Storie di Fisis

di Sognatrice Realista
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Segnale d'inizio - I parte ***
Capitolo 3: *** Segnale d'inizio - II parte ***
Capitolo 4: *** Acque Smosse ***
Capitolo 5: *** Alterazioni ***
Capitolo 6: *** Fidarsi ***
Capitolo 7: *** Crepuscolo ***
Capitolo 8: *** Tremito ***
Capitolo 9: *** Leggende ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



PROLOGO





Le strade di Agia quella sera erano gremite di persone intente a celebrare l’Anuk-ei. Era quasi il momento di consumare il sit’ota, un piatto tipico a base di bacche dolci: la tradizione prevedeva che ciò avvenisse in piazza, tutti insieme. Già risuonavano nell’aria le note d'inizio del canto di ringraziamento. Il quinto kalam volgeva al suo termine: i festeggiamenti sarebbero durati fino alla prima ora del nuovo ciclo.

Rara eccezione all’atmosfera esaltata, un bambino vagava smarrito per i vicoli. Nella confusione nessuno lo notò; oppresso dalla folla, imboccò d’istinto vie sempre più sgombre. Riottenuta un po’ d’aria, si guardò attorno: non distingueva le abitazioni intorno a lui, tutte caratterizzate dagli stessi mattoni color sabbia su cui la luce delle torce creava strani effetti che l’inquietarono.

Si fece coraggio e si riavvicinò alla folla, cercando disperatamente tra i volti quello di sua madre: non la trovò. Infine, stanco, si addentrò in una via buia che lo portò al limitare del villaggio, dove i rumori dei festeggiamenti divennero solo echi lontani. Calciò un sasso, scoraggiato, e si lasciò cadere contro un muretto. Sentì freddo e si strinse nella casacca di lana, inutilmente: non c’entrava la temperatura esterna, a farlo rabbrividire era il timore di non rivedere più la madre. Si disse che sicuramente lo stava cercando anche lei, e sperò fosse così; ma ultimamente era tanto stanca, e le faceva male la schiena. Si sarebbe arrabbiata molto? O preoccupata? Scosse la testa; nessuna delle due opzioni lo rasserenava.

Un urlo improvviso interruppe il filo dei suoi pensieri. Stupito, si alzò di scatto, senza pensare. Da dove veniva? Era stato un urlo acuto, una bambina, forse, o una donna… Si guardò intorno. Ciò che sentì dopo lo spaventò: una risata roca, crudele risuonò nel vicolo. Lanciò uno sguardo alla strada da cui era venuto – possibile che nessun altro avesse sentito? Era tutto così deserto.

In preda a una strana sensazione, si diresse verso l’origine del suono, rasentando il muro e stando ben attento a non fare alcun rumore. Gli arrivarono delle voci, ma non riuscì a distinguerne le parole. Attento a non farsi vedere, si sporse oltre la fine del muro: fuori dal villaggio, accanto al fiume Tar, c’era una bambina. Si reggeva malferma sulle gambe, o almeno così gli sembrò; indossava una casacca simile alla sua. Fissava con occhi pieni d’orrore dritto davanti a lei, e fu solo seguendo il suo sguardo che il bambino distinse nell’ombra le figure di due uomini.

Un brivido gli corse lungo la schiena. Uno degli uomini impugnava un lungo coltello e, sebbene il buio e la prospettiva gli impedissero di distinguere bene gli abiti, il loro copricapo era unico e lanciava un chiaro messaggio. Solo i banditi indossavano l’Amakai, riconoscibile dai due lacci pendenti sul retro con due anelli legati alle estremità. Questi tintinnarono quando i due avanzarono verso la bambina, che al contrario indietreggiò. Osservò la scena trattenendo il fiato; avrebbe voluto urlare, aiutarla, ma era come paralizzato.

Nella mano del bandito più vicino a lei apparve una fiammella.

«Fa’ la brava, seguici e andrà tutto bene».

La vide stringere le labbra e grazie alla luce della fiamma notò che lottava con le lacrime. Mormorò qualcosa, o così sembro al bambino; era troppo lontana perché potesse sentirla.

Poi parlò l’uomo con il coltello. «Basta giocare. Prendila» ordinò al compagno. «Abbiamo già perso fin troppo tempo» aggiunse, facendo un cenno verso una zona a pochi metri da lui. Al bambino per poco non sfuggì un grido d’orrore, distinguendo in quel punto due sagome immobili.

Il fuoco lasciò la mano del bandito e si sollevò sopra di lui. Fece un altro passo, riducendo di molto lo spazio che lo separava dalla bambina, che ora si era arresa al pianto. La vide indietreggiare ancora, azzerando la distanza tra lei e il fiume.

L’uomo si slanciò in avanti nel tentativo di afferrarla; lei si ritrasse, mise un piede in fallo…

Scivolò nel fiume sotto il suo sguardo.

“La prenderanno”, pensò triste. Davvero non poteva fare niente per aiutarla? Il suo sguardo si soffermò sul coltello. Era solo un bambino, non sapeva controllare i suoi poteri. Loro erano in due. Sarebbe dovuto correre indietro a cercare aiuto, forse avrebbe trovato qualcuno e non sarebbe stato troppo tardi… non riusciva a muoversi, però. Poteva solo guardare, e vide il secondo uomo raggiungere l’altro e abbassare lo sguardo sul torrente.

«Non c’è!».

L’incredulo urlo di rabbia giunse distintamente alle orecchie del piccolo spettatore.















NdA

Ho attentamente rivisto e ampliato questo prologo seguendo i consigli di Nirvana_04, che ringrazio davvero molto.
Questa è la storia a cui tengo di più; se vorrete seguirla, vi sarò grata. Vi esorto inoltre a farmi sapere che cosa ne pensiate, nel bene e nel male: sono qui per migliorare!

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Capitolo 2
*** Segnale d'inizio - I parte ***


Capitolo 1

Era una tranquilla mattinata di Nira; abituata ai bruschi rovesci climatici tipici di quel kalam, la maggior parte degli abitanti di Lytho preferiva non lasciare il villaggio, se non era strettamente necessario. Odrik, tuttavia, non esitò a imboccare la strada che portava al fiume. Sapeva che con ogni probabilità era lì che avrebbe trovato Aidra.

Non si era sbagliato; appena fu in vista del Tar distinse la sagoma dell’amica. Il vento le scompigliava i capelli, creandole ghirigori neri sulle spalle, ma lei non sembrava curarsene. Seduta a gambe incrociate sulla sponda, giocava con l’acqua. Le si avvicinò.

«Potresti provare a cambiare posto, ogni tanto: cercarti sarebbe più divertente».

Aidra sussultò, evidentemente non l’aveva sentito arrivare: il cerchio d’acqua che aveva plasmato davanti a sé ricadde nel fiume, provocando degli schizzi. Non se ne curò: si girò verso di lui sfoggiando un sorriso raggiante.

«Sei in ritardo! Non dirmi che ti sei alzato solo ora?» lo riprese ridendo.

Odrik eliminò i due passi rimasti tra loro e si sedette accanto a lei. Sbuffò, prima di spiegare:

«Ho dato una mano al forno, stamattina. Mia madre non mi lascia libero come fa con te».

La ragazza accennò un sorriso di scuse. «Credo abbia paura che combini qualche disastro. L’ultima volta ho rischiato di bruciare tutto» ricordò, pensierosa. «Non è successo, ma neanche il pane bagnato è granché invitante».

Lui per tutta risposta scoppiò a ridere. «Forse non ha tutti i torti a non chiederti aiuto».

Aidra lo colpì scherzosamente sulla spalla. «Mi sento in colpa, invece. Da quando Mirel si è trasferita a Mens mi tratta come una figlia, vorrei sdebitarmi!» esclamò.

Tornò a modellare l’acqua, formando stavolta un’enorme goccia che lasciò ricadere poco dopo.

«Lo fa volentieri» ribatté Odrik, tranquillo. «Piuttosto, si è fatta viva?»

Giocherellando con una ciocca di capelli, lei scrollò le spalle. «Ancora no». Si girò per fissarlo negli occhi, e lui poté constatare che non c’era la minima traccia di scoramento nella sua espressione; fosse stata qualsiasi altra persona, si sarebbe stupito. Da lei se l’aspettava.

«Se continua così, dovrò andare io a trovarla» decretò convinta.

«Sarebbe un’ottima scusa per iniziare il tuo viaggio» concesse, «ma toglitelo dalla testa. I banditi si sono fatti più audaci, pare attacchino persino i villaggi! Dove pensi di andare da sola?»

Scosse la testa: Aidra era sempre stata così, fin da piccola. Parlava continuamente del viaggio che non vedeva l’ora di intraprendere, ne era ossessionata. Odrik non capiva questo desiderio di lasciare Lytho, ma d’altra parte lui c’era nato, Aidra no. Iniziava a sospettare, però, che sotto ci fosse qualcos’altro; l’idea che l’amica gli nascondesse i veri motivi lo turbava – non aveva mai osato affrontare il discorso. Vedendola così determinata, si chiese se non fosse arrivato il momento di farlo.

«Ascolta, Ai» iniziò incerto.

Non poté finire; delle grida richiamarono l’attenzione di entrambi. Si girarono in contemporanea verso il villaggio: le voci provenivano da lì.

«Strano», mormorò Aidra, alzandosi.

Odrik poggiò una mano a terra, impallidendo ben presto. Aidra gli sfiorò la guancia con la mano, sollevandogli il volto per incrociare il suo sguardo.

«Che succede?» gli chiese, seria.

Lui fece una smorfia. «Spero di sbagliarmi».

~

«Che ti prende? Concentrati!»

L’esclamazione di Rod fu seguita da un colpo che costrinse Malek ad arretrare di un passo.

Il ragazzo si accigliò, riportando lo sguardo sull’avversario. Odiava gli allenamenti di lotta col bastone, non ne vedeva l’utilità. Il fatto che il Direttore dell’Accademia li osservasse dall’altro lato dell’arena, poi, l’irritava ulteriormente. Era guardando lui che si era distratto poco prima.

Due colpi ben assestati e si vide volar via l’arma dalle mani. Rod gli piazzò la sua contro il collo, guardandolo deluso. «Tutto qui?»

Malek sentì montare la rabbia e strinse il legno dell’avversario. Avrebbe potuto bruciarlo, sarebbe stato facile: una sola scintilla e quell’espressione irritante sarebbe svanita dal volto di Rod. Certo, l’uso dell’Archia era proibito durante gli allenamenti, ma aveva realmente importanza? Non rischiava certo l’espulsione. Anzi, se l’avessero espulso avrebbe festeggiato.

Avvertì uno sguardo, il suo, su di sé. La rabbia passò, sostituita dal solito sprezzo. Sbuffò e allontanò il bastone con un gesto brusco. Rod lo lasciò fare: ormai l’incontro era finito.

«Recupera il bastone, continuiamo».

Malek ignorò l’esortazione: per lui l’allenamento terminava lì. Non si spiegò, si avviò in silenzio verso l’uscita senza riuscire a scrollarsi di dosso quel fin troppo familiare senso di disagio.

Lasciata l’arena, si concesse due secondi per fissare il cancello d’entrata dell’Accademia. Era tranquillo in quel momento, ma era certo che entro poco si sarebbe affollato; al termine delle lezioni quasi tutti gli studenti si riversavano per le vie di Mens.

A lui non era concesso, considerò amaramente dando le spalle al cancello.

Di fronte a lui il dormitorio, la sua casa degli ultimi quattordici cicli, l’attendeva. Rassegnato, vi si diresse senza più volgersi indietro.

~

Aidra inspirò a fondo, cacciando ogni pensiero superfluo. Non poteva permetterseli.

Odrik era sparito da un po’ ormai, sicuramente aveva già raggiunto la piazza. Sarebbe riuscito a convincere gli altri, gli anziani soprattutto, a darle retta e aiutarla? Poteva solo augurarsi di sì. Immerse la mano nell’acqua, muovendola circolarmente; il contatto con il suo elemento bastò a rasserenarla. Non aveva paura, semmai il contrario: era eccitata.

Sapeva di potercela fare, voleva entrare in azione – il suo unico freno erano le parole di Mirel.

Troppe volte le aveva ripetuto di non mettersi troppo in mostra, di non strafare. Mantenendo lo sguardo fisso verso Lytho, pronta a cogliere il segnale di via libera, accennò un sorriso. Non era del tutto certa che Mirel avrebbe approvato il suo piano – si era trattenuta, ma non troppo: la situazione era seria –, ma il semplice fatto che la Fonè fosse partita significava una cosa sola.

Mirel non l’aveva detto esplicitamente, ma Aidra aveva compreso ugualmente: era pronta, il momento di cercare la sua strada si avvicinava. Presto, si ripeteva continuamente, non dovrò più nascondermi.

Aspettava solo un segno, e un gruppo di banditi in marcia verso il suo villaggio – sebbene non corrispondesse propriamente alle avventure su cui mille volte aveva fantasticato – era senz’altro un inizio.

Aidra non era preoccupata: semmai temeva che gli anziani non appoggiassero il suo piano, costringendola a entrare in azione da sola e infrangere del tutto la promessa fatta a Mirel.

Quando, finalmente, un solco si aprì nel terreno davanti ai suoi occhi, sorrise d’istinto.

Odrik c’era riuscito.

Fermò la mano, che aveva agitato nell’acqua fino a quel momento, e chiuse gli occhi.

Doveva concentrarsi, non impiegare nemmeno una goccia di potere in più. Gli abitanti sapevano già che era portata per la magia, o meglio, pensavano di saperlo: quel che intendeva fare li avrebbe stupiti, lo sapeva e in fondo trovava quel pensiero gratificante.

“Sii cauta, Ai.”

Sentì la voce di Mirel riecheggiare nella sua testa; va bene, pensò rivolta alla sorella assente, ci proverò. Riaprì gli occhi e sollevò il braccio fuori dal fiume, guidando con esso l’enorme massa d’acqua e dirottandola verso il canale improvvisato.

Non se ne rese conto, ma trattenne il fiato finché, i sensi pienamente immersi nell’elemento, non appurò che il piano concordato con Odrik era riuscito del tutto: dalle labbra le sfuggì uno sbuffo sollevato mentre il fiume dirottato, seguendo il canale, completava un giro attorno al villaggio.

