I Sonetti di Yomiuri Land

di sissi149
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sonetto I ***
Capitolo 2: *** Sonetto II ***
Capitolo 3: *** Sonetto III ***
Capitolo 4: *** Sonetto IV ***
Capitolo 5: *** Sonetto V ***
Capitolo 6: *** Sonetto VI ***
Capitolo 7: *** Sonetto VII ***
Capitolo 8: *** Sonetto VIII ***
Capitolo 9: *** Sonetto IX ***
Capitolo 10: *** Sonetto X ***
Capitolo 11: *** Sonetto XI ***
Capitolo 12: *** Sonetto XII ***
Capitolo 13: *** Sonetto XIII ***
Capitolo 14: *** Sonetto XIV ***
Capitolo 15: *** Sonetto XV ***
Capitolo 16: *** Sonetto XVI ***
Capitolo 17: *** Sonetto XVII ***
Capitolo 18: *** Sonetto XVIII ***
Capitolo 19: *** Sonetto XIX ***
Capitolo 20: *** Sonetto XX ***
Capitolo 21: *** Sonetto XXI ***
Capitolo 22: *** Sonetto XXII ***
Capitolo 23: *** Sonetto XXIII ***
Capitolo 24: *** Sonetto XXIV ***



Capitolo 1
*** Sonetto I ***


21 Giugno, Anno 2710 dal Trionfo della Dea

 

Era una giornata calda e afosa, il sole brillava alto nel cielo. Era quasi mezzogiorno e la bottega di stoffe e tessuti pregiati di Rina e Tobei Matsuyama non era ancora stata aperta.

Il sarto reale fremeva per l'impazienza: doveva ritirare una particolare seta per terminare il vestito che stava cucendo per la Principessa, in occasione del gran ballo organizzato alla Fortezza. Matsuyama sapeva benissimo dell'importanza di quel lavoro, al punto che la sera precedente gli aveva fatto recapitare un messaggio per informarlo che il tessuto gli era appena stato consegnato e l'avrebbe trovato pronto quella mattina. Gli sembrava parecchio strano che il commerciante avesse dimenticato la questione, non era da lui, solitamente era una persona parecchio affidabile.

Il sarto sapeva che Matsuyama abitava sopra la bottega, ma l'unico modo per accedere al piano superiore era la scala interna. Aveva pensato di gridare, in modo da attirare l'attenzione se Matsuyama e la moglie fossero stati in casa, ma era una persona piuttosto discreta e non voleva farsi notare da tutto il quartiere.

Sull'orlo di una crisi di nervi al pensiero di quello che avrebbe detto al Principessa se non avesse avuto il vestito rifinito come desiderava, l'uomo stava per arrendersi e ritornarsene verso la Fortezza, per inventarsi qualcosa di diverso.

Dal fondo della strada arrivò di corsa una donna: abbastanza corpulenta e non proprio giovanissima, portava un velo colorato sulla testa che la identificava come una Levatrice. Era Donna Hitomi, la più esperta delle Levatrici della Cittadella.

“Per la Divina Machiko, sembra che tutti i bambini dei dintorni abbiano deciso di venire al mondo oggi!” Esclamò una volta giunta sulla porta della bottega dei Matsuyama.

Solo allora il sarto reale si ricordò che Rina Matsuyama era prossima al parto.

“Quindi la moglie di Tobei ha le doglie?” Domandò alla Levatrice.

Questa gli rispose con fare sbrigativo:

“Sono iniziate stamattina presto. Matsuyama mi ha mandato a chiamare, ma ero impegnata con un altro parto. Vediamo se mi hanno lasciato aperto.”

Spinse la porta, che si aprì senza opporre resistenza ed entrò rapida. Salì le scale annunciandosi rumorosamente.

Il sarto restò incerto sul da farsi: avrebbe potuto entrare e chiedere a Matsuyama notizie della stoffa, dall'altra parte gli sembrava così indelicato disturbarlo in un simile momento. Aveva anche sentito dire che alcuni parti potevano durare delle ore e lui avrebbe rubato solo pochi istanti al commerciante. Inoltre, a quello che ne sapeva lui, gli uomini non erano ammessi nella stanza dove si trovavano le donne in procinto di partorire, nemmeno i Priori osavano assistere, delegando il compito alle Levatrici.

Decise di entrare e salire.

Arrivò alla stanza principale, che fungeva da cucina e al tempo stesso da luogo di ricevimento per gli ospiti. Trovò Tobei Matsuyama seduto presso il tavolo, intento a bere un bicchiere di vino rosso. Il mercante era pallido e un movimento nervoso della mano sinistra, continuamente passata tra i corti capelli neri, tradiva l'ansia che provava per l'imminente nascita.

“Buongiorno, Matsuyama. – si annunciò il sarto – Ho trovato aperto al piano di sotto, ma nessuno nella bottega, perciò sono salito.”

Tobei alzò lo sguardo ed impiegò un istante per mettere a fuoco la persona che aveva davanti.

“Ah, siete voi.”

Di colpo si batté una mano sulla fronte.

“Scusatemi, non so dove ho la testa in questo momento. Ho completamente dimenticato la vostra seta. Ve la porto subito.”

Si alzò per guidare il sarto al piano inferiore, dove teneva tutte le stoffe. Il trambusto della mattinata gli aveva fatto dimenticare l'urgenza e l'importanza di quella consegna.

Un gemito di dolore, proveniente dalla stanza da letto, lo fece bloccare. Si passò una mano tra i capelli, tendendo le orecchie in attesa di altri suoni.

“Non temete, Donna Hitomi è un'ottima Levatrice.” Tentò di rassicurarlo il sarto.

“Certamente. Venite.”

Scesero da basso, dove il mercante aveva la sua bottega. Era un ambiente molto vasto, ma ordinato, con diversi ripiani per riporre le differenti tipologie di stoffe e tessuti. In un angolo c'era tutto l'occorrente per il taglio e le lavorazioni basilari, a seconda delle richieste di chi entrava. C'erano materiali molto pregiati, per cui tutti i nobili delle vicinanze accorrevano dai Matsuyama, ma anche stoffe molto più semplici e povere che facevano al felicità dei ceti sociali meno ricchi: la clientela di Tobei era trasversale a tutte le classi sociali. In poco tempo trovarono la seta che stavano cercando, poiché appena il ragazzo che aveva fatto il trasporto gliel'aveva consegnata, il mercante l'aveva subito messa al sicuro sullo scaffale riservato alla Famiglia Reale. Era morbidissima e lucida al punto giusto, perfetta per il vestito della Principessa. Come sempre di Matsuyama ci si poteva fidare, la sua merce era di qualità eccellente e valeva ogni singolo pezzo d'argento o d'oro speso per l'acquisto.

“Vi salderò il conto non appena avrò ricevuto il mio compenso dalle Loro Maestà.” SI premurò di assicurare il sarto.

Tobei agitò una mano.

“Non preoccupatevi di questo, mi fido di voi.”

I due uomini si congedarono. Il sarto stava per andarsene per terminare il proprio lavoro, eppure, ora che era entrato ed aveva avuto ciò che desiderava, non si sentiva di lasciare solo Matsuyama, che era più in ansia di quanto volesse dare a vedere.

Lo seguì al piano di sopra per la seconda volta.

“Vi dispiace se vi faccio compagnia? L'abito può attendere ancora qualche momento.”

Il mercante annuì.

“Volete bere qualcosa?”

“No, grazie.”

Il pianto di un neonato si diffuse per tutta l'abitazione, facendo andare il cuore in gola a Tobei Matsuyama.

Dopo un tempo che parve lunghissimo, Donna Hitomi li raggiunse col piccolo in braccio.

“È un maschietto forte e sano.” Annunciò.

Matsuyama aveva gli occhi lucidi, il suo bambino era nato. Dopo mesi trascorsi ad immaginarlo insieme a Rina, a domandarsi se sarebbe stato un maschietto o una femminuccia, adesso era davanti a lui in carne ed ossa e strilli. Era la cosa più incredibile che avesse mai visto.

“Come sta mia moglie?” Domandò premuroso.

“È molto stanca, ma si riprenderà in fretta, è una donna molto energica. Potete vederla se volete. Mi ha detto che avete deciso di chiamare il bambino Hikaru.”

“Sì, perché d'ora in avanti Hikaru sarà la luce della nostra vita.”



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Ed eccoci tornati nelle atmosfere del Principato di Yomiuri Land, per chi avesse seguito la storia principale. Per tutti gli altri: benvenuti nel Principato!
Due noticine veloci, veloci: come vedete ho messo una data e quindi vi posso dire che gli avvenimenti della Ballata si collocano nell'anno 2739, dato che mi pare di avervi detto che Hikaru avesse 28/29 anni nella Ballata. (La Ballata inizia a marzo, in primavera, e si conclude a inizio settembre, fine estate. Quindi Hikaru compie gli anni nel bel mezzo degli avvenimenti, ma con tutto quello che succedeva nessuno l'aveva festeggiato ç__ç). La storia parte da prima dei fatti della Ballata, come avrete capito XD, ma poi li supererà e si spingerà oltre.
Hikaru, in Giappone, è sia un nome maschile che femminile, quindi i coniugi Matsuyama hanno potuto sceglierlo tranquillamente senza sapere se aspettavano una bambina o un bambino. ;) Inoltre il suo significato è proprio quello di "luce", da qui si capisce la frase finale di papà Matsuyama.

E.... Mi stavo dimenticando di scrivere del titolo!
Ho scelto Sonetti per restare nell'ambito "poetico" di quello che era il titolo della Ballata. So che il Sonetto è una forma poetica che ha una lunghezza e uno schema ben definito, tuttavia, le varie one-shot che compongono i Sonetti, hanno lunghezze a volte anche molto differenti tra loro.

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Capitolo 2
*** Sonetto II ***


16 Settembre, Anno 2719 dal Trionfo della Dea

 

La pioggia cadeva battente da almeno mezz'ora e non dava cenno di smettere, con molta probabilità si trovavano nel mezzo di uno dei tipici acquazzoni settembrini, che potevano protrarsi per delle ore. Entrambi erano già zuppi da un bel momento. I mantelli cadevano pesanti sulle loro spalle, sia quello giallo con spada blu e scudo rosso del Principe, sia quello blu con la piuma color tortora del suo accompagnatore, ed i cappucci non fornivano più alcun riparo.

“Altezza, forse è più prudente rientrare alla Fortezza!” Lord Fujisawa si preoccupava per l'incolumità del suo signore, più che per la propria, in fondo amava cavalcare sotto la pioggia.

Il Principe fece arrestare il cavallo e si voltò verso il proprio Contabile:

“Avete ragione, Lord. Ormai con questo tempaccio tutti gli animali si saranno nascosti nelle loro tane.”

Erano usciti dalla Cittadella per una battuta di caccia in solitaria, senza l'abituale corteo che seguiva il sovrano, nella speranza di riuscire a stanare un maggior numero di prede, ma l'acquazzone li aveva sorpresi nella foresta che avevano catturato solo un paio di animali, giusto sufficienti per una cena in famiglia. Tutto sommato si era rivelata un'uscita piuttosto deludente.

Uno strano rumore proveniente dalla foresta alle loro spalle, attirò l'attenzione del Principe:

“Lord Fujisawa, avete sentito?”

Era un lamento acuto e continuo, che perforava l'aria nonostante il rumore dell'acqua.

“È molto strano, Altezza. Non sembrerebbe un animale ferito.”

Il Principe scosse la testa.

“Non credo sia un animale, somiglia più ad un bambino che strilla.”

Il Lord era dubbioso.

“Altezza, cosa ci farebbe un bambino nella foresta sotto questa pioggia?”

“È quello che intendo scoprire.”

Senza attendere una risposta dal contabile, il Principe spronò il proprio destriero e partì in direzione dello strano suono, lasciandosi guidare dalle proprie orecchie.

Lord Fujisawa sbuffò spazientito, ma non ebbe altra scelta che seguire al più presto il sovrano tra gli alberi, con quella pioggia così fitta avrebbe corso il rischio di perderlo di vista in pochissimi istanti.

Mano a mano che proseguivano, il suono si faceva sempre più acuto e penetrante.

Arrivarono nei pressi di una grossa roccia dalla forma particolare, tanto che su un lato c'era una sporgenza che formava un piccolo riparo al terreno, quasi che fosse una tettoia naturale. Sotto questa, trovarono la fonte del rumore.

Entrambi gli uomini smontarono da cavallo e si avvicinarono cautamente al bozzo di lana verde che si agitava davanti a loro.

Al colmo dell'incredulità, fu Lord Fujisawa il primo ad inginocchiarsi e a rendersi conto che l'istinto del sovrano non si era sbagliato: abbandonato sotto la grande roccia c'era un neonato urlante.

Delicatamente lo prese tra le braccia e lo sollevò con ancora più attenzione.

Nonostante la drammaticità della situazione, al Principe scappò un sorriso.

“Lord, guardate che il bambino non si rompe al solo sfiorarlo.”

Il Lord si ritrovò decisamente in imbarazzo.

“Scusate, Altezza. Non sono pratico con i bambini, mia moglie e io purtroppo non abbiamo ricevuto questo dono.”

“Le vie della Dea sono imperscrutabili.” Rispose criptico il Principe.

Al contatto col corpo caldo del Lord, il bambino si stava lentamente calmando ed i suoi strilli erano ora ridotti a semplici singhiozzi.

I due uomini si guardarono intorno per parecchio tempo, esplorando il terreno circostante, ma non trovarono né tracce né segni di qualcuno che venisse in cerca del bambino, pareva essere stato lasciato al proprio destino sotto quella roccia.

“Ora che facciamo con questa frugoletta? Credo sia una femmina.” Domandò il Lord.

“Portiamola alla Fortezza, poi decideremo il da farsi.” Ordinò il Principe.

Rimontarono a cavallo e Lord Fujisawa assicurò la piccola davanti a sé, coperta con la parte anteriore del proprio mantello, in questo modo sarebbe stata un poco riparata dalla pioggia e dal freddo.

“Entreremo alla Cittadella dal passaggio segreto.” Ordinò il Principe un istante prima di mettersi in marcia.

 

 

 

La sala privata del Principe offrì ai due uomini un caldo rifugio dopo la furia della pioggia. Sua Maestà aveva fatto intendere al proprio Attendente di informare pure la moglie del suo rientro, ma di fare in modo di non esser disturbato da alcuno, poiché aveva ancora delle faccende importanti da sbrigare in privato col Contabile.

I mantelli zuppi erano stato appesi davanti al fuoco, acceso in quella giornata particolarmente umida per consentire ai cacciatori di riscaldarsi.

“È in momenti come questi che rimpiango di non potermi arruolare nella Guardia Reale.” Esordì il Principe, per spezzare il silenzio nel quale erano piombati da prima di lasciare la foresta.

Lord Fujisawa, che teneva ancora la bambina tra le braccia, cercando di calmarla da un ulteriore attacco di pianto, inarcò un sopracciglio in maniera interrogativa. Sul suo volto si leggeva chiaramente la perplessità.

“Un bicchiere del loro Shutetsu bollente sarebbe ottimo.” Spiegò Sua Maestà.

Compreso il gioco, il Lord rispose a tono.

“Il buon vecchio Mikami non vi negherà questo favore se lo chiederete, anzi, verrà di persona a portarvi tutte le scorte della Caserma.”

“Per lo meno così darà un poco di tregua alle sue reclute: conoscendolo le starà facendo allenare perfino sotto questo diluvio.”

Il Principe si era avvicinato alla finestra e guardava all'esterno, in direzione della Caserma, come se sperasse di poter spingere il suo sguardo fino ai cortili d'addestramento di quest'ultima. Tatsuo Mikami era un ottimo Capitano e sotto il suo comando la Guardia Reale stava prosperando e raggiungendo i livelli di massimo splendore ed efficienza di quasi due secoli prima, quando era stato deciso per la prima volta che non sarebbe stato il Principe ad occuparsi direttamente del corpo militare, ma un Capitano appositamente nominato.

Un gorgoglio della bambina lo riportò indietro dai sogni ad occhi aperti del passato, su cui era stato debitamente istruito prima di salire al trono. La conoscenza della storia della casata e del Principato era un bagaglio necessario a chiunque dovesse trovarsi a regnare su un regno così vasto come quello di Yomiuri Land, ma in quel momento la questione più urgente era di tutt'altra natura.

“Cosa faremo con questa povera creatura?”

Si avvicinò ed accarezzò affettuosamente la testa della piccola, che si stava finalmente assopendo.

“Altezza, sapete quello che prevede la legge: la bambina deve essere affidata ai Priori, affinché giudichino se è in buona salute, si occupino di lei e le trovino un posto adatto.”

Il Principe scosse la testa:

“La Dea ci scampi da questo! I Priori sono sicuramente mossi dalle migliori intenzioni e la più affidabile fonte di conoscenza del Regno, ma il gruppo che abbiamo attualmente alla Cittadella non sarà mai in grado di dare alla bambina ciò di cui necessita veramente.”

Fece segno con una mano al contabile di sedersi su una delle sedie presenti nella stanza.

“Grazie, Altezza. Dopo la scomparsa del vecchio Priore Nakajima, hanno abbandonato del tutto la Casa degli orfani?”

Il Principe sospirò:

“Purtroppo sì. Se ci fosse ancora Nakajima, non avrei problemi ad affidare la bambina alle sue cure, so che le darebbe tutto l'amore di cui ha bisogno e le troverebbe una famiglia adatta, a costo di crescerla personalmente se nessuno volesse occuparsene, come avveniva con la vecchia Casa. In questa situazione preferirei che fosse il Tempio ad occuparsi del destino della piccola.”

Lord Fujisawa era pensieroso, il Tempio sarebbe stata un'ottima soluzione se avessero trovato un maschietto, poiché avrebbe potuto essere inviato e cresciuto all'Hokkaido, la Città-Scuola dei Sacerdoti.

“Il Sacerdote non può esimersi dall'informare il Collegio dei Priori di avere trovato un'orfana, non è accettabile che una bambina cresca presso il Tempio.”

“Keitaro, lo so benissimo, ma questa creatura così piccola deve avere sofferto parecchio abbandonata nella foresta, che ora non si merita di essere trattata con la freddezza che le riserverebbero gli attuali Priori. Ha bisogno di calore e amore.”

Era la prima volta che sua Maestà chiamava il Lord col nome, anziché col cognome, segno di come quella faccenda gli stesse a cuore al punto da dimenticare l'etichetta e le formalità di corte.

Per parte sua, se Lord Fujisawa ne rimase sorpreso, non lo diede a vedere, si limitò a proseguire il discorso:

“Altezza, non vedo come vi sia modo di evitare i Priori, se vogliamo agire nel rispetto delle leggi.”

Il Principe si sfregò le mani, come se quel semplice gesto potesse aiutarlo a concentrarsi meglio per risolvere il problema.

“Se non fossi sul trono, mi occuperei io della bimba, ai ragazzi farebbe piacere avere una sorellina, ma sarebbe terribilmente complicato in termini dinastici. Bisognerebbe conoscere una famiglia che sarebbe disposta con certezza ad adottarla, in modo che i Priori non abbiano che da assicurarsi che la piccola sia in salute. Perché non voi, ad esempio?”

“Cosa intendete dire, Maestà?”

“Lord Fujisawa, voi non avete figli, giusto?”

Il contabile annuì.

“Mi siete sembrato piuttosto triste quando ne avete parlato, poco fa, questa bambina potrebbe essere il dono della Dea per vostra moglie e per voi.”

Il Lord era scettico e dubbioso, aveva sempre desiderato avere dei figli e con sua moglie avevano provato più volte, ma non era mai capitato ed ora entrambi non erano più giovanissimi. Non aveva mai pensato che adottare un orfano avrebbe potuto essere una soluzione.

Non era una decisione che si sentiva di prendere alla leggera e da solo.

“Con tutto il rispetto, Maestà, non credo che sia il caso. Ormai è passato il tempo per me e Kyoko di occuparci di bambini. Inoltre non conosco nessuna famiglia, al momento, disposta ad assumersi un simile onere.”

“Questo significa che i Priori sono la nostra unica scelta.”

Il Principe lo disse con rassegnazione, aveva sperato veramente di dare un futuro migliore alla piccola rispetto ad essere lasciata in balia delle decisioni di freddi uomini di scienza.

“Sarà meglio portarla subito al Priorato.”

Il Principe allungò le braccia per ricevere la bambina dal Lord, ma questo non si era mosso nemmeno di un palmo per consegnargliela, perso a guardarla un'ultima volta.

“Lord Fujisawa, datemi quella bambina, subito!”

Il contabile aveva sentito benissimo l'ordine impartitogli da Sua Maestà ed avrebbe voluto consegnargli subito la creatura che stringeva tra le braccia, ma per qualche ragione inspiegabile il suo corpo non rispose all'ordine della mente, non riusciva a staccarsene.

“Lord Fujisawa!”

L'unico effetto che sortì il nuovo richiamo fu quello di far contrarre all'uomo le braccia verso di sé, in un gesto paterno di protezione. Era come se la bambina fosse diventata un tesoro da proteggere a tutti i costi ed ogni altro individuo fosse una minaccia.

“Vedo che non riuscite a separavi da lei. - commentò con un sorriso il Principe – Credo che non abbiate scelta: quella bambina è vostra figlia, lo è diventata nel momento stesso in cui l'avete presa in braccio nella foresta.”

Il Lord alzò lo sguardo verso il suo signore, in visibile imbarazzo.

“Io... Non so cosa mi sia preso. Come fate ad esserne certo, se nemmeno io ne sono sicuro?”

“Mio caro amico, - il Principe stava decisamente abbandonando un po' troppo le formalità – sono padre anch'io! Riconosco lo sguardo di un genitore verso i propri figli. È un legame quasi magico.”

Per la prima volta il Lord si sciolse in un sorriso dolce, tutto rivolto alla piccola creatura che dormiva avvolta nella coperta di lana verde tra le sue braccia.

“La mia piccola Yoshiko!”

Il Principe si stava versando una coppa di vino dalla caraffa che aveva sempre a disposizione nella sala privata.

“Yoshiko? È un nome bellissimo! Volete favorire?”

“Sì, grazie Maestà.”

Il vino rosso di Kobe fece il suo dovere nel dissetare e nel dare rafforzare i buoni propositi di entrambi gli uomini, poiché non era sufficiente che il Contabile avesse riconosciuto il legame che si era instaurato tra lui e la piccola Yoshiko, bisognava pensare a tutto il resto, a come gestire la situazione senza che i Priori si intromettessero troppo. Il Principe era sicuro che, come loro solito, avrebbero avuto qualcosa da ridire se Lord Fujisawa, un nobile particolarmente in vista della Cittadella, la cui famiglia era una delle più antiche e rispettabili, avesse adottato una trovatella dalle origini oscure.

“Altezza, siete sicuro che i Priori mi affideranno la bambina, dopo che l'avranno esaminata? Sapete, credo che loro non abbiano ancora accettato il fatto che io abbia permesso che mia sorella si maritasse con un commerciante, anziché con un nobile.”

Il Principe fissò un punto lontano, oltre la spalla del suo interlocutore, in direzione della porta della stanza, assumendo uno sguardo molto severo.

“Maestà, è tutto a posto?”

Il sovrano si riscosse:

“Oh, sì. Scusate Lord Fujisawa mi era venuta alla mente un'altra importante incombenza. Tornando a noi, non avevo pensato a questo fatto. Ricordo che molti di loro si erano opposti al matrimonio di vostra sorella, arrivando addirittura a presentarmi una richiesta di impedimento. - sospirò - Bisognerebbe estromettere del tutto i Priori, ma l'unico modo è far credere a tutti che Yoshiko sia vostra figlia naturale.”

Il Contabile non era entusiasta all'idea di aggirare a quella maniera la legge, era sempre stato un uomo integerrimo e credeva fermamente che persino la Famiglia Reale non avesse l'autorità assoluta di modificare le antiche leggi a proprio piacimento per questioni personali, per arrecare vantaggio ad un singolo.

Yoshiko si agitò tra le sue braccia, portandolo ad osservarla per l'ennesima volta. In un istante tutti i suoi dubbi svanirono: cosa c'era, in quel momento, di più grande ed importante del benessere di una delle creature più indifese al mondo? Era dovere del Regno prendersi cura dei suoi figli.

“Beh, è da qualche mese che Kyoko risiede nella nostra residenza di campagna, per motivi di salute. Sapete è un posto isolato e solo un paio di servi e una cameriera fidata si occupano di tutto. Non sarebbe difficile raccontare che il motivo per cui mia moglie abbia lasciato la Cittadella sia stato proteggere la gravidanza.”

Il volto del Principe si illuminò.

“Certamente! E se qualcuno vi chiederà perché non era al corrente dello stato di Lady Fujisawa, potrete sempre rispondere che data la delicatezza della situazione non vi eravate sentiti di rendere pubblica la notizia.”

I due uomini si accordarono e discussero a lungo i dettagli della faccenda e il Principe giurò di fronte alla Dea di mantenere il segreto con gli estranei, a meno di esplicito ordine contrario di Lady e Lord Fujisawa.

“Non preoccupatevi. Stenderò un documento che terrò celato in un luogo sicuro e che assicurerà a Yoshiko ogni diritto sulla vostra eredità, nel remoto caso in cui qualcuno verrà a sapere dell'adozione e contesterà vostra figlia.”

“Grazie Maestà! Sarà meglio che teniate celata anche la coperta in cui abbiamo trovato la bambina.”

Il Principe annuì.

“Vi faccio preparare una carrozza coi migliori cavalli delle scuderie reali: Yoshiko deve andare a casa. La guiderà il mio Attendente e lo vincolerò al segreto riguardo qualunque cosa dovesse vedere.”

I due uomini si abbracciarono.

“Prego la Dea che Kyoko sia d'accordo con questa decisione. Arrivederci Vostra Altezza e grazie di tutto.”

Lord Fujisawa si inchinò e nascose la bambina sotto il mantello, come quando era arrivato.

 

 

 

La residenza di campagna dei Fujisawa era, in realtà, la dimora di famiglia di Kyoko, i cui genitori possedevano grandi quantità di terreno. L'unione tra Kyoko e Keitaro Fujisawa era stata salutata da tutti, nel Regno, come l'unione di due tra le famiglie nobili più in vista del Principato.

La carrozza su cui viaggiava il Lord percorreva la strada che separava l'abitazione dalla capitale del Regno alla massima velocità che gli era consentito dalla strada fangosa.

Yoshiko si dimostrò una bambina insolitamente tranquilla durante il viaggio, nonostante gli scossoni che ad intervalli irregolari subiva il mezzo di trasporto. Forse, il trovarsi tra le braccia salde del suo papà, dava alla piccola la sicurezza necessaria per rimanere addormentata con il pollice in bocca. Ogni minuto che passava Lord Fujisawa si innamorava sempre di più di quella creatura, al punto che non sapeva come si sarebbe dovuto comportare se sua moglie avesse opposto un rifiuto al suo desiderio di prendersene cura.

La carrozza si fermò e l'Attendente del Principe lo informò che erano giunti a destinazione.

La bambina venne nuovamente protetta dalla pioggia e da occhi indiscreti.

“Vi ringrazio. Volete fermarvi a rifocillarvi? Sicuramente in cucina si troverà qualcosa di caldo per voi.”

“Molte grazie, Lord. Preferisco rientrare alla Fortezza Musashi, il mio compito è restare accanto al Principe.”

“Come desiderate.”

Lord Fujisawa restò a guardare la carrozza che si allontanava, prima di entrare nell'abitazione.

Il suo arrivo gettò i servitori nel panico.

“Mio Lord, non vi aspettavamo prima della fine del mese. È successo qualcosa di grave?”

“Ho bisogno di vedere con urgenza mia moglie. La trovo nelle sue stanze?”

“Sì, signore – farfugliò il ragazzo che lo aveva accolto – Volete darmi il mantello?”

“No, lo toglierò più tardi.”

Il Lord non aveva intenzione di mostrare la bambina a nessuno, prima che la vedesse la moglie e ne avesse discusso con lei.

Trovò Kyoko intenta a riporre il suo materiale da ricamo, ormai c'era troppa poca luce per riuscire a portare a termine il lavoro. Si fermò un istante a guardarla, nel suo abito da camera color panna. La pelle chiarissima delle mani e del viso recava le tracce della recente malattia. Nemmeno i lunghi ciuffi di capelli, mossi e scuri, che erano sfuggiti all'acconciatura e cadevano morbidi sulle sulle guance riuscivano a nasconderle all'occhio attento del marito.

Quando la donna si accorse di lui, sussultò dallo stupore:

“Keitaro, che cosa è successo? Ti credevo col Principe!”

“C'è una faccenda che devo discutere con te.”

Lady Fujisawa annuì e si alzò per avvicinarsi al marito, osservandolo attentamente e notando la luce diversa che aveva negli occhi, una luce che lei aveva già visto molto tempo prima, quando erano più giovani ed avevano cominciato ad innamorarsi, deliziando tutti coloro che avevano pianificato il loro matrimonio con anni di anticipo. Il loro era uno dei rari casi in cui un matrimonio combinato sfociava in un vero rapporto d'amore. Con gli anni, però, negli occhi di Keitaro alla luce dell'uomo innamorato si era sostituita la preoccupazione per la salute più fragile del previsto di Kyoko.

Ora che la luce era tornata, Lady Fujisawa provò un'inspiegabile ed irrazionale paura che suo marito avesse trovato un nuovo scopo, una nuova gioia lontano da lei, lontano dalle sue braccia.

“Non farmi preoccupare.” Kyoko si accorse che la sua voce aveva iniziato a tremare.

“Non ne hai motivo.”

Lord Fujisawa aprì il mantello e rivelò alla moglie il fagottino che teneva tra le braccia: la testolina di un neonato faceva capolino da una candida coperta che odorava ancora di bucato.

Kyoko accusò il colpo e abbassò la testa, mentre sentiva gli occhi pizzicare e le lacrime tentare di farsi strada oltre le palpebre. Non era stata in grado di dare un figlio al marito ed ora Keitaro gliene portava a casa uno. Non voleva credere che alla Cittadella il Lord avesse un'amante che era stata in grado di dargli l'unica cosa che lei non aveva mai potuto. Non era possibile.

“Da dove viene quel bambino?” Chiese con voce stanca, lontana.

“Non lo so – le rispose il marito – Io e sua Maestà l'abbiamo trovata abbandonata sotto il temporale. Volevamo mandarla ai Priori, ma, la Dea mi è testimone, non ho potuto lasciarla. È così indifesa!”

La donna alzò la testa e guardò Keitaro negli occhi, non leggendovi alcuna menzogna. Come aveva potuto avere così poca fiducia in lui? Come aveva potuto dubitare dell'integrità di Lord Fujisawa? Come aveva anche solo potuto pensare che l'uomo con cui aveva passato la maggior parte della sua vita avesse potuto pugnalarla alle spalle? Pensava di aver tenuto le debite distanze da quel covo di vipere che erano le dame di corte della Principessa, invece con tutta probabilità si era fatta influenzare dalla loro mentalità sempre pronta a vedere il lato peggiore delle persone.

Le lacrime non riuscirono più ad essere frenate.

“È una bambina?” Domandò titubante.

“Nostra figlia, se tu lo vorrai.” Le disse dolcemente Keitaro, passandogliela tra le braccia per permetterle di conoscerla meglio.

Proprio in quel momento Yoshiko aprì gli occhi e li puntò in quelli della sua nuova mamma.

Kyoko sentì il calore invaderla a quello sguardo e capì come il marito non avesse potuto lasciarla e perché la luce era tornata a brillare nei suoi occhi. Ora avevano un nuovo amore da coltivare e far crescere insieme.

“Dovremmo trovarti un nome, che ne dici batuffolino? - Le sorrise, tra le lacrime, col suo miglior sorriso, passeggiando per la stanza, cullandola per farla riaddormentare – O forse no. Mi sa che papà te ne avrà già dato uno.”

Lord Fujisawa arrossì, sentendosi colto in fallo.

“Come fai a saperlo?”

“Istinto.”

Kyoko si voltò verso il marito e solo allora si rese conto che indossava ancora il mantello da viaggio.

“Keitaro! Cosa fai lì impalato in mezzo alla stanza? Togliti quel mantello bagnato, non vorrai ammalarti proprio ora che la Dea ci ha donato una figlia!”

Sbuffando il Lord obbedì alla moglie e ripose il mantello su una panca.

“In realtà stavo ammirando uno stupendo spettacolo. Tu e Yoshiko siete perfette insieme.”

Kyoko tornò presso di lui e si lasciò avvolgere nel suo saldo abbraccio.

“Yoshiko Fujisawa... Mi piace, le sta davvero bene.”

Keitaro appoggiò un tenero bacio sulla fronte di Kyoko, stringendo più forte a sé le sue due donne, la luce della sua vita.

“Mamma e papà non ti lasceranno mai, piccola Yoshiko.”

Dopo tutto le loro preghiere alla Dea erano state esaudite, anche se non nel modo convenzionale. Finalmente la loro famiglia era completa.



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Ed ecco che anche la seconda protagonista fa la sua comparsa. ;)
Una situazione decisamente diversa da quella di Hikaru.
Ed i due hanno anche una bella differenza di età. XD
La data di nascita di Hikaru era quella indicata da Takahasi, mentre per Yoshiko non esiste una data di nascita ufficiale, come per le altre ragazze. :( :( Ho quindi optato per una data, da considerare come il suo compleanno, che fosse comoda per la nostra vicenda: nella Ballata Yoshiko doveva compiere 20 anni poco dopo la conclusione degli avvenimenti, quindi settembre è stata la scelta.

