Ogni anno

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 5 Anni ***
Capitolo 2: *** 10 anni ***
Capitolo 3: *** 15 anni ***
Capitolo 4: *** 20 anni ***
Capitolo 5: *** 25 anni ***
Capitolo 6: *** 30 anni ***



Capitolo 1
*** 5 Anni ***


Era ancora troppo piccolo per capire quanto fosse speciale un bel compleanno.
Sapeva soltanto che quel 27 settembre era il suo giorno e che gli spettava una marea di giocattoli, cosa che avveniva anche a Natale a Pasqua, con l’unica differenza che quelle erano feste comuni ed erano festeggiate da ogni famiglia sulla faccia della Terra.
Di solito saltellava per casa tutto il giorno, tormentando i genitori, almeno fino a quando non riusciva ad aprire il primo regalo.
Detta così sembrava una pacchia, ma Scott, anche se aveva solo 5 anni, iniziava ad odiare il suo compleanno.
Ve ne chiederete il motivo e la risposta è una sola: condivisione.
La sua festa di compleanno, i regali e la torta andavano giustamente divisi, ma non con gli ospiti così come potreste pensare.
Scott detestava dover festeggiare il suo compleanno in contemporanea con quello di una marmocchia che era nata a poche ore di distanza.
Era un complotto che non riusciva a tollerare ed era convinto che non avrebbe mai digerito quella sporca faccenda.
 
“Perché devo festeggiare con lei, mamma?” Chiese il bambino, ricevendo un’occhiata di biasimo da suo padre che ritornò, però, a leggere il suo giornale.
 
“Perché sei nato il suo stesso giorno.”
 
“Non è giusto.”
 
“Tanto lo avreste festeggiato insieme comunque, anche se foste nati a distanza di pochi giorni.” Mormorò la donna.
 
“Perché?”
 
“Sei ancora troppo piccolo per saperlo, te lo spiegherò quando sarai più grande.” Rispose, mentre il figlio s’imbronciava e sembrava sul punto d’esplodere.
 
“Perché ogni anno devi discutere su questa festa, fratellino?” S’inserì bonariamente la sorella maggiore, mangiucchiando alcuni biscotti.
 
“Perché tu non la dividi con nessuno.”
 
“L’anno prossimo sarà diverso.” Tentò la madre, facendolo sospirare.
 
“Ogni anno è uguale.”
 
“Si può sapere perché non vuoi festeggiare il tuo compleanno con Dawn?”
 
“Perché è brutta e mi sta antipatica.” Rispose secco il bambino, percependo la risata possente di suo padre.
 
“Se non le facessi tanti scherzi, lei non ti tratterebbe male e tu non avresti una considerazione così bassa.”
 
“Io non le faccio niente.”
 
“E quando le hai spalmato la panna sulla faccia o le hai sporcato il suo vestitino?”
 
“Uffa.” Sospirò, alzando gli occhi verso il soffitto.
 
“Dai Scott, guarda il lato positivo.” Borbottò suo padre, ripiegando il suo giornale e sorseggiando un sorso del suo caffè amaro.
 
“Quale?”
 
“Quando sarai più grande, diciamo tra una decina d’anni, potrai decidere con chi festeggiare.” Promise l’uomo, facendolo annuire.
 
“Me lo giuri?”
 
“Croce sul cuore.” Borbottò, ingannando il bambino e incrociando le dita sotto il tavolo.
 
“E va bene.” Si rasserenò il piccolo, ritornando in salotto e sistemando le ultime decorazioni.

 

 

 

 
Se quello era il suo compleanno, tanto valeva che fosse fantastico e che la mocciosa non avesse niente da ridire.
Anche se la piccola Dawn non era poi così viziata come aveva pensato il festeggiato della famiglia Black.
D’altro canto, però, nemmeno lei era così elettrizzata dall’idea di stare con quel bambino dai capelli rossastri che le faceva un sacco di dispetti.
Era cattivo, odioso e insopportabile.
E più di una volta l’aveva detto a sua madre che, puntualmente, scrollava le spalle e sorrideva divertita.
 
“Anche quest’anno?”
 
“Ormai è una tradizione.” Spiegò la giovane donna, abbassandosi ad abbracciare la piccola.
 
“Ma lui è cattivo e mi tratta male.”
 
“Ti tratta male perché non riesci a ignorare i suoi dispetti e la scorsa volta gli hai rotto il suo giocattolo preferito.” Borbottò la madre.
 
“Ma io…”
 
“Non so chi abbia cominciato, ma è davvero esilarante vedervi insieme.” Ridacchiò suo padre che si era appoggiato alla porta del frigo.
 
“Per non parlare di quando cercano di non guardarsi.” Continuò la donna, donando un bacio al consorte che si era appena tagliato la barba.
 
“Mamma…”
 
“Devo dire, però, che se quest’anno Scott non ti ringrazia, anche con quel bel regalo che gli hai fatto, allora puoi vendicarti.” La esortò suo padre, facendola sorridere.
 
“Non dovresti spingere nostra figlia a comportarsi male: dovresti consigliarle di porgere l’altra guancia e di pazientare.”
 
“Che significa?” Domandò la piccola, guardando verso suo padre.
 
“Che se lui si comporta bene, tu devi comportarti allo stesso modo.”
 
“Ma lui non cambierà mai.”
 
“Ti sbagli tesoro: i maschi con l’avanzare dell’età diventano irresistibili e non puoi fare a meno di chiederti, dove è finito il moccioso che tanto detestavi.” Le spiegò la madre, finendo di lavare i bicchieri.
 
“Non vorrei che mi trattasse male, mamma.”
 
“Se dovesse accadere, ci penseremo noi a proteggerti, anche se dubito che il piccolo Scott sia capace di farsi odiare fino in fondo.” La rincuorò, facendola annuire.
 
“Ora preparati e prendi il regalo: tra mezzora dobbiamo essere lì e non credo tu voglia far tardi.” Brontolò suo padre, accompagnandola nella sua cameretta.
 
“Per il momento lo odia, ma chissà tra qualche anno…” Bisbigliò la donna che, rimasta sola, stava preparando la borsa con le bibite fresche.
 
L’unica cosa che Dawn poteva accettare senza sforzi, e tra l’atro unico punto positivo a favore di Scott, è che aveva una bella casa.
Le famiglie riunite ormai si conoscevano discretamente e tra vari cugini, zii e nonni era nato un legame speciale che sembrava radicato da chissà quante generazioni.
A vedere quel quadretto di parenti che sospingeva i due festeggiati a soffiare all’unisono sulle candeline, sembrava che la famiglia Light e Black si conoscessero dalla notte dei tempi.
Loro, però, si erano conosciuti solo 5 anni prima, in una situazione che i bambini non erano ancora pronti ad affrontare, pervia della loro giovane età.
Forse un giorno avrebbero detto loro la verità, ma per il momento si divertivano a fissarli, mentre giocavano oppure parlavano tra loro.
Per quanto si odiassero, erano incapaci di ammetterlo al diretto interessato e finivano a tessere una tela invisibile che sembrava destinata a durare per sempre.





Angolo autore:

Ryuk: Buona sera lettori.

Non dovevi cominciare così.
Ci eravamo messi d'accordo. Dovevi dire qualcosa del tipo: credevate fossimo morti, ma purtroppo siamo ancora qui.

Ryuk: Non hanno voluto la nostra anima e, quindi, dopo tanto ritorniamo a scrivere qualcosina.

Parla per te.
Stavo così bene nell'anonimato: 2 mesi in panciolle, senza la smania di controllare ogni 5 minuti come vanno le visualizzazioni.
Perchè ho ricominciato?

Ryuk: Perchè non abbiamo ancora finito con i nostri progetti.

Progetti? Bah.
Il mio unico progetto futuro è dormire e mangiare come se non ci fosse un domani.

Ryuk: Fai uno sforzo...in nome della nostra vecchia amicizia.

Che rottura...sta amicizia un giorno mi fregherà.

Ryuk: Su non fare il pessimista.

E va bene.
Sia chiara una cosa, però.
Pubblicherò questa serie, ma il titolo non sarà fedele alla trama.
Francamanente i capitoli sono già pronti e la storia è già finita (sarà una serie di 6 capitoli in tutto), ma pubblicherò solo settimanalmente.

Ryuk: Perchè settimanalmente?

Perchè...perchè...perchè sono perfido e voglio tenervi sulle spine.
Per quanto riguarda il titolo c'è scritto "Ogni anno", ma scordatevi che io faccia un capitolo per ogni compleanno di sti due.
Tutto vi sarà più chiaro, spero, con il prossimo aggiornamento.
Con la speranza che questa storia vi piaccia, io torno a dormire e lascio Ryuk ai suoi soliti compiti di shinigami.

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Capitolo 2
*** 10 anni ***


Altri compleanni erano scesi tra quei due bambini e di pari passo il loro legame si era saldato, trasformando il tutto in una bella amicizia.
Ora erano pure compagni di classe e se qualcuno importunava l’altro, ecco che facevano fronte comune e combattevano per le loro ingiustizie, guadagnandosi delle punizioni, assai poche a essere sinceri, sempre condivise.
Un po’ come quando Scott era intervenuto per tirare un pugno a un ragazzino di qualche mese più grande che stava importunando Dawn. L’aveva guardato di brutto muso e l’aveva fatto tornare a casa con un occhio pesto, guadagnandosi tuttavia una nota disciplinare e un’intera sessione pomeridiana in una stanza d’isolamento.
Era impegnato a disegnare sulla lavagna con dei gessetti colorati, quando Dawn era sgattaiolata dentro e l’aveva ringraziato, rimanendo per le successive tre ore a fargli compagnia.
Ma questo non era l’unico episodio che li aveva visti fare fronte comune.
Era normale che litigassero, ma anche quando erano in quelli stati, se un estraneo si permetteva di rompere, ecco che appianavano le loro divergenze e ritornavano amici.
Quest’anno, poi, Scott era ancora più invogliato a condividere e unire il suo compleanno a quello di Dawn.
Erano i loro famigliari, erano i loro regali, la loro torta e la loro amicizia che diventava sempre più forte e che non scricchiolava più, come quando avevano 5 anni e riuscivano a parlarsi con estrema fatica.
 
“Verrà anche Dawn alla mia festa, vero mamma?” Chiese il bambino, facendo annuire la donna.
 