Mantenendo il braccio alzato verso Lytho, iniziò a mulinare rapidamente la mano libera, tesissima. Piegandosi alla sua volontà, il fiume si innalzò dal solco a formare una cupola d’acqua corrente sopra al villaggio; saliva, completava un arco e ricadeva, subito dirottata dal canale nuovamente al punto d’inizio, perpetuando così un ciclo infinito.

Quasi: il processo si sarebbe interrotto non appena il controllo di Aidra fosse venuto meno.

Se i banditi avessero deciso di aspettare, quell’espediente sarebbe servito solo a rimandare l’attacco.

Ora tocca a voi.












NdA
Sicuramente continuerò a revisionare e a limare questo capitolo (e gli altri!) fino allo sfinimento, ma per il momento pubblico nonostante i mille dubbi: se dovessi darmi retta chissà quando lo farei. Pubblicare, inoltre, mi motiva a scrivere.
Iniziamo a conoscere i personaggi; al gruppo dei protagonisti ne manca ancora uno che non è stato nemmeno nominato, ma arriverà presto. Se avete consigli/critiche vi esorto a muoverle, prometto che non mordo, anzi! Sono qui per imparare.
Grazie mille per aver letto ❤️
Alla prossima, spero tra non troppo!

P.S.
Quando la storia sarà finita (ah, ah...) conto di dare un nome a ogni capitolo, per ora non sono tanto sicura di farlo (anche perché in futuro potrei accorpare qualche capitolo, è tutto ancora molto in prova); diciamo che i titoli che vedrete sono provvisori. Mi eclisso davvero!

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Capitolo 3
*** Segnale d'inizio - II parte ***


Capitolo 1

Odrik sorrise stanco; convincere gli anziani a seguire le indicazioni di Aidra non era stato semplice, ma – complice la mancanza di altre vere opzioni – avevano infine acconsentito: assistere al successo di quel piano azzardato gli tolse un peso non indifferente dalla coscienza. Si fidava di Aidra, o non l’avrebbe appoggiata, ma ciò che aveva preteso di fare era seriamente complesso, sfidava l’immaginazione, e l’ombra di un dubbio gli aveva dato il tormento finché non aveva visto la cupola materializzarsi di fronte ai suoi occhi. C’era riuscita realmente, e questo l’aveva riempito di gioia e soddisfazione; tuttavia, aveva anche percepito – mista allo stupore – una vaga sensazione di disagio.

Aveva sempre saputo che Aidra era potente, ma non aveva mai neanche sospettato che lo fosse fino a quel punto. A fargli male fu la consapevolezza di non conoscerla bene come aveva pensato e dato per scontato.

Se non altro, constatò studiando le espressioni stupite degli abitanti intorno a lui, non era l’unico rimasto sconcertato da quella scoperta, anzi: paragonandosi agli altri poteva dire di aver assimilato con tranquillità l’informazione.

«Folle, completamente folle» sentì bisbigliare dietro di sé. Controllò voltandosi rapidamente, e scorse un ragazzo biondo che non aveva mai visto prima. Gli dava le spalle, dirigendosi con una bambina verso il centro del villaggio. Strano.

Non gli piacque, ma non aveva davvero il tempo di preoccuparsene: doveva restare in posizione con gli altri Archi di Terra per assicurarsi che il canale improvvisato reggesse e, se possibile, dare una mano agli Archi d’Acqua nel respingere i banditi.

Erano loro infatti a gestire l’offensiva, sfruttando il fiume dirottato per colpire chi ardiva avvicinarsi. Questi ultimi in realtà non erano molti: la cupola di per sé era uno spettacolo magnifico e temibile, un deterrente valido già di suo.

In un primo momento i banditi avevano cercato di penetrarla dall’alto con lance e frecce, ma l’acqua corrente aveva vanificato ogni tentativo.

Scacciò l’immagine dello sconosciuto dalla mente e si concentrò. Non poteva permettersi errori: sapeva che Aidra non l’avrebbe fatto, e non voleva essere da meno.

~

Aidra sussultò nell’avvertire una lieve scossa nel terreno accanto a lei. Era il segnale concordato con Odrik; non se l’aspettava così presto.

Mantenendo la concentrazione, rallentò il mulinare della mano e iniziò a far rientrare gradualmente il fiume, interrompendo il ciclo. Si rilassò solo dopo che l’ultima goccia fu tornata nel letto del fiume, e con lo sguardo rivolto al Tar alzò le braccia, stirandole.

«Hai scelto un modo originale per gridare a tutti chi sei».

Aidra sobbalzò. Aveva sentito avvicinarsi qualcuno, ma non si era girata, certa che si trattasse di Odrik.

La voce che l’aveva appena raggiunta, però, non era quella profonda dell’amico, che conosceva così bene. Non l’aveva mai sentita prima; a preoccuparla era soprattutto la domanda che l’estraneo aveva formulato, tuttavia. Mirel non ne sarebbe stata felice.

«Chi sono?» ripeté, cercando di mantenere un tono neutro. «Non so di che parli» aggiunse poco dopo. Non si voltò, non ancora, incerta sul da farsi.

«Sai cosa intendo» fu la replica secca dello sconosciuto. «Un normale Arche non potrebbe mai metter su uno spettacolo del genere».

Stavolta Aidra non resistette e si voltò. Non trovò subito l’oggetto del suo interesse: la voce apparteneva a un ragazzo che la fissava tenendosi a distanza, la schiena poggiata al tronco di un albero a qualche passo dal sentiero che portava al villaggio. Per questo le ci era voluto un po’ a notarlo: la penombra offerta dai rami lo nascondeva a uno sguardo superficiale.

Non riuscì a distinguerne bene il volto, ma le sembrò pallido. Gli andò incontro; avvicinandosi le saltò agli occhi il biondo acceso dei suoi capelli, insolito in quella zona. Era più una caratteristica diffusa a est di Fisis, se ben ricordava i racconti.

«Chi sei?» domandò, sinceramente curiosa.

Il ragazzo assunse un’espressione confusa. «Davvero? Non hai altro da chiedermi?»

Aidra percepì il suo sguardo inquisitore; la studiava come se fosse chissà quale strana, incomprensibile creatura. Gli sorrise, decidendo che negare oltre sarebbe stato inutile.

«Sembri sapere chi sono io, pareggiamo la situazione» propose candidamente.

Il biondo sbuffò. «Non ha importanza», mormorò scuotendo la testa. Rialzò lo sguardo e lo puntò dritto nei suoi occhi: «Avevo ragione, sei un’incosciente. Prima ti metti in mostra in quel modo, poi ti dico che so chi sei e non te ne preoccupi minimamente».

Aidra sostenne il suo sguardo, incrociando le braccia davanti a sé. «Non starai esagerando?» ribatté. «Mi stupisce che tu ci sia arrivato, ma la gente di Lytho non crede all’esistenza di quelli come me: non basterà così poco per convincerli del contrario. Saranno stupiti, certo, ma niente di più. Mi sono anche contenuta», dichiarò senza mai interrompere il contatto visivo.

Riprese dopo qualche secondo: «Se ne dimenticheranno presto. E comunque» – gli diede le spalle – «non penso che sarebbe così tragico, essere “scoperta”». Pronunciò le ultime parole in poco più di un sussurro.

Immaginò lo sguardo intenso del ragazzo puntato sulla sua schiena; infine lo avvertì sospirare. Se lo figurò con lo sguardo al cielo e la cosa la divertì, per qualche ragione. Lo sentì avvicinarsi.

«Incosciente» soffiò lui, stavolta al suo fianco. La precedette, sedendosi sulla riva del Tar. Non la guardò negli occhi. «Isryl» disse poi.

«Isryl?» ripeté Aidra, confusa, accomodandosi a sua volta. Lo squadrò con curiosità, attendendo paziente la spiegazione di quel vocabolo melodioso. Le piaceva come suonava.

«Il mio nome» aggiunse piatto lui, lo sguardo rivolto alle acque tumultuose del fiume. «Volevi sapere chi sono, no? Isryl».

Soppresse un’esclamazione di stupore. Che sciocca, avrebbe dovuto arrivarci. Solo, non se l’era aspettato: istintivamente si era convinta che farsi rivelare il nome dal biondo sarebbe stato più complicato. Il suo sorriso si ampliò.

«Bene, Isryl,» iniziò solenne, «congratulazioni: sei il primo estraneo che abbia mai svelato la mia identità».

Finalmente si voltò verso di lei, esaminandola scettico. Aidra volle provocarlo e aggiunse: «Ammesso che tu non ti sia sbagliato».

«Difficile credere di essere il primo. Hanno tutti gli occhi tappati, in quel villaggio?»

La mora scoppiò genuinamente a ridere, sentendosi leggera come le capitava solo con Mirel. «Me lo sono chiesta anch’io. Aidra, comunque – se volessi sapere anche il mio nome».

«Sì, l’ho sentito dire» commentò Isryl con un’alzata di spalle. «Nell’ultima ora l’hanno ripetuto spesso, al villaggio».

Aidra annuì: poteva immaginarlo. Poco prima aveva minimizzato, affermando che l’avrebbero tutti dimenticato presto, ma si rendeva conto che prima di quel momento avrebbe dovuto rispondere a un po’ di domande. Inutile preoccuparsene adesso.

«Non ti ho mai visto a Lytho, prima» disse, sperando che l’altro cogliesse l’implicita domanda e la graziasse con una risposta.

«Siamo arrivati pochi giorni fa» tagliò corto Isryl – qualcosa nel suo tono fece desistere Aidra dall’indagare oltre. Si concesse un’altra domanda, tuttavia:

«Vi fermerete a lungo?»

«Forse».

«Non sei di molte parole, tu».

«Aidra!»

Si voltò rapida; stavolta la voce le era ben nota. Odrik. Non aveva sentito nulla del loro discorso, giusto?

Fece un cenno all’amico con il braccio e spiò verso il biondo, che si era rialzato, con la coda dell’occhio. C’erano molte altre cose che avrebbe voluto chiedergli, praticamente sapeva solo il suo nome. E che, diversamente da molti, credeva nelle antiche leggende.

Vide l’amico d’infanzia squadrare Isryl con sospetto, venendo ricambiato con indifferenza. Fissò la sua nuova conoscenza allontanarsi rapida senza salutarla, stupendosene troppo sul momento per tentare di fermarlo.

In più, le bastò un’occhiata all’espressione di Odrik per capire che avrebbe richiesto tutta la sua attenzione per un po’.

Batté sul terreno accanto a sé, invitandolo a sedersi, e per il momento soppresse la sua curiosità per soddisfare – entro determinati limiti – quella dell’amico.

«Chi è, cosa voleva?»

Aidra prese un bel respiro e iniziò a parare i colpi.

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Capitolo 4
*** Acque Smosse ***


Codice

«Potrebbe essere lei». Melisa lo disse in tono neutro, quasi indifferente – lo stesso che aveva utilizzato per riassumergli la vicenda; stava tastando il terreno, voleva studiare la sua reazione, Kotuno lo comprese.

Un gruppo di banditi aveva tentato, circa dieci giorni prima, di attaccare un piccolo villaggio, ma era stato respinto: il merito era stato attribuito a un “Arche prodigio”. Le fonti di Melisa si basavano su chiacchiere di mercanti, reperire ulteriori dettagli si era rivelato impossibile; persino sul sesso dell’Arche non c’era stato un parere univoco. L’unico elemento che pareva certo era che l’Arche in questione avesse manipolato un’ingente quantità d’acqua.

Kotuno non batté ciglio al termine del resoconto. Si alzò e recuperò una mappa dal cassetto della scrivania, per poi spiegarla sul tavolo. «Ripetimi: dov’è successo?»

Melisa ripeté il nome del villaggio, avvicinandosi al tavolo per aiutarlo nella ricerca.

Non fu difficile trovarlo: la sua idea si era rivelata corretta. Puntò il dito su Lytho, un minuscolo puntino accanto al fiume Tar. «Potrebbe», affermò. Risalì il corso del fiume con il dito, fermandolo su un altro punto, leggermente più marcato.

«Mi è sfuggita qui, quasi dieci cicli fa. Temevo di averla persa – che qualcuno la stesse aiutando. Sembra mi fossi sbagliato» commentò tra sé, ghignando.

«Perché esporsi così, dopo tutto questo tempo? Finora non avevamo trovato nemmeno l’ombra di una traccia» intervenne Melisa, diffidente.

«Hai ragione» concesse Kotuno; il ghigno non sparì dal suo volto. «Potrebbe essere una coincidenza, un vero prodigio – o una leggerezza. Una trappola, persino» rifletté, incontrando lo sguardo di Melisa. «In quest’ultimo caso, le si rivolterà contro» affermò convinto, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente.

«Sembri avere un piano», constatò cauta lei, squadrandolo. Kotuno notò le sue kerai, normalmente inerti e mimetizzate tra i capelli, oscillare – si chiese cosa stesse captando. Non negò.

«Manderò il ragazzo».

Con questa affermazione ottenne una reazione più forte. La Fonè inarcò le sopracciglia e aprì la bocca in un’espressione sorpresa e – sospettò – lievemente contrariata. «È rischioso».

L’uomo mosse la mano, come per scacciare quell’insinuazione. «Ridicolo» replicò secco. «È totalmente in mio potere. Se non bastasse, c’è qualcuno che deve proteggere. Non farà niente di sciocco – non ne è capace» affermò, liquidando la questione. «Ed è più sicuro che mandare te».

Melisa non ribatté. D’altra parte, la decisione spettava a lui; le possibilità di farlo ritrattare erano ben poche.

«Bene, allora» disse infine la Fonè, spezzando il silenzio che si era protratto per quasi un minuto dopo quell’ultimo scambio. Gli diede le spalle e raggiunse la porta.

«Convocalo da me» le disse mentre era già sull’uscio. «Voglio che parta subito. Non da solo, naturalmente».

Melisa assentì brevemente prima di varcare la soglia.

~

Dopo il breve, enigmatico incontro interrotto da Odrik il giorno dell’attacco, Aidra – la cui curiosità era ben lontana dall’essere paga – nei giorni seguenti aveva setacciato le strade di Lytho in cerca di Isryl, o meglio, aveva tentato di farlo.

