Noi, per il resto del mondo.

di Happy_Pumpkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Noi, per il resto del mondo


Prologo


L’archeologo Sasuke Uchiha si guardò attorno, nel grande e immenso spazio bianco dove era stato trasferito; socchiuse appena le palpebre: tutta quell’assenza di colore faceva persino male agli occhi.

Una volta che le retine artificiali si furono abituate, abbassò lo sguardo, per aprire e chiudere le falangi in movimenti lenti ma costanti, così da testare l’efficienza della riproduzione grafica del suo corpo. Poté dirsi soddisfatto per la risposta all’input dei dati.
Poco dopo, in una deframmentazione di quelli che sembravano cristalli, vide comparire davanti a sé il proprio compagno, anche se definirlo tale in quel frangente gli sembrava persino assurdo. Dovevano intraprendere un compito fondamentale, persino vitale per il futuro della razza umana, della sua identità e cultura. Ma faticava ad accettare l’idea che per farlo occorresse davvero la presenza di qualcuno che non sapeva distinguere una colonna dorica da una ionica, eppure riusciva a battere i record di robe come Virtual Zombiecide sin dalla data del release di quella sottospecie di ammasso di luci, suoni e sangue che era il videogioco.
Videogioco, esatto.
Fece una smorfia, per poi sospirare e guardare altrove, mentre il nuovo arrivato dopo un saluto allegro aveva già cominciato a scaldarsi, agitando le braccia.
Certo, come se uno che faceva il tester di videogiochi avesse davvero bisogno di fare un riscaldamento pre… pre-cosa, esattamente?
“Piantala di dimenarti. Adesso carichiamo il file Roma, dall’Urbe all’Impero e saniamo le parti che ci servono, poi passiamo al prossimo.”
Il gamer Naruto Uzumaki si tirò su, portandosi le mani ai fianchi, roteò gli occhi e ribatté:
“Sasuke, tu rendi tutto così facile, ma sono io con il mio pad a dover usare questo corpo fittizio per arrampicarmi tra canopi, necropoli e pile di ceramiche in modo da trovare i bug di sistema, rimetterli a posto e far funzionare tutto. Tu ti limiti a dire ‘no, quella non ha la forma di anfora con il puntale è una… – perse il tono scimmiottante per riflettere – cilica, kilika, chilo… bah, quella roba lì.”
“Kylix, Naruto! Una kylix! Quando imparerai il termine? Ne avrai viste a centinaia, sei una zucca vuota: per quello servo io, altrimenti avresti riparato il bug mischiando canopi egizi con aryballoi greci!” lo aggredì Sasuke, tagliente.
“Oh Santa Gea che orrore, che crimine contro l’umanità – vide lo sguardo disgustato e offeso dell’altro, quindi precisò – dai, Sasuke, scherzo. Apprezzo tantissimo quello che stiamo facendo e la possibilità di ripristinare tutto ciò che rimane delle civiltà antiche da dopo il Grande Terremoto. Solo, mi piace prenderti un po’ in giro: quando toccano le cose a cui tieni perdi proprio la calma, sei affascinante.”
Ammise Naruto, tirando fuori il suo pad personale per incominciare a inserire delle coordinate e immettere altri dati, in modo da procedere con il caricamento.
Sasuke vide sul suo volto un’espressione quasi nostalgica, persino malinconica. Non capì perché, ma decise di lasciar perdere, limitandosi a borbottare qualcosa d’incomprensibile mentre faceva materializzare a sua volta un pad olografico, in quel caso appartenente invece all’azienda per cui lavorava, se così si poteva dire, in modo da controllare i dati vitali.
“La tua frequenza cardiaca è a posto: ovunque tu ti trovi in realtà sembri rilassato. Connessioni neuronali funzionanti, i corpi virtuali paiono rispondere bene e non dovrebbero esserci problemi con l’interazione dei dati. Tengo aperto il pannello per confermare gli indici vitali una volta che la realtà digitale si sarà sviluppata, sperando di non trovare bug ostici fin da subito.”
Commentò Sasuke.
Corpi e realtà virtuale, tutti termini che ormai da più di un anno avevano preso a far parte della sua quotidianità, assieme ad altri più vicini al suo mestiere, da quello di terminus ante quem al carotaggio. Già, perché centinaia di secoli fa la Terra, come altri archeologi e, in generale, umani la conoscevano, aveva subito violente scosse telluriche capaci di cambiare radicalmente la geografia mondiale: continenti un tempo soggetti alla deriva avevano finito per accatastarsi nuovamente in una sorta di Pangea primordiale, collassando tra loro con tragiche conseguenze climatiche e vitali.
I sopravvissuti, anche agli stravolgimenti successivi, avevano perso ogni traccia di quello che era stato l’Uomo prima di allora. E se, nonostante tutto, nel tempo la voglia di vivere aveva fatto sì che l’ingegno prevalesse sulla morte e la desolazione, con il passare degli anni e grazie a una relativa stabilità geografica l’uomo aveva sentito la necessità di riprendere in mano le sue origini.
Se il culto della Madre Terra Gea aveva sopperito al primo bisogno di conforto e protezione, specie nei momenti in cui riecheggiava in petto la paura di un nuovo collasso geologico, la musealizzazione e l’archiviazione digitale – grazie ai numerosissimi dati sopravvissuti al Grande Terremoto – avevano concesso all’uomo la possibilità di ricreare opere statuarie, città, quadri e beni archeologici di valore inestimabile in spazi virtuali totalmente tridimensionali, nei quali la gente comune poteva immergervisi; non solo, riusciva persino a toccarli, sfiorarli, camminarvi grazie alla creazione di corpi virtuali connessi a quello vero, esplorando senza rischi oppure ostacoli.
Il videogioco con la realtà aumentata, in sostanza, era stato la base per ricreare qualcosa di ancora più profondo dal punto di vista culturale e storico: merito dell’intraprendenza dei veneratissimi Fondatori della società Archeo Travel che, cent’anni fa circa, avevano recuperato i dati sepolti dalla terra e dal tempo per farli vivere alle persone, guidate dai loro personali archeologi professionisti.
Da un anno a quella parte, però, i numerosissimi e consolidati luoghi digitali archeologici erano stati invasi in maniera inspiegabile da tantissimi bug; pericolosi, non solo perché alteravano dati e quindi riproduzioni storicamente corrette, ma anche perché a volte tramutavano l’ambiente, diventando aggressivi per i visitatori che vi si trovavano immersi.
Per quel motivo, diverse squadre composte da un archeologo e un beta tester professionista erano state incaricate dall’Archeo Travel di entrare nelle simulazioni, scovare i bug, combatterli in caso di aggressività e infine ripararli, per riportare nella forma corretta qualsiasi cosa fosse stata alterata.
Poco tempo fa, Sasuke e Naruto, ormai colleghi dall’inizio di quella sfiancante campagna di correzione, dopo essere passati per Cartagine avevano giusto concluso una sistemazione di Atene; anche se le Cariatidi del Partenone avevano preso a lanciare loro addosso i capitelli che, in teoria, avrebbero dovuto stare sulla loro testa e... ecco, non era stato propriamente piacevole.
Per non parlare della volta prima ancora, in Egitto, quando la piramide di Cheope si era trasformata nella piramide in vetro del Louvre e si erano dovuti arrampicare su ogni singola parete scivolosa per sistemarla, tra il controllare la corretta inclinazione dei blocchi e il caldo asfissiante del sole del Cairo, voluto per immergere totalmente i visitatori nell’esperienza.
In quell’occasione sarebbe toccato a Roma: una riproduzione di buona parte dei luoghi fondamentali che avevano fatto la storia della città, con uno spettro di datazione esteso a millenni di civiltà in una nazione che, prima del Grande Terremoto, era nota come l’Italia, sulla base di ricerche compiute da storici, geologi e geografi memorizzate nel database ritrovato dall’Archeo Travel.
Sasuke incrociò le braccia, pensoso, mentre Naruto annunciava di aver ultimato il caricamento e, per prudenza, aveva imbracciato il fucile deframmentante. A volte funzionava, scomponendo ad arte qualche bug aggressivo, altre... beh, non tanto, ma rappresentava comunque un diversivo simpatico.
Sperò che le cose non fossero messe tanto male come riportato dalle relazioni degli ultimi tecnici che avevano ispezionato, tramite computer, le linee di programmazione di Roma, dall’Urbe all’Impero, mentre loro due, come sempre prima di ogni missione, avevano studiato l’intera planimetria cittadina; comunque, sembrava parecchio plausibile esserci la mano esperta di qualcuno nell’alterazione di specifici dati.
Ma, in quel momento, non ebbe più tempo per riflettere oltre: il luogo era stato infatti completamente caricato e loro non potevano permettersi di distrarsi ancora. Il bianco cominciò a mutare, come se ci fosse stato un invisibile pennello immenso mosso da un titano: si dipinsero chiazze di colore e luci che attraversarono l’aria in movimenti rapidi eppure armoniosi. Sasuke, come Naruto, vennero investiti da quei colori, sembrò ci fossero vento e luce; il mondo stesso vorticò in un meraviglioso contorno di vita che si generava dal nulla.
Si ersero altissime colonne, obelischi trasportati migliaia di anni prima dall’Egitto lontano, poi arcate imponenti che reggevano le basi dell’Anfiteatro Flavio, capace di ergersi sopra il resto di quel bianco accecante con la sua colossale struttura fatta di mattoni, di sabbia, di celle interrate nelle quali gladiatori e belve attendevano il loro fatale momento, tra il sudore e le urla di un pubblico che acclamava gli scontri.
Dopo aver velocemente controllato le statistiche sul pad, l’archeologo fece per dire qualcosa, ma quando tornò a guardare Naruto, vide quest’ultimo sgranare gli occhi e urlargli:
“Giù!”
Istintivamente, Sasuke lo fece. Ormai aveva imparato a fidarsi: o così, o rischiava che i bug, l’ambiente stravolto, potessero alterare in maniera irreversibile i suoi dati e la memoria, sempre più confusa.
Quando si chinò di scatto, sentì l’aria scuotergli i capelli e il rumore metallico di qualcosa che sembrava fendere l’ambiente sopra di sé; non dovette nemmeno alzare lo sguardo perché, in un caos di zoccoli e ruote, gli passò a pochi centimetri dal fianco una biga, trainata da due cavalli schiumanti che sollevarono un nugolo di polvere, schizzata da una strada ancora sterrata.
Nonostante lo shock, Sasuke cercò di rialzarsi rapido, mentre il conducente, un auriga dal fisico possente e il torace coperto da spesso cuoio intagliato, eseguì una manovra per invertire la direzione dei cavalli; allo stesso tempo, l’uomo che gli era al fianco saltò giù e brandì un gladio, accompagnato da uno scenografico mantello che si gonfiò, come sospinto dal soffio di Eolo.
Naruto si mise di fronte al compagno e sparò un colpo di fucile: dando però prova di maestria, il loro avversario mosse la spada in un movimento fluido e deviò il colpo con forza sorprendente; un’arcata del Colosseo, investita in pieno dalla velocità del proiettile destrutturante, si frammentò in numerosissimi pixel che caddero simili a polvere dalle migliaia di colori diversi, fino a lasciare un vuoto bianco nel mezzo.
“Maledizione.” Sbottò Naruto tra i denti.
“Cambia arma! Usane una contundente!”
Contu che?” sbraitò l’altro, sparando un altro colpo che venne deviato, attaccando un frammento di voluta alla base.
“Appuntita, va bene? Appuntita! – rispose spazientito l’archeologo –  Punta allo spazio oltre il torace, verso le spalle e le ascelle!” Aggiunse, osservando rapido il terreno che sotto le ruote della biga in corsa sprizzava scintille di pixel, mischiate alla terra polverosa.
“Questo lo so, grazie tante! Tu vedi di non morire nel frattempo!”
Ribatté Naruto, per poi sorridere adrenalinico e roteare il fucile; in un movimento rapido esso mutò forma, dilatandosi in scie che mischiavano innumerevoli colori brillanti, per poi diventare una lancia metallica dalla punta capace di penetrare la carne, come le ossa, persino i resistenti corpi alterati delle unità virtuali.
Schivò un fendente del combattente che, nel frattempo, lo aveva raggiunto in una corsa feroce, poi spostò l’arma davanti a sé in modo da parare l’attacco successivo in sequenza rapida, facendo schiantare la spada dell’altro contro il freddo metallo digitale. Dei pixel di un colore uguale al mercurio s’involarono tra di loro, simili a sudore argentato.
Con una mossa di mano, Naruto riuscì a reclinare la parte più bassa della lancia senza sbilanciarsi, così da colpire i polpacci dell’avversario che non fece in tempo a indietreggiare, destabilizzandosi; il tester approfittò del momento per indietreggiare a sua volta di un passo con un salto agile, caricare il colpo ed eseguire un affondo all’altezza del braccio, proprio sotto il punto vitale dell’ascella.
Non che ci fosse un vero cuore, nemmeno pulsazioni o sangue, ma le unità umanoidi, persino quelle buggate, erano più sensibili alla deframmentazione se colpite negli ipotetici punti vitali. Infatti l’entità, dopo un istante in cui era rimasta assolutamente immobile, gli occhi sbarrati, il mantello che aveva smesso di fluttuare per restare sospeso nell’aria sorretto da fili invisibili, esplose in centinaia di migliaia di frammenti colorati che, sempre più infinitesimali, si dispersero senza nemmeno cadere a terra, inghiottiti dall’aria virtuale.
Ma né Sasuke, né Naruto ebbero tempo per tirare il fiato: l’auriga ormai era prossimo e, in un trionfo di cavalli sbuffanti, polvere e frammenti luminosi, si trovava a pochi metri dai loro corpi, che avrebbe schiacciato e calpestato. Tramite il collegamento neuronale la simulazione perfetta delle ossa spaccate sarebbe arrivata dritta all’encefalo di entrambi, provocando l’idea tragica della morte.
Naruto fece per aggredirlo, scartando di lato in modo da corrergli incontro e cercare di disarcionarlo dalla biga, ma Sasuke scosse la testa in un gesto secco e gli afferrò la lancia. Senza perdere altro tempo trascinò Naruto dietro di sé, così da toglierlo dalla traiettoria dei cavalli e, pochi istanti dopo, quando se li vide passare di fianco riuscì a schivare il colpo di spada dall’auriga per attaccare a sua volta.
Sperando che la forza virtuale lo assistesse e reggesse il contraccolpo, schiantò la lancia tra le ruote della biga, la quale collassò in uno schiocco secco di legno che si spaccava, eiettando l’auriga al di fuori della postazione che ora raschiava il terreno, trascinata in una corsa folle dai cavalli terrorizzati.
Sasuke venne sbalzato a terra, ma resse bene la violenza dell’impatto; fu però Naruto, tornato in piedi, a oltrepassarlo, afferrare la spada dell’uomo ruzzolato sull’acciottolato e trafiggerlo alla gola. Non schizzò sangue, eppure il bug esplose in nuove scintille vitali, simili alla polvere e al fuoco di pixel del carro ormai rovinato.
I sopravvissuti ansimarono, immobili nel silenzio calato all’improvviso tra di loro, con poco distante l’imponente struttura del Colosseo, le nuvole immobili del cielo azzurro e, a qualche metro, il foro totalmente deserto, adornato dalle tracce distanti di quella che avrebbe dovuto essere la vita e il passaggio di altri esseri umani.
Naruto si guardò la mano, ancora stretta attorno a una spada che in realtà, ormai, era svanita, esattamente come era accaduto ai due nemici fronteggiati pochi istanti fa. Poi annuì e la tese a Sasuke, il quale con una impercettibile smorfia accettò l’aiuto, non veramente necessario, a rialzarsi in piedi.
“A questo giro sono stati davvero aggressivi. E io già pensavo di aver visto il peggio con la falange oplitica.” Commentò Naruto, passandosi una mano tra i capelli.
Sasuke si tolse la polvere di dosso con qualche gesto brusco, infine ammise:
“Non mi aspettavo una cosa simile sin dal principio. Temo che se incontreremo altri bug non andrà decisamente meglio – occhieggiò sia il Colosseo che i fori, poi aggiunse – mi affretto a cambiare la matrice per inviare al tuo pad le indicazioni in modo da sistemare i bug, tu tieni d’occhio la situazione.”
Naruto recuperò la sua arma, ancora intatta ma tornata a essere un fucile – d’altronde era un oggetto inanimato, non certo connesso a un encefalo pieno di stimoli, dunque non rischiava come loro di morire o annientarsi, a meno che fossero morti loro stessi.
Dopodiché ammise: “Quella cosa con la lancia – poi, visto che Sasuke inarcò un sopracciglio, quasi sfidandolo inconsapevolmente, precisò – beh, era figa. Una bella idea.”
L’archeologo deviò lo sguardo, fissando il pad, per poi commentare apparentemente impegnato: “Mi ha ispirato quel film vecchissimo che abbiamo caricato quando attendevamo la simulazione di Atene.”
“Il Gladiatore?” domandò Naruto con un sorriso.
“Già. Era persino abbastanza accurato, anche se non si chiariscono dettagli fondamentali, per esempio che i barbari sono Quadi e Marcomanni, tra le altre popolazioni germaniche.” Replicò l’altro, come se una simile contestazione fosse davvero importante.
Sollevò lo sguardo ed entrambi finirono per fissarsi. Non sapeva se prendere a schiaffi la faccia gongolante del tester, oppure sorridere, perché sembrava felice di una cosa tanto banale, quando avevano appena rischiato di morire investiti da un carro virtuale.
Eppure trattenne un sorriso e continuò a lavorare. Naruto invece lo fissò, ancora, per poi spaziare lo sguardo sulle vie, le colonne, i porticati e le strade che si diramavano attorno a loro.
Quando conclusero il lavoro, sistemando gli ultimi bug, si guardarono brevemente, soddisfatti. A ben pensarci, dopo un anno di conoscenza virtuale a conti fatti non conoscevano realmente le rispettive identità. Sapevano i rispettivi gusti e si erano confrontati su idee, oppure opinioni tra le più disparate; a volte avevano litigato, pestandosi fino a rischiare di deframmentare i corpi virtuali con grande disappunto dell’Archeo Travel, però alla fine erano riusciti ad appianare le divergenze, uscendone in qualche modo accresciuti e più consapevoli l’uno dell’altro.
Sasuke si chiese se Naruto dovesse avere quell’aspetto, nella vita reale, con i capelli biondi, gli occhi chiari, quell’aria energica e a tratti troppo agitata, capace però di lasciar posto a una determinazione terribile, simile a un fuoco impossibile da estinguersi.
Sarebbe stato confortante, egoisticamente, sapere che era come lui. Anche se non ricordava esattamente certi dettagli, quando avesse cominciato a sentire che la propria esistenza era sempre uguale a se stessa, pur nell’imprevedibilità del lavoro svolto.
“Sasuke...” lo vide guardare oltre le sue spalle.
Per un solo istante, l’archeologo non si voltò, poi sentì un suono gracchiante, nemmeno troppo forte, simile allo statico di una vecchia radio come quelle studiate all’università dagli studenti del futuro. Poi lo fece, seguendo lo sguardo sempre più stupito del tester, e vide una spaccatura verticale che si stava lentamente aprendo.
Indietreggiò di un passo e Naruto gli fu al fianco, con l’arma stretta in mano. Dubitava che essa potesse fare qualcosa contro un bug, sempre che si trattasse di un bug, in grado di alterare lo spazio digitale, ma proprio non riusciva a rinunciare a difendersi e, allo stesso tempo, a modo suo proteggere Sasuke.
In stato di allerta, indietreggiarono ancora, mentre la luce proveniente dalla fenditura si fece più luminosa e, attorno, le antiche strutture, il mercato, le colonne, sembrarono scurirsi, pennellate da ombre profonde. Socchiusero appena gli occhi, la retina digitale sensibile ai cambiamenti di luce era infatti come quella umana, dunque quando la luminosità si attenuò poterono scorgere un uomo uscire lentamente dall’apertura generata: i suoi folti capelli neri, lunghi oltre le spalle, scompigliati, selvaggi, erano in contrasto con il bianco accecante dietro di sé. Il corpo alto, di una muscolatura compatta che si intravedeva oltre vestiti slargati, indossati senza cura o interesse, si stagliò di fronte ai due uomini.
Dopo qualche istante, in uno spegnersi lento del crepitio elettrostatico, i colori tornarono alla normalità e la ferita nel mondo digitale sembrò rimarginarsi; calò il silenzio più totale.
Naruto fece per aprire la bocca e domandare chi fosse quel tizio spuntato dal nulla, con gli occhi scuri, un po’ gonfi e le labbra sottili piegate in un sorriso distorto, ma l’uomo sembrò persino prevederlo e lo interruppe, asciutto.
“Taci.”
Offeso, Naruto aprì la bocca in modo da ribattere, ma Sasuke lo prese per un braccio e l’altro si decise ad attendere che il nuovo arrivato proseguisse.
Cosa che in effetti fece, pur non mancando di notevole sarcasmo:
“Bene, ora che vi siete decisi a smetterla di sprecare ulteriore tempo, vi avviso di questo: i bug peggioreranno e, soprattutto, dovete avere bene in mente dove andare. Perché se non è la direzione corretta prevista dal sistema – aprì la mano e, in un istante, la richiuse – per voi è finita. Deframmentati. In questa gigantesca sala virtuale, le vostre connessioni neuronali imploderanno.”
“Che stai dicendo? Chi sei?” domandò Naruto, confuso e con un pessimo presentimento.
Sasuke fissò l’uomo, in silenzio, con il corpo in tensione.
Lo sconosciuto accennò una risata secca, persino tagliente.
“Tutto questo non ha importanza. Quello che conta sarà dove andrete, per riparare davvero questo mondo. Dopo il trionfo, in fondo... cosa c’è? La vittoria. O intendete perdere?”
Li provocò, con occhi quasi folli, ma attenti.
“Cos...” fece per dire Naruto, cercando di afferrarlo, eppure non vi riuscì: l’uomo, o la sua emanazione digitale, scomparve all’improvviso, come se non fosse mai esistito.
Per un attimo i due rimasero in silenzio, circondati da ulteriore silenzio; si guardarono, vicini, nelle loro orecchie in realtà l’eco delle parole e del crepitio di un mondo virtuale capace di ucciderli.
“Dobbiamo tornare indietro, disconnetterci. Se continuiamo, moriremo.” Decretò Sasuke.
La cosa capace di far riflettere Naruto era che l’archeologo non sembrava affatto spaventato; al contrario, appariva semplicemente logico, persino scientifico.
Naruto gli toccò il braccio. Lo sentì così suo in quel mare di finzione, da credere che forse c’era ancora vita, dopotutto. Potevano essere assieme, anche se lontani, anche nelle decisioni più difficili.
“No. Ci riusciremo. Se ce ne andiamo questo mondo, le sue memorie... verranno divorate dai bug e per allora sarà troppo tardi ripararlo. Quando accadrà, nemmeno la tua bravura come archeologo servirà per ricostruire tutto questo, trasmesso di secolo in secolo.”
Sasuke gli guardò prima la mano, poi gli occhi che sembravano esortarlo, sfidandolo.
Osservò un istante il foro romano in cui si erano trovati, alle spalle l’immensità del Colosseo e, oltre, attorno a loro, il resto della città in una commistione di stili e monumenti, similmente a come era stata secoli fa, prima che tutto venisse distrutto. Gli imponenti archi a tre fornici come quello di Costantino o a uno solo, come quello poco distante da loro, appartenente a Tito, sembravano caratterizzare le vie contornate da vestigia di antichi templi – quello di Vesta per esempio, il cui sacro fuoco si era ormai estinto, senza più alcuna vestale devota a tenerlo in vita.
“Lo sconosciuto... – rifletté all’improvviso Sasuke, per quanto gli sembrava di aver già visto quell’uomo spuntato dal nulla – ci ha dato un indizio su dove proseguire.”
Naruto inarcò un sopracciglio. Poi ripensò alle parole, osservò la strada percorsa e ciò che invece ancora avevano davanti a sé, per poi annuire. Rimise il fucile in spalla e avanzò: dovevano tentare, sperando di aver avuto l’intuizione giusta, altrimenti avrebbero potuto dire addio a loro stessi, come alla storia per cui stavano lottando.



