si contrassero, un oceano d’acqua increspato in
frammenti di spuma bianca simili a ferite.
Sasuke non
parlò. Era confuso. Avvertì con maggiore
chiarezza l’impulso nutrito in quegli anni – non
sapeva nemmeno quanti, il tempo gli era sembrato scorrere e al tempo
stesso bloccarsi – quella consapevolezza di tante cose che
gli mancavano e che non avrebbe più sperimentato, solo nel
suo mondo virtuale di un sistema nel quale aveva viaggiato di
simulazione in simulazione: come poteva, se era rimasto sepolto da
tonnellate di macerie centinaia d’anni fa? Allo stesso modo,
però, ebbe la triste impressione che chiunque fosse in
quegli immensi, lucidi, perfetti edifici non stesse vivendo veramente.
Realizzò
di essere meno spaventato di quanto avrebbe creduto; semplicemente, si
ritenne più consapevole, come se in fondo avesse sempre
saputo che qualcosa non tornava.
Si aprirono le
porte d’ingresso automatiche di uno di quegli edifici.
Seguì l’ometto fin dentro un appartamento: non era
molto grande però era arioso, semplicemente
perché, eccetto una cucina e una larga, comodissima
– almeno a giudicare dall’aspetto ergonomico
– poltrona, non c’era altro, dunque lo spazio
pareva essere di gran lunga inutilizzato.
Scorse quello
che sembrava un casco accanto alla poltrona, una tuta e un impianto dal
quale non partiva alcun cavo.
In quel
momento, Sasuke realizzò quanto silenzio ci fosse in quelle
vie: nessun vociare, grida, clacson, rumori di vita.
Poi, scorse un
angolo di parete, mentre l’anziano si era diretto verso la
cucina; udì lo scrosciare dell’acqua e un morbido
allarme musicale annunciare, pochi istanti dopo: il muffin alle Mille Delizie
è pronto, signore.
L’archeologo
scorse un’intera serie di quelli che sembravano
riconoscimenti dalle scritte cangianti, coi caratteri che si
illuminavano andando al passo con la lettura di Sasuke, poi dei disegni
di personaggi, battaglie e sparatorie che si animarono, diventando
tridimensionali e ricchi di colori vivaci, quasi pronti a staccarsi
dalla copertina.
“Premio
per il record mondiale di Virtual Zombicide.”
Lesse Sasuke,
ad alta voce.
Deglutì.
Il cuore, o quello che sentiva essere tale –
perché era certo ci fosse un cuore, da qualche parte in
quella miriade di dati digitali – perse un battito.
Spostò
lo sguardo sull’anziano, il quale si bloccò,
esattamente come quel cuore, con in mano dell’acqua e un
muffin caldo.
“Naruto.”
Mormorò alla fine Sasuke.
Riconobbe gli
occhi azzurri, così azzurri. Anche senza i capelli del
colore dorato che aveva invidiato, per come gli ricordavano il sole.
Erano bianchi, ma rimanevano comunque più chiari dei propri.
“E
così mi hai scoperto.” Ammise alla fine.
Sorrise.
Posò entrambe le cose per terra, piegandosi un po’
a fatica perché la presa non era salda; non per via
dell’età, almeno non quella volta. In
realtà, non si era mai sentito così giovane.
Sasuke non
parlò.
Fu Naruto a
farlo al posto suo. Anche se le locandine, i riconoscimenti, i premi
per essere uno stupido
videogiocatore narravano i suoi anni, le sue esperienze,
le realtà virtuali esplorate rimanendo seduto in quella
poltrona un po’ usurata, perché non la cambiava da
anni, ci era affezionato.
“Non
so dove siamo, adesso. Probabilmente nel più grande bug mai
sperimentato, ma allo stesso tempo... il più vero: questa
è casa mia, la rispecchia fedelmente, e io... beh, sono io.
Mi sono dipinto tanto meglio di quello che sono.”
“Quanti
anni hai?”
Domandò
Sasuke, diretto, quasi con uno scatto secco della voce.
Naruto
aprì la bocca. Cercò di parlare, di dirglielo, di
ammettere di aver passato almeno settant’anni della sua
esistenza immerso in quella che, a conti fatti, era diventata davvero
la sua vita. Mentre Sasuke sapeva così tanto grazie allo
studio, il tester imparava da quello che virtualmente diventava, giorno
dopo giorno, sperimentava, fingeva di sentire. Invece, ogni volta che
usciva nel mondo reale, per prendere una boccata d’aria, per
il sole, per sentire il vento nei capelli che diventavano sempre
più radi e bianchi, mentre la pelle si ritraeva, seccandosi,
beh... si sentiva vuoto e triste.