Non si era sbagliata: nessuno degli abitanti aveva intuito chi fosse realmente, ma questo non significava che non si fossero sentiti in diritto di fermarla a vista per chiederle spiegazioni. “Come ci sei riuscita?”, “Da quando sei così potente?”, “Perché ce l’hai tenuto nascosto?” erano solo alcune delle domande che si era sentita ripetutamente rivolgere da praticamente chiunque, Odrik per primo.

Aveva dato la stessa, vaga risposta a tutti, e – chi più, chi meno – era riuscita a convincerli che non ci fosse niente di strano in lei, che si era allenata molto e che riuscire a formare la cupola era stata una semplice questione di fortuna; che senza l’aiuto degli altri Archi non sarebbe mai riuscita nel suo intento, non avrebbe nemmeno osato provarci. Forse perché sarebbe stato seccante, per i più anziani, riconoscere di essere stati superati di tanto da quella che ai loro occhi era ancora una ragazzina, forse perché nessuno aveva realmente voglia di farsi troppe domande – erano al sicuro? Bene –, probabilmente perché loro stessi non avevano trovato una spiegazione migliore, era bastato a convincerli. Era bastato per tutti – quasi.

Aidra odiava mentire, avrebbe preferito evitarlo; soprattutto non avrebbe voluto rifilare quella lista insensata di falsità almeno al suo migliore amico. Ciononostante, l’aveva fatto. Ascoltando la sua versione, gli occhi di Odrik si erano velati di dolore – l’aveva visto. L’aveva visto e c’era stata male, peggio di quanto non le fosse già costato l’atto di mentirgli in sé; non aveva detto niente, e così lui. Banalmente, Odrik aveva assentito come se avesse deciso di crederle.

Sapevano benissimo entrambi che non era così.

Lui era l’unico ad aver sospettato – no, compreso – che ci fosse molto di più, dietro a quella storia, e lei l’aveva capito. Non avrebbe voluto ferirlo, non avrebbe voluto deluderlo. Farlo le causava tanta sofferenza quanta ne provocava in lui.

A metà racconto, vedendolo adombrarsi, avrebbe voluto interrompersi, dire che era tutto falso, che la verità era un’altra. Svelargli il suo segreto più grande, finalmente.

Non l’aveva fatto – non aveva potuto farlo. Le si era formata in mente una scena ben precisa.

Una scena avvenuta realmente diverso tempo prima.

Allora non erano passati più di due cicli da quando aveva iniziato a vivere con Mirel, e da molto meno la Fonè le aveva spiegato la verità sui suoi poteri.

Euforica, ingenua, non aveva dato troppo peso alle sue raccomandazioni di segretezza. Quel pomeriggio era corsa dai suoi amici, l’aveva detto.

Le avevano riso in faccia. “Dai, smettila di scherzare.”

Uno dei bambini più grandi aveva sbadigliato, guardandola senza nascondere l’irritazione. “Ti alleni per il Patkar? Va’ a farlo da un’altra parte.”

Aidra aveva gonfiato le guance, insistito. L’unica risposta che aveva ottenuto era stata una generica scrollata di spalle, accompagnata da una frase.

Una semplicissima frase che non avrebbe più potuto scordare.

“Lo sanno tutti che non esistono.”

Le era venuto da piangere, era corsa via. Si era nascosta, rannicchiata dietro al grande albero vicino al fiume, finché Mirel non era venuta a recuperarla. Lei non l’aveva sgridata. L’aveva presa per mano e, una volta a casa, le aveva spiegato con voce triste che quella dei bambini era stata una reazione normale.

Le antiche leggende erano questo, per la maggior parte degli abitanti di Fisis: nulla più che favole, immagini mitiche che i genitori invocavano per spaventare i figli disobbedienti. Niente di più.

Aidra ricordava d’aver promesso di essere più cauta, una volta calmatasi.

Dopo quell’incidente era passato del tempo, quasi un intero maran, prima che uscisse nuovamente a giocare con gli altri. Scoprire che agli occhi dei suoi compagni di gioco – e non solo ai loro – non sarebbe dovuta esistere l’aveva scossa profondamente. L’aveva trovato incredibilmente ingiusto, l’aveva fatta sentire inadeguata, sbagliata.

Non molto tempo dopo, Odrik era andato a trovarla. Lui non era stato presente quel pomeriggio, non aveva assistito alla sua umiliazione. Non aveva idea del perché fosse sparita così a lungo. Aidra era stata felice di vederlo, ma al contempo aveva esitato. Lui forse aveva percepito che qualcosa non andava: aveva iniziato a raccontarle delle sue giornate, di come nell’aiutare i genitori avesse confuso un ingrediente con un altro, finendo per creare un dolce dal sapore orribile – storie quotidiane, semplici, che l’avevano fatta ridere, le avevano fatto scordare almeno per qualche istante la brutta avventura vissuta.

Si era sentita a suo agio, con lui. Si era sciolta, aveva risposto alle battute, aveva contribuito ai racconti. Si era divertita.

Prima che andasse via, si era fatta coraggio; stringendo i pugni fino a sentire le unghie inciderle la pelle, gliel’aveva chiesto. “Cosa pensi degli Ela?”

Aidra scosse la testa, cercando invano di scacciare quel ricordo. Odrik quella volta aveva riso, dandole più o meno la stessa versione degli altri bambini – solo, con frasi più gentili.

In fondo cos’altro avrebbe potuto sperare?

Da allora si era adeguata alle raccomandazioni di Mirel, aveva nascosto il suo potere il più possibile e non ne aveva fatto parola con nessuno, mai. Aveva temuto che i tre, quattro bambini che avevano ascoltato la sua avventata confidenza potessero ricordarla, smascherarla – non era mai successo. Con il passare del tempo aveva capito che non avevano il minimo ricordo di quel giorno, delle sue bugie di allora.

Quel pomeriggio aveva lasciato un segno importante, ma solo in lei.

Sapeva che Odrik non aveva voluto ferirla, che era solo un bambino allora e che gli era stato insegnato così; sapeva anche che non avrebbe retto il sentirsi nuovamente come quel giorno, il veder rifiutare la sua verità proprio da lui.

Aidra strinse i pugni. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare Odrik, prima o poi – se fosse rimasta, le suggerì un pensiero a tradimento –, ma non era pronta. Non ancora.

Sorrise triste. Poteva davvero pensare di partire e sostenere il suo destino se non riusciva neanche a fronteggiare con onestà un amico?

D’un tratto intravide, dal lato opposto del vicolo in cui si trovava, una chioma bionda che non mancò di riconoscere – impossibile confonderla: Isryl era l’unico con quel raro colore, a Lytho, che lei sapesse. Il ciclo di pensieri e ricordi s’interruppe; Aidra accantonò momentaneamente i sensi di colpa, rimandò ancora il momento di affrontarli.

Si affrettò in direzione del biondo, determinata a non perderlo.

~

Malek uscì dallo studio in totale silenzio; solo dopo aver svoltato nel corridoio principale si accorse del tremito delle sue mani. Sollevò la sinistra e rimase a fissarla per vari secondi, cercando invano di riprendersi. Infine la chiuse di colpo, in uno scatto di rabbia.

Odiava quell’uomo, odiava l’effetto che aveva su di lui. Gli bastava vederlo perché un irrazionale terrore l’assalisse. Terrore e rabbia, ogni singola volta.

Il tremore insistente che l’aveva colto ora, però, non dipendeva solo da quei sentimenti. Malek scagliò il pugno chiuso contro il muro accanto a sé, sperando vanamente che bastasse a farlo star meglio. Aveva supposto pessime notizie dal momento in cui aveva ricevuto la convocazione nel suo studio, ma non si era aspettato neanche lontanamente quell’ordine – ancora non l’aveva assimilato del tutto.

Se non fosse stato così avvelenato nei confronti dell’uomo, avrebbe potuto trovarlo ironico: dopo averlo costretto nell’Accademia così a lungo, gli ordinava di lasciarla. Solo per svolgere un suo incarico, certo – e quale incarico.

Malek si era rassegnato alla sua situazione, ormai. Non l’aveva accettata, questo no; Kora visitava i suoi incubi ogni notte, sempre nella stessa forma. Bloccata a terra da qualcuno che Malek non riusciva a scorgere, ma di cui intuiva inconsciamente l’identità, lo fissava con uno sguardo pieno di tristezza. I suoi occhi dicevano tutto: non riusciva mai a scorgervi del rimpianto, solo una profonda tristezza, paradossalmente contornata da lampi di speranza e determinazione. Se possibile, era questo a farlo stare peggio. Avrebbe preferito che Kora lo accusasse, che il suo volto gli gridasse che era tutta colpa sua, che avrebbe preferito non averlo mai conosciuto. Era l’esatto contrario: l’ultimo sguardo – prima che il dolore lo sfigurasse – che la ragazza gli aveva rivolto sembrava gridare “Lo rifarei”, in perfetto accordo con il “Vai avanti” che era riuscita a stento a mormorare mentre Kotuno, un tempo visto come un padre, le serrava la gola e ne sorbiva la vita.

Non aveva saputo seguire la sua ultima richiesta. Non era andato avanti, aveva lasciato ogni speranza. Dimenticato le esortazioni disperate di Amok, deciso di ignorare ciò che ci si aspettava da lui. Abbandonata ogni velleità di fuga, totalmente alla mercé del suo carnefice, si era piegato. Sapeva che gli sarebbe toccata la stessa sorte di Kora, l’aveva accettato – a volte aveva persino sperato che quel momento arrivasse in fretta.

Aveva compreso di non poter difendere nessuno, tantomeno sé stesso, non se si trattava di quell’uomo. Aveva creduto che cedere fosse l’opzione migliore, l’unico modo certo di preservare almeno Clari.

Era bastato quel breve colloquio a infrangere, nuovamente, ogni sua convinzione.

Gli era finalmente chiaro perché fosse stato lasciato “libero” di muoversi nella sua gabbia dorata, perché dopo quella sera non l’avessero semplicemente rinchiuso ma anzi spinto a migliorare il controllo sul suo potere, sia pure sotto attenta sorveglianza. Non doveva essersi trattato d’altro che di affilare uno strumento, per il Direttore. Uno strumento che non avrebbe potuto opporsi alle sue richieste, una potente pedina nelle sue mani. Una pedina che, doveva darlo per scontato, non si sarebbe mai ribellata.

Dopo aver ascoltato il compito assegnatogli, due pensieri l’avevano attraversato in contemporanea, con pari forza.

“Non posso” – “Devo”.

Malek si sentiva ribollire d’ira e frustrazione, del tutto incapace di prendere una decisione. Fissò impotente il proprio pugno, rimasto contro il muro tutto quel tempo. Le nocche iniziavano a dolergli.

L’abbassò con lentezza, sentendosi improvvisamente svuotato.

Inutile porsi tanti problemi, si disse amaramente. Non è che abbia scelta. Non mi muoverò da solo – non posso rischiare anche lei.

Lo sguardo fisso al pavimento, si trascinò stancamente in camera – gli sembrava quasi di muoversi in un sogno. Non richiuse la porta; una volta dentro si lasciò cadere sul letto e vi rimase, immobile, assorto in pensieri tremendi.

Lui era segnato, ma non voleva portare nessuno sul fondo con sé. Non di nuovo.

Se solo fosse stato possibile.

­­­~







Legenda Temporale

Ciclo: corrisponde, più o meno, a un nostro anno
Kalam: un periodo di settanta giorni, potremmo definirla una stagione. Ne esistono cinque. {Vapti, Pumi, Nira, Lis, Vimana}
Maran: periodi di trentacinque giorni; ogni kalam è composto di due maran.


NdA
Buondì! Per chi è arrivato qui: grazie *___* Vi meritate dei biscotti.
Spero la leggenda qui sopra sia chiara (?), mi sembrava fosse il momento di fare un po' di chiarezza con la terminologia.
Non ho moltissimo da dire su questo capitolo - per non assillarvi, più che altro -. Spero vivamente che la parte di Aidra non sia risultata confusionaria, con l'oscillazione tra passato e presente; ho preferito renderla così, più che con un vero e proprio flashback, sperando di rendere proprio l'idea che sia assalita dai ricordi, ma non so se ho ottenuto il risultato sperato t.t
Passando ad argomenti più lieti, vi lascio qui due meravigliose fan-art di Alchimista di Neve *-*
Ecco a voi Aidra, lettrici e lettori!
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Image and video hosting by TinyPic Al prossimo capitolo! ^^

P.S.
Se leggendo vi ritrovate a pensare "cliché", "banale", "che diamine sto leggendo" o simili, vi invito a farmi presenti le vostre perplessità: prometto che non mordo. Voglio il meglio per questa storia, quindi eventuali critiche - mosse in toni civili, naturalmente - possono solo farmi bene. ^^

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Capitolo 5
*** Alterazioni ***


Malek sbuffò, lo sguardo puntato sui due promossi a suoi accompagnatori – supervisori, più che altro – per quella missione. La scelta del Direttore era ricaduta su Siana e Rod; si domandò il perché, e cosa avesse raccontato loro. Aveva inventato una scusa, o i due erano a parte dei suoi piani? Per quanto Rod non gli avesse mai ispirato grande simpatia, scoprirlo spia di Kotuno l’avrebbe sorpreso; non troppo, comunque. Aveva imparato nel peggior modo possibile a diffidare di tutti.

«Mal!» l’apostrofò allegramente Siana. «Pronto a lasciare il tuo regno? Quant’è passato dall’ultima volta?» domandò. Malek vi lesse più malizia di quanta non trasparisse dal tono impiegato.

Non rispose. Compì malvolentieri i pochi passi che lo separavano dai due e si ritrovò a fissare il cancello, spalancato davanti a loro. Era passato molto, troppo tempo dall’ultima volta in cui l’aveva visto così da vicino. Non avrebbe mai immaginato che, quando fosse finalmente riuscito a varcarlo, si sarebbe ritrovato a desiderare di potersi sottrarre, di non lasciarlo ancora.

«Bel panorama?» chiese ironico Rod. «Forza, andiamo» aggiunse poco dopo, portandosi davanti al gruppo e invitando i compagni a fare altrettanto.

Siana, per nulla scoraggiata dall’atteggiamento scostante di Malek, rimase al suo fianco mentre si inoltravano per le vie di Mens. «Allora, Mal. Dev’essere proprio speciale, questa recluta, se mandano noi a controllare. Sai cos’ha fatto? Il Direttore è stato povero di dettagli».

