Storie di Fisis di Sognatrice Realista (/viewuser.php?uid=791315)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Segnale d'inizio - I parte ***
Capitolo 3: *** Segnale d'inizio - II parte ***
Capitolo 4: *** Acque Smosse ***
Capitolo 5: *** Alterazioni ***
Capitolo 6: *** Fidarsi ***
Capitolo 7: *** Crepuscolo ***
Capitolo 8: *** Tremito ***
Capitolo 9: *** Leggende ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO
Le
strade di Agia quella sera erano gremite di persone intente a celebrare
l’Anuk-ei. Era
quasi il momento di consumare il sit’ota, un piatto
tipico a base di bacche dolci:
la tradizione prevedeva che ciò avvenisse in piazza, tutti insieme.
Già
risuonavano nell’aria le note d'inizio del canto di
ringraziamento. Il quinto kalam
volgeva al suo termine: i festeggiamenti sarebbero durati fino alla
prima ora
del nuovo ciclo.
Rara
eccezione all’atmosfera esaltata, un bambino vagava smarrito
per i vicoli. Nella
confusione nessuno lo notò; oppresso dalla folla,
imboccò d’istinto vie sempre
più sgombre. Riottenuta un po’ d’aria,
si guardò attorno: non distingueva le
abitazioni intorno a lui, tutte caratterizzate dagli stessi mattoni
color
sabbia su cui la luce delle torce creava strani effetti che
l’inquietarono.
Si
fece coraggio e si riavvicinò alla folla, cercando
disperatamente tra i volti quello
di sua madre: non la trovò. Infine, stanco, si
addentrò in una via buia che lo
portò al limitare del villaggio, dove i rumori dei
festeggiamenti divennero
solo echi lontani. Calciò un sasso, scoraggiato, e si
lasciò cadere contro un
muretto. Sentì freddo e si strinse nella casacca di lana,
inutilmente: non
c’entrava la temperatura esterna, a farlo rabbrividire era il
timore di non
rivedere più la madre. Si disse che sicuramente lo stava
cercando anche lei, e
sperò fosse così; ma ultimamente era tanto
stanca, e le faceva male la schiena.
Si sarebbe arrabbiata molto? O preoccupata? Scosse la testa;
nessuna
delle due opzioni lo rasserenava.
Un
urlo improvviso interruppe il filo dei suoi pensieri. Stupito, si
alzò di
scatto, senza pensare. Da dove veniva? Era stato un urlo acuto, una
bambina,
forse, o una donna… Si guardò intorno.
Ciò che sentì dopo lo spaventò: una risata roca, crudele risuonò nel vicolo.
Lanciò uno sguardo alla
strada da cui era venuto – possibile che nessun altro avesse sentito?
Era tutto
così deserto.
In
preda a una strana sensazione, si diresse verso l’origine del
suono, rasentando
il muro e stando ben attento a non fare alcun rumore. Gli arrivarono
delle
voci, ma non riuscì a distinguerne le parole. Attento a non
farsi vedere, si
sporse oltre la fine del muro: fuori dal villaggio, accanto al fiume
Tar, c’era
una bambina. Si reggeva malferma sulle gambe, o almeno così
gli sembrò;
indossava una casacca simile alla sua. Fissava con occhi pieni
d’orrore dritto
davanti a lei, e fu solo seguendo il suo sguardo che il bambino
distinse
nell’ombra le figure di due uomini.
Un
brivido gli corse lungo la schiena. Uno degli uomini impugnava un lungo
coltello e, sebbene il buio e la prospettiva gli impedissero di
distinguere
bene gli abiti, il loro copricapo era unico e lanciava un chiaro
messaggio. Solo
i banditi indossavano l’Amakai, riconoscibile
dai due lacci pendenti sul retro con due anelli legati alle estremità. Questi tintinnarono quando i due avanzarono verso la bambina,
che al
contrario indietreggiò. Osservò la scena
trattenendo il fiato; avrebbe voluto
urlare, aiutarla, ma era come paralizzato.
Nella
mano del bandito più vicino a lei apparve una fiammella.
«Fa’
la brava, seguici e andrà tutto bene».
La
vide stringere le labbra e grazie alla luce della fiamma
notò che lottava con
le lacrime. Mormorò qualcosa, o così sembro al bambino; era troppo lontana perché potesse sentirla.
Poi
parlò l’uomo con il coltello. «Basta
giocare. Prendila» ordinò al compagno.
«Abbiamo già perso fin troppo tempo»
aggiunse, facendo un cenno verso una zona
a pochi metri da lui. Al bambino per poco non sfuggì un
grido d’orrore,
distinguendo in quel punto due sagome immobili.
Il
fuoco lasciò la mano del bandito e si sollevò
sopra di lui. Fece un altro
passo, riducendo di molto lo spazio che lo separava dalla bambina, che ora si era
arresa al
pianto. La vide indietreggiare ancora, azzerando la distanza tra lei e
il fiume.
L’uomo
si slanciò in avanti nel tentativo di afferrarla; lei
si ritrasse, mise
un piede in fallo…
Scivolò
nel fiume sotto il suo sguardo.
“La
prenderanno”, pensò triste. Davvero non poteva
fare niente per aiutarla? Il suo
sguardo si soffermò sul coltello. Era solo un bambino, non
sapeva controllare i
suoi poteri. Loro erano in due. Sarebbe dovuto correre indietro a
cercare aiuto,
forse avrebbe trovato qualcuno e non sarebbe stato troppo
tardi… non riusciva a
muoversi, però. Poteva solo guardare, e vide il secondo uomo
raggiungere l’altro
e abbassare lo sguardo sul torrente.
«Non
c’è!».
L’incredulo
urlo di rabbia giunse distintamente alle orecchie del piccolo
spettatore.
NdA
Ho attentamente
rivisto e ampliato questo prologo seguendo i consigli di Nirvana_04, che ringrazio davvero
molto.
Questa
è la storia a cui tengo di più; se vorrete
seguirla, vi sarò grata. Vi esorto inoltre a farmi sapere
che cosa ne pensiate, nel bene e nel male: sono qui per migliorare!
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Capitolo 2 *** Segnale d'inizio - I parte ***
Capitolo 1
Era
una tranquilla mattinata di Nira; abituata ai bruschi rovesci climatici
tipici
di quel kalam, la maggior parte degli abitanti di Lytho preferiva non
lasciare
il villaggio, se non era strettamente necessario. Odrik, tuttavia, non
esitò a imboccare la
strada che portava al fiume. Sapeva che con ogni
probabilità era lì
che avrebbe trovato Aidra.
Non
si era sbagliato; appena fu in vista del Tar distinse la sagoma
dell’amica. Il
vento le scompigliava i capelli, creandole ghirigori neri
sulle
spalle, ma lei non sembrava curarsene. Seduta a gambe incrociate sulla
sponda,
giocava con l’acqua. Le si avvicinò.
«Potresti
provare a cambiare posto, ogni tanto: cercarti sarebbe più
divertente».
Aidra
sussultò, evidentemente non l’aveva sentito
arrivare: il cerchio d’acqua che
aveva plasmato davanti a sé ricadde nel fiume, provocando
degli schizzi. Non se
ne curò: si girò verso di lui sfoggiando un
sorriso raggiante.
«Sei
in ritardo! Non dirmi che ti sei alzato solo ora?» lo riprese
ridendo.
Odrik
eliminò i due passi rimasti tra loro e si sedette accanto a
lei. Sbuffò, prima
di spiegare:
«Ho
dato una mano al forno, stamattina. Mia madre non mi lascia libero come
fa con
te».
La
ragazza accennò un sorriso di scuse. «Credo abbia
paura che combini qualche
disastro. L’ultima volta ho rischiato di bruciare
tutto» ricordò, pensierosa.
«Non è successo, ma neanche il pane bagnato
è granché invitante».
Lui
per tutta risposta scoppiò a ridere. «Forse non ha
tutti i torti a non
chiederti aiuto».
Aidra
lo colpì scherzosamente sulla spalla. «Mi sento in
colpa, invece. Da quando
Mirel si è trasferita a Mens mi tratta come una figlia,
vorrei sdebitarmi!»
esclamò.
Tornò
a modellare l’acqua, formando stavolta un’enorme
goccia che lasciò ricadere poco dopo.
«Lo
fa volentieri» ribatté Odrik, tranquillo.
«Piuttosto, si è fatta viva?»
Giocherellando
con una ciocca di capelli, lei scrollò le spalle.
«Ancora no». Si girò per
fissarlo negli occhi, e lui poté constatare che non
c’era la minima traccia di
scoramento nella sua espressione; fosse stata qualsiasi altra persona,
si
sarebbe stupito. Da lei se l’aspettava.
«Se
continua così, dovrò andare io a
trovarla» decretò convinta.
«Sarebbe
un’ottima scusa per iniziare il tuo viaggio»
concesse, «ma toglitelo dalla
testa. I banditi si sono fatti più audaci, pare attacchino
persino i villaggi!
Dove pensi di andare da sola?»
Scosse
la testa: Aidra era sempre stata così, fin da piccola.
Parlava continuamente
del viaggio che non vedeva l’ora di intraprendere, ne era
ossessionata. Odrik
non capiva questo desiderio di lasciare Lytho, ma d’altra
parte lui c’era nato,
Aidra no. Iniziava a sospettare, però, che sotto ci fosse
qualcos’altro; l’idea
che l’amica gli nascondesse i veri motivi lo turbava
– non aveva mai osato
affrontare il discorso. Vedendola così determinata, si
chiese se non fosse
arrivato il momento di farlo.
«Ascolta,
Ai» iniziò incerto.
Non
poté finire; delle grida richiamarono l’attenzione
di entrambi. Si girarono in
contemporanea verso il villaggio: le voci provenivano da lì.
«Strano»,
mormorò Aidra, alzandosi.
Odrik
poggiò una mano a terra, impallidendo ben presto.
Aidra gli sfiorò la
guancia con la mano, sollevandogli il volto per incrociare il suo
sguardo.
«Che
succede?» gli chiese, seria.
Lui
fece una smorfia. «Spero di sbagliarmi».
~
«Che
ti prende? Concentrati!»
L’esclamazione
di Rod fu seguita da un colpo che costrinse Malek ad arretrare di un
passo.
Il
ragazzo si accigliò, riportando lo sguardo
sull’avversario. Odiava gli
allenamenti di lotta col bastone, non ne vedeva
l’utilità. Il fatto che il
Direttore dell’Accademia li osservasse dall’altro
lato dell’arena, poi,
l’irritava ulteriormente. Era guardando lui che si era
distratto poco prima.
Due
colpi ben assestati e si vide volar via l’arma dalle mani.
Rod gli piazzò la
sua contro il collo, guardandolo deluso. «Tutto
qui?»
Malek
sentì montare la rabbia e strinse il legno
dell’avversario. Avrebbe potuto
bruciarlo, sarebbe stato facile: una sola scintilla e
quell’espressione
irritante sarebbe svanita dal volto di Rod. Certo, l’uso
dell’Archia era
proibito durante gli allenamenti, ma aveva realmente importanza? Non
rischiava
certo l’espulsione. Anzi, se l’avessero espulso
avrebbe festeggiato.
Avvertì
uno sguardo, il suo, su di
sé. La
rabbia passò, sostituita dal solito sprezzo.
Sbuffò e allontanò il bastone con
un gesto brusco. Rod lo lasciò fare: ormai
l’incontro era finito.
«Recupera
il bastone, continuiamo».
Malek
ignorò l’esortazione: per lui
l’allenamento terminava lì. Non si spiegò,
si avviò in silenzio verso l’uscita senza riuscire a
scrollarsi di dosso quel
fin troppo familiare senso di disagio.
Lasciata
l’arena, si concesse due secondi per fissare il cancello
d’entrata
dell’Accademia. Era tranquillo in quel momento, ma era certo
che entro poco si
sarebbe affollato; al termine delle lezioni quasi tutti gli studenti si
riversavano per le vie di Mens.
A
lui non era concesso, considerò amaramente dando le spalle
al cancello.
Di
fronte a lui il dormitorio, la sua casa degli ultimi quattordici
cicli,
l’attendeva. Rassegnato, vi si diresse senza più
volgersi indietro.
~
Aidra
inspirò a fondo, cacciando ogni
pensiero superfluo. Non poteva permetterseli.
Odrik era
sparito da un po’ ormai,
sicuramente aveva già raggiunto la piazza. Sarebbe riuscito
a convincere gli
altri, gli anziani soprattutto, a darle retta e aiutarla? Poteva solo
augurarsi
di sì. Immerse la mano nell’acqua, muovendola
circolarmente; il contatto con il
suo elemento bastò a rasserenarla. Non aveva paura, semmai
il contrario: era
eccitata.
Sapeva di
potercela fare, voleva entrare in
azione – il suo unico
freno erano le parole di Mirel.
Troppe volte le
aveva ripetuto di non
mettersi troppo in mostra, di non strafare. Mantenendo lo sguardo fisso
verso
Lytho, pronta a cogliere il segnale di via libera, accennò
un sorriso. Non era
del tutto certa che Mirel avrebbe approvato il suo piano – si
era trattenuta,
ma non troppo: la situazione era seria –, ma il semplice
fatto che la Fonè
fosse partita significava una cosa sola.
Mirel non
l’aveva detto esplicitamente,
ma Aidra aveva compreso ugualmente: era pronta, il momento di cercare
la sua
strada si avvicinava. Presto, si
ripeteva continuamente, non dovrò
più
nascondermi.
Aspettava solo
un segno, e un gruppo di
banditi in marcia verso il suo villaggio – sebbene non corrispondesse propriamente alle avventure su cui mille volte aveva fantasticato – era senz’altro un inizio.
Aidra non era
preoccupata: semmai
temeva che gli anziani non appoggiassero il suo piano, costringendola a
entrare
in azione da sola e infrangere del tutto la promessa fatta a Mirel.
Quando,
finalmente, un solco si aprì
nel terreno davanti ai suoi occhi, sorrise d’istinto.
Odrik
c’era riuscito.
Fermò
la mano, che aveva agitato
nell’acqua fino a quel momento, e chiuse gli occhi.
Doveva
concentrarsi, non impiegare
nemmeno una goccia di potere in più. Gli abitanti sapevano
già che era portata
per la magia, o meglio, pensavano di saperlo: quel che intendeva fare
li
avrebbe stupiti, lo sapeva e in fondo trovava quel
pensiero gratificante.
“Sii
cauta, Ai.”
Sentì
la voce di Mirel riecheggiare
nella sua testa; va bene, pensò
rivolta alla sorella assente, ci
proverò.
Riaprì gli occhi e sollevò il braccio fuori dal
fiume, guidando con esso
l’enorme massa d’acqua e dirottandola verso il
canale improvvisato.
Non se ne rese
conto, ma trattenne il
fiato finché, i sensi pienamente immersi
nell’elemento, non appurò che il piano
concordato con Odrik era riuscito del tutto: dalle labbra le
sfuggì uno sbuffo
sollevato mentre il fiume dirottato, seguendo il canale, completava un
giro
attorno al villaggio.