Perché
nessuno usciva più, ci si incontrava altrove, nelle migliaia
di mondi virtuali, tra birre artificiali, terme con acque dalle
temperature perfette, caffetterie alla moda. Ciascuno si fingeva
migliore, si toglieva i difetti, si perfezionava, ricreandosi.
Dei suoi amici
di un tempo, Naruto nemmeno ricordava più le fattezze
originali. E nel mondo vero, passeggiata dopo passeggiata, si sentiva
sempre più solo e distante: i dottori erano digitali,
facevano diagnosi da migliaia di chilometri di distanza, le operazioni
erano eseguite con i laser, i film girati digitalmente, i vestiti
creati da macchine perfette che non sbagliavano un punto e consegnati a
domicilio da droni. Modelli tutti uguali, perché gli abiti
che contavano, fatti per piacere e per piacersi, erano quelli dei mondi
virtuali.
“Ottantatre.”
Rispose. Il sorriso gli tremò di più, proprio da
vecchio stupido.
Sasuke
annuì, un cenno essenziale.
Camminò,
raccolse l’acqua e il muffin, ammirando la perfezione del
modello tridimensionale, le increspature dell’acqua, la
proiezione splendida dei loro desideri. Appoggiò il tutto
sul tavolino vuoto, infine si sedette sul pavimento, a gambe
incrociate; non c’era un divano, inutile se non veniva mai
nessuno.
Dall’alto,
Naruto lo guardò. Lo osservò, osservò
il movimento delle sue labbra sottili quando l’archeologo gli
disse, fissandolo a sua volta per cogliere ogni battito delle ciglia
stanche:
“Io
ho centoquarantaquattro anni più di te. Duecentoventisette,
per la precisione.”
Assottigliò
le labbra: si sentì libero
quando pronunciò quei numeri, libero da un circolo vizioso
sempre uguale.
Naruto non
scostò gli occhi da lui.
“Esisti
da prima della Pangea.” Mormorò.
Secoli, in quel
corpo digitale.
Aprì
la bocca e dopo un istante aggiunse: “Io pensavo...”
La richiuse.
Si sedette,
con le gambe un po’ traballanti, portandosi di fronte a
Sasuke.
Questi
cominciò a parlare; le parole gli uscirono simili a un
flusso spontaneo, un getto di disperati ricordi intrappolati da un
sistema che lo stava schiacciando:
“Dato
lo stato di emergenza e la realizzazione che non ci sarebbe stato modo
di proteggere quello che l’uomo aveva costruito, sono stati
riuniti i più grandi studiosi della Terra, ciascuna
categoria in un bunker diverso. L’uomo infatti ha ritenuto
opportuno tentare, almeno, di non perdere l’unica cosa
davvero guadagnata in tutti i suoi millenni di storia: il sapere.
Sono state
dunque immagazzinate in memorie cibernetiche, contenute in capsule
resistenti, le conoscenze di fisici, matematici, astronomi, ma anche di
letterati, insegnanti, scrittori, registi, musicisti, storici e...
archeologi. Sì, c’ero anche io.
Abbiamo
trasmesso la nostra memoria alla digitalizzazione. Io sono frutto di
quella memoria: noi, come tanti altri umani, custodiamo le conoscenze.
Per il resto del mondo.”
Naruto lo
guardò.
Vide i raggi
del sole passare attraverso l’unica finestra e toccare la
pelle chiara dell’altro, come se fossero davvero entrambi
reali, lì, in quella casa simbolo della sua solitudine.
“Assieme
al sapere, a tutte quelle date e a quei nomi infiniti che ricordavi
senza un attimo d’esitazione, però, è
stata memorizzata anche una parte di te, evidentemente.
Perché in quest’anno io non ho avuto a che fare
solo con un insieme di conoscenze; ho incontrato, ho parlato,
interagito, vissuto
con una persona, con tutte le sue sfaccettature.”
Sasuke prese
un respiro. Gli mancava farlo, in tutti quei mondi costruiti
digitalmente decennio dopo decennio, in tutti i viaggi della propria
coscienza, o ciò che lui era, per ogni volta che qualcosa
andava storto.
“Sembra
di sì. Non... – si guardò le mani
– dopo tutti questi secoli, non ho memoria del mio corpo.
Della sensazione vera dell’acqua sulla pelle, del prendere
fiato, del dolore o dello stare bene. Si vede che non era importante,
forse è stato per errore persino la trasfusione di una parte
di me all’interno del sistema. Non capisco cosa sia successo
da allora, come io sia giunto a essere quello che sono.”
“Ma
d’altronde, noi veniamo caratterizzati anche da quello che
sappiamo. Come dividere ciò che siamo dalla nostra
esperienza?”
Sasuke
accennò un sorriso, amareggiato, nostalgico.
