I MALANDRINI e il Ciclo Lunare

di ToscaSam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il primo di settembre ***
Capitolo 2: *** gli avvertimenti di Albus Silente ***



Capitolo 1
*** il primo di settembre ***


 
il primo di settembre
 
Era un giorno molto importante, per il figlio di Maggie. A dirla tutta era un giorno importante per Maggie stessa. Si sentiva sciocca, quella mattina, mentre si acconciava i capelli e canticchiava davanti alla sua figura nello specchio.
« Faremo tardi, tesoro»
disse la voce bonaria e pacata di suo marito.
Maggie però, sapeva che anche lui era compiaciuto.
« Carl, tutte le mamme saranno più giovani di me, al binario. Mi concedi solo un secondo per mascherarmi da giovincella?»
« Dov'è finita mia moglie? Chi è questa ragazzina seduta alla sua toeletta?»
Carl abbracciò Maggie da dietro e le baciò il collo. Maggie rise, senza riuscire a contenersi.
Spazzolò ancora i capelli e con un colpo di bacchetta tentò un'acconciatura sobria ma sbarazzina, che le desse un'aria giovanile. Non le importava davvero l'aspetto esteriore, ma quel bel viso oltre lo specchio le irradiava una freschezza dimenticata da tempo.
Quante volte, pensò, triste, aveva fissato la sua immagine riflessa quando era davvero una ragazza. Quante volte si era vista invecchiare senza un figlio tanto desiderato.
E poi, alla fine, quando ormai non ci sperava più, era arrivato. Il suo tesoro, che oggi diventava grande.
« Mammaaaaa!» gridò la vocina impaziente del figlio undicenne, da sotto le scale.
I bauli erano già pronti da una settimana, anche se erano stati sistematicamente svuotati e riempiti almeno una volta al giorno. C'erano abbastanza calzini? Abbastanza soldi? Erano certi di aver preso il calderone della misura giusta? Gli ingredienti dello speziale erano corretti? Erano tutti?
« Mamma!»
strillò di nuovo il ragazzino, troppo su di giri per ricordarsi l'educazione.
Maggie si alzò in fretta e sorrise al marito. Carl osservò il risultato dell'incantesimo e approvò, schioccando un altro bacio sulla guancia di sua moglie.
« Eccomi, James, scusami» disse Maggie ricordandosi quasi all'ultimo di prendere la cesta con il gatto nuovo che avevano comprato a Diagon Alley. Il micio si svegliò di soprassalto e soffiò da dentro la gabbietta ondeggiante.
La signora e il signor Potter scesero i gradini che conducevano al salotto, con i cappotti già abbottonati e la cesta col gatto in mano.
James Potter, un ragazzino smilzo di undici anni, con spettinati capelli neri e occhiali bene inforcati, saltellava qua e là, in direzione della porta di ingresso.
« Siamo in ritardo?»
« No, tesoro, il treno parte alle undici»
« Che ore sono?»
« Le dieci»
« E se avessero anticipato la partenza?»
« Non l'hanno fatto»
« E se troviamo traffico?»
« Ci smaterializzeremo»
« E dove lasceremo la macchina?»
« James, per l'amor del cielo!»
 