Sproloqui di una zucca

Questa fanfiction è nata per la caccia al tesoro organizzata dal gruppo SasuNaru Fanfiction Italia, al quale la dedico con grande affetto. Tramite il raduno del 27-29 di luglio ho conosciuto e reincontrato persone meravigliose; spero davvero con il prossimo raduno di poterne incontrare tante altre.
Nel capitolo è contenuto in indizio per capire quale successiva tappa della Città di Roma i nostri due protagonisti dovranno visitare, potete provare anche voi a scoprire e decifrare l'indizio!
Spero che vi piaccia, per quanti non hanno potuto assaporarla o, per chi ha partecipato alla caccia al tesoro, non ha avuto esattamente tempo di gustarsi  i dettagli.  Avrà toni scanzonati, d'avventura, a tratti un po' malinconici e... ovviamente sarà sasunaru.
Grazie ancora e buona lettura <3


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Capitolo 2
*** Primo Capitolo ***






Primo Capitolo






Naruto ebbe un brivido. Scosse le spalle, poi guardò dietro di sé, scorgendo il profilo delle colonne appartenenti al complesso dei fori, ma anche gli archi di trionfo che sembravano aver realmente guidato il loro percorso.
Sospirò, felice, davvero felice di non essersi deframmentato alla stregua dei bug con cui avevano avuto a che fare fino a poco fa. Se solo non avessero compreso le parole dell’uomo che era venuto loro incontro per poi sparire, probabilmente avrebbero sbagliato la strada, venendo cancellati per sempre; certo, a patto che quel tizio strambo stesse dicendo la verità riguardo la deframmentazione, ma dopo aver visto bug assurdi Naruto non si trovava nelle condizioni di voler a tutti i costi verificare la realtà dei fatti.
Tornò poi a guardare davanti a sé, con Sasuke che aveva cominciato a salire le gradinate. A ben pensarci, le parole dell’intruso erano quasi logiche: dopo il trionfo, la vittoria.
E quale monumento a Roma poteva rappresentare meglio la vittoria, se non l’Altare della Patria? Sulle prime, Naruto non aveva capito la reale connessione, ma Sasuke, con una sorta di pazienza molto contenuta, gli aveva ricordato che il vero nome con cui all’epoca era stato fondato il monumento, oltre un millennio dopo l’età imperiale romana, era il Vittoriano.
Roteò gli occhi, domandandosi di cosa si nutrisse Sasuke per ricordare tutte quelle cose. Suppose che la storia e l’archeologia dovessero davvero piacergli e sentì, in quei mesi di lavoro assieme, di ammirarlo per la determinazione a non lasciare che le memorie in un certo senso tangibili dell’umanità venissero cancellate per sempre. Ovviamente, l’archeologo poteva anche scordarsi di ricevere parole d’ammirazione dal suo collega. Almeno per il momento.
“Ehi, hai intenzione di rimanere lì ancora a lungo, o vuoi far parte della statuaria?”
Lo esortò Sasuke, arrestandosi in cima alla gradinata.
Naruto gonfiò le guance, con disappunto. Bene, Sasuke, scordati per almeno molti altri anni ancora che io ti dica qualcosa di bello.
“Arrivo, arrivo, scusa se siamo scampati a morte certa e volevo godermi il momento!”
Sasuke sollevò un istante gli occhi al cielo, per poi tornare a guardare davanti a sé. Al suo fianco si ergeva l’imponente e gigantesca statua equestre di Vittorio Emanuele II anche se, a testimoniarlo, non c’erano né il bronzo del Re, né tantomeno alle sue spalle il Vittoriano come avrebbe dovuto essere. Al suo posto, infatti, c’era una gigantesca macchina da scrivere con altrettanto enormi tasti e un corpo fatto interamente di marmo.
“Fanculo…” mormorò l’archeologo.
“Che roba è?” domandò Naruto, incrociando la braccia mentre reclinava la testa e si domandava che accidenti fosse quell’affare di dubbio gusto, in mezzo a tutta quella pretenziosità di marmo.
“Le civiltà che hanno vissuto a Roma fino a qualche secolo fa erano solite chiamare il Vittoriano con il nome dispregiativo di macchina da scrivere. Credo, ecco, che il bug si sia trasformato in questa versione. E dobbiamo anche rimettere Vittorio Emanuele sul cavallo – si scrocchiò il collo, annunciando – ci aspetta un bel po’ di lavoro.”
“Ma dovremmo smantellare tutto questa gigantesca schifezza, prima di rifarla. Rispettare le proporzioni e i dettagli, anche tramite il modello precaricato: non sarà affatto facile, rischiamo oltretutto di lasciare delle voragini bianche.” Commentò il tester, avvicinandosi per toccare le pareti lisce e fredde di quello che doveva essere un oggetto anacronistico, a sua volta museale, come una macchina da scrivere.
Prima di rispondere, Sasuke si ingegnò su come cercare di risolvere il problema e velocizzare tempistiche che, suo malgrado doveva dare ragione a Naruto, sarebbero risultate eterne. Scorse in lontananza, nel cielo, quelle che sembravano nuvole, accompagnate da luci remote simili a tuoni di un’atmosfera carica di pioggia; non gli piaceva per nulla, soprattutto perché condizioni atmosferiche ostili in un luogo simile non erano mai state previste.
 Ma non fece in tempo a cercare di escogitare qualcosa che sentì un suono simile a un clangore metallico, terribilmente vicino. Istintivamente, entrambi gli uomini si fissarono.
“L’hai sentito anche tu?” domandò Naruto, attento. Aveva notato a sua volta la tempesta in lontananza e l’aria, in generale, era quasi elettrica, come rarefatta.
“Sì.” Confermò Sasuke.
Sollevò istintivamente lo sguardo, portandolo verso il cavallo. Naruto lo imitò, contemplando per brevi istanti l’equino; accennò un sorriso perché era sicuro che avessero subito un’allucinazione uditiva.
“Che…”
Ma si interruppe, sovrastato dallo stesso suono metallico di prima. Quella volta, fu certo che proveniva dal cavallo. Più precisamente, da dentro il cavallo.
Loro malgrado, sia Sasuke che Naruto sussultarono, non aspettandosi quel colpo secco tanto all’improvviso. Dopo aver guardato un istante l’archeologo, il suo collega dai capelli biondi e gli occhi attenti puntati verso la statua domandò, sentendosi un po’ stupido:
“Chi… chi è?”
Sasuke sospirò, guardando altrove. Ma non poté nemmeno formulare un insulto concreto verso Naruto, visto che dopo quella domanda apparentemente semplice si aprì un’apertura all’altezza del ventre del cavallo; uno sportello si piegò verso di loro e da oltre esso spuntò la testa appartenente alla figura di un uomo in bianco e nero, con dei vistosi baffoni che contornavano il volto oltraggiato. Peccato che tutto il corpo fosse… piatto, come un foglio di carta o, in quel caso, una fotografia gigante capace di parlare.
“Terribile, Signori, siamo allo sfascio, in una situazione di collasso e degrado della civiltà.” Annunciò.
Ai suoi piedi, perplessi, sia Sasuke che Naruto lo fissarono. Il primo con evidente fastidio, il secondo con altrettanta lampante incomprensione. Più che altro perché non sapeva chi accidenti fosse quel tizio chiaramente d’altri tempi, emerso dal ventre in bronzo di un equino. Sasuke, invece, lo sapeva eccome, ma non fu affatto felice della cosa, in quanto significava che il tutto era ancora più scombinato del previsto.
“Signor Chiaradia, o meglio, la sua foto, che cosa sta facendo nella statua? Dovrebbe trovarsi – esitò un istante, immobile, per poi dire – alla versione digitale della Biblioteca Nazionale Norvegese.”
L’uomo baffuto borbottò qualcosa sulla chiamata alle armi, la patria e altri valori, così Naruto ne approfittò per sporgersi verso l’orecchio di Sasuke e domandare, le labbra a pochi millimetri da lui.
“Chi è Chiaradia?”
Fu un bisbiglio quasi affettuoso. Sasuke girò appena gli occhi, lo sguardo cadde sulle labbra e si sentì vagamente a disagio, un disagio che però non gli dava esattamente fastidio alla stregua di quando le persone si avvicinavano troppo o erano invadenti.
“Lo scultore che ha fatto la statua equestre di Vittorio Emanuele II.”
“Che adesso non ha Vittorio Emanuele II sopra.”
“Precisamente.”
Messa così l’intera situazione sembrava quasi ridicola, per quanto, al contrario, fosse estremamente tragica. Naruto fissò Sasuke, perplesso, rimandando a momenti migliori interrogativi amletici su come il suo brillante collega, per quanto dotato di buona memoria, fosse riuscito a ricordare un particolare tanto minuzioso quale la collocazione della foto di un tizio… insomma, uno sconosciuto, mica si parlava di Napoleone o di Jim Morrison.
“Popolo! – esclamò la figura monodimensionale dello scultore, agitando le braccia – Io recupererò l’illustre figura di Sua Maestà mediante le digitali memorie d’intelletto a me connesse, avendo la matrice di dati e catalogazione simile a quella del Re, al fine di agevolare la procedura. Al contempo, mi affido alla vostra esperta guida nell’immettere il corretto indirizzo d’archiviazione che appartiene alla mia virtuale persona, al fine di tornare ove era la collocazione originaria.”
“E dove si trova sua Maestà? Perché qui non abbiamo esattamente tempo di fare ricerche approfondite.” Tagliò corto Sasuke.
All’orizzonte, le nuvole sembravano essere avanzate ancora, sospinte da un vento distante.
“Poffare! Quale indegno comportamento da parte di voi giovini sbarbatelli! Quando con il Vittoriano avrete concluso, dovrete rivolgervi a tutte le divinità di codesta Terra piena di tribolazioni, per fare ammenda delle turpitudini che macchiano l’animo vostro. Senza la religione, sareste perduti e ridotti a uno stato di barbarie, rimembratelo!”
Fece per parlare ancora, ma Sasuke lo anticipò:
“Quindi? La risposta alla mia domanda, Signor Chiaradia. Purtroppo gli dei, al momento, sono l’ultimo dei miei problemi.”
Lo vide assottigliare gli occhi e, dopo un istante di oltraggiato silenzio, rispondere:
“Trompe-l'œil. Tecnica che andava bene per quei mentitori dei mangiarane francesi – schioccò la lingua, almeno, sembrò farlo attraverso il movimento piatto in bianco e nero, comunque l’eco vibrò nella pancia metallica dell’equino, dando un suono quasi dignitoso – tutto questo che voi vedete con i vostri fulgidi occhi, signori miei, è nient’altro che illusione nell’illusione. Una maschera. Un canovaccio teatrale male orchestrato. Fate cadere la maschera e in men che non si dica riavremo al di sotto di queste ignobili spoglie il vero, sublime Vittoriano e la statua con Sua Maestà intenta a ergersi in tutta la sua trionfale possanza.
Mentre che ultimo le connessioni ancestrali con la mia opera e la bronzea figura del Re, potreste, suppongo, pensare a come sbugiardare questa menzogna. Potrei risvegliare questo finto destriero e spingerlo verso nuovi orizzonti, portandolo a trascinare con sé il suo triste circo di finzione.”
Si impettì nel parlare.
Ma, mentre Sasuke lo guardava con l’intento di metterlo a tacere, richiudendolo da dove era venuto, Naruto era corso verso le pareti in marmo della gigantesca macchina da scrivere piazzata al posto del monumento originario.
“Sasuke!” chiamò, pochi istanti dopo che lo scultore aveva finito di parlare.
L’interpellato si voltò: “Cosa c’è? Non vedi che abbiamo già abbastanza casino? Adesso ci mancava rispedire al mittente questo pomposo foglio parlante – Ohibò, piano con le parole, Signorino udì la voce indignata del foglio in questione – non ti ci mettere anche tu, perché la mia pazienza sta già diventando un bug pronto al collasso.”
“Guarda qui.” Insistette semplicemente Naruto, troppo esaltato da qualcos’altro per dar peso al pessimo umore del collega.
In un istante, sollevò con la mano il marmo ed esso, simile a una pellicola, venne in parte via, rivelando tutt’altra struttura al di sotto. Il vero, originale, per quanto digitale, Vittoriano.
“Mr. Baffo ha ragione! C’è proprio una maschera al di sopra. Dobbiamo svestire l’Altare della Patria!”
Esclamò, esaltato.
“Wow.” Commentò Sasuke, apatico.
Poi sospirò e, avvicinandosi, notò effettivamente che la riproduzione al di sotto della pellicola sembrava proprio il monumento corretto.
“Sono metri e metri di strato da rimuovere: visto quanto è grande, impiegheremo tantissimo tempo.”
“Il cavallo – rispose Naruto, con gli occhi che scintillavano, entusiasti e in fibrillazione – Chiappia ha detto che risvegliava il cavallo finto.”
“Chiaradia.” Non poté fare a meno di correggerlo Sasuke.
“Sì, va bene, quello. Comunque – Naruto gesticolò, girando attorno a se stesso per abbracciare tutta l’imponente gradinata – se potessimo agganciare tutta ‘sta roba al cavallo, lo scultore lo attiva, nel frattempo lo rispediamo da dov’è venuto e in men che non si dica rimettiamo tutto dove già stava. Che ne dici?”
Sasuke fissò la struttura, poi l’equino.
Si morse un labbro. Era una follia ma, accidenti, si poteva fare.
“La tua arma. Puoi trasformarla in quello che vuoi?” domandò l’archeologo, occhieggiando il fucile sulle spalle del compagno.
“Ovvio – replicò fiero Naruto, impettendosi – ti ricordi, sulla piramide del Louvre, quando l’ho trasformato in un rampino che… Sasuke! Cavoli, geniale! Cioè, pure io, ma anche tu non scherzi! Certo, splendido! Trasformiamolo in un rampino e colleghiamo le corde coi ganci tra struttura e cavallo!”
L’uomo annuì, suo malgrado ritrovandosi nella stessa scia di entusiasmo, contagiato probabilmente non solo dall’urgenza del momento, ma anche da quell’eccessivo caos che era Naruto.
Quest’ultimo imbracciò il fucile e avviò la trasformazione, mentre l’archeologo corse verso lo scultore, domandandogli:
“Il cavallo, questo cavallo, lo può risvegliare e… – se si fosse sentito dire simili stronzate in un’altra circostanza, si sarebbe preso a schiaffi da solo – correre giù per le scale con noi in sella? Ci agganceremo il finto Vittoriano.”
“Ohohohoh! Quale superba idea, invero si può fare. Chi ve l’ha, modestamente, suggerita?”
Lo fissò, in attesa.
Dopo un’iniziale esitazione, infine Sasuke ammise, cercando di elaborare un sorriso che risultò essere una smorfia: “Lei, Signor Chiaradia. Merito del suo brillante ingegno.”
“Oh, lei mi rende troppo onore – lo fissò un istante, per poi concedere – assicurate i legami al nobile destriero, io provvederò al resto. Nel frattempo, chiederei se mi usaste la cortesia di rispedirmi alla mia collocazione natia, per quanto, in fin dei conti, fittizia anch’essa.”
“Certo – replicò Sasuke, notando Naruto intento a muoversi con il rampino e armeggiare con le corde – a questo posso pensare io.”
In breve, molto più breve se non altro rispetto all’eventualità di smantellare l’intero edificio pezzo per pezzo, Sasuke si era issato, arrampicandosi, sul cavallo di bronzo, con ancora la foto di Chiaradia all’interno ; nel frattempo, Naruto aveva ultimato di agganciare le corde in tensione alla gigantesca pellicola, arpionata.
Il tester rimise il fucile sulle spalle e cominciò a correre.
“Sbrigati!” lo incalzò Sasuke.
Nel cielo echeggiò un tuono simile a un gorgoglio cavernoso, diramando lampi di luce che ricordavano la spaccatura articolata di un vaso.
Naruto corse.
Senza preavviso, lo scultore disse qualcosa di totalmente incomprensibile. E… svanì.
Veloce, Sasuke occhieggiò il pad con i dati ricalibrati per ricollocare la fotografia nella giusta simulazione.
“Maledizione.” Mormorò tra i denti. Perché il cavallo di bronzo, a differenza di Naruto, non accennava a muoversi.
Istintivamente tese la mano al tester, quando questi cominciò a scalare la parete di marmo del piedistallo. In quel preciso istante, però, le cose cambiarono: l’equino, infatti, in uno scuotersi di criniera dai lucenti fili di rame prese improvvisamente vita. Emanò un nitrito metallico ma profondo e si impennò, gli occhi simili a piombo puntati davanti a sé, mentre il manto sembrava scintillare come una corazza lucida. Sasuke fece giusto in tempo ad aggrapparsi alle enormi redini che ricordavano metallo fuso, gelido nelle sue mani, così da non venire disarcionato dal movimento improvviso.
Con un salto, il cavallo scese dal piedistallo. Ancora sospeso per aria, in quell’istante infinitesimale di potenza della creatura, Naruto per un riflesso dettato dall’esperienza assurda di quei mesi riuscì ad aggrapparsi alla gamba massiccia, metri e metri di metallo che gli rendeva però difficile tenere la presa tanto a lungo.
Quando la creatura atterrò sulle gradinate marmoree, in uno scossone di ferro e rame, infatti Naruto rischiò di sfracellarsi a terra. Vide le sue mani lasciare la presa, lo vide distintamente, al punto da riuscire a darsi dello stupido e prepararsi a sentire la sua colonna vertebrale sbriciolarsi all’impatto con le scale, perché la statua era alta metri e metri, lui invece era solo un misero umano altrettanto finto ma ben più minuscolo.
Però, la sua caduta non terminò in quel modo. Anzi, non terminò affatto.
Sporgendosi quasi del tutto, con le gambe sommariamente agganciate alle estremità della sella, Sasuke si era lanciato di getto per afferrare il collega, che si limitò a scontrarsi appena con la coscia bronzea dell’animale.
“Sali, presto!”
Con un colpo d’addominali, Naruto senza farselo ripetere due volte si dette la spinta e, facendo appoggio sulle gambe con una presa più salda, salì fino in cima alla sella, talmente grande da potercisi sdraiare, se solo si fosse trattato di una tranquilla camminata domenicale.
Peccato che, a conti fatti, tutta la questione fosse decisamente lontana dall’essere tranquilla. Spronato dalle ultime parole del suo scultore, il cavallo infatti continuò a correre lungo le magnifiche gradinate, in un trionfo di zoccoli e muscolatura possente.
Dopo che Naruto era risalito, Sasuke fece appena in tempo a guardare alle sue spalle, poi imitato dal tester, per vedere l’intera struttura del Vittoriano venire finalmente svelata: la patina fittizia fu trascinata dalla corsa impazzita del cavallo che scoprì quel vecchio vestito per rivelare la bellezza del corpo di marmo dell’Altare della Patria. Anche la statua equestre originale era al suo posto, con tanto di Vittorio Emanuele II che, fiero, sembrava guardarli dall’alto del suo basamento meraviglioso.
In un frusciare di vesti la copertura s’involò nel cielo, disperdendosi tra le nuvole in numerosi frammenti simili a polvere, oro brillante destinato a sparire.
Il cielo tuonò. Ma non fu l’unico rombo che udirono.
Quando il Vittoriano si rivelò in tutta la sua bellezza, infatti, ai margini della struttura cominciò a sgorgare…
“Acqua?” domandò Naruto, incredulo.
“Le statue ai lati – spiegò Sasuke, tornando a guardare davanti a sé e a reggersi per un nuovo sobbalzo dell’animale in corsa – rappresentano due vecchi mari dell’Italia, prima che ci fosse il Grande Terremoto. E a quanto pare… hanno deciso di esondare!”
Con uno strattone, riportò Naruto a guardare dritto davanti a sé, lasciandogli parte delle redini per tentare, in quella corsa folle, di guidare il cavallo decisamente fuori controllo.
“Santa, fottutissima, Gea!” esclamò il tester, per una volta senza opporsi al sollecito brusco dell’altro. Quando l’animale atterrò oltre le gradinate in uno slancio potente, rimbalzarono sulla sella in un violento scossone.
L’acqua marina rimbombò alle loro spalle, con l’impetuosità di una diga esplosa: un trionfo di schiuma e salsedine sembrò divorare le scale, per poi arrivare a lambire le zampe del cavallo, schizzando spuma bianca addosso ai conducenti e al manto metallico.
“Giriamo!” esclamò Naruto, tirando una redine per far svoltare l’equino che, nonostante un po’ di reticenza, curvò seguendo la traiettoria.
Ma l’immenso muro d’acqua sembrò seguirli, anziché dirigersi dritto davanti a sé, mosso da un magnetismo magico verso il destriero e i suoi ospiti.
“Dove andiamo?” domandò Naruto, guardandosi attorno.
Al loro fianco avevano piazza Venezia, mentre di fronte si ergeva l’imponente Colonna Traiana, con il suo incedere crescente delle scene che narravano la riconquista della Dacia.
La spuma gorgogliò alle spalle con rabbia sempre maggiore, invece il cielo riecheggiava dei suoi tuoni come un monito distante. Sasuke si morse un labbro, stringendo le redini mentre il cavallo, inarrestabile, avanzava.
“Dove cazzo è il tizio di prima? Adesso non viene a tirarsela con i suoi suggerimenti da enigmistica dei poveri?” esclamò Naruto, voltandosi di tanto in tanto per controllare la gigantesca massa d’acqua marina che sembrava poterli travolgere e inghiottire da un momento all’altro.
“Zitto, lasciami pensare!” ribatté Sasuke, guardando invece dritto davanti a sé il Foro Traiano che si espandeva con i suoi resti oltre la meravigliosa colonna, lambita anch’essa dalle acque del mare.
“Beh, pensa in fretta, perché non so te, ma io non ho avuto nessuna illuminazione divina su dove accidenti andare eh… cazzo – sgranò gli occhi, perché scorse a pochi metri di distanza qualcosa sfarfallare, come una proiezione instabile del percorso – no, giriamo, giriamo, non so dove, ma non andiamo dritto. C’è un’imperfezione, non è la strada!”
Tirò le redini. Sasuke si tenne a malapena per reggere la virata improvvisa del cavallo, venendo schiaffeggiato da un’ondata d’acqua che gli incollò i capelli sul cranio. Troppo occupato a pensare per insultare il suo collega, al quale era sostanzialmente andato addosso, si portò indietro i capelli fradici in maniera sbrigativa e gli gridò, per sovrastare il rombo delle onde prossimo a investirli, visto che avevano deviato direzione:
“Prima! Prima che hai detto?”
Naruto lo guardò appena per scuotere la testa, tornando poi a concentrarsi sulla guida mentre il fucile rimbalzava sulle sue spalle.
“Ma ti sembra il momento? Non lo so, dico tante cose… – schioccò la lingua – non sappiamo dove andare, ci vorrebbe un miracolo per…”
“Divino!”
In un’altra occasione, Naruto avrebbe probabilmente replicato con un sornione modestamente, grazie per averlo notato, ma trovò che per una cazzata simile Sasuke lo avrebbe rispedito direttamente da Teti.
Si sentì invece afferrare per il braccio da Sasuke che, parlando rapido, lo scosse spiegandogli:
“Chiaradia! Mi ha detto una frase: dobbiamo rivolgerci a tutte le divinità di codesta Terra; c’è un luogo che le racchiude tutte – nel vedere lo sguardo perplesso dell’altro, però, brusco aggiunse – di là! Vai in quella direzione!”
A Naruto non rimase che fidarsi. In quell’anno sembrava che la fiducia reciproca, in fondo, avesse funzionato molto bene.