“Certamente.”
 
“Mi sembra impossibile che il mio piccolo Scott abbia già 10 anni.” Soffiò Alberta, abbracciando il fratello minore.
 
“Non sono il tuo piccolo Scott.”
 
“Oh…anche se dici così, per me sarai sempre il mio piccolo fratellino.” Borbottò la sorella, baciando sulla guancia il festeggiato che si pulì da quella traccia umida che lei gli aveva lasciato.
 
“A me sembra strano, invece, che dopo 5 anni, tu abbia accettato Dawn.” S’inserì suo padre, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
 
“Io…”
 
“Ricordo la sua faccia quando avevate 7 anni e le hai regalato uno scarafaggio morto: povera piccola.”
 
“Papà…” Lo richiamò con rabbia.
 
“Lei si era impegnata tanto con quel carrarmato e tu le presentavi un insetto stecchito.”
 
“Sono stato cattivo.” Ammise Scott, abbassando la testa.
 
“Ti è bastato vederla piangere per cambiare totalmente.” Mormorò la madre, facendolo annuire.
 
“Non mi piace quando piange o strilla.”
 
“Ma davvero?”
 
“Preferisco vederla ridere e giocare con me.”
 
“5 anni fa, però, non la pensavi così, fratellino.” Lo canzonò Alberta che dall’alto dei suoi 16 anni conosceva discretamente cosa passasse per la testa del minore. A condividere la camera con quel maledetto e goffo sonnambulo, solo a tratti fortunatamente, sapeva che cosa provava, di cosa aveva paura e il motivo di certi comportamenti.
 
“E dall’anno successivo, hai iniziato a chiederci con anticipo dei lavoretti con cui racimolare i soldi per farle un regalo.” Soffiò sua madre, guardando verso il marito.
 
“Io…”
 
“Quest’anno a cosa hai pensato?” Chiese Alberta che non aveva ancora notato il regalo di Scott in uno dei suoi soliti nascondigli.
Di solito li trovava dietro i suoi orribili maglioni, ultimi regali natalizi dei suoi nonni paterni che temevano patisse il pungente freddo invernale, oppure nella scarpiera, ma quest’anno non c’era niente di tutto questo. E neppure nel grande baule impolverato della soffitta, luogo usato solo una volta, aveva trovato quella solita carta rossa con fiocco dorato.
Forse, e non era così folle crederlo, si era fatto leggermente più furbo e aveva intuito che tutti conoscessero ormai i suoi posti preferiti per celare i suoi intenti.
 
“Posso farle una sorpresa e non dirvi nulla?”
 
“Eh no…non vogliamo essere responsabili qualora le presentassi un regalo schifoso.” Borbottò suo padre, assaggiando una delle tartine con salmone che avrebbero servito tra un paio d’ore.
 
“Avevo pensato a un mazzo di fiori.”
 
“Solo?” Domandò sua madre che si aspettava un qualcosa all’altezza degli oltre 80 dollari che era riuscito a racimolare.
 
“Le piace leggere e ho comprato qualche libro.”
 
“Scelta intrigante.” Commentò la donna.
 
“Non preoccupatevi: tramite sua madre, mi sono informato dei suoi gusti e lei ne sarà sicuramente felice.”
 
“Il nostro ometto si è fatto davvero scaltro.” Lo derise nuovamente Alberta, seguendolo e aiutandolo a prendere il regalo dal nascondiglio.




 
Se per Scott era stato abbastanza difficile, non si poteva affermare che per Dawn fosse stata una passeggiata.
Il rosso non era più, alla luce di tutti gli anni passati assieme, il bambino viziato e cattivo della prima volta. A volte la faceva ammattire, ma non sentiva più il suo corpo percorso dal fremito della rabbia.
Un tempo avrebbe desiderato prendere qualcosa, magari un bastone, e tirarglielo sulla testa finché non fosse diventato disciplinato e avesse imparato le buone maniere.
Ne avevano passate tante insieme.
Il ricordo più bello era di quando avevano otto anni e lui l’aveva spinta a chiedere la parte della protagonista nella recita di fine anno. A leggere la descrizione del personaggio, Scott si era convinto che lei fosse l’unica che potesse rappresentarla al meglio, senza sfigurare minimamente.
E nonostante lui fosse stato costretto a memorizzare solo poche battute, dopotutto il ruolo da piccolo gnomo richiedeva cinque righe in croce, era sempre rimasto a tenerla d’occhio, sospingendola anche nel confronto con un pubblico assai vasto.
Le aveva detto di uscire e che il suo sorriso era la cosa più bella che avesse al mondo.
Bastava che sorridesse e i presenti si sarebbero inteneriti e avrebbero aspettato che la più piccola della classe, ripetesse la sua parte.
Alla fine, la principessa della famiglia Light, era diventata una principessa anche agli occhi della platea che l’aveva rincuorata con un applauso caloroso.
E mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime per l’emozione, si era girata verso Scott e lui le aveva risposto con un ghigno soddisfatto.
Allontanandosi dal palco per qualche istante, aveva preso la mano del compagno e l’aveva invitato a condividere le luci della ribalta, ritrovandosi anche lui sommerso da un applauso che non credeva di meritarsi.
 
“Papà ti ha consigliato bene, Dawn?” Chiese la madre, fissando la piccola intenta nelle sue elucubrazioni mentali.
 
“Penso di sì.”
 
“E Scott ti sembrava interessato?”
 
“Quando gli ho chiesto i suoi gusti, ha subito parlato del baseball.”
 
“E tu hai raccolto il rimbalzo.” Borbottò la donna, mentre suo marito impacchettava il regalo che sua figlia aveva preteso per Scott.
E poco le era importato se quel videogioco, con tanto di autografo del miglior giocatore della passata stagione, era costato 100 dollari: per rendere felice Scott e per vederlo sorridere, era pronta anche a spenderne il doppio.
 
“Un videogioco sul baseball è una cosa che gli piacerà di sicuro.”
 
“Ti chiederà di provarlo, lo sai?” Domandò nuovamente, facendola sospirare.
 
Lei tra tutto quel punta e clicca non ci capiva niente.
Premeva tasti a caso e in tutte le partite Scott si metteva le mani tra i capelli, preoccupato che il joystick diventasse scemo e prendesse a fare fumo. Ci mancava solamente che la console impazzisse all’improvviso e si rifiutasse di continuare, fino a quando quella ragazzina non si fosse levata di torno.
Ma quell’aggeggio non l’avrebbe mai avuta vinta: Scott avrebbe continuato a giocare solo se Dawn era al suo fianco e solo se era intenta a fissare lo schermo, laddove poteva mostrare orgoglioso la sua abilità di pilotare strani velivoli.
Era vero: aveva sprecato tante ore pomeridiane a spiegarle i vari comandi e lei puntualmente finiva con il fare qualche sbaglio che pregiudicava la sua partita, ma non avrebbe mai rinunciato ai suoi tentativi di colpire la nave aliena, fallendo miseramente per via del suo livello troppo basso.
Non era una cosa per femmine, diceva con il sorriso tra le labbra, ma finché era nella sua stanza, gli andava tutto bene.
 
“Tanto sono una frana.”
 
“Ma lui si divertente tanto con te, vero?”
 
“Penso di sì.”
 
“E dopo tanti anni riuscite ad andare d’accordo, nonostante i suoi regali spesso ti abbiano lasciato perplessa o disgustata.”
 
“Non ricordarmi la storia di quello scarafaggio, papà.” Lo pregò Dawn, mentre l’uomo ritornava a imprecare sottovoce tra lo scotch attaccato alle dita e la carta che non assecondava i suoi movimenti.
 
“Poi, però, si è fatto perdonare.”
 
“Ha immerso la faccia nella sua fetta di torta, pur di non vedermi più piangere e poi mi ha guardato con il suo solito sorriso.” Ricordò la piccola, rivedendo ancora il volto pieno di panna dell’amico e un fiore di zucchero che si era attaccato ai suoi capelli.
 
“Non ho mai conosciuto un bambino così speciale.” Ammise la madre.
 
“Io piangevo, lui rideva come un matto e sono finita con l’assecondarlo.”
 
“E poi ha strusciato la sua guancia contro la tua e così siete finiti a giocare con la torta, mentre nonno ti filmava e catturava quel momento di gioia.”
 
“A volte mi mancano certi ricordi.” Soffiò malinconia, mentre alcune lacrime le rigavano il volto.
 
“Non puoi piangere il giorno del tuo compleanno, principessa.” Brontolò suo padre, prendendo una delle sue mani e passandole il regalo impacchettato.
 
“Papà…”
 
“Non vorrai che Scott immerga di nuovo la faccia nella torta, vero?”
 
“Ma…”
 
“Senza torta, niente candeline e niente candeline significa nessun desiderio da esaudire.” Spiegò l’uomo, passandole un fazzoletto e convincendola ad asciugare quelle lacrime che, in una giornata così bella, erano fuoriposto.
 
“E va bene.” Soffiò convinta, salendo al piano di sopra e aprendo, poco dopo, l’armadio. Fu nel guardare tutti i vestiti che si sentì insoddisfatta, ma poi a occhi chiusi ne scelse uno e lo indossò, sperando che quel 27 settembre fosse fantastico.






Angolo autore:

Buonasera cari lettori, ormai credo siano chiare, anche se sono passati solo due capitoli, le mie intenzioni.
Ogni capitolo sarà un salto temporale di 5 anni con lievi ricordi dei compleanni precedenti.

Ryuk: Non mi pare ci sia qualcosa da aggiungere.

Spero soltanto che la storia vi piaccia e che non ci siano troppi errori.
Alla prossima!
 