I tre, finalmente, riuscirono ad uscire di casa.
La cittadina di Godric's Allow era tranquilla, anche se si intuiva un brulicare tipico degli inizi di settembre. C'erano babbani di rientro dalle ferie, babbani che partivano per andare a lavorare e figli dei babbani che si incamminavano mogi verso la scuola.
James non poteva essere più diverso: andare a scuola era il suo più grande desiderio. La scuola babbana non doveva essere un granché. Aveva avuto degli amici babbani, da più piccolo, e nessuno di loro mostrava il benché minimo interesse per la futura istruzione.
C'erano anche famiglie magiche: la loro vicina, Bathilda Bath, era una vecchietta adorabile. Anche il prestigioso preside Albus Silente, il più grande mago contemporaneo, era originario di Godric's Allow.
La famiglia Potter sfilò con una lieve e allegra furia verso la propria automobile, appostata nel parcheggio pubblico più vicino. Era un'auto di seconda mano, ma che funzionava benissimo con un paio di colpetti di bacchetta magica.
La giornata pareva limpida e né James, né i suoi genitori avrebbero potuto sperare in meglio.
« Allora sei pronto?» disse Maggie Potter con una voce un po' strana.
« Certo!» rispose James, sistemandosi nel posto del passeggero, insieme alla gabbietta con il gatto.
Maggie si schiarì la voce e per un po' trafficò con la borsetta, incapace di alzare gli occhi.
Non riusciva a credere che il suo bel bambino dai capelli scuri fosse già così grande. Era sia una sofferenza che una gioia, sapere che da quel momento avrebbe passato a Hogwarts gran parte del suo tempo e che non sarebbe mai più stato davvero a casa. Maggie pensò con un vago sorriso al Natale e alla cena incredibile che avrebbe preparato a James. Chissà se avrebbe invitato degli amici, chissà che famiglie sarebbero diventate loro amiche, chissà se James avrebbe conosciuto figli di babbani a Hogwarts … Maggie si ritrovò che fantasticava già sul menù e la lista della spesa per il cenone di Natale, tanto che dovette darsi una calmata. Quando riuscì a riscuotersi, suo marito aveva già ingranato la marcia e stavano già sfrecciando alla volta di Londra.
Non fu un viaggio stressante: c'era il solito traffico da primo di settembre. Carl Potter era stato così giudizioso da imparare a guidare l'auto babbana. A detta sua, era un mezzo che consentiva di muoversi agilmente, senza dover per forza ricorrere alla scomodissima materializzazione.
James non stava più nella pelle. Guardava fuori dal finestrino con impazienza, schiacciava il naso e creava disegni sul vetro umido con il dito; cantò un paio di canzoni, ciarlò un po' delle sue aspettative per la giornata e giocò col suo nuovo micio.
« Dovresti dargli un nome, sai?» disse Carl, sorridendo mentre fissava la strada.
« Non riesco a decidermi» confessò James.
« Hai già delle idee?» continuò suo padre.
« In realtà no. Vorrei che fosse un nome semplice, ma anche fantasioso. Credo che aspetterò di sentire che nomi hanno dato i mie compagni ai loro animali, così sarò sicuro di non creare un doppione»
« Mi sembra giusto. Ricordati di scrivercelo, quando l'avrai deciso!»
« Avremmo dovuto comprargli un gufo, Carl?»
Chiese Maggie, improvvisamente in apprensione.
« Ma no, può scriverci con i gufi della scuola. Un gatto sarà più di compagnia»
« Potremmo prendergli anche un gufo, però ...»
Le auto filavano avanti e indietro, la strada so faceva sempre più complicata. Appena si iniziarono ad intravedere le indicazioni per Londra, James non riusciva proprio più a starsene fermo e seduto.
Quando finalmente l'auto fu parcheggiata alla stazione di King's Cross, Maggie Potter ebbe bisogno di un momento per riprendersi: la fiumana di babbani che si dirigeva ai treni le aveva fatto venire il fiato corto. Anche quando si incamminarono, sotto continue sollecitazioni di James, Maggie non riusciva a smettere di sistemarsi l'acconciatura e per poco non inciampò nei tacchi. Suo marito dovette prenderla per mano, per calmarla.
James spingeva da solo il carrello col baule e la cesta del gatto. Più volte si girò per scoprire che i suoi genitori erano a venti passi dietro di lui.
« Mamma, andiamo!» disse, alla terza volta che succedeva.
Quando si girò per continuare la corsa verso il binario 9 ¾, …. crash!