Guardò la mano di Naruto, era nodosa; se l’avesse
sfiorata avrebbe avvertito l’idea di forza e di giovinezza
percepita in lui quell’anno passato assieme?
Non ricordava
neanche come fare l’amore, a ben pensarci. Ma il calore, la
vita, quello… per sempre.
Guardò
altrove quando ammise: “Anche io posso dire di aver
incontrato un uomo. Che rimarrà tale, a qualsiasi
età.”
“Mi
spiace averti mentito, Sasuke. Non essermi mostrato per chi
ero.” Confessò alla fine Naruto.
Si
portò una mano sugli occhi. Il sole era diventato
più intenso e lui... un tempo credeva di poterlo guardare
coraggiosamente negli occhi.
Allora gli
toccò la mano diafana e gliela strinse, senza vergognarsi
delle macchie per l’anzianità, della pelle
sottile, della fatica stretta nelle giunture che ogni tanto lo facevano
piangere.
L’archeologo
lo strinse a sua volta – ricordava di averlo fatto tutte le
volte che aveva amato, o desiderato qualcuno. Poche, forse per questo
più facili da conservare rispetto ai monumenti, le date, la
storia dell’umanità.
“Spiace
anche a me. Mi mancava... vivere, dopo più di un secolo
passato senza percepire realmente il tempo passare; sono stato sempre
più confuso, su chi io fossi, sui miei ricordi, sulla mia
umanità. Se non fosse successo tutto questo, forse avrei
creduto di essere un uomo, un archeologo, che ha avuto il privilegio di
poter viaggiare per il mondo con un compagno degno di questo
ruolo.”
La luce si
fece ancora più intensa.
Furono
investiti da quei raggi, dal calore, dalla luce stessa.
Poi, essa
lentamente si affievolì e, quando i due riaprirono gli
occhi, realizzarono di essere tornati nella chiesa lasciata prima di
quell’ulteriore viaggio: le panche, le nicchie, la cupola...
ogni cosa era tornata al suo posto.
Anche Sasuke e
Naruto erano tornati rispettivamente chi avevano conosciuto in
quell’anno, giovani entrambi.
Il portone
d’ingresso della chiesa si spalancò
improvvisamente e una folata di vento trasportò terra,
polvere e foglie dalle tinte dorate, arancioni, dai colori della terra
stessa con la sue venature di vita.
Naruto tese la
mano e fece un cenno: oltre la porta c’erano la luce e un
viale, ricco di alberi verdeggianti. Udirono il fruscio delle foglie e
il suono sereno del vento che trasportava odori di bosco.
Dopo un
istante, Sasuke gli prese la mano: sentì la pelle liscia, ma
ricordò le tracce dell’anzianità; fu
felice, di non dimenticare più cose tanto importanti.
“Ho
la sensazione che sarà l’ultima parte del nostro
viaggio, questa.” Commentò Naruto.
“Lo
credo anch’io. Mi fa piacere vedere gli alberi, alla fin
fine.” Replicò l’archeologo.
“So
anche che hai capito dove ci troviamo e dove dovremo andare, sei un
compagno di viaggio...” non trovò le parole.
Guardò davanti a sé.
Cominciarono a
camminare, coi capelli smossi dal vento e le foglie che roteavano,
sfiorando il pavimento, per librarsi ogni tanto più in alto,
aspirando alla cupola e, oltre, al cielo.
“Una
volta c’era un bosco di pioppi, ora c’è
una piazza che, come noi, porta i segni del suo tempo: la piazza del
pioppo. Un bel modo di concludere, in fondo.”
Passarono
oltre la porta. Essa si richiuse. Le foglie, quiete, smisero di
volteggiare, accartocciandosi sul bianco del marmo gelido.
Sproloqui
di una zucca
Ormai ci siamo quasi
<3 E' un mondo un po' triste, quello del futuro prospettato, in
una realtà che è più fittizia di
quella virtuale, in cui si è soli e non si esce, si vive
dentro altri mondi chiusi in casa.
Allo stesso modo il
legame tra Sasuse e Naruto, anche attraverso i secoli, è
forte e intenso. Li ho trovati belli e struggenti, a modo loro.
Grazie per seguire
questa storia: al prossimo capitolo!
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Capitolo 6 *** Quinto Capitolo ***
Quinto Capitolo
Pioppo, dal latino populus;
genericamente traslitterato come popolo.
Da
lì, l’appellativo Piazza del Popolo, in un luogo
dove centinaia e centinaia di secoli addietro sorgeva un bosco di
pioppi.
Sasuke si
ripeteva quelle nozioni appartenute forse a lui, forse a qualcun altro
degli archeologi morti tanto tempo fa – non riusciva a
ricordarlo. Quello che era se stesso, a ben pensarci, non era mai stato
eccessivamente chiaro: la propria identità sconfinava in un
confine labile di ulteriori identità che si andavano a
intersecare.