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Capitolo 3
*** Sonetto III ***


Fine Settembre, Anno 2719 dal Trionfo della Dea

 

Hikaru non stava più nella pelle: mamma e papà gli avevano detto che quel pomeriggio la zia Kyoko sarebbe finalmente tornata in città e, insieme allo zio, sarebbe passata a trovarli per fargli conoscere la sua cuginetta. Era tutta la mattina che il bambino girava per casa alla ricerca dell'idea giusta per fare un regalo alla cugina. Aveva pensato di fare un disegno, con tutti i colori che aveva, ma dopo una buona mezz'ora che fissava la pergamena, si era reso conto che non sapeva cosa piacesse alla bambina. Se le avesse fatto un disegno sbagliato, magari lei non avrebbe mai voluto giocare con lui, quando fosse diventata grande!

All'ora di pranzo non aveva ancora risolto il suo dilemma, tanto che ingoiò alla svelta tutto il suo cibo e chiese:

“Mamma, posso uscire qui nei dintorni, per favore?”

“Tesoro, tra poco arriveranno gli zii. Non mi sembra il caso.”

“Ma io non ho ancora trovato un regalo per la bambina! Devo andare a cercare qualcosa!”

Al padre scappò un sorrisetto compiaciuto per la generosità del suo piccolo uomo.

“Rina, lascialo andare. Sono sicuro che Hikaru tornerà in tempo.”

“D'accordo, ma non uscire dal quartiere.”

Il bambino schizzò in piedi.

“Grazie mamma! Grazie papà!” E corse fuori a tutta velocità.

Una volta in strada, però, le cose non migliorarono. Più si guardava intorno, più si sentiva confuso su cosa avrebbe dovuto trovare. Tra l'altro il suo quartiere era formato solo da abitazioni, le piccole botteghe si trovavano in quello adiacente, che la mamma gli aveva proibito di raggiungere. Unica eccezione era la bottega di stoffe e tessuti di suo padre. Hikaru sbuffò, aveva nove anni e tutto ciò che gli era permesso fare da solo era restare nel quartiere.

“Hey, Hikaru!” Lo chiamò un bambino dal fondo della strada ritornata polverosa dopo la pioggia della settimana precedente.

“Buongiorno Noboru!” Rispose Matsuyama.

“Più tardi vieni con noi a giocare? Abbiamo bisogno di un bambino in più.”

“Non posso, devo cercare un regalo! Oggi viene a trovarmi la mia cuginetta. Tu hai qualche idea?”

Noboru scosse la testa, poi si strinse nelle spalle.

“Le femmine sono strane! È difficile trovare qualcosa che gli piaccia.”

“Lo so! Hanno dei gusti così complicati.”

Entrambi si sedettero su un piccolo muretto, che delimitava il giardinetto della casa di Nonna Fumiko, un'anziana donna che faceva da nonna un po' a tutti i bambini del quartiere, ma che a volte sapeva essere molto temibile e severa.

Hikaru cercava di trovare qualcosa in fretta, poiché stava cominciando a perdere la speranza ed a breve avrebbe dovuto rientrare.

“Ho trovato! - esclamò di colpo Noboru, saltando in piedi – Alle femmine piacciono i fiori!”

Sul volto del piccolo Hikaru comparve un sorriso raggiante.

“Hai ragione!”

Subito, però, il sorriso si spense.

“Non posso andare a raccogliere fiori nei prati attorno alla Cittadella: la mamma mi ha proibito di uscire dal quartiere.”

Noboru sbuffò.

“E allora come facciamo?”

Il bambino si voltò e vide il giardinetto di Nonna Fumiko pieno di fiori, disposti ordinatamente a seconda del tipo. Senza pensarci molto, scavalcò il muretto e si buttò tra l'erba ed i cespugli profumati.

“Noboru! Che fai?” Domandò Hikaru allarmato.

“Risolvo il tuo problema. Che fiori vuoi che prenda?”

Matsuyama tentò di distogliere l'amico dal suo proposito:

“Non possiamo prendere niente senza il permesso della Nonna Fumiko. Sono suoi.”

“Vedrai che non si accorgerà di niente. È per una buona causa. Che ne dici di un girasole?”

Il bambino allungò una mano per strappare il fiore, ma improvvisamente la porta della casa si aprì ed apparve Nonna Fumiko, con la scopa in mano ed un fare decisamente minaccioso.

“Noboru Yamasawa, cosa stai facendo con i miei fiori?”

Noboru perse tutta la spavalderia che aveva auto fino ad un momento prima ed iniziò a sentire le ginocchia tremare: la nonnina del quartiere in versione furiosa era il suo incubo più grande.

“Esigo una risposta!”

La donna si stagliava terribile agli occhi del bimbo.

“Ecco... io...”

“È colpa mia, Nonna Fumiko – intervenne Hikaru da dietro il muretto, dove era restato per tutto il tempo – Noboru stava solo cercando di aiutarmi a trovare un regalo per la mia cuginetta.”

La donna guardò alternativamente entrambi, addolcendo lo sguardo verso Matsuyama, che sapeva essere un bambino diligente, a differenza della piccola peste che stava nel suo giardino.

“È la verità?” Domando al sempre più terrorizzato Yamasawa.

“Sì, signora. Non volevo fare niente di male. Dovete crederlo.”

La nonnina sorrise: come si era infuriata, altrettanto rapidamente era diventata mansueta.

“D'accordo. Vieni dentro Hikaru e scegli il fiore che preferisci.”

Hikaru attraversò il cancellino di legno.

“Vi chiedo ancora scusa. Avremmo dovuto chiedere il permesso.”

Entrambi i bambini si inchinarono, cercando di ottenere il perdono.

Nonna Fumiko aveva recuperato un coltello con cui stava tranciando il gambo del girasole che Noboru aveva tentato di sottrarle. Porse il fiore ad Hikaru:

“Ecco piccolo! Quella bambina è davvero fortunata ad avere un cugino come te. Ora corri a portarglielo!”

Matsuyama afferrò il girasole, felicissimo.

“Grazie, Nonna Fumiko. Che la Dea vi protegga!”

 

 

 

A casa Matsuyama tutti erano in fermento per la piccola Yoshiko.

“Fratellone, devo proprio dirtelo, tua figlia è un amore.” Commentò Rina mentre offriva un bicchiere a Lord Fujisawa.

L'uomo l'afferrò e rispose al colmo della felicità:

“Ed è anche buonissima, piange davvero poco.”

“Hikaru, invece, mi svegliava tutte le notti.”

Anche Kyoko Fujisawa, seduta su una sedia coi braccioli e la bambina tra le braccia, sorrideva a ogni complimento dei cognati.

“A proposito, non vedo il vostro Hikaru.” Osservò.

Tobei si mise a braccia conserte.

“È uscito per una commissione, sarà qui a breve.”

Mandò uno sguardo in direzione della moglie, la quale si limitò ad alzare le spalle: su dove fosse andato il figlio ne sapeva quanto lui e, inoltre, non dimenticava che era stato lui ad insistere perché gli permettesse di uscire. Entrambi ci tenevano a fare bella figura con Lord e Lady Fujisawa, in particolare Tobei si sentiva spesso a disagio in presenza della famiglia nobile.

“Lord Fujisawa, avete fatto buon viaggio fino alla Cittadella?”

“Un ottimo viaggio e la vostra accoglienza è sempre la migliore, Mastro Matsuyama.”

“Non esagerate, Lord, non mi merito il titolo di Mastro, io mi limito solo a vendere le stoffe, non a tesserle.”

La porta si spalancò all'improvviso, facendo sussultare tutti.

“Hikaru, ti sembra questo il modo di entrare?”

Il bambino chinò il capo al richiamo della madre, tenendo entrambe le mani nascoste dietro la schiena.

“Buongiorno, zia! Buongiorno, zio! Scusate se ho fatto tardi e non ho potuto essere presente ad accogliervi.” Fece un profondo inchino di fronte agli zii.

Entrambi i coniugi Fujisawa ridacchiarono alle mosse imbarazzate del bambino.

“Rina, dopo che tu ti sei complimentata per la mia bambina, lascia che io faccia altrettanto per tuo figlio: molto ben educato.”

Commentò Keitaro rivolto alla sorella.

Hikaru camminò attraverso la stanza e raggiunse la zia, osservando il fagottino che teneva tra le braccia. Il leggero trambusto del suo ingresso aveva svegliato Yoshiko, che ora guardava tutti con gli occhioni neri spalancati.

“Hikaru, ti presento Yoshiko.” Gli disse Kyoko, sorridendo.

“È... bellissima, zia. - rispose il bambino – Mi sono attardato perché dovevo portare una cosa a Yoshiko.”

Hikaru tolse le mani da dietro alla schiena e mostrò a Kyoko il girasole appena colto.

“Spero che le piaccia.”

“Sei stato davvero gentile, Hikaru!”

La zia si commosse per il gesto del nipote ed in quel momento fu sicura che i due cuginetti sarebbero andati molto d'accordo negli anni a venire.

Rina arrivò alle spalle del figlio e gli fece una carezza sulla testa.

“Tesoro, che ne dici se mettiamo il tuo regalo in un vaso? Così non si sciuperà intanto che gli zii restano da noi. Ti sei dato tanta pena per trovarlo.”

Delicatamente prese in mano il girasole e recuperò lo stretto vaso dove da giovane metteva i fiori recuperati qua e la che Tobei le regalava quando la corteggiava. Era una delle poche cose che aveva portato via dall'abitazione di famiglia quando si era sposata: in quanto primogenito maschio, la maggior parte dei beni dovevano restare a Keitaro.

Tobei si rivolse al Lord.

“Tornerete subito in campagna o resterete alla Cittadella?”

Keitaro si sistemò i baffi con una mano, prima di rispondere.

“Io devo restare a causa dei miei doveri alla Fortezza. Vorrei si fermassero anche Kyoko e Yoshiko, se la loro salute lo permetterà.” Era restio a separarsi da loro due, tuttavia non voleva mettere a repentaglio il benessere della moglie.

“Ti preoccupi sempre troppo, caro. Sai che mi sono ripresa completamente. Hikaru, ti piacerebbe prendere in braccio la bambina?” Gli domandò la zia.

“Sì! - disse di slancio, ma poi ci ripensò. - Forse è meglio di no, non voglio farla cadere.”

“Non preoccuparti: siediti al mio posto.”

Il bambino si accomodò e la cuginetta gli venne adagiata in grembo.

“Vedi, usa il braccio sinistro per sostenerle la testa.”

Matsuyama eseguì, guardando Yoshiko e prendendo a poco a poco confidenza su come doveva fare.

“Hey, piccolina, io sono il tuo cugino Hikaru! Quando sarai un po' più grande ti prometto che giocheremo insieme. Ti porterò a conoscere la Cittadella e i miei amici. Ti insegnerò un sacco di cose.

I quattro adulti osservavano a metà tra l'intenerito e il divertito il monologo di Hikaru e la sua autoinvestitura a guida per la piccola Yoshiko.

“Cosa ti avevo detto, fratello? Ero sicura che Hikaru l'avrebbe adorata.” Sussurrò compiaciuta Rina a Lord Fujisawa.

Inaspettatamente la bambina emise dei versetti di piacere, che somigliavano vagamente a delle piccole risate.

“Oh, Hikaru! Yoshiko ti sta dicendo che gli piaci molto!” Tradusse per lui la zia Kyoko.

Gli occhi del bambino si illuminarono di gioia. Delicatamente, Hikaru posò un piccolo bacio sulla fronte candida della cuginetta, sicuro che sarebbero diventati grandi amici.





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Qui abbiamo il primo incontro tra i cugini-noncugini, all'insegna della tenerezza.
Sono stata molto indecisa sull'ultima scena, il bacio di Hikaru alla cuginetta: non so se sarebbe realmente nelle corde dell'Hikaru del manga, però io lo vedo molto dolce e protettivo nei confronti di questa bambina, almeno all'inizio. Quando c'è da dimostrare di tenere a qualcuno, Hikaru non è certo uno che si tira indietro, è sempre quello che a 14 si è messo ad inseguire un taxi di corsa. ;)

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Capitolo 4
*** Sonetto IV ***


Maggio, Anno 2722 dal Trionfo della Dea

 

Avevano costruito una specie di rudimentale palla con un sasso avvolto all’interno di vecchi stracci, tenuti poi insieme con delle corde. Ora si divertivano a lanciarsela con le mani, in una serie di passaggi sempre più intricati e veloci, correndo per tutte le vie della Cittadella. Erano partiti dal loro quartiere, più o meno nella parte media dell’abitato e poco a poco si erano spostati verso la zona della Fortezza. Purtroppo per loro, le guardie che sorvegliavano l’ingresso della residenza della Famiglia Reale li avevano allontanati, ritenendo la loro attività troppo chiassosa e troppo turbolenta per essere svolta proprio lì davanti. Perciò, il gruppo di ragazzini si era diretto alla piazza principale. Non era giorno di mercato e non era orario di cerimonie al Tempio, avrebbero facilmente trovato la zona abbastanza sgombra da poter giocare.

Matsuyama lanciò la palla in direzione di Noboru, che l’afferrò al volo con un salto.

“Gran bel lancio, Hikaru!” Esclamò il ragazzino, dopo essere atterrato.

La palla continuava velocemente a passare di mano in mano da un ragazzino all’altro, tra un tiro alto ed uno basso, uno più lungo ed uno più corto, uno più preciso ed uno più difettoso.

“Passa qua!”

“Ora a me!”

“Prendi!”

I ragazzini gridavano, incuranti di quanti avevano intorno e di qualunque cosa potessero travolgere nel loro gioco. Uno di loro urtò una lavandaia che passava con un cesto di panni sporchi, rischiando di farle perdere l’equilibrio e rovesciare il suo carico sullo sterrato della piazza.

“Ragazzini scatenati! Andate a fare danni da un’altra parte!” Gli gridò dietro, piuttosto seccata.

Il giovane Matsuyama si sentì vagamente in colpa per quel disturbo arrecato ed avrebbe voluto andare a giocare da un’altra parte. Avrebbero potuto scendere verso la parte bassa della Cittadella ed uscire dalle mura, dove c’erano tutti i prati a loro disposizione, ormai erano abbastanza grandi.

“Noboru, è tua!”

Il lancio attraversò tutta la piazza e la palla si arrestò tra le braccia di Yamasawa. Il ragazzino si guardò intorno, alla ricerca del compagno più adatto a ricevere a sua volta il suo passaggio. Tuttavia, aveva deciso di non rendergli particolarmente semplice riuscire a catturare la palla. Tirò in direzione di Hikaru con una traiettoria molto angolata. Matsuyama si mosse più velocemente possibile, ma non arrivò in tempo. Il loro manufatto colpì una delle fioriere collocate davanti al Tempio della Divina Machiko, mandandola in frantumi. Le piccole piante di Sapporo, coi loro delicati fiori rosa, si rovesciarono sul terreno.

“Noboru! Guarda cosa hai combinato!” Lo rimproverò un ragazzino del gruppo.

“Non è colpa mia, pensavo che Hikaru ci arrivasse.” Rispose avvilito.

“Sarà meglio filarsela, se il vecchio Sacerdote Sasaki ci scopre, non ce la farà passare liscia.”

Tutti partirono di corsa, allontanandosi il più velocemente possibile dal Tempio e dalla piazza, verso il loro quartiere.

Solo Hikaru rimase indietro, a contemplare il piccolo disastro che avevano combinato. I suoi tentativi di richiamare i compagni si persero nell'aria, ormai erano già lontani.

Da una parte avrebbe voluto seguirli senza indugio, dall'altra sapeva che non poteva andarsene senza prima avere rimediato a quel pasticcio: la mamma gli aveva insegnato ad assumersi sempre le proprie responsabilità e a cercare di porre rimedio ai suoi sbagli.

Matsuyama si inginocchiò e cominciò pazientemente a raccogliere i cocci, domandandosi come avrebbe fatto con la terra e le piante.

Allertato dal rumore, il Sacerdote uscì sulla porta del Tempio.

“Ragazzino, che stai facendo?” Chiese in tono gentile, vedendolo intento a sistemare la fioriera in frantumi.

Hikaru si alzò in piedi e si inchinò al cospetto dell'uomo di fede.

“Mi dispiace tanto, Sacerdote Sasaki, stavamo giocando ed abbiamo rotto una delle vostre fioriere.”

“Stavate?”

Hikaru abbassò lo sguardo, non voleva mettere in difficoltà i compagni, ma non poteva nemmeno mentire.

“Gli altri se ne sono andati. Avevano degli impegni.”

“E tu no?” Indagò il Sacerdote.

“Mi sembrava giusto rimediare.” Rispose con semplicità il ragazzino.

Il Sacerdote gli sorrise.

“Hai fatto bene, la Dea te ne sarà grata. Questo cocci sono ormai irrecuperabili, per fortuna che di là ho una fioriera nuova. Mi aiuteresti a trasportarla?”

Matsuyama annuì vigorosamente.

“Certo signore!”

I due raggiunsero l'abitazione personale del Sacerdote, situata dietro il Tempio, e in poco tempo trovarono quello che cercavano. La fioriera si rivelò essere piuttosto pesante ed Hikaru si domandò come avrebbe fatto l'anziano Sacerdote a tirarla fuori da lì se fosse stato da solo.

“Siete sicuro di farcela? Non volete che chiami qualcuno dei vostri abituali aiutanti?”

“Uno dei miei assistenti si è preso una brutta infreddatura e sarà lontano per un bel po' di tempo, temo. Ogni giorno prego la Dea per la sua salute. L'altro è impegnato nei campi in questo periodo dell'anno e non posso chiedergli di rinunciare al suo lavoro.”

Con pazienza depositarono la fioriera per terra e con delicatezza cominciarono a riempirla di terra, per alloggiare poi le nuove piante.

“Mi raccomando, attento alle radici!”

“Sì, signore.”

Hikaru era contento di poter essere d'aiuto. Anche a casa, gli piaceva aiutare il papà nella bottega a disporre le stoffe e a tenere ordinato, oppure aiutare la mamma nelle sue faccende: spesso era lui che andava al pozzo a recuperare l'acqua col secchio.

“Tu sei Hikaru, giusto? Il figlio di Tobei Matsuyama?” Domandò ad un certo punto il Sacerdote.

“Sono io. Come mi conoscete?”

“Ti vedo sempre alle cerimonie con i tuoi genitori.”

Lavorarono ancora per un po' in silenzio, riuscendo a risistemare la fioriera: non sembrava neppure che poco prima ci fosse stato un incidente e le piante fossero state riverse sulla piazza, unico indizio era il mucchio dei cocci del vecchio contenitore.

“Sei stato molto gentile ad aiutarmi, Hikaru. - Lo ringraziò il Sacerdote – Ti meriti una limonata rinfrescante come premio.”

Il ragazzino spalancò gli occhi:

“Davvero? Ma io non l'ho fatto per avere un premio!”

“Lo so, l'hai fatto perché sei un ragazzo giudizioso. Ora vieni con me!”

Matsuyama annuì e seguì nuovamente il Sacerdote fino alla sua abitazione. Questa volta si fermò sulla panca che il vecchio Sasaki aveva collocato all'esterno, vicino alla porta. Dopo qualche istante, l'uomo tornò con due bicchieri di metallo colmi fino all'orlo e si sedette vicino a lui.

“Ci voleva proprio, dopo tutta quella fatica! - Esclamò, bevendo avidamente – Dimmi, Hikaru, tu conosci la storia delle pianticelle di Sapporo?”

Matsuyama scosse la testa.

“No, so solo che sono le piante preferite dalla Dea e che sono fiorite tutto l'anno.”

“Devi sapere che Sapporo è il nome della città celeste nella quale risiede la Dea e dove vengono accolte le anime di coloro che hanno terminato il loro percorso terreno con rettitudine. È per questo che bruciamo i nostri morti, perché il fumo che sale al cielo porti con sé lo spirito dei defunti verso la città celeste. Ma sto divagando! - Il Sacerdote fece degli ampi gesti con le mani, preso dalla foga. - Dunque, nella città di Sapporo il clima è sempre dolce ed in ogni angolo fioriscono in continuazione delicate pianticelle dai fiori rosa. Molto tempo fa, migliaia di anni fa, quando qui sulla terra i giorni erano ancora terribili e non si intravedeva una speranza di pace per nessun uomo o donna o bambino, poiché il perfido Gamo, Signore del Caos, aveva scatenato i suoi demoni nel nostro mondo e la venuta dell'eroe era ancora lontana, la Divina Machiko fu mossa a compassione dalle nostre sofferenze e mandò sulla terra un dono, un segno della sua benevolenza. Fece cadere dalla città celeste alcuni semi delle sue pianticelle. Questi, nonostante i terreni fossero quasi tutti bruciati e poco fertili, riuscirono ugualmente ad attecchire e a poco a poco, un po' ovunque, la pianticella crebbe e riempì il mondo coi suoi fiori rosa. Come hai detto tu, queste piante restano sempre fiorite: quando un fiore appassisce, uno nuovo è subito pronto a sbocciare al suo posto, sia che sia estate, sia che sia inverno. Per gli uomini e le donne di quell'epoca, questo fatto era miracoloso ed accese nei loro cuori la speranza di potersi un giorno sollevare e rinvigorì il loro amore per la Dea. Perfino gli stessi demoni di Gamo percepirono la natura sovrumana di quelle pianticelle e per un po' cessarono di tormentare la povera gente, anche se per sconfiggerli definitivamente fu necessario l'arrivo dell'eroe. E questa è tutta un'altra storia.”

Hikaru ascoltava rapito, tanto che la mano che reggeva il bicchiere era rimasta sospesa a metà strada tra la sua bocca la panca, dove avrebbe potuto appoggiarlo.

“È una storia bellissima! Non l'avevo mai sentita. La Dea è veramente buona.”

“La Dea ama tutti gli esseri umani ed insegna loro ad amarsi e rispettarsi a vicenda. Non c'è nulla che renda più felice la Dea di un gesto d'amore o d'affetto, di aiuto nei confronti di chi ne ha bisogno. Anche la più piccola cortesia, come non allontanarsi dopo aver combinato un guaio, ma restare per scusarsi e cercare di rimediare, è gradita alla Dea. Oggi, tu, Hikaru Matsuyama, hai reso felice la Divina Machiko.”

Hikaru arrossì fino alla punta dei capelli, non aveva mai immaginato che un gesto così semplice potesse destare l'interesse della Dea.

“Mamma e papà mi hanno sempre insegnato a comportarmi bene e ad aiutare e per me è stato normale fermarmi da voi.”

Il Sacerdote Sasaki sorrise teneramente alla sincerità di quel ragazzino.

“È giusto. I tuoi genitori sono veramente delle brave persone, ascoltali sempre e li farai felici. Ora è meglio che tu vada a casa, si sta facendo tardi e si preoccuperanno, non vedendoti.”

Matsuyama si alzò, ma restò in piedi titubante, restio ad allontanarsi.

“Sacerdote – chiese esitante – se torno ancora a trovarvi, mi racconterete altre storie come questa?”

“Certo, Hikaru. Ora vai!”

Il ragazzino corse via, felice, senza fermarsi fino a casa.

“Mamma! Papà! Indovinate cosa ho fatto oggi?”

 

 

Da quel giorno, almeno una volta a settimana Hikaru Matsuyama si recava al Tempio della Divina Machiko ed aiutava il Sacerdote Sasaki a sbrigare delle piccole faccende oppure ascoltava le storie e le leggende della Dea.





____________________________

Qui scopriamo come Hikaru abbia iniziato a frequentare il Tempio un po' più assiduamente di quanto avrebbe fatto un bambino qualunque.
Noboru ha appena ottenuto la qualifica di combinaguai in capo e il povero Hikaru sempre in mezzo a rimediare. XD

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Capitolo 5
*** Sonetto V ***


Dicembre, Anno 2725 dal Trionfo della Dea

 

I fiocchi di neve cadevano lentamente dal cielo, volteggiando come se compissero una strana danza sospesa per aria, prima di depositarsi dolcemente su qualsiasi cosa: strade, cortili, mura, tetti e persino persone. Yoshiko guardava lo spettacolo con gli occhi spalancati dallo stupore e dalla meraviglia, non aveva mai visto nulla di simile.

“È una cosa incredibile!” Esclamò, agitandosi tra le braccia salde di Hikaru.

“Piano piccolina! Non vorrai cadere di sotto?”

La riprese bonariamente il cugino, stringendo però allo stesso tempo la presa su di lei.

Era andato alla Fortezza accompagnando suo padre, che doveva portare alcune stoffe in visione ai Principi ed al sarto reale. Quando aveva incrociato Lord Fujisawa con la piccola Yoshiko ne aveva approfittato per allontanarsi e con la cuginetta era sgattaiolato in cima alle mura per permetterle di assistere a quell'evento raro: in quindici anni era la prima volta che Matsuyama vedeva la neve alla Cittadella. L'aveva vista ancora quando era stato più a nord con i genitori, ma in quella parte del Regno mai. Suo padre gli aveva detto che l'ultima nevicata nella capitale era avvenuta circa una ventina di anni prima.

“Sembra una magia!”

La bambina aveva ripreso a parlare ed effettivamente, sotto di loro, la Cittadella completamente imbiancata sembrava essere sbucata da una delle antiche leggende: la neve non si era limitata ad una semplice spruzzata, ma lenta ed inesorabile aveva cominciato a cadere il giorno prima e non si era ancora fermata.

“Più che una magia, è un dono della Dea.” Rispose Hikaru.

“Questa Dea è proprio brava a fare magie!”

Yoshiko continuò imperterrita nella sua idea, perché a sei anni, la neve non poteva essere altro che il frutto di una magia.

Hikaru scoppiò a ridere per quella piccola ostinazione, insolita per una bambina dolce e timida come Yoshiko.

La bimba si voltò quel tanto che le era permesso dalle braccia di Hikaru e lo guardò negli occhi, gonfiando le guance:

“Cugino, tu mi stai prendendo in giro!”

Matsuyama fu costretto a tornare serio di colpo.

“No, Yoshiko, ti assicuro che non era mia intenzione.”

Dal basso arrivarono confuse le risate dei due giovani Principi che giocavano a palle di neve nel cortile della Fortezza e parevano divertirsi molto.

Il ragazzo osservò la quantità di neve depositatasi sul cappuccio di lana rossa della cuginetta.

“Ora è meglio che scendiamo, se ti faccio prendere troppo freddo tuo padre non sarà molto contento.”

Depositò la bambina sul camminamento, fatto di cui la piccola Fujisawa non fu per nulla contenta, dato che non riusciva a sporgere sopra alle mura e continuare a vedere il paesaggio, e la prese per mano.

Il punto in cui si erano fermati era abbastanza lontano dalla rampa di scale che conduceva ai cortili interni, per cui avevano ancora un po' di tempo da trascorrere insieme solo loro due. Yoshiko saltellava ed affondava con gli stivaletti nella neve fresca, lasciando delle piccole impronte dietro di sé.

“Allora, come va con lo studio?”

“Benissimo! Ora so scrivere un sacco di parole: il mio nome, il tuo, quello della mamma, del papà, quelli degli zii e quelli dei Principi. La mamma dice che sono proprio brava!” Rispose orgogliosa di mettere in mostra tutto quello che aveva imparato.

“Benissimo! Allora tra poco potrai scrivermi delle lettere quando non ci vedremo. Mi raccomando però, le voglio lunghe.”

“Ti prometto che saranno lunghe, lunghe, lunghissme, come tutte le Cronache dei Priori!”

Erano quasi arrivati alla cima della scala.

“Aspetta Hikaru!”

La bambina si fermò, chiuse gli occhi e si mise immobile con la lingua fuori dalle labbra.

A Matsuyama venne nuovamente da ridere, ma si trattenne per non ricevere un altro rimprovero.

“Si può sapere cosa staresti facendo?”

“Voglio sapere che sapore ha la neve! Secondo te di cosa sa?”

Hikaru si cacciò la mano libera sotto il cappuccio, per grattarsi la testa e farsi venire un'idea per rispondere alla domanda che l'aveva colto alla sprovvista.

“Non saprei, forse di panna.”

“Naaaa. Non credo proprio. - Rispose la piccola Fujisawa, piuttosto convinta delle proprie parole – Credo che sia un sapore speciale. Dai, prova anche tu!”

Gli strattonò il braccio con tutta la forza che aveva, finché non lo fece cedere e lo convinse a parteciparea quello strano strano gioco.

“Quanto tempo dobbiamo restare così?” Chiese Hikaru, prima di chiudere a propria volta gli occhi.

“Fino a che sarà necessario.”

Stettero entrambi per qualche minuto con gli occhi chiusi e la lingua all'aria, nel tentativo di riuscire a catturare qualche incauto fiocco di neve che avesse deciso di depositarsi proprio lì e consentirgli di risolvere quel grande mistero.

“Yoshiko! Hikaru! Cosa fate quassù?”

Matsuyama spalancò gli occhi di colpo e si trovò davanti il volto di Lord Fujisawa che spuntava dalla rampa di scale: era decisamente seccato per essere dovuto salire alla ricerca della figlia.

“Hikaru! Mi meraviglio di te! Ti avevo dato il permesso di uscire con Yoshiko solo per qualche minuto, non di portarla in giro per mezza mattina!”

Yoshiko si gettò di corsa tra le braccia del padre.

“Papà! Papà! Non è stata colpa di Hikaru, lui voleva rientrare, ma io voglio sapere che sapore ha la neve!”

Sulle labbra del Lord comparve un tenero sorriso e tutta la rabbia si sciolse in un istante al contatto con la bambina: fin dal primo momento in cui l'aveva tenuta tra le braccia, l'aveva stregato in qualche maniera.

“Piccola, non si può sentire il sapore della neve, è un segreto segretissimo!”

La prese in braccio ed iniziò a scendere lentamente le scale.

“Hikaru, tu non vieni? I Principi hanno invitato a pranzo al loro tavolo te e tuo padre.”

Mascherando la sorpesa, anche Hikaru si avviò, non prima di aver alzato lo sguardo al cielo ed aver dato un'ultima occhiata alla magia bianca che scendeva danzando.





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Lo so, è un po' corto, ma un momento di loro due tra la neve ci voleva proprio! A Furano erano SEMPRE in mezzo alla neve, non poteva mancare qui, anche se la Cittadella ha un clima decisamente più caldo! ;) E neanche a farlo apposta è capitata la pubblicazione nella settimana della neve in (quasi) tutta Italia. XD
I prossimi aggiornamenti saranno più sostanziosi e le cose inizieranno a farsi più serie per i nostri protagonisti.

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Capitolo 6
*** Sonetto VI ***


Inizio Luglio, Anno 2728 dal Trionfo della Dea

 

Hikaru scese dallo sgabello e si asciugò il sudore dalla fronte con il panno che portava fissato alla cintura. Osservò il proprio lavoro: tutte le decorazioni floreali erano appese alle varie colonne, pronte per il matrimonio dell'indomani.

Era un'estate veramente calda, forse la più calda che ricordava. Talmente calda che perfino le spesse pareti di pietra del Tempio non erano riuscite ad offrire la consueta barriera. Per quel motivo si era offerto di installare tutti gli addobbi, non avrebbe permesso al vecchio Sacerdote Sasaki di rischiare di sentirsi poco bene e farsi magari del male. L'aveva lasciato nelle sue abitazioni a rinfrescarsi con la sua solita limonata: approfondendo la sua conoscenza, aveva scoperto che l'uomo aveva una vera e propria passione per la bevanda.

Il caldo aveva dato problemi a buona parte delle persone che solitamente soffrivano gli sbalzi climatici repentini o non godevano di salute molto forte. La zia Kyoko era svenuta già due volte quella settimana ed il Priore che l'aveva visitata le aveva consigliato di tornare alla sua residenza in campagna, dove avrebbe sofferto meno l'afa. Lady Fujisawa era così partita ed aveva portato con sé la figlia, per godere della sua compagnia. Alla piccola Yoshiko sarebbe certamente piaciuto ritrovarsi in mezzo al verde ed i servitori l'avrebbero trattata come una piccola principessina.

Matsuyama si avvicinò all'altare, anch'esso già addobbato. Per terminare, doveva solo disporre presso la statua della Dea i mazzolini di fiori azzurri che gli erano stati preparati da Lady Yamada. Afferrò il cesto e si avvicinò alla statua di marmo bianco. Prima di iniziare a lavorarci, fece un inchino rispettoso.

Pazientemente dispose i fiori ai suoi piedi, ripensando a tutte le ore passate in compagnia del Sacerdote Sasaki in quegli anni: gli aveva insegnato veramente tutto riguardo le loro leggende e i simboli nascosti dietro ogni rito che si celebrava nel Tempio. Hikaru sapeva benissimo che l'azzurro dei fiori e delle vesti usate dagli sposi indicavano il cielo e la Città Celeste, mentre nelle occasioni particolarmente festose i Sacerdoti vestivano dello stesso rosa dei fiori di Sapporo. Di tutte le storie, lo avevano sempre affascinato quelle in cui la Divina Machiko si rendeva visibile a qualche essere umano e gli comunicava direttamente il suo volere.

Matsuyama salì nuovamente sullo sgabello, per riuscire a depositare l'ultimo mazzo di fiori tra le mani della Dea. Il marmo lucido, nel venire sfiorato, gli trasmise una strana sensazione di calore alle sue mani. Per quanto improbabile gli apparisse, pensò che il grande caldo aveva scaldato la pietra nella quale erano scolpite le sembianze della Divina Machiko. Eppure, guardandole il volto, gli sembrò pure che il sorriso sulle labbra fosse più accentuato del solito e che negli occhi ardesse come una fiamma particolare. Doveva trattarsi di un gioco di luce strano, dovuto al tramonto che iniziava a colorare di rosso il cielo all'esterno.

Rimise tutto in ordine e si apprestò a raggiungere il Sacerdote per comunicargli che tutto era pronto.

Si inginocchiò un istante, per levare una preghiera alla Divina Machiko, per ringraziarla poiché nella sua famiglia tutto andava bene: gli affari del padre erano buoni ed avevano subito un ulteriore incremento tra le famiglie nobili dopo che la madre aveva iniziato a dipingere personalmente alcune decorazioni sui tessuti, in modo che rispondessero esattamente alle richieste della clientela. Quando non aiutava al Tempio, Hikaru lavorava con i genitori nella bottega di famiglia, che un giorno sarebbe diventata sua.