Malek scrollò le spalle, infastidito da quel modo di chiamarlo; solo Kora l’aveva usato, un tempo.

«Ne so quanto te» mormorò rapido, liquidando la questione. In un certo senso era vero, non sapeva cos’avesse fatto la ragazza – Kotuno si era detto quasi certo che fosse tale – che dovevano trovare; sapeva però che non stavano cercando una semplice recluta per l’Accademia. Cercavano un’Ela, per questo era stato incluso nella squadra. Poteva solo sperare – proprio lui che credeva d’aver dimenticato come si facesse – ardentemente che si fossero sbagliati, che la ragazza si rivelasse davvero solo un “prodigio”.

Siana distese le labbra in un vago sorriso. Non era certo di averla convinta, ma non se ne preoccupò. Il resto del tragitto fino alle stalle trascorse in silenzio, sempre con Rod davanti e loro due dietro.

~

Aidra aggirò il grande albero che segnava il limite occidentale del villaggio. Le volte in cui da bambina aveva giocato nello spiazzo lì davanti con Odrik e gli altri non si contavano; scoprire il sentiero nascosto dal fusto imponente la riempì quindi di stupore. Isryl non aveva mentito, era proprio dove le aveva detto.

Si inoltrava nel boschetto, e lei lo seguì guardandosi attorno con curiosità. Non impiegò molto a raggiungere il luogo di cui le aveva parlato il biondo; il sentiero terminava in una piccola radura erbosa. Isryl era lì, come aveva promesso. Era in piedi, la schiena poggiata a un albero poco distante. Le fece un cenno con la mano.

Aidra non aveva chiesto perché avesse voluto proprio quel posto per incontrarla. Lei per prima era stata felice di allontanarsi un po’ da Lytho, stufa degli sguardi che una fetta di abitanti aveva iniziato a riservarle; le domande si erano esaurite, ma in alcuni la meraviglia era stata sostituita dal sospetto. Aidra non l’aveva previsto, sembrava quasi che le persone che l’avevano vista crescere avessero ora paura di lei.

In quella radura segreta, tuttavia, poteva lasciarsi tutte le maldicenze alle spalle. C’erano solo lei e Isryl, il ragazzo cui era bastato uno sguardo per capirla. Lo raggiunse, salutandolo allegramente.

«Grazie per il tuo tempo», aggiunse poi scherzando. Quando il giorno prima l’aveva avvicinato, era riuscita a stento a strappargli luogo – con le indicazioni per raggiungerlo – e ora per l’appuntamento, poi si era dileguato chissà dove. Si era detto di fretta, ma non aveva voluto rivelarle per cosa. Era rimasta un po’ delusa per aver dovuto rimandare ancora, ma non se l’era presa particolarmente. Ora c’era: importava solo questo.

Lui l’osservava accigliato. «Sei proprio strana» sentenziò infine, scuotendo la testa.

Aidra inclinò di lato la sua, incerta su come prendere quell’affermazione. Non suonava come un complimento, ma qualcosa le diceva che non era neanche un insulto.

«Ti fidi sempre così del primo sconosciuto che ti dà appuntamento in un luogo isolato?» aggiunse Isryl, fissandola. Stavolta sembrava serio. «O sei solo troppo sicura di te?»

«Vuoi farmi del male?» replicò lei tranquilla. Gli diede le spalle e si sedette in mezzo alla radura, abbracciandosi le gambe. «Non incontro spesso sconosciuti che appaiono e sembrano sapere tutto di me, in effetti. Ma so che non sei pericoloso, lo sento».

Lo sentì sospirare; il frusciare dell’erba le anticipò il suo spostamento. Isryl si sedette accanto a lei, a gambe incrociate. «Ti affidi troppo all’istinto» affermò. «Un giorno potresti sbagliare previsione, o forse l’hai già fatto».

«Forse», concesse lei sorridendogli. «Ti hanno mai detto che sembri un mercante, quando parli?»

Il ragazzo inarcò un sopracciglio, preso in contropiede. «Un mercante?» ripeté, confuso. «Non sono un mercante».

«Parli come loro, però».

Lui sbuffò. «Se lo dici tu». Aidra non capì se il suo commento l’avesse divertito, seccato o lasciato indifferente. Era vero, però; aveva avuto quella sensazione già al loro primo incontro, anche se aveva impiegato un po’ a identificarla. Non avrebbe saputo spiegare perché, ma ogni volta che Isryl apriva bocca si figurava in mente mercanti e cantastorie. C’erano, tuttavia, cose più importanti che voleva scoprire sul suo conto.

«Hai mai conosciuto un Ela, prima?» domandò, curiosissima, cambiando discorso. Anche se credeva alle leggende, era suonato un po’ troppo sicuro nelle sue affermazioni; il dubbio le era venuto riflettendo a posteriori sulle poche, criptiche frasi che le aveva rivolto. Se avesse avuto ragione sarebbe stato perfetto: poteva essere un passo più vicina al suo sogno.

Isryl esitò. «No, non proprio» rispose alla fine.

Le sfuggì uno sbuffo scontento, lui lo notò. «Delusa?» si informò neutro.

Accennò un sorriso. «No, non davvero. Ho solo corso troppo» spiegò. «Dovrò trovarli da sola, evidentemente» dichiarò convinta, poggiando la testa sulle proprie ginocchia. Vide lo stupore deformare l’espressione di Isryl. Il ragazzo scosse la testa, ridacchiò. Un riso secco, amaro, che lasciò una strana impressione su Aidra.

«Credi di essere un’eroina?» le domandò, guardandola con occhi spietatamente inquisitori. «Il tempo cambia molte cose. Non viviamo più nel mondo delle leggende. Tutto ciò che ne resta è il canto di gesta a cui tutti hanno smesso di credere da tempo. Non ti sei mai chiesta il perché?»

Aidra resse il suo sguardo, rafforzò la stretta sulle gambe. «Mille volte» ribatté seria. Lasciò la presa, si rimise in piedi. «Non restano solo i canti. Io esisto», asserì, scura in volto. Mosse qualche passo, senza guardarlo. Prese un bel respiro, tornò a distendere il volto. «Se sono qui c’è un motivo, devo solo scoprire quale» riprese con ritrovata calma, stirando una gamba per scacciare il formicolio che la posizione assunta poco prima le aveva lasciato.

Isryl non si alzò, la seguì solo con lo sguardo. Lasciò passare qualche minuto prima di parlare nuovamente. «Non volevo offenderti».

Aidra gli sorrise. Si era accorto di aver toccato un tasto dolente? Forse la sua reazione era stata un po’ esagerata. «Non fa niente» mormorò. «Però» proseguì quasi subito, arrivandogli alle spalle, «potresti farti perdonare raccontandomi un po’ di te, Isryl».

Lui si irrigidì, ma stette al gioco. «Cosa vorresti sapere?»

Aidra sapeva – intuiva – che c’erano domande a cui non avrebbe risposto, ma non si lasciò scoraggiare da questa premessa. Tenendosi alle sue spalle, si chinò, ritrovandosi assurdamente a pensare che i capelli biondi del ragazzo, che ora occupavano la quasi totalità della sua visuale, fossero davvero belli.

«Con chi sei venuto a Lytho, e perché?»

~

Potresti provare a cambiare posto, ogni tanto”.

Aidra aveva seguito il suo consiglio, alla fine. Al villaggio nessuno l’aveva vista, non era nel suo solito posto vicino al fiume. Odrik realizzò amaramente che non aveva idea di dove potesse essere.

Lo stava evitando?

Sconfortato, si lasciò cadere nel punto dove normalmente sedeva lei. Fissò le acque ribollenti del Tar senza vederle davvero, chiedendosi cosa fosse andato storto.

Non era riuscito a parlare decentemente con Aidra neanche una volta, dall’attacco. Era come se elevare la cupola avesse piazzato una barriera tra lei e il resto del mondo, fissando un limite. Odrik aveva guardato la sua amica di sempre e si era chiesto chi fosse, aveva stentato a riconoscerla.

Odiava quella sensazione.

Quel fatto non sarebbe stato tanto grave, senza la consapevolezza che Aidra gli aveva mentito. Ripetutamente. Nascondeva qualcosa, ma non era solo questo – c’entrava il biondo. Le aveva chiesto chi fosse, cosa volesse da lei; non aveva avuto risposta. L’unica informazione sensata che era riuscito a ottenere era un nome, due sillabe che aveva rimosso quasi all’istante. Quando li aveva sorpresi a parlare sulla riva del Tar, a sconvolgerlo non era stata la presenza dell’estraneo, o il fatto che stessero parlando.

A gelarlo sul posto era stata la risata di Aidra. Una risata genuina, sincera. Rivolta a un perfetto sconosciuto. Incapace di fare altro, era rimasto lontano a osservarli – a osservare lei. Gli era sembrata felice come pochissime altre volte, a suo agio con il ragazzo in un modo che lui si era guadagnato con il tempo. Spiandoli suo malgrado e senza poter sentire cosa si dicevano, aveva pensato che sembravano conoscersi da una vita, ma era impossibile. Perché allora Aidra sorrideva in quel modo?

Sembrava veramente euforica. Incapace di assistere oltre, Odrik l’aveva chiamata. Gli era parso di spezzare un incanto.

Ora non era al fiume, nessuno l’aveva vista. Era con lui, quindi?

Odrik si rialzò, profondamente amareggiato. Non gli piaceva sentirsi così, non era giusto – non poteva impedirselo. Non capiva cosa gli stesse nascondendo Aidra e perché – non si fidava di lui? –, ma non voleva perdere così la sua amica. Non voleva, non poteva.

Scuro in volto, si incamminò nuovamente verso il villaggio, un nuovo bersaglio in mente.

Se non poteva trovare lei, avrebbe cercato lui.

~

Malek carezzò distrattamente la chioma del suo kutirai. Aveva imparato a montarli da bambino, ma da quando il Direttore aveva deciso che era troppo cagionevole per lasciare l’Accademia non ne aveva più avuto occasione. Occupato da ben altro, non si era mai soffermato a pensarci, ma cavalcandone uno adesso capì quanto realmente gli fosse mancata la sensazione di libertà che si provava nel farlo.

Certo, era una libertà illusoria, come tutto il resto – a ricordarglielo c’erano Siana e Rod, che galoppavano ai suoi lati, rendendogli di fatto impossibile deviare dal percorso stabilito, se mai avesse voluto provarci. Precauzione inutile.

Tornò a concentrarsi sul calore dell’animale. I kutirai erano quadrupedi dalla peluria ocra, slanciati, leggeri ma possenti; perfetti per attraversare rapidamente lunghe distanze. Erano inoltre molto intelligenti, non richiedevano particolari sforzi a chi li montasse. Malek si lasciò cullare dal movimento, senza preoccuparsi di guidare: sapeva che l’animale avrebbe semplicemente seguito i due compagni. Avrebbe voluto che quella corsa si protraesse per sempre, poter non arrivare mai.

Quasi non notò il ponte di roccia improvvisato da Rod perché potessero attraversare il Tari, come veniva chiamato il braccio secondario del Tar. L’Arche non dovette nemmeno scendere dalla sua cavalcatura, gli bastò stendere un braccio; Malek si chiese distrattamente quando avesse affinato così tanto il suo controllo.

Proseguirono in silenzio per altre due ore, dopo quel punto. Poi, sull’ultima luce dello Yan – l’astro diurno – organizzarono un bivacco per la notte.

«Forse riusciremo ad arrivare già domani, in serata» annunciò Siana, studiando una mappa della regione.

Malek accolse in silenzio quella notizia. Altro che “per sempre”; forse era persino meglio così. Continuare a rimuginare era totalmente inutile – avrebbe saputo realmente cosa fare solo una volta lì, con l’Arche davanti. Sperando che sia davvero solo questo.

Rod si incaricò del primo turno di veglia e li esortò a ritirarsi.

«Dormi bene, Mal» gli sussurrò Siana, coricandosi accanto a lui. Avvolto nella propria coperta, ricambiò l’augurio con un freddo mutismo.


















Angolino Autrice

Malek e Melisa, crediti ad Alchimista di Neve anche stavolta ❤️
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E niente, spero che la storia fin qui vi stia prendendo! ^^
Un abbraccio.

P.S.
Secondo voi perché Isryl parla "come un mercante", o come "un cantastorie"? C:

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Capitolo 6
*** Fidarsi ***


Fu un rumore familiare a svegliare Aidra; ancora a metà tra l’incoscienza e la veglia, riconobbe lo scrosciare della pioggia. Fissò gli occhi gonfi di sonno sulla finestra accanto al suo giaciglio e appurò di non essersi sbagliata: le nubi si svuotavano impietose sul villaggio, quel giorno. Non se ne stupì; Nira si era dimostrato fin troppo clemente, fino a quel momento.

Si stiracchiò sorridendo allegra. La pioggia non la disturbava, anzi – la metteva a suo agio; la causa principale del suo buon umore, tuttavia, era un’altra. Il ricordo del pomeriggio precedente era ancora fresco. Era rimasta nella radura con Isryl fino a sera e, sebbene avesse l’impressione d’aver rivelato più lei su sé stessa, aveva appreso varie cose sul ragazzo. Stando con lui si sentiva libera di lasciarsi andare davvero, privata d’ogni freno; euforica, in una parola.

Il fatto che fosse un estraneo avrebbe, forse, portato molti a trattenersi, ma per lei era vero il contrario: persino con Mirel, la sua unica parvenza di famiglia, non sempre agiva spontaneamente. Sentiva di doverle dimostrare qualcosa, a volte; provava soggezione all’idea di deluderla. A Isryl non doveva dimostrare proprio nulla.

Mormorando tra sé una melodia insegnatale dalla sorella, lasciò il piccolo spazio adibito a camera e passò alla stanza principale, che utilizzava principalmente per cucinare e mangiare. Non le erano rimaste molte provviste, ma trovò qualche frutto per colazione e l’accompagnò a un bicchiere di nettare.

Mentre ragionava sui suoi programmi per la giornata, sentì bussare alla porta. Un picchiettio frenetico, urgente. Non impiegò molto a intuirne il perché: fuori diluviava! Si affrettò a raggiungere e spalancare l’uscio, ritrovandosi davanti la figura completamente fradicia del suo migliore amico.

«Od?» mormorò, spiazzata. In un attimo mille pensieri diversi le riempirono la mente, cercando di trovare una spiegazione logica alla presenza lì dell’Arche. Se aveva affrontato la pioggia doveva esserci un motivo serio – motivo che forse, sotto sotto, lei conosceva.