Mantenendo il
braccio alzato verso
Lytho, iniziò a mulinare rapidamente la mano libera,
tesissima. Piegandosi alla
sua volontà, il fiume si innalzò dal solco a
formare una cupola d’acqua
corrente sopra al villaggio; saliva, completava un arco e ricadeva,
subito
dirottata dal canale nuovamente al punto d’inizio,
perpetuando così un ciclo
infinito.
Quasi: il processo si sarebbe
interrotto non appena il controllo di Aidra fosse venuto meno.
Se i banditi
avessero deciso di
aspettare, quell’espediente sarebbe servito solo a rimandare
l’attacco.
Ora
tocca a voi.
NdA
Sicuramente continuerò a revisionare e a limare questo capitolo
(e gli altri!) fino allo sfinimento, ma per il momento pubblico nonostante i mille dubbi: se
dovessi darmi retta chissà quando lo farei. Pubblicare, inoltre, mi motiva a scrivere.
Iniziamo a conoscere i personaggi; al gruppo dei protagonisti ne manca
ancora uno che non è stato nemmeno nominato, ma arriverà
presto. Se avete consigli/critiche vi esorto a muoverle, prometto che
non mordo, anzi! Sono qui per imparare.
Grazie mille per aver letto ❤️
Alla prossima, spero tra non troppo!
P.S.
Quando la storia sarà finita (ah, ah...) conto di dare un nome a ogni capitolo, per ora non sono tanto sicura di farlo (anche perché in futuro potrei accorpare qualche capitolo, è tutto ancora molto in prova); diciamo che i titoli che vedrete sono provvisori. Mi eclisso davvero!
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Capitolo 3 *** Segnale d'inizio - II parte ***
Capitolo 1
Odrik sorrise stanco; convincere gli
anziani a seguire le indicazioni di Aidra non era stato semplice, ma – complice
la mancanza di altre vere opzioni – avevano infine acconsentito: assistere al
successo di quel piano azzardato gli tolse un peso non indifferente dalla
coscienza. Si fidava di Aidra, o non l’avrebbe appoggiata, ma ciò che aveva
preteso di fare era seriamente complesso, sfidava l’immaginazione, e l’ombra di
un dubbio gli aveva dato il tormento finché non aveva visto la cupola
materializzarsi di fronte ai suoi occhi. C’era riuscita realmente, e questo
l’aveva riempito di gioia e soddisfazione; tuttavia, aveva anche percepito –
mista allo stupore – una vaga sensazione di disagio.
Aveva sempre saputo che Aidra era
potente, ma non aveva mai neanche sospettato che lo fosse fino a quel punto. A
fargli male fu la consapevolezza di non conoscerla bene come aveva pensato e
dato per scontato.
Se non altro, constatò studiando le
espressioni stupite degli abitanti intorno a lui, non era l’unico rimasto
sconcertato da quella scoperta, anzi: paragonandosi agli altri poteva dire di
aver assimilato con tranquillità l’informazione.
«Folle, completamente folle» sentì
bisbigliare dietro di sé. Controllò voltandosi rapidamente, e scorse un ragazzo
biondo che non aveva mai visto prima. Gli dava le spalle, dirigendosi con una
bambina verso il centro del villaggio. Strano.
Non gli piacque, ma non aveva davvero
il tempo di preoccuparsene: doveva restare in posizione con gli altri Archi di
Terra per assicurarsi che il canale improvvisato reggesse e, se possibile, dare
una mano agli Archi d’Acqua nel respingere i banditi.
Erano loro infatti a gestire l’offensiva,
sfruttando il fiume dirottato per colpire chi ardiva avvicinarsi. Questi ultimi
in realtà non erano molti: la cupola di per sé era uno spettacolo magnifico e
temibile, un deterrente valido già di suo.
In un primo momento i banditi avevano
cercato di penetrarla dall’alto con lance e frecce, ma l’acqua corrente aveva
vanificato ogni tentativo.
Scacciò l’immagine dello sconosciuto
dalla mente e si concentrò. Non poteva permettersi errori: sapeva che Aidra non l’avrebbe fatto, e non voleva essere da meno.
~
Aidra sussultò nell’avvertire una lieve
scossa nel terreno accanto a lei. Era il segnale concordato con Odrik; non se l’aspettava
così presto.
Mantenendo la concentrazione, rallentò
il mulinare della mano e iniziò a far rientrare gradualmente il fiume,
interrompendo il ciclo. Si rilassò solo dopo che l’ultima goccia fu tornata nel
letto del fiume, e con lo sguardo rivolto al Tar alzò le braccia, stirandole.
«Hai scelto un modo originale per
gridare a tutti chi sei».
Aidra sobbalzò. Aveva sentito
avvicinarsi qualcuno, ma non si era girata, certa che si trattasse di Odrik.
La voce che l’aveva appena raggiunta,
però, non era quella profonda dell’amico, che conosceva così bene. Non l’aveva
mai sentita prima; a preoccuparla era soprattutto la domanda che l’estraneo
aveva formulato, tuttavia. Mirel non ne sarebbe stata felice.
«Chi sono?» ripeté, cercando di
mantenere un tono neutro. «Non so di che parli» aggiunse poco dopo. Non si
voltò, non ancora, incerta sul da farsi.
«Sai cosa intendo» fu la replica secca
dello sconosciuto. «Un normale Arche non potrebbe mai metter su uno spettacolo
del genere».
Stavolta Aidra non resistette e si
voltò. Non trovò subito l’oggetto del suo interesse: la voce apparteneva a un
ragazzo che la fissava tenendosi a distanza, la schiena poggiata al tronco di
un albero a qualche passo dal sentiero che portava al villaggio. Per questo le
ci era voluto un po’ a notarlo: la penombra offerta dai rami lo nascondeva a
uno sguardo superficiale.
Non riuscì a distinguerne bene il
volto, ma le sembrò pallido. Gli andò incontro; avvicinandosi le saltò agli
occhi il biondo acceso dei suoi capelli, insolito in quella zona. Era più una
caratteristica diffusa a est di Fisis, se ben ricordava i racconti.
«Chi sei?» domandò, sinceramente
curiosa.
Il ragazzo assunse un’espressione
confusa. «Davvero? Non hai altro da chiedermi?»
Aidra percepì il suo sguardo inquisitore;
la studiava come se fosse chissà quale strana, incomprensibile creatura. Gli
sorrise, decidendo che negare oltre sarebbe stato inutile.
«Sembri sapere chi sono io, pareggiamo
la situazione» propose candidamente.
Il biondo sbuffò. «Non ha importanza»,
mormorò scuotendo la testa. Rialzò lo sguardo e lo puntò dritto nei suoi occhi:
«Avevo ragione, sei un’incosciente. Prima ti metti in mostra in quel modo, poi
ti dico che so chi sei e non te ne preoccupi minimamente».
Aidra sostenne il suo sguardo,
incrociando le braccia davanti a sé. «Non starai esagerando?» ribatté. «Mi
stupisce che tu ci sia arrivato, ma la gente di Lytho non crede all’esistenza
di quelli come me: non basterà così poco per convincerli del contrario. Saranno
stupiti, certo, ma niente di più. Mi sono anche contenuta», dichiarò senza mai
interrompere il contatto visivo.
Riprese dopo qualche secondo: «Se ne
dimenticheranno presto. E comunque» – gli diede le spalle – «non penso che
sarebbe così tragico, essere “scoperta”». Pronunciò le ultime parole in poco
più di un sussurro.
Immaginò lo sguardo intenso del ragazzo
puntato sulla sua schiena; infine lo avvertì sospirare. Se lo figurò con lo
sguardo al cielo e la cosa la divertì, per qualche ragione. Lo sentì
avvicinarsi.
«Incosciente» soffiò lui, stavolta al
suo fianco. La precedette, sedendosi sulla riva del Tar. Non la guardò negli
occhi. «Isryl» disse poi.
«Isryl?» ripeté Aidra, confusa,
accomodandosi a sua volta. Lo squadrò con curiosità, attendendo paziente la
spiegazione di quel vocabolo melodioso. Le piaceva come suonava.
«Il mio nome» aggiunse piatto lui, lo
sguardo rivolto alle acque tumultuose del fiume. «Volevi sapere chi sono, no?
Isryl».
Soppresse un’esclamazione di stupore.
Che sciocca, avrebbe dovuto arrivarci. Solo, non se l’era aspettato:
istintivamente si era convinta che farsi rivelare il nome dal biondo sarebbe
stato più complicato. Il suo sorriso si ampliò.
«Bene, Isryl,» iniziò solenne,
«congratulazioni: sei il primo estraneo che abbia mai svelato la mia identità».
Finalmente si voltò verso di lei,
esaminandola scettico. Aidra volle provocarlo e aggiunse: «Ammesso che tu non
ti sia sbagliato».
«Difficile credere di essere il primo.
Hanno tutti gli occhi tappati, in quel villaggio?»
La mora scoppiò genuinamente a ridere,
sentendosi leggera come le capitava solo con Mirel. «Me lo sono chiesta
anch’io. Aidra, comunque – se volessi sapere anche il mio nome».
«Sì, l’ho sentito dire» commentò Isryl
con un’alzata di spalle. «Nell’ultima ora l’hanno ripetuto spesso, al
villaggio».
Aidra annuì: poteva immaginarlo. Poco
prima aveva minimizzato, affermando che l’avrebbero tutti dimenticato presto,
ma si rendeva conto che prima di quel momento avrebbe dovuto rispondere a un po’
di domande. Inutile preoccuparsene
adesso.
«Non ti ho mai visto a Lytho, prima»
disse, sperando che l’altro cogliesse l’implicita domanda e la graziasse con
una risposta.
«Siamo arrivati pochi giorni fa» tagliò
corto Isryl – qualcosa nel suo tono fece desistere Aidra dall’indagare oltre.
Si concesse un’altra domanda, tuttavia:
«Vi fermerete a lungo?»
«Forse».
«Non sei di molte parole, tu».
«Aidra!»
Si voltò rapida; stavolta la voce le
era ben nota. Odrik. Non aveva
sentito nulla del loro discorso, giusto?
Fece un cenno all’amico con il braccio
e spiò verso il biondo, che si era rialzato, con la coda dell’occhio. C’erano
molte altre cose che avrebbe voluto chiedergli, praticamente sapeva solo il suo
nome. E che, diversamente da molti,
credeva nelle antiche leggende.
Vide l’amico d’infanzia squadrare Isryl
con sospetto, venendo ricambiato con indifferenza. Fissò la sua nuova
conoscenza allontanarsi rapida senza salutarla, stupendosene troppo sul momento
per tentare di fermarlo.
In più, le bastò un’occhiata all’espressione
di Odrik per capire che avrebbe richiesto tutta la sua attenzione per un po’.
Batté sul terreno accanto a sé,
invitandolo a sedersi, e per il momento soppresse la sua curiosità per
soddisfare – entro determinati limiti – quella dell’amico.
«Chi è, cosa voleva?»
Aidra prese un bel respiro e iniziò a parare i colpi.
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Capitolo 4 *** Acque Smosse ***
Codice
«Potrebbe
essere lei». Melisa lo disse
in tono neutro, quasi indifferente – lo stesso che aveva
utilizzato per
riassumergli la vicenda; stava tastando il terreno, voleva studiare la
sua reazione,
Kotuno lo comprese.
Un gruppo di
banditi aveva tentato,
circa dieci giorni prima, di attaccare un piccolo villaggio, ma era
stato
respinto: il merito era stato attribuito a un “Arche
prodigio”. Le fonti di
Melisa si basavano su chiacchiere di mercanti, reperire ulteriori
dettagli si
era rivelato impossibile; persino sul sesso dell’Arche non
c’era stato un
parere univoco. L’unico elemento che pareva certo era che
l’Arche in questione
avesse manipolato un’ingente quantità
d’acqua.
Kotuno non
batté ciglio al termine del
resoconto. Si alzò e recuperò una mappa dal
cassetto della scrivania, per poi
spiegarla sul tavolo. «Ripetimi: dov’è
successo?»
Melisa
ripeté il nome del villaggio,
avvicinandosi al tavolo per aiutarlo nella ricerca.
Non fu difficile
trovarlo: la sua idea
si era rivelata corretta. Puntò il dito su Lytho,
un minuscolo puntino accanto al fiume Tar.
«Potrebbe», affermò. Risalì
il corso
del fiume con il dito, fermandolo su un altro punto, leggermente
più marcato.
«Mi è sfuggita qui, quasi dieci
cicli fa. Temevo di averla persa – che qualcuno la stesse
aiutando. Sembra mi
fossi sbagliato» commentò tra sé,
ghignando.
«Perché
esporsi così, dopo tutto questo
tempo? Finora non avevamo trovato nemmeno l’ombra di una
traccia» intervenne Melisa,
diffidente.
«Hai
ragione» concesse Kotuno; il
ghigno non sparì dal suo volto. «Potrebbe essere
una coincidenza, un vero
prodigio – o una leggerezza. Una trappola, persino»
rifletté, incontrando lo
sguardo di Melisa. «In quest’ultimo caso, le si
rivolterà contro» affermò
convinto, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente.
«Sembri
avere un piano», constatò cauta
lei, squadrandolo. Kotuno notò le sue kerai, normalmente inerti e mimetizzate tra i capelli, oscillare – si
chiese cosa stesse captando. Non negò.
«Manderò
il ragazzo».
Con questa
affermazione ottenne una
reazione più forte. La Fonè inarcò le
sopracciglia e aprì la bocca in
un’espressione sorpresa e – sospettò
– lievemente contrariata. «È
rischioso».
L’uomo
mosse la mano, come per
scacciare quell’insinuazione. «Ridicolo»
replicò secco. «È totalmente in mio
potere. Se non bastasse, c’è qualcuno che deve
proteggere. Non farà niente di
sciocco – non ne è capace»
affermò, liquidando la questione. «Ed è
più sicuro
che mandare te».
Melisa non
ribatté. D’altra parte, la
decisione spettava a lui; le possibilità di farlo
ritrattare erano ben poche.
«Bene,
allora» disse infine la Fonè,
spezzando il silenzio che si era protratto per quasi un minuto dopo
quell’ultimo scambio. Gli diede le spalle e raggiunse la
porta.
«Convocalo
da me» le disse mentre era
già sull’uscio. «Voglio che parta
subito. Non da solo, naturalmente».
Melisa
assentì brevemente prima di varcare la soglia.
~
Dopo il breve,
enigmatico incontro
interrotto da Odrik il giorno dell’attacco, Aidra –
la cui curiosità era ben
lontana dall’essere paga – nei giorni seguenti
aveva setacciato le strade di
Lytho in cerca di Isryl, o meglio, aveva tentato di farlo.
Non si era
sbagliata: nessuno degli
abitanti aveva intuito chi fosse realmente, ma questo non significava
che non
si fossero sentiti in diritto di fermarla a vista per chiederle
spiegazioni.
“Come ci sei riuscita?”, “Da quando sei
così potente?”, “Perché ce
l’hai tenuto
nascosto?” erano solo alcune delle domande che si era sentita
ripetutamente
rivolgere da praticamente chiunque, Odrik per primo.