Sproloqui di una zucca

Eccomi dopo intense settimane di vacanze XD Dopo quest'aggiornamento i prossimi saranno più frequenti <3
In questi capitoli Sasuke e Naruto mi fanno morire per come battibeccano eppure continuano comunque a cercarsi. Grazie e alla prossima!

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Capitolo 3
*** Secondo Capitolo ***





Secondo Capitolo





Pantheon, tutte le divinità. A Naruto sarebbe venuto da ridere per la stupidità del collegamento, peccato si trovasse in una situazione nella quale gli veniva tutto meno che ridere. Stava infatti ancora in sella a un gigantesco cavallo di bronzo, con accanto il suo collega archeologo che pareva semplicemente incazzato e sulla soglia dell’apprensione tragica, inseguito da una gigantesca massa d’acqua marittima.

Grandi risate, insomma.
Il peggio di tutta quella faccenda, però, era che davanti a loro non c’era il normalissimo edificio verso cui erano stati un po’ brutalmente diretti, bensì... una voragine: un’immensa spaccatura nella terra, al cui interno confluiva ulteriore acqua che pareva essere divorata dalle profondità più oscure.
Gli venne da gridare. Un grido di rabbia, più che di semplice paura, rabbia per dover morire senza combattere.
Ma più si avvicinavano, più scorse qualcosa comparire dal gigantesco buco che sembrava essersi generato nel terreno, tra laterizi e pietre; più che qualcosa: un edificio affondato senza una crepa o parti danneggiate, come se ci fosse nato, in quella terra, con tutti i suoi marmi resi ancora più lucenti dall’acqua che terminavano con un foro centrale in cima all’immensa cupola.
Il Pantheon.
Sentì Sasuke mormorarlo, nonostante il galoppare furente dei cavalli e lo scroscio agitato dell’acqua alle loro spalle.
“Dobbiamo gettarci nell’apertura della cupola.” Decretò alla fine l’archeologo, stringendo le redini senza distogliere lo sguardo da davanti a sé.
Quella frase Naruto l’aveva sentita ancora meglio. E gli piaceva, logicamente, persin meno.
“È un tuo modo creativo per trovare un’alternativa in cui moriamo schiantati, anziché affogati dall’acqua?”
Se solo ci fosse stato tempo, Sasuke avrebbe spiegato con didascalica precisione il perché della sua scelta, giusto per concludere con un idiota finale che risultava meno dispregiativo dei primi mesi. Ma anche in quel caso il tempo non giocava esattamente a loro favore, dunque l’uomo si limitò a ripetere a voce più alta, in modo da essere sicuro di farsi sentire:
“Quando avremo toccato la cupola del Pantheon salta dal cavallo e gettati di corsa nell’apertura!”
Lanciò una breve occhiata alle sue spalle: la forza dell’ondata anomala d’acqua era tremenda, se li avesse travolti ne sarebbero stati schiacciati, forse addirittura sarebbero morti sul colpo per l’impatto dalla violenza di un tir schiantato a tutta velocità.
Si aspettò un’eventuale protesta di Naruto, ma questi si limitò ad annuire, corrugando le sopracciglia con uno sguardo determinato e gli occhi puntati davanti a sé, pronto per il momento decisivo.
Momento che non si fece attendere troppo.
Infatti, pochi istanti dopo il cavallo, ormai fuori controllo, saltò oltre il margine della voragine. Per qualche istante i due furono in balia dell’aria, con la criniera in fili di bronzo che ondeggiò placida, sospesa in un gonfiore leggiadro al pari dei capelli dei conducenti, plasmati dal vento; specie quelli di Sasuke che, anche se bagnati, erano comunque piuttosto lunghi.
Poi, il tempo sembrò riprendere a correre più veloce e in quel breve attimo di caduta, Sasuke e Naruto lasciarono le redini per saltare ai lati del cavallo che atterrò in una vibrazione metallica, crepando la superficie traslucida della cupola; gli zoccoli schiaffeggiarono l’acqua che, sfidando ogni legge della fisica, risaliva in ruscelli morbidi la superficie curva della cupola per poi confluire nell’apertura circolare al centro.
Quando rotolarono a terra senza farsi troppo male, Sasuke e Naruto si rialzarono avvertendo ancora le viscere rimestarsi in petto, risalite fino alla gola per via di tutti quegli sbalzi di altezze; ma non c’era tempo per riacquistare l’equilibrio o riprendersi: le gigantesche onde d’acqua continuavano infatti a inseguirli con ostinata ferocia. Sebbene un po’ traballanti, appena riuscirono a rimettersi in piedi i due corsero, per dirigersi senza ulteriore esitazione verso l’ingresso in cima alla cupola.
I loro piedi, come gli zoccoli del cavallo, lambirono i ruscelli d’acqua trasparente, sottile, simile a pioggia scrosciante contro un vetro, spruzzando a ogni salto di quella corsa disperata gocce che si mischiarono alla spuma del mare. Quando arrivarono al bordo dell’apertura circolare, Sasuke e Naruto si guardarono un istante, poi si fiondarono all’interno quasi in contemporanea; nel gettarsi, il tester trattenne il fiato, che gli rimase bloccato all’altezza della gola.
Poi venne travolto da una superficie d’acqua che sembrò avvolgerlo in quella caduta folle, rimischiandogli ancora gli organi che, quella volta, cercarono quasi sicuramente di risalirgli oltre il palato.
Appena riemerse, inspirò una gigantesca boccata d’aria, tra la bocca che sapeva di mare e i capelli gocciolanti acqua – almeno, la simulazione virtuale gli faceva credere a tali livelli di essersi inzuppato fino al midollo . Preoccupato, cercò Sasuke e lo vide intento a dare grandi bracciate per raggiungere quella che sembrava… una canoa fatta di canne e paglia? Nel bel mezzo di quel gigantesco bacino d’acqua che sommergeva le statue del pantheon e le sue nicchie?
Bene, tutto assolutamente normale.
Lo raggiunse e si issò a sua volta, senza che ovviamente l’archeologo gli desse una mano e… beh, figurarsi se lui gli avrebbe chiesto qualcosa. L’imbarcazione ondeggiò un istante per poi stabilizzarsi. Nonostante l’aspetto fragile, sembrò reggere bene il loro peso e anche le acque parvero essersi calmate; meraviglia, forse per una volta non c’era nulla che stesse cercando di ucciderli!
“Non so come sistemeremo tutta questa storia – borbottò Naruto, tirandosi indietro i corti capelli fradici – che ci fa ‘sta bagnarola nel mezzo del Pantheon, proprio non so. Poi i romani non erano grandi marinai, giusto?”
Fece presente, fiero dell’osservazione.
Sasuke gli lanciò un’occhiata e precisò, meticolosamente fastidioso: “Per inciso, questa bagnarola è una feluca egizia. Che… no, non so nemmeno io cosa rappresenti in questo contesto – guardò un istante altrove, per poi ammettere suo malgrado – è vero, i romani non erano grandi marinai, anche se Agrippa fu determinante per Ottaviano, non solo per le sue capacità ingegneristiche, basti pensare ad Azio, o…”
Corrugò appena le sopracciglia, per poi sospirare e scuotere la testa, mentre la barca galleggiava placidamente: “Lascia perdere, non so perché ti racconto tutto questo nel mezzo del casino in cui ci troviamo, sarà il fatto che è stato proprio Agrippa a erigere il primo Pantheon.”
Ma Naruto scosse la testa: “No, no, anzi, mi ha fatto piacere! Hai una luce diversa negli occhi quando parli di ciò che ami.”
Si fissarono un istante e Sasuke pensò fosse stupido imbarazzarsi per quelle parole; parole, se possibile, ancora più stupide – anche se, avendo conosciuto Naruto in quell’anno, poté ammettere che non sempre diceva cose totalmente a caso, il più delle volte lo faceva credendoci davvero.
Ma prima di poter ribattere, improvvisamente la barca cominciò a muoversi totalmente da sola, dato che non c’erano remi, né loro erano ancora dotati di capacità telecinetiche, per quanto fittizie. Si voltarono entrambi a guardare in avanti, realizzando che la corrente aveva cominciato a sospingerli verso una delle estremità del Pantheon, più precisamente contro una delle pareti; anche se ai rispettivi margini di tale parete due nicchie, rispettivamente una con la statua della Luna e l’altra con quella del Sole, cominciarono a sollevarsi facendo defluire ulteriore acqua in una cascata, la barca sembrò non accennare a spostarsi da quella direzione.
Anzi, man mano che la feluca avanzava, la corrente divenne più intensa e inoltre, sebbene con maggiore lentezza, il volume dell’acqua stava cominciando a calare drasticamente.
 “Finirà così e ci andremo a schiantare.” Mormorò Sasuke, guardando l’apertura verso l’esterno in entrambe le nicchie. Non sapeva esattamente perché, cosa si fosse alterato, ma aveva la sensazione che quel mare si estendesse per chilometri e chilometri, con ampiezze molto più grandi di quelle effettive.
“Puoi giurarci. Più incrementerete la velocità, più farà male; e posso assicurarvi che farà molto male.”
Nonostante l’impellente necessità di trovare una soluzione, dato che nelle colonne in mezzo tra le due edicole sembrava esservi nient’altro che solido marmo, sia Sasuke che Naruto si voltarono di scatto al sentire una voce che sembrava in qualche modo già conosciuta. E per nulla amichevole.
“Il tizio di prima!”
Esclamò infatti Naruto, quando vide seduto sulla punta della feluca proprio l’uomo che avevano incontrato attraverso la fenditura; riuscì anzi a distinguerne ancora meglio i contorni, i capelli lunghi e disordinati, nonché quelle che sembravano occhiaie.
“Madara, prego.” Replicò tagliente il tizio in questione.
La barca andò più veloce, fendendo l’acqua nella sua spuma bianca. Il livello si stava abbassando, ma più scendeva, più pareva che sotto di loro non ci fosse alcun pavimento: solo l’abisso, oscuro e terribile, mentre la via di fuga attraverso le due aperture continuava a rappresentare l’unica soluzione per andarsene da quel posto infernale.
Sasuke lo fissò, sentendo una rabbia crescente: “Chi sei? Cosa vuoi da noi?”
“Non c’è tempo per le domande – con un cenno della testa li invitò a tornare a guardare avanti e i due, loro malgrado, istintivamente lo fecero – decidete, quale fiume prenderete: Don, Po’, Tevere o Nilo?”
Rise. Poi, in quell’istante, si abbassarono altre due nicchie, con le statue ricche di panneggi di Marte e, rispettivamente, di Venere.
Quattro statue, quattro direzioni diverse.
La corrente cominciò a cambiare in una serie di turbinii confusi e la feluca sembrò non saper più dove dirigersi. I muri colonnati parevano in ogni caso volerli far schiantare e inghiottire, come l’abisso sotto di loro.
“Quattro fiumi? Dove li vedi quattro fiumi a Roma?”
Esclamò Naruto, scuotendo la testa. Fece per allungare la mano e afferrare il tipo che aveva detto chiamarsi Madara, ma questi sembrò inconsistente, perché la mano del tester passò attraverso il corpo dello sconosciuto.
“Che domanda stupida. Sasuke, almeno tu, Uchiha secchione, non mi deludere.”
Ci fu aperta ironia in quella richiesta, ma Naruto si sentì offeso: “Beh, Casper dei poveri, stupido sarà tutto questo gioco assurdo; sono io a sistemare i bug evidentemente provocati da te grazie alle mie conoscenze informatiche. Secchione a lui, tzé.”
Gonfiò le guance, incrociando le braccia.
Tevere. Pensò frenetico Sasuke: l’unico fiume presente era il Tevere.
Fece per aprire la bocca e dirlo, quando si bloccò.
Qualcosa non tornava: era una risposta troppo facile e, in tutto quel casino, se c’era una cosa chiara era che il tizio seduto ai margini della barca non sembrava affatto amare le cose semplici.
“Piazza Navona!” esclamò alla fine, facendo sussultare il tester. Ovviamente, Sasuke in quei casi si era semplicemente messo a riflettere, al di là della frustrazione e della voglia di attaccare alla gola Madara che si era intromesso nel loro già complicato lavoro.
Chi fosse, cosa volesse… perché sentiva di ricordare qualcosa su di lui, persino su di sé, dimenticato nel tempo? Domande lecite, in realtà, ma necessariamente da rimandare; per quel motivo aveva ignorato Naruto, come era capitato già tante altre volte prima di allora a dire il vero, lasciandolo al suo blaterare mentre cercava di fare qualcosa di concreto.
“La fontana dei quattro fiumi, quella del Bernini – riprese più velocemente – il Gange, il Rio della Plata, il Danubio e…”
“Il Nilo.” Concluse per lui Naruto.
Sasuke annuì, ma prima che potesse domandarsi se il collega fosse davvero a conoscenza di dettagli simili, il tester lo anticipò, indicando l’imbarcazione:
“Si tratta di una feluca egizia, no? Forse avevamo l’indizio sin dal principio.”
“Hai ragione.” Ammise Sasuke, sorpreso ma non più di tanto. Quell’idiota dai capelli biondi aveva una conoscenza archeologica e artistica che rasentava il ridicolo, però non mancava di spirito d’osservazione e intelligenza. Doveva ammetterlo, anche se gli costava fatica.
Infatti prontamente Naruto sgranò gli occhi, provocandolo: “Oh, incredib…”
Ma Madara lo afferrò per la collottola della maglia – chissà come, ma quel tipo sembrava invece poterli picchiare persino troppo facilmente – e incalzò, con lo sguardo più folle, persino divertito:
“Quindi?”
“Nilo! Prendiamo il Nilo!” gli ringhiò contro Naruto, esasperato.
Con una virata brusca, la feluca cambiò direzione e si diresse verso l’edicola un tempo appartenente a Venere, la quale era però sparita, in modo da lasciare lo spazio sufficiente per passare.
Madara li osservò un istante, poi li provocò:
“Chissà se riuscite a risalire fino alle acque vergini, pivelli!”
Ma non si godette le gioie di vederli cercare di replicare qualcosa perché sparì, facendo sussultare leggermente la feluca che, però, proseguì il suo incedere rapido fuori dal Pantheon, trasportata dalla corrente forte ma non travolgente.
Metro dopo metro, le acque si fecero meno dense e violente, finché l’imbarcazione sembrò paradossalmente spiaggiarsi in quella che, come previsto dalla normale urbanistica, era Piazza Navona. Placida, la fontana funzionava quasi fosse stata una tranquilla giornata qualsiasi, con le sue statue e le sue alture rocciose che le elevavano. Un po’ sospettosi, Sasuke e Naruto scesero dall’imbarcazione, scrollandosi per quanto possibile un po’ d’acqua dai vestiti e dai capelli zuppi.
Le nubi all’orizzonte sembravano più lontane, ma erano sempre presenti e incombevano su di loro come una spada di Damocle.
“Wow – mormorò Naruto – incredibile, però siamo ancora vivi.”
Strizzò ulteriormente la maglia, gocciolando acqua salmastra.
“Già.” Convenne Sasuke.
Si girò e, già preoccupato all’idea di come accidenti avrebbero fatto a risistemare un Pantheon interrato e affogato nel mare, rimase di sasso quando realizzò che l’edificio era perfettamente normale, con tanto di marmi lucenti, la sua gloriosa cupola e le alte colonne frontali che sorreggevano il frontone austero.
Prontamente, il tester tirò fuori il pad personale per memorizzare i codici modificati e salvarli nel suo database, in modo da facilitarsi eventuali nuove correzioni.
Nel frattempo, lo scroscio dell’acqua proveniente dalla fontana e del tintinnare di monete si espanse nell’aria con un effetto persino rassicurante.
“C’è una valuta virtuale?” domandò Naruto all’improvviso, contemplando a sua volta il Pantheon, a caccia di eventuali buchi dovuti a imperfezioni residue.
“Come?” si riscosse Sasuke, tornando a guardarlo.