Ringraziò la Dea anche per la cuginetta, che cresceva sana, forte e gentile.

“Hikaru!”

Una voce lo chiamò e Matsuyama si voltò alla ricerca di chi lo avesse chiamato.

“Hikaru, sono qui! Davanti a te!”

Il ragazzo non poteva credere alle proprie orecchie: la voce sembrava provenire dalla statua della Divina Machiko. Probabilmente il caldo gli stava giocando qualche brutto scherzo.

Gli occhi della statua si animarono e la bocca marmorea sembrò assumere la consistenza del burro, piegandosi, aprendosi e chiudendosi per articolare le parole.

“Perché dubiti che quello che sta avvenendo sia reale? Dubiti forse della mia esistenza? Eppure so che ami ascoltare storie su di me.”

Matsuyama aveva gli occhi spalancati. Si sentiva confuso e smarrito, come un pulcino di aquila che esce per la prima volta dal nido. Involontariamente si irrigidì.

“Certo che credo nell'esistenza della Dea! Partecipo sempre alle funzioni.”

“Lo so – rispose la voce – Ti vedo con la tua famiglia. E vedo anche la passione e l'amore con cui ti prendi cura di questa mia casa terrena.”

“Aiutare il Sacerdote Sasaki, per me, è un piacere.”

La statua della Dea sorrise.

“So anche questo. So che sei un ragazzo giudizioso e sempre pronto ad aiutare chiunque sia in difficoltà. Penso che saresti un ottimo rappresentante del mio culto.”

Hikaru boccheggiò.

“Divina Machiko, vuoi che diventi uno dei tuoi Sacerdoti?” Un sussurro appena percepibile uscì dalle sue labbra, ma la Dea non aveva bisogno di parole, sapeva cos'era celato nel cuore e nella mente dei suoi fedeli.

“Io non voglio nulla, tu lo devi volere.”

“Non capisco.”

“Capirai. Rispondi a questa domanda: tu mi ami?”

Fino a quel momento, Matsuyama non si era mai fermato a meditare sul suo rapporto con la Dea, la fede e la dottrina. Portava il rispetto dovuto alla divinità, come gli era sempre stato insegnato, ma non aveva fatto pensieri più profondi al riguardo. La sua testa, in tutta sincerità, non avrebbe saputo come rispondere, tuttavia la sua anima era su un differente piano e non ebbe bisogno di perdersi in complicati ragionamenti.

“Sì.”

Esalò.

“E saresti disposto a dedicare la tua vita a me e alla diffusione dell'amore?”

“Sì.”

Rispose per la seconda volta, guidato da qualcosa che andava oltre l'umana razionalità.

“Allora che aspetti? Sei pronto. Consacra a me la tua vita, dammi tutto il tuo amore, affinché io, attraverso di te, possa riversare il mio nel mondo. Hikaru, lo vuoi?”

“Sì!”

Il terzo “sì” uscì dalla sua bocca forte e deciso, al punto che la sua voce echeggiò tra le pareti del Tempio e chiunque avrebbe potuto sentirlo.

“Bene, mio prediletto. Lasciati abbracciare.”

Il voltò della statua della Dea trasfigurò e divenne così luminoso che Hikaru fu costretto a chiudere gli occhi per non restarne abbagliato. Sentì un lieve bacio posarsi sulla sua fronte.

Quando li riaprì tutto era identico al momento in cui si era inginocchiato per pregare. La statua di marmo era al suo solito posto, immobile come sempre, candida come la neve.

Hikaru rimase immobile, come paralizzato, incapace di compiere qualsiasi movimento e qualsiasi processo mentale.

 

 

 

Dopo qualche tempo, si sentì scuotere abbastanza, violentemente:

“Hikaru! Sveglia, ragazzo mio!”

Il richiamo del Sacerdote ebbe il potere di risvegliarlo e di portarlo alla realtà sensibile.

“Sacerdote Sasaki. Siete voi!”

Esclamò, ancora in preda alla confusione.

“Ragazzo mio, stai bene?”

“Credo di sì.”

Matsuyama afferrò la mano che l'anziano gli porgeva per aiutarsi ad alzarsi.

“Vieni, sediamoci su una delle panche e raccontami che ti è successo. Sembravi non essere più con noi.”

La testa gli girava leggermente. Piano piano tutti i ricordi si fecero più nitidi e anche la parte razionale della mente del giovane elaborò l'accaduto.

“Io... temo di dire qualcosa di irrispettoso.”

“Hikaru, non ho mai sentito uscire dalla tua bocca nulla di cui doversi vergognare. Avanti, parla.”

Lo incoraggiò gentilmente il Sacerdote.

“Ecco, credo che la Divina Machiko mi abbia parlato.” Disse tutto d'un fiato, tenendo gli occhi bassi.

“Era ora!” Esclamò il Sacerdote.

Matsuyama non riuscì a trattenere la sorpresa, sollevò di scatto la testa e puntò il suo migliore sguardo interrogativo sull'uomo seduto accanto a lui.

“Ho capito quasi subito che tu sei un ragazzo speciale. La prima volta, quando ti sei fermato ad aiutarmi, ho pensato che fossi un bambino ben educato e gentile, poi hai continuato a venire e sei diventato sempre più un collaboratore indispensabile. Credevo che una volta terminati i racconti che ti piacevano tanto, non avrei avuto altri motivi per trattenerti, eppure tu non te sei andato, seguendo altri interessi. Successivamente hai iniziato a lavorare coi tuoi genitori, senza trascurare il Tempio: lì ho capito che questo poste era per te una sorta di seconda famiglia, che la Dea ti aveva toccato senza che tu te ne fossi ancora reso conto. Mi domandavo perché non ti si fosse ancora rivelata direttamente.”

Hikaru si sentiva preda di emozioni contrastanti: l'incontro con la Dea era stato reale, non se l'era sognato. Rammentava di aver accettato di servire la Divina Machiko, ma si rendeva conto che era stata una scelta dettata da un istinto che non sapeva di possedere, più che una decisione ben ponderata. Ora, con la razionalità ai massimi livelli di vigilanza, aveva paura di essere stato avventato, aveva paura dell'impegno che aveva preso.

“Sacerdote Sasaki, io non so che fare. Non sono sicuro di aver risposto correttamente.”

L'uomo guardò le alte colonne del Tempio, che da lungo tempo reggevano il peso del tetto, infaticabili.

“La Dea sa cosa c'è in fondo al tuo cuore e se dovessi ritornare sui tuoi passi sono sicuro che non si adirerà, se tu sarai sincero con lei.”

“Dite davvero?”

“Ragazzo, può anche essere scritto nelle stella che servire la Dea sia il tuo destino, ma la decisione finale deve essere tua. Non è una decisione che un ragazzo di diciotto anni può prendere alla leggera. Sarei stupito del contrario.”

“I miei genitori vorrebbero che io continuassi il lavoro alla bottega.” Sospirò.

Il Sacerdote lo guardò intenerito, per quanto straordinario potesse essere, e lui non aveva dubbi in proposito, quello seduto accanto a lui era pur sempre un giovane uomo ancora acerbo.

“I tuoi genitori sono persone meravigliose, capiranno, se sarà ciò che tu vorrai. Ora vai a casa! Hai tutta l'estate di tempo per pensarci.”

Matsuyama ringraziò con calore il Sacerdote per averlo ascoltato pazientemente e consigliato, fece un inchino e lasciò il Tempio. Alla bottega c'era ancora parecchio da fare, per l'ora di cena sarebbe dovuto arrivare un vecchio amico del padre con stoffe provenienti da Naniwa.

 

 

 

 

Rina e Tobei Matsuyama erano preoccupati, poiché era qualche giorno che il loro figlio si comportava in maniera strana, precisamente dall'ultima volta che era stato al Tempio ad aiutare il Sacerdote. Solitamente Hikaru era solare e allegro, aveva sempre una parola da scambiare con tutti coloro che entravano nella bottega e non perdeva l'occasione, quando capitava, di passare del tempo con gli altri ragazzi del quartiere. Ultimamente era taciturno, stava spesso sulle sue e se lasciava casa, si allontanava da solo, rifiutando la compagnia. Uno dei vicini gli aveva riferito di averlo visto seduto solo in mezzo ad uno dei prati fuori dalla Cittadella a non si capiva bene fare cosa.

Avevano deciso di affrontarlo a cena, erano sempre stati abituati a parlare dei loro problemi.

“Buonasera mamma, buonasera papà!” Esordì Hikaru, rientrando in casa dalla sua ultima uscita.

“Buona sera figliolo, vieni a sederti a tavola, è quasi pronto.” Rispose Tobei, facendogli cenno di accomodarsi.

Dopo pochi istanti Rina li raggiunse con una grossa ciotola di terracotta che appoggiò al centro del tavolo. Ognuno di loro aveva una ciotola più piccola al proprio posto.

“Ho fatto un misto di verdure fresche.”

Si servirono tutti abbondantemente.

“Con questo caldo è un'ottima idea, mamma.” Le sorrise Hikaru.

Alla donna si strinse il cuore: per un istante le parve di rivedere il solito sorriso caldo del figlio e si domandò se fosse il caso di fare il discorso che avevano programmato.

Il marito interpretò correttamente i suoi pensieri e scosse leggermente il capo, dovevano andare fino in fondo, se volevano chiarire la faccenda. Si portò alle labbra un bicchiere di succo.

“Hikaru, dicci, è tutto a posto?”

“Certo.” Rispose evasivo il ragazzo, allarmando ancora di più i genitori.

“Ascolta, figliolo – proseguì il padre – non credere che non ci siamo accorti che qualcosa ti turba.”

Hikaru abbandonò le posate sulla tavola e sospirò profondamente:

“Temo di dovervi dare una grossa delusione.”

Rina allungò una mano e la appoggiò sopra quella del figlio.

“Perché dici così? Cosa potresti mai aver fatto per deluderci?”

Il ragazzo si sforzò di essere il più diretto possibile, ormai era inutile girare attorno alla faccenda, senza però essere meschino.

“Non credo che potrò più lavorare alla bottega di tessuti e un giorno non potrà essere la mia bottega.”

Tobei rimase a bocca aperta, non immaginava che il problema del figlio fosse quello, lo aveva sempre visto felice in mezzo alle stoffe.

“E perché mai? Pensavo ti piacesse lavorare con noi.”

Hikaru abbassò gli occhi, colpevole.

“E mi piace ancora. Ma... La Divina Machiko mi ha chiamato per servirla ed io sono tanto contento, come non lo sono mai stato in vita mia. All'inizio ero confuso, poi oggi ho capito che è quella la mia via e mi sono sentito invadere dalla felicità, al punto da non riuscire più quasi a restare nella mia pelle. Il solo pensiero che mi rattrista è quello di poter dare una delusione a voi.”

Rina Matsuyama aveva cominciato a piangere ancora a metà del discorso del figlio. Le lacrime scendevano abbondanti.

“Figlio mio, tu non potrai mai deludermi. La Dea ti ha benedetto. Se tu sei felice io lo sarò per te!”

Hikaru si commosse alle parole di amore incondizionato della madre, restava in trepidante attesa della reazione del padre.

Tobei si riscosse dalla sorpresa e parlò con voce ferma:

“Figliolo, ho lavorato sodo per dare a tua madre la vita che si meritava, per non farle rimpiangere di non aver sposato un nobile quando avrebbe potuto, e per dare a te il migliore dei futuri possibile. Diventare un Sacerdote è un'occupazione più che degna e un onore che non credevo potesse essere concesso alla nostra famiglia. Non devi vergognarti se non seguirai le mie orme. Resta sempre lo splendido ragazzo che ho cresciuto, e non mi deluderai mai.”

Si alzarono tutti e tre e si strinsero in un abbraccio famigliare.

 

 

 

La metà di ottobre era arrivata più velocemente del previsto, tra annunci ai parenti, preparativi e lavoro alla bottega.

Hikaru aveva passato l'estate aiutando il più possibile i genitori nel lavoro, prima della propria partenza. Il Sacerdote Sasaki gli aveva detto che non era necessario si recasse al Tempio con la stessa frequenza di prima, avrebbe trovato qualcun altro che lo aiutasse a tenere in ordine, doveva passare più tempo possibile con la famiglia. Sarebbero stati separati per quattro anni, a parte qualche breve visita, non dovevano perdere istanti preziosi ora. Per quello che riguardava la dottrina, l'anziano gli aveva rivelato che aveva molte più conoscenze di quante non ne avesse avute lui stesso al momento della sua partenza per l'Hokkaido.

Si trovavano tutti nella piazza principale della Cittadella, davanti all'ingresso del Tempio. Lord Fujisawa aveva messo a disposizione del giovane la sua carrozza chiusa.

“Zio, vi ringrazio, ma non era necessario! Avrei potuto cavalcare un cavallo o un mulo.”

“Non dire sciocchezze, ragazzo. - Rispose il Lord – Il viaggio fino all'Hokkaido sarà già abbastanza lungo ed impegnativo anche così. In fin dei conti la carrozza ti porterà solo fino a Hakodate, da lì in poi dovrai arrangiarti.”

Hikaru annuì, non del tutto convinto, poiché non gli sembrava giusto iniziare la sua vita di servizio con quella comodità.

“Non preoccuparti, Hikaru – lo rassicurò il Sacerdote – un passaggio in carrozza fino ad Hakodate è concesso a tutti. La Dea non ti toglierà la sua benevolenza per questo.”

Matsuyama ringraziò con un cenno del capo l'anziano Sacerdote e si concentrò sui suoi genitori.

“Mamma, papà, sarete sempre nelle mie preghiere.”

Rina tratteneva a stento la commozione, in un misto di felicità per il futuro che si prospettava per il figlio, e di tristezza per la separazione forzata.

“Siamo così orgogliosi di te, Hikaru! Sei la nostra luce. In questa sacca c'è del cibo per il viaggio, una veste pulita ed un mantello, per quando raggiungerai le regioni settentrionali.”

Gli porse una sacca di pelle su cui erano state ricamate a mano le sue iniziali.

“Grazie, mamma!”

“Il Sacerdote Sasaki ci ha detto che una volta arrivato all'Hokkaido, ti sarà dato tutto ciò di cui avrai bisogno, perciò ho messo solo l'indispensabile.”

Madre e figlio si abbracciarono a lungo.

“Riguardati, mi raccomando.”

Fu la volta di Tobei di salutare Hikaru.

“Figliolo, fai buon viaggio.”

“Papà, sei sicuro di non avere bisogno di me per la bottega? - chiese un'ultima volta il giovane – Se tu vuoi io posso restare.”

La sua unica preoccupazione nell'intraprendere la strada del sacerdozio era sempre stata quella di non poter più essere d'aiuto alla famiglia col lavoro.

Il genitore scosse la testa.

“Hikaru, ne abbiamo già parlato: tua madre ed io ce la caveremo benissimo. Non preoccuparti per noi.”

“Grazie papà!”

Matsuyama salutò e ringraziò il Sacerdote Sasaki per tutto quello che aveva fatto per lui negli anni, permettendogli di avvicinarsi alla Dea e trovare la sua strada.

“Ragazzo, sono io che ringrazio te per l'aiuto che hai sempre dato al Tempio. Sapere che in te l'amore per la Divina Machiko è forte e sincero è la più grande soddisfazione. Se la Dea vorrà riuscirò a vederti ordinato Sacerdote.”

L'ultimo saluto fu per Lord Fujisawa, che aveva temporaneamente lasciato la Fortezza per lui.

“Grazie di tutto zio. Vi ringrazio ancora per la carrozza. Salutatemi la zia Kyoko e date un abbraccio da parte mia a Yoshiko.”

“Senz'altro, nipote. Siamo tutti fieri di te. Anche la famiglia reale ti manda i suoi saluti, sono anch'essi orgogliosi che un ragazzo della Cittadella possa rendere onore alla Dea.”

L'uomo porse la mano al nipote, che la strinse calorosamente.

“Addio a tutti!”

Hikaru montò sulla carrozza e chiuse lo sportello.

Lentamente il mezzo di trasporto si mise in moto. In fondo alla piazza, prima di svoltare, Hikaru si sporse dal finestrino per dare un ultimo sguardo alla sua famiglia. Fu così che si accorse che la piccola Yoshiko rincorreva trafelata la carrozza.

“Hikaru! Hikaru! Aspettami! Non andare via!”

Nella foga della corsa disperata, la bambina inciampò in una piccola pietra e ruzzolò a terra.

“Fermate la carrozza!”

Ordinò Hikaru al conducente e senza aspettare che il mezzo fosse effettivamente fermo, saltò giù al volo e raggiunse la cugina, mentre anche Lord Fujisawa accorreva a controllare la figlia.

“Yoshiko, ti sei fatta male?”

“Un pochino.” Rispose la bambina, rialzandosi. Il vestito le si era lacerato e un piccolo taglietto le si era aperto sotto il ginocchio sinistro.

“Perché ti sei messa a rincorrere in quel modo la carrozza?”

“Avevo tanta paura di non arrivare in tempo. Dovevo darti questa.”

Yoshiko mise tra le mani del cugino un pacchetto morbido.

“Posso aprirlo?” Le domandò Hikaru.

“Certo!”

Dal pacchetto uscì una sciarpa di lana blu, lavorata ai ferri. In alcune zone i punti erano un po' irregolari e grossolani, ma vi traspariva tutto l'amore e l'impegno che la sua piccola autrice aveva messo nel realizzarla: era da inizio settembre che ci lavorava.

“L'hai fatta tu?”

La bambina annuì vigorosamente.

“Ho pensato che potrebbe esserti utile. Mi hanno detto che all'Hokkaido fa tanto freddo.”

Hikaru sorrise intenerito.

“È bellissima! Vieni qui e abbracciami.”

L'abbraccio dei due cugini sembrò non voler avere una fine, fino al momento in cui:

“Hikaru, mi stai stritolando!”

Matsuyama mollò la presa e la sorrise un'ultima volta. Risalì in carrozza e ripartì.

Quando la vettura sparì dietro l'angolo della strada, Yoshiko scoppiò a piangere a dirotto.





_______________________________________

E qui scopriamo come Hikaru abbia deciso di diventare Sacerdote, con una chiamata diretta della Dea. Così i due cugini si devono separare per ora.
La piccola Yoshiko che insegue la carrozza di Hikaru ed inciampa, l'Ho immaginata com un rovesciamento della, ormai famosa, scena di Hikaru che insegue il taxi di Yoshiko per raggiungerla.

 

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Capitolo 7
*** Sonetto VII ***


Metà Ottobre, Anno 2728 dal Trionfo della Dea

 

L'Hokkaido non era come Hikaru se l'era immaginato: sapeva che sarebbe stato freddo, che la neve nei periodi invernali sarebbe stata la norma, non l'eccezione, come avveniva alla Cittadella, ma non si aspettava che nemmeno a metà autunno la neve caduta fosse così abbondante da farlo sprofondare fino alla caviglia. La città-scuola dei Sacerdoti si trovava all'estremo nord est del Regno, circondata su tre lati dalle ultime propaggini dei monti settentrionali, confine naturale del Principato. Molto più a ovest, su quella stessa catena montuosa, si diceva fosse celata la città fantasma di Azumachi.

Dopo il lungo viaggio, in parte compiuto con la carrozza che lo zio Lord Fujisawa gli aveva messo a disposizione, in parte a dorso di mulo, in parte a piedi, Hikaru non desiderava altro che poter raggiungere un luogo riparato per potersi riposare. Ora comprendeva chi gli aveva raccontato che già solo riuscire a raggiungere l'Hokkaido, in alcuni periodi dell'anno, era una prova di devozione alla Dea. E lui era stato pure fortunato a non incontrare una bufera autunnale.

Il portone di ingresso alla città-scuola era massiccio e le mura erano alte, più di quelle che circondavano la Caserma della Guardia Reale. Dall'esterno, ad Hikaru l'Hokkaido fece più l'impressione di un forte militare che di un luogo di preghiera.

Un Sacerdote lo stava aspettando.

“Immagino sia tu il nostro nuovo discepolo.” Lo accolse con un sorriso gentile.

Matsuyama era un poco perplesso: non si aspettava di trovare qualcuno ad aspettarlo sotto il vento sferzante.

“Sì – rispose – Ho qui una lettera del Sacerdote Sasaki del Tempio della Cittadella. Come...”

“Come sapevamo che saresti arrivato? La Dea ha i suoi mezzi per farci giungere notizie, anche in quest'angolo sperduto di mondo. Ora entriamo, immagino che sarai infreddolito ed affamato.”

Solo in quel momento Hikaru sentì i morsi della fame.

Il Sacerdote fece un cenno e lo condusse oltre il portone. La città-scuola era formata da un grandissimo cortile centrale quadrato, circondato su ogni lato da una serie di edifici a più piani, tutti in muratura. L'ultimo piano era occupato da un camminamento che faceva il giro di tutte le mura, tranne in corrispondenza del Tempio, che era situato di fronte al portone d'ingresso.

“Questo luogo è completamente autonomo, non abbiamo bisogno di nulla dall'esterno. Oltre agli alloggi ed al Tempio, abbiamo una stalla, un orto coperto e sul retro una fonte di acqua dolce che, grazie alla benevolenza della Dea, non ghiaccia mai, nemmeno negli inverni più rigidi. Ti posso assicurare che qui gli inverni sono davvero lunghi e freddi. Tutti noi confratelli, quindi, oltre che alla preghiera, dobbiamo dedicarci alla manutenzione e alla sussistenza di questo posto. Se qualcuno trascura i propri doveri, sarà tutta la comunità a risentirne.”

Hikaru ascoltava ed osservava tutto estasiato e se il Sacerdote pensava di farlo desistere con quella premessa, in verità accresceva in lui il desiderio di sentirsi parte di quella realtà e di abbracciare quella vita, di essere parte di un mondo in cui tutti erano necessari ed indispensabili.

Si diressero negli edifici alla loro sinistra, dove era situato il refettorio: al momento era quasi deserto, poiché non era orario di pasti.

“Sono tutti fuori a terminare i lavori giornalieri prima che sia troppo tardi: qui il buio arriva molto presto e cerchiamo di sfruttare tutte le ore di luce che abbiamo a disposizione.”

Hikaru annuì e si sedette, mentre il sacerdote spariva dietro una porta che presumibilmente doveva essere quella delle cucine. Tornò dopo pochi istanti con un bicchiere fumante.

“Questo ti riscalderà. È té aromatizzato con alcune erbe del nostro orto, una specialità del cuoco.”

“Grazie mille, Sacerdote.”

Il giovane bevve un piccolo sorso e subito sentì i benefici effetti della tisana calda espandersi in tutte le sue membra, mentre sul palato si diffondeva a poco a poco una moltitudine di sapori diversi.

“Per oggi, - iniziò a spiegargli il Sacerdote – prenderai possesso del tuo alloggio e delle tue nuove vesti. Sarai libero fino alla cena, dopodiché ti unirai alla preghiera serale e sarai presentato all'Arcidruido, il riferimento della nostra comunità e di tutti i Sacerdoti sparsi per il Regno e oltre confine.”

Hikaru annuì, continuando a sorseggiare il suo té.

I suoi occhi saettavano da un angolo all'altro del refettorio, studiavano ogni pietra, ogni tavolo e ogni panca del luogo.

Dalla porta della cucina, emersero due giovani studenti che trasportavano un gigantesco paiolo e lo adagiarono al centro della sala. Poco dopo, dal fondo entrò tutta la comunità di maestri e allievi: avevano terminato i lavori all'esterno e venivano a riscaldarsi prima di dedicarsi agli studi e alle lezioni. Mantelli, sciarpe e guanti vennero tolti e lasciati sulle panche, mentre tutti si mettevano pazientemente in fila davanti al paiolo fumante per ricevere la loro razione. Hikaru notò che non erano in fila secondo un ordine preciso: Sacerdoti e studenti erano mescolati tra loro, riconoscibili per le diverse vesti. Al normale arancione, si alternava il blu degli allievi.

“Kato! Oda! Venite qua!”

I due interpellati, invece di tornare ai loro posti, raggiunsero Hikaru e la sua guida, piegando il capo in segno di rispetto.

“Sedetevi pure. Vi presento Hikaru Matsuyama, sarà il vostro nuovo compagno di stanza.”

“Oh, bene! Ti stavamo aspettando. - Esordì il ragazzo più basso – Temevamo che la neve ti avrebbe fatto desistere. Io sono Kazumasa Oda. Benvenuto!”

Hikaru rispose cordialmente al sorriso caloroso che l'apprendista gli aveva rivolto.

“Molto piacere.”

L'altro ragazzo emise una specie di grugnito, schiarendosi la voce ed osservando il nuovo arrivato con occhi sottili.

“Masanori Kato.” Borbottò.

“Terminate pure di bere il té. - riprese il Sacerdote – Accompagnerete Hikaru in camera e lo aiuterete a prepararsi. Siete esentati dalle lezioni di oggi.”

Tutti e tre i giovani chinarono il capo, mentre il Sacerdote si alzava e si allontanava, facendo frusciare le vesti arancioni.

 

 

 

La stanza era semplice, ma dotata di tutto ciò che potesse essere necessario ai tre studenti. Ognuno di loro aveva un letto, ai piedi del quale era collocato un baule dove venivano riposte biancheria e vesti pulite. I letti erano allineati sulla stessa parete della porta di ingresso alla camera, in modo da essere tutti ugualmente lontani dalla finestra, posta sulla parete di fronte.

“Puoi prendere il letto più a sinistra. – gli indicò Kazumasa – Il mio è quello centrale.”

“Grazie.”

Hikaru fece un cenno del capo e si diresse dove gli era stato indicato. Lasciò cadere la sua sacca da viaggio, da cui estrasse la poca biancheria che aveva portato con sé e la sciarpa donatagli da Yoshiko.

Notò che sul letto era già stata distesa, pronta per essere indossata, la semplice veste blu da allievo della città-scuola.

“Farai bene ad indossarla prima di scendere a cena. D'ora in poi vestirai solo con ciò che ti sarà fornito dai Sacerdoti.” Lo ragguagliò Masanori.

“Credete che mi sarà concesso tenere questa?”

Domandò Matsuyama, mostrando ad entrambi i compagni la sciarpa di lana blu.

Kazumasa si strinse nelle spalle:

“Per quanto riguarda le sciarpe, non sono mai stati particolarmente severi ed è nel nostro colore, ma farai meglio a chiedere.”

Si sedette sul proprio giaciglio ed afferrò un libro di preghiere dalla mensola posta al di sopra.

Matsuyama, intanto, continuava l'esplorazione della stanza. Notò un grosso armadio in prossimità della parete più lontana dal proprio letto.

“Qui dentro cosa c'è?”

“Ci sono coperte in abbondanza. Non hai idea di quanto possano essere freddi gli inverni qui.”

Hikaru pensò che non fossero gli inverni l'unica cosa fredda di quel luogo: se Kazumasa gli si era presentato subito con entusiasmo e gioia, Masanori continuava a rivolgersi a lui con distacco ed una sorta di alterigia che gli fecero dubitare di poter andare d'accordo con quel ragazzo. Tuttavia valeva la pena di tentare di instaurare un buon legame col compagno con cui avrebbe dovuto trascorrere almeno i prossimi quattro anni, se si fosse arreso subito, come avrebbe potuto diventare una buona guida spirituale per qualcuno?

“Sei qui da molto tempo?” Gli domandò con cortesia.

“Dall'inizio del mese.” Rispose Masanori, centellinando le parole.

Oda sollevò gli occhi dalla sua lettura e sbuffò spazientito.

“E non ha mai avuto esperienza col vero inverno di queste parti, ma Lord Kato ne sa sempre più di noi.”

“Kazumasa, piantala! Non sono, né mai sarò Lord Kato!”

Punto sul vivo, Masanori incrociò le braccia al petto.

“Grazie alla Dea!”

Hikaru si sentì a disagio nel mezzo della schermaglia tra i due compagni di stanza ed iniziò a spogliarsi del mantello da viaggio e ad allentare la cintura della tunica, voleva indossare al più presto le nuove vesti.

“Magari hai bisogno di un bagno caldo?”

Gli domandò con cortesia Oda, interropendo ancora la sua lettura. Hikaru non aveva osato sperare tanto, ma un bagno caldo sarebbe stato l'ideale per riprendersi dall'ultimo tratto dal viaggio.

“Sarebbe perfetto! Ma possiamo permettercelo?”

“Non preoccuparti! - Lo rassicurò il compagno di stanza, battendogli una pacca sulla schiena – Prendi le tue cose, ti portiamo in un bel posto.”

“Portiamo? Non vorrai coinvolgermi!” Kato fece sentire il suo parere in maniera pesante, con tono decisamente seccato.

Kazumasa si impose in maniera decisa.

“Sì, portiamo! Un bagno caldo farà bene anche al tuo cattivo umore. Niente scuse – alzò una mano a prevenire l'eventuale replica – Il Sacerdote Harada ci ha detto di aiutarlo a prepararsi, non avrà nulla in contrario se scendiamo alla vasca.”

Raccolte tutte le loro cose i tre ragazzi uscirono dalla camera in silenzio, con Oda che faceva da guida ed indicava per ogni porta del piano chi vi dormisse.

In breve tempo, Matsuyama aveva la testa piena di nomi che temette di dimenticare persino quelli dei due compagni di camera.

Scesero verso il refettorio, oltrepassandolo in direzione della cantina. Kasumasa aprì una pesante porta e una lunga serie di gradini che scendevano verso il basso si presentò davanti a loro.

“Stiamo forse andando sotto terra?” Domandò un incredulo Hikaru.

“Esattamente! - Kazumasa appariva compiaciuto, mentre accendeva una torcia. - Al primo livello ci sono le dispense ed i depositi dove viene conservato accuratamente tutto ciò che può essere commestibile. Noi dobbiamo scendere ancora per un bel pezzo.”

La discesa proseguì silenziosamente, persino Masanori aveva terminato i suoi borbottii di disappunto per la gita inaspettata. I gradini sembravano non finire, tuttavia erano tenuti in ordine e ben puliti, privi di muschio o altri residui di umidità, segno che venivano utilizzati spesso e curati con altrettanta frequenza.

“Scendete qui sotto molte volte?” Domandò Hikaru, sempre più curioso di scoprire quale fosse la loro meta.

Inaspettatamente la risposta venne dalla sue spalle: fu Kato a spiegargli.

“Una volta alla settimana. Ci sono dei turni ben stabiliti, in questo modo ognuno di noi può badare in maniera accurata al proprio decoro ed alla propria pulizia. I Sacerdoti ci tengono molto, per loro, avere cura di noi stessi è un modo di rendere onore alla Dea.”

“Senza contare che, con tutte le attività che dobbiamo svolgere, se non avessimo questa possibilità ben presto diventeremmo un gruppo di caproni puzzolenti!”

Erano arrivati alla fine della scala ed un'altra porta si ergeva di fronte a loro.

“Hikaru, potresti reggere la torcia? Ho bisogno di entrambe le mani libere per aprire questa.”

Matsuyama non si fece ripetere due volte l'invito, afferrando il ramo di legno che gli veniva porto ed insistendo che gli venissero consegnati anche gli asciugamani di Kazumasa, non avrebbe dovuto appoggiarli per terra.

Uno dopo l'altro entrarono nella grotta e finalmente Hikaru poté vedere il piccolo lago sotterraneo. Del vapore usciva dall'acqua e saliva verso l'alto, creando delle buffe nuvolette, segno che l'acqua era decisamente più calda dell'ambiente circostante. L'umidità regnava quasi sovrana nell'anfratto.

“Benvenuto alla vasca! Non fare complimenti!”

Kasumasa e Masanori cominciarono ad accendere le varie torce disposte lungo le pareti di roccia, illuminando un po' tutto l'ambiente.

Hikaru si immerse in acqua fino alle spalle, trovando il lago profondo il giusto.

“Vicino all'altro bordo ci sono dei sedili in pietra.” Lo avvertì Kato, mentre terminava di sfilarsi a sua volta la tunica.

Le acque calde fecero rilassare completamente i tre ragazzi. Matsuyama sentiva la stanchezza del viaggio scivolare via e i muscoli distendersi.

Masanori ruppe il silenzio che aleggiava ormai da qualche minuto.

“Scusate se prima sono stato poco socievole. Questa mattina ho ricevuto di nuovo una lettera da mio padre.”

Kazumasa annuì comprensivo:

“Minaccia ancora di venire a tirarti fuori con la forza da qui?”

Kato sospirò, rassegnato, poi si rivolse verso Matsuyama, per spiegargli:

“Mio padre, Lord Kato, non ha preso molto bene la mia vocazione per la vita Sacerdotale. Per lui è un affronto che io abbia deciso di lasciare gli agi e i benefici della mia posizione di nobile. E non sono neppure l'erede del suo titolo: sono l'ultimo di cinque fratelli! Neppure il fatto che la nostra famiglia risieda quasi ai confini sud del Principato riesce ad impedirgli di far giungere le sue ire fino qui.”

Hikaru poteva dire di comprendere in parte il ragazzo che aveva davanti, non dimenticava di aver temuto di non ricevere l'approvazione della sua famiglia quando aveva ricevuto la chiamata della Dea.

“Mi dispiace molto per quello che devi affrontare. Sono sicuro che la Dea ti sarà vicina.”

“Se la Divina Machiko non fosse accanto a me, mi sarei già piegato alla volontà dispotica di mio padre. Da quando sono arrivato all'Hokkaido ho sentito per la prima volta di aver trovato il mio posto nel mondo.”

Oda si avvicinò agli altri due, con fare inquisitorio:

“E tu, Hikau, da dove vieni? Hai anche tu una storia tragica alle spalle?”

“Kasumasa, sei un idiota!”

Masanori si vendicò della frecciatina dell'amico spruzzandolo abbondantemente con l'acqua, fino a fargli bagnare completamente i capelli.