Una signora alta e ben vestita cadde a gambe all'aria e le si intravidero tutte le innumerevoli sottane.
« Ops, mi scusi!» disse James, dispiaciuto.
Quella divincolò le gambe in un groviglio un po' ridicolo, annaspando come se stesse per affogare, poi riemerse dal mare di gonne.
« Moccioso babbano impertinente! Guarda dove metti i piedi!» urlò inviperita.
James rimase a bocca aperta, un po' per essere stato chiamato “babbano”, un po' per la reazione così aspra.
Una giovane donna, che accompagnava la signora, si chinò ad aiutarla. Fu un'operazione complicata, anche perché fra le braccia teneva un bambinone avvinghiato.
Alle spalle delle due donne, sempre impegnate nell'operazione di rialzo, c'era un altro ragazzo. Era più grande di quello che stava in collo; probabilmente aveva la stessa età di James. Stava soffocando dalle risate. James incrociò il suo sguardo e per poco non scoppiarono a ridere a crepapelle.
Maggie e Carl arrivarono trafelati.
« James! Che hai combinato?!»
« Datti una calmata, figliolo»
« Signora, si sente bene?»
« Siamo mortificati»
La gran dama, scossa e scandalizzata dall'incidente, si guardò intorno e infine fissò i piccoli occhi vanesi in quelli di Maggie Potter.
« Ah, deduco che non siate babbani, adesso che faccio caso al baule. Stiamo comunque dando spettacolo, qui, in mezzo a questa gentaglia. Vostro figlio ha un comportamento inaccettabile, signora, sono allibita. Andiamo, Yvonne, non perdiamo altro tempo con questi individui».
Si raddrizzò le sottane, con dignità, poi girò i tacchi. La più giovane sistemò il bambino in braccio con uno scrollone, poi afferrò la mano di quello più grande che ancora sghignazzava sotto i baffi.
James era mortificato e arrabbiato, due sentimenti che proprio non avrebbe desiderato provare in una giornata come quella.
Osservò l'altezzosa famiglia sparire nella fiumana di babbani, incerto se sfogarsi o se rimanere mogio.
« Ma che modi … » commentò Maggie, piano.
James tirò un sospiro di sollievo: era stato perdonato.
« In ogni caso, ragazzo mio, devi guardare dove metti i piedi. Io e tua mamma non ce la facciamo a starti dietro, se corri … e poi guarda che succede» aggiunse Carl, ma James sapeva che non era arrabbiato.
« Scusa, papà»
« Tranquillo, James, tranquillo. Quella dev'essere gente di alto rango. Una Malfoy … o una Crouch … gente che se la tira»
« Beh allora anche noi possiamo tirarcela. Io discendo dai Peverell» disse Maggie ironica, facendo spallucce.
Dette una pacca a suo figlio e lo incitò a proseguire verso il binario.
Il trucco per accedere alla piattaforma magica, era semplice: bisognava appoggiarsi con noncuranza alla barriera che divide i binari nove e dieci, solo che si doveva stare attenti a non farsi vedere dai babbani. James aveva studiato tattiche di dissimulazione per tutta la notte e non vedeva l'ora di metterle alla prova.
Strappando un sorriso sulle labbra dei genitori, scivolò silenzioso come un gatto e scomparve oltre la barriera con un passo da rockstar.
James non riuscì proprio ad aspettare suo padre e sua madre, una volta sbucato dall'altra parte: non riusciva a credere alla meraviglia che gli si apriva dinnanzi agli occhi. Centinaia di famiglie magiche, tutte radunate, che chiacchieravano, si abbracciavano, facevano raccomandazioni (« non rovesciare le uova di rospo sul treno!», « non spendere tutti i soldi in Cioccorane!»).
La locomotiva era già pronta, sul binario: scarlatta, fumante, bellissima. “Espresso di Hogwarts” recitò James, leggendo quel che riportava la fiancata del veicolo.
Stava praticamente già salendo a bordo, ipnotizzato dall'eccitazione, quando si sentì chiamare:
« James! James!»
Sua madre lo inseguiva, trafelata. Lo agguantò per un gomito, mentre lui stava già a metà delle scalette di ferro di una carrozza.
« James! Ma che fai? Non ci saluti?»
« Certo, scusa mamma!».
Saltò giù dritto nell'abbraccio ampio di mamma Maggie. Suo padre gli scompigliò i capelli, già spettinati anche senza quel gesto.
« Vi voglio bene» disse James, compiaciuto.
« Anche noi te ne vogliamo» rispose Maggie, baciando la guancia del figlio così forte da lasciarci per un attimo una chiazza bianca.
James si asciugò con una manica, ridacchiando, poi saltò su. Caricò i bagagli e si diresse verso il primo scompartimento vuoto, pronto per l'inizio della sua vera vita.
 