Strinse i
pugni, per non provare spavento all’idea di perdere se stesso.
Scoprì
che lui e Naruto si erano ritrovati proprio in quel bosco di pioppi,
lambito di tanto in tanto dal vento leggero, capace di smuovere le
foglie verdeggianti e i ciuffi d’erba aggrappati alla terra
odorosa di piogge recenti; c’era un sentiero scavato dal
passaggio umano, segno di chi aveva camminato negli anni lungo lo
stesso percorso, generazione dopo generazione.
Alle loro
spalle, vi era la chiesa di Santa Maria Montesanto, da dove erano
appena usciti. Udì il portone chiudersi con un tonfo
ovattato, ma non si voltò a guardare: davanti a loro vi era
infatti Madara.
Ricordava quei
frammenti del passato ricostruiti virtualmente, quelle cabine
e… Madara era lì, all’epoca del Grande
Terremoto, lo aveva visto. Gli era sembrato persino talmente normale da
non averlo nemmeno considerato.
“Tu
non lavori per l’Archeo Travel –
realizzò all’improvviso, senza quasi rendersene
conto – tu eri lì con me, quel giorno di oltre
duecento anni fa.”
Non richiuse
del tutto la bocca, come dimenticandosene. Ora che ne parlava, che dava
delle datazioni pratiche gli sembrava tutto così concreto:
ogni cosa, ogni dettaglio, ogni memoria confusa, esattamente come
quando aveva parlato dei suoi anni a Naruto.
Ma allora
perché le memorie dei Fondatori gli avevano detto una cosa
simile? Che interesse avevano nel mentire?
Madara non
ebbe aria di scherno cattivo, né compì alcun
gesto di plateale disprezzo. Non si mosse, però
parlò:
“Finalmente
te ne sei ricordato, Sasuke; cos’è successo
realmente. Noi non siamo sempre stati così, programmi
precaricati, coscienze che esistevano nell’illusione di gesti
sempre uguali.
Eravamo esseri
umani, un tempo: per questo ti mancano cose semplici come respirare,
mangiare, fare l’amore – si toccò la
tempia, aggiungendo – è tutto qui dentro, le
nostre memorie sono nel sistema, le nostre identità.
Non credo
fosse previsto inizialmente, eppure quando ci hanno usato per far
rivivere questi posti, per renderli tangibili
nell’immaginario altrui, è stato chiaro che loro
non avrebbero avuto a che fare solo con un blocco
d’informazioni.”
Naruto li
guardò, scuotendo la testa per poi replicare:
“Loro? Ti riferisci
all’Archeo Travel? Perché? Cosa sta succedendo?
– gli puntò un dito contro, esclamando –
Tu hai generato tutti questi virus informatici, compromettendo
centinaia di mondi e ricordi di quello che è il
passato dell’umanità! A che scopo? Si tratta di un
atto sbagliato, sotto ogni punto di vista!”
Sapeva che le
cose non si riducevano a quello, era ovvio, ma nonostante tutto non
poteva accettare che qualcosa decidesse, all’improvviso, di
cancellare i ricordi, la storia, ciò che rimaneva
dell’essere umano. Non era giusto, sarebbe stato come avere
un nuovo gigantesco terremoto in grado di spazzare via i resti di un
popolo già compromesso.
Madara
spostò il suo sguardo su di lui. Cominciò ad
avanzare, passo dopo passo, ripercorrendo il sentiero sterrato. Il
vento soffiò più forte, scuotendogli i capelli.
Naruto provò l’impulso di tirare fuori il fucile e
sparargli, ma non lo fece; Sasuke strinse i pugni e guardò
colui che era stato il proprio compagno di avventure per un anno.
“Naruto
– disse il responsabile dei bug – noi avremmo
dovuto essere morti. Invece oltre cento anni fa l’Archeo
Travel, con i suoi brillanti e geniali Fondatori, una volta realizzato
cosa aveva risvegliato, anziché lasciarci in pace ha deciso
di sfruttare le nostre identità.
Non abbiamo la
concezione del tempo, ci ritroviamo nel tutto e nel niente, con quello
che siamo, la nostra identità appunto che si mischia con
memorie, conoscenze e personalità altrui.
Più
passeranno gli anni, più ci perderemo, in un continuo
infinito che ci rende irrimediabilmente connessi al sistema.
Questo non
è nemmeno vivere, né morire con la
dignità che meritiamo.
Loro,
l’intera l’Archeo Travel lo sa, eppure continua a
tenere in piedi tutta la baracca, perché se ci cancellasse,
finirebbe per rischiare l’annientamento del sistema con i
dati contenuti all’interno.