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Capitolo 3
*** 15 anni ***


Ormai i compleanni tra i due erano sempre più speciali.
E i 15 anni che si apprestavano a compiere erano un traguardo che per la famiglia Black, a pochi giorni dalla nascita di Scott, sembrava un miraggio.
Se un solo medico avesse detto loro che il peggio era passato, non ci avrebbero mai creduto.
Scott era nato prematuro ed era chiaramente cianotico.
Quel fenomeno medico era riscontrabile solo in presenza di problemi cardiologici o in caso di infezioni alle vie respiratorie.
L’ospedale era stato chiaro: aveva poche possibilità di vita. Ci voleva un miracolo perché un neonato così piccolo e gracile riuscisse a passare il normale ciclo di cure.
Questo gli avevano confidato qualche mese prima e lui aveva posto la domanda cui sperava di ricevere risposta da tanto: avevano conosciuto in quel modo la famiglia Light?
In minima parte si poteva affermare che era così, con una piccola differenza di non poco conto: la signora Light aveva avuto una gravidanza tranquilla.
Le due future mamme avevano condiviso la stessa stanza e quando erano nati i loro tesori, si erano ripromesse di non perdersi di vista. Ma la bontà della famiglia Light andava oltre simili promesse: appresa la notizia che la vita di Scott Black era appesa a un filo, la madre di Dawn aveva preteso di rimanere in ospedale per qualche giorno in più e anche una volta uscita le aveva fatto visita regolarmente per farle forza e per sperare in un miracolo.
Avevano pregato a lungo e forse il miracolo era davvero accorso a loro: le condizioni del piccolo erano migliorate a tal punto da farlo uscire dopo 20 giorni dall’inizio del trattamento.
Quando le due famiglie uscirono insieme dall’ospedale, si guardarono intensamente e pensarono che potesse essere interessante vedere i loro pargoli crescere insieme.
E così fu: avrebbero festeggiato il compleanno insieme e talvolta pure Natale e Pasqua, sarebbero andati nelle stesse scuole e anche il periodo estivo li avrebbe visti vicini con la speranza, più che altro quella delle madri, che un giorno potessero diventare ottimi amici.
 
“Hai pensato a un bel regalo per Dawn, eh Scott?” Le chiese sua madre, posando la rivista di cucina sul tavolino del salotto e fissando il figlio che da lì a poco avrebbe festeggiato i suoi 15 anni.
 
“Come sempre.”
 
“E cosa di preciso?” Domandò Alberta, occupando un posto sul divano.
 
“Siete davvero delle impiccione.”
 
“Lo dicevi anche di Dawn, quando ti chiedeva cosa avevi intenzione di regalarle.”
 
“Io…”
 
“Poi, però, hai cambiato idea.” Sibilò la sorella che in certi frangenti, con quella sua dannata lingua lunga e tagliente, le ricordava un qualche serpente.
 
“Per me ha cambiato idea, perché un po’ le piace.” Borbottò suo padre che era rientrato da qualche secondo dalla sua solita passeggiata mattutina e aveva ascoltato quello scambio di battute.
 
“Papà…”
 
“Non preoccuparti Scott, non ce ne siamo accorti.” Rise sua madre, contagiando anche Alberta.
 
“Non è che mi piace.”
 
“Però non puoi nemmeno negare che ti lasci indifferente.”
 
“Sono solo un po’ confuso, Alberta.” Replicò, scrollando le spalle.
 
“E la cosa può causarti alcuni problemi.” Sospirò la maggiore, rispondendo al contempo anche al fidanzato che le aveva appena inviato un messaggino.
 
“Non ci hai ancora detto che cosa le hai regalato.” Brontolò la madre, facendolo sospirare.
 
“Ho speso anche gli spiccioli dell’anno scorso, ma alla fine ho optato per un set completo di trucchi.”
 
“Quanto completo?” Chiese la sorella.
 
“La commessa del negozio mi ha assicurato che è il set più grande che avevano in negozio e ho dovuto fare tre giri per portarlo tutto a casa.”
 
“Più il regalo è costoso, più si spera nel seguito.” Osservò suo padre che, agli occhi del figlio, era il massimo esperto in fatto d’amore.
Se era riuscito a conquistare quella iena di sua madre, allora doveva aver usato delle doti nascoste che chissà dov’erano finite.
 
“Mi basta renderla felice.”
 
“A 10 anni volevi renderla felice, a 12 anni volevi il suo sorriso, a 14 anni volevi il suo grazie e ora in cosa speri?”
 
“Io…”
 
“Papà…non dovresti confondere i pochi neuroni presenti nel cervello del mio fratellino.” Brontolò Alberta, facendo risentire il diretto interessato che le pizzicò con rabbia la coscia scoperta.
 
“Ehi!”
 
“Ricordati, comunque, che non puoi alternare ottimi regali a periodi nei quali non sai nemmeno dove sbattere la testa.”
 
“Che significa?”
 
“Che negli ultimi tre compleanni hai riciclato sempre la stessa idea: un mazzo di rose rosse e speravi di renderla felice.” Sospirò suo padre.
 
“Questa volta sono sicuro che le piacerà.” Borbottò il rosso, ritornando nella sua stanza e iniziando a impacchettare il suo maxi regalo.




 
Spesso Dawn Light aveva difficoltà a comprare un regalo degno all’amico.
Aveva già attinto tante volte nei suoi gusti e aveva sempre fatto, come se fosse una cosa impossibile, centro.
Ora, però, gli sembrava sempre più complicato. Per quell’anno se l’era cavata con un cd introvabile di una delle sue band preferite, ma per l’anno prossimo avrebbe dovuto inventarsi un nuovo piano.
D’altro canto sentiva di essere quasi alla pari con lui.
I loro ultimi regali erano stati davvero complicati, ma anche se lui le avesse regalato la Luna, Dawn sentiva che ne sarebbe rimasta insoddisfatta.
Faticava a spiegarlo solo con le parole, ma quando gli stava vicino tutto il resto diventava inconsistente.
Era quando si allontanavano e ognuno tornava alle proprie abitazioni, che la cosa gli creava qualche piccolo fastidio.
Anche se erano partiti con un rapporto pessimo, s’intende i primi compleanni, ora lei sentiva di non poter vivere senza quell’amico così speciale.
Avevano troppi ricordi in comune e anche se alcuni famigliari non erano più a questo mondo per festeggiare il loro compleanno, a lei bastava che Scott fosse presente e che fingesse di tuffarsi con il viso, così come quando avevano sette anni, sulla sua fetta di torta.
Eppure le sarebbe piaciuto che si accorgesse dei suoi sentimenti, ma i maschi, specie a quell’età, erano così immaturi che non si accorgevano di qualcosa nemmeno se gli cadeva dritta sulla zucca. Nemmeno se gli avesse scritto un bigliettino dove esternava chiaramente tutti i suoi sentimenti, lui ci avrebbe capito qualcosa e sarebbe finito con il credere che tutto si trattasse di uno scherzo innocente, atto solamente a farlo arrossire.
 
“Sembri stanca Dawn.” Tentò Scott che, durante quel pranzo, aveva provato di tutto pur di farla ridere, ricorrendo perfino a qualche innocente scherzo con cui infastidire Alberta, troppo presa a chattare per parlare con gli altri ospiti.
 
“Non so se il mio regalo ti piacerà.” Ammise, vergognandosi profondamente per quella timidezza che non riusciva a superare e che le impediva di accettare o di esporre i suoi sentimenti.
 
“L’importante è il pensiero e poi non sarà peggiore di quello scarafaggio morto che ti ho dato quand’eravamo bambini.”
 
“Lo so.” Borbottò triste, ignorando il brindisi dei suoi genitori e costringendo l’amico a fare altrettanto, quasi condividesse il medesimo malessere.
 
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Chiese, assecondando il suo senso di colpa.
 
“No.”
 
“E allora perché non ridi?”
 
“Perché dovrei ridere?”
 
“Perché se accetto di venire a casa tua, è solo per vederti sorridere e per condividere qualche risata con te.”
 
“Come?”
 
“Non hai capito che è questo il più bel regalo che puoi farmi?” Domandò con voce ridotta a un sussurro.
 
“Io…”
 
“Il regalo fisico è solo un contorno di poco conto: se tu sei felice, a me sta bene qualsiasi cosa, perfino una lezione con lo stramaledetto McLean.” Ringhiò il rosso, rievocando l’immagine del prof di matematica che qualche mese prima l’aveva minacciato con un debito, superato solo grazie agli intensi ripassi pomeridiani in biblioteca.
 
“Scott…”
 
“Ma se sei giù di morale, io divento triste e ciò mi porta a pensare che abbia sbagliato qualcosa, costringendomi a una notte insonne.”
 
“Mi spiace.” Soffiò, accarezzandogli una mano e ritirandola subito per la paura che i suoi famigliari fraintendessero le sue intenzioni.
 
“Tornando a questa festa, devo dire che la torta di tua madre era deliziosa.” Sviò il rosso che non si aspettava quel contatto improvviso.
 
“Le ho dato una mano sai?”
 
“Una mano? Tu? Credo che questa sera mi toccherà una bella lavanda gastrica.” La provocò, facendola scattare.
 
“Ehi!” Protestò, pizzicandogli una guancia.
 
“Stavo solo scherzando.” Si difese, riempiendo il bicchiere della ragazza di Coca Cola, quasi volesse farsi perdonare per quell’innocente provocazione.
 
“Detesto quando fai così.”
 
“Dovevi reagire.” Soffiò, scusandosi per quel comportamento infantile.
 
“Io…”
 
“La crema era deliziosa e le decorazioni, che sicuramente sono opera tua, potevano far invidia a una qualche pasticciera.” Si complimentò, accarezzandole i lunghi capelli e facendola sospirare.
 
“Davvero?”
 
“Non mento mai quando si tratta di cibo.”
 
“Come fai a sapere che le decorazioni sono merito mio?” S’incuriosì la giovane, girandosi a fissarlo e ritrovandosi il suo volto a poca distanza, quasi volesse confidarle il suo segreto.
 
“Ho guardato i tuoi ultimi disegni sul quaderno d’arte e questi, oltre a essere molto belli, erano quasi uguali a quelli che hai messo sulla torta.”
 
“Hai fatto centro.”
 
“Per una volta riesco a indovinare tutto senza commettere sbagli.”
 
“Io…”
 
“Ora che abbiamo mangiato e sei felice, potresti seguirmi?” Le bisbigliò, rimanendo inudibile alle orecchie dei vari zii e cugini che erano accorsi per quella festa.
 
“Seguirti? E dove?” Domandò dubbiosa, mentre Scott si alzava in piedi e chiedeva al padre le chiavi dell’auto per recuperare dal bagagliaio il regalo all’amica.
 
“Non riesco a portare il tuo regalo da solo.” Si scusò, aprendo la porta che conduceva nel minuscolo giardino e poi nella rimessa dove era stata messa la carriola blu scura del suo vecchio.
 