Aveva dato la
stessa, vaga risposta a
tutti, e – chi più, chi meno – era
riuscita a convincerli che non ci fosse
niente di strano in lei, che si era allenata molto e che riuscire a
formare la
cupola era stata una semplice questione di fortuna; che senza
l’aiuto degli
altri Archi non sarebbe mai riuscita nel suo intento, non avrebbe
nemmeno osato
provarci. Forse perché sarebbe stato seccante, per i più anziani, riconoscere di essere stati superati di tanto da quella che ai loro occhi era ancora una ragazzina, forse perché
nessuno aveva realmente voglia di farsi troppe domande –
erano al sicuro? Bene
–, probabilmente perché loro stessi non avevano
trovato una spiegazione
migliore, era bastato a convincerli. Era bastato per tutti –
quasi.
Aidra odiava
mentire, avrebbe preferito
evitarlo; soprattutto non avrebbe voluto rifilare quella lista
insensata di
falsità almeno al suo
migliore amico.
Ciononostante, l’aveva fatto. Ascoltando la sua versione, gli
occhi di Odrik si
erano velati di dolore – l’aveva visto.
L’aveva visto e c’era stata male,
peggio di quanto non le fosse già costato l’atto
di mentirgli in sé; non aveva detto
niente, e così lui. Banalmente, Odrik aveva assentito come
se avesse deciso di
crederle.
Sapevano
benissimo entrambi che non era
così.
Lui era
l’unico ad aver sospettato – no,
compreso – che ci fosse molto di
più, dietro a quella storia, e lei l’aveva capito.
Non avrebbe voluto ferirlo,
non avrebbe voluto deluderlo. Farlo le causava tanta sofferenza quanta
ne provocava
in lui.
A
metà racconto, vedendolo adombrarsi,
avrebbe voluto interrompersi, dire che era tutto falso, che la
verità era
un’altra. Svelargli il suo segreto più grande,
finalmente.
Non
l’aveva fatto – non aveva
potuto farlo. Le si era
formata in mente una scena ben precisa.
Una scena
avvenuta realmente diverso
tempo prima.
Allora non erano
passati più di due
cicli da quando aveva iniziato a vivere con Mirel, e da molto meno la
Fonè le
aveva spiegato la verità sui suoi poteri.
Euforica,
ingenua, non aveva dato
troppo peso alle sue raccomandazioni di segretezza. Quel pomeriggio era
corsa
dai suoi amici, l’aveva detto.
Le avevano riso
in faccia. “Dai, smettila di
scherzare.”
Uno dei bambini
più grandi aveva
sbadigliato, guardandola senza nascondere l’irritazione. “Ti alleni per il Patkar? Va’ a
farlo da un’altra parte.”
Aidra aveva
gonfiato le guance,
insistito. L’unica risposta che aveva ottenuto era stata una
generica scrollata
di spalle, accompagnata da una frase.
Una
semplicissima frase che non avrebbe più
potuto scordare.
“Lo
sanno tutti che non esistono.”
Le era venuto da
piangere, era corsa
via. Si era nascosta, rannicchiata dietro al grande albero vicino al
fiume,
finché Mirel non era venuta a recuperarla. Lei non
l’aveva sgridata. L’aveva
presa per mano e, una volta a casa, le aveva spiegato con voce triste
che
quella dei bambini era stata una reazione normale.
Le antiche
leggende erano questo, per
la maggior parte degli abitanti di Fisis: nulla più che
favole, immagini
mitiche che i genitori invocavano per spaventare i figli disobbedienti.
Niente di più.
Aidra ricordava
d’aver promesso di
essere più cauta, una volta calmatasi.
Dopo
quell’incidente era
passato del tempo, quasi un intero maran, prima che
uscisse nuovamente a giocare con gli altri. Scoprire che agli occhi dei
suoi
compagni di gioco – e non solo ai loro – non
sarebbe dovuta esistere l’aveva
scossa profondamente. L’aveva trovato incredibilmente
ingiusto, l’aveva fatta
sentire inadeguata, sbagliata.
Non molto tempo
dopo, Odrik era andato
a trovarla. Lui non era stato presente quel pomeriggio, non aveva
assistito
alla sua umiliazione. Non aveva
idea
del perché fosse sparita così a lungo. Aidra era
stata felice di vederlo, ma al
contempo aveva esitato. Lui forse aveva percepito che qualcosa non
andava:
aveva iniziato a raccontarle delle sue giornate, di come
nell’aiutare i
genitori avesse confuso un ingrediente con un altro, finendo per creare
un
dolce dal sapore orribile – storie quotidiane, semplici, che
l’avevano fatta
ridere, le avevano fatto scordare almeno per qualche istante la brutta
avventura vissuta.
Si era sentita a
suo agio, con lui. Si
era sciolta, aveva risposto alle battute, aveva contribuito ai
racconti. Si era
divertita.
Prima che
andasse via, si era fatta
coraggio; stringendo i pugni fino a sentire le unghie inciderle la
pelle,
gliel’aveva chiesto. “Cosa
pensi degli
Ela?”
Aidra scosse la
testa, cercando invano
di scacciare quel ricordo. Odrik quella volta aveva riso, dandole
più o meno la
stessa versione degli altri bambini – solo, con frasi
più gentili.
In
fondo cos’altro avrebbe potuto sperare?
Da allora si era
adeguata alle
raccomandazioni di Mirel, aveva nascosto il suo potere il
più possibile e non
ne aveva fatto parola con nessuno, mai.
Aveva temuto che i tre, quattro bambini che avevano ascoltato la sua
avventata
confidenza potessero ricordarla, smascherarla – non era mai
successo. Con il
passare del tempo aveva capito che non avevano il minimo ricordo di
quel
giorno, delle sue bugie di allora.
Quel pomeriggio
aveva lasciato un segno
importante, ma solo in lei.
Sapeva che Odrik
non aveva voluto
ferirla, che era solo un bambino allora e che gli era stato insegnato
così;
sapeva anche che non avrebbe retto il sentirsi nuovamente come quel
giorno, il
veder rifiutare la sua verità proprio da lui.
Aidra strinse i
pugni. Sapeva che
avrebbe dovuto affrontare Odrik, prima o poi – se
fosse rimasta, le suggerì un pensiero a tradimento
–, ma non era
pronta. Non ancora.
Sorrise triste.
Poteva davvero pensare
di partire e sostenere il suo destino se non riusciva neanche a fronteggiare
con onestà un amico?
D’un
tratto intravide, dal lato opposto
del vicolo in cui si trovava, una chioma bionda che non
mancò di riconoscere –
impossibile confonderla: Isryl era l’unico con quel raro
colore, a Lytho, che
lei sapesse. Il ciclo di pensieri e ricordi s’interruppe;
Aidra accantonò
momentaneamente i sensi di colpa, rimandò ancora il momento
di affrontarli.
Si
affrettò in direzione del biondo,
determinata a non perderlo.
~
Malek uscì dallo studio in totale
silenzio; solo dopo aver svoltato nel corridoio principale si accorse del
tremito delle sue mani. Sollevò la sinistra e rimase a fissarla per vari
secondi, cercando invano di riprendersi. Infine la chiuse di colpo, in uno
scatto di rabbia.
Odiava quell’uomo, odiava l’effetto che
aveva su di lui. Gli bastava vederlo perché un irrazionale terrore l’assalisse.
Terrore e rabbia, ogni singola volta.
Il tremore insistente che l’aveva colto
ora, però, non dipendeva solo da quei sentimenti. Malek scagliò il pugno chiuso
contro il muro accanto a sé, sperando vanamente che bastasse a farlo star
meglio. Aveva supposto pessime notizie dal momento in cui aveva ricevuto la
convocazione nel suo studio, ma non si era aspettato neanche lontanamente
quell’ordine – ancora non l’aveva assimilato del tutto.
Se non fosse stato così avvelenato nei
confronti dell’uomo, avrebbe potuto trovarlo ironico: dopo averlo costretto nell’Accademia
così a lungo, gli ordinava di lasciarla. Solo per svolgere un suo incarico,
certo – e quale incarico.
Malek si era rassegnato alla sua
situazione, ormai. Non l’aveva accettata, questo no; Kora visitava i suoi
incubi ogni notte, sempre nella stessa forma. Bloccata a terra da qualcuno che
Malek non riusciva a scorgere, ma di cui intuiva inconsciamente l’identità, lo
fissava con uno sguardo pieno di tristezza. I suoi occhi dicevano tutto: non
riusciva mai a scorgervi del rimpianto, solo una profonda tristezza,
paradossalmente contornata da lampi di speranza e determinazione. Se possibile,
era questo a farlo stare peggio. Avrebbe preferito che Kora lo accusasse, che
il suo volto gli gridasse che era tutta colpa sua, che avrebbe preferito non
averlo mai conosciuto. Era l’esatto contrario: l’ultimo sguardo – prima che il
dolore lo sfigurasse – che la ragazza gli aveva rivolto sembrava gridare “Lo
rifarei”, in perfetto accordo con il “Vai avanti” che era riuscita a stento a
mormorare mentre Kotuno, un tempo visto come un padre, le serrava la gola e ne sorbiva la vita.
Non aveva saputo seguire la sua ultima
richiesta. Non era andato avanti, aveva lasciato ogni speranza. Dimenticato le
esortazioni disperate di Amok, deciso di ignorare ciò che ci si aspettava da
lui. Abbandonata ogni velleità di fuga, totalmente alla mercé del suo
carnefice, si era piegato. Sapeva che gli sarebbe toccata la stessa sorte di
Kora, l’aveva accettato – a volte aveva persino sperato che quel momento
arrivasse in fretta.
Aveva compreso di non poter difendere
nessuno, tantomeno sé stesso, non se si trattava di quell’uomo. Aveva creduto
che cedere fosse l’opzione migliore, l’unico modo certo di preservare almeno
Clari.
Era bastato quel breve colloquio a
infrangere, nuovamente, ogni sua convinzione.
Gli era finalmente chiaro perché fosse
stato lasciato “libero” di muoversi nella sua gabbia dorata, perché dopo quella
sera non l’avessero semplicemente rinchiuso ma anzi spinto a migliorare il
controllo sul suo potere, sia pure sotto attenta sorveglianza. Non doveva
essersi trattato d’altro che di affilare uno strumento, per il Direttore. Uno
strumento che non avrebbe potuto opporsi alle sue richieste, una potente pedina
nelle sue mani. Una pedina che, doveva darlo per scontato, non si sarebbe mai
ribellata.
Dopo aver ascoltato il compito
assegnatogli, due pensieri l’avevano attraversato in contemporanea, con pari
forza.
“Non posso” – “Devo”.
Malek si sentiva ribollire d’ira e
frustrazione, del tutto incapace di prendere una decisione. Fissò impotente il
proprio pugno, rimasto contro il muro tutto quel tempo. Le nocche iniziavano a
dolergli.
L’abbassò con lentezza, sentendosi
improvvisamente svuotato.
Inutile
porsi tanti problemi, si
disse amaramente. Non è che abbia scelta.
Non mi muoverò da solo – non posso rischiare anche lei.
Lo sguardo fisso al pavimento, si
trascinò stancamente in camera – gli sembrava quasi di muoversi in un sogno.
Non richiuse la porta; una volta dentro si lasciò cadere sul letto e vi rimase,
immobile, assorto in pensieri tremendi.
Lui era segnato, ma non voleva portare
nessuno sul fondo con sé. Non di nuovo.
Se solo fosse stato possibile.
~
Legenda Temporale
Ciclo: corrisponde, più o meno, a un nostro anno
Kalam: un periodo di settanta giorni, potremmo definirla una stagione.
Ne esistono cinque. {Vapti, Pumi, Nira, Lis, Vimana}
Maran: periodi di trentacinque giorni; ogni kalam è composto
di due maran.
NdA
Buondì! Per chi è arrivato qui: grazie *___* Vi meritate dei biscotti.
Spero la leggenda qui sopra sia chiara (?), mi sembrava fosse il
momento di fare un po' di chiarezza con la terminologia.
Non ho moltissimo da dire su questo capitolo - per non assillarvi,
più che altro -. Spero vivamente che la
parte di Aidra non sia risultata confusionaria, con l'oscillazione tra
passato e presente; ho preferito renderla così,
più che con un vero e proprio flashback, sperando di rendere
proprio l'idea che sia assalita dai ricordi, ma non so se ho
ottenuto il risultato sperato t.t
Passando ad argomenti più lieti, vi lascio qui due
meravigliose fan-art di Alchimista
di Neve *-*
Ecco a voi Aidra, lettrici e lettori!
Al prossimo capitolo! ^^
P.S.
Se leggendo vi ritrovate a pensare "cliché", "banale", "che
diamine sto leggendo" o simili, vi invito a farmi presenti le vostre
perplessità: prometto che non mordo. Voglio il meglio per
questa
storia, quindi eventuali critiche - mosse in toni civili, naturalmente
- possono solo farmi bene. ^^
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Capitolo 5 *** Alterazioni ***
Malek
sbuffò, lo sguardo puntato sui due promossi a suoi
accompagnatori – supervisori, più che altro
– per quella missione. La
scelta del Direttore era ricaduta su Siana e Rod; si domandò
il perché, e cosa
avesse raccontato loro. Aveva inventato una scusa, o i due erano a
parte dei
suoi piani? Per quanto Rod non gli avesse mai ispirato grande simpatia,
scoprirlo spia di Kotuno l’avrebbe sorpreso; non troppo, comunque. Aveva imparato nel
peggior modo possibile a
diffidare di tutti.
«Mal!»
l’apostrofò allegramente Siana.
«Pronto a lasciare il tuo regno? Quant’è
passato dall’ultima volta?» domandò.
Malek vi lesse più malizia di quanta non trasparisse dal
tono impiegato.
Non
rispose. Compì malvolentieri i
pochi passi che lo separavano dai due e si ritrovò a fissare
il cancello,
spalancato davanti a loro. Era passato molto, troppo tempo
dall’ultima volta in
cui l’aveva visto così da vicino. Non avrebbe mai
immaginato che, quando fosse
finalmente riuscito a varcarlo, si sarebbe ritrovato a desiderare di
potersi
sottrarre, di non lasciarlo ancora.
«Bel
panorama?» chiese ironico Rod.
«Forza, andiamo» aggiunse poco dopo, portandosi
davanti al gruppo e invitando i
compagni a fare altrettanto.
Siana,
per nulla scoraggiata
dall’atteggiamento scostante di Malek, rimase al suo fianco
mentre si
inoltravano per le vie di Mens. «Allora, Mal.
Dev’essere proprio speciale,
questa recluta, se mandano noi a controllare. Sai cos’ha
fatto? Il Direttore è
stato povero di dettagli».
Malek
scrollò le spalle, infastidito da
quel modo di chiamarlo; solo Kora l’aveva usato, un tempo.
«Ne
so quanto te» mormorò rapido,
liquidando la questione. In un certo senso era vero, non sapeva
cos’avesse
fatto la ragazza – Kotuno si era detto quasi certo che fosse
tale – che dovevano
trovare; sapeva però che non stavano cercando una semplice
recluta per
l’Accademia. Cercavano un’Ela, per questo era stato
incluso nella squadra.