«Posso entrare?»

Aidra si scostò, dandosi della stupida, e gli permise di mettersi al riparo. Richiuse la porta e gli si avvicinò.

«Sei zuppo» constatò, preoccupata. «Che ci fai qui, Od?» pose la domanda torcendosi le mani. Aveva un brutto presentimento.

Lui non rispose subito, non la guardò. «Perché, aspettavi qualcun altro?» replicò, atono, dopo un po’.

Avvertì una stretta al cuore. Sussurrò una risposta negativa e andò a recuperare un telo da una pila di panni affastellati in un angolo della sua stanza. Odrik l’accettò, iniziando ad asciugarsi in silenzio.

Aidra si accovacciò di fronte a lui, la schiena contro la parete; si sentiva in colpa. Non si era comportata bene con Odrik negli ultimi giorni, presa da altro l’aveva relegato in un angolo remoto dei suoi pensieri. Ora se lo ritrovava davanti, con un’accusa che non pronunciava.

«Se continui così finirai per stracciarla».

Si paralizzò, le mani attorcigliate attorno a un lembo della camicia che aveva indossato per la notte. Le distese lentamente, cercando di regolarizzare il respiro e tornare in sé.

«Mi dispiace», sussurrò.

Odrik la fissò, per la prima volta da quand’era arrivato. Aidra non vide rabbia nel suo sguardo: solo tristezza, e questo la fece sentire peggio.

«Sei sparita per giorni. Volevi evitarmi? Perché?»

La prima domanda le suonò più come un’affermazione. Tornò a stringere il tessuto e ricambiò triste il suo sguardo. «Evitavo tutti» disse. «Dall’attacco mi guardate con occhi diversi. Sono sempre io, Od».

Lui si incupì. «So che sei tu – vorrei crederlo» la sua voce si spense in un sussurro finale. «Ma mi hai mentito». Strinse un pugno, Aidra lo notò. Non si difese da quell’accusa.

«Cos’è che non vuoi dirmi, Ai?»

Sussultò – Odrik non era mai così diretto. Solo questo sarebbe bastato a comprendere la serietà della situazione, se non le fosse già stata abbastanza chiara.

“Lo sanno tutti che gli Ela non esistono”.

“Sono solo storie”.

Si abbracciò con forza le ginocchia, incerta. Cosa avrebbe dovuto dirgli?

Una parola sottile, carezzevole le echeggiò nella mente: verità. Tremò al pensiero – affrontò lo sguardo inquisitore dell’amico. Inspirò a fondo.

«Non posso». Era una verità anche quella, in fondo.

Odrik non abbassò lo sguardo. «Perché?»

«Per favore, Od». Le costò uno sforzo significativo, ma riuscì ad accennare un sorriso. «Fidati di me. Puoi farlo?»

Si fissarono per momenti che le parvero infiniti, dopo quella domanda.

Poi Odrik si alzò, mosse un passo, le porse una mano. Lei l’accettò e si lasciò rimettere in piedi. Sostennero ognuno lo sguardo dell’altra ancora per un secondo, poi il ragazzo l’abbracciò. Avvenne così rapidamente che Aidra non lo realizzò subito; l’attimo prima si sforzava di non perdersi nell’ambra sofferente dei suoi occhi, quello dopo si ritrovò tra le sue braccia. Fu un abbraccio umido – il telo non era bastato ad asciugare del tutto la tunica –, ma caldo. Percepì tutto l’affetto di Odrik, in quella stretta che ricambiò con un peso sul cuore.

Si sentì in colpa, Aidra, ma anche grata. Affondò il volto nell’incavo della sua spalla, permettendo a due lacrime calde di confondersi sulla veste già bagnata.

«Non voglio perderti».

Esitò, prima di rispondere a quella dichiarazione accorata. «Non succederà».

~

«Non ci voleva».

«Non prendertela tanto, Rod; non è così inaspettato. Avremmo dovuto pensarci».

Malek non si unì allo scambio di battute. Immobile accanto al suo kutirai, osservava le gocce di pioggia infrangersi sulla protezione plasmata da Siana. L’acquazzone li aveva bloccati sul posto, rallentandoli. Non sapeva se esserne contento o amareggiato. Abbassò lo sguardo in direzione di Lytho: cosa lo aspettava, lì? – continuava a chiederselo.

«A che pensi?»

La voce di Siana disturbò le sue riflessioni, riportandolo bruscamente al presente. La guardò torvo. «Se ti distrai, la protezione cadrà» le fece notare piatto.

«Se mi distraggo a far cosa? Parlare con un muto?» replicò lei, sempre sorridente. «Non ho una conversazione decente con te da… ho perso il conto dei cicli».

«Perché non c’è niente da dire».

Lei lo fissò penetrante, avvicinandosi ulteriormente. «Non sei mai stato particolarmente socievole», iniziò, «ma da quella sera è cambiato tutto. Per quanto ancora scapperai?» l’incalzò. «Cos’è successo con Kora, quella volta?»

Malek si irrigidì, strinse i pugni – le nocche sbiancarono. Distolse lo sguardo.

Siana sospirò. «Era anche mia amica».

«Non ti riguarda», scandì lentamente Malek. «Stanne fuori, Siana».

Se il rifiuto l’indispettì, la ragazza non lo lasciò trasparire. Si scostò d’un passo. «Rendi sempre tutto così difficile», commentò. «Pensaci, Mal».

Mentre si allontanava a rinforzare la sua barriera, il moro la seguì con la coda dell’occhio, sentendosi sollevato per la fine – almeno momentanea – della questione.

Carezzò il dorso liscio del kutirai, sperando bastasse a calmarlo. Si sentì un po’ meglio.

“Kora? È Kora quella a terra? Perché non stai facendo nulla? Malek!”

Scosse la testa. Non era certo di potersi fidare di Siana, ma non era quello il punto.

Non c’era bisogno che nessun altro sapesse cos’era realmente successo quella notte.

Tornò a guardare verso l’alto, chiedendosi quando la pioggia sarebbe cessata. Aveva deciso: qualsiasi cosa l’aspettasse, voleva solo chiudere in fretta la missione e rientrare.

Chiuse gli occhi, visualizzando un’immagine spiacevolmente familiare.

~

«Date una moneta a una sventurata».

Kotuno ignorò la supplica dell’incappucciata di fronte all’Accademia, pur trovandolo insolito. Erano pochi i mendicanti che osassero avvicinarsi così tanto; la maggior parte temeva di venire bruscamente scacciata dai suoi allievi. In realtà, non gli interessava. Usciva di rado, comunque.

Notò quasi per caso la mano della donna tendersi nel tentativo d’afferrargli il braccio; un movimento sorprendentemente rapido, che poté evitare solo grazie ai suoi riflessi allenati. Le afferrò il polso, torcendolo poco gentilmente. La donna aveva tutta la sua attenzione, ora.

«Guarda, guarda» mormorò, intravedendo il volto celato dal cappuccio. «Vuole essere mia ospite, signorina?»

Quella cercò di ritrarsi, ma desisté presto. «Mi piacerebbe, perché no» gli rispose, con una voce diversa, più sottile, rispetto a quella con cui gli aveva chiesto l’elemosina.

«Prego», l’esortò a precederlo spingendola verso il cancello. Fece un cenno agli uomini di guardia perché la lasciassero passare.

La donna non se lo fece ripetere, varcando la soglia dell’Accademia a viso alto, seppur sempre coperto. La seguì da presso, guidandola verso le sue stanze private.

«Porta spesso in casa dei perfetti sconosciuti?» domandò la ragazza mentre lui chiudeva la porta dietro di loro. Le indicò una sedia e raggiunse il mobile dall’altra parte della stanza, estraendone due tazze. Le poggiò sulla scrivania, sedendosi poi di fronte a lei.

«No», rispose infine. «Potrei farlo più spesso, se fossero tutti come lei».

Soddisfatto, l’osservò rinunciare definitivamente all’anonimato garantitole dal cappuccio. Poté osservare, contornato da una folta chioma rossa, ciò che prima aveva solo intuito: da dietro le orecchie della donna sporgevano due prolungamenti sottili, organi che avrebbero suscitato repulsione e inquietudine nei più, ma che lui conosceva bene: kerai.

«A cosa devo l’onore della visita di una Fonè?» chiese, piegando le labbra in un ghigno divertito. Allungò una mano verso la caraffa d’acqua già pronta sul tavolo e la scaldò con un gesto, per poi versarla nelle tazze.

«Volevo solo una moneta» rispose lei, apparentemente a suo agio. Aveva osservato attentamente ogni suo gesto, Kotuno ne era certo. «Non pensavo fosse così facile riconoscermi».

«Le kerai erano ben nascoste», concesse lui, «ma ci vuole ben più di un cappuccio per ingannarmi».

«Ingannare è un termine forte», replicò lei pronta. «Ero solo curiosa. Si sente molto parlare di quest’Accademia, per tutta Fisis».

«È così?» stette al gioco, niente affatto persuaso. «Posso fare qualcosa per lei, allora?» si informò, aggiungendo la sua miscela favorita in ognuna delle due tazze.

«Cos’è?» sviò la Fonè, le kerai vibranti verso la bevanda.

«Non ha mai bevuto un infuso di croco?» domandò retorico. Bevve un sorso della sua per rassicurarla. «È innocuo, come può vedere».

«Non avevo dubbi in proposito», affermò la donna. Tese il braccio sopra il tavolo. «Abbiamo saltato le presentazioni».

Le sorrise. «Temo di non potermelo permettere», declinò. Si tirò indietro sulla sedia, squadrandola deliziato. «Il rituale dei gomiti sta cadendo in disuso, d’altra parte. Incredibile come i giovani attribuiscano sempre meno importanza alle tradizioni degli antenati, non ho ragione?»

«Non sembra così anziano da poter fare un discorso del genere». La Fonè sorrideva ancora, ma la sua facciata iniziava a incrinarsi, Kotuno se ne accorse e provò l’impulso di ridere. Quanto avrà avuto, la ragazza davanti a lui, venti cicli? Melisa gli aveva detto che loro maturavano più rapidamente rispetto agli altri, ma la rossa doveva essere piuttosto ingenua, se davvero aveva creduto di poterlo toccare così facilmente.

«Saltando le formalità, il suo nome vorrei conoscerlo».

Stupendolo leggermente, lei non esitò a quella richiesta. «Mirel» scandì a voce alta e limpida. Dal modo che aveva di pronunciare la e, probabilmente proveniva da ovest. Anche la sua tunica di lana bianca, a malapena visibile sotto il mantello, avvalorava la sua deduzione. A est era uso comune tingerle di blu, a sud di verde. Bene, bene.

«Vieni da ovest?» domandò, abbandonando ogni inutile cerimonia. «Ho mandato una squadra in quella direzione proprio ieri – che coincidenza».

Mirel non negò; batté lentamente le palpebre, lo scrutò. Kotuno si scoprì a provare ammirazione per la sua fierezza. Contro di lui non aveva speranze, ma la sua determinazione era senz’altro lodevole.

«Avrai sentito dell’Arche d’Acqua» continuò, desiderando una reazione più rivelatrice. Non fu accontentato: se l’informazione l’aveva turbata, riuscì a non mostrarglielo.

La vide scrollare le spalle con indifferenza. «Uno in particolare? Ne esistono molti».

«Conosci le antiche leggende, immagino».

«Le interessano molti argomenti diversi, vedo».

Sorrise a quella replica. «C’è una leggenda interessante, sulle Fonè».

«Sono solo fiabe, a detta di tutti».

«Pensi?» la sfidò, fissandola penetrante. La vide esitare, stavolta; non trovò una risposta, evidentemente, perché non gliene fornì alcuna.

«Silenzio piuttosto eloquente» commentò impietoso. «Dove c’è una Fonè, c’è un’Ela. Non era così?»

Mirel scosse la testa, accennando un sorriso. «Non proprio. La leggenda dice solo che le Fonè sono destinate a incontrare gli Ela, prima o poi – non quando. Potrebbero anche incrociarsi per un solo istante in tutta la vita, se vogliamo darle credito».

«Raramente è così».

«Ha incontrato molti Ela, sulla sua strada?» Vide il suo sguardo accendersi; ma sì, si disse, questo posso anche concederglielo.

«Qualcuno» rispose, vago. «Sono creature piuttosto interessanti».

«Vorrei incontrarne uno anch’io, un giorno».

«Davvero» accertò, ironico. «Se resti qui, il tuo desiderio potrebbe avverarsi».

«Al mio villaggio soffrirebbero troppo la mia mancanza, temo». Mirel sorrise a mo’ di scusa. «Mi sono molto affezionati, sa».

«Qualcuno in particolare? Una sorella, o un fratello, magari?» indagò, terminando l’infuso che aveva sorseggiato fino a quel momento. La tazza dell’ospite era ancora mezza piena, notò.

Lei scosse la testa. «Sono figlia unica», affermò decisa – troppo, forse.

Kotuno inarcò un sopracciglio, palesando il suo scetticismo. «Gli abitanti di Fisis guardano con ostilità al diverso, è sempre stato così» sentenziò, serio. «Mi è difficile credere che ti siano affezionati. Accoglierebbero la tua sparizione con sollievo».

Colse, o così gli parve, un balenio di sfida negli occhi verdi della ragazza.

«È vero, il popolo è diffidente» ammise. «Ma mi hanno cresciuta come una figlia. Rispettavano molto mia nonna. Mi vogliono bene».

Quell’affermazione stupì seriamente l’uomo. Sebbene i suoi poteri non funzionassero sulle Fonè, restava assai abile nel leggere e comprendere le persone. Adesso era suonata realmente convinta, era quasi certo che non avesse mentito, nelle ultime tre frasi. Sono passati sopra la sua diversità? Questo sì, è sorprendente.

Intrecciò le dita sotto al mento, i gomiti poggiati sulla scrivania.

«Al tuo villaggio sei ben voluta, dici» riprese. «Eppure sei venuta qui, a cercarmi – hai tentato di captarmi. Perché l’avresti fatto?» chiese retorico. Aveva i suoi sospetti, pressoché certezze, sulle reali motivazioni.

«Brama di conoscenza» rispose lei, senza scomporsi. Ricambiò il suo sguardo freddo. «È stato un incontro molto interessante, posso dirmi soddisfatta».