*
 
« Ah! L'autista di carrelli volanti!»
disse una voce ilare alla sua destra.
James si voltò e riconobbe il ragazzo che aveva sghignazzato della signora a gambe all'aria. Scoppiò a ridere:
« Ah, il ridacchione clandestino! Siediti qui, amico»
« Ci puoi giurare» disse quello e senza farselo ripetere, si accomodò.
Era un bel ragazzo, anche lui coi capelli neri, ma li portava più lunghi di James. Gli cadevano a ciocche morbide sugli occhi e gli conferivano un'aria elegante. Il comportamento però non era affatto regale: si sedette a gambe larghe e si lasciò scivolare fino a metà schienale.
« Dimmi un po'» fece James, dopo qualche minuto di osservazione del suo curioso compagno di viaggio: « chi era quella vecchia strampalata che ho investito?»
Il ragazzo emise un suono neutro: « mia madre»
« Acc …! Sono partito male, scusa!»
« Nah, sei partito benissimo. Direi che “vecchia strampalata” è la definizione migliore per lei».
Risero ancora un po'.
« Perché se ne va in giro con tutte quelle sottane?»
« E che ne so?»
Altre risate.
« Credevo che tua madre fosse l'altra donna»
« Quella è Yvonne, la balia. Mia madre non ha molto tempo per me e mio fratello. È strano che sia venuta ad accompagnarmi, oggi»
« Perché dici così?»
« Diciamo che voleva impartirmi qualche regola fino all'ultimo minuto. Sai, forse non te ne sei accorto, ma non sono proprio un tipo obbediente»
« Fico».
Il rumore della locomotiva pervase la stanza. Il paesaggio prese a scivolare via, sempre più veloce.
« Io comunque mi chiamo James»
« Io mi chiamo Sirius»
I due si strinsero la mano, poi ritornarono a bighellonare sulle proprie poltroncine.
Il treno sferragliò per una decina buona di minuti, poi lo scompartimento smise di nuovo di essere silenzioso:
« Ehi, Sirius che nome posso dare al mio gatto? Me l'hanno comprato da poco e ancora non mi sono deciso»
Sirius guardò la pallina di pelo grigio che dormiva dentro la cesta. Alzò un sopracciglio:
« Peccato che non ci facciano portare i cani. Ho sempre sognato avere un cane»
« Che risposta è?!»
« Scusa, scusa … se io avessi un cane, cioè, un gatto … lo chiamerei … mmm ...Peloso?»
« fantastico! Fantasioso al punto giusto. Semplice. Geniale. Mi piace»
« Andiamo, vuoi scherzare? Non lo chiamerai Peloso?»
« Certo! Sentito, Peloso? Questo è il tuo nome! Peloso? Peloso?»
mentre Sirius e James si rotolavano dal ridere per il nuovo nome del gatto, la porta dello scompartimento si aprì ed entrò una ragazzina coi capelli rossi dall'aria molto triste.
« Ma ciao!» disse James.
Lei mormorò un “ciao”, poi si rannicchiò vicino al finestrino.
I due la osservarono, ma poi videro che non era in vena di fare conversazione. Decisero di ignorarla: era troppo cupa e avrebbe contagiato la loro voglia di ridere.
Peloso si era svegliato ed era decisamente contrariato dal rumore emesso dal suo padrone.
Poco dopo l'entrata della ragazza mogia, la quiete dello scompartimento fu ancora turbata: entrò un ragazzo magrolino, già in divisa da Hogwarts.
Non disse una parola a James e Sirius, ma si sedette di fronte a lei. Dovevano essere amici. Iniziarono a parlottare fra loro.
Ad un certo punto James e Sirius sentirono che il nuovo arrivato diceva:
« Speriamo che tu sia una Serpeverde!»
James si voltò e trattenne a stento una risata.
Guardò meglio chi aveva pronunciato quella frase: era un tizio pallido, con degli spaventosi capelli neri e unti, una faccia bislacca e un gran nasone. Gli venne ancora di più da ridere.
« Chi vuol diventare Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu?» disse, rivolto a Sirius.
Sirius non sorrise.
« Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde» disse, improvvisamente amareggiato.
« O, cavolo! E dire che mi sembravi a posto!».
Sirius ghignò:
«Forse io andrò contro la tradizione. Dove vorresti finire, se potessi scegliere?»
James alzò una spada invisibile:
«'Grifondoro... culla dei coraggiosi di cuore!' Come mio padre».
Il brutto ragazzino pallido fece una smorfia. James decise che era veramente patetico:
« Qualcosa non va?» gli chiese.
Possibile che in quella giornata che doveva essere perfetta, avesse già incontrato così tanta gente antipatica? Prima la madre di Sirius, ora quei due mocciosi imbronciati, soprattutto il ragazzo …
« No» rispose l'antipatico: « se preferisci i muscoli al cervello… »
Sirius si riscosse:
« E tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due?»
James non si trattenne più e scoppiò in una risata fragorosa, che contagiò anche Sirius. Adesso si ragionava.
La bambina, che ancora non si era rivolta loro, si raddrizzò nel sedile, nervosa. Guardò i due con sommo disprezzo e commentò:
« Andiamo via, Severus, cerchiamo un altro scompartimento».
James e Sirius imitarono la sua voce altezzosa:
« Ooooooooh...».
Mentre gli sgraditi compagni di viaggio si alzavano, con insopportabile aria di superiorità, James allungò una gamba e per poco non riuscì a fare sgambetto al ragazzino unticcio.
« Ci si vede, Mocciosus!» gli gridò, mentre quello chiudeva la porta scorrevole.
Risero a crepapelle per una buona ventina di minuti. Severus, che razza di nome! A Sirius piacque particolarmente l'appellativo “Mocciosus” e cercò di convincere James a cambiare il nome del gatto in quello. James, fra le lacrime, disse che non avrebbe mai rinunciato a “Peloso”, ma che anche “Mocciosus” era così bello da meritare di essere pronunciato di tanto in tanto.
Stabilirono che l'antipatico individuo si sarebbe sempre chiamato Mocciosus. Un soprannome così bello non si poteva dimenticare.
Il treno procedeva verso nord ad un'andatura piacevole. La mattinata stava svanendo verso il pomeriggio e con esso arrivò anche una signora col carrello per il pranzo.
Quando bussò ai due ragazzi, erano sempre lì che ridevano.
Non bastò la scorta di Cioccorane – che poteva bastare per anni – a placare i risolini e i discorsi frivoli.
James era certo di aver trovato il primo nuovo amico e sperò con tutto il cuore che non finisse, come tutta la sua famiglia, in Serpeverde.

