Ergophobia

di ArielleKay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meg ***
Capitolo 2: *** Jack ***



Capitolo 1
*** Meg ***


Meg White era in piedi davanti alla finestra della sua cucina. I raggi di un sole molto debole che stava pian piano tramontando attraversavano il vetro, sfiorandole dolcemente il viso. Chissà come doveva essere bello abitare in un posto dove d’inverno si aveva la neve, pensava guardando il suo triste giardino al di fuori.
Nell’aria c’era un leggero odore di menta e anice, dato da una delle sue tante candele accesa poco prima. Sarebbe stato davvero un peccato rovinare quell’atmosfera con una sigaretta.
Girò leggermente il viso per cercare con lo sguardo il suo pacchetto. Strano, era sicura di averlo lasciato lì, vicino ai fornelli… Non era la prima volta che lo perdeva, comunque, così come molti altri oggetti. Jack glielo ripeteva in continuazione: «Hai la testa tra le nuvole, Megan».
Quello che l’uomo però non comprendeva era che lei, la testa, ce l’aveva ben piantata sulle spalle. Anzi, con molto probabilità quella con più sale in zucca, tra i due, era proprio lei.
L’unico vero difetto di Meg era quello di essere troppo empatica; forse proprio per questo era portata a ragionare più con la testa che col cuore.
Poteva sembrare un controsenso agli occhi dei più, ma lei sapeva bene cosa voleva dire soffrire per ogni minima cosa, sentirsi mancare il respiro e stare così male da avere quasi paura di impazzire. Quando il cuore batte così forte da perdere il suo regolare ritmo, allora è lì che la mente deve mettere un freno.
Lei aveva imparato a farlo, silenziosamente, nel corso degli anni.
Fece qualche passo verso il frigorifero, per poi accorgersi del pacchetto bianco di sigarette spuntare dalla fruttiera. Come ci era arrivato lì?
Poco male. Tanto valeva accendersene una, ormai.
Si sedette su una delle sedie che attorniavano il tavolo da pranzo, mentre cercava di far andare un accendino praticamente finito. Dopo qualche tentativo, riuscì ad accendere la sigaretta e ne inspirò una lunga boccata di fumo.
Fu come riscaldarsi il cuore.
L’ultimo periodo non era stato dei migliori per lei… Tralasciando alcuni problemi personali, gli Stripes non avevano più pubblicato nulla e Meg era convinta di esserne la causa principale. Si sentiva ancora in colpa per quel tour annullato anni prima a causa dei suoi disturbi d’ansia. Probabilmente Jack la odiava per questo, e come biasimarlo? Pure lei lo odiava, comunque. Si era resa conto che era cambiato da un pezzo, ed ormai non era più la persona che tempo prima aveva addirittura sposato. La fama lo aveva reso antipatico, a tratti insopportabile. Ogni tanto le veniva persino da pensare che l’inizio del suo calvario, la fonte principale dei suoi attacchi di panico fosse proprio lui. Aveva imparato a controllarli comunque, quegli attacchi, ma ogni tanto ripensava a tutte quelle cose ed allora era punto e a capo.
Anche in quel momento di solitudine provava una sensazione sfavorevole che la stava colmando da testa a piedi, e senza nemmeno accorgersene aveva già finito la sua sigaretta.
Solitamente avrebbe dato retta al suo istinto, facendosi sopraffare da un senso di negatività che l’avrebbe portata alla nausea o, nel peggiore dei casi, allo svenimento, ma si disse che quel giorno sarebbe stata più forte lei.
Sì, in quella sera di fine Gennaio tanto triste e senza neve, Meg White decise finalmente di rialzarsi in piedi e combattere il nemico più arduo di tutti: sé stessa.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo cellulare con l’intento di chiamare la persona di cui si fidava di più al mondo, il suo migliore amico, per renderlo partecipe di quest’importante cambio di rotta nella sua vita. Meritava di saperlo per primo.
Quasi come fosse stata telepatia, il telefono iniziò a squillarle in mano. Era lui, e la stava chiamando.
Meg sorrise e rispose immediatamente.
 
«Ciao, Jack!».

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Capitolo 2
*** Jack ***


Il fumo della sigaretta poggiata a bordo del posacenere si muoveva piano nell’aria, impregnando la stanza di un odore forte e acre.
Qualche foglio bianco era appoggiato sul tavolo, qualche altro si trovava a terra. La penna, rigorosamente senza cappuccio, non era ancora stata usata.
Lo chiamavano “il blocco dello scrittore”. Cazzate.
Jack White ci credeva poco, a queste cose. Piuttosto, forse…
Il solo pensiero di aver finito la creatività fece rabbrividire l’uomo. Da ore, ormai, si stava rigirando tra le dita un plettro rosso, fissando quei maledetti fogli bianchi sparsi ovunque, senza risultato.
Non è che non fosse ispirato, anzi: se avesse potuto mettere nero su bianco ciò che aveva nella testa in quel momento, avrebbe già riempito almeno una decina di fogli.
Il problema era un altro: niente di quello che Jack avrebbe voluto scrivere era abbastanza in stile “The White Stripes”.
Quando si diventa una band di un certo livello, la fama ti distrugge: il mondo si aspetta da te sempre meglio, sempre di più. Non era mai stato un problema per lui tenere testa ad una responsabilità di quel tipo, ma la paura più grossa si presentava quando iniziava a pensare di avere ormai dato tutto, di aver messo a nudo gli Stripes anni addietro e di non avere più nulla da raccontare di Jack e Meg.
Appoggiò il plettro sul tavolo, di fianco al posacenere, per poi girarsi a guardare l’orologio appeso alla parete alle sue spalle: ora di cena. Poco male, ormai erano settimane che non cenava più. Piuttosto si accese un’altra sigaretta, ignorando completamente quella lasciata a metà che si stava spegnendo piano a nemmeno un metro da lui.
«Dannazione…» sussurrò tra sé e sé, quasi a darsi coraggio, «…non può finire così.».
Cosa sarebbe successo se avesse sbagliato qualcosa? Come l’avrebbe presa il mondo? Come l’avrebbe presa Meg?
Erano quesiti a cui pensava spesso (più di quanto volesse ammettere) ed a cui non voleva dare risposta. Certo, raggiungere di nuovo un successo come quello di “Seven Nation Army” era fuori discussione. Non era affatto stupido, anzi, si riteneva un uomo intelligente. Abbastanza intelligente da sapere che canzoni “hit” come quella se ne scrivono poche nella vita.
Persino i suoi sogni avevano smesso da tempo di essere tinti di bianco e di rosso…
No. Non voleva arrendersi.
Jack prese i fogli vuoti da terra e li portò vicini al viso. Chiuse gli occhi e provò a farsi trasportare dalla sua mente, stavolta senza darsi alcun limite. Forme irregolari cominciarono a muoversi attorno a lui, sembravano danzargli accanto e lo pervadevano completamente. Era come guardare fuori dall’oblò di un sottomarino: strane onde a tratti lo cullavano dolcemente, a tratti lo spingevano con insistenza sempre più in alto. Tutto era tinto di un bel blu profondo e rilassante.
Riaprì gli occhi con il sorriso sulle labbra.
L’ispirazione c’era, avrebbe scritto quelle canzoni.
Euforico, decise di telefonare immediatamente a Meg. Cercò il suo nome nella rubrica contatti del cellulare e restò in attesa per pochissimi istanti prima di sentire la voce della ragazza dall’altra parte.
 
«Meg, dobbiamo sciogliere gli Stripes.»

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