«E sei convinta che uscire di qui sarà facile quanto entrare».

Mirel non batté ciglio a quella non tanto velata minaccia. Si alzò in piedi. «Vuole impedirmelo?»

Kotuno non la imitò; abbassò le mani, scoprendo il proprio ghigno e continuando a fissarla.

«La cosa ti indisporrebbe?»

~

«Mezza giornata persa per la pioggia. Avremmo dovuto portare con noi un Arche d’Acqua» brontolò Rod.

«Chissà, magari al ritorno l’avremo» commentò Siana. «Giusto, Mal?»

«Forse». Non aveva quasi sentito la domanda, concentrato sul battito ritmico della sua cavalcatura. Avevano perso mezza giornata, ma quasi certamente sarebbero arrivati entro la sera seguente, anche se avesse piovuto di nuovo. Era a un passo dal potenziale Ela. «Potremmo anche non trovarla» puntualizzò, poco convinto.

Avvertì lo sguardo curioso di Siana su di sé, ma non si voltò verso di lei.

«Preferirei non aver fatto un viaggio a vuoto» asserì Rod. «Vista la compagnia, soprattutto».

Nessuno dei due gli rispose; continuarono a cavalcare finché Yan non sparì oltre la linea dell’orizzonte.

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Capitolo 7
*** Crepuscolo ***


Cap Link

«Stai scherzando».

Kotuno stirò divertito le labbra; non ricordava d’aver mai visto Melisa così agitata, se non forse in un’occasione.

«Non puoi essere serio» continuò, puntandogli addosso i begli occhi verdi carichi d’accusa. «Vuoi farmi credere che hai trovato una Fonè alla porta, l’hai invitata a entrare, avete parlato e l’hai lasciata andare?»

Scrollò impercettibilmente le spalle. «A che avrebbe giovato tenerla qui? Hai già qualcuno a cui badare. Quella ragazza non è una minaccia».

Melisa si accigliò, il suo sguardo divenne di ghiaccio. «Perché pensi sia venuta qui? È ovvio che sia una minaccia».

«Vorrebbe esserlo, sì, questo è probabile» concesse Kotuno con un cenno d’assenso. «Non significa che lo sia».

«Sottovalutarla potrebbe costarti caro» replicò fredda la Fonè.

«Ho un debole per le rarità, lo sai. Rispetto molto la tua specie» affermò lui, apparentemente senza alcun nesso. «Sarebbe più pericolosa qui, vicino a Malek, che altrove. Cosa potrebbe mai fare? Ragiona, Melisa».

La donna non replicò, lasciò ricadere inerti le kerai – fino a quel momento avevano oscillato frenetiche – e gli riservò un’ultima occhiata fredda.

«Spero tu non debba pentirtene» dichiarò, avvicinandosi alla scrivania. «Quand’è previsto il ritorno del ragazzo?»

«Tre giorni al massimo», rispose distrattamente, guardando fuori dalla finestra.

“La cosa ti indisporrebbe?”

Si erano fissati in silenzio, dopo quella domanda. Kotuno si era alzato e l’aveva raggiunta, sfiorandole il mento con la mano – il contatto si era protratto non più a lungo di un secondo.

“È stata una visita interessante. Potremmo rivederci, in un futuro non molto lontano”.

“Mi lascerà andare?” aveva domandato Mirel, immobile di fronte a lui. Non gli era apparsa spaventata.

“Per stavolta, sì. Cosa potresti mai fare, piccola Fonè? Sei ancora così ingenua”. Le aveva dato le spalle, indicandole la porta con un gesto freddo. “Mi dispiacerebbe doverti spegnere. Pensa bene alle tue azioni future”.

La ragazza non aveva replicato a quell’ultimo avvertimento. Era scivolata silenziosamente fuori dalla porta, e attraverso la finestra l’aveva vista lasciare l’edificio.

~

Vide due uomini con gli Amakai tintinnanti passarle vicinissimo e strinse Asa a sé con più forza. «Andrà tutto bene» sussurrò alla bambina, quando i banditi si furono allontanati di qualche passo. La piccola annuì, aggrappandosi a lei con gli occhi serrati. Calila le accarezzò la testa e sospirò.

Assicurandosi che la strada fosse sgombra, lasciò l’ombra del vicolo e si incamminò rapida verso il rifugio. Aver trovato Asa le aveva tolto un peso non indifferente. Pregò che gli altri stessero bene, che Tair fosse riuscito a proteggerli, se ce ne fosse stato bisogno – cosa che non si augurava.

Il gruppo di banditi – non avrebbe saputo dire quanti fossero; una trentina, secondo Pol – era arrivato il giorno prima, ma non si era limitato a una scorreria come già altre volte era capitato. Si erano dichiarati padroni del luogo; avevano sequestrato l’anziano capo-villaggio, avevano preso possesso di alcune abitazioni scacciandone i proprietari. I pochissimi che avevano tentato di opporsi erano stati resi inoffensivi.

Calila non capiva perché stesse accadendo proprio a loro, sapeva solo che nessuno sarebbe venuto ad aiutarli. Sudal era un piccolo villaggio, lontano dai principali corsi d’acqua e da ogni rotta commerciale. Nessuna Casata si era mai proposta di accoglierlo sotto la sua protezione; potevano contare solo sulle loro forze, lo sapeva bene, ma pareva ovvio che non sarebbero bastate. Aveva paura, perché nessuno sapeva cosa aspettarsi dagli uomini e le donne che li avevano invasi. Tuttavia, pensò avvertendo il battito rapido della bambina stretta a lei, non poteva permettersi di dimostrarlo. Doveva essere coraggiosa per proteggere lei e gli altri.

Vedendo il rifugio davanti a sé, sospirò di sollievo; appariva inviolato. Scivolò silenziosamente all’interno, sempre stringendo la mano di Asa. Dentro era buio; non osò parlare, ma sentì uno scricchiolio alla sua destra.

«Tair? Sei tu?» sussurrò.

~

Aveva piovuto anche quella notte, ma al mattino le nubi si erano fatte da parte, lasciando che i raggi di Yan illuminassero la regione. Odrik osservava il lento procedere dell’astro dalla finestra della sua stanza, senza vederlo realmente. Seduto a terra, ticchettava nervosamente con le dita sul pavimento.

Era confuso. Due giorni prima aveva svolto qualche indagine sul nuovo arrivato e la sua famiglia, senza scoprire niente di eclatante – certo, non era comune che una sarta si trasferisse, ma pareva che fosse imparentata con l’anziana Agata, da cui alloggiava. Quando aveva controllato, il ragazzo non era in casa. Anche lui introvabile. Amareggiato ma impotente, era tornato al forno, deciso a ripassare lì quella sera stessa; l’aveva poi fatto.

Aveva dovuto aspettare un po’, ma l’aveva visto rientrare – non da solo.

Incapace di controllarsi, si era allontanato, scuro in volto. Non avrebbe potuto confrontare Aidra in quel momento, ma neanche rimandare ulteriormente gli era sembrata un’opzione; correre da lei la mattina seguente era parso un buon compromesso.

Non era andata come aveva sperato, ma non era nemmeno andata male. Aveva visto un lato di Aidra diverso dal solito, uno che non conosceva e non era certo di voler conoscere; un’Aidra più triste, spenta, quasi colpevole. Ma colpevole di cosa, questo Odrik non riusciva davvero a immaginarlo.

A pensarci ora, già solo il modo in cui era entrata nella sua vita avrebbe potuto – dovuto? – far sì che si ponesse delle domande. L’aveva sempre dato per scontato, invece.

Era solo un bambino quando era apparsa accanto a Mirel, così, da un giorno all’altro; la giovane pupilla del villaggio una mattina l’aveva portata in piazza, presentandola e dichiarando che da quel momento se ne sarebbe presa cura come una sorella. Se aveva rivelato la sua provenienza, Odrik non l’aveva mai saputo. Conosceva invece le voci che si erano diffuse poco dopo l’arrivo di Aidra; alcuni bambini raccontavano che Mirel l’avesse trovata nel letto del fiume, altri che gliel’avesse affidata la madre morente della bambina, e si chiedevano malignamente che fine avesse poi fatto.

In sostanza, non sapeva nulla; prima non se n’era mai preoccupato, ma adesso... adesso ne avvertiva l’importanza. Distolse lo sguardo dalla finestra, infastidito dal fulgore crescente di Yan, e smise di ticchettare: batté il palmo contro le assi di legno del pavimento. Dopo l’abbraccio era rimasto con Aidra tutto il giorno. Non avevano fatto molto, era stata una giornata di pioggia come ne avevano passate tante altre: cucinando, parlando di tutto e di niente. Simile, ma non identica, la tensione tra loro palpabile.

Le aveva promesso di fidarsi. L’aveva fatto perché, il giorno precedente ne aveva avuto la prova, Ai era sempre Ai, l’amica con cui era cresciuto. L’amica con cui aveva giocato, scherzato, quella per cui aveva sviluppato un affetto sincero.

Si fidava di quella Ai; era la sua ombra a spaventarlo. Qualunque fosse il suo segreto, perché non poteva confidarglielo?

Si alzò. In fondo, tutta quella situazione si era creata perché Aidra aveva voluto proteggere Lytho. Sì, era sempre la stessa Ai.

Se gli nascondeva qualcosa, doveva avere un ottimo motivo. Non riusciva a immaginare quale, ma non aveva importanza. Non poteva dirglielo? Bene, lo avrebbe scoperto da solo.

Per poco non si scontrò con sua madre, nell’uscire dalla stanza.

La donna gli sorrise. «Dove vai così di fretta, Drik? Da Aidra anche oggi?»

Interdetto, annuì. «Se non serve il mio aiuto al forno», aggiunse esitante.

«Per oggi sei scusato. Povera piccola! Dovrebbero esserle tutti riconoscenti, e invece si sentono certe cose…». Vide sua madre rovistare nella cesta che portava al braccio. «Tieni, portale questo da parte mia. È un panino alle erbe, spero possa tirarla un po’ su. E invitala a cena, non la vedo da un po’!» esclamò porgendogli un fagotto.

Odrik la fissò per qualche secondo di troppo, infine le sorrise riconoscente. «Hai ragione, madre» mormorò. Prese il dono dalle sue mani e la sorpassò, uscendo. «Lo farò!»

~

«È quello il villaggio?»

«Emozionato, Mal? Ci siamo».

I tre ragazzi fecero rallentare le loro cavalcature, avvicinandosi. Nessuno si fece loro incontro, ma all’ingresso trovarono un uomo e una donna, entrambi armati, che li squadrarono con sospetto. I due parvero rassicurarsi leggermente, vedendoli smontare.

«Chi siete?»

«Buongiorno!» esclamò Siana allegramente, accennando un inchino. «Siamo studenti dell’Accademia di Mens. Abbiamo sentito dell’incidente con i banditi, siamo qui per indagare» dichiarò.

Le espressioni tese dei sorveglianti improvvisati si rasserenarono visibilmente a quella spiegazione. «Indagare?» chiese però la donna, non del tutto convinta.

«L’accaduto ha molto preoccupato il nostro Direttore» proseguì Siana con un tono di voce che Malek trovò decisamente teatrale. «Vuole occuparsi personalmente di quei criminali. C’è già una squadra sulle loro tracce, noi siamo qui per raccogliere più informazioni».

«Già» si unì Rod, muovendo un passo in avanti. «È magnifico che li abbiate respinti, ma come avete fatto? Lytho non è famoso per i suoi guerrieri. Questo punto non ci è molto chiaro».

I due abitanti si scambiarono un’occhiata esitante.

«La sorella di Mirel» disse infine la donna, «Aidra».

«Chi sarebbe?» insisté Rod, ora attentissimo. Malek notò che Siana stava spiando verso di lui. Cercò di ignorarla.

«Una strana ragazza», affermò l’uomo. «Sempre al fiume. È stata lei a respingerli, con quell’assurda cupola».

«Cupola?» ripeté, involontariamente, Malek.

Ulteriori spiegazioni non tardarono ad arrivare.









NdA

Buongiorno a tutti!

Se volete più curiosità/fan-art su Aidra e il suo mondo, potete farvi un giro sulla pagina Le Storie di Mari :3
Domenica, per esempio, ho postato l'origine del termine "Ela", anche se qui ancora non è troppo chiaro cosa sia. Si scoprirà presto~
Se state seguendo questa storia, grazie! Spero non vi deluda. Se avete consigli/critiche, vi esorto a muoverle C:
Un saluto, al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Tremito ***


«Sei diversa, oggi».

Aidra alzò lo sguardo per puntarlo verso Isryl. Pensosa, inclinò la testa di lato. «Dici?»

Il ragazzo annuì. «Parli senza passione. Due giorni fa il tuo tono di voce era caldo, oggi sembri… spenta». Fece una pausa. «Si vede che hai la testa da un’altra parte».

Aidra lo fissò. Davvero era così facile da leggere? Sbuffò, nascondendo un principio di sorriso, e iniziò a giocherellare con il bordo della tunica.

«C’entra la tua sparizione di ieri?» l’incalzò ancora il biondo.

«Sì» ammise, arrendendosi. Parlarne le avrebbe fatto bene, forse; una caratteristica di Isryl che l’aveva colpita era proprio la sua capacità di ascoltare. «Si tratta di Odrik».

Lui alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa; Aidra gonfiò le guance, indispettita da quella reazione.

«Metà degli abitanti di Lytho ti guarda con occhi diversi, sussurra alle tue spalle» disse Isryl, riportando gli occhi su di lei, «eppure la cosa sembra non toccarti. Odrik è il tuo amico, giusto? Quello che ho visto al fiume». Il suo sguardo si fece curioso. «Ti turba più lui dell’ostilità di un villaggio? Forse avrei dovuto aspettarmelo».

«Non mi sono ostili» replicò Aidra, riuscendo meno convinta di quel che avrebbe voluto. Incrociò le braccia. «È solo che non capiscono».

«Non vogliono capire, piuttosto» la contraddisse asciutto Isryl. Distolse lo sguardo, puntandolo dove, oltre gli alberi, sarebbe stato possibile scorgere Lytho. «Vedono il diverso e preferiscono serrare gli occhi, invece di provare a comprenderlo. Rigettare ciò che non si conosce è molto più semplice».