Poteva solo sperare – proprio lui che credeva
d’aver dimenticato come si facesse
– ardentemente che si fossero sbagliati, che la ragazza si
rivelasse davvero
solo un “prodigio”.
Siana
distese le labbra in un vago
sorriso. Non era certo di averla convinta, ma non se ne
preoccupò. Il resto del
tragitto fino alle stalle trascorse in silenzio, sempre con Rod davanti
e loro
due dietro.
~
Aidra
aggirò il grande albero che segnava
il limite occidentale del villaggio. Le volte in cui da bambina aveva
giocato
nello spiazzo lì davanti con Odrik e gli altri non si
contavano; scoprire il
sentiero nascosto dal fusto imponente la riempì quindi di
stupore. Isryl non
aveva mentito, era proprio dove le aveva detto.
Si
inoltrava nel boschetto, e lei lo
seguì guardandosi attorno con curiosità. Non
impiegò molto a raggiungere il
luogo di cui le aveva parlato il biondo; il sentiero terminava in una
piccola
radura erbosa. Isryl era lì, come aveva promesso. Era in
piedi, la schiena
poggiata a un albero poco distante. Le fece un cenno con la mano.
Aidra
non aveva chiesto perché avesse voluto
proprio quel posto per incontrarla. Lei per prima era stata felice di
allontanarsi un po’ da Lytho, stufa degli sguardi che una
fetta di abitanti
aveva iniziato a riservarle; le domande si erano esaurite, ma in alcuni
la
meraviglia era stata sostituita dal sospetto. Aidra non
l’aveva previsto,
sembrava quasi che le persone che l’avevano vista crescere
avessero ora paura
di lei.
In
quella radura segreta, tuttavia,
poteva lasciarsi tutte le maldicenze alle
spalle. C’erano solo lei e Isryl, il ragazzo cui era bastato
uno sguardo per
capirla. Lo raggiunse, salutandolo allegramente.
«Grazie
per il tuo tempo», aggiunse poi
scherzando. Quando il giorno prima l’aveva avvicinato, era
riuscita a stento a
strappargli luogo – con le indicazioni per raggiungerlo
– e ora per
l’appuntamento, poi si era dileguato chissà dove.
Si era detto di fretta, ma
non aveva voluto rivelarle per cosa. Era rimasta un po’
delusa per aver dovuto
rimandare ancora, ma non se l’era presa particolarmente. Ora
c’era: importava
solo questo.
Lui
l’osservava accigliato. «Sei
proprio strana» sentenziò infine, scuotendo la
testa.
Aidra
inclinò di lato la sua, incerta
su come prendere quell’affermazione. Non suonava come un
complimento, ma
qualcosa le diceva che non era neanche un insulto.
«Ti
fidi sempre così del primo
sconosciuto che ti dà appuntamento in un luogo
isolato?» aggiunse Isryl,
fissandola. Stavolta sembrava serio. «O sei solo troppo
sicura di te?»
«Vuoi
farmi del male?» replicò lei
tranquilla. Gli diede le spalle e si sedette in mezzo alla radura,
abbracciandosi le gambe. «Non incontro spesso sconosciuti che
appaiono e
sembrano sapere tutto di me, in effetti. Ma so che non sei pericoloso,
lo
sento».
Lo
sentì sospirare; il frusciare
dell’erba le anticipò il suo spostamento. Isryl si
sedette accanto a lei, a
gambe incrociate. «Ti affidi troppo
all’istinto» affermò. «Un
giorno potresti
sbagliare previsione, o forse l’hai già
fatto».
«Forse»,
concesse lei sorridendogli. «Ti
hanno mai detto che sembri un mercante, quando parli?»
Il
ragazzo inarcò un sopracciglio,
preso in contropiede. «Un mercante?» ripeté, confuso. «Non sono un mercante».
«Parli
come loro, però».
Lui
sbuffò. «Se lo dici tu». Aidra non
capì se il suo commento l’avesse divertito,
seccato o lasciato indifferente.
Era vero, però; aveva avuto quella sensazione già
al loro primo incontro, anche
se aveva impiegato un po’ a identificarla. Non avrebbe saputo
spiegare perché, ma ogni
volta che Isryl apriva
bocca si figurava in mente mercanti e cantastorie. C’erano,
tuttavia, cose più
importanti che voleva scoprire sul suo conto.
«Hai
mai conosciuto un Ela, prima?»
domandò, curiosissima, cambiando discorso. Anche se credeva
alle leggende, era
suonato un po’ troppo sicuro nelle sue affermazioni; il
dubbio le era venuto riflettendo
a posteriori sulle poche, criptiche frasi che le aveva rivolto. Se
avesse avuto
ragione sarebbe stato perfetto: poteva essere un passo più
vicina al suo sogno.
Isryl
esitò. «No, non proprio» rispose
alla fine.
Le
sfuggì uno sbuffo scontento, lui lo
notò. «Delusa?» si informò
neutro.
Accennò
un sorriso. «No, non davvero.
Ho solo corso troppo» spiegò.
«Dovrò trovarli da sola, evidentemente»
dichiarò
convinta, poggiando la testa sulle proprie ginocchia. Vide lo stupore
deformare
l’espressione di Isryl. Il ragazzo scosse la testa,
ridacchiò. Un riso secco,
amaro, che lasciò una strana impressione su Aidra.
«Credi
di essere un’eroina?» le
domandò, guardandola con occhi spietatamente inquisitori.
«Il tempo cambia
molte cose. Non viviamo più nel mondo delle leggende. Tutto
ciò che ne resta è
il canto di gesta a cui tutti hanno smesso di credere da tempo. Non ti
sei mai
chiesta il perché?»
Aidra
resse il suo sguardo, rafforzò la
stretta sulle gambe. «Mille volte»
ribatté seria. Lasciò la presa, si rimise in
piedi. «Non restano solo i canti. Io esisto»,
asserì, scura in volto. Mosse qualche passo, senza
guardarlo. Prese un bel
respiro, tornò a distendere il volto. «Se sono qui
c’è un motivo, devo solo
scoprire quale» riprese con ritrovata calma, stirando una
gamba per scacciare
il formicolio che la posizione assunta poco prima le aveva lasciato.
Isryl
non si alzò, la seguì solo con lo
sguardo. Lasciò passare qualche minuto prima di parlare
nuovamente. «Non volevo
offenderti».
Aidra
gli sorrise. Si era accorto di
aver toccato un tasto dolente? Forse la sua reazione era stata un
po’
esagerata. «Non fa niente» mormorò.
«Però» proseguì quasi subito,
arrivandogli
alle spalle, «potresti farti perdonare raccontandomi un
po’ di te, Isryl».
Lui
si irrigidì, ma stette al gioco.
«Cosa vorresti sapere?»
Aidra
sapeva – intuiva – che c’erano
domande a cui non avrebbe risposto, ma non si lasciò
scoraggiare da questa
premessa. Tenendosi alle sue spalle, si chinò, ritrovandosi
assurdamente a
pensare che i capelli biondi del ragazzo, che ora occupavano la quasi
totalità
della sua visuale, fossero davvero belli.
«Con
chi sei venuto a Lytho, e perché?»
~
“Potresti
provare a cambiare posto, ogni tanto”.
Aidra
aveva seguito il suo consiglio,
alla fine. Al villaggio nessuno l’aveva vista, non era nel
suo solito posto
vicino al fiume. Odrik realizzò amaramente che non aveva
idea di dove potesse
essere.
Lo
stava evitando?
Sconfortato,
si lasciò cadere nel punto
dove normalmente sedeva lei. Fissò le acque ribollenti del
Tar senza vederle
davvero, chiedendosi cosa fosse andato storto.
Non
era riuscito a parlare decentemente
con Aidra neanche una volta, dall’attacco. Era come se
elevare la cupola avesse
piazzato una barriera tra lei e il resto del mondo, fissando un limite.
Odrik
aveva guardato la sua amica di sempre e si era chiesto chi fosse, aveva
stentato a riconoscerla.
Odiava
quella sensazione.
Quel
fatto non sarebbe stato tanto
grave, senza la consapevolezza che Aidra gli aveva mentito. Ripetutamente. Nascondeva qualcosa, ma
non era solo questo – c’entrava il biondo. Le aveva
chiesto chi fosse, cosa
volesse da lei; non aveva avuto risposta. L’unica
informazione sensata che era
riuscito a ottenere era un nome, due sillabe che aveva rimosso quasi
all’istante.
Quando li aveva sorpresi a parlare sulla riva del Tar, a sconvolgerlo
non era
stata la presenza dell’estraneo, o il fatto che stessero
parlando.
A
gelarlo sul posto era stata la risata
di Aidra. Una risata genuina, sincera. Rivolta a un perfetto
sconosciuto.
Incapace di fare altro, era rimasto lontano a osservarli – a
osservare lei. Gli era sembrata
felice come
pochissime altre volte, a suo agio con il ragazzo in un modo che lui si
era
guadagnato con il tempo. Spiandoli suo malgrado e senza poter sentire
cosa si
dicevano, aveva pensato che sembravano conoscersi da una vita, ma era
impossibile. Perché allora Aidra
sorrideva in quel modo?
Sembrava
veramente euforica. Incapace
di assistere oltre, Odrik l’aveva chiamata. Gli era parso di
spezzare un incanto.
Ora
non era al fiume, nessuno l’aveva
vista. Era con lui, quindi?
Odrik
si rialzò, profondamente
amareggiato. Non gli piaceva sentirsi così, non era giusto
– non poteva
impedirselo. Non capiva cosa gli stesse nascondendo Aidra e
perché – non si
fidava di lui? –, ma non voleva perdere così la
sua amica. Non voleva, non poteva.
Scuro
in volto, si incamminò nuovamente
verso il villaggio, un nuovo bersaglio in mente.
Se
non poteva trovare lei, avrebbe
cercato lui.
~
Malek
carezzò distrattamente la chioma
del suo kutirai. Aveva imparato a montarli da bambino, ma da quando il
Direttore aveva deciso che era troppo cagionevole per lasciare
l’Accademia non
ne aveva più avuto occasione. Occupato da ben altro, non si
era mai soffermato
a pensarci, ma cavalcandone uno adesso capì quanto realmente
gli fosse mancata
la sensazione di libertà che si provava nel farlo.
Certo,
era una libertà illusoria, come
tutto il resto – a ricordarglielo c’erano Siana e
Rod, che galoppavano ai suoi
lati, rendendogli di fatto impossibile deviare dal percorso stabilito,
se mai
avesse voluto provarci. Precauzione
inutile.
Tornò
a concentrarsi sul calore
dell’animale. I kutirai erano quadrupedi dalla peluria ocra, slanciati, leggeri ma possenti; perfetti per attraversare rapidamente lunghe distanze. Erano inoltre
molto
intelligenti, non richiedevano particolari sforzi a chi li montasse.
Malek si
lasciò cullare dal movimento, senza preoccuparsi di guidare:
sapeva che
l’animale avrebbe semplicemente seguito i due compagni.
Avrebbe voluto che
quella corsa si protraesse per sempre, poter non arrivare mai.
Quasi
non notò il ponte di roccia
improvvisato da Rod perché potessero attraversare il Tari,
come veniva chiamato
il braccio secondario del Tar. L’Arche non dovette nemmeno
scendere dalla sua
cavalcatura, gli bastò stendere un braccio; Malek si chiese
distrattamente
quando avesse affinato così tanto il suo controllo.
Proseguirono
in silenzio per altre due
ore, dopo quel punto. Poi, sull’ultima luce dello Yan
– l’astro diurno –
organizzarono un bivacco per la notte.
«Forse
riusciremo ad arrivare già
domani, in serata» annunciò Siana, studiando una
mappa della regione.
Malek
accolse in silenzio quella
notizia. Altro che “per sempre”; forse era persino
meglio così. Continuare a
rimuginare era totalmente inutile – avrebbe saputo realmente
cosa fare solo una
volta lì, con l’Arche davanti. Sperando
che sia davvero solo questo.
Rod
si incaricò del primo turno di
veglia e li esortò a ritirarsi.
«Dormi
bene, Mal» gli sussurrò Siana,
coricandosi accanto a lui. Avvolto nella propria coperta,
ricambiò l’augurio
con un freddo mutismo.
Angolino Autrice
Malek e Melisa,
crediti ad Alchimista
di Neve anche
stavolta ❤️
E niente, spero
che la storia fin qui vi stia prendendo! ^^
Un abbraccio.
P.S.
Secondo voi perché Isryl parla "come un mercante", o come "un cantastorie"? C:
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Capitolo 6 *** Fidarsi ***
Fu un rumore
familiare a svegliare
Aidra; ancora a metà tra l’incoscienza e la
veglia, riconobbe lo scrosciare
della pioggia. Fissò gli occhi gonfi di sonno sulla finestra
accanto al suo
giaciglio e appurò di non essersi sbagliata: le nubi si
svuotavano impietose
sul villaggio, quel giorno. Non se ne stupì; Nira si era
dimostrato fin troppo
clemente, fino a quel momento.
Si
stiracchiò sorridendo allegra. La pioggia
non la disturbava, anzi – la metteva a suo agio; la causa
principale del suo
buon umore, tuttavia, era un’altra. Il ricordo del pomeriggio
precedente era
ancora fresco. Era rimasta nella radura con Isryl fino a sera e, sebbene avesse l’impressione d’aver rivelato più lei su sé stessa, aveva appreso varie cose sul ragazzo. Stando con lui si sentiva libera di lasciarsi
andare davvero,
privata d’ogni freno; euforica, in una parola.
Il fatto che
fosse un estraneo avrebbe,
forse, portato molti a trattenersi, ma per lei era vero il contrario:
persino
con Mirel, la sua unica parvenza di famiglia, non sempre agiva
spontaneamente. Sentiva
di doverle dimostrare qualcosa, a volte; provava soggezione
all’idea di
deluderla. A Isryl non doveva dimostrare proprio nulla.
Mormorando tra
sé una melodia
insegnatale dalla sorella, lasciò il piccolo spazio adibito
a camera e passò
alla stanza principale, che utilizzava principalmente per cucinare e
mangiare.
Non le erano rimaste molte provviste, ma trovò qualche
frutto per colazione e
l’accompagnò a un bicchiere di nettare.
Mentre ragionava
sui suoi programmi per
la giornata, sentì bussare alla porta. Un picchiettio
frenetico, urgente. Non
impiegò molto a intuirne il perché: fuori
diluviava! Si affrettò a raggiungere
e spalancare l’uscio, ritrovandosi davanti la figura
completamente fradicia del
suo migliore amico.
«Od?»
mormorò, spiazzata. In un attimo
mille pensieri diversi le riempirono la mente, cercando di trovare una
spiegazione logica alla presenza lì dell’Arche. Se
aveva affrontato la pioggia
doveva esserci un motivo serio – motivo che forse, sotto
sotto, lei conosceva.
«Posso
entrare?»
Aidra si
scostò, dandosi della stupida,
e gli permise di mettersi al riparo. Richiuse la porta e gli si
avvicinò.