 

 

**angolo autrice**
Salve a tutti e un grazie infinite per aver letto il capitolo!
Ci tenevo a precisare che cercherò di essere il più Canon possibile, ma che con questo intendo solo ed esclusivamente le informazioni contenute nei 7 libri di Harry Potter.
Non riesco a stare dietro a dettagli rilasciati su Pottermore, interviste o altro. Per cui, quello che leggerete qui si attiene solo e soltanto ai libri della saga.
Grazie! <3
Sam

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Capitolo 2
*** gli avvertimenti di Albus Silente ***


gli avvertimenti di Albus Silente
 
Il cielo era ormai scuro e l'orario di arrivo si avvicinava.
Sirius e James avevano esaurito le battute e, apparentemente, anche le energie: giacevano scompostamente sulle poltroncine, circondati da resti di giochi e carte di Cioccorane.
Peloso dormiva beato nella cesta.
Mocciosus e la ragazzina non si erano più fatti vedere, né lo scompartimento era stato invaso da altri ficcanaso.
Quando la velocità del treno cominciò a rallentare, James si drizzò come un grillo.
« Ehi Sirius!» disse tirando una carta appallottolata sul suo compagno di viaggio.
« Mhm?»
« Ti pare che il treno rallenti?»
Sirius ci pensò un attimo, poi gli si illuminarono gli occhi: la spossatezza svanì dal suo volto per fare spazio a un largo sorriso.
« Direi di si!» disse alzandosi.
Si erano entrambi cambiati e sfoggiavano le loro nuove uniformi nere. Non appartenendo ancora a nessuna casa, non c'erano colori a decorarle, ma solo una blanda targhetta con nome e cognome.
James non poté fare a meno di notare quanto Sirius fosse già più alto di lui, per essere un ragazzo di undici anni. Aveva anche i capelli più lisci e decisamente meno scomposti. Sua madre gli avrebbe detto: “vedi il tuo amico Sirius com'è ordinato? Perchè non ti fai crescere i capelli come lui?”.
Si passò una mano fra le ciocche ribelli e si preparò a scendere dal vagone.
Una volta affacciati sul corridoio, notarono che già molte altre teste si sporgevano, curiose di scoprire se l'arrivo a Hogwarts fosse davvero imminente.
James voleva essere il primo a scendere dal treno. Sentiva che era una specie di suo diritto personale, una sorta di piccolo trionfo che doveva prendersi. Aveva aspettato undici lunghi anni ed era finalmente giunto il momento di dimostrare al mondo quanto valesse.
Sirius poteva scendere per secondo, pensò. “È davvero in gamba, speriamo che finisca in Casa con me”. Sicuramente anche Sirius ne aveva passate delle belle, con una madre così acida.
James si precipitò a raccogliere i propri bagagli e si appostò alla prima uscita.
Ecco che lentamente una mandria sciamante di ragazzi si accalcò dietro di lui. Sirius era rimasto indietro. Pazienza, pensò James, si sarebbero di certo rivisti.
Il treno stava ora decisamente rallentando, finché a un certo punto, dopo l'ultimo e sostenuto sbuffo di vapore, si fermò.
Le porte si aprirono di scatto e James balzò fuori rapido come la luce. Non riuscì a capire se era stato davvero il primo a scendere, perché la marea di studenti si era già riversata fuori da ogni ingresso.