Per questo
è disposta a torturare la mente di centinaia e centinaia di
persone che non possono morire e che sapranno la datazione di ogni
fottuto laterizio, ma non ricorderanno più nemmeno il loro
nome, in una lenta e logorante deriva di loro stessi in favore di una
memoria collettiva!”
Urlò,
con gli occhi folli, la bocca distorta in un’espressione
carica di rabbia e sofferenza.
Naruto lo
fissò sconvolto, senza battere ciglio, per poi voltarsi
verso Sasuke, il quale si guardò le mani:
“Credevo
di avere almeno uno scopo. Invece, un giorno non saprò
più nemmeno chi sono.”
Il fruscio del
vento tra gli alberi si fece insistente, come un applauso distante. Si
udì un tuono e il cielo sembrò parlare,
oltraggiato.
I tre
sollevarono lo sguardo verso l’alto: c’era una luce
dorata, con delle sfumature di rosso che tendevano
all’arancione. Non era più sera, ma a tratti
nuvole cupe gravide di pioggia si avvicinavano, sospinte dalla mano di
un gigante che faceva il bagno nelle stelle dello spazio infinito.
“Non
c’è tempo. Ci vorrà poco prima che ci
trovino – commentò Madara, per poi tornare a
guardare Naruto – ora devi uccidermi: guadagnerete tempo,
facendo credere ai tre fondatori che mi abbiate eliminato e non stiate
progettando altro. Ma da lì dovrete fare in fretta:
cancellate le nostre memorie e mettete fine a questo circo di gente
morta.”
Ma Naruto
indietreggiò di un passo, sgranando gli occhi, mentre
boccheggiando – anche se non aveva aria vera da inspirare
– guardò Sasuke, il quale lo fissò di
rimando, solo apparentemente inespressivo.
“Non
scherziamo! Non scherziamo proprio! Tu hai creato tutti questi bug, ci
hai portato fino a qui e adesso io dovrei cancellare ogni cosa? I
ricordi dell’umanità, voi e… Sasuke! Io
non posso permettere che lui muoia, troverò un modo
per…”
Il cielo
tuonò, le nuvole crebbero di dimensione.
Madara lo
afferrò per la maglia, avvicinando il volto al suo:
“Ebbene,
egoista testa di cazzo, un modo non c’è! Cosa
credi, che io abbia passato tutto questo tempo da quando ho cominciato
a ricordare a piangere e lamentarmi? No, ho scavato nelle mie memorie e
in quelle altrui attraverso migliaia di dati digitali sepolti nei vari
database e sistemi!
Io ho creato
questi bug affinché tu e altra gente come te li sistemasse:
tutti i dati caricati, le correzioni, vengono salvate nei vostri
sistemi personali, in cloud, in tutti quei pad tanto tecnologici che vi
portate appresso; quando noi verremo cancellati, le informazioni
rimarranno, la storia dell’umanità è al
sicuro.
I bug sono
stati aggressivi ma nessuno ha cercato davvero di uccidervi, eccetto
qui, a Roma.
Perché
in questo luogo la simulazione è più difficile da
gestire, diventa più instabile dato che entra in conflitto
con codici superiori: a Roma, infatti, i Fondatori hanno deciso di
insediarsi. Quando hanno capito che potevano trasporre le loro
coscienze nel sistema, esattamente com’è successo
a noi anni prima, non hanno esitato un istante a farlo, solo in maniera
più studiata di quanto ci sia capitato in quelle dannate
cabine.
Pensa alla
prospettiva: vivere in eterno, circondati dalla cultura e dai mondi che
loro hanno creato.”
Naruto
guardò il cielo: vide le nuvole incombere su di loro, per
schiacciarli, mentre tuoni violenti parevano in grado di far tremare la
terra.
Aprì
la bocca, pronto a difendere le sue idee con determinazione, a credere
che quella possibilità esistesse, che in un qualche mondo
virtuale lui e Sasuke si sarebbero incontrati ancora, non in quella
riproduzione di casa sterile in cui Naruto, vecchio e con acciacchi,
viveva, bensì in un’altra realtà, tra
le piramidi di vetro, le ceramiche di cui non ricordava mai il nome, o
le spiagge di fronte a fondali ricchi di navi mercantili affondate.
Poi,
all’improvviso, con un gesto rapido Sasuke gli prese il
fucile, sfilandoglielo in un movimento talmente imprevedibile che
Naruto non riuscì ad afferrarlo. Per un attimo
rischiò di rimanere sbilanciato, ma si riprese, per guardare
l’archeologo intento a puntare l’arma contro Madara.