“Un cavaliere non dovrebbe spingere la sua principessa a fare sforzi simili.” Lo canzonò Dawn, ricordandogli dell’ammissione che aveva ascoltato qualche mese prima.
 
“Se non la finisci, è l’ultima volta che ti chiamo principessa.”
 
“Mi piace quando sei così galante.” Borbottò Dawn, facendolo arrossire per via di quel complimento assai insolito.
 
“Hai paura che possa far girare la voce che sei una strega come quella delle fiabe che guardavamo da piccoli?”
 
“Non proprio.”
 
“E allora di cosa?”
 
“Non voglio che tu dica che sono odiosa: mi farebbe soffrire.” Sospirò, abbassando la testa e rattristandosi per quella considerazione.
 
“Tu non sarai mai cattiva, Dawn.” La rincuorò il rosso, aprendo il bagagliaio e porgendo alla giovane la scatola più piccola da portare dentro. Le altre due, seppur con fatica, era riuscito a trascinarle fino al salotto, dove, varcata la porta, ricevette l’aiuto del signor Light.
 
Erano bastati pochi secondi per sparecchiare e i due avevano iniziato ad aprire i regali.
Dawn, aprendo il pacco che aveva portato fino alla tavola, non credeva che Scott fosse stato così matto da comprarle tutta quell’abbondanza e lui stesso dubitava dell’esistenza di un disco che era stato pubblicato solo in pochissime copie.
Prima di questi regali avevano aperto quelli dei parenti, ma quelle sorprese erano destinate a spodestare per importanza ciò che nonni, zii e cugini avevano pensato per loro.
La giovane si ritrovò sommersa da una marea di trucchi e, mentre i parenti erano sbalorditi da quella visione, si girò per costatare che il suo sforzo fosse stato apprezzato da Scott.
Quest’ultimo non solo ne era felice, ma sembrava non vedesse l’ora di chiudersi in stanza per mettere quel disco che, secondo il suo negoziante di fiducia, era praticamente introvabile.
Dawn aveva girato ben 10 città per trovarlo e dopo tutti i negozi di dischi si era quasi rassegnata: il primo album inedito con tanto di stampa fosforescente e autografato dal batterista, prima che quest’ultimo abbandonasse la band, era cosa introvabile. Solo in un mercatino dell’antiquariato aveva avuto fortuna e, anche se suo padre aveva contrattato a lungo per il prezzo, alla fine sentiva che Scott non se lo aspettava.
Era così presa a guardare i vari smalti e a confrontare i diversi colori che non sentì della proposta di suo padre per un nuovo brindisi.
Non aveva prestato minimamente attenzione al suo discorso. Ormai i discorsi dei loro genitori erano sempre uguali: in entrambe le abitazioni si lanciavano su ricordi frammentari e su speranze per il futuro prossimo che li attendeva.
Come nei tre anni precedenti, Dawn non fece una piega, ma fu quando sentì due labbra posarsi sulla sua candida guancia, che si risvegliò e si voltò sorpresa alla sua sinistra.
 
“Grazie Dawn…sei davvero speciale per me.” Aveva soffiato Scott, staccandosi da quel contatto che aveva fatto arrossire l’amica e che le aveva restituito il suo inconfondibile sorriso.






Angolo autore:

Allora cari lettori, cosa ne pensate?

Ryuk: Non siate timidi...sbriciolate il piccolo cuoricino di rocchi.

Eh?
Ti ricordo che sei stato tu a partire in quarta con quest'idea: io ti ho solo assecondato e aggiunto parti divertenti (vedasi scarafaggio, primo capitolo in assoluto e alcune piccole parti sparse qua e là nel resto della serie).

Ryuk: Speriamo che la storia vi stia piacendo.

Non appena avrò un po' di tempo, risponderò anche alle recensioni che mi sono arrivate, ma intanto aggiorno.
Piccolo spoiler: nel prossimo capitolo faranno un cameo, senza battute, alcuni personaggi che ho dimenticato d'inserire nella scheda iniziale.

Ryuk: Pessima memoria.

Non immagini neanche quanto, Ryuk.
Alla prossima!
 

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Capitolo 4
*** 20 anni ***


Di solito Scott odiava dare brutte notizie per telefono.
Aveva sempre detestato la scuola e l’Università, con i suoi esami, aveva confermato quell’antipatia comune: quell’anno non poteva allontanarsi dalla sede per nessun motivo e doveva, anzi, studiare a dovere per prepararsi a un test propedeutico al primo esame.
Era riuscito soltanto ad avvertire la sua famiglia di quel spiacevole contrattempo e li aveva pregati di andare comunque alla festa.
Purtroppo non poteva staccare nemmeno per un minuto e quel 27 settembre avrebbe rotto la tradizione che perdurava da tanti anni.
A essere sinceri girava voce che il motivo fosse un altro, ma per non ferire la festeggiata, Alberta e i suoi genitori avevano imbastito quell’innocente bugia.
 
“Perché non possiamo rinviare la festa?” Chiese Dawn, guardando nuovamente verso la madre.
 
“Sai che tuo zio Steve viene da fuori città solo per questo motivo e non puoi avvertirlo con uno così scarso margine di tempo.”
 
“Ma io…”
 
“So bene che è una tradizione cui eri molto legata, Dawn.”
 
“Non è questo che mi rende triste.” Ammise, torturandosi le mani e rileggendo la ricetta della torta che sua madre stava preparando con grande impegno.
 
“Vorresti che Scott fosse presente come al solito, ma hai sentito cosa lo preoccupa.” Replicò la donna, mescolando le uova e lo zucchero.
 
“Senza di lui non sarà la stessa cosa.” Brontolò Dawn, andando verso il salotto con il chiaro intento di apparecchiare la tavola e di non considerare quel posto che aveva sempre voluto vicino a sé.
 
“Perché lui ti piace, vero?” Domandò il padre, facendola sussultare.
 
“Io…”
 
“È da parecchio che l’abbiamo notato, ma tu non hai mai fatto la prima mossa e questo l’ha spinto tra le braccia di Courtney.”
 
“L’aveva spinto: si sono lasciati.” Precisò Dawn.
 
“Sei così sicura che non siano tornati insieme?” S’inserì la madre.
 
“Come?” Chiese la giovane, guardando verso la donna che si era lasciata sfuggire qualche parola di troppo.
 
“Sua madre non sapeva nulla di questo esame.” Ammise, notando come la figlia si stesse lentamente spegnendo e come i bicchieri avessero rischiato di scivolarle dalle mani per poi andare in frantumi non appena avessero toccato il pavimento.
 
“Mi ha mentito? Perché?”
 
“Suo padre, quando eravate piccoli, gli aveva promesso che, una volta maggiorenne, sarebbe stato libero di fare come meglio credeva. Si può dire che è rimasto fedele alla tradizione per qualche anno, ma poi si dev’essere stancato di stare in mezzo a tanti vecchi.”
 
“Eh?”
 
“Prova a metterti nei suoi panni, Dawn: sei l’unica ad avere la sua età e che può capire che cosa prova.”
 
“Non è giusto!” Ringhiò frustrata per quella scelta che avrebbe pregiudicato la sua amata festa.
 
“Anche tu festeggi il tuo compleanno con Zoey e Bridgette.” Tentò il padre, venendo incenerito dallo sguardo della figlia.
 
“Ma lo festeggio sempre il giorno dopo.” Replicò seccata.
 
“Probabilmente non può festeggiare per due giorni consecutivi e quest’anno ha deciso di organizzarsi con i suoi amici e con la sua ragazza.”
 
“Courtney?” Domandò Dawn, facendo annuire la madre.
 
“Temo di sì.”
 
“Lui me l’avrebbe detto che è tornato insieme a Courtney.” Ribatté con la speranza che si trattasse solo di una frottola.
 
“E perché avrebbe dovuto?”
 
“Perché noi siamo amici.”
 
“Come quella volta che gli hai fatto una scenata di gelosia solo perché Courtney l’aveva invitato al ballo di fine anno?” Continuò la donna, sistemando i lunghi capelli che in alcuni punti mostravano i primi segnali di decadimento.
 
“Io…”
 
“Ammetti per una buona volta che sei gelosa e che lui ti piaceva: ti sentirai di sicuro molto meglio.”
 
“Questo è l’ultimo compleanno che organizzerete: dal prossimo mai più.” Ringhiò furibonda, sviando dall’affermazione dei suoi genitori e facendoli sussultare.
 
“Sei stata un po’ sciocca, Dawn. Avevi l’occasione di conquistarlo e te la sei fatta scappare.” La rimproverò sua madre.
 
“Ma lui non mi ha dato tempo.”
 
“Se ti fossi mossa in anticipo, a quest’ora non ti lamenteresti di una tradizione andata distrutta. Magari anche tu gli piacevi.”
 
“Io gli piacevo?” Chiese Dawn, girandosi verso il padre che si ritrovò ad annuire.
 
“Può essere.” Nicchiò, non sapendo se la consorte avesse fatto centro o li stesse trollando entrambi.
 
“Aiuto sto andando in confusione.”
 
“Confusione o meno tra qualche ora sarà il tuo compleanno e riceverai il tuo classico regalo.” Tuonò suo padre, facendola sospirare
 
“Accetto tutto questo, ma non capisco perché siano presenti anche i genitori di Scott.”
 
“È stato lui a pretendere che fossero invitati.” Spiegò la madre, continuando a seguire la ricetta della sua torta al cioccolato e panna.
 
“Capisco.” Soffiò avvilita, salendo in camera.
 