James intravide il castello, in alto, luminoso e bellissimo. Un brivido di eccitazione lo scosse tutto. Prese il baule e Peloso, poi si lanciò in una corsa irrefrenabile verso le luci lontane della fortezza.
« Ehi tu! Tu! Dove credi di andare?»
Una misteriosa forza sovrumana acciuffò James da dietro le spalle e lo riportò con gli altri studenti. Il ragazzo riuscì a voltarsi in tempo per dire “ah!”: c'era un uomo alto non meno di tre metri, a sostenerlo. Nonostante il buio, si potevano notare dei cespugliosi e folti riccioli nero pece che gli contornavano il viso. Era giovane, in realtà, ma pareva più forzuto e robusto di qualunque altro uomo James avesse mai visto.
« Dì un po', eh? Che cosa credevi di fare?»
« Volevo andare al castello, signore» deglutì James.
« Mica è quella la strada. Forza! Voi del primo anno dovete seguire me! Primo anno! Alunni del primo anno!»
James si ricompose, imbarazzato e si unì alla fila di ragazzi che, come lui, non avevano ancora il distintivo di una delle Case della scuola. Nella piccola folla, James notò un sorriso beffardo che di certo si riferiva alla sua figuraccia appena fatta: era Mocciosus! Rideva di lui!
James sentì una fitta di vergogna e di antipatia. Se fosse stato alto come quell'omone, gliel'avrebbe fatta vedere lui, a Mocciosus.
L'uomo gigantesco li condusse a una piccola baia, dove erano ormeggiate diverse barchette di legno.
Sembrava troppo bello per essere vero: il cielo trapuntato di astri luminosi si rifletteva sulla superficie piatta dell'acqua, come uno specchio magico. Quando le barchette presero ad attraversare il liquido miraggio, ecco che le increspature aggiungevano disegni e ghirigori alla trama già stupefacente di quello spettacolo.
James era salito insieme a Sirius e una ragazzina coi capelli biondi.
Guardandosi intorno, vide che l'odioso Mocciosus era sulla barca insieme alla sua amichetta coi capelli rossi.
Ma niente poteva turbare quel momento perfetto. Approdati dall'altra parte, ecco che l'uomo gigantesco li diresse su per una ripida salita e poi lungo una scalinata di pietra. Il castello si ergeva maestoso in tutta la sua grandezza.
James pensò con orgoglio che anche suo padre e sua madre erano stati lì e che avevano vissuto un momento come quello. Una volta oltrepassata quella porta, niente sarebbe stato come prima. Il James Potter di adesso stava per cambiare per sempre.
Elettrizzato da quel pensiero, enfatizzò il passo decisivo che lo condusse all'interno della fortezza.
Sorrideva e si sentiva così fiero, come se stesse scrivendo la storia con i suoi passi. Chissà se sarebbe mai diventato un mago famoso. Chissà se mai, nel futuro, qualcuno avrebbe detto “James Potter mise piede a Hogwarts in questa data e da lì iniziò la sua brillante carriera”.
Chissà se, come lui, i suoi figli avrebbero varcato la soglia del castello pensando “anche nostro padre è stato qui”.
Doveva, doveva diventare qualcuno. Hogwarts sarebbe stata la sua seconda casa, la culla entro cui i suoi poteri si sarebbero affinati.
Passò una mano prima fra i capelli arruffati, poi sulla liscia bacchetta di mogano, infilata nella tasca dei jeans, sotto la tunica nera. Lui e quella bacchetta sarebbero diventati amici. Finalmente poteva usarla, poteva fare vere magie, poteva vivere una vita da mago.
 