«Sei
zuppo» constatò, preoccupata. «Che
ci fai qui, Od?» pose la domanda torcendosi le mani. Aveva un
brutto
presentimento.
Lui non rispose
subito, non la guardò.
«Perché, aspettavi qualcun altro?»
replicò, atono, dopo un po’.
Avvertì
una stretta al cuore. Sussurrò
una risposta negativa e andò a recuperare un telo da una
pila di panni
affastellati in un angolo della sua stanza. Odrik
l’accettò, iniziando ad asciugarsi
in silenzio.
Aidra si
accovacciò di fronte a lui, la
schiena contro la parete; si sentiva in colpa. Non si era comportata
bene con
Odrik negli ultimi giorni, presa da altro l’aveva relegato in
un angolo remoto
dei suoi pensieri. Ora se lo ritrovava davanti, con un’accusa
che non
pronunciava.
«Se
continui così finirai per
stracciarla».
Si
paralizzò, le mani attorcigliate
attorno a un lembo della camicia che aveva indossato per la notte. Le
distese
lentamente, cercando di regolarizzare il respiro e tornare in
sé.
«Mi
dispiace», sussurrò.
Odrik la
fissò, per la prima volta da
quand’era arrivato. Aidra non vide rabbia nel suo sguardo:
solo tristezza, e
questo la fece sentire peggio.
«Sei
sparita per giorni. Volevi
evitarmi? Perché?»
La prima domanda
le suonò più come
un’affermazione. Tornò a stringere il tessuto e
ricambiò triste il suo sguardo.
«Evitavo tutti» disse.
«Dall’attacco mi guardate con occhi diversi. Sono
sempre
io, Od».
Lui si
incupì. «So che sei tu – vorrei
crederlo» la sua voce si spense in un sussurro finale.
«Ma mi hai mentito».
Strinse un pugno, Aidra lo notò. Non si difese da
quell’accusa.
«Cos’è
che non vuoi dirmi, Ai?»
Sussultò
– Odrik non era mai così
diretto. Solo questo sarebbe
bastato a comprendere la serietà della situazione, se non le
fosse già stata
abbastanza chiara.
“Lo
sanno tutti che gli Ela non esistono”.
“Sono
solo storie”.
Si
abbracciò con forza le ginocchia,
incerta. Cosa avrebbe dovuto dirgli?
Una parola
sottile, carezzevole le
echeggiò nella mente: verità.
Tremò
al pensiero – affrontò lo sguardo inquisitore
dell’amico. Inspirò a fondo.
«Non
posso». Era una verità anche
quella, in fondo.
Odrik non
abbassò lo sguardo. «Perché?»
«Per
favore, Od». Le costò uno sforzo
significativo, ma riuscì ad accennare un sorriso.
«Fidati di me. Puoi farlo?»
Si fissarono per
momenti che le parvero
infiniti, dopo quella domanda.
Poi Odrik si
alzò, mosse un passo, le
porse una mano. Lei l’accettò e si
lasciò rimettere in piedi. Sostennero ognuno
lo sguardo dell’altra ancora per un secondo, poi il ragazzo
l’abbracciò. Avvenne
così rapidamente che Aidra non lo realizzò
subito; l’attimo prima si sforzava
di non perdersi nell’ambra sofferente dei suoi occhi, quello
dopo si ritrovò tra
le sue braccia. Fu un abbraccio umido – il telo non era
bastato ad asciugare
del tutto la tunica –, ma caldo. Percepì tutto
l’affetto di Odrik, in quella
stretta che ricambiò con un peso sul cuore.
Si
sentì in colpa, Aidra, ma anche
grata. Affondò il volto nell’incavo della sua
spalla, permettendo a due lacrime
calde di confondersi sulla veste già bagnata.
«Non
voglio perderti».
Esitò,
prima di rispondere a quella
dichiarazione accorata. «Non succederà».
~
«Non
ci voleva».
«Non
prendertela tanto, Rod; non è così
inaspettato. Avremmo dovuto pensarci».
Malek non si
unì allo scambio di
battute. Immobile accanto al suo kutirai, osservava le gocce di pioggia
infrangersi sulla protezione plasmata da Siana. L’acquazzone
li aveva bloccati
sul posto, rallentandoli. Non sapeva se esserne contento o amareggiato.
Abbassò
lo sguardo in direzione di Lytho: cosa lo aspettava, lì?
– continuava a
chiederselo.
«A che
pensi?»
La voce di Siana
disturbò le sue
riflessioni, riportandolo bruscamente al presente. La guardò
torvo. «Se ti
distrai, la protezione cadrà» le fece notare
piatto.
«Se mi
distraggo a far cosa? Parlare
con un muto?» replicò lei, sempre sorridente.
«Non ho una conversazione decente
con te da… ho perso il conto dei cicli».
«Perché
non c’è niente da dire».
Lei lo
fissò penetrante, avvicinandosi
ulteriormente. «Non sei mai stato particolarmente
socievole», iniziò, «ma da
quella sera è cambiato tutto. Per quanto ancora
scapperai?» l’incalzò.
«Cos’è
successo con Kora, quella volta?»
Malek si
irrigidì, strinse i pugni – le
nocche sbiancarono. Distolse lo sguardo.
Siana
sospirò. «Era anche mia amica».
«Non
ti riguarda», scandì lentamente
Malek. «Stanne fuori, Siana».
Se il rifiuto
l’indispettì, la ragazza
non lo lasciò trasparire. Si scostò
d’un passo. «Rendi sempre tutto così
difficile», commentò. «Pensaci,
Mal».
Mentre si
allontanava a rinforzare la
sua barriera, il moro la seguì con la coda
dell’occhio, sentendosi sollevato
per la fine – almeno momentanea – della questione.
Carezzò
il dorso liscio del kutirai,
sperando bastasse a calmarlo. Si sentì un po’
meglio.
“Kora?
È Kora quella a terra? Perché non stai facendo
nulla? Malek!”
Scosse la testa.
Non era certo di
potersi fidare di Siana, ma non era quello il punto.
Non
c’era bisogno che nessun altro
sapesse cos’era realmente successo quella notte.
Tornò
a guardare verso l’alto,
chiedendosi quando la pioggia sarebbe cessata. Aveva deciso: qualsiasi
cosa
l’aspettasse, voleva solo chiudere in fretta la missione e
rientrare.
Chiuse gli
occhi, visualizzando
un’immagine spiacevolmente familiare.
~
«Date
una moneta a una sventurata».
Kotuno
ignorò la supplica
dell’incappucciata di fronte all’Accademia, pur
trovandolo insolito. Erano
pochi i mendicanti che osassero avvicinarsi così tanto; la
maggior parte temeva
di venire bruscamente scacciata dai suoi allievi. In realtà,
non gli
interessava. Usciva di rado, comunque.
Notò
quasi per caso la mano della donna
tendersi nel tentativo d’afferrargli il braccio; un movimento
sorprendentemente
rapido, che poté evitare solo grazie ai suoi riflessi
allenati. Le afferrò il
polso, torcendolo poco gentilmente. La donna aveva tutta la sua
attenzione,
ora.
«Guarda,
guarda» mormorò, intravedendo
il volto celato dal cappuccio. «Vuole essere mia ospite,
signorina?»
Quella
cercò di ritrarsi, ma desisté
presto. «Mi piacerebbe, perché no» gli
rispose, con una voce diversa, più
sottile, rispetto a quella con cui gli aveva chiesto
l’elemosina.
«Prego»,
l’esortò a precederlo
spingendola verso il cancello. Fece un cenno agli uomini di guardia
perché la
lasciassero passare.
La donna non se
lo fece ripetere,
varcando la soglia dell’Accademia a viso alto, seppur sempre
coperto. La seguì
da presso, guidandola verso le sue stanze private.
«Porta
spesso in casa dei perfetti
sconosciuti?» domandò la ragazza mentre lui
chiudeva la porta dietro di loro.
Le indicò una sedia e raggiunse il mobile
dall’altra parte della stanza,
estraendone due tazze. Le poggiò sulla scrivania, sedendosi
poi di fronte a
lei.
«No»,
rispose infine. «Potrei farlo più
spesso, se fossero tutti come lei».
Soddisfatto,
l’osservò rinunciare
definitivamente all’anonimato garantitole dal cappuccio.
Poté osservare,
contornato da una folta chioma rossa, ciò che prima aveva
solo intuito: da
dietro le orecchie della donna sporgevano due prolungamenti sottili,
organi che
avrebbero suscitato repulsione e inquietudine nei più, ma
che lui conosceva
bene: kerai.
«A
cosa devo l’onore della visita di
una Fonè?» chiese, piegando le labbra in un ghigno
divertito. Allungò una mano
verso la caraffa d’acqua già pronta sul tavolo e
la scaldò con un gesto, per
poi versarla nelle tazze.
«Volevo
solo una moneta» rispose lei,
apparentemente a suo agio. Aveva osservato attentamente ogni suo gesto,
Kotuno
ne era certo. «Non pensavo fosse così facile
riconoscermi».
«Le
kerai erano ben nascoste», concesse
lui, «ma ci vuole ben più di un cappuccio per
ingannarmi».
«Ingannare
è un termine forte», replicò
lei pronta. «Ero solo curiosa. Si sente molto parlare di
quest’Accademia, per
tutta Fisis».
«È
così?» stette al gioco, niente
affatto persuaso. «Posso fare qualcosa per lei,
allora?» si informò,
aggiungendo la sua miscela favorita in ognuna delle due tazze.
«Cos’è?»
sviò la Fonè, le kerai
vibranti verso la bevanda.
«Non
ha mai bevuto un infuso di croco?» domandò
retorico. Bevve un sorso della sua per rassicurarla.
«È innocuo, come può
vedere».
«Non
avevo dubbi in proposito», affermò
la donna. Tese il braccio sopra il tavolo. «Abbiamo saltato
le presentazioni».
Le sorrise.
«Temo di non potermelo
permettere», declinò. Si tirò indietro
sulla sedia, squadrandola deliziato. «Il
rituale dei gomiti sta cadendo in disuso, d’altra parte.
Incredibile come i
giovani attribuiscano sempre meno importanza alle tradizioni degli
antenati,
non ho ragione?»
«Non
sembra così anziano da poter fare
un discorso del genere». La Fonè sorrideva ancora,
ma la sua facciata iniziava
a incrinarsi, Kotuno se ne accorse e provò
l’impulso di ridere. Quanto avrà
avuto, la ragazza davanti a lui, venti cicli? Melisa gli aveva detto
che loro
maturavano più rapidamente rispetto agli altri, ma la rossa
doveva essere
piuttosto ingenua, se davvero aveva creduto di poterlo toccare
così facilmente.
«Saltando
le formalità, il suo nome
vorrei conoscerlo».
Stupendolo
leggermente, lei non esitò a
quella richiesta. «Mirel» scandì a voce
alta e limpida. Dal modo che aveva di
pronunciare la e, probabilmente
proveniva da ovest. Anche la sua tunica di lana bianca, a malapena
visibile
sotto il mantello, avvalorava la sua deduzione. A est era uso comune
tingerle
di blu, a sud di verde. Bene, bene.
«Vieni
da ovest?» domandò, abbandonando
ogni inutile cerimonia. «Ho mandato una squadra in quella
direzione proprio
ieri – che coincidenza».
Mirel non
negò; batté lentamente le
palpebre, lo scrutò. Kotuno si scoprì a provare
ammirazione per la sua
fierezza. Contro di lui non aveva speranze, ma la sua determinazione
era
senz’altro lodevole.
«Avrai
sentito dell’Arche d’Acqua»
continuò, desiderando una reazione più
rivelatrice. Non fu accontentato: se
l’informazione l’aveva turbata, riuscì a
non mostrarglielo.
La vide
scrollare le spalle con
indifferenza. «Uno in particolare? Ne esistono
molti».
«Conosci
le antiche leggende,
immagino».
«Le
interessano molti argomenti
diversi, vedo».
Sorrise a quella
replica. «C’è una
leggenda interessante, sulle Fonè».
«Sono
solo fiabe, a detta di tutti».
«Pensi?»
la sfidò, fissandola
penetrante. La vide esitare, stavolta; non trovò una
risposta, evidentemente,
perché non gliene fornì alcuna.
«Silenzio
piuttosto eloquente» commentò
impietoso. «Dove c’è una
Fonè, c’è un’Ela. Non era
così?»
Mirel scosse la
testa, accennando un
sorriso. «Non proprio. La leggenda dice solo che le
Fonè sono destinate a
incontrare gli Ela, prima o poi – non quando. Potrebbero
anche incrociarsi per
un solo istante in tutta la vita, se vogliamo darle credito».
«Raramente
è così».
«Ha
incontrato molti Ela, sulla sua
strada?» Vide il suo sguardo accendersi; ma
sì, si disse, questo
posso anche
concederglielo.
«Qualcuno»
rispose, vago. «Sono
creature piuttosto interessanti».
«Vorrei
incontrarne uno anch’io, un
giorno».
«Davvero»
accertò, ironico. «Se resti
qui, il tuo desiderio potrebbe avverarsi».
«Al
mio villaggio soffrirebbero troppo
la mia mancanza, temo». Mirel sorrise a mo’ di
scusa. «Mi sono molto affezionati,
sa».
«Qualcuno
in particolare? Una sorella, o
un fratello, magari?» indagò, terminando
l’infuso che aveva sorseggiato fino a
quel momento. La tazza dell’ospite era ancora mezza piena,
notò.
Lei scosse la
testa. «Sono figlia
unica», affermò decisa – troppo, forse.
Kotuno
inarcò un sopracciglio,
palesando il suo scetticismo. «Gli abitanti di Fisis guardano
con ostilità al
diverso, è sempre stato così»
sentenziò, serio. «Mi è difficile
credere che ti
siano affezionati. Accoglierebbero la tua sparizione con
sollievo».
Colse, o
così gli parve, un balenio di
sfida negli occhi verdi della ragazza.
«È
vero, il popolo è diffidente»
ammise. «Ma mi hanno cresciuta come una figlia. Rispettavano
molto mia nonna.
Mi vogliono bene».
Quell’affermazione
stupì seriamente
l’uomo. Sebbene i suoi poteri non funzionassero sulle
Fonè, restava assai abile
nel leggere e comprendere le persone. Adesso era suonata realmente
convinta,
era quasi certo che non avesse mentito, nelle ultime tre frasi. Sono passati sopra la sua diversità?
Questo
sì, è sorprendente.
Intrecciò
le dita sotto al mento, i
gomiti poggiati sulla scrivania.
«Al
tuo villaggio sei ben voluta, dici»
riprese. «Eppure sei venuta qui, a cercarmi – hai
tentato di captarmi.
Perché l’avresti fatto?»
chiese retorico. Aveva i suoi sospetti, pressoché certezze,
sulle reali
motivazioni.
«Brama
di conoscenza» rispose lei,
senza scomporsi. Ricambiò il suo sguardo freddo.
«È stato un incontro molto
interessante, posso dirmi soddisfatta».
«E sei
convinta che uscire di qui sarà
facile quanto entrare».
Mirel non
batté ciglio a quella non
tanto velata minaccia. Si alzò in piedi. «Vuole
impedirmelo?»