Nel salire gli scalini faticava a credere che lui fosse capace di tirare pacco in quel modo.
Credeva di contare qualcosa e invece era stata scartata non appena aveva avuto la possibilità di uscire e festeggiare con i suoi amici.
L’aveva chiaramente dimenticata.
E quando si dimentica una cosa, spesso è difficile ricordarsi nuovamente della sua esistenza. Dawn sentiva che sarebbe rimasta indietro sempre di più e che, tra qualche anno, la festa avrebbe cessato d’esistere.
Già aveva dovuto accontentarsi degli auguri telefonici dei nonni materni, troppo lontani e malati per un viaggio così lungo. Poi aveva dovuto digerire la morte del nonno paterno, quello dei famosi filmati, e la fuga all’estero di uno zio e relativo ramo famigliare dalla parte di suo padre.
D’altro canto anche Scott aveva avuto la sua bella dose di sfortuna: gli era rimasta solo la nonna materna e questo vuoto gli aveva sempre causato un profondo dolore che, nonostante tutto, non era ancora riuscito a colmare.
E anche la sera dell’anno prima, quando si erano chiusi in camera e l’aveva coccolata a lungo, addormentandosi sul suo letto, Scott aveva promesso che si sarebbero sempre ritrovati a festeggiare quel 27 settembre, senza mai accennare a una scusa o a un ripensamento dell’ultimo minuto.
Dawn, stranamente, ci era cascata. Lei che aveva sempre dubitato delle varie promesse che incrociavano il suo cammino, si era fidata del suo migliore amico.
Un po’ lo odiava per questo, ma sentiva di dover riversare quel sentimento negativo verso sé stessa. Era lei ad aver sbagliato.
Chi aveva riposto la sua fiducia in un ragazzo che da piccolo le faceva un mare di dispetti?
Chi aveva creduto che i maschi potessero crescere e diventassero abili a dimenticare gli aspetti negativi dei primi anni di vita?
Era stata lei a illudersi.
E non aveva illuso solo la sua mente, ma anche il suo cuore.
Ora che si sentiva sola poteva ripetere che lo amava, ma che era troppo tardi per muoversi.
Scott era destinato a dimenticarla.
Un giorno, magari, avrebbe avuto la sensazione di condividere qualcosa con una persona speciale, ma non avrebbe mai collegato le cose.
Era come quando finiva la scuola: tempo pochi anni e aveva dimenticato il nome e il cognome di quasi tutti i suoi compagni.
E ora mancava solo d’aprire quel maledetto regalo.
Per tutto il tempo era rimasta al suo posto, a mangiare in silenzio e a sollevare raramente lo sguardo dal suo piatto.
 
“È tempo del tuo regalo, Dawn.” Aveva borbottato la signora Black, ridestandola dai suoi pensieri.
 
“Va bene.”
 
“Questa volta, però, il regalo è un po’ complicato da portare e dovrai metterti questa benda.” Continuò suo padre, porgendo alla figlia un nastro rosa da mettere davanti agli occhi.
 
“D’accordo.”
 
“E non potrai toglierla per nessun motivo.” Continuò la madre, passando una mano davanti agli occhi della figlia per essere sicura che non stesse imbrogliando.
 
“Sì, sì…ho capito.” Soffiò, abbassando la testa.
 
“Un’ultima cosa: non arrabbiarti.” Concluse suo padre, mentre un cugino la invitava ad alzarsi e le spostava galantemente la sedia.
 
“Mi basta che tutto questo abbia presto fine.” Mugugnò, lasciandosi trasportare.
 
In sottofondo poteva sentire che il padre aveva preteso silenzio e che nessuno aprisse bocca per commentare il regalo.
Prima, però, aveva spostato con gli altri uomini della famiglia il grande tavolo e poi aveva bisbigliato nelle orecchie dei presenti.
Se qualcuno avesse osato dire qualcosa, avrebbe chiesto al padre di Scott il fucile in prestito e avrebbe fatto una carneficina.
Per Dawn qualsiasi regalo era inutile. Non c’era niente che potesse restituirle il sorriso.
Prima di seguire l’ordine della sua famiglia, aveva sentito un fruscio e un profumo pungente. Probabilmente si trattava di un qualche vecchio amico di famiglia che non vedeva da una vita e che era stato invitato per farle dimenticare Scott.
 
“Ora puoi togliere la benda.” Le suggerì la madre.
 
“D’accordo.” Soffiò, sfilandosela e trovandosi davanti il suo regalo che la lasciò senza parole.
 
Stentava a crederci.
Era davvero quello il suo regalo?
Possibile che fosse stato tutto un trucco per farle abbassare la guardia e per nascondere ciò che non sarebbe mai stato possibile?
Rimasta a bocca aperta, tentò di sfiorare quel pensiero, ma subito ritrasse la mano spaventata, credendo erroneamente che si trattasse di un qualche spettro o magari di una proiezione olografica di quel geniaccio di suo cugino.
 
“Io…”
 
“È da tanto che non ci vediamo, Dawn.” La salutò, porgendole un mazzo di fiori e cancellando i suoi momentanei dubbi.
 
“Tu?”
 
“Che festa sarebbe stata senza una sorpresa inaspettata?” Chiese con uno dei suoi soliti ghigni, mentre lei prendeva e annusava le rose e le appoggiava su una sedia vuota.
 
“Perché? Non ci si comporta così.” Replicò, fissandolo con rabbia.
 
“Credevi davvero che avrei mai rinunciato alla nostra festa?”
 
“Pensavo che mi avessi mentito e i miei genitori avevano detto che…”
 
“Loro mi sono stati complici in questa trovata.” Mormorò, rivolgendo ai signori Light un sorriso di ringraziamento.
 
“Non è giusto.” Protestò con le lacrime agli occhi.
 
“Dawn…”
 
“Perché sei stato così cattivo da ingannarmi? Non volevo credere che tu mi avessi dimenticato e poi mi dici che è uno scherzo?”
 
“Se avessi immaginato che l’avresti presa così male, non l’avrei mai fatto.” Si scusò, abbassando il capo convinto che lei avesse ragione.
 
“Ed io sono stata così cieca da credere che tu mi avessi dimenticato. Ero così arrabbiata che non ti ho comprato nulla.” Borbottò, facendolo sospirare.
 
“Dovevo aspettarmelo: non tutti i piani riescono alla perfezione.”
 
“Ma ora tu sei qui e non sono più arrabbiata o triste.”
 
“E anch’io non ti ho fatto un regalo.” Brontolò il rosso.
 
“Questo è il più bel regalo che potessi farmi.”
 
“A dire il vero sono un pessimo bugiardo: questo foglietto è tutto per te.” Soffiò, porgendole una busta che lei aprì all’istante e che conteneva un viaggio aereo spesato con vitto e alloggio in uno degli hotel migliori di Sidney.
 
“Mi sento in colpa.”
 
“Non ci pensare: va tutto meravigliosamente bene.” La rincuorò, avvicinandosi per stringerla in uno dei suoi soliti abbracci.
 
Scott faticava a ricordare l’ultima volta che erano stati alla stessa altezza.
Se aveva buona memoria verso i 13-14 anni erano uguali, ma poi la pubertà aveva avuto i suoi effetti e il suo fisico aveva ricevuto una sterzata improvvisa.
Era cresciuto di una ventina abbondante di centimetri, gli era cresciuta la barba, la sua voce era diventata molto più calda e mascolina e gli erano cresciuti una marea di peli che lo facevano sembrare un qualche strano animale selvatico. Anche lei, però, durante la famosa pubertà, di qualche mese in anticipo e con sua profonda invidia per quei due centimetri scarsi con cui l’aveva staccato, era cambiata.
Magari non era diventata altissima o il suo viso non si era evoluto come ci si aspetta normalmente, ma era sicuramente più sexy.
Le sue forme si erano fatte un po’ più rotonde, cosa che Scott aveva iniziato ad apprezzare da qualche anno, e la sua fragilità sembrava essere diminuita.
Ora, però, faticava a fissarla direttamente negli occhi.
Doveva abbassarsi se voleva essere alla sua altezza, sempre che non si accontentasse di sentire la sua testa all’altezza del cuore.
Se avesse percepito il suo battito, però, si sarebbe fatta una marea di paranoie e si sarebbe chiesta di quale patologia cardiaca stesse soffrendo, rendendo inutile la scusa dettata dal fatto che quello era solo un affetto incondizionato che da diverso tempo era diventato amore.
L’aveva capito limpidamente da quando aveva iniziato l’Università e non poteva più vedere spesso la sua piccola Dawn.
Quella che all’inizio era solo una seccatura o una mocciosa petulante, era diventato il tesoro più prezioso che poteva conquistare.
Courtney era stata solo una breve parentesi del quinto anno delle superiori: sfruttato come uno schiavo per far ingelosire il suo ex, ormai attaccatosi a mo’ di ventosa verso una ragazza dark, Scott era stato selezionato un po’ a casaccio.
Il punk e la dark del liceo: era il quadretto più stomachevole tra colori tetri che il rosso avesse mai visto in vita sua. E sotto questo punto di vista, lui era soltanto un rimpiazzo.
Era un mezzo per far incavolare Duncan, per mettere i bastoni tra le ruote alla sua novella relazione con Gwen e per rovinare la bella amicizia che lo legava a Dawn e che sembrava pronta a sbocciare e a evolversi in qualcosa di più intrigante.
Avevano litigato a lungo e forse lei non l’aveva ancora del tutto perdonato per quel bacio che Courtney gli aveva dato in cortile a inizio maggio: lui non lo voleva, ma Dawn era così furiosa che erano finiti con lo discutere animatamente e Scott, per ripicca e con tante offese a pesargli sul groppone, aveva confermato la loro breve relazione di appena dieci giorni.
Ne erano bastati altrettanti per lasciarlo con il cuore infranto, sempre che un mese fosse sufficiente per una storiella senza capo né coda.
Nel vederla scappare con le lacrime agli occhi, però, aveva capito che Dawn e la gelosia non andavano troppo d’accordo e che faticava parecchio a celarla dietro una maschera d’indifferenza.
 
“Che regalo posso farti, Scott?” Domandò, staccandosi e fissandolo intensamente.
 
“Perché sei così fissata con questi regali?”
 
“Perché non mi sembra giusto che io abbia sempre ottenuto ciò che volevo e tu no.”
 
“Non credevo che lo scarafaggio ti fosse piaciuto.” Replicò divertito, facendola negare con decisione.
 
“Sai che cosa intendo dire.”
 
“Anche pensandoci a fondo, non credo che tu possa comprare qualcosa in questi pochi secondi.” Borbottò, grattandosi la nuca.
 
“Non c’è niente che possa fare per sdebitarmi?”
 
“Te l’ho già detto tempo fa mi sembra: il più bel regalo che puoi farmi è il tuo sorriso.” Mormorò imbarazzato, facendola arrossire.
 
“Ho bisogno di saperlo, Scott. Non voglio sentirmi in colpa.” Tentò, ricevendo una carezza che la fece sussultare e che la spinse a perdersi nei suoi occhi malinconici.
 