“Non c'è molto da dire – rispose Hiakru, cercando di trattenere le risate per lo spettacolo che si stava sviluppando davanti a suoi occhi. - Vengo dalla Cittadella.”

Alla notizia, Kato interruppe di colpo i suoi dispetti.

“Dalla capitale del Regno?”

“Esatto!”

“Allora avrai visto ancora i Principi!” Esclamò Kazumasa, la sua curiosità era stata stuzzicata al punto giusto.

“Li ho incontrati qualche volta: mio zio è il Contabile alla Fortezza.”

Kazumasa alzò gli occhi al cielo e giunse le mani con fare implorante:

“Divina Machiko, abbi pietà di me! Sono finito con due nobili di prima categoria, come farò a sopravvivere?”

L'espressione tragicomica che il compagno di stanza aveva stampata in volto fece scoppiare Hikaru a ridere, mentre Masanori riprendeva i suoi tentativi di affogarlo.

“Non esattamente. Mia madre è nata nobile, ma mio padre è un commerciante di stoffe. Sono cresciuto nei quartieri medi della Cittadella.”

“Oh, bene. Masanori, smettila o quando tuo padre si presenterà alle nostre porte, lo farò entrare con tutti gli onori!”

Se Oda pensava di far smettere il compagno con quella minaccia, ottenne l'effetto opposto, al punto che cominciò a tossicchiare per l'acqua che gli andava sempre più spesso di traverso.

“Mi arrendo! Cough! Mi arrendo! Divina Machiko, cosa ho fatto di male per ritrovarmi con questo qui?”

Masanori alzò gli occhi al cielo a sua volta, poiché Kazumasa spesso non sembrava sapere quando fosse giunto il tempo di smettere con gli scherzi e le provocazioni.

“Visto che ci siamo confessati tutti, quaggiù, che ne dici di presentarti un po' meglio ad Hikaru pure tu?”

“E va bene! Va bene! Basta che non mi affoghi più!”

Matsuyama rideva senza più contegno ai continui battibecchi dei compagni di stanza, rivalutando la sua iniziale impressione sui due, che ora gli ricordavano alcuni momenti di ilarità insieme a Noboru ed i suoi vecchi amici del quartiere, con cui aveva perso in parte l'affiatamento di quando erano bambini.

“Dunque, io non ho fatto molta strada come voi due per arrivare qui. Sono nato e cresciuto nel villaggio in cui avete entrambi passato l'ultima notte del vostro viaggio. Il vecchio Suzuki ha una passione per ospitare i futuri Sacerdoti ed inviare le sue prime impressioni via aquila direttamente all'arcidruido.”

“È così che i Sacerdoti hanno saputo esattamente quando sarei arrivato?”

Kazumasa annuì, grattandosi poi il naso.

“Quel vecchietto mi era sembrato così simpatico, ed invece è uno spione!”

“È la comare del villaggio! Per finire, per me è stato normale recarmi all'Hokkaido una volta raggiunta la giusta età, è come se avessi sempre saputo che questo sarebbe stato il mio destino.”

 

 

 

 

A differenza del pomeriggio, durante la cena, Sacerdoti ed allievi erano separati, occupavano tavolate diverse e consumavano il pasto per lo più in silenzio. Al centro del refettorio era situato l'unico tavolo quadrato, a cui sedeva l'Arcidruido con i suoi collaboratori più stretti, i Sacerdoti che svolgevano anche la funzione di Attendenti. L'Arcidruido era riconoscibile sia per la sua età avanzata, resa ancora più evidente dalla lunga barba bianca che gli scendeva fino al petto, sia per le vesti più ampie e ricche di qualsiasi altra persona presente nella stanza. Motivi geometrici bianchi decoravano i bordi delle ampie maniche e l'orlo terminale della veste arancione.

Tra i suoi Attendenti sedeva anche il Sacerdote che aveva accolto Hikaru al suo arrivo. Per mantenere l'idea che non esistessero privilegiati all'interno della città-scuola, a parte la guida suprema, gli Attendenti restavano in carica per due anni, dopodiché venivano sostituiti da altri Sacerdoti e finché tutti non avessero servito nella cerchia ristretta dell'Arcidruido, non potevano ricoprire la carica una seconda volta. A meno di espresse nomine da parte della Dea.

Ad una tavolata appartata, sedeva un piccolo gruppo di Sacerdoti, che portavano in diagonale sul petto delle strisce di stoffa blu, colore degli studenti.

“Quelli sono apprendisti Druidi. – spiegò Kazumasa ad Hikaru, sussurrando – Sono già stati consacrati Sacerdoti, ma studiano con l'Arcidruido per acquisire ulteriori conoscenze.”

“Sarà tra tutti i Sacerdoti che verranno ordinati Druidi che un giorno verrà scelto il nuovo Arcidruido.” Proseguì Masanori.

Osservando la sala, Hikaru si stupì di quanti allievi fossero presenti, non credeva che così tanti giovani ricevessero la chiamata della Divina Machiko. Ingenuamente si era sentito importante, quando la Dea l'aveva scelto, ora si sentiva uno dei tanti all'interno del gruppo, e forse non era neppure il più meritevole. Non aveva pensato che l'Hokkaido era l'unica scuola, non solo del Principato di Yomiuri Land, ma di tutti i Regni limitrofi a nord e ad ovest, in cui i futuri Sacerdoti venivano istruiti. Forse, una volta ordinato, sarebbe stato mandato a servire oltre i confini e non avrebbe più rivisto la sua famiglia, o la piccola Yoshiko. Come avrebbe potuto spiegare una simile situazione alla bambina? Scacciò quel pensiero che avrebbe potuto compromettere la sua scelta e far vacillare la sua fede. Avrebbe seguito qualunque indicazione mandatagli dalla Dea, anche col rischio di non riunirsi più ai suoi genitori.

Terminata la cena, nonostante il buio già fitto, tutti si trasferirono nel Tempio, dove venne levata alla Dea la preghiera di ringraziamento per la giornata appena trascorsa. La struttura era simile a quella del Tempio della Cittadella, con le alte colonne, l'altare posto sul fondo, dove c'era il braciere in cui ardeva imperitura la fiamma sacra, e la statua della Divina Machiko in una nicchia circa alla metà della navata. Hikaru si soffermò sul volto e sull'espressione della Dea: se la statua che era alloggiata alla Cittadella trasmetteva benevolenza, il viso della statua che aveva davanti appariva determinato e concentrato. Sulla spalla della Dea non era appoggiata alcuna aquila, ma ai suoi piedi una nidiata di aquilotti beccava l'erba marmorea. Una corona di fiori di Sapporo era scolpita sul suo capo, mentre nella mano destra reggeva un libro e nella sinistra, il cui braccio era disteso lungo il fianco, aveva un cesto ricolmo di frutta.

“Stasera – esordì l'Arcidruido dall'altare dove stava celebrando – accogliamo tra noi un nuovo confratello: il suo nome è Hikaru Matsuyama e ci ha raggiunti per iniziare il suo percorso di apprendistato nel nome della Dea. Accogliamolo.”

Matsuyama, spinto dai compagni di stanza, lasciò la panca e senza esitazione iniziò a percorrere la navata fino a raggiungere l'altare. Kazumasa e Masanori l'avevano istruito su come si sarebbe svolto il rito della presentazione all'Arcidruido e dell'accoglienza. Sentiva gli occhi di tutti su di lui, per la comunità era sempre motivo di festa l'arrivo di un nuovo membro.

“Sei tu Hikaru Matsuyama?” Domandò l'Arcidruido.

“Sì, sono io.”

“E dimmi, Hikaru, vieni da noi per rispondere alla chiamata della Divina Machiko?”

“Sì.”

“È una tua libera scelta?”

“Sì.”

“Nessuno ti ha costretto?”

“No.”

Il pensiero di Hikaru volò un istante a Masanori e a come si fosse sentito mentre rispondeva alle medesime domande qualche giorno prima, lui che aveva sfidato apertamente la sua famiglia per seguire la vocazione.

La voce dell'Arcidruido cambiò tono e da solenne si fece più dolce.

“Noi ti accogliamo in questa comunità di cui diventerai parte integrante ed essenziale. La città-scuola ha bisogno del lavoro e dell'armonia di tutti coloro che vivono al suo interno.”

Sacerdoti ed allievi intonarono un semplice canto di benvenuto ad una voce. Alla Cittadella, i canti erano sempre affidati alle Ancelle di Machiko e per Hikaru fu strano sentire al posto delle voci cristalline delle fanciulle, le voci profonde degli uomini.

“Ora andate a riposare, domani ci aspetterà un'altra giornata di lavoro.”

 

 

 

 

Era trascorsa una settimana dal suo arrivo all'Hokkaido ed Hikaru aveva già sperimentato la durezza della sua nuova vita. Ogni giorno c'era sempre da fare, che fosse spalare la neve dal cortile e dai camminamenti, per lasciare i passaggi liberi, badare agli animali della stalla o tenere pulito l'interno degli edifici ed il Tempio. Tutti partecipavano, non solo gli studenti. Solamente all'Arcidruido venivano risparmiate le mansioni più pesanti, in virtù della sua età avanzata, più che del suo titolo. Il Sacerdote Harada aveva loro raccontato che nei primi anni dalla sua nomina, l'Arcidruido era il primo ad impugnare la pala al mattino e ad iniziare i lavori di pulizia.

Le ore di preghiera e di studio erano più limitate di quanto Matsuyama avesse preventivato.

Hikaru stava facendo pulizia nella voliera, dove un nutrito gruppo di aquile trovava ospitalità e riparo nei mesi più freddi. In cambio, i Sacerdoti le addestravano e le utilizzavano come rapido mezzo di comunicazione per il trasporto di messaggi, legandoli alle loro zampe. Erano una specie molto robusta e gli esemplari più grandi riuscivano a volare discretamente anche durante alcune tempeste di neve.

Kazumasa e Masanori erano con lui. Se il primo non aveva problemi a svolgere lavori pesanti, il figlio del Lord non si era ancora abituato a quei ritmi e sentiva la fatica più degli altri. Lo stesso Matsuyama aveva i palmi delle mani pieni di calli in formazione che spesso bruciavano: è vero che spesso lavorava col padre alla sua bottega, ma il maneggiare stoffe e tessuti preziosi era un'altra cosa rispetto agli attrezzi che doveva impugnare alla città scuola.

Affacciandosi a una delle finestre da cui i volatili avevano libero accesso alla struttura, Hikaru domandò:

“Credete che stanotte nevicherà ancora?”

“Certamente! - rispose Kazumasa, avvicinandogli e indicandogli con la mano un punto all'esterno – Vedi quelle nuvole sopra i picchi della Corona di Machiko? Sono cariche di neve e ci raggiungeranno prima di sera.”

Masanori sbuffò sconsolato, mollando a terra la ramazza.

“Ne sei certo?”

“Devo forse ricordarti che sono cresciuto qui? So come girano le correnti d'aria in questi luoghi.”

“Quindi domani dovremo di nuovo spalare la neve!”

Il ragazzo nobile si sedette per terra, esausto al pensiero della nuova fatica che l'attendeva l'indomani, senza curarsi del pavimento.

“Dai, Masanori, lascia stare. - Cercò di rincuorarlo Hikaru – Qui finiamo noi se vuoi rientrare.”

Kazumasa stava per protestare vivacemente, ma lo sguardo di Hikaru lo bloccò con la bocca spalancata, facendogli assumere una buffa espressione.

Kato scoppiò a ridere all'istante.

“Dovresti vederti Kazumasa!”

“Lieto che tu ti diverta Lord Sacerdote!”

“E dai! Non ho intenzione di abbandonarvi dal sistemare questo posto, mi riposo solo qualche istante.”

Hikaru alzò gli occhi al cielo all'ennesimo battibecco, ormai cominciava a farci l'abitudine. Afferrò della paglia pulita e cominciò a disporla nelle zone che le aquile avevano adibito a loro nido, approfittando del fatto che molti degli uccelli fossero al momento all'esterno.

“Sapete che un giorno ce ne daranno una a testa?” Disse Kazumasa, che nel frattempo si era ricomposto e si stava dirigendo verso il grosso sacco di iuta dove avrebbero gettato tutto lo sporco che erano riusciti ad ammucchiare contro una parete.

“Certo che lo sappiamo!” Esclamò piccato Masanori, come ogni volta che il compagno tentava di coglierlo alla sprovvista.

Dai nidi delle aquile la voce di Hikaru arrivò precisa.

“Parla per te, io non lo sapevo. Dal Sacerdote Sasaki non ne ho mai vista una.”

Oda drizzò la schiena ed iniziò a spiegare con tono da maestro:

“Normalmente, a tutti coloro che vengono nominati Sacerdoti è concesso di scegliere uno degli esemplari della voliera da portare con sé, quando lascerà l'Hokkaido. Spesso vengono scelti i cuccioli dell'ultima nidiata, ma qualcuno preferisce esemplari più grandi e...”

Il ragazzo non terminò la frase poiché la porta venne spalancata con forza ed apparve la massiccia sagoma del Sacerdote Fujita.

“Vedo che qui si fa conversazione invece di lavorare! Rimettetevi subito al lavoro, perditempo!”

“Non è vero! Stiamo lavorando!” Protestò con foga Kazumasa.

“Oda! Non replicare, o stasera farai anche il turno in cucina!”

L'uomo si voltò e sparì rapidamente come era comparso, per andare sicuramente a controllare qualcun altro dei nuovi arrivati: il Sacerdote Fujita era una sorta di supervisore delle attività giornaliere, passava il suo tempo a correre da un lato all'altro della città-scuola, pronto a redarguire chiunque non stesse svolgendo i propri compiti con la dovuta cura o celerità. Non era molto amato dagli studenti, per via dei suoi modi bruschi, che spesso infastidivano anche gli altri Sacerdoti, ma proprio per il suo carattere complicato, l'Arcidruido non era mai riuscito a trovargli un incarico da svolgere lontano dall'Hokkaido. Quel caratteraccio avrebbe fatto fuggire i fedeli dal Tempio, invece di invogliarli a partecipare ai riti.

Masanori si rialzò, scuotendosi di dosso polvere e sporco.

“Sarà meglio darsi una mossa a finire, prima che il Sacerdote Fujita decida di fare un'altra visitina!”

I due compagni annuirono e proseguirono con maggiore lena, decisi a terminare in breve tempo di sistemare la voliera.

Il sole stava calando e molte delle aquile cominciavano a rientrare, rendendo più difficile il lavoro dei tre.

Hikaru sospirò, finendo di disporre la nuova paglia nel nido più in alto.

“Questa è fatta. Kazumasa, a che punto sei con quegli scarti?”

“Ho quasi riempito tutto il sacco, con l'aiuto di Lord Sacerdote.”

Lo scapellotto di Masanori gli arrivò diretto sulla nuca.

“Tu non sei capace di restare serio per più di una manciata di secondi?”

“E tu sei troppo serio!”

“Ragazzi, io vado in camera. - Annunciò Matsuyama – Se voi volete restare a litigare, fate pure.”

Uscì dalla voliera, chiudendosi la porta dietro le spalle, prima di lasciarsi sfuggire un sorrisetto divertito: quei due erano incorreggibili e con loro ci sarebbe stato da divertirsi per i seguenti quattro anni.





_______________________
Qui vediamo l'arrivo di Hikaru a Grande Inverno ehm.... no all'Hokkaido e le sue prime interazioni. Se alla Cittadella la neve è cosa rara, qui gli toccherà assare buona parte del suo tempo a spalarla. XD Prima o poi ci sarebbe dovuto finire in mezzo.
E vediamo anche un minimo di gerarchia sacerdotale.

Una precisazione sui colori dei sacerdoti, che sono ispirati alle innumerevoli variazioni della divisa della Furano/Flynet nelle varie versioni dell'anime. Nella serie classica abbiamo alle elementari la divisa rosa con pantaloncini ciclamino, a cui ho riservato il colore delle vesti per le celbrazioni festive. Alle medie la divisa diventa biance ed arancione, mentre nella serie j è arancione, con le calze blu: ho tenuto l'arancione come colore base per le vesti dei sacerdoti, aggiungendo le decorazioni bianche per l'Arcidruido. Nella serie forever la divisa diventa blu, colore che ho scelto per gli allievi sacerdoti. In sintesi sta povera squadra ha cambiato divisa ad ogni adattamento, roba da causargli problemi di identità. XD

Ringrazio Melanto per avermi segnalato una svista nel cap precedente sul nome di una località rimasto "anonimo". ;)

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Capitolo 8
*** Sonetto VIII ***


Fine Ottobre, anno 2728 dal Trionfo della Dea

 

Carissimo Hikaru,

mi manchi. Stare alla Cittadella senza di te non è la stessa cosa. Sei il mio cugino preferito!

La mamma si sta riprendendo lentamente dalla sua ultima malattia. A proposito, è arrivato un nuovo Priore. È un tipo molto strano. Ha dei capelli lunghissimi e porta su un occhio uno strano affare circolare. Dice che gli serve per vedere meglio. A me sembra un'assurdità! Questo nuovo Priore si chiama Priore Katagiri. È venuto proprio stamattina a visitare la mamma. Ha detto che la febbre è passata del tutto e tra pochi giorni la mamma potrà alzarsi dal letto per qualche tempo.

Sono proprio contenta!

Ho pregato tanto la Dea per far guarire la mamma. Solo non capisco perché la Dea la fa ammalare così spesso. Papà non è mai malato! E nemmeno tu!

E non capisco neanche perché la Dea abbia deciso di mandarti così lontano. Ti ho già detto che mi manchi?

Quando mamma sarà guarita, mi ha promesso di insegnarmi a ricamare. Così potrò anch'io fare quei bellissimi disegni che fa lei, poi te li farò vedere!

Come è il clima lì all'Hokkaido?

Hai già usato la sciarpa che ti ho regalato?

Ora ne sto facendo una anche per papà!

Dopo la visita del Priore Katagiri, lui e papà si sono chiusi nello studio a discutere per un sacco di tempo. Papà ha detto che dalla prossima settimana il Priore Katagiri sarà il mio nuovo maestro. Devo studiare delle cose nuove. Papà vuole che conosca la storia del Principato e tutte le città del Regno. Così saprò esattamente dov'è l'Hokkaido e potrò venire a trovarti, quando sarò più grande! Non è una cosa magnifica? E vedrò di nuovo la neve?

Ieri sera invece sono stata a cena dalla zia Rina e dallo zio Tobei. Anche a loro manchi moltissimo. La zia mi ha fatto vedere una bellissima stoffa dorata e lei ci sta dipingendo dei bellissimi fiorellini. Servirà per fare un mantello per la Principessa. Lo zio dice che Sua Maestà la prossima primavera accompagnerà il Principe Jun a ovest per un torneo di spada. Si sta già facendo preparare tutti i vestiti ora! Per il momento il Principe farà solo da scudiero, non mi ricordo più a quale Lord.

Noi siamo stati invitati alla Fortezza per il ballo d'inverno. Papà dice che sto diventando grande e devo partecipare anch'io. Uffa! Sai che la corte non mi piace. Tutte quelle dame che mi guardano dall'alto in basso!

Spero che per allora la mamma avrà recuperato abbastanza forze. È stata a letto molto più del solito questa volta e mi ha fatto preoccupare tanto. Ha cominciato a non stare bene pochi giorni dopo la tua partenza.

Lo vedi? Non dovevi partire!

Oh, che egoista che sono! Lo so che non sei andato via per capriccio. La Dea ti ha scelto, ma avrei voluto tanto che scegliesse qualcun altro.

Spero ti trovi bene. Avrai di sicuro tantissimi nuovi amici.

Vorrei ricevere presto un tua lettera, per sapere che cosa succede all'Hokkaido.

Promettimi che mi penserai nelle tue preghiere. Io ti penso sempre nelle mie.

Mi manchi tantissimo.

 

La tua affezionatissima cuginetta

Yoshiko

 

 

 

Yoshiko appoggiò la piuma d'oca sul suo tavolino, accanto alla boccetta dell'inchiostro e sospirò. Osservò il foglio di pergamena e si sentì in colpa per averne sprecato uno: aveva voluto scrivere a tutti i costi quella lettera al cugino, pur sapendo che non avrebbe mai avuto il coraggio e l'occasione di fargliela arrivare. L'Hokkaido era lontanissimo e con l'avvicinarsi della stagione invernale era quasi impossibile trovare messaggeri che percorressero quella via. Per lo stesso motivo, gli uccelli normalmente utilizzati per inviare messaggi non erano affidabili su quella distanza. Inoltre, il Sacerdote Sasaki le aveva spiegato che solitamente all'Hokkaido si mandavano solo messaggi molto importanti e seri, per non disturbare la meditazione dei futuri Sacerdoti. Il suo non era certo un messaggio urgente, aveva solo sentito il bisogno di raccontare a qualcuno le sue giornate.

Quando era ancora alla Cittadella, Hikaru passava spesso a trovarla e la faceva sempre giocare e divertire.

La bambina afferrò la lettera e la chiuse in un cassetto, dove sarebbe rimasta per sempre.

Il cugino le mancava terribilmente, ma lui non l'avrebbe mai saputo.


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Dopo due Sonetti Hikaru-centrici, mi sembrava giusto dedicare un piccolo spazio a Yoshiko ed a cosa ne pensa di tutta la faccenda. Ovviamente, siccome a me piace complicarmi la vita, che altro potevo fare se non far scrivere una lettera ad una bambina di 9 anni? Ho cercato di imitare la scrittura dei bambini usando frasi il più possibile brevi, senza ricorrere ad eccessiva subordinazione, ma evitando gli strafalcioni grammaticali: Yoshiko viene da una buona famiglia, dove si parla un linguaggio decisamene corretto ed ha un grado di istruzione abbastanza elevato, vediamo che il padre le sta procurando anche un insegnante privato!

Mentre per la prossima settimana annuncio la presenza di una guest-star tra gli altri protagonista de La Ballata. E se siete sensibili, preparate i fazzoletti. ;)

 

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Capitolo 9
*** Sonetto IX ***


Aprile, anno 2730 dal Trionfo della Dea

 

Hikaru si svegliò con gioia, per la prima volta da un anno e mezzo aveva passato la notte nel suo letto alla Cittadella, a casa. Dall'Hokkaido avevano avuto il permesso di rientrare per un breve periodo da trascorrere con le loro famiglie e quasi tutti ne avevano approfittato. Tra gli amici di Hikaru, solo Masanori aveva deciso di rimanere alla città-scuola, poiché il rapporto con i suoi genitori era ancora burrascoso.

Hikaru era arrivato il giorno prima, nel tardo pomeriggio, senza avvisare nessuno: voleva fare una sorpresa. Invece la sorpresa gliel'avevano fatta i suoi genitori, in viaggio di lavoro nelle città del sud. Quando non aveva trovato nessuno a casa, si era recato da Lord Fujisawa che lo aveva aggiornato e lo aveva rassicurato sul fatto che i coniugi Matsuyama sarebbero rientrati l'indomani, secondo le previsioni di viaggio di Tobei, solitamente piuttosto accurate. Aveva così passato la serata dagli zii, che avevano gioito dell'inaspettato piacere di averlo tutto per loro, anche se solo per poche ore. Yoshiko gli era saltata al collo, al colmo della felicità, staccandosi subito dopo, imbarazzata. Non era buon costume per una ragazzina comportarsi in maniera troppo esuberante. Poi lo aveva subissato di domande sulla sua vita all'Hokkaido.

Si rigirò nel letto per godere ancora del tepore delle coperte senza la necessità di dover scappare fuori a svolgere le varie mansioni che mantenevano efficiente la città-scuola.

Non si era mai trovato a casa da solo: nei precedenti viaggi del padre, Rina restava sempre a casa con lui, oppure, si spostavano tutti e tre insieme. Una volta, a sedici anni, aveva accompagnato solo lui Tobei a Naniwa a prendere delle sete, in un viaggio padre e figlio. Era stata un'esperienza affascinante, poter vedere e conoscere città diverse dalla capitale del Principato. I colori di Naniwa e la febbrile attività che si respirava l'avevano entusiasmato. Ogni via era piena di botteghe di artigiani, divisi per quartiere. Solo tra le botteghe dei tessitori e dei filatori c'era da perdersi per una giornata e suo padre le conosceva tutte: da ognuna acquistava solo i pezzi migliori per i nobili della Cittadella. Gli sarebbe piaciuto tornare a vedere quella città. Magari, se avesse avvisato, i suoi genitori avrebbero rimandato il viaggio e sarebbero partiti tutti e tre alla volta di Naniwa.

Si alzò e si avvicinò alla finestra, spalancando le imposte per permettere alla luce di entrare. Il cielo era coperto da nuvole grigie che non promettevano nulla di buono. Spostò lo sguardo verso sud, sperando che fosse più chiaro, ma le nuvole apparivano ancora più minacciose.

Sospirò.

Probabilmente il brutto tempo avrebbe fatto rallentare i genitori, Tobei non si sarebbe azzardato a a far rovinare il suo carico sotto la pioggia, per quanto rinchiuso in robusti bauli.

Ritornò verso il cento della stanza, dove la sera prima aveva lasciato un bacile pronto con l'acqua per rinfrescarsi. Si sfilò la veste da notte e si sciacquò il viso. Indossò la tunica blu che solitamente portava all'Hokkaido: anche lontano dalla città-scuola doveva essere identificabile come allievo del culto della Dea.

Decise che sarebbe andato al Tempio a trovare l'anziano Sacerdote Sasaki per portargli i saluti dell'Arcidruido, dato che quest'ultimo si era particolarmente raccomandato. Magari si sarebbe fermato ad aiutarlo: le vecchie abitudini erano dure a morire ed in fondo lui aveva passato sei anni presso il tempio della Cittadella a fare i più diversi lavoretti.

Quando arrivò al Tempio, era ancora in corso la preghiera di metà mattina. Si sedette in fondo e partecipò al rito con discrezione. Non c'era molta gente, a quell'ora normalmente solo i nobili meno impegnati si recavano a pregare al Tempio, il resto della popolazione era occupata con i propri lavori, chi nelle botteghe, chi nei campi, chi nella Fortezza e via dicendo.

Il rito fu breve, e presto il Tempio fu di nuovo un luogo calmo e silenzioso.

Hikaru si alzò e raggiunse l'altare.

“Sacerdote Sasaki!”

L'uomo si voltò e si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore:

“Per la Divina Machiko, Hikaru, ragazzo mio! Cosa ci fai qui? Non avrai combinato qualcosa di male all'Hokkaido?”

Matsuyama agitò le braccia davanti a sé, per far scacciare il pensiero al Sacerdote.

“No, no! Ci hanno concesso un periodo di riposo, ora che lassù le strade cominciano ad essere praticabili.”

Il Sacerdote Sasaki apparve rincuorato.

“Ah, bene! Se avessi combinato qualcosa, avrei avuto grosse difficoltà a perdonarti, solo la Dea lo sa. Sei l'unico allievo che abbia mai raccomandato all'Hokkaido.”

Hikaru sorrise alla sincerità dell'uomo.

“Va tutto bene alla città-scuola. L'Arcidruido vi manda i suoi più cari saluti.”

“Contraccambio. Vuoi del succo? Se vieni di là da me, potremo parlare con calma.”

Matsuyama esitò, non voleva distogliere il Sacerdote dal suo lavoro.

“Non preoccuparti, il Tempio è in ordine. Tra poco dovrebbero arrivare le Ancelle di Machiko a provare i canti, è meglio lasciarle tranquille.”

I due uomini uscirono dal Tempio, verso l'abitazione del Sacerdote.

A sud il cielo si era fatto ancora più scuro. Un lampo squarciò l'aria, poco lontano dalla Cittadella.

“Periodo strano per una tempesta di fulmini.” Commentò il Sacerdote.

La maggior parte di quei fenomeni avveniva nel mese di giugno, con qualche sconfinamento nella prima parte di luglio, ma alcune tempeste isolate potevano scaricarsi sul Regno in differenti periodi dell'anno.

Un brivido corse lungo la schiena di Hikaru, provocandogli una strana sensazione di angoscia e facendogli rivolgere ansiosamente lo sguardo al sud. Scosse la testa: di sicuro i suoi genitori si erano fermati in qualche villaggio ad attendere che la tempesta passasse.

“Allora, dimmi, come ti trovi all'Hokkaido? - gli domandò l'uomo di fede, aprendo la porta dell'abitazione – Ti piace spalare la neve?”

Matsuyama sorrise e seguì l'anziano su per le scale.

 

 

 

 

A pomeriggio inoltrato, Hikaru cominciò a sentirsi decisamente inquieto. La tempesta di fulmini era avanzata da sud verso la Cittadella, abbattendosi con violenza sulla Capitale del Principato. Il suo quartiere e quelli limitrofi non avevano avuto danni, ma in altre zone si erano verificati problemi. Dalle finestre della sua stanza aveva visto un fulmine cadere sulla torre più alta della Fortezza Musashi.

La Guardia Reale correva dappertutto a verificare la situazione, ora che la tempesta aveva proseguito il suo viaggio verso nord.

Per scacciare la sua inquietudine, Matsuyama fece ciò che gli era stato insegnato all'Hokkaido: si inginocchiò e si rivolse alla Dea, chiedendole consiglio. Solitamente la meditazione e la preghiera funzionavano, eppure quel giorno non sembravano sortire alcun effetto, l'inquietudine e la sensazione che qualcosa non andasse continuavano a tormentarlo.

Sentì dei colpi ovattati e capì che qualcuno stava bussando alla porta della bottega, al piano inferiore. Non potevano essere i suoi genitori, sarebbero entrati senza nessun problema in casa loro, inoltre non sapevano che fosse rientrato, non avevano motivi per bussare.

Si alzò e scese la scala per aprire la porta.

Davanti si trovò due uomini della Guardia Reale: uno era abbastanza avanti con gli anni, mentre l'altro, che si teneva un passo indietro, era circa della sua età, a giudicare dall'aspetto.

“Buon pomeriggio. Cosa posso fare per voi?” Domandò cortese Hikaru, pensando che i due fossero lì per sincerarsi che la tempesta non avesse fatto danni.

“Buon pomeriggio. Voi siete il figlio di Rina e Tobei Matsuyama?”

Il giovane annuì, sentendo la gola farsi secca, improvvisamente aveva perso salivazione.

“Io sono Sato e questo è Wakabayashi. Stavamo ispezionando i dintorni della Cittadella dopo la tempesta di fulmini. Il Capitano Mikami ci ha ordinato di spingerci ben oltre i confini dell'abitato, siamo arrivati quasi ai limiti della Foresta Meiwa. Abbiamo trovato il carro su cui viaggiavano i vostri genitori: è stato colpito da un fulmine.”

Hikaru si bloccò di colpo, come se fosse stato anche lui colpito da una scarica.

“Non starete dicendo che...”

“C'erano anche i corpi di Tobei e Rina. Sono morti.” Rispose asciutto Sato.

“No!” Urlò Matsuyama con tutto il fiato che aveva in gola. Non voleva credere ad una simile notizia, non quando era appena tornato a casa per passare del tempo con loro.

“Vi state sbagliando!”

“Nessun errore. - Il soldato si avvicinò e posò una mano sulla spalla del giovane che gli stava di fronte – Abbiamo portato i corpi ed il carro in Caserma, se volete vederli.”

Il pensiero di andare a vedere i corpi dei genitori fu come un pugno nello stomaco, avrebbe reso reale l'accaduto, avrebbe escluso la possibilità di un errore da parte degli uomini della Guardia.

“Verrò. - disse con voce atona, serrando i pugni. - Avete già avvertito Lord Fujisawa?”

Sato lo guardò senza comprendere.

“Lord Fujisawa è... era il fratello di mia madre.”

“Wakabayashi, accompagna Matsuyama in Caserma, io andrò alla Fortezza dal Contabile Reale.” Ordinò il più anziano membro della Guardia Reale.

Hikaru chiuse la porta della bottega e seguì in silenzio il soldato che gli faceva strada tra le vie della Cittadella.

Non fu un percorso molto lungo, ma fu molto faticoso. Ad ogni passo si avvicinava la conferma di aver perso i propri genitori. In quel momento, a poco valevano gli insegnamenti del Sacerdote Sasaki e degli altri maestri all'Hokkaido sul fatto che una volta terminato anche il suo percorso nel mondo, la sua anima avrebbe potuto ricongiungersi con chi amava nella Città Celeste. Dentro di sé si sentiva un ragazzino che aveva ancora bisogno della guida e dell'amore dei genitori. Quando si trovava all'Hokkaido, anche se era lontano, sapeva che sarebbe sempre potuto tornare e trovarli sorridenti sulla porta, pronti a dargli tutto il loro sostegno e tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno. Da quel momento non sarebbe stato più così, avrebbe dovuto cavarsela da solo, qualunque cosa fosse successa. Quanto gli sembrava lontana e distante la Dea!

Arrivati alla Caserma, Wakabayashi lo guidò oltre il cortile degli addestramenti, in una stanza piccola e scura, illuminata solo da qualche candela.

I corpi dei coniugi Matsuyama erano stati adagiati su un tavolo, uno accanto all'altro. Nonostante le ustioni provocate dal fulmine, erano riconoscibili. La scarica doveva essere caduta in mezzo a loro, poiché a Tobei mancava parte della pelle del viso sul lato sinistro ed il braccio corrispondente era carbonizzato, mentre Rina era ferita sulla parte destra del corpo.

Hikaru cadde in ginocchio. Non c'erano più scusanti o storielle da raccontarsi nella mente, mamma e papà erano morti.

Senza che lui potesse averne alcun controllo, le lacrime cominciarono a scorrergli sulle guance.

“Pensiamo che siano morti subito, quando il fulmine li ha colpiti. Non si sono resi conto di niente.” Disse Wakabayashi, poi lasciò la stanza per permettere a Matsuyama di esprimere tutto il suo dolore con la dovuta riservatezza.