Kotuno non la
imitò; abbassò le mani,
scoprendo il proprio ghigno e continuando a fissarla.
«La
cosa ti indisporrebbe?»
~
«Mezza
giornata persa per la pioggia.
Avremmo dovuto portare con noi un Arche d’Acqua»
brontolò Rod.
«Chissà,
magari al ritorno l’avremo»
commentò Siana. «Giusto, Mal?»
«Forse».
Non aveva quasi sentito la
domanda, concentrato sul battito ritmico della sua cavalcatura. Avevano
perso
mezza giornata, ma quasi certamente sarebbero arrivati entro la sera
seguente,
anche se avesse piovuto di nuovo. Era a un passo dal potenziale Ela.
«Potremmo
anche non trovarla» puntualizzò, poco convinto.
Avvertì
lo sguardo curioso di Siana su
di sé, ma non si voltò verso di lei.
«Preferirei
non aver fatto un viaggio a
vuoto» asserì Rod. «Vista la compagnia,
soprattutto».
Nessuno dei due gli
rispose;
continuarono a cavalcare finché Yan non sparì
oltre la linea dell’orizzonte.
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Capitolo 7 *** Crepuscolo ***
Cap Link
«Stai
scherzando».
Kotuno
stirò divertito le labbra; non
ricordava d’aver mai visto Melisa così agitata, se
non forse in un’occasione.
«Non
puoi essere serio» continuò,
puntandogli addosso i begli occhi verdi carichi d’accusa.
«Vuoi farmi credere
che hai trovato una Fonè alla porta, l’hai
invitata a entrare, avete parlato e l’hai
lasciata andare?»
Scrollò
impercettibilmente le spalle.
«A che avrebbe giovato tenerla qui? Hai già
qualcuno a cui badare. Quella
ragazza non è una minaccia».
Melisa si
accigliò, il suo sguardo
divenne di ghiaccio. «Perché pensi sia venuta qui?
È ovvio che sia una
minaccia».
«Vorrebbe
esserlo, sì, questo è
probabile» concesse Kotuno con un cenno d’assenso.
«Non significa che lo sia».
«Sottovalutarla
potrebbe costarti caro»
replicò fredda la Fonè.
«Ho un
debole per le rarità, lo sai.
Rispetto molto la tua specie» affermò lui,
apparentemente senza alcun nesso. «Sarebbe
più pericolosa qui, vicino a Malek, che altrove. Cosa
potrebbe mai fare?
Ragiona, Melisa».
La donna non
replicò, lasciò ricadere
inerti le kerai – fino a quel momento avevano oscillato
frenetiche – e gli
riservò un’ultima occhiata fredda.
«Spero
tu non debba pentirtene»
dichiarò, avvicinandosi alla scrivania.
«Quand’è previsto il ritorno del
ragazzo?»
«Tre
giorni al massimo», rispose
distrattamente, guardando fuori dalla finestra.
“La
cosa ti indisporrebbe?”
Si
erano fissati in silenzio, dopo quella domanda. Kotuno si era alzato e
l’aveva
raggiunta, sfiorandole il mento con la mano – il contatto si
era protratto non
più a lungo di un secondo.
“È
stata una visita interessante. Potremmo rivederci, in un futuro non
molto
lontano”.
“Mi
lascerà andare?” aveva domandato Mirel, immobile
di fronte a lui. Non gli era
apparsa spaventata.
“Per
stavolta, sì. Cosa potresti mai fare, piccola
Fonè? Sei ancora così ingenua”.
Le aveva dato le spalle, indicandole la porta con un gesto freddo.
“Mi
dispiacerebbe doverti spegnere. Pensa bene alle tue azioni
future”.
La
ragazza non aveva replicato a quell’ultimo avvertimento. Era
scivolata
silenziosamente fuori dalla porta, e attraverso la finestra
l’aveva vista
lasciare l’edificio.
~
Vide due uomini
con gli Amakai tintinnanti
passarle vicinissimo e strinse Asa a sé con più
forza. «Andrà tutto bene»
sussurrò alla bambina, quando i banditi si furono
allontanati di qualche passo.
La piccola annuì, aggrappandosi a lei con gli occhi serrati.
Calila le
accarezzò la testa e sospirò.
Assicurandosi
che la strada fosse
sgombra, lasciò l’ombra del vicolo e si
incamminò rapida verso il rifugio. Aver
trovato Asa le aveva tolto un peso non indifferente. Pregò
che gli altri
stessero bene, che Tair fosse riuscito a proteggerli, se ce ne fosse
stato
bisogno – cosa che non si augurava.
Il gruppo di
banditi – non avrebbe
saputo dire quanti fossero; una trentina, secondo Pol – era
arrivato il giorno
prima, ma non si era limitato a una scorreria come già altre
volte era
capitato. Si erano dichiarati padroni del luogo; avevano sequestrato
l’anziano
capo-villaggio, avevano preso possesso di alcune abitazioni
scacciandone i
proprietari. I pochissimi che avevano tentato di opporsi erano stati
resi
inoffensivi.
Calila non
capiva perché stesse
accadendo proprio a loro, sapeva solo che nessuno sarebbe venuto ad
aiutarli.
Sudal era un piccolo villaggio, lontano dai principali corsi
d’acqua e da ogni
rotta commerciale. Nessuna Casata si era mai proposta di accoglierlo
sotto la
sua protezione; potevano contare solo sulle loro forze, lo sapeva bene,
ma pareva
ovvio che non sarebbero bastate. Aveva paura, perché nessuno
sapeva cosa
aspettarsi dagli uomini e le donne che li avevano invasi. Tuttavia,
pensò
avvertendo il battito rapido della bambina stretta a lei, non poteva
permettersi di dimostrarlo. Doveva essere coraggiosa per proteggere lei
e gli
altri.
Vedendo il
rifugio davanti a sé,
sospirò di sollievo; appariva inviolato. Scivolò
silenziosamente all’interno,
sempre stringendo la mano di Asa. Dentro era buio; non osò
parlare, ma sentì
uno scricchiolio alla sua destra.
«Tair?
Sei tu?» sussurrò.
~
Aveva piovuto
anche quella notte, ma al
mattino le nubi si erano fatte da parte, lasciando che i raggi di Yan
illuminassero la regione. Odrik osservava il lento procedere
dell’astro dalla
finestra della sua stanza, senza vederlo realmente. Seduto a terra,
ticchettava
nervosamente con le dita sul pavimento.
Era confuso. Due
giorni prima aveva svolto
qualche indagine sul nuovo arrivato e la sua famiglia, senza scoprire
niente di
eclatante – certo, non era comune che una sarta si
trasferisse, ma pareva che
fosse imparentata con l’anziana Agata, da cui alloggiava.
Quando aveva
controllato, il ragazzo non era in casa. Anche
lui introvabile. Amareggiato ma impotente, era tornato al
forno, deciso a
ripassare lì quella sera stessa; l’aveva poi fatto.
Aveva dovuto
aspettare un po’, ma
l’aveva visto rientrare – non da solo.
Incapace di
controllarsi, si era
allontanato, scuro in volto. Non avrebbe potuto confrontare Aidra in
quel
momento, ma neanche rimandare ulteriormente gli era sembrata
un’opzione;
correre da lei la mattina seguente era parso un buon compromesso.
Non era andata
come aveva sperato, ma
non era nemmeno andata male. Aveva visto un lato di Aidra diverso dal
solito,
uno che non conosceva e non era certo di voler conoscere;
un’Aidra più triste,
spenta, quasi colpevole. Ma colpevole di
cosa, questo Odrik non riusciva davvero a immaginarlo.
A pensarci ora,
già solo il modo in cui
era entrata nella sua vita avrebbe potuto – dovuto?
– far sì che si ponesse
delle domande. L’aveva sempre dato per scontato, invece.
Era solo un
bambino quando era apparsa
accanto a Mirel, così, da un giorno all’altro; la
giovane pupilla del villaggio
una mattina l’aveva portata in piazza, presentandola e
dichiarando che da quel
momento se ne sarebbe presa cura come una sorella. Se aveva rivelato la
sua provenienza,
Odrik non l’aveva mai saputo. Conosceva invece le voci che si
erano diffuse
poco dopo l’arrivo di Aidra; alcuni bambini raccontavano che
Mirel l’avesse
trovata nel letto del fiume, altri che gliel’avesse affidata
la madre morente
della bambina, e si chiedevano malignamente che fine avesse poi fatto.
In sostanza, non
sapeva nulla; prima
non se n’era mai preoccupato, ma adesso... adesso ne
avvertiva l’importanza.
Distolse lo sguardo dalla finestra, infastidito dal fulgore crescente
di Yan, e
smise di ticchettare: batté il palmo contro le assi di legno
del pavimento.
Dopo l’abbraccio era rimasto con Aidra tutto il giorno. Non
avevano fatto
molto, era stata una giornata di pioggia come ne avevano passate tante
altre:
cucinando, parlando di tutto e di niente. Simile, ma non identica, la
tensione
tra loro palpabile.
Le aveva
promesso di fidarsi. L’aveva
fatto perché, il giorno precedente ne aveva avuto la prova,
Ai era sempre Ai,
l’amica con cui era cresciuto. L’amica con cui
aveva giocato, scherzato, quella
per cui aveva sviluppato un affetto sincero.
Si fidava di
quella Ai; era la sua ombra
a spaventarlo. Qualunque fosse il suo segreto, perché non
poteva
confidarglielo?
Si
alzò. In fondo, tutta quella
situazione si era creata perché Aidra aveva voluto
proteggere Lytho. Sì, era sempre
la stessa Ai.
Se gli
nascondeva qualcosa, doveva
avere un ottimo motivo. Non riusciva a immaginare quale, ma non aveva
importanza. Non poteva dirglielo? Bene, lo avrebbe scoperto da solo.
Per poco non si
scontrò con sua madre,
nell’uscire dalla stanza.
La donna gli
sorrise. «Dove vai così di
fretta, Drik? Da Aidra anche oggi?»
Interdetto,
annuì. «Se non serve il mio
aiuto al forno», aggiunse esitante.
«Per
oggi sei scusato. Povera piccola!
Dovrebbero esserle tutti riconoscenti, e invece si sentono certe
cose…». Vide
sua madre rovistare nella cesta che portava al braccio.
«Tieni, portale questo
da parte mia. È un panino alle erbe, spero possa tirarla un
po’ su. E invitala
a cena, non la vedo da un po’!» esclamò
porgendogli un fagotto.
Odrik la
fissò per qualche secondo di
troppo, infine le sorrise riconoscente. «Hai ragione,
madre» mormorò. Prese il
dono dalle sue mani e la sorpassò, uscendo. «Lo
farò!»
~
«È
quello il villaggio?»
«Emozionato,
Mal? Ci siamo».
I tre ragazzi
fecero rallentare le loro
cavalcature, avvicinandosi. Nessuno si fece loro incontro, ma
all’ingresso
trovarono un uomo e una donna, entrambi armati, che li squadrarono con
sospetto. I due parvero rassicurarsi leggermente, vedendoli smontare.
«Chi
siete?»
«Buongiorno!»
esclamò Siana
allegramente, accennando un inchino. «Siamo studenti
dell’Accademia di Mens. Abbiamo
sentito dell’incidente con i banditi, siamo qui per
indagare» dichiarò.
Le espressioni
tese dei sorveglianti
improvvisati si rasserenarono visibilmente a quella spiegazione.
«Indagare?»
chiese però la donna, non del tutto convinta.
«L’accaduto
ha molto preoccupato il
nostro Direttore» proseguì Siana con un tono di
voce che Malek trovò
decisamente teatrale. «Vuole occuparsi personalmente di quei
criminali. C’è già
una squadra sulle loro tracce, noi siamo qui per raccogliere
più informazioni».
«Già»
si unì Rod, muovendo un passo in
avanti. «È magnifico che li abbiate respinti, ma
come avete fatto? Lytho non è
famoso per i suoi guerrieri. Questo punto non ci è molto
chiaro».
I due abitanti
si scambiarono
un’occhiata esitante.
«La
sorella di Mirel» disse infine la
donna, «Aidra».
«Chi
sarebbe?» insisté Rod, ora
attentissimo. Malek notò che Siana stava spiando verso di
lui. Cercò di
ignorarla.
«Una
strana ragazza», affermò l’uomo.
«Sempre al fiume. È stata lei a respingerli, con
quell’assurda cupola».
«Cupola?»
ripeté, involontariamente,
Malek.
Ulteriori spiegazioni non
tardarono ad
arrivare.
NdA
Buongiorno a tutti!
Se volete più curiosità/fan-art su Aidra e il suo mondo, potete farvi un giro sulla pagina Le Storie di Mari :3
Domenica, per esempio, ho
postato l'origine del termine "Ela", anche se qui ancora non è
troppo chiaro cosa sia. Si scoprirà presto~
Se state seguendo questa storia, grazie! Spero non vi deluda. Se avete consigli/critiche, vi esorto a muoverle C:
Un saluto, al prossimo capitolo!
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Capitolo 8 *** Tremito ***
«Sei
diversa, oggi».
Aidra
alzò lo sguardo per puntarlo
verso Isryl. Pensosa, inclinò la testa di lato.
«Dici?»
Il ragazzo
annuì. «Parli senza passione.
Due giorni fa il tuo tono di voce era caldo, oggi sembri…
spenta». Fece una
pausa. «Si vede che hai la testa da un’altra
parte».
Aidra lo
fissò. Davvero era così facile
da leggere? Sbuffò, nascondendo un principio di sorriso, e
iniziò a
giocherellare con il bordo della tunica.
«C’entra
la tua sparizione di ieri?»
l’incalzò ancora il biondo.
«Sì»
ammise, arrendendosi. Parlarne le
avrebbe fatto bene, forse; una caratteristica di Isryl che
l’aveva colpita era
proprio la sua capacità di ascoltare. «Si tratta
di Odrik».
Lui
alzò gli occhi al cielo, scuotendo
la testa; Aidra gonfiò le guance, indispettita da quella
reazione.
«Metà
degli abitanti di
Lytho
ti guarda con occhi
diversi, sussurra alle tue spalle» disse Isryl, riportando
gli occhi su di lei,
«eppure la cosa sembra non toccarti. Odrik è il
tuo amico, giusto? Quello che
ho visto al fiume». Il suo sguardo si fece curioso.
«Ti turba più lui
dell’ostilità di un villaggio? Forse avrei dovuto
aspettarmelo».
«Non
mi sono ostili» replicò Aidra,
riuscendo meno convinta di quel che avrebbe voluto. Incrociò
le braccia. «È
solo che non capiscono».
«Non
vogliono capire, piuttosto» la
contraddisse asciutto Isryl. Distolse lo sguardo, puntandolo dove,
oltre gli
alberi, sarebbe stato possibile scorgere Lytho. «Vedono il
diverso e
preferiscono serrare gli occhi, invece di provare a comprenderlo.
Rigettare ciò
che non si conosce è molto più
semplice».
Quelle parole la
colpirono, ne avvertì
la crudele verità. Pensò a Odrik e strinse con
più forza la stoffa. «Non sono
tutti così» protestò, cercando il suo
sguardo.