Questi
sorrise, un sorriso storto, ma forse il primo sincero che aveva fatto
dal loro bizzarro incontro:
“Tabula
rasa: inserite questa frase nel pad. Poi ci sarà da mettere
un codice di conferma: l’anno in cui Cartagine è
stata distrutta col sale. Si avvierà
l’autodistruzione. Tu, Naruto, ritornerai sul tuo divano, con
la vecchiaia che meriti; anche gli altri umani presenti nel sistema
verranno disconnessi.”
Ma Naruto si
slanciò verso Sasuke, per afferrargli l’arma.
L’archeologo, però, lo anticipò.
“Addio,
Madara.”
Le nuvole
sembrarono precipitare su di loro in caduta libera, gli alberi vennero
piegati dal vento più forte che scompigliò ai tre
i capelli in un movimento selvaggio. Ci fu un tuono, immenso, capace di
squarciare il cielo simile a una pugnalata al cuore, facendolo
esplodere in un ultimo, feroce, battito; poi, violenta, potente, una
scarica di pioggia infradiciò ogni cosa: la terra,
l’erba dalle sfumature di un verde brillante, gli alberi con
le foglie schiacciate dall’impatto della raffica scrosciante
di gocce.
I vestiti, i
capelli, la pelle di quei tre umani frutto di dati digitali erano
altrettanto zuppi, con rivoli d’acqua che scorreva sui loro
corpi immaginari.
Madara si
portò una mano al petto.
Non
fuoriusciva sangue, ma c’era un foro al centro, luminoso, un
sole in una giornata di pioggia: infiniti pixel dorati cominciarono a
fluttuare dalla ferita, disperdendosi lenti nel cielo, nella cascata
d’acqua che sgorgava sulle loro teste.
Sembrò
essere sollevato. Dopo tutti quegli anni; da quando aveva preso
coscienza che c’era altro, al di là di quelle
interazioni con turisti, le passeggiate nelle agorà deserte,
della testa piegata all’indietro per contemplare la
maestosità del tempio di Petra o della schiena curva per
entrare nelle piramidi, dopo aver camminato al Cairo e poi oltre, fino
al deserto plasmato dalla carezza del vento.
“Sta
a voi e alle vostre generazioni riprendere in mano quello che abbiamo
lasciato.”
Esplose, in
migliaia di frammenti.
La pioggia
sembrò più dolce: l’abbraccio
dell’acqua sulla ferita di un bambino, dopo essersi sbucciato
il ginocchio in una brutta caduta.
Sasuke e
Naruto si guardarono. Il primo si portò indietro i capelli
fradici, gettò a terra il fucile e tirò fuori il
pad.
Naruto gli
afferrò il polso. Per un istante l’archeologo
credette che lui si sarebbe opposto, che avrebbero dovuto combattere.
Ma il tester
gli disse semplicemente:
“Lo
farò io, Sasuke. È giusto così.
Solo… – si morse un labbro, per poi chiedergli
– cosa provi, in questo momento? Non hai paura, dopo tutto
questo tempo, dopo quello che abbiamo fatto?”
Sasuke
sembrò confuso:
“Credo
di aver paura, ma… sono allo stesso tempo felice: sarebbe
peggio lasciare ogni cosa com’è. Ho il terrore di
dimenticare chi sono, dopo aver realizzato di non essere solo un
insieme di gesti meccanici, bensì di avere una mia coscienza
più profonda, di essere stato umano, un tempo. Per questo
accetto di sparire, assieme a simulazioni che ci stavano rendendo
schiavi.
Però…
mi mancherà quello che siamo stati e che abbiamo fatto,
assieme.”
Ammise,
diretto, apparentemente senza sfumature d’emozione sul suo
volto un po’ imbronciato e riflessivo.
Naruto
elaborò un sorriso:
“Mancherà
anche a me – si guardò attorno, le nuvole avevano
smesso di scendere, anche se il tempo scorreva e presto i Fondatori
avrebbero capito le loro intenzioni – andiamo a ripararci
sotto quel pioppo. C’è una bella storia anche in
questa piazza. Noi segneremo la nostra, oggi.”
Sasuke
annuì.
Si sedettero
contro il tronco dell’albero che sembrò ripararli
magicamente dalla pioggia, anche se erano ancora bagnati. Naruto
tirò fuori il pad, cercando di nascondere il leggero tremore
alla mano, segno del cuore digitale che batteva troppo veloce,
perché se stesso, il vecchio, patetico, se stesso umano non
voleva perdere Sasuke. Ma non poteva condannarlo, non a finire la sua
esistenza in quel modo.
Digitò
i dati inseriti da Madara, codice di sicurezza compreso. Ricordava la
data relativa a Cartagine, l’aveva visitata assieme a Sasuke.
Eppure, lo lasciò ugualmente pronunciare
quell’insieme di numeri, per bearsi ancora del suo sapere;
per una volta, non gli dette fastidio mancare di superarlo in qualcosa:
fu anzi felice della sua ignoranza.