“Se proprio vuoi saperlo, un regalo ci sarebbe, ma è abbastanza egoista e pretenzioso.” Commentò, sbirciando verso gli invitati.
 
“Quale regalo vorresti?” Chiese nuovamente, convinta che Scott stesse esagerando come al suo solito.
 
“Vorrei solo che non ti arrabbiassi con me.”
 
“Non è questo il tuo regalo.” Replicò infastidita, allontanando quella mano e facendolo sorridere mestamente.
 
“Io…”
 
“Di cosa hai paura, Scott? Da quando non credi che la tua migliore amica sia in grado di aiutarti?”
 
“È questo il problema.”
 
“Hmm?”
 
“Ho paura che questa richiesta possa distruggere tutto quello cui sono maggiormente legato.”
 
“Anche tu hai paura di perdere qualcosa? Vorrei comunque conoscere cosa desideri e ti consiglio di rispondermi, altrimenti questo sarà l’ultimo compleanno che festeggeremo insieme.” Lo minacciò, facendolo sospirare.
 
“Voglio te, Dawn.” Mormorò, arrossendo all’istante.
 
“Me? Che cosa significa?”
 
“So che forse ti sembrerò precipitoso, ma con tutto quello che abbiamo passato, vorrei provare a essere il tuo ragazzo.” Soffiò intimorito.
 
“Tu? Il mio ragazzo? Non mi stai prendendo in giro, vero?” Chiese la giovane, fissandolo negli occhi quasi volesse stabilire se era sincero o se stava tramando qualcosa alle sue spalle.
 
“Da quando sono così disgraziato da ingannare il mio cuore e tutti i presenti?” S’informò, prendendo la mano della ragazza e mettendola sul suo petto.
 
“Scott…”
 
“Lo senti? Lui batte così forte solo quando ci sei tu.”
 
“Io…”
 
“So che pretendo troppo e non posso essere certo che tu sia innamorata di me, ma volevo che sapessi la verità. È da diverso tempo che non riesco più nemmeno a dormire se la mattina non ci vediamo al nostro solito posto.”
 
“Non lo sapevo.” Mormorò sorpresa, rievocando nella sua mente l’immagine del bar dove consumavano la colazione e dove restavano a lungo per confrontarsi su sogni e progetti.
 
“Raramente, quando riesco a prendere sonno, ti sogno la notte e poi mi chiedo se è la giornata buona per rivederti e per farti disperare.”
 
“Perché?”
 
“È da tanto che volevo farti conoscere la verità, ma desideravo che tutto questo avesse degna conclusione nel primo giorno che abbiamo condiviso in questa città.”
 
“Sì.” Soffiò felice con le lacrime agli occhi.
 
“Non potevi rendermi più felice.” Si rallegrò, regalandole il primo bacio della sua vita.
 
In sottofondo Dawn riusciva a sentire i vari commenti della sua famiglia, ma di certo non si aspettava un’ultima sorpresa dal suo Scott.
Quell’anno aveva fatto le cose in grande e non si era accontentato del solito mazzo di rosse.
Sembrava quasi volesse farsi perdonare con gli interessi per la scarsa inventiva di alcuni regali precedenti.
Talvolta, però, era stata solo pigrizia.
Alcune volte, tranne che per il caso dello scarafaggio - lì era pura e semplice cattiveria da mocciosi -, si era mosso con ritardo e aveva comprato la prima cosa che sperava potesse cavarlo dagli impicci.
Ora, però, che lo stringeva e si rifiutava di lasciarlo andare, Dawn non si pentiva d’aver illuso il suo cuore.
Lui aveva solo finto di dimenticarsi e di allontanarsi da lei. Il suo piano aveva funzionato alla perfezione e lei ci era cascata con tutte le scarpe.
Staccatosi con fatica dal bacio e dalla stretta della ragazza, Scott le carezzò lievemente la schiena e poi riprese in mano il biglietto aereo che le aveva comprato con fatica.
 
“Che c’è Scott?” Domandò lei nuovamente.
 
“L’Australia è un bel posto.” Commentò divertito.
 
“Lo spero.”
 
“I canguri, la natura selvaggia, altri animali che non conosco, monumenti di tutti i tipi, alcuni aborigeni, cibi bizzarri…” Elencò con il suo solito sorriso.
 
“Ci sono tante belle cose da vedere.”
 
“E sarà ancora più bella se la condividiamo.” Borbottò, estraendo dalla tasca dei suoi jeans un secondo biglietto aereo e unendolo a quello della fidanzata.
 
“Anche tu?”
 
“Non ti lascerò mai andare da sola. Come faccio a vivere per due settimane senza la mia piccola e dolce Dawn?”
 
“Se non venivi con me, sarei rimasta a casa.” Replicò lei, alzandosi in punta di piedi e lasciandosi andare a un bacio appassionato con il suo Scott.








Angolo autore:

Ryuk: Il capitolo più lungo di questa minuscola serie.

A volte capita di esagerare.
Speriamo solo sia di vostro gradimento e che non vi siano troppi errori.
Nel prossimo capitolo vedremo i 25 anni di questi babb...ehm ragazzi.
Alla prossima!
 

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Capitolo 5
*** 25 anni ***


Di solito non aveva mai considerato le cifre tonde.
Perché avrebbe dovuto soffermarsi su un qualcosa di simile?
Quando non aveva niente da fare e si annoiava a morte, contava da quanto non vedeva un compagno, un professore o perfino quel bidello complice che, quando era in punizione, passava le chiavi dell’aula a Dawn per farli stare insieme.
E tutte le volte arrotondava per difetto o per eccesso.
Erano quasi una dozzina d’anni che McLean continuava a bestemmiare regole matematiche senza più averlo in mezzo ai piedi.
Erano quasi otto anni che il bidello pensionato non apriva la stanza 3B, quella più piccola e spenta della scuola, facendo chiaramente intendere che non dovevano far parola con nessuno di quella gentilezza. Se il preside Hatchet avesse saputo che cosa accadeva, probabilmente gli avrebbe tirato le orecchie, per poi multarlo pesantemente.
Questi semplici anniversari che erano intercorsi, però, li dimenticava velocemente.
Non era ritornato a scuola, dove non ricordava quasi mai una determinata data storica, quello era semplicemente il livello d’importanza cui attribuiva certe cose.
Quell’anno, però, era speciale.
Era sì una cifra tonda, ma non l’avrebbe dimenticata.
Ora si sentiva chiaramente pronto e non aveva più il timore o il pensiero di essere ancora immaturo per avventurarsi in una direzione simile.
Quello era il loro 25° compleanno e non aveva intenzione di farlo passare sottotraccia.
I suoi genitori avevano festeggiato recentemente le nozze d’argento e voleva dargli un ottimo motivo per brindare.
Questa volta, però, un po’ per paura e un po’ per riservatezza, c’erano solo i loro genitori.
Niente zii, cugini o altro ancora: il rosso aveva preteso che la tradizione si evolvesse per un ottimo motivo e che rimanesse tale almeno per quell’unico anno.
Nessuno conosceva le ragioni che lo spingevano verso quella richiesta e, nemmeno durante il pranzo, aveva fatto trasparire qualche indizio.
Continuava solo a guardare l’orologio che aveva al polso e a tastarsi le tasche dei jeans.
 
“Sei strano Scott.” Gli aveva fatto notare sua madre.
 
“Non credevo che il lavoro fosse una cosa così dura, altro che la scuola.” Nicchiò, scrollando le spalle e rifacendosi ai massacranti turni in fabbrica.
 
“Dovresti riguardarti un po’, piccolo Scott.” Le consigliò la sorella 31enne che non avrebbe mai rinunciato al pranzo in famiglia, anche se questo significava mandare il suo uomo, un tale Richard, dalla sua futura e odiata suocera.
 
“Non sono più piccolo!” Replicò nervoso.
 
“È la stessa cosa che mi hai detto 15 anni fa prima della festa.” Gli ricordò, facendolo sorridere mestamente.
 
“Quando io e Dawn avevamo appena iniziato ad andare d’accordo.” Borbottò, accarezzando la mano della sua fidanzata.
 
“Ne abbiamo passate tante insieme.” Confermò la giovane, regalandogli un sorriso.
 
“A volte litighiamo per un nonnulla, ma è proprio questo a farmi capire quanto sono innamorato di te e quanto mi sentirei perso se tu non ci fossi.”
 
“Anche se continui a farmi disperare, non riesco a pensare a quanto sia stata sciocca ad aspettare che ti rendessi conto del mio amore.” Mormorò Dawn, sbuffando sconsolata.
 
“Ma io…”
 
“Alla fine tutto si è risolto per il meglio, ma alcune sere avevo il terrore che Courtney ti allontanasse da me.” Mugugnò, interrompendo sul nascere le sue classiche rassicurazioni e abbassando mestamente la testa, mentre gli invitati sembravano incoraggiare con lo sguardo il rosso perché facesse qualcosa per risollevarle l’umore.
 
“Nessuno avrebbe mai potuto ostacolare la nostra vita.” Obiettò, facendola sussultare
 
“Ma…”
 
“E nessuno deve intralciare il mio cammino: tu saresti stata la mia donna e solo tu saresti stata libera d’accettarmi o di rifiutarmi.”
 
“Scott…” Borbottò sorpresa.
 
“Se Courtney o qualche altra svitata aveva interesse in me, doveva dimostrarmelo dal primo giorno di scuola e diventare quanto di più simile al mio tesoro.”
 
“Tu…”
 
“Ma essere calcolato solo quando si ha bisogno di un favore, ignorando i miei difetti, è un qualcosa che non sopporto.”
 
“Lo so.”
 
“Tu sei sempre stata l’unica che ha cercato di conoscermi dal primo giorno, poco per volta, con una delicatezza che, non ci crederai, ma ha fatto irruenza nel mio cuore e con la tua dolcezza che mi ha spinto a diventare una persona migliore e a desiderare di stare sempre al tuo fianco.”
 
“Scott…” Bisbigliò, esibendo il suo evidente imbarazzo.
 
“Dopotutto il regalo più bello che mi hai sempre fatto non era il tuo sorriso, così come ho creduto per tanto tempo, ma l’averti vicino e il poterti rendere felice con poco.”
 
“Hmm?”
 
“Anche se sei arrabbiata e preferisci tenermi il muso, io mi sento al sicuro.”
 