Lui sorrise
triste, staccandosi dal
tronco contro cui si era poggiato tutto quel tempo. «No?
Allora cosa
ti preoccupa?».
«Non
mi piace mentirgli».
«Non
farlo».
Aidra
sgranò gli occhi. Quasi le venne
da ridere, mentre si chiedeva se non avesse sentito male.
«Sei lo stesso Isryl
di due giorni fa o lui ha un gemello e non lo sapevo?».
Isryl scosse la
testa. «L’hai già
gridato al mondo, perché non dirlo al tuo amico?
Sinceramente, mi stupisce».
Diede uno sguardo in alto. «So quanto sia brutto mentire a
qualcuno di
importante».
Aidra lo
fissò, sorpresa da quella
frase amara che aveva tutto il sapore di una confessione. Si chiese a
cosa si
riferisse, ma non fece in tempo a domandarlo.
«Inizia
a far buio, devo tornare».
Forse non
sarebbe neanche stato giusto.
Annuì. «Andiamo» mormorò,
avviandosi.
Dire la
verità a Odrik… certo non un
consiglio che si sarebbe aspettata da Isryl, ma se fosse stato
così semplice
l’avrebbe già fatto.
Percorsa da un
brivido, si abbracciò
per scaldarsi un po’. Strinse con forza gli avambracci e
scosse la testa; basta, si disse.
Doveva finirla di
compiangersi, pensare ad altro. Recuperò la distanza
guadagnata dal biondo,
decisa a non farsi lasciare indietro.
~
Odrik aveva uno
strano presentimento. Aveva
perlustrato un po’ tutto il villaggio, in cerca di Aidra, ma
c’era qualcosa di
insolito – definire cosa,
di preciso, non era semplice. Era stata una somma di vari, piccoli
dettagli. Si era sentito osservare mentre correva a casa di Aidra, uno
degli
apprendisti del falegname l’aveva addirittura fermato per
chiedergli dove fosse
la sua amica. Non era praticamente mai successo, prima, e non poteva
proprio
dire d’essersi dispiaciuto nel dovergli rispondere che non lo
sapeva. Era vero,
ma non era certo che la risposta sarebbe stata diversa se anche non lo
fosse
stato.
Ad aggiungersi
allo strano
atteggiamento degli abitanti, che parevano tutti sul chi va
là molto più del
solito, aveva intravisto un’ombra aggirarsi per i vicoli
intorno alla casa di
Ai. Presto scomparsa dietro un angolo, era riuscito a scorgerne a
stento la
sagoma, ma era bastato: la mantella che indossava, d’un rosso
acceso, non passava
proprio inosservata. Difficilmente poteva appartenere a qualcuno di
Lytho, con
tutta probabilità si era trattato di un forestiero. Ma cosa
faceva proprio lì?
Immobile accanto
alla quercia che tanto
spesso l’aveva visto giocare con Aidra, Odrik si disse che
doveva trattarsi di
un mercante. Chi altri poteva essere? Con tutto ciò che si
era ritrovato a
dover fronteggiare negli ultimi giorni stava diventando paranoico.
C’era
sicuramente una spiegazione logica a tutte le stranezze che credeva di aver notato quella mattina.
Fissò
il grande albero, indeciso. La
sera che aveva visto Aidra rientrare con Isryl, era lì che
erano apparsi,
aggirando il tronco. Si sporse oltre di esso e scoprì che
nascondeva un
sentiero. Avrebbe dovuto seguirlo? Probabilmente l’avrebbe
portato dalla
ragazza, ma non era certo che lei avrebbe voluto essere disturbata, a
quel
punto.
Si
voltò, valutando se tornare indietro
– come spiegarlo a sua madre? –, quando dalla
strada principale sbucarono due
figure. Indossavano mantelli identici a quello che aveva scorto poco
prima, era
impossibile non riconoscere il colore. Poco dopo, furono raggiunti da
una terza
figura, ammantellata proprio come loro, che uscì da una
stradina laterale.
Non riusciva a
togliersi dalla testa
che fossero troppo appariscenti per dei mercanti. Passando sopra le sue
esitazioni, si decise e imboccò il sentiero oltre la
quercia. Non voleva che
gli sconosciuti, chiunque fossero, lo notassero – non sapeva
spiegarsi il
perché, ma la loro apparizione improvvisa, unita alla strana
atmosfera calata
su Lytho, lo metteva a disagio.
Cercando di
scrollarsi quella
sensazione di dosso, si avviò alla ricerca di Aidra.
~
Un paio di passi
fuori dal bosco, e
Aidra scorse una figura venir loro incontro. Una che conosceva bene.
«Od?»
mormorò, troppo stupita per
formulare un pensiero coerente.
«Non
è da solo» constatò invece Isryl,
sussurrando al suo fianco. Lo vide irrigidirsi e seguì il
suo sguardo: aveva
ragione, oltre Odrik poteva scorgere tre figure sfocate in lontananza.
Come
aveva fatto a non notarle subito?
La sagoma al
centro si staccò dalle
altre; aveva iniziato a correre. In meno di un minuto raggiunse
– e superò –
Odrik, sotto gli sguardi increduli di Aidra e Isryl.
Incerta su come
reagire, si voltò verso
il biondo, sperando che avesse le idee più chiare delle sue.
Non fece in tempo
ad aprir bocca, però.
Isryl la
spintonò di lato, evitandole
per un soffio d’essere colpita dalla figura che, ora poteva
distinguerla bene, corrispondeva a un ragazzo. Carnagione scura
– non quanto quella di Odrik –, avvolto in
un mantello rosso ma a capo scoperto, a colpirla maggiormente fu il suo
pugno.
Era circondato dal fuoco, ma non sembrava stesse bruciando. Il ragazzo
non
tradiva la minima traccia di dolore; la fissava emanando rabbia. Aidra
deglutì,
chiedendosi cos’avesse fatto per attirarsi tanto astio. Non
aveva mai visto
quel ragazzo in vita sua, prima di quel momento.
Recuperò
il proprio equilibrio,
squadrandolo circospetta. «Chi sei?»
domandò. Colse Isryl alzare gli occhi al
cielo, ma aveva altro a cui pensare. Non voleva battersi con uno
sconosciuto
senza sapere nemmeno il perché.
Vide lo sguardo
del moro saettare
indietro, verso i suoi compagni. Erano ancora lontani, diversamente da
Odrik
che li aveva infine raggiunti e fissava sconvolto la scena. Lo vide
muovere la
bocca, ma non colse le sue parole.
«Come
ti è saltato in mente?» percepì
distintamente il sibilo del ragazzo, ora vicinissimo. Fece per
ritrarsi,
ma lui riuscì ad afferrarle il polso.
Con la mano
avvolta dalle fiamme.
Lo stupore la
paralizzò, mentre un’assurda
sensazione di serenità l’invadeva. Non
provò dolore al contatto, il fuoco non
la bruciò.
Durò
solo un secondo. Lo sconosciuto le
lasciò andare il braccio; la sua espressione, se possibile,
si rabbuiò
ulteriormente. Lo vide stringere il pugno e alzò un braccio,
richiamando un po’
d’acqua, chiedendosi se avrebbe tentato nuovamente di
colpirla.
Solo allora
prestò attenzione alle
espressioni di Isryl e Odrik, che avevano osservato tutto. Era
disperazione, in
quella del biondo? Il suo amico d’infanzia sembrava in stato
di shock, lo
sguardo puntato sul suo braccio – nel punto dove il palmo
infuocato del ragazzo
avrebbe dovuto imprimere un segno che, tuttavia, non c’era.
«Sei
davvero tu» sentì sillabare al suo
misterioso assalitore. Si era scostato di un paio di passi, le dava le
spalle.
«Perché… Ha!».
«Aidra,
immagino?»
La mora non si
voltò, decisa a non
perdere di vista il moro un solo istante. Rintracciò la
proprietaria della
nuova voce con la coda dell’occhio: una ragazza con i capelli
raccolti e un
mantello identico a quello del ragazzo. Mai vista prima, anche lei
– né il
ragazzo al suo fianco, su cui notò lo stesso identico
abbigliamento degli altri
due.
«L’hai
attaccata?» inquisì l’ultimo arrivato
con voce severa. «Che avevi in testa, Malek?»
Aidra si
ripeté mentalmente il nome. Le
suonò aspro; pensò si adattasse bene al ragazzo
che pareva odiarla. Questo non
reagì, non si girò nemmeno verso i suoi compagni.
«È lei» disse soltanto, come
se quelle due parole gli costassero uno sforzo.
«Chi
siete, cosa volete da lei?» intervenne
Odrik. Doveva essersi un po’ ripreso dalla sorpresa, ma Aidra
non voleva
pensare alle spiegazioni che le avrebbe chiesto più tardi.
Anche perché non ne
aveva: non sapeva davvero perché il fuoco non
l’avesse bruciata, non le
risultava di essere ignifuga. Non a meno
di mutarsi, ma non l’aveva fatto.
«Vogliamo
solo parlare un po’» rispose
la ragazza, facendo oscillare la lunga coda biondo cenere.
«Abbiamo sentito di
quel che hai fatto contro i banditi. Complimenti, non
dev’essere stato semplice
– oppure sì?»
Dopo un ultimo
sguardo a Malek, che d’un
tratto si era come
spento e sembrava realmente inoffensivo, Aidra lasciò
ricadere il globo d’acqua
che aveva richiamato e si voltò a fronteggiare gli altri
due. Isryl assisteva
muto, in piedi alle sue spalle.
«No,
naturalmente non è stato affatto
facile» affermò. Aveva ripetuto quella stessa
frase talmente tante volte in
quei giorni che riuscì a suonarne davvero convinta.
«È stato un lavoro di
squadra, senza gli altri Arche non sarei mai riuscita».
Avvertì
lo sguardo di Odrik su di sé,
più bruciante di quelli dei due sconosciuti, ma non si
scompose. Non poteva
permetterselo. «Non mi avete ancora detto chi
siete».
«Studenti
di Mens». Aidra sobbalzò, non
si era aspettata che fosse Isryl a rispondere. «Sembrate un
po’ giovani per
essere reclute».
«Ci
conosci?». La bionda pronunciò la
domanda con un tono divertito, genuinamente curioso. Si fece avanti.
«Non
sembri di qui, in effetti».
«Ho
viaggiato un po’» replicò Isryl
asciutto. «L’Accademia è piuttosto
nota».
«L’Accademia?»
ripeté Aidra, tentando
di assimilare la portata dell’informazione. Mirel le aveva
accennato qualcosa
al riguardo.
«Già!»
confermò la ragazza, fermandosi
dov’era, a pochi passi dalla mora. «Ti piacerebbe
unirti a noi? Il talento
davvero non ti manca».
«Ai»
la chiamò Odrik, avanzando a sua
volta – subito imitato dal terzo studente.
«Siete
venuti qui solo per questo?
Reclutare un’Arche? Non vi sapevo così
disperati» dichiarò Isryl, sempre
immobile alle sue spalle. La frase suonò beffarda, ma Aidra
pensò che fosse
teso. Quei ragazzi lo preoccupavano? Certo, ragionò spiando
torva verso Malek,
la prima impressione non era stata proprio positiva.
Quest’ultimo
si era girato nuovamente a
guardarla, ora. La rabbia aveva ceduto il posto a
un’espressione per lei
indecifrabile. Tornò a concentrarsi sulla bionda, che aveva
ripreso a parlare, continuando
tuttavia a controllarlo con la coda dell’occhio.
«Non
ci muoviamo certo per ogni Arche» sottolineò,
ignorando la frecciata. «Ma andiamo, una cupola? Non si sente
davvero tutti i
giorni».
Avrebbe giurato
d’aver sentito uno
sbuffo provenire da Malek, a quell’uscita.
«Verrai
con noi?»
~
Malek fissava
combattuto la ragazza, in
un misto di scoramento e irritazione. Doveva avere più o
meno la sua età, ma
sembrava molto più ignara. Prima, quando l’aveva
testata con il suo elemento,
non pareva aver compreso. Era a conoscenza della sua stessa
identità,
perlomeno? Probabilmente sì, valutò, visto come
aveva negato le insinuazioni di
Siana.
Doveva aver
vissuto una vita
perfettamente normale, fino a poco tempo prima. Finché non
l’aveva gettata via
con quell’esibizione che non riusciva a spiegarsi. Ascoltando
le parole dei
sorveglianti, aveva sentito montare la rabbia per quel gesto
incosciente.
Accecato, si era detto che era responsabile della sua sorte, si era
attirata
quella sciagura – che comunque non avrebbe potuto evitarlo.
Era stato tentato
di lasciar perdere, di piegarsi del tutto agli ordini. A cosa avrebbe
giovato
opporsi, in ogni caso? La ragazza si era rovinata da sé.
Eppure…
non capiva. Era stata davvero
solo ingenuità? Studiava la sua espressione fiera e
preoccupata al tempo
stesso, e veniva roso dal dubbio. La disperazione che l’aveva
assalito dopo
averla testata aveva spento, o quantomeno affievolito, la sua furia.
Era tornato al
punto di partenza,
paralizzato nella ricerca di una via d’uscita che,
però, non sembrava esserci.
A riscuoterlo fu
la domanda incalzante
di Siana. La ragazza avrebbe risposto di sì? Sarebbe caduta
anche lei nelle
mani di Kotuno, condannata a non poter più lasciare la sua
prigione? Forse non
sarebbe stata fortunata come lui,
ma
avrebbe fatto la fine di Amok. A ben pensarci, era lo scenario
più probabile –
solo pensarlo gli procurò una spiacevole, ma familiare,
fitta al petto.
Non
aspettò di sentire la risposta.
Innalzò un muro di fiamme che divise lui, l’Ela e
il suo compagno dagli altri
tre e si slanciò verso di lei come per colpirla, ignorando
le proteste sgomente
che arrivavano dall’altra parte del divisorio.
Come aveva
previsto, lei lo parò. Si
sporse oltre la sua spalla e sussurrò:
«Perché ti sei esposta a quel modo?
Perché una cupola?»
Ci sarebbero
stati milioni di altre
cose da dire, ma aveva bisogno di una risposta. Doveva capire per chi
stava
rischiando quel poco che aveva, esattamente.
Fu spinto via
senza ricevere ciò che bramava.
Lei l’osservava confusa. Esasperato, valutò i
rischi, mentre la striscia di
fuoco si chiudeva a cerchio intorno a loro. Purtroppo aveva dovuto
coinvolgere il
ragazzo biondo nella manovra, tagliarlo fuori non era stato possibile;
era troppo
vicino. Avrebbe visto anche lui, ma aveva realmente importanza? La sua copertura era
bruciata da tempo, ormai.
Mettendo a
tacere i dubbi, mutò. Fu
solo per un attimo – e anche così gli
costò non poco –, ma bastò
perché l’espressione
della ragazza si trasformasse. Vide i suoi occhi spalancarsi, ma non la
lasciò
elaborare. Corse nuovamente verso di lei, stavolta
l’atterrò. L’altro ragazzo
non si intromise, forse troppo sconvolto da ciò che aveva
visto per reagire
efficacemente.