Partì
un conto alla rovescia.
Quando esso si
attivò, la pioggia all’improvviso si
arrestò; i due videro le gocce bloccarsi a
mezz’aria, simili ad aghi sottili capaci di fendere il cielo,
oppure rocce liquide schiantate sulle foglie, intrappolate in quel
momento di perfezione prima di cadere rovinosamente a terra e sparire,
fin nelle profondità del nucleo.
Naruto prese
la mano a Sasuke, all’improvviso, tenendo il pad
nell’altra. Gliela strinse appena, intrecciando le dita.
L’archeologo
non disse niente. Appoggiò la testa all’albero e i
rispettivi capi furono vicini, l’uno a pochi millimetri
dall’altro, intenti a guardare il bosco immobile davanti a
loro, anche se l’odore di pioggia, di verde e di terra si
elevava nell’aria, impregnando le loro narici di vita.
“Quando
sarai dall’altra parte, nel mondo vero – gli disse
all’improvviso Sasuke – passeggia più
spesso. Abbronzati e ubriacati di sole. Poi costruisci qualcosa:
qualcosa di reale, di concreto, che i giovani del tuo futuro possano
toccare, studiare, guardare e dire ‘qui, secoli fa,
c’è stato un uomo, esattamente come noi, con le
sue paure, i difetti, i desideri. Ci ha lasciato questo, una traccia di
sé, in un mondo che cambia.’
Buon viaggio,
Naruto.”
Entrambi
chiusero gli occhi.
E Naruto
immaginò.
Un momento di
limbo, tra quel mondo e la realtà, nella traslazione dei
dati, delle coscienze, delle memorie cancellate e caricate
digitalmente. La storia dell’umanità era nelle sue
mani, lui era fiero di quel peso.
Se solo loro
due fossero nati nella stessa epoca, in un qualsiasi futuro del mondo,
magari con ancora la Terra intatta, le sue vestigia, la sua storia, i
monumenti, i suppellettili, le tombe e le chiese, sicuramente si
sarebbero incontrati. Era destino, poco da dire, Naruto ne era convinto.
All’università,
magari. Ricordava la fontana d’acqua, dalle forme moderne, di
fronte all’imponente edificio che formava le nuove menti.
Senza computer carichi d’informazioni, ma con docenti, con il
dialogo e il confronto.
Lì
avrebbe incontrato Sasuke, con la sua borsa a tracolla scura, senza
troppi colori, incapace di chiedergli informazioni sull’aula
per il prossimo corso; Naruto avrebbe detto di avere quello stesso
corso, con il pretesto giusto quindi per seguirlo e andare assieme a
una lezione di Metodologia della Ricerca Archeologica. Roba che non
aveva nulla a che fare coi suoi studi d’informatica e
grafica, ma l’avrebbe trovata interessantissima ugualmente e
preso pure qualche appunto.
Tutto questo,
solo per poi chiedere a Sasuke di passargli le sue note e avere
un’ulteriore pretesto di rivederlo: ‘Ti offro un
caffè per ringraziarti, così ti restituisco il
quaderno.’
Si sarebbe
smascherato presto, si sarebbero insultati e poi incontrati ancora,
fuori dall’università, poi… il resto
della vita assieme.
Avrebbero
fatto l’amore, nel loro appartamento, con un divano per tre e
una poltrona, per gli amici con cui si trovavano per giocare ai
videogames, per i tornei di qualche gioco di società, per
bere una birra assieme. Sì, avrebbero fatto
l’amore sul loro letto, sul pavimento, a volte sul divano
– ma questo, ovviamente, gli amici non dovevano saperlo.
Sasuke
guardò Naruto sotto di sé, affondato tra le
lenzuola, con la testa dagli scombinati capelli biondi affondati nel
cuscino. Sentì le sue mani sui suoi fianchi e
contemplò gli occhi azzurri, il modo in cui lo guardavano,
la vita che sprigionava dalle iridi luminose, le gote arrossate per
l’eccitazione, i baci scambiati, la lotta per decidere
stupidamente chi stava sopra e chi sotto.
Non si capiva
mai, in quel frangente, chi vincesse davvero.
Si
sentì artigliare la maglia dall’altro,
avvertì le sue unghie graffiargli appena la pelle quando
questi la strattonò indelicato come al suo solito,
sfilandogliela.
La
gettò a terra: finì su una pila di libri di
archeologia greca, qualche studio su Lisippo e i busti di Alessandro
Magno. Un giorno, rifletté Sasuke mentre si
chinò, a torso nudo, a baciare Naruto, avrebbero dovuto fare
un viaggio in Grecia: vedere il Partenone, scattare qualche foto
dall’acropoli, contemplare il mare. Prima sarebbero passati
però al British Museum, a Londra, accendendo un cero a
Winckelmann che aveva portato tra quelle mura gli altorilievi con i
panneggi più belli di tutto il Partenone, salvandoli
dall’inquinamento, anche se all’epoca non poteva
saperlo.