“Davvero?”
 
“Ricordi, Dawn? Il lupo guarda le stelle, ma ulula solo alla Luna. E tu sei e resterai sempre la mia splendida Luna.”
 
“Perché adesso dici che il sorriso non è poi così importante?” Chiese la giovane, credendo che lui cercasse disperatamente una via di fuga, ma riscontrando al contrario una sicurezza disarmante che lei non avrebbe mai posseduto. Lei sentiva a pelle che non avrebbe mai avuto l’ardire di ammettere candidamente, davanti ai suoi genitori e senza balbettare, i sentimenti che riempivano il suo fragile corpo. Magari da soli, in salotto e senza nessuno ad ascoltarli, si sarebbe lasciata andare, ma con tutti quegli occhi a fissarla, si sarebbe sentita in imbarazzo.
 
“A volte si sorride per cose esterne alla propria vita o solo per ingannare il prossimo, ma se ti rendo felice e la tua risata riempie la camera, ciò significa che riesco nei miei intenti e che non c’è nulla di più bello del nostro amore.”
 
“Scott…”
 
“E finalmente è giunto il momento.” Soffiò, alzandosi in piedi e invitando Dawn a rimanere seduta.
 
Ora che avevano mangiato e parlato a lungo, che la torta era un lontano ricordo, tutti aspettavano pazientemente.
Prima di dimenticare il piccolo discorso che preparava da alcune sere e che lo teneva ancora insonne, mise mano alla stanca posteriore dei jeans.
Non voleva fare la figura del fesso che sbaglia davanti a tutti.
Aveva conosciuto diverse persone che al momento di un discorso o di una premiazione finivano con lo sbagliare stupidamente.
Si trattava di pochi secondi: giusto il tempo di avvertire la presenza di quella scatola e ritornò a fissare la sua Dawn, perdendosi nei suoi occhi.
Erano così belli e magnetici che ogni volta si faceva cullare dalla sensazione di pace che essi emanavano.
Scrollatosi dal torpore che l’aveva assalito all’improvviso, si ritrovò a estrarre una scatolina di un blu elettrico intenso, passandola poi alla fidanzata.
 
“Cos’è?” Chiese lei in un moto di curiosità.
 
“Se te lo dicessi che regalo sarebbe?”
 
“Non è uno scherzo, vero?” S’informò preoccupata per una sua qualche stramba inventiva.
 
“Fidati di me.”
 
“Quando parli così, ho sempre paura.” Ammise, aprendo la scatola e notando come fosse vuota.
 
“Allora?” La esortò con sguardo pieno di aspettativa e contro cui Dawn non sapeva ancora come comportarsi.
 
“Devo dire che è proprio un bello scherzo. Complimenti!” Replicò leggermente seccata, mostrandogli come non ci fosse nulla al suo interno.
 
“Uno scherzo? Non mi dire che ho fatto confusione.”
 
“Guarda tu stesso.” Lo sfidò Dawn, porgendogli il suo dono e aspettandosi che lui lo riprendesse per appoggiarlo sul tavolo.
 
“Si vede che ho perso il mio tocco magico.” Sibilò il rosso, afferrando la mano della fidanzata e inginocchiandosi ai suoi piedi.
 
“Cosa?” Sussultò sorpresa.
 
“Questa volta non sono propenso a scherzi di nessun genere e sono terribilmente serio: Dawn Light, luce dei miei occhi, vorresti diventare mia moglie?” Domandò, mettendole al dito l’anello con brillante che aveva comprato qualche mese prima.
 
“Io…”
 
“So d’essere imperfetto e di avere una marea di difetti, uno te l’ho mostrato pochi secondi fa, ma posso sistemarli.”
 
“Perché? Io ti amo così come sei.” Rise, versando qualche lacrima di gioia che le stava rovinando il trucco e che lui avrebbe tanto voluto asciugare.
 
“Ne sei sicura? Guarda che se non ti lamenti e non mi migliori quando ne hai l’occasione, non puoi farlo più.” La stuzzicò divertito.
 
“Il mio fratellino è diventato grande.” Borbottò Alberta in sottofondo, ricevendo una gomitata dalla madre e ritrovandosi costretta e bere un goccio di Spumante per rinfrescarsi la gola.
 
Nonostante tutto era fiera del fratello e sperava che l’uomo con cui stava convivendo, ereditasse in futuro, almeno metà del suo coraggio, per chiederle di fare il grande passo.
Non voleva ridursi a una vecchia decrepita con tanti gatti per casa, con della pessima musica in sottofondo e che regala schifose caramelle lanciate in giro dai bambini.
Appena fosse stato possibile, avrebbe chiesto a Scott di dare una lezione al suo ragazzo su come chiedere una mano a una donna.
E poco le importava se era lei a proporre una lezione simile: l’immagine della vecchia Blaineley che abitava poco distante e che sputava sentenze su tutto e tutti era qualcosa di sufficiente per non farle chiudere occhio per notti intere.
 
“Sei ubriaco…non mi aspettavo una cosa simile.” Soffiò Dawn, non aspettandosi la proposta di matrimonio nel giorno del loro compleanno.
 
“Se non oggi, che è il nostro giorno, quando?”
 
“Immagino tu abbia bisogno di una risposta.” Mormorò, guardando verso i suoi genitori che annuivano con la testa, quasi a farle capire che doveva accettare senza ripensamenti.
 
“Esatto.”
 
“Mi sono sempre vergognata d’ammetterlo davanti ai miei genitori, ma tu sei sempre stato sincero con me.” Mormorò, trovando il coraggio di esprimere i suoi ultimi pensieri.
 
“Che cosa stai cercando di dirmi?”
 
“All’inizio non ti sopportavo, ma ora sei il mio Sole, Scott.”
 
“Hmm?”
 
“Tu non saresti l’uomo che cammina al mio fianco e che poi mi lascerebbe nei guai.”
 
“Che cosa…”
 
“Tu sei il Sole che ha sempre illuminato la mia strada e non voglio che qualcuno possa offuscarti o portarti via da me.” Soffiò, aiutandolo a rialzarsi e baciandolo con la stessa passione che avrebbe sempre riempito i loro giovani corpi.




Angolo autore:

È ufficiale: Ryuk è riuscito a farmi venire il voltastomaco anche in questa serie.

Ryuk: Eh?

Possibile che con te tutto finisca come al solito? Che ho fatto di male per meritarmi questo?

Ryuk: Non ti piace?

Mi piace, ma il problema è che i tuoi finali sono peggio di un calcio sui denti.
Ormai ho perso anche l'interesse per cambiare sta testa dura di uno shinigami.
C'è qualcuno che è interessato a comprarselo? Gli faccio un prezzo di favore.
 
 

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Capitolo 6
*** 30 anni ***


Trent’anni sempre insieme.
Quella volta, però, le loro famiglie avevano preferito lasciare loro la giusta intimità.
Da chi era partita questa sortita? Sicuramente non da Scott che era ancora convinto di ritrovarseli in salotto, prima che sua sorella, la suocera e poi il suo vecchio s’inventassero un mare di fandonie per evitare di festeggiare.
Non che gli dispiacesse e non l’avrebbe mai urlato ai quattro venti, ma si era affezionato a quella tradizione.
Per quell’anno avrebbe festeggiato con la sua Dawn che, rimasta a casa dal lavoro grazie a qualche ora di permesso, gli aveva promesso una cenetta da leccarsi i baffi.
E dinanzi a una promessa simile, Scott si era chiesto cosa potesse regalarle.
Avevano viaggiato a lungo, si erano regalati le più belle serate della loro vita tra concerti, messaggi termali e tanto altro.
C’era stato anche parecchio amore in quelle sere, anzi soprattutto amore.
Non era un segreto che il viaggio in Australia, il primo della serie, fosse stato fatto per rimanere soli e senza nessuno a disturbarli.
Come poteva spiegare alla sua famiglia che aveva scelto un posto così lontano solo per stare nella stessa camera con Dawn senza passare per un calcolatore?
Ora, però, era con le spalle al muro.
Che cosa poteva regalare a una donna cui aveva comprato ciò di cui aveva sempre bisogno?
Possedevano una bella casa, una vettura confortevole, vivevano in un bel quartiere e il lavoro andava a gonfie vele.
Non aveva lesinato a spendere più del necessario per rendere sempre più agevole il compito di casalinga all’adorata moglie.
Sapeva che in certi frangenti doveva limitarsi un po’, anche perché ora si ritrovava senza un regalo degno da presentarle.
Poteva scamparsela con il solito mazzo di fiori, se fino l’anno prima aveva speso almeno dieci volte tanto?
Probabilmente si sarebbe guadagnato uno sguardo di rimprovero per un dono non all’altezza delle aspettative.
Una volta che aumenti il valore del tuo regalo, arrivi al momento in cui il festeggiato pretende la Luna, ma che poi è costretto ad accontentarsi di un qualcosa con un valore leggermente inferiore. Non serviva che gli dicesse o che ripetesse il solito mantra del “è più importante il pensiero”, quando era chiaro d’aver illuso le sue pretese.
Magari Dawn avrebbe capito.
Lei era una di quelle donne che non sembrava troppo preoccupata di un regalo inferiore ai suoi soliti standard. L’annata storta, dopotutto, capita a tutti nella vita e in quel frangente non poteva che essere altrimenti.
Magari l’anno prossimo si sarebbe rotto il forno o la lavatrice e avrebbe fatto uno sforzo per renderla felice, ma ora era senza idee.
 