Quelle parole la colpirono, ne avvertì la crudele verità. Pensò a Odrik e strinse con più forza la stoffa. «Non sono tutti così» protestò, cercando il suo sguardo.

Lui sorrise triste, staccandosi dal tronco contro cui si era poggiato tutto quel tempo. «No? Allora cosa ti preoccupa?».

«Non mi piace mentirgli».

«Non farlo».

Aidra sgranò gli occhi. Quasi le venne da ridere, mentre si chiedeva se non avesse sentito male. «Sei lo stesso Isryl di due giorni fa o lui ha un gemello e non lo sapevo?».

Isryl scosse la testa. «L’hai già gridato al mondo, perché non dirlo al tuo amico? Sinceramente, mi stupisce». Diede uno sguardo in alto. «So quanto sia brutto mentire a qualcuno di importante».

Aidra lo fissò, sorpresa da quella frase amara che aveva tutto il sapore di una confessione. Si chiese a cosa si riferisse, ma non fece in tempo a domandarlo.

«Inizia a far buio, devo tornare».

Forse non sarebbe neanche stato giusto. Annuì. «Andiamo» mormorò, avviandosi.

Dire la verità a Odrik… certo non un consiglio che si sarebbe aspettata da Isryl, ma se fosse stato così semplice l’avrebbe già fatto.

Percorsa da un brivido, si abbracciò per scaldarsi un po’. Strinse con forza gli avambracci e scosse la testa; basta, si disse. Doveva finirla di compiangersi, pensare ad altro. Recuperò la distanza guadagnata dal biondo, decisa a non farsi lasciare indietro.

~

Odrik aveva uno strano presentimento. Aveva perlustrato un po’ tutto il villaggio, in cerca di Aidra, ma c’era qualcosa di insolito – definire cosa, di preciso, non era semplice. Era stata una somma di vari, piccoli dettagli. Si era sentito osservare mentre correva a casa di Aidra, uno degli apprendisti del falegname l’aveva addirittura fermato per chiedergli dove fosse la sua amica. Non era praticamente mai successo, prima, e non poteva proprio dire d’essersi dispiaciuto nel dovergli rispondere che non lo sapeva. Era vero, ma non era certo che la risposta sarebbe stata diversa se anche non lo fosse stato.

Ad aggiungersi allo strano atteggiamento degli abitanti, che parevano tutti sul chi va là molto più del solito, aveva intravisto un’ombra aggirarsi per i vicoli intorno alla casa di Ai. Presto scomparsa dietro un angolo, era riuscito a scorgerne a stento la sagoma, ma era bastato: la mantella che indossava, d’un rosso acceso, non passava proprio inosservata. Difficilmente poteva appartenere a qualcuno di Lytho, con tutta probabilità si era trattato di un forestiero. Ma cosa faceva proprio lì?

Immobile accanto alla quercia che tanto spesso l’aveva visto giocare con Aidra, Odrik si disse che doveva trattarsi di un mercante. Chi altri poteva essere? Con tutto ciò che si era ritrovato a dover fronteggiare negli ultimi giorni stava diventando paranoico. C’era sicuramente una spiegazione logica a tutte le stranezze che credeva di aver notato quella mattina.

Fissò il grande albero, indeciso. La sera che aveva visto Aidra rientrare con Isryl, era lì che erano apparsi, aggirando il tronco. Si sporse oltre di esso e scoprì che nascondeva un sentiero. Avrebbe dovuto seguirlo? Probabilmente l’avrebbe portato dalla ragazza, ma non era certo che lei avrebbe voluto essere disturbata, a quel punto.

Si voltò, valutando se tornare indietro – come spiegarlo a sua madre? –, quando dalla strada principale sbucarono due figure. Indossavano mantelli identici a quello che aveva scorto poco prima, era impossibile non riconoscere il colore. Poco dopo, furono raggiunti da una terza figura, ammantellata proprio come loro, che uscì da una stradina laterale.

Non riusciva a togliersi dalla testa che fossero troppo appariscenti per dei mercanti. Passando sopra le sue esitazioni, si decise e imboccò il sentiero oltre la quercia. Non voleva che gli sconosciuti, chiunque fossero, lo notassero – non sapeva spiegarsi il perché, ma la loro apparizione improvvisa, unita alla strana atmosfera calata su Lytho, lo metteva a disagio.

Cercando di scrollarsi quella sensazione di dosso, si avviò alla ricerca di Aidra.

~

Un paio di passi fuori dal bosco, e Aidra scorse una figura venir loro incontro. Una che conosceva bene.

«Od?» mormorò, troppo stupita per formulare un pensiero coerente.

«Non è da solo» constatò invece Isryl, sussurrando al suo fianco. Lo vide irrigidirsi e seguì il suo sguardo: aveva ragione, oltre Odrik poteva scorgere tre figure sfocate in lontananza. Come aveva fatto a non notarle subito?

La sagoma al centro si staccò dalle altre; aveva iniziato a correre. In meno di un minuto raggiunse – e superò – Odrik, sotto gli sguardi increduli di Aidra e Isryl.

Incerta su come reagire, si voltò verso il biondo, sperando che avesse le idee più chiare delle sue. Non fece in tempo ad aprir bocca, però.

Isryl la spintonò di lato, evitandole per un soffio d’essere colpita dalla figura che, ora poteva distinguerla bene, corrispondeva a un ragazzo. Carnagione scura – non quanto quella di Odrik –, avvolto in un mantello rosso ma a capo scoperto, a colpirla maggiormente fu il suo pugno. Era circondato dal fuoco, ma non sembrava stesse bruciando. Il ragazzo non tradiva la minima traccia di dolore; la fissava emanando rabbia. Aidra deglutì, chiedendosi cos’avesse fatto per attirarsi tanto astio. Non aveva mai visto quel ragazzo in vita sua, prima di quel momento.

Recuperò il proprio equilibrio, squadrandolo circospetta. «Chi sei?» domandò. Colse Isryl alzare gli occhi al cielo, ma aveva altro a cui pensare. Non voleva battersi con uno sconosciuto senza sapere nemmeno il perché.

Vide lo sguardo del moro saettare indietro, verso i suoi compagni. Erano ancora lontani, diversamente da Odrik che li aveva infine raggiunti e fissava sconvolto la scena. Lo vide muovere la bocca, ma non colse le sue parole.

«Come ti è saltato in mente?» percepì distintamente il sibilo del ragazzo, ora vicinissimo. Fece per ritrarsi, ma lui riuscì ad afferrarle il polso.

Con la mano avvolta dalle fiamme.

Lo stupore la paralizzò, mentre un’assurda sensazione di serenità l’invadeva. Non provò dolore al contatto, il fuoco non la bruciò.

Durò solo un secondo. Lo sconosciuto le lasciò andare il braccio; la sua espressione, se possibile, si rabbuiò ulteriormente. Lo vide stringere il pugno e alzò un braccio, richiamando un po’ d’acqua, chiedendosi se avrebbe tentato nuovamente di colpirla.

Solo allora prestò attenzione alle espressioni di Isryl e Odrik, che avevano osservato tutto. Era disperazione, in quella del biondo? Il suo amico d’infanzia sembrava in stato di shock, lo sguardo puntato sul suo braccio – nel punto dove il palmo infuocato del ragazzo avrebbe dovuto imprimere un segno che, tuttavia, non c’era.

«Sei davvero tu» sentì sillabare al suo misterioso assalitore. Si era scostato di un paio di passi, le dava le spalle. «Perché… Ha!».

«Aidra, immagino?»

La mora non si voltò, decisa a non perdere di vista il moro un solo istante. Rintracciò la proprietaria della nuova voce con la coda dell’occhio: una ragazza con i capelli raccolti e un mantello identico a quello del ragazzo. Mai vista prima, anche lei – né il ragazzo al suo fianco, su cui notò lo stesso identico abbigliamento degli altri due.

«L’hai attaccata?» inquisì l’ultimo arrivato con voce severa. «Che avevi in testa, Malek?»

Aidra si ripeté mentalmente il nome. Le suonò aspro; pensò si adattasse bene al ragazzo che pareva odiarla. Questo non reagì, non si girò nemmeno verso i suoi compagni. «È lei» disse soltanto, come se quelle due parole gli costassero uno sforzo.

«Chi siete, cosa volete da lei?» intervenne Odrik. Doveva essersi un po’ ripreso dalla sorpresa, ma Aidra non voleva pensare alle spiegazioni che le avrebbe chiesto più tardi. Anche perché non ne aveva: non sapeva davvero perché il fuoco non l’avesse bruciata, non le risultava di essere ignifuga. Non a meno di mutarsi, ma non l’aveva fatto.

«Vogliamo solo parlare un po’» rispose la ragazza, facendo oscillare la lunga coda biondo cenere. «Abbiamo sentito di quel che hai fatto contro i banditi. Complimenti, non dev’essere stato semplice – oppure sì?»

Dopo un ultimo sguardo a Malek, che d’un tratto si era come spento e sembrava realmente inoffensivo, Aidra lasciò ricadere il globo d’acqua che aveva richiamato e si voltò a fronteggiare gli altri due. Isryl assisteva muto, in piedi alle sue spalle.

«No, naturalmente non è stato affatto facile» affermò. Aveva ripetuto quella stessa frase talmente tante volte in quei giorni che riuscì a suonarne davvero convinta. «È stato un lavoro di squadra, senza gli altri Arche non sarei mai riuscita».

Avvertì lo sguardo di Odrik su di sé, più bruciante di quelli dei due sconosciuti, ma non si scompose. Non poteva permetterselo. «Non mi avete ancora detto chi siete».

«Studenti di Mens». Aidra sobbalzò, non si era aspettata che fosse Isryl a rispondere. «Sembrate un po’ giovani per essere reclute».

«Ci conosci?». La bionda pronunciò la domanda con un tono divertito, genuinamente curioso. Si fece avanti. «Non sembri di qui, in effetti».

«Ho viaggiato un po’» replicò Isryl asciutto. «L’Accademia è piuttosto nota».

«L’Accademia?» ripeté Aidra, tentando di assimilare la portata dell’informazione. Mirel le aveva accennato qualcosa al riguardo.

«Già!» confermò la ragazza, fermandosi dov’era, a pochi passi dalla mora. «Ti piacerebbe unirti a noi? Il talento davvero non ti manca».

«Ai» la chiamò Odrik, avanzando a sua volta – subito imitato dal terzo studente.

«Siete venuti qui solo per questo? Reclutare un’Arche? Non vi sapevo così disperati» dichiarò Isryl, sempre immobile alle sue spalle. La frase suonò beffarda, ma Aidra pensò che fosse teso. Quei ragazzi lo preoccupavano? Certo, ragionò spiando torva verso Malek, la prima impressione non era stata proprio positiva.

Quest’ultimo si era girato nuovamente a guardarla, ora. La rabbia aveva ceduto il posto a un’espressione per lei indecifrabile. Tornò a concentrarsi sulla bionda, che aveva ripreso a parlare, continuando tuttavia a controllarlo con la coda dell’occhio.

«Non ci muoviamo certo per ogni Arche» sottolineò, ignorando la frecciata. «Ma andiamo, una cupola? Non si sente davvero tutti i giorni».

Avrebbe giurato d’aver sentito uno sbuffo provenire da Malek, a quell’uscita.

«Verrai con noi?»

~

Malek fissava combattuto la ragazza, in un misto di scoramento e irritazione. Doveva avere più o meno la sua età, ma sembrava molto più ignara. Prima, quando l’aveva testata con il suo elemento, non pareva aver compreso. Era a conoscenza della sua stessa identità, perlomeno? Probabilmente sì, valutò, visto come aveva negato le insinuazioni di Siana.

Doveva aver vissuto una vita perfettamente normale, fino a poco tempo prima. Finché non l’aveva gettata via con quell’esibizione che non riusciva a spiegarsi. Ascoltando le parole dei sorveglianti, aveva sentito montare la rabbia per quel gesto incosciente. Accecato, si era detto che era responsabile della sua sorte, si era attirata quella sciagura – che comunque non avrebbe potuto evitarlo. Era stato tentato di lasciar perdere, di piegarsi del tutto agli ordini. A cosa avrebbe giovato opporsi, in ogni caso? La ragazza si era rovinata da sé.

Eppure… non capiva. Era stata davvero solo ingenuità? Studiava la sua espressione fiera e preoccupata al tempo stesso, e veniva roso dal dubbio. La disperazione che l’aveva assalito dopo averla testata aveva spento, o quantomeno affievolito, la sua furia.

Era tornato al punto di partenza, paralizzato nella ricerca di una via d’uscita che, però, non sembrava esserci.

A riscuoterlo fu la domanda incalzante di Siana. La ragazza avrebbe risposto di sì? Sarebbe caduta anche lei nelle mani di Kotuno, condannata a non poter più lasciare la sua prigione? Forse non sarebbe stata fortunata come lui, ma avrebbe fatto la fine di Amok. A ben pensarci, era lo scenario più probabile – solo pensarlo gli procurò una spiacevole, ma familiare, fitta al petto.

Non aspettò di sentire la risposta. Innalzò un muro di fiamme che divise lui, l’Ela e il suo compagno dagli altri tre e si slanciò verso di lei come per colpirla, ignorando le proteste sgomente che arrivavano dall’altra parte del divisorio.

Come aveva previsto, lei lo parò. Si sporse oltre la sua spalla e sussurrò: «Perché ti sei esposta a quel modo? Perché una cupola?»

Ci sarebbero stati milioni di altre cose da dire, ma aveva bisogno di una risposta. Doveva capire per chi stava rischiando quel poco che aveva, esattamente.

Fu spinto via senza ricevere ciò che bramava. Lei l’osservava confusa. Esasperato, valutò i rischi, mentre la striscia di fuoco si chiudeva a cerchio intorno a loro. Purtroppo aveva dovuto coinvolgere il ragazzo biondo nella manovra, tagliarlo fuori non era stato possibile; era troppo vicino. Avrebbe visto anche lui, ma aveva realmente importanza? La sua copertura era bruciata da tempo, ormai.

Mettendo a tacere i dubbi, mutò. Fu solo per un attimo – e anche così gli costò non poco –, ma bastò perché l’espressione della ragazza si trasformasse. Vide i suoi occhi spalancarsi, ma non la lasciò elaborare. Corse nuovamente verso di lei, stavolta l’atterrò. L’altro ragazzo non si intromise, forse troppo sconvolto da ciò che aveva visto per reagire efficacemente.