Quando arrivò Lord Fujisawa, scortato dal Capitano Mikami in persona, Matsuyama aveva terminato le lacrime, ma non si era mosso dalla sua posizione.

Keitaro rimase a sua volta pietrificato nel vedere la sorella ed il cognato in quello stato, per metà martoriati.

Hikaru si alzò ed abbracciò lo zio, cercando conforto reciproco in ciò che restava della sua famiglia.

“Mi dispiace per il vostro lutto. - disse Mikami – I miei uomini sono a vostra disposizione se volete che i vostri cari siano portati a casa, altrimenti, potete utilizzare questa stanza fino a quando lo desiderate.”

“Grazie, Capitano.” rispose il Lord, senza sciogliersi dall'abbraccio col nipote.

 

 

 

La cerimonia funebre era stata molto semplice. Il Sacerdote Sasaki aveva officiato con molta partecipazione e parecchie persone erano intervenute. I Matsuyama erano molto amati nel loro quartiere, poiché erano sempre pronti a dare una mano se ce ne fosse stato bisogno. Erano stati loro ad avere l'idea dell'ormai tradizionale cena condivisa del solstizio d'estate: dopo le cerimonie al Tempio, nel loro quartiere venivano portate tutte le tavole nella strada e nei cortili e si consumava il pasto in compagnia. Un modo per legare con i vicini di casa e condividere ciò che si aveva in un giorno di festa.

I Principi erano stati presenti, perché negli anni, oltre che un fido collaboratore, Lord Fujisawa era diventato piuttosto intimo con la famiglia reale. Secondo il Principe, rendere omaggio pubblicamente agli sfortunati coniugi Matsuyama era il minimo che potessero fare. Sua Altezza Reale si era avvicinato ad Hikaru e gli aveva detto di non farsi riguardo a chiedergli qualunque cosa di cui potesse avere bisogno. Anche i giovani Principi erano venuti a porgergli le condoglianze.

Matsuyama si era imposto di controllarsi il più possibile durante la funzione, tuttavia, all'accensione della pira funebre con la fiamma consacrata, gli occhi avevano cominciato a bruciargli.

Era appena rientrato a casa, insieme a Lord Fujisawa, dopo aver accompagnato la zia Kyoko alla sua abitazione, dove Yoshiko era rimasta. Non avevano ritenuto opportuno far assistere la bambina al rito.

Ogni volta che attraversava la bottega, inattiva da qualche giorno, con la polvere che iniziava ad accumularsi, sentiva un pugno nello stomaco e la voglia di abbattere qualche scaffale si faceva largo prepotentemente. In verità, il giorno prima, aveva scaraventato a terra l'intero assortimento di stoffe pregiate, per pentirsene qualche minuto dopo. Lo zio l'aveva trovato intento a raccogliere ed a mettere tutto in ordine, facendolo vergognare per il suo scatto. Lord Fujisawa aveva sorriso, mettendogli una mano sulla spalla ed assicurandogli che se lui fosse stato solo tra le cose di sua sorella, probabilmente avrebbe fatto di peggio.

Salirono al piano di sopra, nella cucina.

“Volete qualcosa da bere, zio?”

Senza aspettare una risposta, Hikaru afferrò la caraffa di vino che divideva col Lord durante le sue visite di quei giorni.

“Grazie, ragazzo. Per favore, smettila di usare con me le formule di riguardo: sei il figlio di Rina, sei tutto ciò che mi resta di lei.”

L'uomo bevve un sorso di vino, per scacciare il nodo alla gola, mentre Hikaru annuiva silenziosamente.

“In questi anni, ho sempre temuto che fosse Kyoko a lasciarmi prima del tempo, ogni volta che deve restare a letto per più di qualche giorno ho paura di perderla. Non avrei mai pensato a Rina e a Tobei. In un modo così assurdo.”

Hikaru strinse la mano allo zio, sapeva che era molto legato a sua madre, nonostante avessero compiuto scelte di vita differenti, ed aveva molto rispetto per suo padre. Hikaru era certo che Lord Fujisawa non avrebbe mai permesso che l'unica sorella si sposasse con un uomo non degno di lei e con Tobei aveva trovato il meglio.

“Se solo avessi avvisato del mio rientro, forse non sarebbero partiti e ora...”

“Non fartene una colpa, Hikaru, non potevi sapere che ci sarebbe stata una tempesta di fulmini. E se, invece, avessi ritardato di un giorno il tuo arrivo? Saresti finito tu, nella tempesta.”

Il Lord rabbrividì alle sue stesse parole.

Matsuyama portò il bicchiere alle labbra, non sapendo come replicare.

“Ho parlato con il Sacerdote Sasaki – proseguì lo zio – Se non te la senti di tornare all'Hokkaido finito il periodo di libertà, scriverà lui all'Arcidruido per informarlo di quanto è accaduto e chiedergli il permesso affinché tu rimanga.”

Hikaru alzò di scatto la testa, lo sguardo duro.

“No! Voglio tornare all'Hokkaido il prima possibile. Se c'è un posto dove posso trovare un senso a tutto, è lassù.”

Hikaru sapeva che restare alla Cittadella non l'avrebbe aiutato a superare quanto accaduto. Non aveva pensato molto alla città-scuola negli ultimi giorni: preso dagli eventi, aveva dimenticato ogni altra cosa. Il discorso di Lord Fujisawa lo fece come svegliare di colpo. Doveva tornare al nord per riavvicinarsi ai territori della Dea: all'Hokkaido forse la Divina Machiko gli avrebbe parlato una seconda volta, come quando l'aveva chiamato a sé, e forse avrebbe potuto dare un senso alla morte dei genitori. Aveva bisogno di sentirsi indaffarato e il continuo lavorare della città-scuola avrebbe fatto al caso suo. Masanori e Kazumasa, con i loro battibecchi, gli parevano una prospettiva molto più allettante del restare solo a tormentarsi nella sua vecchi casa, piena di ricordi e fantasmi.

“Ne sei sicuro?” Gli chiese preoccupato lo zio.

“Assolutamente. Devo abbandonarmi alla guida della Dea se voglio superare questo momento, solo lei può aiutarmi a capire.”

Il Lord sospirò.

“Se ne sei convinto, non ti posso fermare.”

Per un po' fu il silenzio a farla da padrone, entrambi gli uomini erano assorti nei loro pensieri e nel loro dolore.

Lord Fujisawa si versò dell'altro vino.

“Forse non è il momento più adatto per parlarne – esordì l'uomo – ma se vuoi partire al più presto ci sono delle questioni da sistemare riguardo ai lasciti dei tuoi genitori.”

Matsuyama annuì, aveva pensato anche lui a cosa fare della bottega e del resto.

“Vendi tutto. – disse senza esitazione – Io non ce la faccio a pensare di tornare a vivere in questa casa e non voglio che la bottega di papà venga abbandonata.”

“E come farai, quando avrai finito i tuoi studi all'Hokkaido?”

Matsuyama si rigirava il bicchiere tra le mani, temendo che lo zio non capisse il suo punto di vista.

“Quando sarò Sacerdote, solo la Dea sa in quale Tempio presterò servizio, potrei essere mandato dall'altra parte del Regno ed una casa qui non mi servirebbe molto.”

“Capisco.” Rispose secco il Lord.

“Però, se pensi che la bottega o la casa possano interessarti, tienile pure tu, zio.” Aggiunse il ragazzo in tono dolce, non voleva essere scortese col fratello della madre e qualsiasi cosa avesse voluto non gliela avrebbe negata.

“No, ragazzo. Sono troppo vecchio per darmi al commercio e Yoshiko non percorrerà di certo questa via. La tua è la soluzione migliore: se ci fosse qualcuno che potesse non far morire la bottega, tuo padre ne sarebbe contento. E anche Rina. So che Tobei aveva intenzione di prendere un apprendista, ma non aveva ancora scelto nessuno.”

Hikaru sospirò, sapeva che non sarebbe stato facile trovare qualcuno di adatto, forse il Sarto Reale avrebbe avuto un'idea.

“Zio, puoi occuparti tu dei conti da sistemare e della vendita? Io non sono esperto di queste cose e so che tu agirai per il meglio.”

Lord Fujisawa si commosse per la fiducia incondizionata che il nipote riponeva in lui.

“Sei il degno figlio di tua madre: anche Rina, una volta che aveva preso una decisione, non poteva più essere dissuasa. Farò come vorrai, non ti dovrai preoccupare di nulla.”

“Grazie. Se vuoi tenere qualche ricordo di mamma, prendi pure tutto quello che vuoi.” Hikaru era colmo di gratitudine.

La stanchezza gli piombò addosso di colpo, complici le lunghe veglie di quelle notti insonni. Fece un ampio sbadiglio.

“È molto tardi, sarà meglio che vada da Kyoko e Yoshiko. - si congedò Lord Fujisawa – Sicuro che vuoi dormire qua da solo? A casa nostra c'è posto.”

Hikaru declinò per l'ennesima volta la proposta che lo zio gli rivolgeva tutte le sere da quando c'era stato l'incidente.

“No, vorrei partire per l'Hokkaido già domani mattina molto presto. Vi disturberei e basta.”

Di fronte allo sguardo determinato del nipote, Lord Fujisawa non poté far altro che rassegnarsi.

“Allora addio, ragazzo.”

“Addio, zio.”

Si abbracciarono brevemente, poi il Contabile Reale scese la scale e se ne andò.

Hikaru, solo come non era mai stato prima, si apprestò a trascorrere la sua ultima notte nella casa dove era nato e cresciuto, una notte colma di tristezza e di dolore.





____________________________
Siamo arrivati a uno dei capitoli pesanti, di quelli che giustificano il "drammatico" messo tra gli avvisi nello schemino di presentazione. Un capitolo che è una grossa botta per Hikaru, soprattutto per le tempistiche.
Non avrei voluto dover far morire Tobei e Rina, pucci, ma nel capitolo 4 de "La Ballata", Hikaru mentre parla con Yoshiko dice esplicitamente che quando morirono i suoi, lui non aveva ancora preso i voti, perciò dovevano morire durante il periodo di studio di Hikaru.

Mentre per la nostra guest star, abbiamo avuto una fugace apparizione di Genzo, nel suo primo periodo di servizio nella Guardia Reale. Gli rifilo sempre parti allegre e spensierate. XD

Ora un'informazione di servizio: può essere che per settimana prossima, per varie ragioni, non riesca ad aggiornare, in caso ci sarà una pausa di 15 giorni e ci rivedremo tra due mercoledì. Un po' come le serie tv americane che a volte fanno pausa. XD

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Capitolo 10
*** Sonetto X ***


31 Dicembre, anno 2730 dal Trionfo della Dea

 

Hikaru si strinse nella pelliccia per scacciare un brivido di freddo, attento a non far cadere la torcia che reggeva in mano. Era l'ultima notte dell'anno e, come tradizione voleva, dopo cena erano tutti partiti, a parte i Sacerdoti più anziani, per raggiungere la vetta centrale della Corona di Machiko, da dove avrebbero ammirato levarsi l'alba del nuovo anno ed avrebbero reso grazie alla Dea. Per riuscire a giungere in tempo alla meta, dovevano camminare tutta la notte, a tappe forzate con piccole pause per rifocillarsi. Il primo dicembre che aveva trascorso all'Hokkaido, quando il Sacerdote Harada gli aveva spiegato come si sarebbe svolto il rito di inizio anno, aveva pensato, con l'appoggio di Masanori, che i Sacerdoti fossero pazzi. Kazumasa invece aveva preso la questione molto più tranquillamente, del resto era cresciuto tra quei monti.

Avevano dovuto ricredersi: anche se lunga e stancante, la salita era meno impegnativa e pericolosa di quanto si erano aspettati, il sentiero era chiaro e ben definito. Avevano scoperto in seguito che una squadra di allievi dell'ultimo anno era salita un paio di giorni prima, armata di pale e vanghe, a sistemare la pista e a segnalare i punti più appropriati per il bivacco. Inoltre, per quell'uscita notturna, i Sacerdoti gli concedevano di indossare le calde pellicce di orso, azione solitamente vietata all'interno delle mura della città-scuola.

Hikaru, Kazumasa e Masanori erano nel gruppo del Sacerdote Fujita, con somma gioia di Oda che non perdeva occasione per fare il verso dietro le spalle al burbero uomo.

“Kazumasa, vuoi smetterla di fare lo scemo?” Lo rimbeccò Kato, stanco dell'ennesima perdita di tempo.

“Ragazzi! Non vorrete litigare anche quassù!”

La voce di Hikaru, come di consueto, li riportò alla calma un istante prima che il Sacerdote Fujita si voltasse verso di loro e li sorprendesse a battibeccare, fornendogli l'occasione di recitare una delle interminabili ramanzine che tanto amava rivolgere ai giovani allievi.

Proseguirono la salita in silenzio ancora per qualche istante, mentre nuvolette di vapore si formavano davanti ai loro visi ad ogni respiro.

“Kazumasa – chiamò Hikaru – tra poco mi servirà un bastone nuovo, ho quasi esaurito la torcia.”

Oda fece per annuire e prendere da sotto la pelliccia la sacca con la legna per loro tre, a lui affidata, ma restò bloccato a metà.

“Ehm, credo di aver lasciato la sacca all'ultimo bivacco.” Esalò, contrito.

Masanori si sbatté la mano libera sulla fronte, disperato.

“Kazumasa, si può sapere dove hai la testa? Non ti si può affidare nulla!”

“Potremmo sempre chiedere a Koji di dividere i suoi rami con noi.” Tentò di trovare una soluzione per farsi perdonare il grave errore.

Hikaru si avvicinò, facendo cenno a Masanori di fare altrettanto.

“Non possiamo, lo sai che i rami sono contanti per essere sufficienti a due o tre persone. Dietro di noi non c'è nessun gruppo che potrebbe recuperare la sacca, dobbiamo tornare al bivacco.”

“Senza che Fujita se ne accorga.” Sussurrò Kato, lanciando uno sguardo furtivo alla testa del gruppetto.

Kazumasa sbuffò:

“Se ci dovessimo perdere, lui sarebbe solo contento.”

I tre si fermarono e lasciarono sfilare i pochi confratelli che erano dietro di loro, attendendo pazientemente che tutti fossero spariti dietro una grande roccia. La voce stonata del Sacerdote Fujita iniziò a cantare una delle lente preghiere che normalmente accompagnavano la salita dei vari gruppi. Avevano funzione di meditazione, ma si diceva servissero anche a tenere lontani gli animali del bosco: raramente i Sacerdoti ne incontravano durante il rito.

“Veloci ora!”

Spronò Matsuyama, consapevole che quel ritardo avrebbe potuto provocare ugualmente problemi: avevano superato il bivacco da un pezzo e non era certo che la sua torcia durasse fino a raggiungerlo. Quella di Masanori era meno consumata, forse sarebbero riusciti a farcela con quella. Il cielo era senza nuvole, stelle e luna erano luminose, ma non a sufficienza da garantire la discesa sicura sul sentiero se fossero rimasti senza le fiaccole.

Si incamminarono, seguendo cautamente e a ritroso la pista appena percorsa.

Dopo qualche minuto di silenzio, da dietro Kazumasa esclamò:

“Voi due dovreste ringraziarmi per questo fuori programma! Ci siamo risparmiati i canti del Sacerdote Fujita.”

Hikaru non si trattenne e si lasciò andare ad una piccola risata.

“Riesci sempre a girare a tuo vantaggio ogni imprevisto.”

Kazumasa stava annuendo baldanzoso, ignorando lo sbuffo di Masanori appena davanti a lui.

Fecero ancora qualche metro tranquillamente, solo Hikaru lanciava qualche occhiata preoccupata alla propria fiaccola, pregando che non si esaurisse prima di raggiungere il bivacco.

Oda aveva deciso di raccontare un aneddoto di quando abitava al villaggio ed era talmente concentrato sulla sua narrazione da non prestare caso a dove stesse mettendo i piedi. Inciampò e cadde rovinosamente, iniziando a scivolare sulla pendenza ghiacciata, travolgendo Masanori prima che entrambi potessero rendersi conto di quello che stava accadendo.

“Cosa???”

Riuscì solo a dire Kato, mentre veniva trascinato a terra e poi giù per il pendio.

La torcia gli volò dalle mani e con una graziosa piroetta cadde lontano dal sentiero, in mezzo alla neve, dove si spense.

“Attento, Hikaru!”

In qualche modo, Kazumasa riuscì a mettere in allarme Matsuyama, che aveva guadagnato qualche passo di distacco in testa al loro gruppetto.

Hikaru si voltò e con la coda dell'occhio vide qualcosa dirigersi a tutta velocità contro di sé.

Non riuscì ad evitarlo e si fece a sua volta travolgere, riuscendo però a tenere la fiaccole sollevata sopra la testa.

In tre acquisirono maggiore velocità verso il fondo della valle.

La folle discesa si interruppe parecchi metri più avanti, contro un albero. L'impatto dei tre corpi contro il rigido tronco provocò la caduta di parecchia neve.

Ancora una volta, Hikaru riuscì inspiegabilmente a salvare la fiamma, nonostante la sua testa fosse stata coperta da una coltre bianca.

“Per amor della Dea! - imprecò Masanori dal groviglio di arti non meglio identificati che si ritrovava davanti al volto – Stai forse cercando di ammazzarci tutti, Kazumasa?”

Il ragazzo di montagna non rispose, impegnato a sputare tutta le neve che gli era entrata in bocca durante l'ultimo tratto della caduta. I suoi rantoli erano l'unico rumore percepibile nella calma notturna.

Lentamente Hikaru si risollevò, cercando di liberare il mantello dalla neve ed i compagni dal proprio peso.

“Ragazzi, siete ancora tutti interi?” Domandò toccandosi con la mano sinistra la schiena indolenzita.

“Credo di sì.” Rispose Masanori cercando di massaggiarsi un braccio.

“Insomma – boccheggiò Kazumasa – se Lord Kato cough non si toglie cough. Sto soffocando!”

“Te lo meriteresti!”

Masanori non era intenzionato a far passare liscia l'ennesima bravata al compagno di stanza, tuttavia si sollevò per permettergli di riprendere a respirare normalmente.

Oda si girò a pancia in su ed inspirò a pieni polmoni l'aria fredda della notte invernale.

“Dobbiamo muoverci! - Esclamò Matsuyama – Sono quasi senza legna!”

“Hai visto che hai combinato, piccolo incosciente!” Kato rincarò la dose dei suoi rimproveri, mentre aiutava Kazumasa a rialzarsi ed a riprendere il cammino.

“State tutti vicini a me, non vorrete perdervi col buio.”

I tre procedettero uniti ed il più rapidamente possibile.

La fiaccola stava per esaurirsi, Hikaru sentiva il calore del fuoco farsi pericolosamente vicino alla mano che la reggeva, quando videro i resti del bivacco.

“La sacca delle fiaccole!” Esclamò Kazumasa, recuperando un poco della sua vitalità ed abbandonando il sentiero per precipitarsi a raccoglierla.

“Appena in tempo.” Sospirò Matsuyama, accorrendo a sua volta per recuperare un nuovo bastone da accendere prima che la fiamma del proprio si estinguesse.

Una volta compiuta l'operazione si lasciò cadere nelle neve, sollevato: il pensiero di dover affrontare parte della discesa al buio l'aveva stremato, la piccola valanga umana causata da Kazumasa era la dimostrazione di quanto quel terreno potesse diventare pericoloso se lo si affrontava alla leggera.

Masanori li raggiunse, strappando con veemenza la sacca di mano al compagno.

“Questa è meglio che la tenga io.” Annunciò in tono che non ammetteva repliche, prima di procedere ad accendere a sua volta una nuova fiaccola.

Riposarono solo qualche istante, poi ripresero la salita, dovevano recuperare il distacco che avevano dal gruppo del Sacerdote Fujita, se non volevano iniziare l'anno con una ramanzina e rischiare di perdersi l'alba.

La salita fu stranamente silenziosa: Kazumasa non osava aprire bocca dopo i disastri appena combinati, per non irritare ulteriormente Masanori. Hikaru tentò di intonare flebilmente uno dei soliti canti, ma dopo qualche nota la sua voce si disperse nel vento.

Giunsero alla vetta giusto in tempo per vedere la luce iniziare ad apparire ad est.

“Voi tre, si può sapere dove eravate finiti?” Tuonò il Sacerdote Fujita non appena si accorse del loro arrivo, facendo voltare nella loro direzione tutti gli allievi. Anche gli altri Sacerdoti gli lanciarono sguardi di disapprovazione.

Kazumasa, bagnato fradicio, poiché nella scivolata parecchia neve gli si era infilata sotto il mantello, abbassò la testa.

“È colpa mia, ho dimenticato al bivacco la sacca del legname ed ho costretto loro tre a tornare indietro a recuperarla.”

Il sole, lentamente, si stava levando ed il mondo intorno a loro si colorava di rosa.

Come ogni anno, lo spettacolo riempì il cuore di Hikaru di calore. La potenza della Dea si manifestava in tutto il suo splendore con maggior effetto del solito: mano a mano che il sole si alzava, Matsuyama si sentiva invadere da una serenità e da una pace che non provava da moltissimo da tempo, dal giorno terribile in cui erano morti i suoi genitori.

Una preghiera silenziosa si levò dalla sua anima.

“Divina Machiko, perdonami se ho dubitato di te. Ora so che tu mi sei sempre accanto, anche nei momenti più difficili. Se hai richiamato a te mamma e papà avrai avuto le tue buone ragioni. Perdona questo tuo devoto se a volte non comprende i tuoi disegni.”

Il sole spuntò del tutto da dietro le vette, illuminando completamente la Corona di Machiko.

Sacerdoti ed allievi intonarono un inno di lode alla Dea affinché benedicesse con il suo amore l'anno che era appena iniziato.




________________________________
Dopo la pausa annunciata di settimana scorsa, ecco qui un fuori programma! Questo Sonetto inizialmente non era previsto nei piani e se ve lo trovate davanti la "colpa" è in buona parte di Melanto. ;)
Ciò detto, devo ammettere che un Sonetto più leggero, in cui vediamo anche un Hikaru più tranquillo che ha iniziato a farsi una ragione di quanto avvenuto in precedenza, è un'utile intermezzo prima del prossimo.
Quando ci sono di mezzo gli apprendisti Sacerdoti dell'Hokkaido, anche un momento solenne può diventare qualcosa di insapettato. E per fortuna che Kazumasa, tra i tre, è quello che dovrebbe conoscere bene le montagne! XD

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Capitolo 11
*** Sonetto XI ***


 

Novembre, Anno 2731 dal Trionfo della Dea

 

Erano settimane che Lady Kyoko Fujisawa era costretta a letto. Inizialmente si era trattato di febbre e la Lady non aveva ritenuto il caso di far chiamare un Priore, poiché aveva in casa i semplici rimedi normalmente utilizzati e che le avrebbero prescritto anche gli uomini di scienza. Dopo quattro giorni, la situazione non era cambiata ed andava peggiorando, perciò Lord Fujisawa aveva fatto convocare il Priore, contro il parere della moglie. La diagnosi era stata pesante, bisognava intervenire immediatamente con dei decotti molto potenti se volevano che la Lady superasse la malattia. Il Priore Katagiri si recava alla dimora dei Fujisawa almeno due volte al giorno, per sincerarsi sulle condizioni di Kyoko e Keitaro aveva ottenuto dal Principe di poter allontanarsi dalla Fortezza per restare vicino alla consorte.

Il peggio era passato e Lady Fujisawa aveva cominciato a riprendersi ed a riacquistare le forze giorno per giorno, sperando di potersi presto alzare.

Aiutata da una cameriera, un giorno aveva tentato di uscire dal letto ed era riuscita a camminare fino alla sedia collocata lì vicino. Yoshiko le aveva posto una coperta sulle gambe e si era seduta ai suoi piedi leggendole una delle sue fiabe preferite. La voce della sua bambina era per lei una delle migliori medicine, le dava energie e la piccola era un tesoro nel cercare di prendersi cura di lei come poteva. In quello era molto simile al cugino: entrambi erano volenterosi e non si tiravano indietro quando dovevano aiutare.

Il giorno seguente aveva fatto ancora qualche passo, sentendo le forze tornare.

Ma il giorno successivo ancora, non era riuscita neppure a reggersi in piedi: la cameriera alla sua sinistra e Yoshiko alla sua destra la stavano aiutando per fare il suo consueto percorso, la vista iniziò ad annebbiarlesi e sentì mancarsi l’aria al punto che dovette risedersi sul bordo del letto per evitare di afflosciarsi sul pavimento. Sentì la stretta salda della cameriera che l’afferrava e la indirizzava sul giusto appoggio, mentre la piccola si portava le mani alla bocca, spaventata dal vedere la sua mamma così fragile.

Da quel momento, Lady Fujisawa non si era più alzata dal letto. Appoggiata ai cuscini che le sostenevano la schiena riusciva a leggere e a dedicarsi ai suoi lavori di ricamo, ma nulla di più.

Erano passate tre settimane da allora e la situazione non era mutata.

Lord Fujisawa non riusciva più a nascondere i suoi timori, la salute della moglie era sempre stata delicata, ma non era mai stata debilitata a quella maniera. Yoshiko, di giorno, non lasciava la stanza della mamma e compiva i suoi studi o le faceva compagnia, seduta accanto al suo letto e la sera bisognava sempre convincerla ad andare nella sua camera.

Anche quel giorno stava disegnando, seduta sul grande tappeto blu alla sinistra del letto: il Priore le aveva chiesto di realizzare alcuni disegni geometrici copiandoli da un libro che le aveva fornito.

“Oh, no!” Le scappò un gemito di disapprovazione, poiché il risultato non corrispondeva alle sue aspettative.

“Che cosa succede, tesoro mio?”

La voce di Kyoko era fioca e stanca.

“Niente di grave! - rispose la ragazzina,dispiaciuta – Non volevo svegliarti!”

Lady Fujisawa scosse il capo.

“Non preoccuparti, non stavo dormendo. Tra poco dovrebbe arrivare il Priore Katagiri.”

Come se l'ultima affermazione della donna fosse stata profetica, venne bussato alla porta della stanza.

“Avanti.” Invitò Yoshiko, alzandosi e preparandosi ad accogliere l'ospite.

Lord Fujisawa apparve sulla soglia, seguito dal Priore Katagiri, col suo consueto abito verde e l'immancabile monocolo.

“Buona giornata, Lady Fujisawa. Come vi sentite oggi?”

“Meglio, grazie.”

Il Priore depositò la sua sacca accanto al letto ed iniziò ad estrarre gli strumenti necessari a condurre la sua visita.

“Yoshiko, vieni. Lasciamo che il Priore si occupi da solo della mamma.”

La ragazzina obbedì al genitore e fece un inchino prima di lasciare la camera e seguire Lord Fujisawa.

“Che ne dici di scendere in cucina? Credo che la cuoca abbia appena fatto una torta di mele.”

A Yoshiko brillarono gli occhi, la torta di mele era la sua preferita ed era tantissimo tempo che non ne mangiava una piccola fetta.

“Dici sul serio, papà?”

Il Lord sorrise all'entusiasmo della sua piccola, aveva sperato che la scusa del dolce la distraesse, almeno temporaneamente, dalle preoccupazioni per la madre. Temeva che anche Yoshiko rischiasse di ammalarsi se non si fosse riposata.

“Certo! Vai a controllare.”

Yoshiko raggiunse la cucina saltellando e trovò il dolce appena sfornato al centro della grande tavolata dove mangiavano tutti coloro che si occupavano della residenza della famiglia Fujisawa. L'aroma delle mele cotte si diffondeva per tutto l'ambiente e rendeva complicato resistere alla tentazione di compiere un assaggio.

“Buona giornata!” Si annunciò.

“Buona giornata a voi, piccola Lady. - Rispose la cuoca, una donna energica – Siete venuta per la torta, immagino.”

Yoshiko annuì, mentre le guance le si imporporavano di piacere, come ogni volta che la cuoca le rivolgeva quell'appellativo particolare: le piaceva sentirsi considerata importante. Si accomodò sulla panca ed attese che un piattino di ceramica decorato a fiori le venisse posato davanti, insieme ad una fetta del dolce. Accompagnava il tutto la sua forchettina d'argento a tre rebbi.

Portò un boccone alla bocca e lo assaporò lentamente, chiudendo gli occhi.

“È deliziosa. La Dea deve avervi ispirato mentre cucinavate.”

La cuoca si ripulì le mani nel grembiule, ridacchiando per il candore e la sincerità della ragazzina.

“Siete troppo gentile, piccola Lady. Ora mangiate in fretta!”

Yoshiko non se lo fece ripetere e in poco tempo terminò la sua porzione, trattenendosi in seguito qualche istante a girovagare per la cucina. I suoi occhi curiosi si posavano sopra ogni oggetto ed ogni attrezzo. Le piacevano particolarmente le lucide ciotole per dolci fatte rame, che erano appese in mostra ad una delle pareti: ve ne erano di tutte le dimensioni, dalle più piccole per poche porzioni, alle più grandi, utilizzate quando si avevano parecchi ospiti a pranzo e li si voleva stupire.

Dopo quello che ritenne un tempo sufficiente affinché il Priore Katagiri terminasse la sua visita, domandò:

“Posso portare una fetta di torta alla mamma? Sono sicura che ne sarà felice.”

“Ma certo, piccola Lady.”

La cuoca preparò un altro piatto ed aggiunse una piccola spolverata di cannella, sapeva che la sua signora ne era ghiotta.

“Mi raccomando, piccola Lady, non fatelo cadere.” Si assicurò, consegnandole tra le mani il dolce.

“Grazi mille, Midori!”

La ragazzina si voltò e lentamente cominciò a salire le scale, cercando di non inciampare nella gonna che le raggiungeva le caviglie: la mamma aveva insistito perché cominciasse ad indossare abiti più lunghi, stava diventando grande e non poteva sempre portare la gonna appena sotto al ginocchio.

Stava facendo particolarmente attenzione a non rovesciare il suo carico, quando delle voci sommesse la raggiunsero da dietro una porta rimasta socchiusa. Si fermò, trattenendo il fiato e riconoscendo la voce angosciata di Lord Fujisawa.

“Ne siete certo?”

“Purtroppo sì. - rispose dispiaciuto il Priore Katagiri – Vostra moglie si indebolisce sempre più, ormai è questione di pochi giorni, al massimo di una settimana, e sarà accolta dalla Dea.”

Yoshiko si mise a correre verso la stanza della mamma, mentre calde lacrime iniziavano a scenderle dalle guance. Spalancò la porta e si fermò al centro della stanza.

Lady Fujisawa era stancamente appoggiata ai cuscini, con il volto pallido, nelle sue guance sembrava non esserci più colore.

“Cosa succede, tesoro mio?”

“Mamma! Io non voglio che tu vada dalla Dea!”

Kyoko allungò le braccia in direzione della figlia.

“Vieni qui da me.”

Yoshiko lasciò cadere il piatto e si lanciò sul petto della madre, piangendo a dirotto. La donna la strinse a sé più forte che poté.

“Ho sentito il Priore Katagiri parlare. Mamma, ti voglio troppo bene. Non andartene!”

“Anch'io ti voglio tanto bene tesoro. Sei stata la cosa più bella della mia vita, ma se la Dea ha deciso di richiamarmi a sé, io devo obbedirle.”

Lady Fujisawa parlava con calma: anche senza che il Priore le comunicasse nulla, aveva capito già da qualche tempo che il suo destino sarebbe stato quello di lasciare la sua famiglia e la vita mortale. Sentiva le forze abbandonarla ogni giorno e sapeva che non sarebbero tornate, tuttavia cercava di non essere un'ammalata noiosa, non lamentandosi della sua condizione e affrontando con serenità ciò che l'attendeva. Non voleva che la sua piccola Yoshiko avesse come suo ultimo ricordo quello di una madre sconsolata.

Lentamente e delicatamente le accarezzava il capo, come aveva fatto tante volte nel corso degli anni.

“Piccola mia, dovrai essere una brava bambina e dovrai aiutare il tuo papà. Me lo prometti?”

“Sì, mamma. - rispose la ragazzina tra i singhiozzi – Resta ancora con noi!”

“Io resterò fisicamente fin quando la Dea vorrà, ma col mio pensiero ed il mio amore sarò sempre con te, non dimenticarlo mai.”

Restarono ancora per un po' abbracciate ed in quella posizione le trovò Lord Fujisawa quando le raggiunse dopo aver congedato il Priore. Gli bastò una sola occhiata per capire che entrambe sapevano e che non avrebbe avuto senso mentire più a lungo sulle reali condizioni di Kyoko.

Si avvicinò ed avvolse in un abbraccio le sue donne.

“Yoshiko – disse Lady Fujisawa dopo qualche istante – perché non vai a riportare quel piatto nelle cucine? Io devo parlare un attimo con tuo padre.”

La ragazzina alzò lo sguardo e fissò gli occhi della madre. Annuì e lentamente si alzò a raccogliere ciò che aveva fatto cadere.

Quando fu sicura che fossero soli, Kyoko esordì:

“Keitaro, devi farmi una promessa!”

L'uomo si sedette accanto alla moglie, spostandole dal viso i lunghi capelli mossi che da troppi giorni erano stati lasciati sciolti.

“Tutto quello che desideri.”

“Promettimi che quando Yoshiko sarà più grande le racconterai la sua vera storia. Promettimi che le dirai di come ci sia stata donata dalla Dea e di come abbiamo scelto di amarla.”

“Sei sicura?”

Kyoko annuì:

“È da un po' che ci penso e credo sia giusto che lei sappia. Promettimelo Keitaro!”

Lord Fujisawa abbassò lo sguardo: fosse dipeso da lui non sarebbe stato necessario rivelare quella verità, Yoshiko era sua figlia, qualunque cosa avessero potuto pensare gli altri, ma d'altra parte non si sentiva di negare alla moglie l'ultimo desiderio.

“D'accordo, però non prima che abbia compiuto vent'anni, voglio che trascorra ciò che le rimane della giovinezza spensierata come è sempre stata.”