« Grazie, Hagrid. Da qui li prendo in carica io»
« Di nulla professoressa»
L'omone – che a quanto pareva aveva nome Hagrid – rivolse un mezzo inchino a una figura femminile, in piedi al termine della scalinata. Lui proseguì, varcò un'altra porta e la chiuse con un gran baccano.
Quando l'eco del colpo fu svanito e un lieve chiacchiericcio cominciava a serpeggiare fra i ragazzi, la donna emise fiato.
« Buonasera a tutti».
Il silenzio fu immediato.
Era una donna alta, molto magra, sulla quarantina. Portava i capelli neri stretti in un severo chignon.
Sembrava molto autoritaria, molto inflessibile e molto intelligente.
I suoi occhi, incorniciati da occhiali squadrati, brillarono insieme a una lanterna appesa al muro lì vicino.
« Siete i benvenuti a Hogwarts. Io mi chiamo Minerva McGranitt e sarò una dei vostri insegnanti. Fra poco procederemo con lo Smistamento. Ci sono quattro Case: Tassorosso, Grifondoro, Corvonero e Serpeverde. Verrete assegnati a una di esse e, per tutto il tempo che passerete qui, la vostra Casa sarà un po' come una famiglia. I vostri successi faranno guadagnare punti, i vostri fallimenti ne faranno perdere. Se avrete la cortesia di attendere un istante in perfetto silenzio, verificherò che sia tutto pronto per ricevervi».
Detto questo squadrò uno per uno tutti i volti dei ragazzi, come per sfidarli a contraddirla. Si voltò, poi sparì anche lei oltre la porta in cima alla scalinata. Il suo passaggio fu meno rumoroso di quello del collega.
« Speriamo di finire insieme, amico» bisbigliò Sirius all'orecchio di James.
« Speriamo davvero».
La porta si riaprì e Minerva McGranitt riapparve con un vago sorriso sulle labbra strette.
« Possiamo procedere».
In un baleno, i ragazzi furono dentro.
Dalla sala di Ingresso si ritrovarono in una sala immensa, che lasciò ben poche bocche chiuse: c'erano quattro lunghi tavoli, già pieni di studenti coi cappelli neri a punta, una miriade di candele volteggianti e una volta mozzafiato. Tutti gli studenti si ritrovarono col naso all'insù, mentre cercavano di capire se la sala fosse priva di tetto oppure se le stelle che brillavano davanti ai loro occhi fossero frutto di un qualche incantesimo.
Quando anche James e Sirius riuscirono a distogliere lo sguardo dal magico soffitto, notarono uno sgabello al centro della sala, che ospitava un malandato e logoro cappello, tutto rattoppi e strappi.
James stava per chiedere qualcosa all'orecchio di Sirius, quando uno degli strappi del cappello si mosse e ...:
« Ecco dei nuovi studenti modello!
Voi che guardate, lo so, non son bello.
E pure negli anni son sempre lo stesso;
son io quel famoso, eh si lo confesso.
Antiche le mani che mi diedero vita,
una grande alleanza da loro fu sancita.
Fin quando quei grandi poteron guardare,
fu loro l'onore di dovervi assegnare.
Ma adesso che i quattro sono amici lontani,
lo Smistamento è nelle mie mani.
Messer Grifondoro, con spada potente,
chiamò i coraggiosi che non temono niente.
E Tassorosso, gentile madama,
impegno e fiducia ben presto premiava.
La nobile e bella che fu Corvonero,
soltanto l'ingegno e l'estro più vero.
E al gran Serpeverde dai molti segreti,
i puri e ambiziosi tornarono lieti.
Che dite voi dunque, o nuovi arrivati?
Avete già idee o siete sbandati?
Se i dubbi vi assalgono e le paure son tante,
vi Smisterò io, il Cappello Parlante!»
Dopo un breve istante di silenzio, in cui la fila dei piccoli del primo anno non riuscì a esprimere nessuna emozione, un boato di applausi e risate riempì l'intera sala.
Le mani di tutti gli studenti batterono accompagnati da fischi di giubilo e congratulazioni. La canzone del Cappello era stata un successo: il tavolo dei professori era costellato di sorrisi e battimani.
Fu di nuovo la professoressa di prima a riportare il silenzio.
In piedi, accanto allo sgabello, prese il fantastico oggetto per la punta e lo alzò:
« Questo è il Cappello Parlante. Come da tradizione sarà lui a smistarvi in una delle quattro Case. Attendete il vostro turno, poi venite a sedervi qui».
La donna dall'aspetto severo srotolò una pergamena:
« Avery, Gideon»
Scandì con chiarezza.
Un ragazzo smilzo, tutt'ossa, coi capelli biondi, sussultò e si staccò dalla fila di compagni.
La McGranitt lo osservò mentre si sedeva sullo sgabello, poi gli poggiò il Cappello Parlante sulla testa.
« SERPEVERDE!»
Gridò lo strappo sulla stoffa.
Uno dei quattro tavoli esplose in applausi di benvenuto.
Il ragazzo ossuto divenne tutto rosso e si unì ai suoi nuovi compagni, ricevendo pacche sulle spalle.
Non c'erano altri ragazzi con il cognome in “a”, poiché la professoressa passò direttamente a « Belby, Greta».
Anche per lei, il cappello urlò:
« SERPEVERDE!»
Di fianco a James, Sirius stava tremando.
Due Serpeverde di fila. Il Cappello aveva un brutto andazzo, quella sera.
« Black, Sirius!» esclamò la professoressa.
Sirius fremette. Aveva il voltastomaco.
Tutta la sua vita – e non stava scherzando – dipendeva da quel momento.