«Sei come me», lo raggiunse il sussurro della ragazza.

«Rispondimi» le sibilò in risposta. «Non potrò mantenere le fiamme ancora per molto».

«La cupola?» ripeté lei, con una vena di dubbio nella voce. «Era l’unico modo per proteggere tutti».

L’ingenuità di quelle parole lo bloccò, impedendogli di formulare una risposta. Fu lei a continuare: «Perché stai facendo tutto questo?»

«Scappa. Devi andartene da qui» sussurrò lui dritto nel suo orecchio, ignorando la domanda. Si rialzò lentamente, senza smettere di fissarla, e annullò le fiamme. Non appena furono sparite del tutto, Siana lo raggiunse, un brillio strano negli occhi. «Che significa, Mal?»

«Verificavo» affermò lui, senza spostare lo sguardo. «Non sembra poi tanto portata per il combattimento». Poteva immaginare lo scetticismo negli occhi della plasmante anche senza vederlo effettivamente.

La mora si rialzò sotto il suo sguardo attento. Che aspettava? Doveva correre subito, forse mutandosi sarebbe riuscita a seminarli. Kotuno non sarebbe stato affatto contento, ma avrebbe inventato una scusa, avrebbe… si adombrò.

Sapeva benissimo che non avrebbe mai funzionato.

«Ai, stai bene?» sentì la voce preoccupata del ragazzo che aveva involontariamente finito per condurli da lei; lo vide accostarsi a lei.

Aidra si scrollò la polvere dai vestiti e alzò lo sguardo, più acceso che mai, a ricambiare il suo. Perché non scappava? Non sembrava neppure spaventata.

La vide stringere un pugno e correre verso di lui, determinata a colpirlo. Era completamente impazzita?

Non lo raggiunse mai. Si sbilanciò, crollando rovinosamente a terra. Malek fece per muovere un passo, ma perse l’equilibrio e si ritrovò accanto a lei. Soffocò un’imprecazione stupita.

Il terreno stava tremando, sotto di lui. Girò il volto in cerca di Rod, sospettando uno scherzo di cattivo gusto da parte dell’Arche, ma dovette ricredersi. Il compagno aveva le mani sulle orecchie, il volto deformato da una smorfia di dolore.

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Capitolo 9
*** Leggende ***


La scossa durò solo pochi secondi, ma ad Aidra parve infinita.

Appena percepì la terra immobile sotto di sé, si alzò e corse da Odrik. Aveva notato la sua espressione durante la scossa, e non le era piaciuta per niente.

«Od! Stai bene? Cos’è successo?» domandò, sfiorandogli la spalla.

Lui allontanò cautamente le mani con cui aveva coperto le orecchie. La guardò, una traccia di dolore ancora ben riconoscibile negli occhi. «È stato orribile», mormorò solo.

«Hai sentito qualcosa di particolare? Come… un lamento?»

Aidra sobbalzò nel riconoscere la voce di Isryl. Non si era rivolto a lei, ma a Odrik. Aveva la stessa espressione seria di quando l’aveva ripresa la prima volta – forse anche di più.

«Un lamento? Di che parli?» iniziò a chiedere, ma si fermò vedendo l’Arche di Terra annuire. Fissava il biondo con occhi spiritati, ora. «Come fai a…? L’hai sentito anche tu?»

Lui si limitò a scuotere la testa, gli occhi socchiusi. Sembrava stesse riflettendo su qualcosa, ma in quel momento la priorità di Aidra era un’altra.

«Ti porto a casa» propose a Od, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.

«Non così in fretta».

Aidra fulminò la ragazza dell’Accademia con lo sguardo. «Il mio amico sta male» sillabò secca.

«Non è l’unico» fu la replica pronta della studentessa, che accennò rapidamente al terzo membro del gruppo. A pochi passi di distanza, stava parlando con l’Ela – Malek. L’espressione di Aidra si intristì. Quando aveva compreso la reale natura dell’altro si era sentita talmente eccitata, felice… e confusa. Perché l’aveva attaccata, e soprattutto, perché le aveva ingiunto di scappare? Aveva moltissime domande da porgli, ma prima doveva pensare a Odrik. Durante la scossa, alzando lo sguardo aveva scorto il suo volto; la sofferenza che emanava l’aveva spaventata, spingendola ad accantonare tutto il resto.

Sperava solo che quello strano ragazzo non sparisse, ma non poteva preoccuparsene subito. «Andiamo, Od» tagliò corto, ignorando la ragazza.

«No». Di nuovo in posizione eretta, Odrik la fissava con una strana determinazione negli occhi. «Voglio capire» lo sentì aggiungere, lo sguardo rivolto verso la straniera.

«Non guardare me, per questo» chiarì lei con un’alzata di spalle. «Però sono contenta che abbiamo lo stesso scopo».

«Od».

«Sto bene, Ai – davvero» la rassicurò, voltandosi brevemente verso di lei. Mosse un passo avanti, tornando a fronteggiare l’altra ragazza. «Possiamo iniziare dal perché lui» – indicò Malek – «ha attaccato Aidra».

«Lo chiedi sempre alla persona sbagliata». La bionda non sembrava affatto intimidita. «Mal è sempre stato un po’ una testa calda».

Aidra avrebbe voluto dire qualcosa, ma avvertì un tocco sulla sua spalla. Si voltò di scatto; Isryl. «Dobbiamo parlare», le sussurrò.

Sbuffò, confusa. Sembrava che si fossero messi tutti d’accordo per renderle più difficile capire cosa fare. Si fidava di Isryl, sebbene lo conoscesse da neanche un kalam, ma cosa pretendeva da lei? Non potevano semplicemente dileguarsi. Cercò di suggerirglielo con un’occhiata e un cenno, a suo parere eloquente, verso Odrik.

«Sai qualcosa, vero?»

Di nuovo, a parlare era stata la ragazza dell’Accademia. Accanto a Odrik, che le aveva sbarrato il passo, aveva lo sguardo puntato su Isryl. «Sulla scossa di prima. Sei stato tu?» inquisì, incalzante.

L’interrogato indietreggiò d’un passo e alzò le mani. «Non ho potere sulla Terra» affermò deciso.

«Forse. Ma non hai negato di sapere» insisté ancora l’altra.

Aidra notò Malek e l’altro ragazzo avvicinarsi a loro. Si affrettò a riportarsi al fianco di Odrik.

«L’hai sentito anche tu?» stava chiedendo il suo amico al compagno di Malek, un ragazzo robusto dai capelli castani. Quello annuì bruscamente, come se non volesse parlarne.

«Siamo partiti con il piede sbagliato. Mi dispiace. Ricominciamo, va bene? Io sono Siana» pronunciò tutto d’un fiato la ragazza, ora davanti ad Aidra, accennando un inchino. «Condividere informazioni gioverà a tutti» proseguì, riportando lo sguardo su Isryl. Aidra si sentì vagamente a disagio, incerta sul perché.

«Sapete già come mi chiamo» rimarcò, senza replicare l’inchino.

La vide scuotere la testa, ma non riuscì a decifrarne lo stato d’animo.

«Forse dovresti scusarti, Mal» le sentì dire infine, con un’occhiata al moro del gruppo.

~

Due colpi rapidi, quasi discreti, alla porta lo distrassero dal documento che stava esaminando. Kotuno sollevò lo sguardo, invitando l’inatteso visitatore a farsi avanti.

Riconoscendo il giovane che entrava, lo sguardo gli si accese di curiosità.

Kef portò un pugno dietro la schiena e, chinandosi leggermente in avanti, batté l’altro sul petto.

«Ti ascolto» affermò Kotuno, posando i documenti sulla scrivania.

«Ha lasciato la città» affermò il ragazzo; lo vide deglutire. «L’ho persa».

«Dov’era diretta?» domandò asciutto.

«Est».

«Capisco. Puoi andare», lo liquidò con un cenno. «Domani portami un rapporto completo».

Kef chinò rispettosamente la testa, assentendo, poi si voltò e uscì senza aggiungere nulla.

Così la piccola Fonè, Mirel dell’ovest, aveva lasciato Mens. Scoprire la sua mossa seguente sarebbe stato divertente – ammesso che non fosse troppo spaventata per farne una.

Gli era sembrata troppo incosciente per accettare il suo suggerimento di tenersi fuori dai giochi, considerò con un sorriso divertito al ricordo del loro colloquio.

~

Malek non si disturbò a rispondere a Siana. Scusarsi? Per cosa, per aver provato a darle una via di fuga?

Piuttosto, continuò a fissare l’Ela d’Acqua come a volerla bruciare. La sua confusione era evidente, ma – sebbene una parte di lui trovasse comprensibile il suo spiazzamento – non potevano permettersela. Né lei, né lui. Se non altro, quella scossa – così simile a quella di due anni prima, eppure diversa – aveva distratto anche i suoi due compagni, sottraendo il primato al reclutamento della ragazza. Per quanto avrebbe funzionato, tuttavia? Malek non sapeva cosa sperare. Avrebbe solo voluto che quella sconosciuta sparisse, andasse a vivere la sua vita normale da un’altra parte.

Non poteva preoccuparsi anche per lei.

Doveva pensare, e in fretta. Lo sguardo gli andò sul ragazzo biondo con cui si era fissata Siana. L’aveva visto; che fosse sconvolto per quello? Sembrava effettivamente nascondere qualcosa.

All’ennesima domanda di Siana, lo vide sospirare pesantemente.

«Stavo pensando a una leggenda, tutto qui» disse.

Aidra si voltò subito verso di lui.

Malek spiò verso Siana con la coda dell’occhio; sorrideva con una malizia che non prometteva nulla di buono.

«Una leggenda? Quale?» chiese subito, avvicinandosi di un altro passo.

«Una leggenda?» ripeté contemporaneamente il ragazzo accanto all’Ela.

«La Natura si lamenta, quando succede qualcosa ai suoi protetti, dicono le leggende» proseguì il biondo. «Quel che è successo potrebbe avere a che fare con l’Ela della Terra – ammesso di crederci», si affrettò a puntualizzare.

Siana si voltò verso di lui. «Tu ci credi, Mal?» domandò.

«Perché proprio qui?» chiese invece Rod, scettico.

Già, perché? Però aveva senso. Poteva spiegare anche quella di due anni prima.

«Non saprei. È solo una leggenda» rispose il biondo, lo sguardo – Malek lo notò – fisso sulla mora. C’era altro che sapeva ma non voleva dire, era chiaro; conosceva l’identità di Aidra? L’idea non lo stupì affatto. Se non altro, sembrava abbastanza dotato di buon senso da non gridarla ai quattro venti, almeno lui.

«Oh, è facile: c’è una parte della leggenda che non hai menzionato» scandì Siana, a voce alta e chiara. Malek la squadrò. Suonava un po’ troppo sicura. «Il lamento non è fine a sé stesso. Cerca gli altri Ela, per avvisarli. Più ce ne sono in un unico punto, più è probabile che si manifesti lì».

Si irrigidì, mentre Rod le chiedeva se credesse davvero a quel che aveva appena detto.

«Gli Ela, Ana? Lo pensi veramente?».

Sostenne il suo sguardo, cercando una via di fuga. Non ce n’erano – non per lui, almeno. «Lo sapevi?» domandò, sperando si accontentasse della sua ammissione.

Non guardò verso l’altra Ela; solo, sperò che iniziasse a far lavorare il cervello.

«Lo sospettavo già da un po’» ammise lei, traboccando soddisfazione. «Prima, quando ci hai chiusi fuori, per un secondo la tua energia è schizzata alle stelle, lo sai?».

«Pensavo non potessi vedere quella delle persone».

«Non molti plasmanti ci riescono».

Sbuffò sprezzante. «Mistero risolto, allora» commentò, chiedendosi perché mai la mora fosse ancora lì, immobile alle spalle di Siana. L’avrebbe volentieri strozzata.

La bionda scosse la testa. «Per una manifestazione così forte, devono esserci almeno due Ela, qui». Si voltò nuovamente verso il resto del gruppo, che aveva ascoltato attentamente il loro scambio. Tutti tranne Aidra, almeno. «Abbiamo due Arche che hanno udito il lamento e quindi possiamo escludere; poi io, che non sono un Arche, un ragazzo che sembra conoscere piuttosto bene le leggende e una che ha elevato una cupola dirottando un fiume» riassunse, posando lo sguardo sugli ultimi due. «Non è una deduzione molto complicata da fare».

«Potremmo semplicemente essere vicini a qualcun altro. All’Ela in pericolo, magari» intervenne il biondo, avanzando per accostarsi ad Aidra. «È già incredibile che ci sia lui, qui» aggiunse, indicando Malek.

«Ai?». A emettere quel suono era stato il terzo ragazzo. Fissava l’amica a occhi spalancati. Gli sembrò che lei gli dicesse qualcosa, ma qualsiasi cosa fosse non la capì.

Subito dopo, Aidra si voltò verso di loro, fissando lui in particolare. «Dobbiamo aiutarlo!» esclamò.

«Non vi seguo più» si lamentò Rod. «Chi dovremmo aiutare?» domandò, girandosi poi a incrociare lo sguardo di Siana. «Eri seria, poco fa?» volle sapere, scuro in volto.

«Serissima».

«Come sarebbe, chi? L’Ela della Terra!» insisté Aidra, avanzando verso Malek. «Se è in pericolo, dobbiamo–»

Fu troppo. «Che vorresti fare? Non hai idea di dove sia» sottolineò, scansandosi.

«Perché non vieni con noi, invece?» intervenne Siana. «All’Accademia troveremo il modo di aiutare».

«Davvero non ti importa?»

Lo chiese fissandolo con un lampo ferito negli occhi. Era delusione?

«Ho altro a cui pensare» rispose secco. La sua espressione lo mise a disagio, ma non stava a lui decidere. E in ogni caso, trovare un altro Ela da consegnare a Kotuno era l’ultima cosa che avesse intenzione di fare. «Dovresti solo… venire con noi» si costrinse a dire, abbassando lo sguardo.

Fu per questo che non vide arrivare il getto d’acqua che lo colpì in faccia l’attimo dopo.

«Non capisco» scandì Aidra con voce tremante di rabbia. Poi lo superò, correndo verso ovest – verso il nulla: non c’erano sentieri, da quella parte.

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