Naruto si voltò, scrutando alle proprie spalle, infine spiegò: “Non so, mi è venuto spontaneo chiedere. Ho sentito qualcosa che ricordava un tintinnio, ma forse è solo la mia immaginazione, in mezzo a tutto questo casino.”
Ridacchiò.
“Allora lo senti anche tu, il tintinnio.” Constatò invece Sasuke.
Deviò lo sguardo: oltre la fontana, scorse la figura di un ometto con un cappello elaborato, decorato da una piuma svolazzante, e addosso una giacca dai pretenziosi orli in filo dorato, fatta di un tessuto che ricordava velluto.
“Lui… lo vedi?” sussurrò Sasuke.
“Non so se esserne felice, ma… sì, lo vedo.”
“Messeri!” esclamò all’improvviso l’uomo, facendo una leggera corsetta. Lo seguiva un carro in legno semplice, guidato da due cavalli senza cocchiere; tutto il contrario, insomma, della ricchezza portata addosso a quella figura bassa e un po’ sovrappeso.
“Dimmi, Sasuke, si tratta di un altro degli artisti che conosci soltanto tu?”
Sasuke roteò gli occhi, faticando come sempre a seguire l’ironia dell’altro, per poi replicare asciutto:
“Non so chi sia questo tizio, va bene?”
Lo osservarono fermarsi per controllare una scarsella in cuoio che, a giudicare dal suono metallico in quel momento riconoscibile, doveva essere piena di monete tintinnanti.
“Messeri, quale gaudio avervi trovato! Non so per quale ragione, ma stavo rientrando verso la magione di famiglia e tutto è tanto subitamente mutato. Orrore! Sortilegio demoniaco!”
Fece per agitarsi, ma Naruto lo bloccò, cercando di mostrarsi rassicurante e non mettersi a ridere per l’effetto comico della combinazione piuma-cappotto improbabile:
“Signore, stia tranquillo, stiamo cercando di risolvere la cosa.”
L’ometto respirò una boccata profonda, lo fissò, infine, ignorando il fatto che i due messeri fossero bagnati fradici e vestiti in maniera totalmente anacronistica per quelli che sembravano i suoi ricchi gusti, spiegò:
“Il mio cocchiere, lestofante, è scappato, lasciandomi in balia del nulla coi cavalli che potrebbero imbizzarrirsi e correre ovunque, portandomi a morte certa – spalancò gli occhi, come prospettando immagini orribili di sé intento a involarsi oltre il carretto – già è stato difficile reperire qualcosa di meglio oltre a questo catafalco pietoso, almeno tento di rientrare alla magione al fine di recuperare i mezzi di trasporto che si convengono al mio stato.”
Naruto annuì, dispiaciuto per quel signore che, in fondo, gusto nel vestire a parte sembrava tener davvero a rientrare a casa. Forse se lo avessero aiutato, indipendentemente dalla strada, non si sarebbero disintegrati in milioni di pixel; magari poteva essere un modo come un altro per correggere il bug di chi non si trovava nel posto giusto, come la simpatica foto monodimensionale di Chir… Chiam… Chiaradia.
Ma Sasuke scattò, sospettoso:
“Chi sei, esattamente? E perché dovremmo aiutarti? – poi guardò Naruto e ribatté, incurante della presenza dell’ometto, per quanto virtuale – Chi ci dice che non sia un trucco di Madara per mandarci fuoristrada?”
Naruto avrebbe voluto ribattere che Madara, per quanto perverso, non avrebbe mai potuto partorire un design così orripilante per qualcuno sostanzialmente progettato per ucciderli, ma venne interrotto proprio dal presunto killer in questione che ribatté, oltraggiato:
“Io sono un banchiere, poffare! La mia famiglia ha acquisito uno dei maggiori simboli del potere e del prestigio insito…”
Le sue parole si fecero più deboli quando vide i cavalli nitrire e, dopo uno sbuffo, decidere che forse conveniva loro galoppare da un’altra parte.
“I destrieri! Ohibò, intendete aiutar questo pover’uomo o volete bighellonare come donnine di facili costumi?”
“Ci ha appena dato delle puttane?” domandò Sasuke, inarcando un sopracciglio.
Ma Naruto non badò a simili sottigliezze linguistiche, afferrò per un braccio il collega e cominciò a correre, urlando: “Signor Banchiere, le acchiappiamo i destrieri, magari ci da un passaggio!”
L’uomo li seguì con una corsa più goffa, tenendosi il cappello per evitare di farlo volare via.
In un modo o nell’altro riuscirono a raggiungere il carro e, prima di aiutare Sasuke a salire, Naruto con un balzo si mise al posto di guida, afferrando le redini al volo. Riuscì, se non proprio a frenare del tutto i cavalli, perlomeno a rallentarli.
Giurò che dopo quella volta, tra equini giganti di bronzo e altri invasati digitali, non avrebbe più toccato un cavallo se non tra molto, moltissimo tempo.
Sasuke si issò, aiutando suo malgrado il banchiere che, ansimando, si accasciò sulla panca di legno, la quale scricchiolò sotto il peso del corpo comunque denso.
Nonostante avessero già superato Piazza Navona e il carro stesse proseguendo lungo quello che rimaneva dello Stadio di Domiziano, i due visitatori non erano ancora spariti, il che tutto sommato era un buon segno. Sasuke un po’ si dispiacque per aver trattato così male quel tizio ansante al suo fianco, ma non troppo.
Dette un colpo di tosse e domandò:
“Di che famiglia fa parte, quindi?”
“Ehi, Sasuke – lo interruppe Naruto, i cui capelli sembrarono più dorati, quasi sabbiosi – guarda, c’è della gente sugli spalti che ci acclama! Figo! Mi piace questa versione!”
Sia l’archeologo che il banchiere deviarono lo sguardo verso l’unica ala ancora integra dello stadio, dove le sole scalinate presenti erano quelle di accesso; nessun bug, per una volta: a livello museale, da prima della Pangea quello che rimaneva dello stadio iniziale era solo una triste mezza curva.
“Spero bene che abbiano pagato lo spettacolo.” Borbottò l’ometto, sistemandosi meglio sul sedile come per darsi importanza.
Sasuke incrociò le braccia, un po’ a disagio per quella situazione. Incredulo, però, roteò gli occhi quando sentì addirittura Naruto esultare e ruggire.
Andava bene la gloria e la parata in pompa magna, ma era quantomeno ridicolo atteggiarsi tanto solo per fare un paio di metri nella sabbia dell’arena, oltretutto a bordo di quattro assi di legno che per miracolo non si erano ancora distrutte.
“Smettila di ruggire, sei fastidioso.” Lo pungolò.
“Ma che ruggire? Ho solo salutato!” ribatté Naruto, voltandosi un istante.
Nel farlo, però, sgranò gli occhi, guardando qualcosa alle spalle dei due passeggeri improvvisati.
Si elevò un altro ruggito che sembrò più vicino. Come già accaduto, da prassi del manuale delle cose destinate a precipitare, Sasuke seguì lo sguardo del collega e mormorò, con piccata rassegnazione:
Leoni. Perfetto, davvero perfetto.”
Infatti un branco di tre leoni ruggenti, con tanto di criniera folta ed enormi zampe che si schiantavano sul terreno, era intento a correre nella loro direzione e, a giudicare dalle fauci immense, i tre animali erano anche pronti a divorarli con tutto il pacchetto, carro sgangherato compreso.
Ironia della vita, non li avevano incontrati al Colosseo, figurarsi se potevano esimersi dall’averci a che fare nel momento meno opportuno di sempre.
Fu Naruto però a dirgli: “Sasuke, prendi tu le redini, io mi occupo dei leoni.”
Senza che l’altro potesse esprimere qualcosa in contrario, il tester si era già voltato, in modo da balzare sul carretto che tremò un istante, come incerto se sbilanciarsi. Prima di trovarsi scaraventati a terra, suo malgrado Sasuke dovette saltare al posto di guida e prendere il controllo dei cavalli che, spaventati, cominciarono ad avere un’andatura discontinua, a volte cozzando l’uno contro l’altro.
Il banchiere si fece il segno della croce e mormorò qualcosa in latino.
Naruto imbracciò il fucile e lo trasformò in una mazza da baseball.
“Non si preoccupi, Signor Banchiere. È previsto un ritorno alla base.”
“Gesù.” Mormorò l’uomo, guardando quello strumento demoniaco estratto dal legno. Sbiancò.
Sasuke sentì i capelli sul collo rizzarsi. Non si voltò, ma sapeva, lo sentiva a pelle, Naruto stava progettando qualche cazzata.
“Sasuke, non prendere velocità o questa carretta non regge! Lascia fare a me!”
Fu allora che l’archeologo, ovviamente incredulo sulla reale possibilità di lasciare tutto nelle mani di Naruto, si voltò e assistette allo spettacolo più tragicomico della sua esistenza: vide infatti l’uomo tutto determinato, in piedi, con tra le mani quella che era… una mazza da baseball.
Sembrava la versione contraffatta di un film hollywoodiano di Ercole con la versione alternativa della clava; ci mancava solo che al posto del copricapo in pelle di leone si mettesse un cappellino con visiera ed era pronto per sfondare nel mondo del cinema amatoriale.
“Una clava! Potevi almeno usare una fottutissima clava!”
Sbottò, convinto che ormai la loro fine fosse prossima.
“Vieni, Nemeo: ti aspetto, stronzetto!”
Quasi richiamato dalla provocazione, un enorme leone gli balzò addosso, ma Naruto fece una potente torsione del busto che si concluse con uno schianto della robusta mazza in legno contro la mandibola spalancata della creatura, pronta a divorare l’intero carretto.
Il leone finì nella polvere in un ruggito frustrato, per poi sparire in una pioggia di pixel dorati.
“Uno a zero per me, yeah!”
Sasuke, decisamente, non sapeva se essere più stupito per quello strike portentoso contro un leone volante, o se per il fatto che Naruto si fosse ricordato del leggendario leone Nemeo ucciso da Ercole in una delle sue fatiche. L’aveva pure soprannominato stronzetto, ma quelli erano dettagli.
Con altrettanta energia, mentre ormai Sasuke guidava i cavalli lungo le strade di fronte a sé, sperando sempre di non venir cancellato assieme a banchieri, leoni e giocatori di baseball improvvisati, Naruto colpì gli altri felini che gli andarono addosso; urlò pure, per sovrastare i loro ringhi e darsi la carica.
Quando fu certo che non li seguisse più nessuno, ansimante, il ragazzo si sedette sul legno, socchiudendo un istante gli occhi.
“Cavoli, non mi sento più le mani.”
“Sei stato bravo – ammise Sasuke dopo qualche istante – a conti fatti credo che senza la tua idea ci saremmo sfracellati già da tempo.”
Felice per quel complimento sincero, anche se esausto Naruto sollevò il pollice in segno di trionfo.
Il banchiere si schiarì la voce, ritrovando un po’ di colore sul volto terreo.
“Chigi.” Disse alla fine.
“Chigi?” domandò il tester.
“La mia famiglia – replicò l’altro, quasi come se fosse la cosa più scontata del pianeta, dopo i leoni cancellati a colpi di mazza da baseball – i rinomati banchieri che hanno acquistato l’omonimo palazzo.”
“Palazzo Chigi – intervenne Sasuke – dirigiamoci lì.”
Forse, dopotutto, la missione del banchiere aveva davvero impedito al sistema di cancellarli, anche perché non avevano ancora esattamente capito dove andare.
Proseguirono, oltrepassando varie strade: la Chiesa della Santa Maria Maddalena con il suo stile Rococò pieno di fronzoli – Sicuro che non è un bug? Aveva commentato Naruto – per poi costeggiare Montecitorio e, finalmente, giungere fino a Palazzo Chigi, così rinominato in seguito all’acquisto nel 1659 da parte di una famiglia di banchieri senesi, i Chigi per l’appunto.
Sasuke tenne per sé quelle nozioni di cultura, aveva parlato anche troppo per i suoi standard e quell’operazione di ripristino mista a fuga disperata si stava rivelando ancora più lunga del previsto.
Eccetto i leoni, se non altro né Piazza Navona, né i resti dello stadio sembravano danneggiati, lo stesso valeva per quanto visto di Montecitorio; inoltre, con uno certo spirito pratico il tester aveva provveduto a memorizzare i codici scannerizzati mediante il pad.
Quando fermò i cavalli, il banchiere sospirò sollevato e discese, aiutato da Naruto che gli evitò una rovinosa caduta a terra. L’arma del tester era ritornata il classico fucile multiuso.
“Vi sono debitore, messeri. Se volete aprire un conto e ottenere un prestito, vi farò un prezzo di favore, miei prodi. Lo diceva, il mio astronomo di fiducia, che il segno della Vergine sarebbe stato benedetto da Dio quest’oggi. E l’acqua il mio elemento fortunato.”
Sorrise, battendosi qualche colpetto sul ventre un po’ abbondante.
Sasuke fece una smorfia, domandandosi in che modo l’astronomia potesse incastrarsi con Dio, ma non aprì dibattiti in merito. Il cielo aveva ripreso a rannuvolarsi e lui aveva la sensazione che il tempo stesse per scadere.
“Dove dobbiamo andare?” provò invece a chiedere all’ometto, un po’ a bruciapelo.
Il banchiere si fece perplesso: “Dove, mi chiede, messere? Ma io non lo so, quali scempiaggini dite! L’unica cosa che so è che gli equini valgono, di questi tempi, quindi me li restituite.”
“E tutta quella storia del debitore, dei prodi, blablabla…” lo provocò Naruto, piccato.
L’uomo borbottò qualcosa per poi aggiungere: “Parlavo di tasso di interessi favorevole, un fondo destinato…”
Ma sia Sasuke che Naruto scesero, mollando redini, cavalli e carretti.
“Sa cosa? Si tenga i suoi tassi e pure i suoi cavalli. Andiamo a piedi.” Tagliò corto Sasuke.
“Ben detto.” Convenne Naruto.
Senza nemmeno badare all’espressione stupita dell’uomo, i due si allontanarono, ma non tantissimo, giusto per fare scena e attendere che il banchiere se ne andasse, con tanto di cavalli che riluttanti lo seguirono.
“Tassi e cavalli. Bella battuta.” Ridacchiò Naruto.
Suo malgrado, Sasuke accennò un sorriso e scrollò le spalle, effettivamente divertito: “Mi è uscita così.”
Risero assieme, scaricando le tensioni di quel viaggio frenetico.
Poi, lentamente, la risata si smorzò e ritornò la consapevolezza pressante di dove accidenti dirigersi senza rischiare la deframmentazione.
Quella volta, se non altro, tempeste furenti a parte avevano qualche istante in più per rifletterci.
“Sarà, ma io non sono della Vergine e si vede, data la sfiga che mi perseguita, anche se l’acqua è stata persin troppo il mio elemento.” Borbottò Naruto, memore delle dissertazioni astronomiche del Signor Chigi.
Sasuke lo fissò, pensoso:
“Vergine. Acqua.”
Naruto lo scrutò: “Stai avendo un’idea brillante da indizi assurdi, come il detective che risolve un caso d’omicidio?”
“Non so, è che… Madara – domandò all’improvviso l’altro – aveva detto qualcosa prima di andarsene.”
“Innanzitutto ci ha dato dei pivelli, e già per questo quando giungeremo al boss di fine livello gliela farò scontare tantissimo, poi… boh, ci ha detto chissà se riuscite a risalire fino alle acque vergini.”
Lo scimmiottò Naruto, per poi bloccarsi. Pareva avere un senso, ora che pensava a come tornavano i dettagli.
Sasuke fece un sorriso trionfante e perfettamente sicuro di sé; Naruto lo trovò inquietante ma bello al tempo stesso, cosa che lo fece un po’ imbarazzare.
L’archeologo infatti gli chiese, con sfida e accattivante esaltazione:
“Sai presso quale fontana sorgeva l’acquedotto dell’Acqua Virgo?”
Naruto incrociò le braccia, guardando altrove:
“Oh, dai, su, mister Genio, dimmelo, visto che muori dalla voglia di farmi sapere quanto sei speciale.”
Sasuke gli tirò un pugno sul braccio e lo mandò a fare in culo, ma alla fin fine, orgoglioso, gli rispose, aggiungendo che dovevano ancora superare un edificio ben più moderno prima di giungere a destinazione, la Galleria Alberto Sordi. E Naruto, in fondo, convenne che Sasuke ne sapeva davvero tantissimo. Oltre a essere un figo, ma questo non glielo disse.