Lady Fujisawa afferrò le mani del marito tra le proprie, per ringraziarlo, chiudendo gli occhi ed adagiandosi meglio sui cuscini. Era così stanca.

“Kyoko, le tue mani sono gelate! Copriti.”

Keitaro le rimboccò le coperte per farla stare al caldo.

“Faccio venire qualcuno per mettere più legna sul fuoco.”

“Va bene così – la voce di Kyoko era un sussurro appena percepibile – è la Dea che mi chiama a sé.”

“Come ha fatto Yoshiko a sapere?” Il dubbio lo stava rodendo dal momento in cui aveva trovato la figlia in lacrime.

“Ti ha sentito parlare col Priore, non fargliene una colpa.”

“Avrei solo voluto proteggervi fino alla fine.”

“Se vuoi proteggere qualcuno, non dire nulla ad Hikaru finché non sarà tutto concluso. Non dargli anche questo fardello.”

Lord Fujisawa annuì. Non aveva detto nulla al nipote della condizione di Kyoko fino a quel momento e mandargli un messaggio ora non sarebbe servito a nulla: anche ammesso che lo avessero lasciato partire dall'Hokkaido, non sarebbe mai arrivato in tempo per salutare la zia morente.

“Ora riposa.”

Depositò un bacio sulla fronte della moglie e si sedette sulla poltrona accanto al loro letto.

 

Dopo la chiacchierata col marito, la situazione si aggravò velocemente: Lady Fujisawa non accettava più cibo solido, riusciva a mangiare solo brodi caldi e minestre, ed anche stare leggermente sollevata le risultava faticoso.

Gli ultimi giorni furono ancora più difficili. Si riusciva soltanto a bagnarle le labbra con qualche cucchiaio d'acqua, mentre il respiro si faceva sempre più difficoltoso. Yoshiko e Lord Fujisawa non lasciavano più la stanza, addormentandosi spesso rannicchiati sulle poltrone.

Il Principe era passato ad assicurare al suo collaboratore che alla Fortezza se la cavavano senza di lui e che l'avrebbero atteso per tutto il tempo che fosse stato necessario. Aveva trovato Lady Fujisawa in uno dei rari momenti in cui era presente ed aveva potuto darle il suo addio personalmente.

Una mattina Kyoko Fujisawa emise un paio di rantoli e poi il suo petto cessò di muoversi.

Si era ricongiunta con la Dea nella città celeste.

Keitaro e Yoshiko si strinsero tra loro in un abbraccio bagnato dalle lacrime di entrambi.




___________________
ç________ç
Questa è un'altra di quelle tappe difficili, ma obbligate in questo viaggio.
A differenza di quanto accaduto per i genitori di Hikaru, con la mamma di Yoshiko l'epilogo della storia era tristemente annunciato e prevedibile. Per il suo personaggio ed in particolare per la gestione della sua malattia e dei suoi sentimenti riguardo ad essa, ho trovato ispirazione nel personaggio di Beth in Piccole donne, uno dei libri che in gioventù ho letto e riletto fin quasi a saperlo a memoria. Penso fosse doveroso citare questa ispirazione, poiché mentre scrivevo sono proprio andata a rileggere alcuni capitoli.

 

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Capitolo 12
*** Sonetto XII ***


Fine Agosto, Anno 2732 dal Trionfo della Dea

 

Finalmente il giorno che tutti aspettavano e, allo stesso tempo, temevano era arrivato: gli allievi Sacerdoti, dopo quattro anni di studi, avrebbero affrontato la prova finale, in cui la Dea avrebbe stabilito se erano pronti a dedicare la loro vita al suo servizio.

Il campanaccio del Sacerdote Fujita suonò imperterrito attraverso i corridoi, a dare la sveglia a tutti gli abitanti dell'Hokkaido.

Hikaru, Masanori e Kazumasa stavano sonnecchiando nella loro stanza, dopo aver trascorso buona parte della nottata a ripassare sui testi sacri e ad interrogarsi a vicenda. Una candela ardeva sulla mensola, dimenticata accesa quando i tre erano crollati per la stanchezza.

“Siamo in ritardo?” Urlò Oda, alzandosi di scatto.

“Kazumasa, stai tranquillo. - lo ammonì Masanori, ancora mezzo assonnato – È solo il Sacerdote Fujita che da la sveglia.”

Matsuyama si stiracchiò e si guardò attorno con una punta di nostalgia, dato che quel luogo era diventato per lui una seconda casa, soprattutto dopo la morte dei suoi genitori. Portava sempre nel cuore il loro ricordo e se l'assurdità della loro scomparsa aveva fatto vacillare per qualche settimana la sua fede, alla fine ne era riemersa più forte e salda.

“Ci pensate che se andrà tutto bene, queste saranno le ultime giornate che passiamo qui?”

Gli esami si tenevano sempre a fine agosto, nel periodo più propizio per i viaggi in quella difficile regione, di modo che i nuovi Sacerdoti potessero al più presto mettersi in viaggio verso le loro destinazioni. Chi avrebbe dovuto attraversare i confini a nord del Principato, avrebbe trovato i valichi di montagna percorribili.

“Già.”

Commentò laconicamente Kato, poiché anche per lui la città-scuola era stata un faro di speranza e salvezza. Temeva ancora che il padre potesse fare qualche pazzia se fosse stato destinato vicino ai territori dove viveva la sua famiglia. Due anni prima, quando l'Arcidruido era stato in viaggio al sud, aveva fatto una scenata contro l'ordine sacerdotale sulla piazza della loro città, scagliando parole al veleno e accusando l'Arcidruido in persona di aver messo suo figlio contro di lui.

“La tua brutta faccia non mi mancherà di certo, Masanori!” Lo pungolò col suo fare irriverente Kazumasa, ricevendo in risposta una linguaccia.

“Divina Machiko, almeno oggi puoi fare in modo che Kazumasa stia tranquillo?” Domandò con fare plateale Hikaru, le braccia larghe levate al cielo.

I due compagni di stanza scoppiarono a ridere allo stesso momento, sciogliendo in parte la tensione del momento.

“Hikaru si è già calato nella parte!”

I tre ragazzi si diedero velocemente una sistemata e scesero per la preghiera del mattino e la colazione.

Chi doveva affrontare gli esami era dispensato dallo svolgimento degli altri doveri.

Quando il sole spuntò del tutto da dietro la Corona di Machiko, gli allievi furono portati nella biblioteca, dove avrebbero svolto la prima parte della loro prova, la più semplice. Le tavolate a più posti dove solitamente studiavano o assistevano alle lezioni erano state sostituite da piccoli banchi, dove un solo studente poteva sedersi. Una volta accomodati, gli Attendenti distribuirono a ciascuno fogli di pergamena zeppi di consegne e domande: dovevano dare prova di conoscere la dottrina, le preghiere, le leggende, la storia, le tradizioni e le leggi principali di Yomiuri Land e dei Regni limitrofi. Avevano fino a mezzogiorno per completare le loro risposte.

Hikaru lesse la prima domanda e non la trovò complicata. Intinse la piuma nel calamaio ed iniziò a scrivere nella sua grafia elegante. Il secondo foglio di pergamena gli risultò più complicato, poiché era tutto dedicato ai trattati di pace e di alleanza tra i Regni a ovest del Principato. Invece i racconti sull'origine del mondo li aveva sentiti raccontare un sacco di volte dal Sacerdote Sasaki, alla Cittadella. Pensò per qualche istante al suo primo maestro ed a come sarebbe stato orgoglioso di lui, vedendolo terminare il percorso di studi verso cui aveva contribuito ad indirizzarlo.

Alle sue spalle sentì la voce di Kazumasa sussurrare:

“Hikaru, da quale rito deve essere preceduto un matrimonio?”

Un sorrisetto involontario gli comparve sul viso, poi, discretamente, diede un occhiata agli Attendenti che sorvegliavano la prova: era impossibile passare qualcosa all'amico senza venire visti. Tentò di rispondere in un soffio, sperando che Oda riuscisse a capire.

“Dall'unzione sulla fronte.”

Qualche tavolo più avanti, Masanori scriveva spedito e senza dubbi.

 

 

 

La seconda prova, che sarebbe stata determinante, si svolse la sera, in una strana stanza nei pressi del Tempio, con grandi finestre, mentre la parete opposta era costituita dalla roccia dei monti settentrionali. All'esterno, nel giardino tutti gli allievi restavano in attesa del proprio turno: uno alla volta venivano ammessi alla presenza degli esaminatori. Chi non aveva ottenuto un risultato soddisfacente nel compito del mattino, era escluso a priori.

“Hikaru Matsuyama.” Chiamò il Sacerdote Fujita.

Hikaru scambiò un cenno del capo con Kazumasa e si avviò dietro il Sacerdote.

Nella stanza trovò, oltre agli Attendenti, tutti i Sacerdote e l'Arcidruido, che presiedeva il momento culminante della vita della città-scuola. Al centro ardeva un fuoco, acceso a partire dal braciere che custodiva la fiamma sacra.

“Vieni avanti, Hikaru. - Lo chiamò l'Arcidruido – Sei pronto per la tua prova di fede.”

“Sì, Arcidruido.” Rispose, senza alcuna esitazione. Sapeva cosa gli sarebbe stato richiesto di fare, erano stati preparati al momento, ma c'era sempre qualcuno che si lasciava prendere dalla paura. Del resto, gli era richiesto di compiere un vero e proprio atto di fede, di abbandonarsi nelle braccia della Dea a dispetto di ciò che razionalità ed istinto di sopravvivenza suggerivano.

“Allora procediamo.”

Matsuyama si raccolse in preghiera.

“Divina Machiko, sono tuo, fa di me quello che ritieni giusto.”

Tirò indietro la manica destra della tunica e si avvicinò al falò. Distese il braccio fino a che la mano fu sopra le fiamme e venne lambita da queste. Sentì il calore sul palmo pieno di calli.

Abbassò la mano ed entrò tra le fiamme. Il caldo lo avvolse come un guanto, passando da piacevole a quasi insopportabile. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.

“Dea, guidami.”

La sensazione di bruciore si affievolì.

Calò ulteriormente la mano, arrivò a toccare le braci sul fondo del falò. Le avrebbe strette tra le dita se una voce non l'avesse fermato.

“Può bastare.” Disse l'Arcidruido.

Hikaru ritirò la mano dal fuoco e la trovò integra, senza segni di ferite o bruciature.

Uno degli Attendenti si avvicinò per esaminarla e confermare a tutta l'assemblea che lo studente Matsuyama aveva superato la prova. Il Sacerdote Harada, che lo aveva accolto il giorno del suo arrivo, gli venne incontro sorridendo con una bacinella d'acqua.

“Sciacquati, altrimenti domani avrai bruciore.”

Lo studente annuì ed in seguito venne guidato verso una seconda uscita, che conduceva al Tempio in modo da non incontrare chi doveva ancora cimentarsi con la seconda parte dell'esame: era importante che i futuri Sacerdoti non venissero influenzati da quello che era successo a chi li aveva preceduti.

Terminato l'esame per tutti, ci fu la cerimonia dell'investitura e della vestizione: l'Arcidruido entrò nel Tempio, seguito dagli altri Sacerdoti che portavano con sé nuove vesti sacerdotali, da sostituire a quelle da allievo. Ognuno dei ragazzi si dispose di fronte ad un religioso diverso, ai piedi dell'altare. Hikaru venne assegnato al Sacerdote Harada e trovò Masanori alla sua destra, mentre Kazumasa era in disparte, tra coloro che avevano fallito la prova.

“Pronunciate la formula rituale!” Fu l'invito dell'Arcidruido.

I giovani risposero in coro:

“Da questo momento io sarò il testimone della divina Machiko sulla terra, il suo servo devoto. Diffondere i suoi insegnamenti e portare l'amore in ogni luogo dove Ella mi manderà sarà la mia prima preoccupazione. Sempre sarò fedele alla mia Dea e mai l'abbandonerò o rinnegherò i suoi insegnamenti. Che la volontà di Machiko si compia attraverso di me.”

Matsuyama si ritrovò quasi senza fiato ed al colmo dell'emozione: il suo desiderio stava per realizzarsi. Senza farsi sentire da nessuno ringraziò la Dea per averlo chiamato quel giorno di quattro anni prima nel Tempio della Cittadella.

“Hikaru Matsuyama – disse il Sacerdote Harada – togli questa veste blu.”

Allentata la cintura, il ragazzo sfilò la tunica dalla testa, rimanendo coperto solamente dalla sotto-tunica.

“Da questo momento hai diritto ad indossare la veste arancione dei servi della Divina Machiko.”

Con un gesto fluido, il maestro rivestì Hikaru, aiutandolo con le ampie maniche.

“Benvenuto al servizio della Dea, Sacerdote Matsuyama.”

 

 

 

La mattina dopo, i neoSacerdoti furono convocati nell'Ufficio dell'Arcidruido, che avrebbe indicato ad ognuno la sua destinazione. Il capo dell'ordine sacerdotale riceveva costanti aggiornamenti dai vari Templi sulla situazione e sulle necessità di ogni zona, in modo da essere sempre informato su dove i suoi allievi sarebbero stati più utili.

Prima di essere ricevuto, Hikaru incrociò velocemente Kato, che usciva dallo studio.

“Allora, Masanori, dove andrai?”

“A nord, oltre confine. - Rispose, molto felice della destinazione: non aveva osato sperare di essere mandato fuori dal Principato, dove suo padre non avrebbe potuto esercitare la sua autorità dispotica – Piuttosto, dopo dovremo parlare con Kazumasa.”

Hikaru annuì.

“Già. Era così abbattuto ieri notte. Ora devo andare.”

“Buona fortuna.”

Con un ultimo cenno di ringraziamento, Matsuyama si avviò e bussò alla porta.

“Avanti.”

La voce dell'Arcidruido era secca e autoritaria.

Hikaru entrò e si inchinò rispettoso.

“Buona giornata Arcidruido.”

“Sacerdote Matsuyama, accomodati.”

L'anziano scorse rapidamente una serie di pergamene e documenti vari, dopodiché appoggiò il mento sulle mani.

“Lascia che ti dica una cosa, ragazzo: erano anni che non vedevo una prova di fede condotta a quella maniera. Non capita spesso che uno studente arrivi fino a toccare le braci. La tua fede è forte e la Dea ti ha scelto come suo protetto particolare.”

Hikaru cercò di schernirsi.

“Non ho fatto nulla di speciale, mi sono solo fidato della Divina Machiko durante la prova.”

L'Arcidruido annuì, compiaciuto per quella risposta.

“Quando Sasaki mi ha scritto, sono rimasto molto sorpreso, poiché in tanti anni non aveva mai inviato personalmente nessuno all'Hokkaido, ora so che aspettava l'allievo perfetto. Per te ho due scelte: oltre ad essere inviato dove c'è bisogno, dato il tuo grande potenziale, potresti restare e proseguire gli studi per diventare Druido. È un grande onore.”

Quasi nessuno intraprendeva l'anno supplementare subito dopo aver preso i voti, erano i Sacerdoti più esperti a seguire il percorso di salita nelle gerarchie.

“Credo – rispose esitando leggermente – che per il momento preferirei essere mandato a servire la Dea altrove, si può imparare molto anche a contatto con gli altri fedeli. Prima di cercare di diventare Druido, vorrei poter vedere se posso essere un buon Sacerdote.”

L'Arcidruido fece un cenno del capo.

“Oltre che dotato, sei un ragazzo assennato. Dunque, il Sacerdote Sasaki inizia ad essere anziano per occuparsi da solo di tutti i riti e le faccende, inoltre, sono del parere che al Tempio della Capitale del Regno non faccia male avere a disposizione un Sacerdote in più. Andrai alla Cittadella.”

Hikaru si sentì preda di emozioni contrastanti, poiché sarebbe stata la prima volta che tornava alla Cittadella dai funerali dei suoi genitori e, inoltre, sarebbe mancata pure la zia Kyoko, dall'altra parte il pensiero di rivedere lo zio e la cugina lo rendeva felice. Solo in quel momento si rese conto di quanto Yoshiko gli mancasse e la promessa di rivederla gli riscaldasse l'animo.

“Sia fatta la volontà della Dea.”

Accettò il suo incarico e si congedò, dirigendosi verso la camera dove sperava di trovare Masanori e Kazumasa.

 

 

 

La porta della voliera si spalancò di scatto, facendo sobbalzare l'allievo Oda seduto sul davanzale della finestra.

“Per la Dea, Kazumasa! Ti abbiamo cercato ovunque!” Esclamò Masanori, sciogliendo di colpo tutta la tensione che aveva accumulato. Dopo i loro colloqui con l'Arcidruido, sia lui che Hikaru, volevano parlare con il compagno di studi, ma non era nella loro stanza. L'avevano aspettato per qualche tempo, dopodiché avevano deciso di andare a cercarlo, col timore che potesse aver fatto qualcosa di insensato.

“Che c'è Lord Kato, sei venuto a gongolare per il mio fallimento? Del resto non fai altro che rimproverarmi le mie mancanze.” Rispose alterato Kazumasa. La delusione per il proprio fallimento era talmente cocente da fargli allontanare chiunque cercasse di avvicinarlo.

Ci pensò Hikaru, che seguiva Masanori, ad intervenire in tono severo:

“Smettila di dire assurdità, Kazumasa! Nessuno di noi può gioire di ciò che ti è successo, noi volevamo quanto te che tu superassi la prova.”

Oda si afflosciò contro i mattoni, sospirando.

“Ho deluso tutti, non me ne capacito.”

Masanori gli si avvicinò piano e gli appoggiò una mano sulla spalla, per confortarlo.

“Perché non ci racconti come è andata?”

“Ho messo la mano nella Fiamma Sacra. All'inizio sembrava andare tutto bene, poi ho cominciato a sentire caldo ed ho avuto paura. Mi sembrava di bruciare e di scatto ho tolto la mano dal fuoco. In effetti avevo delle piccole bruciature.”

Kazumasa strinse forte il pugno destro, ignorando il dolore che i segni del suo fallimento gli fecero provare a quel gesto.

“Non mi sono fidato abbastanza delle Dea.”

“Oppure la Dea ti voleva qui vicino a lei per un altro anno.” Tentò Kato.

“Non prendermi in giro.”

“Invece quella di Masanori potrebbe essere un'interpretazione plausibile – ribatté Hikaru – Probabilmente la Dea non ti ha ritenuto pronto a lasciare l'Hokkaido. Questo non vuol dire che non potrai diventare un Sacerdote come noi. L'anno prossimo potrai riprovare. Dovrai riprovare, o io e Masanori verremmo a condurti a forza al braciere.” Aggiunse vedendo lo sguardo poco convinto del compagno.

“Siete dei maledetti impiccioni! - Brontolò Kazumasa, incrociando le braccia al petto – Ma siete anche i migliori compagni di stanza che si possano desiderare. Come farò senza di voi?”

“Ce la farai, senza dubbio.” Lo rassicurò Masanori.

I tre ragazzi si strinsero in un abbraccio fraterno.

“Amici per sempre!”

Un aquilotto emise uno strillo acuto e planò sulla spalla di Matsuyama.

“Hey, Hikaru – esclamò Kazumasa – mi sa che ti sta chiedendo di scegliere lui prima di andartene!”

Hikaru grattò il rapace sotto al collo.

“Sei proprio adorabile! Se vuoi venire con me, bisognerà darti un nome. Che ne dici di Furano?”

L'aquilotto emise un verso di approvazione.





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Dopo le difficoltà del capitolo precedente, ecco un'occasione più serena, ma non meno impegnativa: i nostri studenti hanno affrontato l'esame finale, anche se non è andato come previsto proprio per tutti. Il capitolo da studenet si è chiuso per Hikaru ed è pronto per ritornare allla Cittadella, perché in fondo noi sapevamo già dove sarebbe stato mandato.
E se le Streghe Bianche affrontano la loro prova finale nell'acqua, come raccontato ne La Ballata, ai Sacerdoti tocca il fuoco: una Fiamma magica, in grado di capire se chi l'affronta ha abbastanza fede e quindi non provocare bruciature. Non sono i sacerdoti che hanno abilità magiche, fa tutto la Fiamma. ;)

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Capitolo 13
*** Sonetto XIII ***


Primi di Settembre, anno 2732 dal Trionfo della Dea

 

Alla Cittadella era giorno di mercato, le vie erano invase dai venditori e dai loro banchi colorati, pieni di merce proveniente dalle zone limitrofe rispetto alla Capitale: frutta, verdura, carne e pesce nella maggioranza dei casi. Una volta al mese, circa, si univano ai soliti venditori, anche coloro che provenivano da più lontano e portavano prodotti più rari e particolari.

Yoshiko spalancò gli occhi davanti ad una tavola su cui facevano bella mostra svariati gioielli provenienti dalle regioni marine, al confine est del Principato. Aveva visto un bracciale in madreperla rosata ed era attratta dall'irregolarità delle forme dei vari elementi. Lo sfiorò leggermente con le dita.

Il mercante era un uomo piuttosto scaltro ed aveva subito adocchiato l'interesse della giovane.

“Mia Lady, su di voi quel braccialetto farà un effetto delizioso.”

Yoshiko ritrasse di scatto la mano, arrossendo per essere stata colta in fallo.

“Scusatemi, io... non... volevo...” Balbettò.

Alle sue spalle le venne in soccorso Midori, la cuoca di casa Fujisawa, che non la perdeva di vista un istante.

“Piccola Lady, non dovete vergognarvi se avete visto qualcosa di vostro interesse.”

Fujisawa annuì.

“Quel braccialetto è molto bello, ma non possiamo comprarlo, non abbiamo il permesso di papà.”

Midori si avvicinò e scrutò ciò che la padroncina indicava, giudicandolo di ottima fattura. Sorrise al suo indirizzo.

“Non temete, vostro padre mi ha lasciato abbastanza denaro per le spese non preventivate.”

Lord Fujisawa e la defunta moglie avevano molta fiducia nell'oculatezza di Midori e, di conseguenza, le lasciavano sempre più denaro del necessario quando si recava al mercato per la famiglia, soprattutto se si faceva accompagnare da Yoshiko: aveva l'ordine espresso del Lord di soddisfare i desideri della figlia, se non si fossero mostrati irragionevoli.

“Piccola Lady, ogni volta che mi accompagnate non chiedete quasi mai nulla per voi, sono certa che il Lord vi concederà questo acquisto.”

Yoshiko seguitava a dubitare, forse un bracciale del genere era eccessivo per i suoi tredici anni non ancora compiuti.

“Non saprei.”

Midori parve leggerle sul volto il pensiero che la turbava ed aggiunse:

“Quel rosa delicato è molto appropriato ad una fanciulla come voi. Inoltre, tra poco sarà il vostro compleanno e sono sicura che vostro padre sarebbe felice di regalarvi qualcosa che desiderate veramente.”

Yoshiko si fece convincere e diede il permesso alla cuoca di portare avanti col mercante le trattative per l'acquisto del braccialetto, mentre un nodo le prendeva lo stomaco al pensiero che il prossimo sarebbe stato il suo primo compleanno senza la mamma. Di solito era lei che sceglieva i suoi regali.

In pochi minuti il bracciale venne adagiato nel cestino di vimini che portava con sé, avvolto in un lembo di stoffa per ripararlo dagli urti.

“Coraggio, ora. Dobbiamo andare dai pescatori di Okinawa, il Lord desidera il loro salmone per la cena di domani sera.”

Si diressero ad alcuni banchi più appartati ed all'ombra, poiché il pesce fresco, necessitando di particolari cure, era tenuto in disparte rispetto al resto del mercato. Midori fece passare tutti i venditori, alla ricerca del salmone migliore ed alla fine si fermò presso il banco della famiglia Akamine: quasi sempre il loro pesce era il migliore di tutto il mercato, anche se il più caro, ma la qualità valeva ogni moneta pagata.

Dopo aver messo due grossi salmoni nella cesta più grande della cuoca, le due donne si prepararono a rincasare ed a lasciare il colorato, quanto caotico, mercato.

“Piccola Lady, che ne dite di fermarci un poco al Tempio per una preghiera?”

“Certo, Midori.”

Yoshiko trovava che la calma del Tempio fosse molto rilassante dopo l'esperienza del mercato e spesso si fermava a pregare sulla via del ritorno.

Midori aveva già superato le colonne poste all'ingresso, quando la giovane Fujisawa fece cadere il proprio cestino insieme al prezioso braccialetto.

“Piccola Lady, cosa succede?” La cuoca tornò velocemente dalla sua signora e trovandola imbambolata a fissare un punto poco lontano seguì la direzione del suo sguardo.

Un giovane uomo in abito sacerdotale stava avanzando verso il Tempio e pareva anch'esso avere la sorpresa dipinta sul volto.

“Yoshiko! - Esclamò – Tra tutte le persone, non pensavo di trovare proprio te appena rientrato alla Cittadella!”

Midori stava per intervenire, per redarguire quel giovane che osava rivolgersi alla sua padroncina in tono tanto fraterno, senza rispettare la giusta forma nei confronti della figlia di un Lord.

“Hikaru, sei proprio tu?” Sussurrò Yoshiko così flebile da venire sentita soltanto dalla cuoca che le stava accanto. Fu allora che la donna di servizio riconobbe il nipote di Lord Fujisawa e si morse la lingua per trattenere le proprie parole.

Matsuyama continuò ad avanzare, con le vesti arancioni che fluttuavano.

Yoshiko osservava come se stesse guardando una visione, temeva di essere solo lei a vedere il cugino e che se avesse fatto qualcosa, qualsiasi cosa, la visione sarebbe scomparsa. Era uguale a come lo ricordava, con i capelli scuri e lo sguardo deciso di chi era determinato a raggiungere i propri obiettivi. Le sembrò solo di scorgere una leggera ombra in fondo agli occhi, così limpidi una volta.

Lo vedeva avvicinarsi con estrema lentezza, quasi che il tempo avesse rallentato per permetterle di cogliere ogni particolare.

Solo quando fu a pochi passi da lei si rese conto che l'immagine del cugino non era un prodotto della sua fantasia, ma aveva davanti una persona in carne ed ossa. Le lacrime iniziarono a scendere dagli occhi, incontenibili.

“Yoshiko, perché piangi?” Le chiese Hikaru, afferrandole le mani e facendola sussultare.

“Sei apparso così all'improvviso! Credevo che non ti avrei più rivisto, che non saresti mai tornato!” Anche se aveva cercato di non far notare nulla a suo padre, più si avvicinava il periodo in cui Hikaru avrebbe dovuto concludere i suoi studi, più Yoshiko aveva sentito l'inquietudine salire al pensiero che il cugino si sarebbe diretto da qualsiasi altra parte tranne che alla Cittadella. Dopo la mamma, non poteva perdere anche lui. Finché fosse stato ancora a scuola poteva avere la speranza che un giorno sarebbe tornato.

“Sono qui, ora. L'Arcidruido mi ha mandato ad assistere il Sacerdote Sasaki.”

“Non te ne andrai più? Resterai con me?”

“Per sempre, se la Dea vorrà.”

Finalmente Fujisawa abbandonò le convenzionied il protocollo sociale, lasciandosi accogliere tra le braccia del cugino, incurante di qualsiasi occhiata di rimprovero potesse ricevere. Si sentiva al sicuro e protetta da quelle braccia solide e forti.

“Come sei cresciuta! - Le disse Hikaru da sopra la sua chioma raccolta in una semplice acconciatura a treccia – Ho lasciato una bambina e ritrovo quasi una Lady.”

A Yoshiko sfuggì un risolino, mentre le ultime lacrime facevano ancora capolino tra le sue ciglia.

“Io e Midori stavamo entrando al Tempio per pregare. Ci accompagni?”

Hikaru si sciolse dall'abbraccio.

“Volentieri. Devo vedere il Sacerdote al più presto e forse lo troverò qui.”

Gentilmente si chinò a raccogliere il piccolo cestino caduto e lo porse alla proprietaria.

“Hai fatto molte spese al mercato?”

“Qualcuna.”

Insieme si avviarono oltre le colonne, seguiti da Midori che borbottava sottovoce circa i comportamenti non appropriati dei giovani che a volte sfioravano il limite della decenza.

Fujisawa era aggrappata con tutte le sue forze al braccio del cugino, quasi che volesse impedirne fisicamente una nuova partenza. Era così felice di riaverlo con sé che non avrebbe potuto sopportare di doverlo lasciare un'altra volta.






_______________________________
Abbiamo il primissimo incontro tra i nostri due protagonisti dopo il ritorno di Hikaru. E' solo un primissimo incontro, i nostri due avranno modo di parlare con calma tra loro, dietro le quinte. XD Se vi mostrassi proprio tutto, questa storia non finirebbe più, ad oggi è già più lunga della storia madre. ;) E si sta moltiplicando sotto le mie mani, mannaggia!  Nel primo progetto il tredicesimo capitolo doveva essere l'ultimo precedente ai fatti della Ballata, ed invece abbiamo ancora qualcosa da dire. ;)

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Capitolo 14
*** Sonetto XIV ***


3 Settembre, anno 2734 dal Trionfo della Dea

 

Yoshiko era... triste, sconsolata, delusa, amareggiata, non sapeva nemmeno lei come si sentiva. Erano circa due anni che Hikaru era tornato dall'Hokkaido, eppure in certi momenti si sentiva sola come quando lui era lontano. Ora che era Sacerdote non aveva più tutto il tempo di prima da dedicarle.

Yoshiko sapeva che era giusto così: il cugino aveva scelto la sua via e la stava percorrendo. Forse era scritto da sempre che si sarebbero dovuti allontanare, in fondo nove anni di differenza erano un abisso e finché erano entrambi piccoli e spensierati poteva sembrare non esistere, ma più crescevano più si sarebbero trovati in fasi diverse della vita. Hikaru era ormai un uomo e assumeva sempre più responsabilità nella gestione del Tempio, per aiutare il vecchio Sacerdote, lei, invece, era una ragazzina nel pieno dell'adolescenza e si ritrovava a soffrire nello stare sempre chiusa in casa. Non aveva molte amiche della sua età, non sapeva chi frequentare.

Quando lavorava per i Principi alla Fortezza, suo padre aveva provato a condurla a corte in qualche occasione per socializzare con gli altri bambini, ma la sua timidezza l'aveva sempre tenuta relegata negli angoli. Eh sì che i giovani Principi erano sempre stati molto gentili con lei. Poi, con l'aggravarsi delle condizioni di salute della mamma, Lord Fujisawa aveva ridotto i suoi impegni pubblici e lei era rimasta ad assistere la madre fino alla fine. Ora suo padre si era ritirato a vita privata e si godeva la meritata pensione, mentre Yoshiko non aveva molto da fare, a parte qualche ora di studio col Priore Katagiri.

Quel giorno aveva deciso di recarsi al Tempio, ignorando i suggerimenti di Lord Fujisawa che le aveva spiegato che non poteva sempre andare a disturbare il cugino durante il lavoro, inoltre non stava bene che una fanciulla si accompagnasse sempre ad un Sacerdote.

“Potrò sempre dire che sono qui per pregare.” Pensò, pulendo i sandali prima di varcare la soglia del Tempio.

La calma ed il silenzio di quel luogo avevano un potere rilassante. Yoshiko camminò lentamente tra le colonne, girando lo sguardo a destra e a sinistra, nella speranza di riuscire a vedere Hikaru indaffarato in qualche angolo, ma il Tempio era deserto. Se avesse voluto vedere il cugino avrebbe dovuto andare a bussare agli alloggi dei Sacerdoti e per suo padre sarebbe stata una cosa sconvenientissima.

Davanti alla statua della Dea si inginocchiò a formulare una veloce preghiera: un po' infantilmente chiese che Hikaru potesse raggiungerla lì per passare insieme il pomeriggio. Chiese anche di poter avere la possibilità di trascorrere più tempo con lui, perché le mancava tremendamente.

Nella navata centrale si udì il rumore di parecchi passi: un uomo guidava un gruppo di fanciulle fino all'altare.

“Bene, ragazze. Disponetevi secondo i soliti posti.”

“Sì, Maestro.” Risposero.

Le fanciulle si posizionarono a semicerchio sull'altare, dietro la consueta posizione del celebrante. Ad un cenno del Maestro iniziarono a cantare.

Yoshiko terminò la sua preghiera e rimase come incantata ad ascoltare quel meraviglioso suono che si spandeva per tutto il Tempio. Naturalmente aveva sentito ancora il coro delle Ancelle di Machiko cantare durante le cerimonie, ma quella volta era qualcosa di speciale. Forse perché era sola, forse perché non se lo era aspettato, forse perché essendo al di fuori di qualsiasi cerimonia le pareva di potersi perdere solo ed esclusivamente nella bellezza della musica, senza mancare di rispetto alla Dea.

Senza una precisa volontà si ritrovò a camminare verso il coro, attirata dalle voci che si rincorrevano.

Un gesto del Maestro fece fermare l'incanto.

“Contralti, siete entrate leggermente in ritardo. Soprani primi, sul passaggio precedente cercate di essere più leggere, sono i soprani secondi a portare la melodia principale in quel punto, deve risaltare la loro parte.”

L'uomo dava indicazioni precise alle sue allieve, le guidava alla piena comprensione di ciò che cantavano e Yoshiko rimase affascinata pure da quel sapere.

“Maestro – chiamò una delle fanciulle – c'è qualcuno che ci osserva.”

Il Maestro si voltò e vide la figlia di Lord Fujisawa a pochi passi da loro.

“Oh, scusate Fujisawa! Abbiamo disturbato le vostre preghiere?”

Yoshiko scosse il capo.

“No, Maestro. Temo di essere io a disturbare voi, ma non vi avevo mai visto cantare così da vicino. È meraviglioso.”

L'uomo la osservò attentamente e credette di cogliere una luce di desiderio nei suoi occhi.

“Quanti anni avete?”

“Quasi quindici, Maestro.”

“Vi piacerebbe fare parte delle Ancelle di Machiko?”