«Sei
come me», lo raggiunse il sussurro
della ragazza.
«Rispondimi»
le sibilò in risposta.
«Non potrò mantenere le fiamme ancora per
molto».
«La
cupola?» ripeté lei, con una vena
di dubbio nella voce. «Era l’unico modo per
proteggere tutti».
L’ingenuità
di quelle parole lo bloccò,
impedendogli di formulare una risposta. Fu lei a continuare:
«Perché stai
facendo tutto questo?»
«Scappa.
Devi andartene da qui»
sussurrò lui dritto nel suo orecchio, ignorando la
domanda. Si rialzò
lentamente, senza smettere di fissarla, e annullò le fiamme.
Non appena furono
sparite del tutto, Siana lo raggiunse, un brillio strano negli occhi.
«Che
significa, Mal?»
«Verificavo»
affermò lui, senza
spostare lo sguardo. «Non sembra poi tanto portata per il
combattimento».
Poteva immaginare lo scetticismo negli occhi della plasmante anche
senza
vederlo effettivamente.
La mora si
rialzò sotto il suo sguardo
attento. Che aspettava? Doveva correre subito, forse mutandosi sarebbe
riuscita
a seminarli. Kotuno non sarebbe stato affatto contento, ma avrebbe
inventato
una scusa, avrebbe… si adombrò.
Sapeva benissimo
che non avrebbe mai
funzionato.
«Ai,
stai bene?» sentì la voce
preoccupata del ragazzo che aveva involontariamente finito per condurli
da lei;
lo vide accostarsi a lei.
Aidra si
scrollò la polvere dai vestiti
e alzò lo sguardo, più acceso che mai, a
ricambiare il suo. Perché non
scappava? Non sembrava neppure spaventata.
La vide
stringere un pugno e correre
verso di lui, determinata a colpirlo. Era completamente impazzita?
Non lo raggiunse
mai. Si sbilanciò,
crollando rovinosamente a terra. Malek fece per muovere un passo, ma
perse l’equilibrio
e si ritrovò accanto a lei. Soffocò
un’imprecazione
stupita.
Il terreno stava
tremando, sotto di
lui. Girò il volto in cerca di Rod, sospettando uno scherzo
di cattivo gusto da
parte dell’Arche, ma dovette ricredersi. Il compagno aveva le
mani sulle
orecchie, il volto deformato da una smorfia di dolore.
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Capitolo 9 *** Leggende ***
La scossa
durò solo pochi secondi, ma
ad Aidra parve infinita.
Appena
percepì la terra immobile sotto
di sé, si alzò e corse da Odrik. Aveva notato la
sua espressione durante la
scossa, e non le era piaciuta per niente.
«Od!
Stai bene? Cos’è successo?»
domandò, sfiorandogli la spalla.
Lui
allontanò cautamente le mani con
cui aveva coperto le orecchie. La guardò, una traccia di
dolore ancora ben
riconoscibile negli occhi. «È stato
orribile», mormorò solo.
«Hai
sentito qualcosa di particolare? Come…
un lamento?»
Aidra
sobbalzò nel riconoscere la voce
di Isryl. Non si era rivolto a lei, ma a Odrik. Aveva la stessa
espressione
seria di quando l’aveva ripresa la prima volta –
forse anche di più.
«Un
lamento? Di che parli?» iniziò a
chiedere, ma si fermò vedendo l’Arche di Terra
annuire. Fissava il biondo con
occhi spiritati, ora. «Come fai a…?
L’hai sentito anche tu?»
Lui si
limitò a scuotere la testa, gli
occhi socchiusi. Sembrava stesse riflettendo su qualcosa, ma in quel
momento la
priorità di Aidra era un’altra.
«Ti
porto a casa» propose a Od,
porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Non
così in fretta».
Aidra
fulminò la ragazza dell’Accademia
con lo sguardo. «Il mio amico sta male»
sillabò secca.
«Non
è l’unico» fu la replica pronta
della studentessa, che accennò rapidamente al terzo membro
del gruppo. A pochi
passi di distanza, stava parlando con l’Ela –
Malek. L’espressione di Aidra si
intristì. Quando aveva compreso la reale natura
dell’altro si era sentita
talmente eccitata, felice… e confusa. Perché
l’aveva attaccata, e soprattutto,
perché le aveva ingiunto di scappare? Aveva moltissime
domande da porgli, ma
prima doveva pensare a Odrik. Durante la scossa, alzando lo sguardo
aveva
scorto il suo volto; la sofferenza che emanava l’aveva
spaventata, spingendola
ad accantonare tutto il resto.
Sperava solo che
quello strano ragazzo
non sparisse, ma non poteva preoccuparsene subito. «Andiamo,
Od» tagliò corto,
ignorando la ragazza.
«No».
Di nuovo in posizione eretta,
Odrik la fissava con una strana determinazione negli occhi.
«Voglio capire» lo
sentì aggiungere, lo sguardo rivolto verso la straniera.
«Non
guardare me, per questo» chiarì
lei con un’alzata di spalle. «Però sono
contenta che abbiamo lo stesso scopo».
«Od».
«Sto
bene, Ai – davvero» la rassicurò,
voltandosi brevemente verso di lei. Mosse un passo avanti, tornando a
fronteggiare l’altra ragazza. «Possiamo iniziare
dal perché lui» – indicò
Malek
– «ha attaccato Aidra».
«Lo
chiedi sempre alla persona
sbagliata». La bionda non sembrava affatto intimidita.
«Mal è sempre stato un
po’ una testa calda».
Aidra avrebbe
voluto dire qualcosa, ma
avvertì un tocco sulla sua spalla. Si voltò di
scatto; Isryl. «Dobbiamo
parlare», le sussurrò.
Sbuffò,
confusa. Sembrava che si
fossero messi tutti d’accordo per renderle più
difficile capire cosa fare. Si
fidava di Isryl, sebbene lo conoscesse da neanche un kalam, ma cosa
pretendeva
da lei? Non potevano semplicemente dileguarsi. Cercò di
suggerirglielo con
un’occhiata e un cenno, a suo parere eloquente, verso Odrik.
«Sai
qualcosa, vero?»
Di nuovo, a
parlare era stata la
ragazza dell’Accademia. Accanto a Odrik, che le aveva
sbarrato il passo, aveva
lo sguardo puntato su Isryl. «Sulla scossa di prima. Sei
stato tu?» inquisì,
incalzante.
L’interrogato
indietreggiò d’un passo e
alzò le mani. «Non ho potere sulla
Terra» affermò deciso.
«Forse.
Ma non hai negato di sapere»
insisté ancora l’altra.
Aidra
notò Malek e l’altro ragazzo avvicinarsi
a loro. Si affrettò a riportarsi al fianco di Odrik.
«L’hai
sentito anche tu?» stava
chiedendo il suo amico al compagno di Malek, un ragazzo robusto dai
capelli
castani. Quello annuì bruscamente, come se non volesse
parlarne.
«Siamo
partiti con il piede sbagliato.
Mi dispiace. Ricominciamo, va bene? Io sono Siana»
pronunciò tutto d’un fiato
la ragazza, ora davanti ad Aidra, accennando un inchino.
«Condividere
informazioni gioverà a tutti» proseguì,
riportando lo sguardo su Isryl. Aidra
si sentì vagamente a disagio, incerta sul perché.
«Sapete
già come mi chiamo» rimarcò, senza
replicare l’inchino.
La vide scuotere
la testa, ma non
riuscì a decifrarne lo stato d’animo.
«Forse
dovresti scusarti, Mal» le sentì
dire infine, con un’occhiata al moro del gruppo.
~
Due colpi
rapidi, quasi discreti, alla
porta lo distrassero dal documento che stava esaminando. Kotuno
sollevò lo
sguardo, invitando l’inatteso visitatore a farsi avanti.
Riconoscendo il
giovane che entrava, lo
sguardo gli si accese di curiosità.
Kef
portò un pugno dietro la schiena e,
chinandosi leggermente in avanti, batté l’altro
sul petto.
«Ti
ascolto» affermò Kotuno, posando i
documenti sulla scrivania.
«Ha
lasciato la città» affermò il
ragazzo; lo vide deglutire. «L’ho persa».
«Dov’era
diretta?» domandò asciutto.
«Est».
«Capisco.
Puoi andare», lo liquidò con
un cenno. «Domani portami un rapporto completo».
Kef
chinò rispettosamente la testa,
assentendo, poi si voltò e uscì senza aggiungere
nulla.
Così
la piccola Fonè, Mirel dell’ovest,
aveva lasciato Mens. Scoprire la sua mossa seguente sarebbe stato
divertente –
ammesso che non fosse troppo spaventata per farne una.
Gli era sembrata
troppo incosciente per
accettare il suo suggerimento di tenersi fuori dai giochi,
considerò con un
sorriso divertito al ricordo del loro colloquio.
~
Malek non si
disturbò a rispondere a Siana.
Scusarsi? Per cosa, per aver provato a darle una via di fuga?
Piuttosto,
continuò a fissare l’Ela
d’Acqua come a volerla bruciare. La sua confusione era
evidente, ma – sebbene
una parte di lui trovasse comprensibile il suo spiazzamento –
non potevano
permettersela. Né lei, né lui. Se non altro,
quella scossa – così simile a
quella di due anni prima, eppure diversa – aveva distratto
anche i suoi due compagni,
sottraendo il primato al
reclutamento della ragazza. Per quanto avrebbe funzionato, tuttavia?
Malek non
sapeva cosa sperare. Avrebbe solo voluto che quella sconosciuta
sparisse,
andasse a vivere la sua vita normale da un’altra parte.
Non poteva
preoccuparsi anche per lei.
Doveva pensare,
e in fretta. Lo sguardo
gli andò sul ragazzo biondo con cui si era fissata Siana.
L’aveva visto; che
fosse sconvolto per quello? Sembrava effettivamente nascondere qualcosa.
All’ennesima
domanda di Siana, lo vide
sospirare pesantemente.
«Stavo
pensando a una leggenda, tutto
qui» disse.
Aidra si
voltò subito verso di lui.
Malek
spiò verso Siana con la coda
dell’occhio; sorrideva con una malizia che non prometteva
nulla di buono.
«Una
leggenda? Quale?» chiese subito,
avvicinandosi di un altro passo.
«Una
leggenda?» ripeté
contemporaneamente il ragazzo accanto all’Ela.
«La
Natura si lamenta, quando succede
qualcosa ai suoi protetti, dicono le leggende»
proseguì il biondo. «Quel che è
successo potrebbe avere a che fare con l’Ela della Terra
– ammesso di
crederci», si affrettò a puntualizzare.
Siana si
voltò verso di lui. «Tu ci
credi, Mal?» domandò.
«Perché
proprio qui?» chiese invece
Rod, scettico.
Già,
perché? Però aveva senso. Poteva
spiegare anche quella di due anni prima.
«Non
saprei. È solo una leggenda»
rispose il biondo, lo sguardo – Malek lo notò
– fisso sulla mora. C’era altro
che sapeva ma non voleva dire, era chiaro; conosceva
l’identità di Aidra?
L’idea non lo stupì affatto. Se non altro,
sembrava abbastanza dotato di buon
senso da non gridarla ai quattro venti, almeno lui.
«Oh,
è facile: c’è una parte della
leggenda che non hai menzionato» scandì Siana, a
voce alta e chiara. Malek la
squadrò. Suonava un po’ troppo sicura.
«Il lamento non è fine a sé stesso.
Cerca gli altri Ela, per avvisarli. Più ce ne sono in un
unico punto, più è
probabile che si manifesti lì».
Si
irrigidì, mentre Rod le chiedeva se
credesse davvero a quel che aveva appena detto.
«Gli
Ela, Ana? Lo pensi veramente?».
Sostenne il suo
sguardo, cercando una
via di fuga. Non ce n’erano – non per lui, almeno.
«Lo sapevi?» domandò,
sperando si accontentasse della sua ammissione.
Non
guardò verso l’altra Ela; solo,
sperò che iniziasse a far lavorare il cervello.
«Lo
sospettavo già da un po’» ammise
lei, traboccando soddisfazione. «Prima, quando ci hai chiusi
fuori, per un
secondo la tua energia è schizzata alle stelle, lo
sai?».
«Pensavo
non potessi vedere quella
delle persone».
«Non
molti plasmanti ci riescono».
Sbuffò
sprezzante. «Mistero risolto,
allora» commentò, chiedendosi perché
mai la mora fosse ancora lì, immobile alle
spalle di Siana. L’avrebbe volentieri strozzata.
La bionda scosse
la testa. «Per una
manifestazione così forte, devono esserci almeno due Ela,
qui». Si voltò
nuovamente verso il resto del gruppo, che aveva ascoltato attentamente
il loro
scambio. Tutti tranne Aidra, almeno. «Abbiamo due Arche che
hanno udito il
lamento e quindi possiamo escludere; poi io, che non sono un Arche, un
ragazzo
che sembra conoscere piuttosto bene le leggende e una che ha elevato
una cupola
dirottando un fiume» riassunse, posando lo sguardo sugli
ultimi due. «Non è una
deduzione molto complicata da fare».
«Potremmo
semplicemente essere vicini a
qualcun altro. All’Ela in pericolo, magari»
intervenne il biondo, avanzando per
accostarsi ad Aidra. «È già incredibile
che ci sia lui, qui» aggiunse, indicando
Malek.
«Ai?».
A emettere quel suono era stato
il terzo ragazzo. Fissava l’amica a occhi spalancati. Gli
sembrò che lei gli
dicesse qualcosa, ma qualsiasi cosa fosse non la capì.
Subito dopo,
Aidra si voltò verso di
loro, fissando lui in particolare. «Dobbiamo
aiutarlo!» esclamò.
«Non
vi seguo più» si lamentò Rod.
«Chi
dovremmo aiutare?» domandò, girandosi poi a
incrociare lo sguardo di Siana.
«Eri seria, poco fa?» volle sapere, scuro in volto.
«Serissima».
«Come
sarebbe, chi? L’Ela della Terra!»
insisté Aidra, avanzando verso Malek. «Se
è in pericolo, dobbiamo–»
Fu troppo.
«Che vorresti fare? Non hai
idea di dove sia» sottolineò, scansandosi.
«Perché
non vieni con noi, invece?»
intervenne Siana. «All’Accademia troveremo il modo
di aiutare».
«Davvero
non ti importa?»
Lo chiese
fissandolo con un lampo
ferito negli occhi. Era delusione?
«Ho
altro a cui pensare» rispose secco.
La sua espressione lo mise a disagio, ma non stava a lui decidere. E in
ogni
caso, trovare un altro Ela da consegnare a Kotuno era
l’ultima cosa che avesse
intenzione di fare. «Dovresti solo… venire con
noi» si costrinse a dire,
abbassando lo sguardo.
Fu per questo che non vide arrivare il getto d’acqua che lo colpì in faccia l’attimo dopo.
«Non
capisco» scandì Aidra con voce
tremante di rabbia. Poi lo superò, correndo verso ovest
– verso il nulla: non c’erano sentieri,
da quella parte.
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