Sproloqui di una zucca

Eccoci con questo nuovo capitolo, decisamente il mio preferito: mi sono divertita un mondo a scriverlo e spero abbia strappato anche a voi una risata. Mi auguro che vi siano piaciuti gli indizi e che la trama in generale vi acchiappi, sempre con quell'avvicinarsi progressivo di Sasuke e Naruto.
Grazie ancora a chi legge e segue questa storia. Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Terzo Capitolo ***



Terzo Capitolo


Per una volta, il rumore delle acque scroscianti non fu per i due viaggiatori virtuali una fonte di disagio, o segno di una morte prossima, bensì rappresentò un suono confortante, quasi un ritorno a casa. Nonostante questo, quando giunsero di fronte alla meravigliosa Fontana di Trevi, non ebbero comunque modo di tirare proprio del tutto un sospiro di sollievo: la fontana in parte era effettivamente come la ricordavano, con i cavalli, l’acqua e l’elaborato corredo artistico, coperto però da… un gigantesco maxischermo bianco, le cui basi affondavano fin nel pavimento in marmo.
Di fronte, sul lastricato, c’erano due poltrone rivestite di tessuto rosso, simili a quelle che si potevano trovare al cinema, peccato che di un normale cinema non ci fosse un bel nulla; oltretutto, ben presto sia Sasuke che Naruto si accorsero che i cavalli in marmo avevano preso a eiettare improvvisamente pop-corn, anziché acqua.
“Sedetevi, prego, la proiezione sta per cominciare.”
Si levò nell’aria una voce meccanica, simile a un registratore standardizzato; a tratti sembrava provenire dall’interno della fontana – che nel frattempo si stava riempiendo in misura sempre maggiore di pop-corn e meno di acqua – a tratti dal cielo stesso, quasi come se i tuoni all’orizzonte ormai scuro avessero preso una forma sonora simile alla parola.
I due si guardarono un istante.
In maniera progressiva, tutte le luci del cielo cominciarono a cambiare: il sole fittizio del giorno aveva lasciato posto alla luna e alle stelle che si affacciavano sul panorama di una serata estiva; mancavano le cicale che frinivano e, di per sé, il venticello piacevole dopo una giornata di caldo, ma l’effetto avrebbe potuto essere molto simile. In un certo senso, più si incamminava con sospetto verso i posti a sedere, più Sasuke aveva l’impressione che la notte stesse calando.
Quando finalmente giunsero di fronte alle poltrone, Naruto lo guardò con la faccia di chi si aspettava di dover saltare via per evitare di essere azzannato dalla sedia reclinabile; allora l’archeologo fece un cenno di esortazione, consapevole del rischio di poter realmente fare una fine simile.
I due si sedettero quasi in contemporanea, l’uno accanto all’altro, ma appena poggiarono le natiche sulla soffice imbottitura si accorsero che, a dispetto delle nefaste previsioni, non stava succedendo assolutamente nulla; anzi, il cielo sembrava persino aver smesso di scurirsi e di contorno si erano accese delle luci molto poetiche ai bordi della fontana, per quanto sostanzialmente la magia del riflesso luminoso sull’acqua fosse andata totalmente persa, a causa del sovraffollamento dei pop-corn che ogni tanto scoppiettavano.
Ancora un po’ in tensione, per quanto apprezzassero l’opportunità di fermarsi un istante e riprendere fiato, l’archeologo e il tester portarono lo sguardo sul maxi-schermo che, nel frattempo, aveva cominciato ad avviare una proiezione un po’ traballante, simile a una vecchia bobina di un cinema d’inizio Novecento – tutto questo, nonostante alle spalle dei due spettatori non vi fosse alcuna traccia di un proiettore, nemmeno volante. Dopo qualche secondo, le immagini si stabilizzarono e comparvero sullo schermo tre figure dall’aspetto strano, tutte prese a ridacchiare tra di loro come se non si fossero minimamente rese conto della presenza di altre persone.
Uno era un tizio con gli occhiali dalla spessa montatura nera e l’aria seria, al suo fianco c’era una sorta di donna dalla parvenza tranquilla ma inflessibile, con un vestito ampio, decorato da quelli che ricordavano numerosi rullini e pellicole cinematografiche di un nero scintillante. Eccentrici eppure eleganti, si estendevano simili a boccoli delicati lungo l’ampia gonna; in mano, teneva un grande libro dalle pagine un po’ ingiallite, con scritto a caratteri gotici Quiz.
Più sul fondo, c’era una sorta di macchia d’inchiostro fluttuante che ogni tanto si disperdeva in numerose gocce, altre volte ondeggiava placida.
Insomma, un bell’insieme di fenomeni da baraccone.
“Benvenuti.” Annunciò l’uomo con gli occhiali, a metà tra il gentile e l’asciutto.
“Sembra Asimov.” Sussurrò Sasuke.
“Non lo sono  – i due ragazzi seduti sussultarono appena, non aspettandosi di venire uditi – questo è un avatar della mia persona. Anche se è un po’ più complicato di così.”
“Per usare un eufemismo.” Convenne la donna con il vestito bizzarro.
L’inchiostro sembrò ridacchiare, la vernice fresca sussultò infatti in onde divertite.
“Siete tutti avatar? Anche la macchia che fluttua?”
Domandò Sasuke.
L’inchiostro si agitò in protesta, ma la donna rispose con fare apparentemente tranquillo:
“La tua assunzione è corretta. Vi ringraziamo per il lavoro svolto fino a ora sul nostro Roma, dall’Urbe all’Impero e anche sui mondi precedenti.”
“Nostro? Cosa intendente con nostro?” inquisì l’archeologo.
Ormai era chiaro che non si trattava più di una semplice proiezione, bensì di un confronto vero e proprio con chiunque altro fosse in quelle teste digitali.
I tre si guardarono – sì, persino l’inchiostro – infine l’uomo replicò con una sorta di mezzo sorriso:
Nostro perché noi siamo i Fondatori dell’Archeo Travel.”
Immobili, Sasuke e Naruto fissarono lo schermo. Qualche istante di ragionamento, poi Naruto commentò:
“Ma – deglutì, una sola volta, per accennare infine un sorriso isterico – ma l’Archeo Travel è stata fondata almeno cento anni fa, voi dovreste essere...”
“passati a miglior vita?” intervenne l’avatar di Asimov.
“defunti?” incalzò la donna.
“Morti.” Decretò nuovamente il signore con gli occhiali.
“Esatto.” Convenne Naruto, rimasto un istante senza fiato.
“Abbiamo fatto in modo di caricare le nostre identità e volontà sul sistema per portarle avanti, ispirandoci a quanto già accaduto in passato, in modo da assicurarci che nei secoli niente e nessuno interferisse con i nostri sistemi.” Spiegò il finto Asimov, con tono tranquillo nonostante le parole sembrassero parecchio perentorie.
“Tipo Madara.” Notò Naruto. Sasuke li fissava, mordendosi leggermente un labbro; nella testa avevano cominciato ad affiorare pensieri confusi. Sentì l’impulso di tornare a casa, ma… dov’era casa, dopo tutti quegli anni?
La donna sorrise, ci fu uno scintillio negli occhi: “Anche.”
L’inchiostro sembrò dire loro qualcosa, agitandosi come mare oscuro in tempesta. Lo ascoltarono, infine Asimov domandò, quasi come se stesse studiando i suoi soggetti:
“Avete mai pensato di conoscervi dal vivo?”
Sasuke fissò Naruto, il quale replicò veloce: “No, mai avuto il tempo. Ma a voi che vi frega? In sostanza, che volete?”
“Arrogante.” Commentò Asimov.
La donna schioccò la lingua: “Effetto dell’eccessivo lavoro, congiunto probabilmente a una scala di valori sfalsata rispetto a quella a cui eravamo abituati noi, Emme.”
L’inchiostro sembrò fare una linguaccia in direzione del pubblico molto risicato, poi Asimov o, come appena scoperto da tale pubblico, Emme aggiunse:
“Torniamo a noi. Va bene così, la vita virtuale ha una sua serie di vantaggi innegabili, ignorarli sarebbe da stupidi e voi non lo siete, giusto? – non attese nemmeno una conferma che incalzò – Madara è pericoloso. Lavorava per noi, prima che succedesse tutto questo, ma a un certo punto ha deciso che non lo pagavamo abbastanza; ora ci ricatta, devastando coi suoi virus interi mondi. Rischiamo di perdere dati importantissimi, lui deve essere trovato ed eliminato. Per qualche motivo sembra avervi preso particolarmente a cuore, vi sta dando degli indizi su come evitare la deframmentazione in maniere orribili; nessuno è mai arrivato fino a questo punto nella simulazione Roma, dall’Urbe all’Impero.”
Naruto gonfiò appena le guance in una smorfia di disappunto; certo, a cuore, insultandoci e tutto il resto, pensa se ci odiava. Ma ebbe il buon senso di tacere e ascoltare le ultime parole di quelle specie di oracoli/mummia di cent’anni fa.
“Bì, a te le conclusioni – esortò Emme, osservando l’inchiostro che era diventato una sorta di patetico punto nero – Zeta, non preoccuparti, era chiaro quello che volevi dire; i codici si sono sfalsati, ma l’impatto comunicativo è comunque molto efficiente, sei stata solo un po’ sfortunata.”
Il punto nero sembrò persino sospirare e tornò a essere una normale chiazza d’inchiostro, per quanto fosse normale vedere una macchia fluttuare nell’aria, simile a una versione dark-goth del mercurio da termometro.
“Bene, viaggiatori. Siccome Madara ha reimpostato il mondo secondo una programmazione molto categorica, dobbiamo attenerci alle linee guida per evitare di insospettirlo: se tutto andrà secondo procedura, lo troverete e potrete affrontarlo per eliminarlo; il bug che genera altri bug.”
“Ma se quando ho provato ad afferrarlo era trasparente!” protestò Naruto.
“La prossima volta lascia che lo prenda Sasuke. Tu pensa a colpirlo con l’arma digitale.” Replicò Emme, fissandoli.
“Sasuke? Perché lui dovrebbe riuscire in quello che io...” protestò il tester, ma l’archeologo ribatté tagliente:
“Sta’ zitto. Non è questione di riuscire o meno – guardò un istante altrove e Naruto lo fissò, confuso – allora, volete dirci cosa fare o ci tocca andare per tentativi fino a morire ammazzati?”
“Il gergo! Contenetevi.” Li esortò Bì.
Ma alla fine aggiunse, paziente:
“Vi faremo un quiz; una serie di domande che avranno solo una risposta. Se corrette, vi guideranno per tutti i luoghi da percorrere.”
“E se sbagliamo?” domandò Sasuke, artigliando il bracciolo. All’improvviso aveva l’impressione di non stare poi così comodo.
“Beh – spiegò Emme, tirandosi su gli occhiali con un mezzo sorriso – le poltroncine sono reclinabili per un motivo. E fa male, quando siete incastrati in mezzo. Il dolore, viaggiatori, distrarrà Madara in caso di errore, un po’ come se steste rischiando di finire contro un muro virtuale: penserà che state semplicemente andando per tentativi.”
“Secondo me siete solo dei sadici.” Borbottò Naruto.
La nuvola d’inchiostro ridacchiò.
“Allora, interrogatorio con tortura delle sedie reclinabili o deframmentazione mentre vagate come le patetiche pecore che sarete?” decretò Emme.
“Vada per la tortura.” Disse Sasuke, dopo aver guardato un istante Naruto, che annuì.
“Delizioso.” Convenne Bì.
I pop-corn smisero di essere sparati. Finalmente, i due viaggiatori ripresero a sentire il gorgheggio placido dell’acqua e anche le luci della retroilluminazione erano più morbide.
Ci fu un silenzio quieto, la pace di un viale notturno in una passeggiata solitaria.
La donna aprì il libro, le cui pagine cominciarono a scorrere una dopo l’altra in un fruscio leggero, emanando una luce intensa, fino a bloccarsi; tutto, in quell’istante, sembrò fermarsi, persino la macchia galleggiante d’inchiostro.
“L’acqua Virgo prosegue il suo percorso, trasportata come polline, ma è un falso.”
La voce parve lontana, l’eco di qualcosa dimenticato nel tempo, remoto e antico.
Le pagine, lente, secondo dopo secondo ripresero a muoversi, sfogliate da un vento invisibile; Naruto ebbe la sensazione che se il libro fosse arrivato al fondo senza ricevere una risposta da parte loro, sarebbe stato molto, molto doloroso. Probabilmente la deframmentazione avrebbe rappresentato una fine di gran lunga migliore.
“Stiamo parlando di una piazza con una fontana, quindi.” Commentò, per poi girarsi verso Sasuke. Lo vide però più distante, mentre di solito era terribilmente concentrato sulla risposta, come per dar prova di tutta la sua infinita conoscenza.
“Peccato che a Roma sia pieno di piazze e di fontane, eh?” incalzò il tester, per stemprare la tensione. Ma l’altro nemmeno se ne accorse: aveva il capo leggermente abbassato, le dita intrecciate e l’espressione di chi cercava di ricordare qualcosa.
“Sasuke?” lo chiamò ancora Naruto, toccandogli la mano.
L’archeologo sussultò, per poi girarsi e guardarlo con un’espressione saggia, eppure ferita. Allora, Naruto non comprese.
“La fontana delle api – gli rispose Sasuke quasi in automatico, con voce piatta – in Piazza Barberini. Si tratta di una ricostruzione del 1915, cambiata in molti dettagli rispetto all’originale del 1644, persino nel collocamento.”
Naruto lo guardò, ma non riuscì a togliere la mano da quella dell’altro, come se avesse bisogno di riportarlo con sé; non aveva nemmeno ascoltato la sua risposta, troppo preso a guardargli gli occhi, così scuri, così vuoti.
Si riscosse nel sentire Bì pronunciare con voce tranquilla, improvvisamente più umana:
“Risposta corretta. Possiamo passare alla tappa successiva del vostro percorso.”
L’archeologo chiuse gli occhi, poi li riaprì. Guardò la mano di Naruto, ma disse semplicemente:
“Concentriamoci sulla prossima.”
Allora il tester la ritrasse, annuendo senza ribattere. Nel tornare a guardare davanti a sé vide il libro sollevarsi e volteggiare, fino a cascare tra le mani di Emme; inoltre l’acqua della fontana – o qualsiasi liquido ci fosse all’interno – era divenuto più scuro e lucido, così simile alla chiazza d’inchiostro fluttuante che ondeggiava placida, poco più indietro rispetto alle proiezioni virtuali sullo schermo.
Emme parlò, dopo che il libro si era fermato su di una pagina specifica. Gli occhiali sembrarono non riflettere nulla, l’espressione del volto era immobile, eccetto per le labbra sottili che si mossero scandendo parole meccaniche:
“La Cappella Sistina è così chiamata dal Papa Sisto IV; oltre cent’anni dopo qualcos’altro prenderà il nome dal nuovo Papa Sisto V, nel futuro si erigerà anche un teatro.”
Lentamente, le pagine cominciarono a spostarsi in un frusciare di carta e luci leggere, quasi per seguire gli angoli cartacei, come se dita invisibili appartenenti a entità luminose le spostassero.
D’istinto Naruto esclamò:
“La via Sistina!”
Non seppe perché lo fece; semplicemente, si limitò a ripensare alla mappa della città esaminata prima di avviare il programma e gli venne in mente il nome di quella via, in principio convinto che si chiamasse così perché collegata all’appunto famosa Cappella Sistina, per poi realizzare che non c’entrava assolutamente nulla.
Sasuke si voltò di scatto verso di lui, con l’espressione di chi probabilmente non se l’aspettava; Naruto immaginò già le sedie piegarsi e schiacciarli, le ginocchia che puntavano al volto, le viscere compattate per risalire fino alla gola tra atroci sofferenze. Cavoli, perché aveva parlato? Nemmeno sapeva se ci fosse un teatro lungo la dannatissima via, anzi, ora che ci pensava nemmeno aveva visto monumenti come arene e similari.
Chiuse un istante gli occhi, per poi afferrare i braccioli, pronto nonostante tutto ad affrontare con coraggio e determinazione anche quell’ulteriore sofferenza.
“Esatto.”
Annunciò la voce di Emme, senza troppo entusiasmo.
Naruto lo guardò, sgranando gli occhi: “Cos... come? Davvero?”
“Sì. O avrei provveduto personalmente a strizzarti come un limone fino a farti defecare persino l’ultimo chicco.”
Replicò asciutto, per poi aggiustarsi gli occhiali.
Naruto fece una smorfia:
“Beh, direi che è stato chiaro nei suoi intenti.”
“Hai avuto buona memoria – ammise Sasuke – il teatro è molto più recente, di prima di Pangea. Un tempo esistevano cinema e teatri a ben pensarci, oggi la gente guarda tutto con la realtà virtuale e non esce di casa.”
Sembrava triste. Era triste, a ben pensarci, come perso in ricordi remoti. Naruto ritenne, nonostante le difficoltà, di essersi divertito molto più quell’anno che in tanti altri della sua... lunga vita.
“Grazie. Ogni tanto capita che ne combino una giusta.” Rise appena il tester.
Sasuke, sorprendentemente, accennò un sorriso; gli spigoli del volto sembrarono più morbidi, persino gli occhi scuri, dagli echi malinconici, avevano un’aria più serena.
Tornarono a guardare davanti a loro e si accorsero che sia Bì che Emme erano spariti: al loro posto, era rimasta solo la chiazza fluttuante; quest’ultima poi cominciò a muoversi, avvicinandosi progressivamente alla presunta telecamera che riproduceva la sua immagine sullo schermo.
“Ci dev’essere una terza domanda, anche se...”
L’archeologo tacque, fissando perplesso l’incalzante avanzata della macchia che andò a ricoprire porzioni sempre più grandi dello schermo. Le luci divennero meno intense, l’acqua scura sgorgò più rapida e delle leggere onde si andarono a infrangere sulle pareti di marmo della vasca, agitate da qualcosa di abissale che le faceva ribollire.
“Sasuke, attento!”
Esclamò Naruto. Ma non fu abbastanza veloce: la macchia si andò definitivamente a schiantare contro lo schermo e, improvvisamente, passò oltre, investendo d’inchiostro vischioso i due ragazzi seduti sulle sedie che si erano reclinate, bloccandoli.
Fu come ricevere un’ondata oscura di qualcosa di più denso dell’acqua che impregnò i loro abiti, altrettanto virtuali, e colò sul volto, persino oltre i capelli pregni.
Si pulirono con una certa lentezza il viso, troppo sconvolti da quel gesto così improvviso.
“Bastardo.” Sbottò Naruto.
“Bastarda, stronzetto.”
Lo stronzetto in questione, ora che poteva nuovamente vedere, si accorse che era scomparso anche il maxischermo; al suo posto c’era la fontana di Trevi, uguale a se stessa, eccetto per il piccolo e insignificante dettaglio dell’acqua, scura e torbida come un insieme di inchiostro e petrolio. Ribolliva, furente, sgorgando fuori di tanto in tanto, mentre la voce metallica sembrava parlare attraverso le bolle che ogni tanto scoppiavano, simili all’intruglio scaldato in un pentolone da strega.
“Oh, scusa se non ho dato il femminile a una massa di melma!”
“Beh, la melma è femminile, genio!” replicò acida.
“Non ha tutti i torti.” Commentò Sasuke, sollevando un sopracciglio con aria leggermente ironica.
“Vaffanculo.” Ribatté Naruto, lanciandogli un’occhiataccia.
“Ehi, attenzione a me, tipetti, e basta perdere tempo! Ora, vediamo di concludere la pantomima, oh, Bì ed Emme approverebbero l’uso di una parola così figa, e passiamo all’ultimo interrogativo.”
I due tipetti annuirono istintivamente e Zeta sembrò riuscire comunque a vederli, nonostante fosse in forma liquida, dato che il libro tornò a fluttuare e a bloccarsi a metà, sospeso a pochi centimetri dal mare ribollente e oscuro.
“Alla base del tre, c’è la barca prossima ad affondare.”
Attenti, Sasuke e Naruto ascoltavano, pronti a sentire il seguito.
Ma non vi fu altro, eccetto il silenzio improvviso: le acque smisero di agitarsi, le onde cessarono, c’era solo un mare oscuro contenuto in mura di marmo. Il libro, però, muoveva incessantemente le sue pagine, una dopo l’altra, più veloci, sempre più veloci.
“Il tempo scorre, avventurieri.”
Sasuke guardò un istante Naruto che, determinato, annuì per incoraggiarlo, anche se non sembrava averne bisogno; ma, in quell’anno, di Sasuke aveva capito che possedeva tante fragilità, eppure sapeva nasconderle bene. Non sempre, però Naruto questo non gliel’aveva mai fatto capire.
“Non per me.” Replicò l’archeologo, di getto, quasi in un pensiero sconnesso.
Parlò all’inchiostro, ma guardò il compagno d’avventure quando lo disse. Naruto inarcò un sopracciglio, preso per qualche istante in contropiede.
Allora, Sasuke dette la sua risposta. E Naruto si ritrovò, invece, pieno di domande.