Yoshiko arrossì visibilmente, incerta sulla risposta da dare: non si aspettava una simile proposta. Si ritrovò a balbettare:

“Ecco... io... non so se mio padre approverebbe.”

Il Maestro sorrise.

“Non preoccupatevi, parlerò io con il Lord. Pensate a quello che desiderate voi.”

La giovane stette pensierosa per qualche istante: quella possibilità la allettava, la musica le piaceva abbastanza e stare nel coro le avrebbe dato l'occasione per stare vicino ad Hikaru senza creare situazioni inopportune, tuttavia.

“Io non ho mai cantato, non so se sono brava.”

“Perché non provate? Conoscete l'inno dell'equinozio?”

Yoshiko rispose affermativamente e il Maestro la fece accomodare all'estremità alla sua sinistra, in modo da poterla sentire il meglio possibile.

Quando tutto il coro intonò il nuovo canto, la voce della giovane Fujisawa si levò limpida in mezzo alle altre.

 

 

La settimana successiva Yoshiko era allegra, ne era certa. Era in compagnia delle Ancelle di Machiko e stava per effettuare la sua prima prova col coro all'interno del Tempio. Solitamente le fanciulle provavano a casa del Maestro, dove erano sempre accolte con un sorriso ed un vassoio di pasticcini della moglie. Una o due volte a settimana provavano direttamente nel Tempio, anche in base alla vicinanza con solennità e funzioni speciali. Il Sacerdote Sasaki sosteneva che i canti sacri non avrebbero disturbato i fedeli in preghiera, anzi la musica avrebbe aiutato a predisporre l'animo per rivolgersi alla Dea.

Le altre avevano già provato al Tempio una volta, da quando lei era entrata a far parte del gruppo, ma in quanto nuova arrivata il Maestro aveva ritenuto opportuno attendere. Quella prima settimana non era stata leggera: inizialmente avrebbe dovuto provare solo col piccolo gruppo delle fanciulle più nuove, per imparare le basi della tecnica e della lettura musicale, però poi il Maestro aveva capito che la giovane possedeva un talento naturale talmente cristallino da permetterle di essere pronta ad eseguire alcuni canti già alla festa dell'equinozio d'autunno. Per quel motivo l'aveva invitata a prendere parte anche alle prove di tutto il gruppo.

Era allegra, perché quell'impegno la assorbiva, le permetteva di occupare parte delle sue giornate ed anche suo padre sembrava essere felice quando la sentiva cantare ed esercitarsi nella sua stanza. Inoltre, con un po' di fortuna ed un pizzico di benevolenza della Dea, quel pomeriggio forse avrebbe potuto incontrare Hikaru.

Mentre si posizionava tra i soprani primi, dove l'aveva collocata il maestro, Aiko la rassicurò:

“Non ti preoccupare, andrai benissimo.”

Le altre fanciulle l'avevano accolta a braccia aperte, cercando in tutti i modi di non farla sentire a disagio nei momenti in cui emergevano le sue lacune, raccontandole che tutte loro erano ancora impegnate a migliorarsi.

“Speriamo! Vorrei poter cantare all'equinozio.”

“Ce la farai! Il maestro ne è convinto, o non ti avrebbe già fatto provare qui.” Le rispose, sistemando una ciocca di lunghi capelli castani dietro l'orecchio.

La prova iniziò e proseguì tranquillamente.

Mano a mano che cantava, Yoshiko acquisiva sicurezza, sentendosi sempre più a proprio agio.

Stavano provando l'ultimo canto in programma per quel giorno, quando arrivò il giovane Sacerdote. Era entrato nel Tempio per controllare che i fiori della statua della Dea Machiko fossero in ordine e non appassiti.

A Hikaru piaceva sentire il coro mentre svolgeva alcuni dei suoi doveri.

Nel passare diede un'occhiata distratta al gruppo di fanciulle, ma si fermò bruscamente quando riconobbe tra esse la cugina. Stupito restò ad attendere che le ragazze venissero congedate dal Maestro.

“Molto bene a tutte, ci vediamo tra due giorni per la prossima prova.”

“Buona sera Maestro Watanabe.” salutò Hikaru.

“Buona sera Sacerdote Matsuyama, siete qui da molto?”

“Da un po'. È sempre un piacere ascoltare il vostro coro.”

Solo in quel momento Yoshiko si accorse della presenza del cugino e, benché non avesse desiderato altro che incontrarlo, si trovò a temere che Hikaru non gradisse la sorpresa di trovarla tra le cantanti.

“Hey, cuginetta! - La chiamò il Sacerdote – Non sapevo avessi deciso di far parte delle Ancelle di Machiko.”

Yoshiko abbassò lo sguardo, congiungendo entrambe le braccia distese.

“È successo improvvisamente e questa settimana non ho avuto tempo per venire a dirtelo.” Ribatté.

“È una cosa meravigliosa! Se mi aspetti qualche istante ti riaccompagno a casa, così saluto anche tuo padre.”

Si sorrisero vicendevolmente, entrambi felici per aver trovato un modo di vedersi più spesso.





 

_________________________________________
Il Sonetto che vi trovate a leggre ora è praticamente il primo che ho scritto è tocca un momento molto importante per la crescita di Yoshiko come l'abbiamo conosciuta nella Ballata: il suo ingresso nel coro delle Ancelle di Machiko. Nella Ballata era una delle cantanti più brave, qui, ivcece, le vediamo muovere i suoi primi passi, nel tentativo di avere una scusa per vedere Hikaru. ;)

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Capitolo 15
*** Sonetto XV ***


Marzo, Anno 2736 dal Trionfo della Dea

 

 

Era toccato ad Hikaru celebrare la preghiera del mattino, poiché il sacerdote Sasaki non si sentiva molto in forma. Ormai era molto anziano e seguire tutte le funzioni ogni giorno lo stancava parecchio.

Solitamente il vecchio Sacerdote gli lasciava celebrare qualche rito ogni settimana, ma con la presenza dell'Arcidruido alla Cittadella, aveva ritenuto opportuno occuparsi sempre delle preghiere, fino a quella mattina.

“Sacerdote Matsuyama.”

“Arcidruido.” Hikaru si inchinò al cospetto della somma autorità religiosa.

“Hai celebrato bene il rito. La gente ti ascolta e pare fidarsi di te.”

Matsuyama si schernì, non sapendo esattamente come interpretare quelle parole, la sola vicinanza con l'Arcidruido lo faceva sentire sotto esame.

“Siete troppo buono, io cerco solamente di seguire le indicazioni e l'esempio del Sacerdote Sasaki.”

L'Arcidruido annuì.

“Non l'ho visto prendere parte alla cerimonia nemmeno come ascoltatore. È malato?”

“Nulla di preoccupante – rispose svelto Matsuyama – è soltanto affaticato.”

“Pensi che possa ricevermi ora?” La voce dell'Arcidruido tradiva una certa urgenza e preoccupazione, era stato compagno di studi di Sasaki, in gioventù ed era sinceramente in apprensione.

Hikaru spostò il peso del corpo da un piede all'altro, guardandosi intorno e notando la presenza di alcune persone in sua attesa.

“Lasciatemi congedare gli ultimi fedeli e poi vi accompagnerò io stesso.”

L'Arcidruido si risedette su una delle panche e rimase ad osservare il giovane Sacerdote dirigersi verso una donna che teneva per mano una piccola bambina di cinque anni e fornirle l'aiuto di cui necessitava, congedandole poi con un affettuosa carezza su capelli biondi della piccola. Più vedeva Matsuyama muoversi tra le colonne e prestare attenzione ad ogni persona raccolta in preghiera nel Tempio, più si convinceva di aver riposto correttamente le sue alte aspettative su di lui.

Hikaru tornò, scusandosi per la lunga attesa a cui l'aveva costretto.

“Non preoccuparti, Sacerdote Matsuyama, stavi svolgendo il tuo lavoro. - Lo rassicurò l'Arcidruido, alzandosi per seguirlo all'esterno. - Cosa voleva la donna?”

“Il marito si è ferito alla gamba durante il lavoro e sperava nella benedizione della Dea per farlo guarire al più presto.”

Matsuyama guidò l'Arcidruido al piano superiore dell'abitazione del Sacerdote Sasaki, dove c'erano le sue stanze private. Egli, invece, aveva ricavato una stanza per sé al piano terra, vicino al magazzino, per essere sempre reperibile nel caso ci fosse bisogno di lui al Tempio.

Bussò discretamente.

“Sacerdote Sasaki, possiamo entrare?”

“Vieni avanti, ragazzo.” La voce dell'anziano risuonò stanca.

Lo trovarono seduto a tavola, intento a fare una povera colazione con pane e succo.

“Arcidruido, non aspettavo una vostra visita.” Il Sacerdote tentò di scattare in piedi non appena vide chi accompagnava Hikaru, ma un gesto deciso dell'Arcidruido lo fece desistere.

“Resta pure seduto, Sasaki. Non voglio farti stancare più del necessario.”

Hikaru scostò una sedia per l'Arcidruido, invitandolo a sedersi a sua volta ed affaccendandosi per portargli un piatto ed un bicchiere, in modo che potesse ristorarsi.

“Arcidruido, preferite un bicchiere di latte, al posto del succo?”

“Va bene così, ho già fatto un abbonante colazione presso Lord Izawa.”

Data la semplicità degli alloggi dei due Sacerdoti, il capo dell'ordine religioso era ospitato a casa di uno dei nobili più in vista della Cittadella. Molte famiglie si erano contese l'onore di avere l'Arcidruido sotto il proprio tetto e l'aveva spuntata quella di Lady e Lord Izawa.

“Allora vi lascio ai vostri discorsi. Mi ritiro in preghiera.”

“Sacerdote Matsuyama, resta. - lo invitò l'Arcidruido – Quello che dobbiamo dirci riguarda molto da vicino anche te.”

Incuriosito Hikaru raggiunse i due anziani al tavolo e si sedette.

L'Arcidruido si rivolse al vecchio compagno.

“Come stai, Sasaki?”

Hikaru notò subito la familiarità con cui parlava al suo primo maestro, quasi mettendo da parte il suo ruolo di guida dell'intero ordine sacerdotale e riprendendo quello di amico quali dovevano essere stati un tempo. Involontariamente si trovò a ripensare a Masanori e Kazumasa, gli amici più cari che si era fatto durante i propri anni di studio all'Hokkaido e con cui riusciva ancora a scambiarsi qualche lettera.

“L'età sta avanzando implacabile. Mi sorprende che voi riusciate ancora a viaggiare così lontano dalla scuola.”

L'Arcidruido sospirò, poiché in qualche momento iniziava anche lui a sentire la stanchezza, soprattutto quando si trovava a dover gestire situazioni come quella dei territori dell'ovest.

“Sasaki, non è ora che ti riposi? Hai fatto molto per la Dea e per la gente. Dovresti venire all'Hokkaido con me.”

“All'Hokkaido? - domandò stupito il sacerdote Sasaki – Non posso lasciare il mio Tempio, la Dea non vorrebbe.”

Matsuyama si ricordò in quell'istante che alla scuola esistevano alcune stanze, le più interne, protette e calde, che venivano riservate ai Sacerdoti più anziani che avevano terminato il loro servizio. Quando era studente ne erano arrivati alcuni durante il suo terzo anno.

L'Arcidruido assunse un tono più duro, facendo valere la sua autorità.

“Credi di saper interpretare i desideri della Divina Machiko meglio di me?”

Sasaki abbassò il capo.

“Certo che no, Arcidruido. Scusate. Sia sempre fatto il volere della Dea.”

“Sasaki, lo dico per te. - la sua voce si addolcì nuovamente – All'Hokkaido non dovrai badare a tutte le preghiere e se proprio non ti andrà di riposarti, potrai sempre insegnare ai giovani le nostre leggende. Ti è sempre piaciuto farlo.”

“Va bene.” L'anziano Sacerdote sospirò, conscio che, nonostante il grande aiuto di Hikaru, non avrebbe potuto reggere ancora per molto il ritmo di lavoro necessario per un Tempio così importante come quello della Capitale del Principato, aveva bisogno di uno stile di vita più tranquillo. Gli dispiaceva solo lasciare chi negli anni era diventato una sorta di seconda famiglia e tutte le persone che avevano fatto affidamento su di lui e sul suo ruolo di guida spirituale della comunità.

Hikaru aveva ascoltato con interesse e, se da una parte concordava con l'Arcidruido sul fatto che il Sacerdote Sasaki meritasse di riposare, dall'altra si sarebbe sentito smarrito senza il suo primo maestro a guidarlo al Tempio.

Si rivolse all'Arcidruido:

“Chi manderete a sostituire il Sacerdote?”

“Nessuno. – rispose secco l'uomo fissandolo negli occhi con intensità – Non posso mandare nessuno. Ho dovuto mandare parecchi Sacerdoti all'ovest di recente: purtroppo il Sovrano di quel Regno è impazzito e ha dato la caccia ai Sacerdoti, arrivando a cancellare quasi del tutto il culto della Divina Machiko prima che i suoi figli, impegnati sul campo di battaglia, riuscissero a raggiungerlo e fermarlo. Una volta pacificata la situazione i Templi hanno dovuto essere ripopolati.”

Era una ferita che ancora bruciava per l'intero ordine Sacerdotale ed aveva tenuto l'Arcidruido in tensione e preghiera costante per giorni interi. Non si era fidato a mandare emissari, poiché temeva che avrebbero fatto la stessa fine degli altri Sacerdoti ed era quindi stato costretto a seguire l'evolversi della situazione a distanza.

“E come faremo qui?”

“Sacerdote Matsuyama, il Tempio della Cittadella ti sarà affidato, diventerai tu il Sacerdote responsabile.”

Hikaru spalancò gli occhi e la bocca per la sorpresa: non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi così giovane, a 26 anni, a dover occuparsi da solo di un Tempio così importante.

“Io non so se posso.”

“Sei pronto. – intervenne il Sacerdote Sasaki – Puoi occuparti di tutto come farei io. Mi fido di te.”

Hikaru ancora esitava.

“Non ho mai celebrato da solo tutti i riti, come i funerali o i solstizi.”

“Mi hai assistito parecchie volte, conosci ogni rito alla perfezione.” Il vecchio maestro gli appoggiò una mano sulla spalla, riponendo la sua completa fiducia nel giovane che aveva contribuito ad indirizzare a quella vita.

Anche l'Arcidruido era convinto della decisione.

“Ti ho osservato, ho visto l'attenzione che hai nei confronti dei fedeli e delle loro necessità e questo è molto più importante del saper celebrare una preghiera senza commettere un errore. Ricordi che all'Hokkaido prima veniva il lavoro per la comunità e poi la preghiera e lo studio, qui è la stessa cosa.”

Hikaru annuì.

“In alternativa potrei mandare il Sacerdote Oda ad aiutarti, ma preferisco tenerlo ancora un po' a servire nei villaggi sulle montagne, in modo da poterlo tenere d'occhio.”

Matsuyama non ebbe difficoltà ad immaginare perché l'Arcidruido non volesse allontanare troppo Kazumasa dal proprio controllo.

Sul davanzale della finestra si era nel frattempo posata Furano, di rientro dal suo volo di perlustrazione fuori dalle mura. Emise uno strillo di approvazione alla notizia che il suo padrone sarebbe divenuto il punto di riferimento della Capitale del Regno.

 

 

 

 

L'ultima sera della permanenza dell'Arcidruido fu lui stesso a condurre la preghiera in forma solenne, poiché si svolgeva nel giorno settimanale dedicato alla Dea. Il Tempio era gremito in ogni ordine di posto, tutti gli abitanti della Cittadella erano intervenuti per portare il loro saluto al Sacerdote Sasaki, che era stato la loro guida per moltissimi anni. La notizia della sua partenza si era diffusa con una velocità incredibile tra i quartieri del centro abitato e le campagne circostanti. Nobili, artigiani, contadini e bambini, nei giorni precedenti, si erano recati persino alla sua abitazione, per salutare l'uomo di fede.

Il Principe Tsubasa era in prima fila a svolgere le sue mansioni di Sovrano, mentre il fratello era un poco più appartato.

Hikaru, dall'altare, vide tutta la folla e tutta la commozione che circondava il suo maestro e venne colto dal dubbio di non riuscire ad essere accettato allo stesso modo.

Il Sacerdote Sasaki, al suo fianco, parve leggergli nel pensiero:

“Non preoccuparti – gli sussurrò mentre l'Arcidruido era impegnato in un lungo sermone – impareranno ad apprezzare le tue qualità e ad affidarsi a te come facevano con me. Non dimenticare mai di...”

“Avere fiducia nella Dea. - Concluse per lui Matsuyama – Me l'avete sempre ripetuto, fin dal primo giorno che ho iniziato a lavorare con voi. Non lo dimenticherò.”

L'intervento del coro delle Ancelle di Machiko distolse gli uomini dal loro bisbigliare e li fece riconcentrare sulla cerimonia e su quanto avveniva nel Tempio.

Hikaru lanciò uno sguardo a Yoshiko intenta a leggere la sua partitura ed a cantare con un'espressione di estrema concentrazione sul volto. Si trattava di un canto nuovo che le giovani avevano imparato in poco tempo, per offrire il loro saluto particolare al Sacerdote Sasaki, che si era sempre dimostrato molto benevolo con il coro.

Terminato il canto, l'Arcidruido prese ancora la parola:

“Carissimi fedeli della Divina Machiko, prima di salutare per l'ultima volta il Sacerdote Sasaki, leviamo una preghiera per accogliere alla guida di questo Tempio il suo successore, che sicuramente conoscerete. Sacerdote Matsuyama, vieni avanti.”

Hikaru avanzò per raggiungere l'autorità religiosa e si inginocchiò al suo cospetto, pronunciando parole rituali che sentiva come proprie.

“Mi inchino al volere della Divina Machiko: che possa sempre illuminarmi lungo la via che mi preparo ad affrontare con impegno e dedizione.”

L'Arcidruido gli appoggiò una mano sul capo.

“Che la benevolenza della Dea sia sempre su di te, Sacerdote Matsuyama. Che tu possa essere un valido testimone del suo amore.”

Nel Tempio scese il silenzio, mentre tutti si raccoglievano in preghiera, levando anche richieste personali alla Dea.

La cerimonia terminò ed Hikaru si rialzò, mettendosi poi in disparte.

I fedeli si riversarono a dire addio al Sacerdote Sasaki che si fermò a parlare con tutti, dando ad ognuno un'ultima parola della sua saggezza.





_________________________
E vediamo Hikaru diventare pienamente responsabile della gestione del Tempio della Cittadella, per sopraggiunta anzianità del vecchio Sacerdote Sasaki. L'idea iniziale non prevedeva un semplice "pensionamento", però Hikaru aveva già perso troppe persone importanti che non me la sono sentita di dargli anche questo dispiacere.

Questo è l'ultimo momento importante prima dei fatti de La Ballata, l'ultimo tassello che ha portato Hikaru e Yoshiko a diventare ciò che è stato visto nella storia madre. Col prossimo ci sposteremo a subito dopo la conslusione di questa.

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Capitolo 16
*** Sonetto XVI ***


17 Settembre, Anno 2739 dal Trionfo della Dea

 

Mia Carissima Figlia,

 

se stai leggendo questa lettera, significa che non sono più con te, che la Dea ha stabilito che le nostre strade dovessero separarsi.

Avevo promesso a tua madre, poco prima che morisse, di raccontarti tutto questo.

Sia io che la mamma ti abbiamo amato tantissimo, più di qualsiasi altra cosa. Per noi sei stata il dono più grande e inaspettato della Dea, quando ormai pensavamo che non avremmo potuto avere dei figli.

Ricordo ancora con estrema precisione il giorno in cui sei entrata all'improvviso nelle nostre vite: eri un piccolo miracolo sotto il temporale.

Ero fuori a caccia con Sua Altezza reale, ti abbiamo sentita piangere nella foresta e siamo accorsi. Non riuscivo a credere che qualcuno potesse averti lasciato là, con solo un masso sporgente come riparo. Ti ho raccolta per proteggerti e portarti in un posto sicuro, per affidarti a qualcuno che si sarebbe preso cura di te meglio di quanto potessi fare io, ma non sono stato più in grado di lasciarti. Sei diventata mia figlia nel momento stesso in cui ti ho presa in braccio.

Lo stesso è stato per tua madre, non appena sei stata tra le sue braccia ti ha amato con tutta la forza che possedeva.

So che per te non sarà facile accettare queste parole, io non avrei voluto, ma Kyoko mi ha fatto promettere di farti sapere e sai che la mamma riesce riusciva a farsi promettere qualsiasi cosa da me.

Sono certo che avrebbe voluto essere ancora qui e raccontarti di persona come tu abbia illuminato la sua vita. Kyoko era molto triste per non poter avere bambini, ma il tuo arrivo le ha ridato di nuovo il sorriso.

Adoratissima figlia, ricorda bene una cosa: anche se non sei nata da tua madre e da me, noi ti abbiamo scelto, noi ti abbiamo voluto, noi ti abbiamo amato come se tu lo fossi. Non avremmo potuto mai immaginare qualcun altro al tuo posto, ci hai dato grande gioia.

Continua ad essere la persona buona ed altruista che sei, che Kyoko ed io siamo orgogliosi di aver cresciuto. Rendi sempre onore alla Dea, che ha permesso che la nostra famiglia esistesse.

Io e tua madre veglieremo su di te dalla città celeste.

Siamo fieri di te e ti amiamo, sempre.

 

 

Il tuo papà

 

 

 

Yoshiko abbassò di scatto la pergamena, una volta terminata la lettura, preda dei più contrastanti sentimenti: stupore, dolore, rabbia, insicurezza, solitudine. Non si era nemmeno accorta che le lacrime le stavano scorrendo abbondanti sulle guance.

La gioia per il compleanno del giorno prima era svanita, spazzata via da quella lettera che Hikaru le aveva consegnato poco prima, dicendole che si trattava delle ultime volontà di suo padre. O forse doveva dire di Lord Fujisawa?

Matsuyama la osservava attentamente dall'angolo della semplice sala da pranzo della propria abitazione presso il Tempio. Da quando Lord Fujisawa era stato condannato a morte da Kanda, aveva preso Yoshiko a vivere con sé, poiché non si era sentito di lasciarla sola nella grande casa della sua famiglia, per quanto la vecchia Midori gli avesse garantito a nome di tutta la servitù che si sarebbero presi cura di lei, come sempre del resto. Hikaru si era intestardito, ricordando come nei giorni successivi all'incidente dei suoi genitori le mura della loro casa fossero state soffocanti per lui, ed era riuscito a convincere la cuginetta a seguirlo, almeno per un certo tempo, finché non si fosse ripresa. Le aveva lasciato sistemare come meglio credeva la stanza vicino alla propria camera, che il Sacerdote Sasaki usava per i libri e come studio, trasferendo il tutto a piano terra dove aveva alloggiato lui stesso nei primi anni.

Vedendo lo sconvolgimento sul volto di Yoshiko temette di essere stato troppo frettoloso nel portarle la rivelazione: sicuramente lo zio non ne avrebbe avuto a male se avesse aspettato un giorno o due dopo il compleanno. Si pentì anche di aver rifiutato l'aiuto disinteressato del Principe Jun di assisterlo in quel delicato momento per la sua famiglia.

Yoshiko si alzò in piedi, puntando le mani sulla superficie del tavolo e allontanando bruscamente la sedia su cui era stata fino a quel momento.

“È tutta una bugia! Non può essere vero!” Esclamò.

Hikaru sciolse le braccia che aveva tenuto conserte e si portò verso il centro della stanza, accorrendo preoccupato.

“Yoshiko, io non credo che tuo padre possa averti scritto qualcosa di falso.”

“Allora devo andarmene da qui!” Decise risoluta.

“Cosa vuoi dire?”

La giovane Fujisawa lo guardò negli occhi:

“Non posso più vivere con te. Non sarebbe appropriato.”

“Ma cosa dici, sono tuo cugino!”

“No! - urlò la ragazza stringendo i pugni – Tu non sei mio cugino!”

Nonostante Hikaru conoscesse quella verità, sentirsela lanciata addosso con disperazione proprio da Yoshiko gli provocò una fitta di dolore che non aveva preventivato. Si sforzò di non abbassare lo sguardo e di rispondere con tutta la calma che la Dea gli stava concedendo.

“Io e te saremo sempre cugini, qualunque cosa possano dire gli altri.”

Yoshiko spalancò gli occhi, mentre un lampo di comprensione le illuminava la mente.

“Tu sapevi! Tu sapevi e non mi hai detto mai niente!”

Le sue lacrime si fecero ancora più copiose.

Matsuyama le si avvicinò e le afferrò i polsi, nel tentativo di calmarla.

“Tuo padre mi ha rivelato questo segreto quando sono andato a trovarlo in cella, poco prima della sua morte. È stato il suo ultimo desiderio che ti consegnassi quella lettera dopo il tuo ventesimo compleanno.”

La ragazza si afflosciò sul pavimento, come svuotata della sua energia, mentre il Sacerdote ne assecondava il movimento, sedendosi a sua volta sulla pietra fredda.

“Lui non era mio padre.” Sussurrò Yoshiko a filo di voce e lo sguardo perso chissà dove.

“Certo che lo era, si è preso cura di te e ti ha cresciuta. Sono sicuro che ti amasse moltissimo.”

“Se fosse così, non avrebbe fatto in modo che io venissi a conoscenza di essere una trovatella, una senza famiglia.”

Yoshiko riuscì a divincolarsi dalla presa di Hikaru e portò le mani a nascondere il viso, scoppiando in singhiozzi incontrollabili.

Il Sacerdote rivolse una silenziosa preghiera alla Dea, che lo aiutasse a trovare le parole adatte.

“Io non so perché i tuoi genitori hanno voluto che tu sapessi. Forse perché ritenevano giusto che una volta cresciuta fossi libera di decidere di amarli, come hanno fatto loro con te.”

Yoshiko scosse la testa violentemente.

“No. Io non so più niente, non so più chi sono. Devo andarmene.”

Matsuyama ribatté deciso:

“Non puoi. Non sta bene che una fanciulla come te viva da sola.” Si rese conto di stare utilizzando una motivazione che avrebbe sicuramente usato lo zio.

“Anche Lady Sorimachi vive sola.”

“Yoshiko, Lady Sorimachi è vedova.”

La ragazza stava cominciando ad innervosirsi.

“Non sarò da sola! Ci sarà Midori con me e...”

“No! - Hikaru fece un gesto secco con il braccio, per farle capire che non intendeva retrocedere dalla sua posizione – Tuo padre mi ha fatto promettere di prendermi cura di te ed è quello che farò.”

“Lord Fujisawa, non mio padre!” Urlò Yoshiko esasperata, domandandosi come fosse possibile che Hikaru non capisse che continuare a chiamare padre il Lord contribuiva solo ad aumentare la sua confusione. Quanto avrebbe voluto non aver mai letto la lettera.

Restò per qualche istante ad ansimare, lasciando che il silenzio si espandesse tra di loro, a segnare una momentanea tregua.

Matsuyama vedeva i suoi dubbi degli ultimi mesi prendere forma: sentiva di aver perso qualcosa nel rapporto con la cugina ed era Yoshiko stessa la prima ad innalzare il muro contro la loro complicità. Sapeva che sarebbe dovuto accadere, ma non pensava sarebbe avvenuto subito e tra le mura della sua stessa casa, dove nessuno, a parte la Divina Machiko, poteva vederli e trovare le loro azioni riprovevoli. D'altra parte, non poteva credere che bastasse così poco a spazzare via un legame costruito in vent'anni: erano sempre stati così uniti anche da bambini.

Senza alzarsi, quasi trascinandosi, si spinse verso Yoshiko e l'abbracciò forte.

“Ascolta, Yoshiko, capisco che tu sia sconvolta. Quest'ultimo periodo non è stato facile da affrontare per te, con la perdita dello zio ed ora questa rivelazione pesante. Da parte mia ti posso promettere che per me farai sempre parte della famiglia, perciò ti chiedo di restare, almeno per qualche mese, finché non avrai chiarito ciò che desideri sul serio. Ora sei sconvolta, prenditi tempo per assimilare tutto e, ti assicuro, che non c'è posto migliore della casa della Dea per riflettere e chiedere consiglio. Nessun altro conosce questa storia, perciò non temere di creare scandalo restando a vivere con un Sacerdote.”

A quelle parole Fujisawa sembrò calmarsi, i suoi singhiozzi diminuivano gradualmente ed anche le lacrime parevano esaurirsi. Tuttavia, dopo qualche istante, si scostò bruscamente.

“Resterò per qualche tempo, ma non voglio più sentire parlare di questa storia in qualsiasi maniera. - si alzò e si diresse verso la propria stanza – E non toccarmi più così, non puoi più permettertelo.” Sparì dietro la porta.

Hikaru sentì il muro ergersi tra di loro e gli si strinse lo stomaco, ma sapeva di dover lasciare a Yoshiko il suo spazio, il suo tempo per capire ed accettare, se avesse insistito troppo, avrebbe rischiato di rendere il muro invalicabile e di perderla per sempre. Sapeva anche che se alla fine la cugina avesse deciso di andarsene, non avrebbe potuto impedirglielo. Magari avrebbe potuto chiedere alla Principessa di prenderla sotto la sua ala protettrice a corte.

Si alzò a sua volta e si preparò per scendere al Tempio: i riti dovevano proseguire. La Divina Machiko lo attendeva e forse, l'avrebbe consigliato già durante la preghiera insieme agli abitanti della Cittadella.





__________________________
E siamo arrivati ai fatti immediatamente dopo "La Ballata", questione di un paio di settimane, ricordandoci che durante questa anche il papà di Yoshiko ha fatto una brutta fine. Mi rendo conto di aver sterminato questa famiglia...
Hikaru, obbedendo all'ultimo desiderio dello zio, consegna a Yoshiko la lettera che le svela il suo ritrovamento.
Possiamo dire che Yoshiko non la prenda affatto bene. Probabilmente non sa neanche lei come prenderla, è preda della confusione.
Hikaru per ora è riuscito a convincerla a non prendere decisioni affrettate, ma pare comunque che tra i due si sia creata una frattura.

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Capitolo 17
*** Sonetto XVII ***


Inizio Gennaio, Anno 2740 dal Trionfo della Dea

 

“Tsubasa, per amor della Dea, vuoi finalmente spiegarmi perché siamo saliti fin quassù?”

Spostando una ragnatela che gli penzolava a poca distanza dal viso, Jun cominciava a spazientirsi per quella inaspettata gita alle soffitte della Fortezza, una delle strambe idee di suo fratello.

“Porta pazienza! Vedrai che non te ne pentirai.”

Rispose Tsubasa tranquillo, mantenendo l'alone di mistero con cui aveva trascinato Jun lontano dalla moglie in quella giornata priva di udienze e di impegni di governo incombenti: si trattava di una piccola avventura tra fratelli, in solitaria, in memoria dei vecchi tempi. Anche se da quando Tsubasa era tornato lavoravano fianco a fianco quasi ogni giorno nella gestione del Principato, mancava un po' la complicità che avevano da bambini e da ragazzi. Jun dubitava che potessero ritrovarla tra la polvere accumulatasi negli anni.

Tsubasa proseguì imperterrito, evitando agilmente le cianfrusaglie accumulate lassù. Si muoveva con una tale sicurezza da far supporre che non fosse la prima volta che saliva nelle soffitte della Torre Centrale e, soprattutto, pareva avere in mente un obiettivo preciso.

“Non è qui! - esclamò ad un certo punto, facendo sobbalzare Jun – Certo, che sbadato! È da quella parte.”

“Si può sapere cosa staremmo cercando?” Tentò una seconda volta il più giovane dei due Principi. Quando il fratello si metteva in mente qualcosa, non c'era verso di fargli cambiare idea.

“Siamo quasi arrivati.” Rispose Tsubasa, sempre enigmatico.

Si mise a spostare alcuni bauli di legno dal contenuto sconosciuto, dopodiché appoggiò le mani sui fianchi ed annuì.

“Finalmente!”

Jun si sporse da dietro le sue spalle per poter vedere l'obiettivo di quella strana caccia al tesoro improvvisata. Sotto uno spesso strato di polvere si ergeva una struttura rettangolare, probabilmente in legno. Jun dovette sbattere gli occhi un paio di volte prima di riuscire a mettere bene a fuoco ed a riconoscere il profilo di una culla.

“Una volta – iniziò a raccontare Tsubasa – papà mi portò quassù e mi mostrò varie cose, tra cui questa: è la culla di quando eravamo bambini. Sia tu che io abbiamo dormito qui dentro, come moltissimi altri piccoli Principi.”

Jun sentì un nodo alla gola ed un moto di commozione nell'intuire quale potesse essere l'idea del fratello.

“Ne sei sicuro? Dovrebbero starci i tuoi figli lì dentro. Saranno loro a salire al trono, un giorno.”

Tsubasa si grattò la nuca con la mano destra.

“Per ora non mi pare che siano previsti. Qui il futuro papà sei tu! - Con un gesto improvviso si voltò e diede un paio di vigorose pacche sulle spalle al fratello – Consideralo un mio regalo per il bimbo. Inoltre, tuo figlio sarà sempre un Principe di Yomiuri Land, ha tutti i diritti di usare questa culla.”

“Grazie Tsubasa.”

Jun si sentiva felice ed emozionato esattamente come il giorno in cui Yayoi gli aveva rivelato di essere incinta. All'iniziale sorpresa si era sostituita subito l'idea che la Dea avesse voluto benedire la loro unione, poiché era passato solo poco più di un mese dal matrimonio. Per l'estate avrebbero avuto una bambina, così credeva Yayoi, basandosi sul fatto che solitamente le Streghe davano alla luce figlie femmine.

“Ormai dovrebbe essere il tempo di fare l'annuncio ufficiale, non pensi?” Continuò Tsubasa.

“Credo di sì.”

“Vedrai che nel Regno saranno tutti contenti, come sono stato io quando me l'hai confidato.”