Naruto gli
slacciò i pantaloni, mentre avvertiva la lingua di Sasuke
lambirgli il lobo dell’orecchio, poi mordicchiarlo appena.
Espirò, leggero, eccitato, quando percepì il suo
respiro sul collo, mentre gli calava la zip in un movimento lento.
Portò
le mani poi sul suo dorso e le fece discendere fino alle natiche,
avvertendo la pelle oltre il tessuto dei boxer. Le strinse, sollevando
di più il busto per cercare ancora le labbra di Sasuke,
sempre, mordendogliele e facendosi mordere; si baciavano e lui lo
denudava, facendo scivolare le mutande per scoprire
l’erezione oltre l’elastico che tendeva
maggiormente la pelle, fino a scoprire la cappella.
Lo
ribaltò sul letto, con ancora le mutande sulle cosce, ma
Sasuke lo trascinò con sé, afferrandolo per la
canotta che l’altro ancora aveva addosso.
“Dove
pensavi di andare?” lo provocò.
“Su
di te, mi sembra ovvio.” Ribatté Naruto, con un
sorriso di sfida.
Gli
sfilò del tutto le mutande che, quella volta, finirono
accanto a una pila di videogiochi, sul mobiletto basso di fianco al
letto; c’era anche la riproduzione di un cavallo di bronzo
con sopra Vittorio Emanuele II, usata come reggilibri.
Inginocchiato,
contemplò per un istante Sasuke, nudo. Gli portò
una mano sul ginocchio e fece per toccargli l’altro, quando
il futuro archeologo sollevò una gamba, in modo da portare
il piede sul torace di Naruto e sospingerlo appena:
“No.
Prima ti spogli, voglio vederti nudo anch’io,
stupido.”
Abbassò
il piede, lentamente, e Naruto lo guardò, sollevando appena
il mento. Sasuke discese, avvertendo lungo il percorso la muscolatura
del torace, il respiro più difficile per
l’eccitazione, poi la linea leggera degli addominali e il
modo in cui il ventre si dilatava per prendere aria.
Con il
tallone, gli sfiorò l’erezione da oltre le mutande
e infilò le dita al di sotto della canotta, percependo con
il piede freddo la pelle bollente dell’altro.
Quest’ultimo sussultò appena e si morse un labbro.
Abbassò
le mani, tirando su l’orlo della maglia per cominciare a
svestirsi, guidato dal piede di Sasuke che risaliva, arrivando fino al
collo, fino a lambire con l’alluce il pomo d’Adamo
dell’altro che si contrasse in una deglutizione eccitata.
Un’ulteriore
parte di vestiario finì tra fumetti di supereroi con
mantelli di un rosso simile a quelli dei porporati romani, ma anche
romanzi d’avventura che parlavano di viaggi in terre
sconosciute, ricordavano personaggi resi vividi grazie alle memorie del
passato tramandate generazione dopo generazione, con la carta, le foto,
le vestigia dell’uomo conservate come un tesoro di famiglia.
Consapevoli di
quel tesoro, Sasuke e Naruto fecero l’amore, su quel letto,
tra i libri, i videogiochi, i testi di studio e i souvenir dei posti
visitati.
C’erano
nicchie vuote, per i nuovi libri e i nuovi ricordi dei viaggi, degli
studi, della vita portata avanti, assieme.
Così
da onorare, per sempre, l’umanità e la sua storia
immensa persino tra le piccole mura di una casa qualsiasi, ogni giorno,
anche se ancora a distanza di anni Naruto non ricordava la differenza
tra una kylix e un aryballos; sapeva che non se lo sarebbe mai
ricordato, perché gli piaceva ascoltare Sasuke parlare di
ciò che amava e immaginare i mondi antichi dipinti dal suono
della sua voce.
Sproloqui
di una zucca
E anche questa storia
è conclusa. Amo Sasuke e Naruto in un contesto Au,
perché riesco a rendere e a percepire in maniera ancora
più forte il senso di rivalità ma anche di
complicità, in un rapporto più sano e
spaventosamente intenso.
Spero che il racconto
vi sia piaciuto. Li ho proprio immaginati, alla fine, fare l'amore nel
loro mondo ideale, tra libri e videogiochi. Sto progettando altre
storie, mi auguro di 'rileggerci' presto. Grazie per essere arrivati
fino a qui e alla prossima <3
Grazie anche al gruppo
fb SasuNaru Fantiction Italia che mi carica e motiva tantissimo :3
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