Sproloqui di una zucca

Ebbene, anche questo capitolo surreale è andato XD In realtà dal prossimo le cose inizieranno a farsi un po' più serie e si comincerà a capire la realtà dietro ai fatti: ci saranno ancora due capitoli e si tratterà di passaggi piuttosto lunghi però intensi. I tre personaggi misteriosi siamo in realtà: Michele/Rekichan, Blair e me medesima (sì, sono una Zucca-macchia d'inchiostro, ahahah), gli organizzatori del raduno del gruppo, quindi rientrava perfettamente nello spirito di queste fantastiche giornate passate assieme.
Come sempre, grazie per seguire questa storia! Alla prossima <3

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Capitolo 5
*** Quarto Capitolo ***





Quarto Capitolo




Sasuke e Naruto avevano seguito il percorso indicato dalle risposte al quiz posto dai Fondatori – o chi per essi – accorgendosi che l’inchiostro schizzato loro addosso scivolava via man mano che avanzavano, fino a riportarli a un sommario stato di pulizia. Inoltre, siccome più di altre volte Sasuke non sembrava dell’umore per parlare, avevano percorso le varie strade senza intrattenersi in elaborati dialoghi.

Ogni tanto si erano dovuti fermare per riparare eventuali bug, come la presenza di un sushi gigante con tanto di tridente al posto del Tritone dell’omonima fontana, o le api sostituite da farfalle. La Via Sistina era invece diventata un gigantesco corridoio a volte affrescate, molto belle sicuramente, ma purtroppo ben lontane dalla versione originaria.
Infine, arrivarono alla tanto sospirata Piazza di Spagna, con la fontana costituita, appunto, da una barca piena d’acqua e in procinto di affondare; in cima alla maestosa scalinata vi era Santa Trinità del Monte, con le sue terrazze e i lampioni che illuminavano i gradini con la loro calda luce dalle sfumature gialle.
Effettivamente, rifletté Naruto, gli indizi quella volta erano stati più semplici del solito, forse i tre spostati tenevano particolarmente a far fuori Madara, dopo che aveva scombinato decine e decine di mondi.
Anche se... come mai quella sottospecie di hacker aveva deciso di comparire solo in quel posto? Mai in nessun’altra realtà virtuale, considerando oltretutto che da almeno un anno vari team stavano lavorando per risistemare le cose.
Quando furono ai piedi della lunga scalinata che dava sulla piazza, scrutò di sottecchi Sasuke, domandandosi se avesse elaborato delle teorie a riguardo, per non parlare di quella strana frase tirata fuori forse per provocare la macchia d’inchiostro. Ma realizzò che l’archeologo guardava avanti, con le braccia incrociate e l’espressione un po’ cupa, eppure straordinariamente concentrata.
Chissà se è così bello anche dal vivo.
Accennò una risata, considerandosi stupido e pretenzioso nel farsi un interrogativo simile.
“Le scale hanno qualcosa di diverso.” Annunciò all’improvviso l’archeologo.
Infatti gli eleganti scalini in marmo avevano cominciato a inclinarsi uno dopo l’altro, con una serie di colpi secchi, quasi meccanici, fino a rendere la scalinata non solo in discesa e simile a una rampa, ma anche difficilissima da salire per via del marmo lucido e scivoloso.
Naruto infatti provò a muovere qualche passo, però senza troppi risultati perché le scarpe non avevano sufficiente aderenza; si ritrovò anzi ad andare all’indietro, persino quando provò a piegarsi per tenersi con le mani.
“Ma dobbiamo proprio salire fin lassù?”
Domandò alla fine, gonfiando le guance con disappunto evidente.
“I nostri indizi si fermano qui, purtroppo. Forse dobbiamo metterci a correggere il bug scalino dopo scalino.”
“Wow, che meraviglia, non vedevo l’ora, specie dopo tutto il lavoro fatto mentre arrivavamo fino a qui.”
Quando concluse la frase, però, si sentì un fischio sempre più acuto provenire da un punto indefinito del cielo, con le sue nuvole mascherate dalla luce serale successiva al tramonto, accompagnata dai lampioni e dai fari che illuminavano le strade come i monumenti.
Sasuke sollevò la testa verso l’alto, imitato dal compagno di viaggio, mentre l’intensità del fischio cresceva. A ben pensarci ricordava il suono di un colpo di mortaio intento a precipitare loro addosso, almeno in base a quanto l’archeologo aveva memorizzato dagli antichi filmati trasposti in digitale sull’evoluzione del modo di combattere nei secoli. Non ricordava come avesse ottenuto simili memorie e concetti, però non ebbe tempo per rifletterci ancora.
Trattenne infatti un istante il fiato, per poi gridare in modo da sovrastare il rumore:
“A terra!”
“Eh?”
Domandò l’altro, gridando a sua volta, ma Sasuke gli dette uno spintone e lo fece cadere sulle scale reclinate, mentre qualcosa precipitò in un fragore simile a una saetta capace di spaccare in due un albero.
In effetti, a pochi centimetri dai due c’era una sorta di lancia piantata nel terreno, crepato dalla violenza dell’urto, mentre si era sollevata una leggera polvere di marmo simile a talco che si disperse impalpabile nell’aria. Uno addosso all’altro e ansimanti per l’adrenalina dello scatto improvviso, i due guardarono l’oggetto, poi si fissarono e Naruto rise, esclamando:
“Sasuke, non pensavo che dopo un anno finalmente ti saresti deciso a saltarmi addosso!”
“Sta’ zitto, idiota, la prossima volta lascerò che tu venga passato da parte a parte.” Sbottò l’altro, scostandosi in fretta e con un certo disagio.
Il tester si sollevò in piedi, dandosi qualche pacca sui pantaloni, per poi bloccare ogni altro commento alla vista di ciò che era accaduto al resto della scalinata: numerose ulteriori lance erano infatti state scagliate a terra, disposte casualmente lungo tutta la superficie inclinata con articolate crepe che si diramavano intersecandosi, simili a strade antiche affossate nel terreno arido.
Quella volta il fischio fu propriamente umano e d’apprezzamento, non certo sinonimo di una pioggia imminente di lance-proiettili pronte a infilzarli come spiedini.
 “Possiamo usarli come punto d’appoggio per risalire, magari arriviamo fino alla terrazza prima della chiesa in modo da avere una prospettiva dall’alto.”
Commentò alla fine, valutando le varie distanze e la pendenza.
Sasuke suo malgrado dovette constatare: “Effettivamente non ci rimane molta altra scelta: giunti a questo punto, non ha senso tornare indietro.”
Così cominciarono ad arrampicarsi spostandosi da una lancia all’altra, a volte con una corsa insperata, altre con qualche salto improvvisato, per quando le distanze erano più ampie e meno a portata. Man mano che si spostavano, Naruto memorizzava i dati e, dietro la supervisione archeologica di Sasuke, rimetteva a posto i bug usando il suo pad: le lance scomparvero, lasciando posto ai gradini propriamente detti, con la giusta angolatura che nulla aveva a che fare con le rampe inclinate percorse fino ad allora.
In quel modo, anche se magari ogni tanto non riuscivano a calibrare bene lo spostamento e cadevano, non dovevano necessariamente partire dall’inizio, bensì dagli ultimi punti ripristinati correttamente, il che rendeva tutta quella faticosa procedura un po’ meno frustrante.
Quando giunsero alla terrazza prestabilita, aiutandosi a vicenda, Sasuke pensò che non aveva mai avuto così tanto contatto in rapida successione con Naruto; la cosa ben più imbarazzante era che, in fin dei conti, non gli aveva dato nemmeno fastidio.
Accaldati ma soddisfatti, si misero in piedi dopo aver sistemato l’ultimo bug; da quella posizione sopraelevata contemplarono il paesaggio sotto di loro: la magnifica piazza si espandeva circondata da edifici, mentre gli scintillii della fontana rifrangevano la luce delle lampade che la decoravano.
Sospirarono, con Naruto che aveva messo le mani sui fianchi e sorrideva orgoglioso per quanto avevano compiuto. Sasuke lo osservò un istante, studiando gli occhi azzurri, alla stregua dei capelli chiari che richiamavano le trionfanti e calde sfumature di giallo delle luci, riflesse sui marmi e sulle superfici d’acqua.
“Bellissimo.” Commentò Naruto, con voce che pareva vibrare nell’aria serale.
Sasuke guardò a sua volta avanti, smettendo di fissarlo.
“Devo dirti una cosa.”
Sentì, lo percepì con la coda dell’occhio, Naruto aveva preso a guardarlo, un po’ sul chi vive, forse persino curioso, come aveva dimostrato di essere in quell’anno passato fianco a fianco.
Quando si voltò, però, lo vide aprire la bocca e dire in una successione rapida di parole:
“Anch’io.”
Rimasero zitti entrambi.
Perché qualcuno, alle loro spalle, aveva cominciato ad applaudire.
“Ma che bravi!”
Si voltarono e rividero l’uomo dai folti capelli neri, il sorriso tagliente e gli occhi scuri folli, perennemente arrabbiati, come se non gli fosse rimasto altro che odiare, a quel punto.
“Madara.” Sussurrò Sasuke, gelido.
Io l’ho visto… altrove. Naruto deve sapere dei miei dubbi.
Il tester imbracciò il fucile, spostandolo da dietro la schiena per poi mettere il loro avversario in guardia:
“Siamo alla resa dei conti. Facciamola finita con tutti i tuoi indovinelli e i tentativi di ammazzarci!”
L’uomo li fissò, poi lo esortò:
“Avanti, allora. Spara!”
Sgranò gli occhi quando lo disse, sembrava persino divertito.
Naruto schioccò la lingua con disappunto, per poi replicare:
“Io non so se tu sia vero o meno. Quei fondatori dagli avatar strani, per esempio, lo sembravano e tu pure, nonostante tutto – puntò il fucile, ma non avvicinò il dito al grilletto – perché non la piantiamo con questa situazione ed eviti di farmi venire il dubbio con tanto di sensi di colpa?”
Parlò con quella che sembrava ironia, quando in realtà avrebbe davvero preferito salvare quel tizio piuttosto che ammazzarlo, per quanto fuori di testa.
“Spara!” ripeté semplicemente Madara, cominciando ad avanzare.
Non verso di lui, bensì verso Sasuke che, però, non indietreggiò; lo guardò cupo, persino oscuro.
Naruto, quella volta, mise il dito sul grilletto:
“Fermati! Che cazzo pensi di fare? Ho detto fermati!”
Madara però non lo ascoltò e compì anzi uno slancio, uno solo, portando indietro un braccio per caricare quello che era chiaramente un pugno, le dita contratte in una morsa letale. Saltò e si sollevò in aria: i capelli scuri, foltissimi e lunghi, ondeggiarono un istante.
Sasuke sollevò a sua volta un braccio per difendersi e fu allora, in quel perfetto frammento d’immobilità, che Naruto sparò. Perché sentiva che se Madara avesse colpito Sasuke, quest’ultimo non ne sarebbe uscito indenne; inoltre, alle sue spalle c’era la gradinata e le sue altezze, per colpa delle quali l’archeologo avrebbe finito per ammazzarsi.
Lo sparo partì.
E, lungo il tragitto capace di fendere l’aria in scie luminose, mutò forma: il metallo del bossolo si divise in tanti frammenti che ricordarono petali di un antico fiore dorato, i quali si sollevarono di più fluttuando un istante, fino a cadere a terra in una serie di morbidi tintinnii metallici.
Quando il primo petalo toccò il pavimento in marmo, Madara slanciò il pugno in avanti e... aprì le dita.
Le aprì, per afferrare la spalla di Sasuke. Non il collo, né il volto che avrebbe potuto graffiare, deturpare, persino accecare, bensì la spalla.
E Sasuke, d’istinto, lo prese a sua volta per il polso, come per scostare l’uomo da sé.
Naruto li guardò un istante, sconvolto, l’arma ancora tenuta in mano che nel frattempo si era trasformata in un enorme, profumatissimo mazzo di fiori dai mille colori sgargianti.
Poi, all’improvviso, tutti e tre scomparvero.
Naruto sentì infatti le proprie viscere venire agganciate dalla base del ventre, per poi essere trascinate in su, oltre la gola, mentre l’encefalo sembrò essere schiacciato e compresso nella scatola cranica, gli occhi in procinto di esplodere.
Quando atterrò, in piedi, credette di poter vomitare, gli organi frullati in un insieme di punti scomposti per tutto il corpo e la testa che vorticava. Impiegò diversi secondi per abituarsi, mentre sia Madara che Sasuke erano ancora vicini, artigliati l’uno all’altro.
Il tester si rese conto di continuare ad avere in mano la composizione floreale; in quell’istante soffiò un vento leggero, capace però di disfare il nastro che teneva uniti i numerosi gambi dei fiori, i quali s’involarono fino alla cima di un elevato tetto a cupola, coi petali che si staccavano l’uno dopo l’altro per poi discendere a terra, in una pioggia delicata di colori e profumi.
Dopo qualche secondo, Naruto avvertì nuovamente sulle spalle il peso di quello che riconosceva essere il suo fucile, tornato alla forma originaria; non cercò però di sparare: lo sentiva a pelle, se anche in quel momento avesse provato a usare l’arma, Madara l’avrebbe comunque ritrasformata senza fatica, vanificando ogni sforzo.
Per una questione di pochi istanti, quest’ultimo riuscì a schivare un pugno di Sasuke che sembrava intenzionato a ferirlo, siccome, a conti fatti, lui a differenza di Naruto poteva effettivamente toccare il proprio avversario.
Questi si difese, per poi indietreggiare di qualche passo. Naruto allora si prese un istante per cercare di capire dove accidenti fossero capitati: l’interno era una chiesa, con il soffitto costituito appunto da una cupola, una pianta non perfettamente circolare bensì ellittica e sei cappelle laterali che adornavano ai margini l’ampia e unica navata centrale, nella quale erano disposte in due file delle panche di legno dall’aria antica.
“Sasuke sai farti valere, finalmente. Dopo tutti questi anni.” Osservò Madara, in guardia, ma distante diversi metri da loro. Se l’archeologo avesse provato ad attaccarlo, sarebbe stato facile prevedere sulla lunghezza i suoi movimenti.
I due compagni di viaggio si guardarono. E Naruto lesse sull’espressione vagamente seccata di Sasuke quello che era un senso di colpevolezza crescente; ormai lo conosceva sufficientemente bene da capire quando il suo apparente malumore fosse solo un modo per difendersi da ciò che lo tormentava.
Madara rise, una risata roca e breve. Dopodiché domandò, con tono quasi asciutto:
“Non mi dite che non vi siete ancora parlati. Davvero non sapete la verità l’uno dell’altro? Dopo tutti questi mesi... ah, patetici e codardi. Ma coi sentimenti funziona così, giusto? Non sono nozioni da imparare a memoria, né bug da correggere. È tutto più difficile, quando si ha a che fare con gli esseri umani.
Se vi fiderete ancora l’uno dell’altro, ci vedremo dove un tempo c’era un pioppeto.”
Dopo aver parlato, Madara sparì.
Quando l’uomo scomparve, lentamente le nicchie cominciarono a ruotare in un rumore remoto di pietra che sfregava, sollevando nuvole di polvere antica. Le panche affondarono nel terreno, divenuto in quei punti improvvisamente liquido e mutevole, come acqua su cui fossero stati versati centinaia di barattoli di vernice dai colori più svariati.
Naruto smise di vedere Sasuke. E Sasuke, a sua volta, si trovò solo.
Seppur alte, le pareti si strinsero, illuminate solo da qualche luce sporadica; tutto il contrario dei marmi bianchi e lucidi della chiesa che lui aveva riconosciuto, allo stesso modo aveva riconosciuto il luogo in cui Madara li aspettava.
Si pentì di non averlo spiegato a Naruto, così come di non avergli rivelato, in realtà, ciò che lo stava tormentando. E quel posto, si rese conto man mano che il cunicolo si espandeva in tutta la sua claustrofobica lunghezza… realizzò  nuovamente di ricordarlo. Anche se non avrebbe dovuto.
Era una sua memoria? Era una falla del sistema?
D’altronde era un bene che ricordasse. Ricordare era un suo dovere, giusto?
Qualcuno lo chiamò.
Un uomo in camice bianco. L’archeologo non rispose, non sapeva cosa dire, all’improvviso aveva dimenticato persino come respirare. Ma sembrò andar bene ugualmente, perché la persona in camice aveva proseguito a passo rapido; era seguito da altra gente, vestita normalmente, agitata, ma con lo sguardo più fiero che Sasuke avesse mai visto.
Lo aveva già scorto in Naruto, quello sguardo; tempo fa, l’aveva visto anche in se stesso.
Seguì il gruppo, scrutando i volti che sembravano incapaci di vederlo. Più andava avanti, passo dopo passo, più cominciò a riconoscere ognuna di quelle persone.
Sì, la donna con i capelli raccolti in una coda di cavallo, Kate; Mike, lo prendevano sempre in giro per il suo pizzetto, poi Kaori, Jean-Baptiste, Miguel… sì, sì, quando si era dimenticato di loro? Perché gli era sembrata assurda la routine vissuta fino ad allora?