Decise che affrontare il Cappello era migliore che starsene lì a boccheggiare, anche perché la McGranitt sembrava in procinto di andare a prenderlo per un braccio.
Alzò la testa, ricacciò la nausea e sperò che i passi per raggiungere lo sgabello non tremassero.
Il mondo fatto di occhi curiosi, candele e tavolate svanì; il cappello gli era caduto sugli occhi.
Sirius credette di sognare, eppure una vocina all'orecchio, che forse era solo nella sua testa, gli stava parlando.
« Ma guarda un po' che bella testolina» diceva: « quanta rabbia! Quanto desiderio di ribaltare le aspettative. E quanto talento, anche. Ambizioso, senza dubbio … eppure non ti vedo fra i Serpeverde. Anche perché lo stai gridando con ogni fibra di pensiero. No, no, no. Non sei proprio il tipo. Credo proprio che ti asseconderò».
La vocina tacque.
Sirius trattenne il respiro.
« GRIFONDORO!»
Non ci credeva.
La McGranitt gli tolse il cappello dalla testa, sorridendo.
Sirius faticò a scollarsi dallo sgabello ma poi, stordito, si gettò nel mare rosso e oro che gli applaudiva in segno di benvenuto.
Dalla folla dei non smistati, James era al settimo cielo.
La lista che lo separava dal suo amico pareva immensamente lunga.
Al nome « Evans, Lily» riconobbe la bambina snob coi capelli rossi che li aveva apostrofati in treno. Anche lei finì in Grifondoro e James non poté fare a meno di alzare un sopracciglio.
Dopo « Portly, Bertold!» (« CORVONERO!») fu il suo turno.
« Potter, James!»
lui non ci pensò due volte. Uscì dalla fila dei non smistati e corse verso lo sgabello.
La professoressa McGranitt gli calò il cappello sulla testa e James se lo sistemò per bene con l'aiuto delle mani. Adesso l'antico copricapo era così ben serrato al suo cranio che non avrebbe potuto commettere errori di giudizio.
James non sentì nessuna vocina.
Dopo un brevissimo istante, il cappello gridò:
« GRIFONDORO!».
*
Quando anche l'ultimo studente fu assegnato alla propria casa, James e Sirius cominciarono a sentire i morsi della fame. Erano stati troppo eccitati finora, per prestare attenzione allo stomaco.
Fra i generali gorgoglii, un uomo molto alto e molto anziano si alzò dal tavolo cui sedevano tutti gli adulti: era il preside, il professor Albus Silente.
« Dicono che sia il mago più forte del mondo» bisbigliava una ragazza dalla faccia tonda ad un'amica seduta accanto a lei.
Albus Silente aveva il naso lungo, occhi brillanti e un sorriso sornione.
« Potrò saziare il vostro cervello con i discorsi solo dopo che le vostre pance saranno sazie di cibo. Zucca, fagiolini, anatra e caramello»
disse battendo le mani.
« Woah!» esclamò Sirius.
Davanti ai loro occhi era comparso un banchetto che avrebbe fatto invidia a qualunque tavola nuziale. C'era tacchino arrosto, fegato d'oca, stufati fumanti, spiedini di verdure glassate d'aceto, sandwich al formaggio, minestre di cipolla bollenti …tutto quello che si poteva desiderare.
Silente aveva ragione: dopo aver mangiato, James sentiva che non sarebbe potuto entrare nient'altro nel suo corpo se non attraverso le orecchie. Pensava di scoppiare, ma di certo le parole non l'avrebbero ucciso.
E fu così che Albus Silente prese parola per la seconda volta:
« Ancora benvenuti ai nuovi arrivati, bentornati ai vecchi amici. Mi perdonerete se ripeto alcune sostanziali regole che i nostri piccoli del primo anno ancora non conoscono … e anzi a dirla tutta ci saranno alcune novità che dovrete tenere bene a mente tutti quanti. La foresta intorno al castello è zona proibita. È molto pericolosa, quindi consiglio caldamente a tutti di non infrangere il divieto. È vietato girovagare nel castello di notte e siete pregati di assistere alle vostre lezioni durante il giorno. Quanto alle novità: salutiamo tutti con un caloroso applauso la professoressa Vector, che da quest'anno insegnerà Aritmanzia».
Silente applaudì e molti studenti, un po' timidi, si unirono.
« Benvenuta davvero, professoressa. Adesso ascoltatemi tutti molto bene, perché quanto sto per dirvi è di vitale importanza: nel parco del castello è appena stato piantato un rarissimo esemplare di Platano Picchiatore. Si tratta di una specie molto violenta, ma da cui si possono trarre molti benefici. Vi pregherei di non avvicinarvi per nessun motivo. Non è un avvertimento da prendere alla leggera: non avvicinatevi. Ne va della vostra vita. Se tutto vi è chiaro, direi che rimane solo una cosa da fare, oggi: tutti a dormire! Vi auguro un buon inizio di semestre».
La fiumana di studenti prese a srotolarsi verso la porta di ingresso. Alcuni dei ragazzi più grandi strillavano: “alunni del primo anno! Seguiteci! Primo anno!”.
Dirigendosi verso di loro, Sirius disse all'orecchio di James:
« Che gran paura … a quanto pare, le cose più spaventose di questo posto sono gli alberi. Niente foresta, niente Platano coso … non credevo fossimo in un vivaio»
James rise, provocandosi una fitta alle costole: il cibo nello stomaco era ancora così tanto che non l'avrebbe assecondato in caso di risate incontenibili.

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