Anche quella sera era rientrato verso le 19, ma non era folle affermare che avrebbe preferito essere a miglia e miglia di distanza pur di non dover consegnare un regalo simile alla consorte.
Era uguale a quello di tre anni prima e di sicuro il ripetersi non l’avrebbe cavato dagli impicci.
Si erano divertiti, questo è vero, ma ciò non gli sembrava sufficiente.
Lui era l’uomo della coppia, quello che portava il pane a casa e non gli andava giù di deludere in quel modo la donna per cui aveva tanto lottato.
Aveva sconfitto il suo carattere impossibile, i tentativi spregiudicati di alcuni compagni di scuola che li volevano dividere, le avances di altre ochette presto rispedite al mittente e pure la gelosia che gli riempiva le vene, pur di non perdere la sua Dawn.
E quando lei l’aveva scelto, si era sentito euforico.
Il suo impegno era valso a qualcosa.
Non era più il bambino che le rovinava la vita, che voleva spingerla a lasciare la scuola o che le regalava di proposito uno scarafaggio morto solo per farla piangere e per rendere chiaro ai suoi genitori e agli invitati in generale che quello era il suo di compleanno e che la condivisione tentata e proposta di anno in anno era solo uno stupido scherzo.
Le sue lacrime, però, quelle che considerava essenziali per staccarsi da quella frignona petulante, gli erano bastate e gli si erano ritorte contro.
Nell’esatto istante in cui lei aveva iniziato a strillare, con i suoi genitori e Alberta a fissarlo disgustati e con altri parenti che si erano lasciati andare a commenti poco lusinghieri, avvertì un qualcosa che lo fece scattare e che lo spinse a far sprofondare il proprio volto sulla sua fetta di torta.
Sentì che doveva smetterla e, infatti, si voltò, vide che lei aveva smesso di urlare come una matta e, prima che riprendesse, strusciò la sua guancia su quella della sua Dawn, facendola sorridere e invogliandola a vendicarsi e a farlo cadere nuovamente sul suo piatto pieno ormai di una torta cremosa spiaccicata.
In quanti condividevano il compleanno ed erano felici?
In quanti avrebbero voluto essere al suo posto?
In quanti avevano sempre tentato di allontanarlo da Dawn?
Troppe persone si erano intromesse, ma se si erano sposati, significava che lei aveva visto oltre tutti quei suoi limiti.
Inspirando profondamente, si cambiò di vestiti, si concesse una doccia assai rapida, cinque minuti al massimo, e si sedette di fronte alla moglie, assaggiando gli antipasti che aveva preparato con tanta cura e amore.
Ma era chiaro che qualcosa lo stesse preoccupando e gli impedisse di staccare la spina dal lavoro e per Dawn questo era più che lampante. L’unica cosa era che non poteva sapere se il suo malessere era legato al lavoro, a qualche scontro con colleghi o capi, a qualche piccolo inconveniente durante il ritorno o se era la sua presenza a intimorirlo.
 
“Perché ogni volta che è il nostro compleanno, mi sembri strano?” Chiese, fissandolo intensamente, quasi volesse leggere nella sua mente.
 
“Stavo solo riflettendo.”
 
“A cosa?”
 
“Preferirei non parlarne.” Borbottò, abbassando la testa, mentre Dawn prendeva il suo piatto ormai vuoto e lo portava in cucina.
 
“Finché non ne parli, noi non andremo avanti a cenare.” Replicò infastidita, rifiutandosi di servire la paella che aveva preparato.
 
“Dawn…”
 
“Il che è un peccato dato che conosco tutti i tuoi piatti preferiti.”
 
“Se dovessimo parlarne, sarebbe la fine.” Pronosticò il rosso, facendo negare la consorte che credeva stesse esagerando.
 
“In che senso?” Chiese la donna, ritornando in sala.
 
“Nel senso che dovremmo saltare la cena e passare direttamente ai regali.”
 
“È questo che ti turba? Temi di non rendermi felice?”
 
“Sei perspicace.” Ghignò il rosso, rialzando lo sguardo dal suo bicchiere pieno di vino bianco.
 
“Te l’ho detto anni fa, Scott: il più bel regalo che tu possa farmi è stare con me e amarmi nonostante ciò che abbiamo passato.”
 
“Io…”
 
“Non vorrò mai qualcosa in più di questo.”
 
“Ma io…”
 
“Il regalo fisico, come mi dicesti anni fa, è solo un contorno. Siamo sposati, ci amiamo come il primo giorno e abitiamo in una casa bellissima: questi sono i regali che sognavo.”
 
“D’accordo.” Mormorò il rosso, prendendo dal mobile che aveva alla sua sinistra, e anticipando di molto la normale consegna dei doni, la busta contenente il suo regalo.
 
“Cos’è?” Chiese la donna, ripetendo la tipica domanda di tutti gli anni.
 
“Sarebbe il tuo regalo, ma non è all’altezza dei precedenti.”
 
“Questo dovrei deciderlo io.” Lo rincuorò, aprendo il suo regalo e ritrovandosi davanti due biglietti per le terme fuori città.
 
“Non vado fiero di questo pensiero, ma non mi è venuto nient’altro.” Borbottò, sforzandosi in un sorriso di circostanza.
 
“Stai tranquillo: avevo proprio bisogno di staccare la spina per 24 ore e questi massaggi e la sauna possono rimettermi al mondo.” Soffiò, sedendosi al suo posto e non presentando nessun regalo al marito che, sorpreso, la scrutò con attenzione.
 
“Ma ti sei dimenticata?”
 
“Dimenticata? E di cosa?”
 
“Il mio regalo.” Tentò, fissandola intensamente.
 
“Vedi caro, il tuo regalo non ce l’ho.”
 
“Come non ce l’hai?” Domandò, risollevato nell’apprendere che lei non poteva offendersi in nessun modo per la gita alle terme se non aveva niente in mano da presentargli.
 
“Io…”
 
“Guarda che non mi offendo se mi dici chiaramente che ti sei dimenticata del mio compleanno.” Mormorò, ben consapevole che fosse impossibile, giacché condividevano quel 27 settembre da sempre.
 
“Come posso dimenticare la persona più importante della mia vita?”
 
“Dawn…”
 
“Non mi hai dato il tempo di finire.”
 
“Starò zitto così non avrai troppe difficoltà.” Soffiò, incrociando le braccia, mentre lei si alzava e prendeva una piccola scatolina, nascosta sotto il divano.
 
“Ecco dov’era.” Si lasciò sfuggire, facendo sorridere la moglie che conosceva bene i suoi tentativi di trovare il suo nascondiglio segreto.
 
“Volevo solo dirti, Scott, che il tuo regalo è un po’ complicato da descrivere.”
 
“Provaci.”
 
“Il tuo regalo c’è, ma non c’è allo stesso tempo.” Soffiò, avvicinandosi al marito che la fissò turbato.
 
“Come?”
 
“È un regalo che arriverà molto presto e sei stato tu a renderlo possibile.” Borbottò languida, baciando sull’ispida guancia il consorte.
 
“E la scatolina?” Chiese, facendola sorridere.
 
“È solo un piccolo indizio.” Borbottò divertita.
 
“Va bene.” Soffiò incerto, scartando la carta argentata che avvolgeva la scatolina e sollevando il piccolo coperchio.
 
“Spero tu abbia capito.” Continuò Dawn, sedendosi sulle ginocchia del suo uomo che prese in mano e soppesò il suo pensiero.
 
“Un ciuccio?” Domandò confuso.
 
“È questo ciò di cui volevo parlarti, Scott.”
 
“Io…cioè noi…tu sei…” Farfugliò, collegando le cose e dandosi dello stupido per i piccoli indizi che la moglie aveva iniziato a lasciare in giro e che lui, non solo aveva ignorato, ma che aveva collegato a delle immotivate distrazioni.
 
“Ci siamo fatti un bel regalo, Scott.” Mormorò divertita, accarezzandone il volto contratto.
 
“Da quanto lo sai?” Le chiese subito, fissandola imbronciato come se si aspettasse che un simile segreto dovesse essere condiviso il prima possibile.
 
“Ti sembrerà incredibile, ma fino al mese scorso non sapevo cosa regalarti.”
 
“Dawn…”
 
“Però mi sentivo strana e ho deciso di fare delle analisi che hanno confermato i miei sospetti. Ero così felice che potevo toccare il cielo con un dito, ma non volevo dirtelo in una serata qualunque con te che ritorni a casa sfinito e mi guardi a malapena.”
 
“Scusa se non sono così comunicativo, ma è più forte di me.” Si rammaricò, ricevendo un sorriso e una nuova carezza come risposta.
 
“Desideravo qualcosa di speciale e poi mi è venuta l’illuminazione.”
 
“Il nostro compleanno.” Mormorò lui, stringendola delicatamente.
 
“È per questo che il tuo regalo mi è piaciuto con molto anticipo.” Soffiò divertita, baciandolo con passione e sentendo le sue mani che le solleticavano la schiena.
 
“Un bambino…non riesco ancora a crederci.” Borbottò dopo che lei si fu staccata dalle sue labbra.
 
“È per questo che non dovresti pretendere troppo: tu mi hai fatto sempre dei bei regali.” Lo rincuorò, rimettendosi in piedi.
 
“E ora?”
 
“Beh…la cena si sta freddando e la notte è ancora molto lunga.” Soffiò maliziosa, facendo arrossire il marito che riappoggiò il ciuccio sopra la mensola.
 
“Sei davvero incredibile, Dawn.” Commentò il rosso.
 
“Ah sai…c’è un’altra cosa incredibile.” Continuò la donna, allungando il piatto al consorte che non sapeva più nemmeno cosa aspettarsi.
 
“Quale?”
 
“I bambini saranno due e la nostra tradizione proseguirà.” Rispose decisa, facendo annuire Scott che si sentiva, finalmente, completo.
Ora che avrebbero conquistato insieme anche quella gioia, sentiva una volta di più che il condividere qualcosa con le altre persone non era un qualcosa di così orribile e che poteva riservare delle gradite e inattese sorprese.








Angolo autore:

Ryuk: Abbiamo finito, vero?

Non parlarmi più fino al prossimo Natale.

Ryuk: Ma io...

Percepivo che sarebbe finita così anche questa serie e non dovevo dubitarne.

Ryuk: Ma di che ti lamenti? In tempi così difficili e con un fandom che va a singhiozzo già quasi 10 recensioni.

E sia...accontentiamoci delle briciole.
Unico lato positivo: mi aggrada come è stata strutturata la parte dialoghi-descrizione.

Ryuk: Prossima storia...intervista doppia tra me e rocchi.

Scordatelo!
A chi vuoi che possa interessare il pensiero di uno shinigami bacato?
E non so manco più cosa ne sarà di me per domenica prossima.

Ryuk: Di te non ne ho idea, ma del profilo direi una rara one shot.

Misericordia!
Era anche ora.
E mi raccomando...non facciamo come al solito che tutto finisce con matrimoni, gravidanze e cose simili.

Ryuk: Ma veramente...

Nessuno che mi abbia ancora contattato per quell'offerta.
Sapete che vi dico? Avete fatto bene.
Alla prossima!

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