Sapeva chi fossero: erano i suoi colleghi. Con loro aveva visitato il mondo, scattato foto, archiviato documentazioni. Archeologi, storici, restauratori; tra loro c’erano classicisti, orientalisti, esperti egittologi e persino hittitologi. Il passato plurimillenario dell’umanità, immagazzinato in menti dotate di braccia e gambe che ora correvano perché la terra, in quel bunker, stava cercando in tutti i modi di resettare quella conoscenza, per sempre: una folata di vento su un mazzo di carte vincente.
Sasuke perse un battito. Tutte le sue memorie di quel giorno, la paura, la consapevolezza dell’annientamento lo colpirono come un’ondata d’acqua presa nel pieno della tempesta furente. Corse a sua volta. Il cuore incominciò ad andare a mille, impazzito.
Era una sala gigantesca, dalla ventilazione ormai scarsa, le luci che tremavano, poche, attorno alle quali il buio sembrava paradossalmente più forte. Dei macchinari ronzavano, disperati, collegati alla luce del sole immagazzinata in fotocellule progettate per durare centinaia di anni, se non fossero rimaste danneggiate dai crolli.
Sasuke ricordava anche quello, fu come imparare a respirare, un qualcosa di automatico.
“Dobbiamo fare in fretta. Non c’è più molto tempo.” Decretò l’uomo. C’erano altri tre colleghi, uno dei quali stava inserendo dei codici di programmazione.
Una serie di cabinati erano collegati da cavi robusti all’impianto principale, mentre ogni tanto dei frammenti d’intonaco si staccavano in polvere bianca dal soffitto, accompagnati dal sottofondo remoto della terra gorgheggiante che tremava.
Sasuke si accorse che quella gente, gli scienziati, come gli archeologi, stava… piangendo. Qualcuno farneticava, un’ultima preghiera, un saluto a cari ormai estinti.
Eppure tutti, nessuno escluso, entrarono nelle cabine.
La terra tremò con forza ancora maggiore. I sistemi ronzarono sovraccarichi e le porte a pressione dei cabinati si chiusero, in uno sbuffo gelido di quello che ricordava vapore.
Fu allora che Sasuke si vide.
Vide se stesso appoggiare il proprio palmo contro il vetro e guardare altrove, verso l’oscurità.
Poco distante, scorse Madara.
Si sentì pronunciare le prime parole che, da allora, non avrebbe mai dimenticato; mai più:
“La nostra memoria. Per il resto del mondo.”
Poi ci fu un boato tremendo: il soffitto crollò, una voragine affamata di calce e vita si aprì nel terreno, inghiottendo tutto il resto in un rombo cupo, un titano oscuro che, ingordo, parlava a tutti gli esseri umani del loro tempo e di ciò che avevano creato: la terra reclamava altra terra, capace di elevarsi fino al cielo in edifici maestosi.
Quando Sasuke aprì gli occhi, dovette portare un avambraccio davanti a sé per ripararsi dalla luce del sole: i raggi erano così luminosi da fare male, specie dopo tutto quel buio. Quando si abituò, scorse pile di macerie attorno a sé e venne investito da un odore di calce misto a terra umida, il vomito brullo del nucleo terrestre.
Sussultò, nel vedere un vecchietto davanti a sé chinarsi appena per tendergli la mano e aiutarlo ad alzarsi.
“Sei pallido, giovanotto. Non sembri stare molto bene.”
Sasuke accettò l’aiuto e si sollevò in piedi, ancora con la testa che sembrava fischiare.
“Dove siamo?”
L’uomo sorrise; anche con la schiena leggermente curva era ancora alto, il fisico non propriamente atletico ma che non necessitava di supporti.
Lo guardò un po’ perplesso e gli si accese un guizzo divertito negli occhi:
“Sulla Terra, mi sembra ovvio, Santa Gea! Dai, ti offro dell’acqua fresca e qualcosa da mettere sotto i denti.”
Sasuke lo scrutò brevemente, ma non disse nulla.
Si guardò attorno, passeggiando per le strade che non avevano traccia di macerie, sembravano anzi migliorate rispetto a come le ricordava, persino più moderne di quelle ricreate dalla sua immaginazione: macchine sopraelevate da terra viaggiavano rapide, mentre gli edifici dall’intonacatura di un bianco abbagliante erano leggeri – non sapeva come altro definirli, ma parevano capaci di piegarsi e rimettersi in piedi, come combattenti esperti che non cadevano mai veramente, pronti a difendersi. Le persone in giro, però, erano pochissime, per quanto ogni angolo fosse illuminato da innumerevoli luci accompagnate da ronzii meccanici.
“Sono tutti in casa, a portare avanti il loro lavoro virtuale, il loro sport virtuale, il loro amore virtuale. Anche io è raro che esca, ma sentivo che avevi bisogno di me.”
Precisò. Le rughe si contrassero, un oceano d’acqua increspato in frammenti di spuma bianca simili a ferite.
Sasuke non parlò. Era confuso. Avvertì con maggiore chiarezza l’impulso nutrito in quegli anni – non sapeva nemmeno quanti, il tempo gli era sembrato scorrere e al tempo stesso bloccarsi – quella consapevolezza di tante cose che gli mancavano e che non avrebbe più sperimentato, solo nel suo mondo virtuale di un sistema nel quale aveva viaggiato di simulazione in simulazione: come poteva, se era rimasto sepolto da tonnellate di macerie centinaia d’anni fa? Allo stesso modo, però, ebbe la triste impressione che chiunque fosse in quegli immensi, lucidi, perfetti edifici non stesse vivendo veramente.
Realizzò di essere meno spaventato di quanto avrebbe creduto; semplicemente, si ritenne più consapevole, come se in fondo avesse sempre saputo che qualcosa non tornava.
Si aprirono le porte d’ingresso automatiche di uno di quegli edifici. Seguì l’ometto fin dentro un appartamento: non era molto grande però era arioso, semplicemente perché, eccetto una cucina e una larga, comodissima – almeno a giudicare dall’aspetto ergonomico – poltrona, non c’era altro, dunque lo spazio pareva essere di gran lunga inutilizzato.
Scorse quello che sembrava un casco accanto alla poltrona, una tuta e un impianto dal quale non partiva alcun cavo.
In quel momento, Sasuke realizzò quanto silenzio ci fosse in quelle vie: nessun vociare, grida, clacson, rumori di vita.
Poi, scorse un angolo di parete, mentre l’anziano si era diretto verso la cucina; udì lo scrosciare dell’acqua e un morbido allarme musicale annunciare, pochi istanti dopo: il muffin alle Mille Delizie è pronto, signore.
L’archeologo scorse un’intera serie di quelli che sembravano riconoscimenti dalle scritte cangianti, coi caratteri che si illuminavano andando al passo con la lettura di Sasuke, poi dei disegni di personaggi, battaglie e sparatorie che si animarono, diventando tridimensionali e ricchi di colori vivaci, quasi pronti a staccarsi dalla copertina.
“Premio per il record mondiale di Virtual Zombicide.”
Lesse Sasuke, ad alta voce.
Deglutì. Il cuore, o quello che sentiva essere tale – perché era certo ci fosse un cuore, da qualche parte in quella miriade di dati digitali – perse un battito.
Spostò lo sguardo sull’anziano, il quale si bloccò, esattamente come quel cuore, con in mano dell’acqua e un muffin caldo.
“Naruto.” Mormorò alla fine Sasuke.
Riconobbe gli occhi azzurri, così azzurri. Anche senza i capelli del colore dorato che aveva invidiato, per come gli ricordavano il sole. Erano bianchi, ma rimanevano comunque più chiari dei propri.
“E così mi hai scoperto.” Ammise alla fine.
Sorrise. Posò entrambe le cose per terra, piegandosi un po’ a fatica perché la presa non era salda; non per via dell’età, almeno non quella volta. In realtà, non si era mai sentito così giovane.
Sasuke non parlò.
Fu Naruto a farlo al posto suo. Anche se le locandine, i riconoscimenti, i premi per essere uno stupido videogiocatore narravano i suoi anni, le sue esperienze, le realtà virtuali esplorate rimanendo seduto in quella poltrona un po’ usurata, perché non la cambiava da anni, ci era affezionato.
“Non so dove siamo, adesso. Probabilmente nel più grande bug mai sperimentato, ma allo stesso tempo... il più vero: questa è casa mia, la rispecchia fedelmente, e io... beh, sono io. Mi sono dipinto tanto meglio di quello che sono.”
“Quanti anni hai?”
Domandò Sasuke, diretto, quasi con uno scatto secco della voce.
Naruto aprì la bocca. Cercò di parlare, di dirglielo, di ammettere di aver passato almeno settant’anni della sua esistenza immerso in quella che, a conti fatti, era diventata davvero la sua vita. Mentre Sasuke sapeva così tanto grazie allo studio, il tester imparava da quello che virtualmente diventava, giorno dopo giorno, sperimentava, fingeva di sentire. Invece, ogni volta che usciva nel mondo reale, per prendere una boccata d’aria, per il sole, per sentire il vento nei capelli che diventavano sempre più radi e bianchi, mentre la pelle si ritraeva, seccandosi, beh... si sentiva vuoto e triste.
Perché nessuno usciva più, ci si incontrava altrove, nelle migliaia di mondi virtuali, tra birre artificiali, terme con acque dalle temperature perfette, caffetterie alla moda. Ciascuno si fingeva migliore, si toglieva i difetti, si perfezionava, ricreandosi.
Dei suoi amici di un tempo, Naruto nemmeno ricordava più le fattezze originali. E nel mondo vero, passeggiata dopo passeggiata, si sentiva sempre più solo e distante: i dottori erano digitali, facevano diagnosi da migliaia di chilometri di distanza, le operazioni erano eseguite con i laser, i film girati digitalmente, i vestiti creati da macchine perfette che non sbagliavano un punto e consegnati a domicilio da droni. Modelli tutti uguali, perché gli abiti che contavano, fatti per piacere e per piacersi, erano quelli dei mondi virtuali.
“Ottantatre.” Rispose. Il sorriso gli tremò di più, proprio da vecchio stupido.
Sasuke annuì, un cenno essenziale.
Camminò, raccolse l’acqua e il muffin, ammirando la perfezione del modello tridimensionale, le increspature dell’acqua, la proiezione splendida dei loro desideri. Appoggiò il tutto sul tavolino vuoto, infine si sedette sul pavimento, a gambe incrociate; non c’era un divano, inutile se non veniva mai nessuno.
Dall’alto, Naruto lo guardò. Lo osservò, osservò il movimento delle sue labbra sottili quando l’archeologo gli disse, fissandolo a sua volta per cogliere ogni battito delle ciglia stanche:
“Io ho centoquarantaquattro anni più di te. Duecentoventisette, per la precisione.”
Assottigliò le labbra: si sentì libero quando pronunciò quei numeri, libero da un circolo vizioso sempre uguale.
Naruto non scostò gli occhi da lui.
 “Esisti da prima della Pangea.” Mormorò.
Secoli, in quel corpo digitale.
Aprì la bocca e dopo un istante aggiunse: “Io pensavo...”
La richiuse.
Si sedette, con le gambe un po’ traballanti, portandosi di fronte a Sasuke.
Questi cominciò a parlare; le parole gli uscirono simili a un flusso spontaneo, un getto di disperati ricordi intrappolati da un sistema che lo stava schiacciando:
“Dato lo stato di emergenza e la realizzazione che non ci sarebbe stato modo di proteggere quello che l’uomo aveva costruito, sono stati riuniti i più grandi studiosi della Terra, ciascuna categoria in un bunker diverso. L’uomo infatti ha ritenuto opportuno tentare, almeno, di non perdere l’unica cosa davvero guadagnata in tutti i suoi millenni di storia: il sapere.
Sono state dunque immagazzinate in memorie cibernetiche, contenute in capsule resistenti, le conoscenze di fisici, matematici, astronomi, ma anche di letterati, insegnanti, scrittori, registi, musicisti, storici e... archeologi. Sì, c’ero anche io.
Abbiamo trasmesso la nostra memoria alla digitalizzazione. Io sono frutto di quella memoria: noi, come tanti altri umani, custodiamo le conoscenze.
Per il resto del mondo.”
Naruto lo guardò.
Vide i raggi del sole passare attraverso l’unica finestra e toccare la pelle chiara dell’altro, come se fossero davvero entrambi reali, lì, in quella casa simbolo della sua solitudine.
“Assieme al sapere, a tutte quelle date e a quei nomi infiniti che ricordavi senza un attimo d’esitazione, però, è stata memorizzata anche una parte di te, evidentemente. Perché in quest’anno io non ho avuto a che fare solo con un insieme di conoscenze; ho incontrato, ho parlato, interagito, vissuto con una persona, con tutte le sue sfaccettature.”
Sasuke prese un respiro. Gli mancava farlo, in tutti quei mondi costruiti digitalmente decennio dopo decennio, in tutti i viaggi della propria coscienza, o ciò che lui era, per ogni volta che qualcosa andava storto.
“Sembra di sì. Non... – si guardò le mani – dopo tutti questi secoli, non ho memoria del mio corpo. Della sensazione vera dell’acqua sulla pelle, del prendere fiato, del dolore o dello stare bene. Si vede che non era importante, forse è stato per errore persino la trasfusione di una parte di me all’interno del sistema. Non capisco cosa sia successo da allora, come io sia giunto a essere quello che sono.”
“Ma d’altronde, noi veniamo caratterizzati anche da quello che sappiamo. Come dividere ciò che siamo dalla nostra esperienza?”
Sasuke accennò un sorriso, amareggiato, nostalgico. Guardò la mano di Naruto, era nodosa; se l’avesse sfiorata avrebbe avvertito l’idea di forza e di giovinezza percepita in lui quell’anno passato assieme?
Non ricordava neanche come fare l’amore, a ben pensarci. Ma il calore, la vita, quello… per sempre.
Guardò altrove quando ammise: “Anche io posso dire di aver incontrato un uomo. Che rimarrà tale, a qualsiasi età.”
“Mi spiace averti mentito, Sasuke. Non essermi mostrato per chi ero.” Confessò alla fine Naruto.
Si portò una mano sugli occhi. Il sole era diventato più intenso e lui... un tempo credeva di poterlo guardare coraggiosamente negli occhi.
Allora gli toccò la mano diafana e gliela strinse, senza vergognarsi delle macchie per l’anzianità, della pelle sottile, della fatica stretta nelle giunture che ogni tanto lo facevano piangere.
L’archeologo lo strinse a sua volta – ricordava di averlo fatto tutte le volte che aveva amato, o desiderato qualcuno. Poche, forse per questo più facili da conservare rispetto ai monumenti, le date, la storia dell’umanità.
“Spiace anche a me. Mi mancava... vivere, dopo più di un secolo passato senza percepire realmente il tempo passare; sono stato sempre più confuso, su chi io fossi, sui miei ricordi, sulla mia umanità. Se non fosse successo tutto questo, forse avrei creduto di essere un uomo, un archeologo, che ha avuto il privilegio di poter viaggiare per il mondo con un compagno degno di questo ruolo.”
La luce si fece ancora più intensa.
Furono investiti da quei raggi, dal calore, dalla luce stessa.
Poi, essa lentamente si affievolì e, quando i due riaprirono gli occhi, realizzarono di essere tornati nella chiesa lasciata prima di quell’ulteriore viaggio: le panche, le nicchie, la cupola... ogni cosa era tornata al suo posto.
Anche Sasuke e Naruto erano tornati rispettivamente chi avevano conosciuto in quell’anno, giovani entrambi.
Il portone d’ingresso della chiesa si spalancò improvvisamente e una folata di vento trasportò terra, polvere e foglie dalle tinte dorate, arancioni, dai colori della terra stessa con la sue venature di vita.
Naruto tese la mano e fece un cenno: oltre la porta c’erano la luce e un viale, ricco di alberi verdeggianti. Udirono il fruscio delle foglie e il suono sereno del vento che trasportava odori di bosco.
Dopo un istante, Sasuke gli prese la mano: sentì la pelle liscia, ma ricordò le tracce dell’anzianità; fu felice, di non dimenticare più cose tanto importanti.
“Ho la sensazione che sarà l’ultima parte del nostro viaggio, questa.” Commentò Naruto.
“Lo credo anch’io. Mi fa piacere vedere gli alberi, alla fin fine.” Replicò l’archeologo.
“So anche che hai capito dove ci troviamo e dove dovremo andare, sei un compagno di viaggio...” non trovò le parole. Guardò davanti a sé.
Cominciarono a camminare, coi capelli smossi dal vento e le foglie che roteavano, sfiorando il pavimento, per librarsi ogni tanto più in alto, aspirando alla cupola e, oltre, al cielo.
“Una volta c’era un bosco di pioppi, ora c’è una piazza che, come noi, porta i segni del suo tempo: la piazza del pioppo. Un bel modo di concludere, in fondo.”
Passarono oltre la porta. Essa si richiuse. Le foglie, quiete, smisero di volteggiare, accartocciandosi sul bianco del marmo gelido.



Sproloqui di una zucca

Ormai ci siamo quasi <3 E' un mondo un po' triste, quello del futuro prospettato, in una realtà che è più fittizia di quella virtuale, in cui si è soli e non si esce, si vive dentro altri mondi chiusi in casa.
Allo stesso modo il legame tra Sasuse e Naruto, anche attraverso i secoli, è forte e intenso. Li ho trovati belli e struggenti, a modo loro.
Grazie per seguire questa storia: al prossimo capitolo!


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Capitolo 6
*** Quinto Capitolo ***




Quinto Capitolo






Pioppo, dal latino populus; genericamente traslitterato come popolo.

Da lì, l’appellativo Piazza del Popolo, in un luogo dove centinaia e centinaia di secoli addietro sorgeva un bosco di pioppi.
Sasuke si ripeteva quelle nozioni appartenute forse a lui, forse a qualcun altro degli archeologi morti tanto tempo fa – non riusciva a ricordarlo. Quello che era se stesso, a ben pensarci, non era mai stato eccessivamente chiaro: la propria identità sconfinava in un confine labile di ulteriori identità che si andavano a intersecare.
Strinse i pugni, per non provare spavento all’idea di perdere se stesso.
Scoprì che lui e Naruto si erano ritrovati proprio in quel bosco di pioppi, lambito di tanto in tanto dal vento leggero, capace di smuovere le foglie verdeggianti e i ciuffi d’erba aggrappati alla terra odorosa di piogge recenti; c’era un sentiero scavato dal passaggio umano, segno di chi aveva camminato negli anni lungo lo stesso percorso, generazione dopo generazione.
Alle loro spalle, vi era la chiesa di Santa Maria Montesanto, da dove erano appena usciti. Udì il portone chiudersi con un tonfo ovattato, ma non si voltò a guardare: davanti a loro vi era infatti Madara.
Ricordava quei frammenti del passato ricostruiti virtualmente, quelle cabine e… Madara era lì, all’epoca del Grande Terremoto, lo aveva visto. Gli era sembrato persino talmente normale da non averlo nemmeno considerato.
“Tu non lavori per l’Archeo Travel – realizzò all’improvviso, senza quasi rendersene conto – tu eri lì con me, quel giorno di oltre duecento anni fa.”
Non richiuse del tutto la bocca, come dimenticandosene. Ora che ne parlava, che dava delle datazioni pratiche gli sembrava tutto così concreto: ogni cosa, ogni dettaglio, ogni memoria confusa, esattamente come quando aveva parlato dei suoi anni a Naruto.
Ma allora perché le memorie dei Fondatori gli avevano detto una cosa simile? Che interesse avevano nel mentire?
Madara non ebbe aria di scherno cattivo, né compì alcun gesto di plateale disprezzo. Non si mosse, però parlò:
“Finalmente te ne sei ricordato, Sasuke; cos’è successo realmente. Noi non siamo sempre stati così, programmi precaricati, coscienze che esistevano nell’illusione di gesti sempre uguali.
Eravamo esseri umani, un tempo: per questo ti mancano cose semplici come respirare, mangiare, fare l’amore – si toccò la tempia, aggiungendo – è tutto qui dentro, le nostre memorie sono nel sistema, le nostre identità.
Non credo fosse previsto inizialmente, eppure quando ci hanno usato per far rivivere questi posti, per renderli tangibili nell’immaginario altrui, è stato chiaro che loro non avrebbero avuto a che fare solo con un blocco d’informazioni.”
Naruto li guardò, scuotendo la testa per poi replicare:
Loro? Ti riferisci all’Archeo Travel? Perché? Cosa sta succedendo? – gli puntò un dito contro, esclamando – Tu hai generato tutti questi virus informatici, compromettendo centinaia di mondi e  ricordi di quello che è il passato dell’umanità! A che scopo? Si tratta di un atto sbagliato, sotto ogni punto di vista!”
Sapeva che le cose non si riducevano a quello, era ovvio, ma nonostante tutto non poteva accettare che qualcosa decidesse, all’improvviso, di cancellare i ricordi, la storia, ciò che rimaneva dell’essere umano. Non era giusto, sarebbe stato come avere un nuovo gigantesco terremoto in grado di spazzare via i resti di un popolo già compromesso.
Madara spostò il suo sguardo su di lui. Cominciò ad avanzare, passo dopo passo, ripercorrendo il sentiero sterrato. Il vento soffiò più forte, scuotendogli i capelli. Naruto provò l’impulso di tirare fuori il fucile e sparargli, ma non lo fece; Sasuke strinse i pugni e guardò colui che era stato il proprio compagno di avventure per un anno.
“Naruto – disse il responsabile dei bug – noi avremmo dovuto essere morti. Invece oltre cento anni fa l’Archeo Travel, con i suoi brillanti e geniali Fondatori, una volta realizzato cosa aveva risvegliato, anziché lasciarci in pace ha deciso di sfruttare le nostre identità.
Non abbiamo la concezione del tempo, ci ritroviamo nel tutto e nel niente, con quello che siamo, la nostra identità appunto che si mischia con memorie, conoscenze e personalità altrui.
Più passeranno gli anni, più ci perderemo, in un continuo infinito che ci rende irrimediabilmente connessi al sistema.
Questo non è nemmeno vivere, né morire con la dignità che meritiamo.
Loro, l’intera l’Archeo Travel lo sa, eppure continua a tenere in piedi tutta la baracca, perché se ci cancellasse, finirebbe per rischiare l’annientamento del sistema con i dati contenuti all’interno.
Per questo è disposta a torturare la mente di centinaia e centinaia di persone che non possono morire e che sapranno la datazione di ogni fottuto laterizio, ma non ricorderanno più nemmeno il loro nome, in una lenta e logorante deriva di loro stessi in favore di una memoria collettiva!”
Urlò, con gli occhi folli, la bocca distorta in un’espressione carica di rabbia e sofferenza.
Naruto lo fissò sconvolto, senza battere ciglio, per poi voltarsi verso Sasuke, il quale si guardò le mani:
“Credevo di avere almeno uno scopo. Invece, un giorno non saprò più nemmeno chi sono.”
Il fruscio del vento tra gli alberi si fece insistente, come un applauso distante. Si udì un tuono e il cielo sembrò parlare, oltraggiato.
I tre sollevarono lo sguardo verso l’alto: c’era una luce dorata, con delle sfumature di rosso che tendevano all’arancione. Non era più sera, ma a tratti nuvole cupe gravide di pioggia si avvicinavano, sospinte dalla mano di un gigante che faceva il bagno nelle stelle dello spazio infinito.
“Non c’è tempo. Ci vorrà poco prima che ci trovino – commentò Madara, per poi tornare a guardare Naruto – ora devi uccidermi: guadagnerete tempo, facendo credere ai tre fondatori che mi abbiate eliminato e non stiate progettando altro. Ma da lì dovrete fare in fretta: cancellate le nostre memorie e mettete fine a questo circo di gente morta.”
Ma Naruto indietreggiò di un passo, sgranando gli occhi, mentre boccheggiando – anche se non aveva aria vera da inspirare – guardò Sasuke, il quale lo fissò di rimando, solo apparentemente inespressivo.
“Non scherziamo! Non scherziamo proprio! Tu hai creato tutti questi bug, ci hai portato fino a qui e adesso io dovrei cancellare ogni cosa? I ricordi dell’umanità, voi e… Sasuke! Io non posso permettere che lui muoia, troverò un modo per…”
Il cielo tuonò, le nuvole crebbero di dimensione.
Madara lo afferrò per la maglia, avvicinando il volto al suo:
“Ebbene, egoista testa di cazzo, un modo non c’è! Cosa credi, che io abbia passato tutto questo tempo da quando ho cominciato a ricordare a piangere e lamentarmi? No, ho scavato nelle mie memorie e in quelle altrui attraverso migliaia di dati digitali sepolti nei vari database e sistemi!
Io ho creato questi bug affinché tu e altra gente come te li sistemasse: tutti i dati caricati, le correzioni, vengono salvate nei vostri sistemi personali, in cloud, in tutti quei pad tanto tecnologici che vi portate appresso; quando noi verremo cancellati, le informazioni rimarranno, la storia dell’umanità è al sicuro.
I bug sono stati aggressivi ma nessuno ha cercato davvero di uccidervi, eccetto qui, a Roma.
Perché in questo luogo la simulazione è più difficile da gestire, diventa più instabile dato che entra in conflitto con codici superiori: a Roma, infatti, i Fondatori hanno deciso di insediarsi. Quando hanno capito che potevano trasporre le loro coscienze nel sistema, esattamente com’è successo a noi anni prima, non hanno esitato un istante a farlo, solo in maniera più studiata di quanto ci sia capitato in quelle dannate cabine.
Pensa alla prospettiva: vivere in eterno, circondati dalla cultura e dai mondi che loro hanno creato.”
Naruto guardò il cielo: vide le nuvole incombere su di loro, per schiacciarli, mentre tuoni violenti parevano in grado di far tremare la terra.
Aprì la bocca, pronto a difendere le sue idee con determinazione, a credere che quella possibilità esistesse, che in un qualche mondo virtuale lui e Sasuke si sarebbero incontrati ancora, non in quella riproduzione di casa sterile in cui Naruto, vecchio e con acciacchi, viveva, bensì in un’altra realtà, tra le piramidi di vetro, le ceramiche di cui non ricordava mai il nome, o le spiagge di fronte a fondali ricchi di navi mercantili affondate.
Poi, all’improvviso, con un gesto rapido Sasuke gli prese il fucile, sfilandoglielo in un movimento talmente imprevedibile che Naruto non riuscì ad afferrarlo. Per un attimo rischiò di rimanere sbilanciato, ma si riprese, per guardare l’archeologo intento a puntare l’arma contro Madara.
Questi sorrise, un sorriso storto, ma forse il primo sincero che aveva fatto dal loro bizzarro incontro:
“Tabula rasa: inserite questa frase nel pad. Poi ci sarà da mettere un codice di conferma: l’anno in cui Cartagine è stata distrutta col sale. Si avvierà l’autodistruzione. Tu, Naruto, ritornerai sul tuo divano, con la vecchiaia che meriti; anche gli altri umani presenti nel sistema verranno disconnessi.”
Ma Naruto si slanciò verso Sasuke, per afferrargli l’arma. L’archeologo, però, lo anticipò.
“Addio, Madara.”
Le nuvole sembrarono precipitare su di loro in caduta libera, gli alberi vennero piegati dal vento più forte che scompigliò ai tre i capelli in un movimento selvaggio. Ci fu un tuono, immenso, capace di squarciare il cielo simile a una pugnalata al cuore, facendolo esplodere in un ultimo, feroce, battito; poi, violenta, potente, una scarica di pioggia infradiciò ogni cosa: la terra, l’erba dalle sfumature di un verde brillante, gli alberi con le foglie schiacciate dall’impatto della raffica scrosciante di gocce.
I vestiti, i capelli, la pelle di quei tre umani frutto di dati digitali erano altrettanto zuppi, con rivoli d’acqua che scorreva sui loro corpi immaginari.
Madara si portò una mano al petto.
Non fuoriusciva sangue, ma c’era un foro al centro, luminoso, un sole in una giornata di pioggia: infiniti pixel dorati cominciarono a fluttuare dalla ferita, disperdendosi lenti nel cielo, nella cascata d’acqua che sgorgava sulle loro teste.
Sembrò essere sollevato. Dopo tutti quegli anni; da quando aveva preso coscienza che c’era altro, al di là di quelle interazioni con turisti, le passeggiate nelle agorà deserte, della testa piegata all’indietro per contemplare la maestosità del tempio di Petra o della schiena curva per entrare nelle piramidi, dopo aver camminato al Cairo e poi oltre, fino al deserto plasmato dalla carezza del vento.
“Sta a voi e alle vostre generazioni riprendere in mano quello che abbiamo lasciato.”
Esplose, in migliaia di frammenti.
La pioggia sembrò più dolce: l’abbraccio dell’acqua sulla ferita di un bambino, dopo essersi sbucciato il ginocchio in una brutta caduta.
Sasuke e Naruto si guardarono. Il primo si portò indietro i capelli fradici, gettò a terra il fucile e tirò fuori il pad.
Naruto gli afferrò il polso. Per un istante l’archeologo credette che lui si sarebbe opposto, che avrebbero dovuto combattere.
Ma il tester gli disse semplicemente:
“Lo farò io, Sasuke. È giusto così. Solo… – si morse un labbro, per poi chiedergli – cosa provi, in questo momento? Non hai paura, dopo tutto questo tempo, dopo quello che abbiamo fatto?”
Sasuke sembrò confuso:
“Credo di aver paura, ma… sono allo stesso tempo felice: sarebbe peggio lasciare ogni cosa com’è. Ho il terrore di dimenticare chi sono, dopo aver realizzato di non essere solo un insieme di gesti meccanici, bensì di avere una mia coscienza più profonda, di essere stato umano, un tempo. Per questo accetto di sparire, assieme a simulazioni che ci stavano rendendo schiavi.
Però… mi mancherà quello che siamo stati e che abbiamo fatto, assieme.”
Ammise, diretto, apparentemente senza sfumature d’emozione sul suo volto un po’ imbronciato e riflessivo.
Naruto elaborò un sorriso:
“Mancherà anche a me – si guardò attorno, le nuvole avevano smesso di scendere, anche se il tempo scorreva e presto i Fondatori avrebbero capito le loro intenzioni – andiamo a ripararci sotto quel pioppo. C’è una bella storia anche in questa piazza. Noi segneremo la nostra, oggi.”
Sasuke annuì.
Si sedettero contro il tronco dell’albero che sembrò ripararli magicamente dalla pioggia, anche se erano ancora bagnati. Naruto tirò fuori il pad, cercando di nascondere il leggero tremore alla mano, segno del cuore digitale che batteva troppo veloce, perché se stesso, il vecchio, patetico, se stesso umano non voleva perdere Sasuke. Ma non poteva condannarlo, non a finire la sua esistenza in quel modo.
Digitò i dati inseriti da Madara, codice di sicurezza compreso. Ricordava la data relativa a Cartagine, l’aveva visitata assieme a Sasuke. Eppure, lo lasciò ugualmente pronunciare quell’insieme di numeri, per bearsi ancora del suo sapere; per una volta, non gli dette fastidio mancare di superarlo in qualcosa: fu anzi felice della sua ignoranza.
Partì un conto alla rovescia.
Quando esso si attivò, la pioggia all’improvviso si arrestò; i due videro le gocce bloccarsi a mezz’aria, simili ad aghi sottili capaci di fendere il cielo, oppure rocce liquide schiantate sulle foglie, intrappolate in quel momento di perfezione prima di cadere rovinosamente a terra e sparire, fin nelle profondità del nucleo.
Naruto prese la mano a Sasuke, all’improvviso, tenendo il pad nell’altra. Gliela strinse appena, intrecciando le dita.
L’archeologo non disse niente. Appoggiò la testa all’albero e i rispettivi capi furono vicini, l’uno a pochi millimetri dall’altro, intenti a guardare il bosco immobile davanti a loro, anche se l’odore di pioggia, di verde e di terra si elevava nell’aria, impregnando le loro narici di vita.
“Quando sarai dall’altra parte, nel mondo vero – gli disse all’improvviso Sasuke – passeggia più spesso. Abbronzati e ubriacati di sole. Poi costruisci qualcosa: qualcosa di reale, di concreto, che i giovani del tuo futuro possano toccare, studiare, guardare e dire ‘qui, secoli fa, c’è stato un uomo, esattamente come noi, con le sue paure, i difetti, i desideri. Ci ha lasciato questo, una traccia di sé, in un mondo che cambia.’
Buon viaggio, Naruto.”
Entrambi chiusero gli occhi.
E Naruto immaginò.
Un momento di limbo, tra quel mondo e la realtà, nella traslazione dei dati, delle coscienze, delle memorie cancellate e caricate digitalmente. La storia dell’umanità era nelle sue mani, lui era fiero di quel peso.
Se solo loro due fossero nati nella stessa epoca, in un qualsiasi futuro del mondo, magari con ancora la Terra intatta, le sue vestigia, la sua storia, i monumenti, i suppellettili, le tombe e le chiese, sicuramente si sarebbero incontrati. Era destino, poco da dire, Naruto ne era convinto.
All’università, magari. Ricordava la fontana d’acqua, dalle forme moderne, di fronte all’imponente edificio che formava le nuove menti. Senza computer carichi d’informazioni, ma con docenti, con il dialogo e il confronto.
Lì avrebbe incontrato Sasuke, con la sua borsa a tracolla scura, senza troppi colori, incapace di chiedergli informazioni sull’aula per il prossimo corso; Naruto avrebbe detto di avere quello stesso corso, con il pretesto giusto quindi per seguirlo e andare assieme a una lezione di Metodologia della Ricerca Archeologica. Roba che non aveva nulla a che fare coi suoi studi d’informatica e grafica, ma l’avrebbe trovata interessantissima ugualmente e preso pure qualche appunto.
Tutto questo, solo per poi chiedere a Sasuke di passargli le sue note e avere un’ulteriore pretesto di rivederlo: ‘Ti offro un caffè per ringraziarti, così ti restituisco il quaderno.’
Si sarebbe smascherato presto, si sarebbero insultati e poi incontrati ancora, fuori dall’università, poi… il resto della vita assieme.
Avrebbero fatto l’amore, nel loro appartamento, con un divano per tre e una poltrona, per gli amici con cui si trovavano per giocare ai videogames, per i tornei di qualche gioco di società, per bere una birra assieme. Sì, avrebbero fatto l’amore sul loro letto, sul pavimento, a volte sul divano – ma questo, ovviamente, gli amici non dovevano saperlo.

Sasuke guardò Naruto sotto di sé, affondato tra le lenzuola, con la testa dagli scombinati capelli biondi affondati nel cuscino. Sentì le sue mani sui suoi fianchi e contemplò gli occhi azzurri, il modo in cui lo guardavano, la vita che sprigionava dalle iridi luminose, le gote arrossate per l’eccitazione, i baci scambiati, la lotta per decidere stupidamente chi stava sopra e chi sotto.
Non si capiva mai, in quel frangente, chi vincesse davvero.
Si sentì artigliare la maglia dall’altro, avvertì le sue unghie graffiargli appena la pelle quando questi la strattonò indelicato come al suo solito, sfilandogliela.
La gettò a terra: finì su una pila di libri di archeologia greca, qualche studio su Lisippo e i busti di Alessandro Magno. Un giorno, rifletté Sasuke mentre si chinò, a torso nudo, a baciare Naruto, avrebbero dovuto fare un viaggio in Grecia: vedere il Partenone, scattare qualche foto dall’acropoli, contemplare il mare. Prima sarebbero passati però al British Museum, a Londra, accendendo un cero a Winckelmann che aveva portato tra quelle mura gli altorilievi con i panneggi più belli di tutto il Partenone, salvandoli dall’inquinamento, anche se all’epoca non poteva saperlo.
Naruto gli slacciò i pantaloni, mentre avvertiva la lingua di Sasuke lambirgli il lobo dell’orecchio, poi mordicchiarlo appena. Espirò, leggero, eccitato, quando percepì il suo respiro sul collo, mentre gli calava la zip in un movimento lento.
Portò le mani poi sul suo dorso e le fece discendere fino alle natiche, avvertendo la pelle oltre il tessuto dei boxer. Le strinse, sollevando di più il busto per cercare ancora le labbra di Sasuke, sempre, mordendogliele e facendosi mordere; si baciavano e lui lo denudava, facendo scivolare le mutande per scoprire l’erezione oltre l’elastico che tendeva maggiormente la pelle, fino a scoprire la cappella.
Lo ribaltò sul letto, con ancora le mutande sulle cosce, ma Sasuke lo trascinò con sé, afferrandolo per la canotta che l’altro ancora aveva addosso.
“Dove pensavi di andare?” lo provocò.
“Su di te, mi sembra ovvio.” Ribatté Naruto, con un sorriso di sfida.
Gli sfilò del tutto le mutande che, quella volta, finirono accanto a una pila di videogiochi, sul mobiletto basso di fianco al letto; c’era anche la riproduzione di un cavallo di bronzo con sopra Vittorio Emanuele II, usata come reggilibri.
Inginocchiato, contemplò per un istante Sasuke, nudo. Gli portò una mano sul ginocchio e fece per toccargli l’altro, quando il futuro archeologo sollevò una gamba, in modo da portare il piede sul torace di Naruto e sospingerlo appena:
“No. Prima ti spogli, voglio vederti nudo anch’io, stupido.”
Abbassò il piede, lentamente, e Naruto lo guardò, sollevando appena il mento. Sasuke discese, avvertendo lungo il percorso la muscolatura del torace, il respiro più difficile per l’eccitazione, poi la linea leggera degli addominali e il modo in cui il ventre si dilatava per prendere aria.
Con il tallone, gli sfiorò l’erezione da oltre le mutande e infilò le dita al di sotto della canotta, percependo con il piede freddo la pelle bollente dell’altro. Quest’ultimo sussultò appena e si morse un labbro.
Abbassò le mani, tirando su l’orlo della maglia per cominciare a svestirsi, guidato dal piede di Sasuke che risaliva, arrivando fino al collo, fino a lambire con l’alluce il pomo d’Adamo dell’altro che si contrasse in una deglutizione eccitata.
Un’ulteriore parte di vestiario finì tra fumetti di supereroi con mantelli di un rosso simile a quelli dei porporati romani, ma anche romanzi d’avventura che parlavano di viaggi in terre sconosciute, ricordavano personaggi resi vividi grazie alle memorie del passato tramandate generazione dopo generazione, con la carta, le foto, le vestigia dell’uomo conservate come un tesoro di famiglia.
Consapevoli di quel tesoro, Sasuke e Naruto fecero l’amore, su quel letto, tra i libri, i videogiochi, i testi di studio e i souvenir dei posti visitati.
C’erano nicchie vuote, per i nuovi libri e i nuovi ricordi dei viaggi, degli studi, della vita portata avanti, assieme.
Così da onorare, per sempre, l’umanità e la sua storia immensa persino tra le piccole mura di una casa qualsiasi, ogni giorno, anche se ancora a distanza di anni Naruto non ricordava la differenza tra una kylix e un aryballos; sapeva che non se lo sarebbe mai ricordato, perché gli piaceva ascoltare Sasuke parlare di ciò che amava e immaginare i mondi antichi dipinti dal suono della sua voce.




Sproloqui di una zucca

E anche questa storia è conclusa. Amo Sasuke e Naruto in un contesto Au, perché riesco a rendere e a percepire in maniera ancora più forte il senso di rivalità ma anche di complicità, in un rapporto più sano e spaventosamente intenso.
Spero che il racconto vi sia piaciuto. Li ho proprio immaginati, alla fine, fare l'amore nel loro mondo ideale, tra libri e videogiochi. Sto progettando altre storie, mi auguro di 'rileggerci' presto. Grazie per essere arrivati fino a qui e alla prossima <3
Grazie anche al gruppo fb SasuNaru Fantiction Italia che mi carica e motiva tantissimo :3


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