Fino a quel momento, l'unico, oltre alla coppia, a conoscere lo stato della Principessa era proprio Tsubasa. Le tradizioni imponevano che una gravidanza non venisse annunciata a nessuno prima di un certo tempo, ma Jun non era riuscito a nascondere il segreto al fratello.

“Forse la gente normale. Non credo che i Priori faranno i salti di gioia: hanno cercato in tutti i modi di impedire il mio matrimonio con una Strega Bianca.”

“Abbi fiducia in loro – rispose Tsubasa col suo solito tono tranquillo – e ricorda che prima dell'annuncio pubblico il Priore Katagiri dovrà visitare tua moglie. È la tradizione.”

Jun sbuffò, ben consapevole di quali fossero le aspettative del suo ruolo.

“Proprio tu parli di tradizione? Non potrebbe venire un altro Priore? Fosse dipeso da lui, a quest'ora sarei morto.”

“E che cosa poteva fare un Priore contro la magia nera?”

Suo malgrado, Jun si trovò costretto a concordare con il fratello sul fatto che i Priori non avrebbero potuto fare molto con le loro conoscenze. In fondo, quello che non riusciva a perdonare a Katagiri era ciò che ancora non riusciva a perdonare a sé stesso, il fatto di non essersi reso conto che qualcosa non andasse nel Regno e di aver rischiato che il Principato andasse in rovina, nonostante fosse riuscito poi a sistemare la faccenda.

Tsubasa sembrò capire i suoi pensieri, perché con noncuranza disse:

“Papà sarebbe fiero di come ti sei comportato, di come hai difeso il Regno, e lo sono anch'io. Se proprio dobbiamo trovare un colpevole, sono stato io a nominare Kanda Sovrintendente.” Strinse forte i pugni, la ferita del tradimento del suo uomo di fiducia bruciava ancora parecchio.

L'atmosfera stava diventando pesante e rischiava di guastare un'impresa che avrebbe dovuto essere lieta.

Tsubasa afferrò uno strofinaccio che aveva fissato alla cintura e lo porse al fratello.

“Forza, vediamo di rimettere a nuovo questa culla! Non possiamo certo portarla a Yayoi in queste condizioni!”

Jun sorrise e si apprestò ad iniziare il lavoro, cercando di rimuovere quanta più polvere possibile, per far tornare a brillare dei suoi colori la culla.

Tsubasa spostò il piccolo sacco di tela riempito di piume che era alloggiato all'interno del giaciglio.

“Secondo te, dovremmo farne imbottire uno nuovo?”

Il fratello si voltò ad osservare, ma il suo sguardo cadde su una coperta di lana verde e su una busta, rimaste fino a quel momento nascoste sotto il materasso.

“Cosa sono queste?”

Domandò esaminando con cura la lettera: aveva l'aria di essere molto vecchia.

“Non ne ho idea – rispose Tsubasa – Dovremmo aprirla.”

Jun era scettico.

“È sigillata, forse non dovremmo.”

Il sigillo di ceralacca con spada e scudo incrociati era ancora intatto.

“Quello è il simbolo di nostro padre. Ora sono io che governo, devo conoscere i suoi atti.”

“Direi che non voleva tu li conoscessi.” Replicò Jun leggermente seccato perché per Tsubasa era sempre tutto facile, poco importava se si trattava di mettere il naso in questioni che non lo riguardavano.

“Se l'ha nascosta qua dentro, sapeva che un giorno l'avrei trovata.”

Senza attendere altro, la tolse dalle mani di Jun e ruppe il sigillo, leggendo velocemente.

“Questi sono documenti che legittimano Yoshiko Fujisawa come figlia ed erede di Lord Fujisawa.”

Jun sgranò gli occhi, incredulo al fatto che il padre avesse lasciato proprio lì quei preziosissimi documenti.

“Quindi questa sarebbe la copertina in cui era avvolta la bambina. Ti ricordi ancora del giorno in cui l'hanno trovata?”

Tsubasa si strinse nelle spalle.

“Come dimenticarlo? Papà non ci ha mai strigliato così tanto dopo che ci ha scoperti ad origliare i discorsi tra lui ed il Contabile Reale.”

Jun aveva raccolto la copertina e se la rigirava tra le mani alla ricerca di non sapeva bene cosa, stava seguendo un istinto.

“Guarda qui. C'è un ricamo su un angolo. Sembra quasi un simbolo araldico.”

Porse la coperta a Tsubasa che osservò i due gigli perfettamente simmetrici e coi gambi intrecciati ricamati con un verde più scuro rispetto a quello della lana.

“Mi sembra di averlo già visto da qualche parte. Se è davvero un simbolo araldico lo troveremo nella biblioteca del Priorato.”

Jun annuì.

“Prima dobbiamo avvertire il Sacerdote Matsuyama, si tratta della sua famiglia.”

 

 

 

 

Il Sacerdote Matsuyama li aveva raggiunti al Priorato, preoccupato dalla strana convocazione.

Nel frattempo, Tsubasa e Jun si erano già procurati i grandi volumi in pergamena accuratamente rilegati e decorati che contenevano tutte le informazioni sugli stemmi e le casate del Principato. Si erano seduti ad un tavolo nell'angolo della grande sala di lettura della biblioteca, in modo da non essere disturbati e da non rischiare che qualche Priore troppo curioso ascoltasse i loro discorsi. La luce entrava con la giusta intensità dalle finestre a vetri colorati, dando origine ad un ambiente unico nella capitale del Regno.

“Secondo me – stava dicendo Tsubasa – dobbiamo cercare tra le famiglie nobili minori, se fosse una delle più importanti me ne ricorderei.”

“Altezze Reali, che la pace della Dea sia con voi. - Hikaru si inchinò con rispetto davanti ai due Principi – Desideravate vedermi?”

Tsubasa fece cenno a Jun di spiegare lui la faccenda, dato che aveva più confidenza con il Sacerdote.

“Abbiamo trovato dei vecchi documenti firmati da nostro padre che legittimano l'adozione da parte di Lord Fujisawa, presumo nel caso qualcuno volesse impedirle di avere il patrimonio di famiglia. Erano conservati insieme a questa copertina verde. Vedete questo angolo?”

Hikaru osservò il ricamo con i due gigli ed annuì.

“Pensiamo possa essere il simbolo di qualche famiglia nobile. Se lo ritenete opportuno possiamo trovare qualche indizio sulla famiglia di nascita di vostra cugina.” Terminò di esporre Tsubasa.

Matsuyama si fece pensieroso, incrociando le braccia al petto.

“Se quei documenti potessero non esistere! Yoshiko è figlia di Lady e Lord Fujisawa senza nessun dubbio, loro l'hanno cresciuta con tutto l'amore del mondo.”

Jun gli si avvicinò con fare amichevole, per metterlo a suo agio.

“Lo sappiamo, anche per noi i documenti non sarebbero necessari. Li conserveremo al sicuro dagli estranei, come è sempre stato, per averli a disposizione in caso di necessità.” Concluse con uno sguardo penetrante che fece sentire Matsuyama attraversato da parte a parte.

“Abbiamo solo pensato – proseguì Tsubasa – che a livello personale Lady Fujisawa potrebbe avere interesse a conoscere da chi sia nata. Jun ha suggerito, per non turbarla inopportunamente, di chiedere prima il vostro parere. Non abbiamo ancora aperto questi volumi e non lo faremo se voi non vorrete.”

Matsuyama scosse il capo, sorpreso da quelle inaspettate attenzioni rivolte alla propria famiglia e dal titolo di Lady usato per Yoshiko. Ormai la cugina aveva compiuto vent'anni ed aveva tutti i diritti di portare il titolo che era stato della madre.

“Altezze Reali, siete troppo gentili, non è necessario che vi preoccupiate in questa maniera per noi.”

Tsubasa agitò una mano.

“Sciocchezze. Per nostro padre Lord Fujisawa era di famiglia, impegnarci per sua figlia è il minimo che possiamo fare per onorare anche la sua memoria.”

“Non ti facevo così solenne, Tsubasa!” Esclamò Jun, per punzecchiare il fratello, ma condividendone il ragionamento.

“Sfacciato! - Fu la risposta del maggiore dei Principi – Ora a voi, Matsuyama, cosa dobbiamo fare?”

Hikaru si stava trattenendo dal ridere di fronte al piccolo battibecco tra i due fratelli: in quanto autorità religiosa poteva parlare ai sovrani molto più direttamente di altri e perfino redarguirli su questioni morali e di fede, ma non poteva certamente mancargli di rispetto. Recuperò velocemente un contegno.

“Yoshiko è ancora terribilmente confusa, non accetta che i miei zii non fossero i suoi genitori, ma al tempo stesso mi tratta come se non facessi più parte della sua famiglia. Viviamo in un equilibrio precario, in cui una parola di troppo potrebbe spezzarlo, ma, forse sapere qualcosa potrebbe aiutarla ad accettare meglio la situazione.”

“Diamoci da fare, allora!” Esortò Jun.

Come proposto da Tsubasa, si concentrarono sul volume che riportava le casate secondarie, dato che anche il Sacerdote aveva confermato di non ricordare quel simbolo su nessun vessillo che aveva visto.

“Aspettate, i Kato hanno due gigli.” Annunciò Jun.

Tsubasa guardò più attentamente:

“È vero, però guarda, questi sono sormontati da una stella, non è ciò che cerchiamo.”

Piuttosto sconsolati stavano per arrendersi, avevano fatto scorrere l'intero codice, mancavano solo le ultime pagine, probabilmente il ricamo era solo una mera decorazione.

La pagina venne voltata, tutti e tre si illuminarono: in testa alla pergamena campeggiava uno stemma col fondo dello stesso verde della coperta e due gigli bianchi intrecciati al centro.

“Infine l'abbiamo trovato.” Esalò Matsuyama.

“Famiglia Murakami. - Lesse Tsubasa – Mi ricordo vagamente di loro, ma mi pare non abbiano componenti in vita.”

Fece scorrere il dito lungo il tracciato dell'albero genealogico che dal capostipite ripercorreva tutta la storia del casato.

“Ecco, nell'ultima generazione c'è un solo componente, Miyoko, morta circa vent'anni fa.”

Hikaru annuì.

“È più o meno l'età di Yoshiko, potrebbe essere morta di parto?”

“Qui non sono segnati figli, però risulta sposata, saranno segnati nella famiglia del marito. Il marito era... Per l'amor della Dea!” Il maggiore dei Principi trasalì non appena riconobbe il cognome dello sposo di Miyoko Murakami.

Jun sgranò gli occhi ed impallidì:

“Non sarà mica il padre di...”

Il Sacerdote vacillò.

“Divina Machiko, come posso raccontare questo a Yoshiko?”





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In questo capitolo abbiamo due guest stars d'eccezione che, vagando per gli affari loro, trovano importanti indizi per la storia di Yoshiko.
Da Hikaru veniamo a sapere che lei, nonostante siano passati alcuni mesi, non è ancora riuscita a rielaborare.
Di chi sarà il nome che ha tanto inquietato il nostro terzetto di investigatori?

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Capitolo 18
*** Sonetto XVIII ***


Fine Gennaio, Anno 2740 dal Trionfo della Dea

 

Yoshiko strinse forte a sé la coperta di lana verde, non riuscendo ancora a credere alla propria temerarietà. Non aveva detto a nessuno dove sarebbe andata quel giorno, non avrebbero capito, nemmeno Hikaru. Tutti le avrebbero detto di lasciare perdere, che era troppo rischioso, che non ne valeva la pena. Tutti, tranne la Principessa, che le aveva consegnato giorni prima un documento con cui l'avrebbero lasciata passare, dicendole:

“Magari non lo userai mai, ma se dovesse venire il momento in cui sentirai il bisogno di sapere, con questo potrai entrare senza problemi alla prigione Hirado.”

Sul momento avrebbe voluto gettare nel camino quella pergamena e dimenticare tutta la faccenda, invece l'aveva conservata nel fondo del suo baule, lontana da occhi indiscreti.

All'inizio aveva fatto talmente fatica ad accettare di essere stata adottata che aveva rifiutato qualsiasi notizia sulle sue reali origini e anche quando il Principe aveva trovato un indizio lei aveva respinto tutto in malo modo. In realtà, Hikaru non avrebbe avuto intenzione di rivelarle quel particolare, ma dopo la scoperta era tornato talmente sconvolto che Yoshiko aveva capito subito che qualcosa non fosse a posto. Se possibile, la notizia le aveva fatto rifiutare ancora di più la situazione.

A suo dispetto, il tarlo aveva lavorato in lei ed aveva scavato nel suo animo, fino a portare alla luce un disperato bisogno di avere risposte, per potersi affrancare da un passato che per certi versi stava diventando scomodo. Così aveva preso il cavallo di suo padre, che teneva ancora alloggiato nella piccola scuderia dell'abitazione in cui era cresciuta, ed aveva sfidato i venti di quella gelida giornata invernale per spingersi fino alla prigione Hirado. Nemmeno il sole che brillava alto in cielo era riuscito a donarle un minimo di calore durante il tragitto.

Ora, era davanti ad Jito che stava esaminando la pergamena con espressione alquanto perplessa, poiché aveva ricevuto chiari ordini dalla famiglia reale riguardo le visite al traditore e quel documento metteva in discussione ogni cosa.

“Lady Fujisawa, siete sicura di voler parlare esattamente con questo prigioniero?”

“Sicurissima – rispose la giovane, rinunciando di fatto all'ultima possibilità di tirarsi indietro, di tornare alla Cittadella come se niente fosse accaduto – Ma non sono una Lady.”

“Certo che lo siete: siete la figlia di un Lord. Da questa parte.”

Sulle labbra di Yoshiko affiorò un leggero sorriso di circostanza alle parole del carceriere che erano l'ennesima prova di come il castello di bugie in cui era vissuta fino ad allora era pericolosamente sul punto di crollare. O forse era già crollato e lei si aggirava tra le macerie e le rovine, tentando di salvare qualcosa.

I corridoi della prigione erano bui e stretti, con le pietre che sporgevano dai muri, ed erano intricati come un labirinto. L'unica cosa che Yoshiko sarebbe stata in grado di riportare a qualcuno che le avesse domandato come muoversi nella prigione, era che se per dirigersi alle stanze del Carceriere aveva dovuto salire qualche rampa di scale, per raggiungere la cella a cui era diretta era dovuta tornare ai livelli più bassi.

Si fermarono davanti ad una spessa porta scura con una piccola feritoia che permetteva di guardare all'interno.

“State indietro un istante, intanto che assicuro il prigioniero.”

Il carceriere entrò nella cella, chiudendo la porta dietro di sé.

“Sta fermo! Hai una visita!”

Da fuori Yoshiko sentì uno sferragliare di catene abbastanza prolungato, poi la porta si riaprì.

“Ora potete entrare, non potrà farvi del male. - Le disse Jito – Se volete posso restare con voi.”

La giovane Fujisawa scosse il capo: doveva fare quella cosa da sola, se ci fosse stato qualcuno presente tutto avrebbe perso il suo valore.

Attese che il massiccio carceriere si fosse allontanato, prima di entrare nella cella, raccogliendo tutto il coraggio di cui disponeva.

Koshi Kanda era davanti a lei, più magro e scarnito rispetto a come se lo ricordava, ma con lo stesso identico ghigno beffardo sul viso. I suoi polsi erano circondati da anelli di ferro collegati a catene appese al muro. Con quel sistema non avrebbe potuto muovere più di quattro passi dalla parete, una sicurezza per chi veniva ad interrogarlo e, soprattutto, un modo per assicurarsi che non tentasse la fuga. Normalmente poteva muoversi a suo piacimento per la cella, ma quando riceveva qualche rara visita, doveva essere incatenato.

Yoshiko sentì addosso a sé gli occhi indagatori dell'uomo, percorsi da un guizzo di curiosità e stupore per quella visita inaspettata.

“Toh, credevo fosse di nuovo Tsubasa, che non si rassegna a credere che io abbia avvelenato il suo fratellino caro, e invece mi ritrovo una ragazzina davanti!”

Esordì l'uomo con tono aggressivo: i mesi di prigione non lo avevano per nulla cambiato.

“Non avrete sbagliato posto, mia Lady?” Domandò sbeffeggiandola.

Yoshiko avanzò di un passo.

“Non mi riconoscete, vero? Eppure sono stata spesso a corte quando ero più giovane.” Sussurrò così piano che, nonostante il silenzio pressoché totale in cui erano immerse le celle, Kanda dovette fare uno sforzo per capire ciò che aveva detto.

Malgrado tutto, ora la sua curiosità era accesa e la scrutò attentamente per cercare di capire chi fosse. L'intuizione arrivò dal nulla, come un'aquila quando si getta all'improvviso sulla preda.

“La figlia di Lord Fujisawa! A cosa devo l'onore? Siete venuta ad esultare per la mia cattura?”

La donna non si lasciò intimidire, ormai aveva superato da un pezzo quello che credeva essere il suo limite di audacia, non aveva intenzione di fermarsi ad un passo dall'ottenere le risposte per cui si era recata in un simile luogo.

“Sono venuta per questa.”

Distese la coperta davanti a sé, in modo che il traditore potesse ammirarla completamente, in ogni particolare, compresi i gigli ricamati con tonalità di verde più scuro.

Kanda si trovò spiazzato: conosceva quella coperta, sapeva benissimo da dove proveniva, solo che l'aveva tenuto segreto tanto a lungo da averlo quasi dimenticato.

“Dove l'avete trovata?”

La sua voce aveva perso qualsiasi tono di scherno

“È mia, è sempre stata mia. O così almeno mi hanno detto: è la coperta dentro cui mi hanno trovata.”

L'uomo sgranò gli occhi:

“Non è possibile! La bambina segreta!”

Il silenzio divenne sovrano nella cella, poiché nessuno dei due, per differenti ragioni, osava proseguire la conversazione.

Si studiarono come non avevano mai fatto prima: Yoshiko, intimorita dalla figura dell'allora Sovrintendente, non si era mai troppo soffermata su di lui quando trascorreva parte del suo tempo a corte, mentre Kanda aveva sempre ritenuto la figlia del Contabile Reale una ragazzina piuttosto insignificante, non degna del suo interesse, soprattutto quando aveva una come Kumi accanto a sé.

In quel momento, invece, tutto si era ribaltato, la giovane donna che era davanti a lui aveva meritato tutta la sua attenzione, cercava di carpire ogni piccola inezia che gli rivelasse che lei fosse veramente la bambina segreta.

“Quanti anni avete?” Le domandò.

“Ne ho compiuti venti poco dopo il matrimonio del Principe Jun.”

Nuovamente cadde il silenzio tra loro.

L'ex Sovrintendente si disse che i tempi coincidevano, era stato vent'anni prima che aveva dovuto fare quella promessa, una promessa che aveva imparato a tenere ben segreta, perché se suo padre l'avesse saputo, probabilmente sarebbe stata la sua fine. E anche ora, temeva quasi che il suo fantasma potesse essere in ascolto.

Yoshiko compì un gesto di stizza e di impazienza.

“È chiaro che sapete qualcosa! Parlate!”

A Kanda affiorò un leggero sorriso sulle labbra.

“Perché sorridete? Vi sembra una situazione divertente?”

“No, credete. Sorrido perché il vostro gesto mi ha ricordato una persona che non vedo da molto tempo, da circa vent'anni. Mi avete ricordato mia madre, o meglio, nostra madre.”

Le pareti della cella cominciarono a vorticare attorno a Yoshiko.

A fatica riuscì a mettersi con le spalle contro il muro, per avere un sostegno che le impedisse di cadere a terra.

“Che cosa state dicendo?”

“Suvvia, Lady – ripose Kanda con una punta di ironia – se siete venuta fino a qua per mostrarmi quella coperta, significa che sapete già qualcosa, non dovreste stupirvi più di tanto. O speravate che fosse tutto un equivoco?”

Yoshiko deglutì la poca saliva che aveva in gola, chiudendo anche gli occhi.

“Quindi è vero, questo è lo stemma della famiglia di vostra madre?”

“Sì.”

“Quindi noi saremmo... fratelli?”

Kanda esitò un istante: da ragazzino non aveva fatto particolarmente caso alla situazione e allo scorrere dei mesi, obbedendo alla richiesta della madre senza particolari obiezioni, ora, da adulto, una nuova consapevolezza lo investì.

“Direi fratellastri. Quando mia madre ha avuto la bambina segreta, mio padre era oltre confine da quasi un anno.”

La donna avvertì una sensazione di leggero sollievo scoprendo di condividere un solo genitore con l'uomo che aveva tradito il Regno e commesso atti orribili per la sua sete di potere, a cominciare dall'assassinio dell'uomo che l'aveva cresciuta come un padre.

“Come... come è andata?” Chiese infine.

Il prigioniero cercò di ricordare:

“Eravate nata da qualche giorno quando nostra madre mi chiese di portarvi via, lontano dalla nostra casa. Non voleva che vi portassi al Tempio della nostra città, mi disse di attraversare la foresta e portarvi alla capitale. Vi avvolse nella coperta verde e vi consegnò a me. Io partii immediatamente, ma mentre ero nella foresta scoppiò un violento acquazzone. Ero in cammino da molte ore ed avevo fame, così vi lasciai al riparo di una roccia ed andai a cercare qualcosa da mangiare.”

“Mi avete abbandonato!” Esclamò Yoshiko di colpo.

“Credevo di avervi lasciata al sicuro per un po'! Avreste preferito essere trascinata sotto il diluvio mentre io cercavo del cibo? Quando sono tornato eravate sparita. C'erano molte impronte confuse che la pioggia stava già nascondendo. Non ho potuto seguire le tracce. Ho pensato che foste perduta per sempre, così, col tempo ho dimenticato.” Concluse. Nella sua voce echeggiava un senso di rammarico per come erano andate le cose.

La donna rimase qualche istante a bocca aperta, non si aspettava che Kanda provasse una sorta di affetto per lei. Scacciò quel pensiero, non doveva dimenticare chi aveva davanti: un assassino. La sua curiosità era stata soddisfatta, sapeva come si erano svolti i fatti, poteva anche andarsene.

Si staccò dalla parete, ripiegò la copertina e si voltò verso la porta.

Kanda si allarmò:

“Dove state andando?”

“A casa. - rispose senza voltarsi – Non abbiamo più nulla da dirci!”

“Non puoi andartene così! Sei mia sorella!” Koshi tentò di protendersi in avanti per fermarla, ma le catene lo trattennero con un rumore sferragliante che avrebbe potuto allertare Jito.

Yoshiko si girò di scatto, gli occhi gelidi:

“No, io non sono la tua famiglia! Ne ho già una, anche se tu hai ucciso l'uomo che mi ha salvato dall'acquazzone e mi ha donato tutto il suo amore.”

Aprì la porta e se ne andò senza dire più nulla. Nel momento in cui Kanda l'aveva rivendicata come sorella, in lei era rinato il suo senso di appartenenza alla famiglia Fujisawa: Kyoko e Keitaro sarebbero stati per sempre i suoi genitori poiché, nonostante non fosse nata da loro, avevano scelto di amarla. Le avevano donato più bene loro di chi aveva legami di sangue con lei.

 

 

 

Dopo che Yoshiko se ne fu andata, Kanda si mise a sedere e divenne preda dei ricordi che aveva seppellito dentro di sé.

Ricordò della lettera che Lady Miyoko aveva ricevuto dal marito per informarla che sarebbe tornato a casa in pochi giorni, finalmente la campagna militare a cui si era arruolato era giunta al termine. Questo l'aveva gettata nel panico e l'aveva fatta decidere di allontanare la bambina nata da poco.

“Koshi – l'aveva chiamato – devi fare una cosa molto importante per me. Porta lontano questa bambina, portala al sicuro. Tuo padre non deve vederla e non dovrà mai sapere di lei. Io non posso lasciare la casa, devi farlo tu.”

Con gli occhi pieni di lacrime, aveva avvolto la piccola in quella copertina che le aveva visto realizzare appositamente nei mesi precedenti, e le aveva dato un bacio sulla fronte prima di consegnargliela.

“Spero che dove andrai sarai felice.” Le aveva sussurrato.

Al tempo Kanda si era chiesto perché la bambina dovesse sparire, ma non aveva osato chiedere nulla alla madre, era troppo agitata, ed in seguito non c'era stata occasione di riparlarne. Ora capiva che la piccola doveva essere figlia di qualche amante di Lady Miyoko e Lord Kanda non l'avrebbe mai tollerato. Suo padre era un uomo violento e di sicuro si sarebbe sbarazzato della bambina nel peggiore dei modi e nemmeno a sua madre l'avrebbe fatta passare liscia.

Ricordò l'angoscia con cui aveva scoperto che la bambina era sparita nella foresta, quando era tornato con delle bacche da mangiare. L'aveva cercata dietro ogni albero, in ogni anfratto, aveva tentato di seguire la pista delle orme, ma dopo qualche metro si era interrotta. Aveva sperato che fosse stata trovata da qualcuno che se ne sarebbe preso cura meglio di quanto aveva fatto lui.

Dopo molte ore era rientrato a casa e non aveva avuto il coraggio di confessare di non essere riuscito a portare al sicuro la piccola, non avrebbe potuto sopportare lo sguardo deluso di sua madre.

Quando suo padre era finalmente arrivato, qualche giorno più avanti, nella casa non era rimasto nessun indizio che potesse far pensare che un bambino vi avesse abitato.

Ricordò anche il giorno della morte di Lady Kanda, alla fine di quello stesso anno. Si domandò se la madre fosse morta per volere della Dea o se, invece, qualche servitore si fosse lasciato sfuggire qualcosa sulla bambina ed il Lord avesse agito di conseguenza.

Senza più Miyoko a mostrargli valori positivi, Koshi si era ritrovato in balia della crudeltà di suo padre che gli aveva trasmesso il suo modo di vivere, la sua sete di rivalsa ed il suo disprezzo per la Famiglia Reale e la politica troppo buonista che secondo lui aveva intrapreso: un sovrano, per definirsi tale, non deve avere nessuna pietà. Il Lord l'aveva mandato a combattere oltre confine in compagnia di personaggi poco raccomandabili che l'avevano reso ancora più spietato.

Poi aveva incontrato Kumi ed aveva perso anche le ultime briciole di bontà che gli erano rimaste.

Kanda si prese la testa tra le mani. Aveva i polsi ancora legati alle catene, Jito se la stava prendendo comoda prima di tornare a liberarlo. Pensò alla bambina segreta, a Yoshiko ed al fatto che avesse trovato un'ottima famiglia in cui crescere. Averla salvata dalla furia di Lord Kanda era forse l'unica cosa buona che avesse fatto nella sua vita, ed era riuscito a rovinare anche quella: aveva ucciso l'uomo che l'aveva trovata e le aveva dato una vita migliore di qualsiasi aspettativa.

Per la prima volta, l'ex Sovrintendente iniziò a pensare che quella cella buia fosse il posto adatto ad uno come lui.




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Dunque, con questo capitolo abbiamo ufficialmente superato la lunghezza della storia madre!  XD
Ed abbiamo la soluzione al grande mistero su chi fossero i veri genitori di Yoshiko. Vedremo poi se la rivelazione scombussolerà nuovamente gli equilibri: tra tutti credo che poprio Kanda fosse l'ultimo che Yoshiko vorrebbe come parente...

Informazione di servizio: per vari motivi, settimana prossima NON ci sarà l'aggiornamento, ci vediamo tra 15 giorni.

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Capitolo 19
*** Sonetto XIX ***


Febbraio, Anno 2740 dal Trionfo della Dea

 

L'ultimo accordo risuonò limpido nel Tempio della Divina Machiko, disperdendosi lentamente in armonia perfetta.

“Molto brave ragazze. Per oggi basta così. - Il Maestro congedò con un sorriso soddisfatto le fanciulle del coro. - Ci vediamo alla prossima prova, a casa mia. Stringete bene i mantelli e i cappucci nell'uscire.”

“Arrivederci maestro.”

Il gruppo si disperse lentamente, chiacchierando sottovoce e sistemando nelle sacche di stoffa le pergamene su cui erano scritte le parti.

Aiko restò un poco indietro indecisa su cosa fare: era preoccupata per lo strano comportamento di Yoshiko che si trascinava ormai da parecchi mesi. Era cominciato tutto poco dopo la metà di settembre, se n'era accorta quasi subito ed aveva delicatamente fatto capire all'amica di potersi confidare con lei, ma Fujisawa si era chiusa in sé stessa. Aiko aveva deciso di rispettare i suoi tempi e non l'aveva forzata a confidarsi, pensando che Yoshiko sarebbe venuta da lei se ne avesse avuto bisogno. Tuttavia la vedeva partecipare alle prove del coro con scarso entusiasmo, quando invece cantare le aveva sempre portato gioia. Perfino dopo la morte del padre non aveva mai saltato una prova, fino a quel momento: erano due volte consecutive che Yoshiko mancava. Il Maestro non sembrava preoccupato, ma Aiko sentiva l'inquietudine farsi strada sempre di più.

Controllò che la fibbia del mantello fosse chiusa saldamente prima di infilarsi i guanti e scendere dall'altare. Percorse la navata stringendo la sacca al petto, superando una colonna dopo l'altra.

Si voltò verso la statua della Dea alla ricerca di un consiglio silenzioso e vide il Sacerdote Matsuyama inginocchiato in preghiera.

Nel Tempio erano rimasti solo loro due ed interpretò il fatto come un segnale.

Prese la sua decisione.

Respirò a fondo e si diresse verso l'uomo.

“Sacerdote Matsuyama – Esordì – Posso parlarvi un istante?”

L'uomo si voltò nella sua direzione e si rialzò per salutarla:

“Lady Aiko, che la Pace della Dea sia con voi. Venite pure.”

Le fece cenno di seguirlo lungo la navata.

Ad Aiko piaceva molto l'abitudine del Sacerdote Matsuyama di utilizzare il titolo di Lady per tutte le ragazze del coro, abbinato però al nome proprio delle fanciulle e non a quello della famiglia. Le dava l'idea del profondo rispetto che il Sacerdote aveva per loro, ma al tempo stesso le trasmetteva vicinanza. Era una formula che Matsuyama aveva trovato nei primi anni del suo servizio, quando era solo di poco più grande delle Ancelle più esperte e si faceva scrupolo a chiamarle semplicemente per nome, come invece faceva il Sacerdote Sasaki, con tutto l'affetto di un nonno un po' speciale.

“Mi dispiace disturbarvi, ma sono molto preoccupata per Yoshiko. Ha saltato due prove del coro, è forse malata?” Prese il discorso alla larga, non sapendo quanto potesse spingersi con il Sacerdote, ma era l'ultimo parente che restava alla sua amica.

Hikaru sospirò rassegnato.

“Nulla di grave, semplicemente non è un periodo felice per mia cugina.”

“Soffre ancora molto per la perdita del padre?” Domandò Aiko, tenendo lo sguardo basso.

Matsuyama soppesò la risposta, poiché non voleva tradire i segreti che Yoshiko aveva deciso di tenere.

“È stato un brutto colpo per lei, trovarsi così giovane orfana di entrambi i genitori.” Ripensò a sé stesso ed a come si era sentito lui nella medesima situazione.

Aiko annuì e spostò delicatamente un ciuffo di capelli castani dietro l'orecchio.

“Pensavo l'avesse superato almeno in parte: al matrimonio dei Principi era così radiosa. Dopo invece ha cominciato ad essere sempre più distante. - strinse convulsamente a sé le pergamene – Ho tentato qualche volta di farmi raccontare cosa la turba, ma non ha mai voluto. Ora ha cominciato anche a saltare le prove di canto, sono molto preoccupata. Ho paura di perderla.”

Alcune lacrime avevano fatto capolino dagli occhi chiari della fanciulla.

Hikaru si rese conto in quel momento di come il comportamento di Yoshiko non stesse facendo del male solo a lei e a lui, ma stava facendo soffrire tutti coloro che le volevano bene. La giovane che aveva davanti gli ispirò tanta pena per quel dolore composto.

Incurante del fatto che qualcuno potesse entrare nel Tempio e fraintendere la situazione, il Sacerdote appoggiò le proprie mani su quelle della fanciulla per consolarla.

“Lady Aiko, state tranquilla. Ultimamente Yoshiko non si confida molto nemmeno con me, ma vi prometto che questa situazione si risolverà. Abbiate fiducia nella Dea.”

“Grazie Sacerdote Matsuyama. - Aiko gli sorrise grata – Ora devo proprio andare.”

Si voltò e lievemente si incamminò verso l'uscita del Tempio, lasciando dietro di sé un Hikaru sempre più pensieroso e cupo.

Questo terminò di controllare che tutto fosse a posto e poi si diresse verso la sua abitazione, pronto ad affrontare una battaglia che non poteva più permettersi di rimandare. Davanti alla giovane Aiko aveva deciso di mostrarsi sicuro e meno preoccupato di quanto in realtà fosse: temeva di non riuscire nemmeno a scalfire il muro che Yoshiko aveva eretto tra loro ed il fatto che la cugina avesse allontanato tutte le persone a lei care, fino ad arrivare a rinunciare al canto, l'aveva messo in allarme e spaventato come qualche settimana prima, quando non l'aveva trovata in casa ed aveva scoperto che si era allontanata a cavallo dalla Cittadella per andare alla Prigione Hirado. Se prima il loro equilibrio era precario, da dopo che aveva incontrato Kanda la situazione era precipitata, nell'unico momento in cui erano riusciti a parlarsi era riuscito solo ad alzare la voce con la cugina per rimproverarla del suo gesto. Da allora vivevano due esistenze separate, pur sotto lo stesso tetto.

Matsuyama si ritrovò a pensare che forse avrebbe dovuto permetterle di andarsene dalla sua abitazione, per il suo bene sarebbe stato meglio allontanarla.

Entrò in casa e come sempre di Yoshiko non c'era traccia. La porta della sua stanza era appena socchiusa.

Hikaru decise di non farsi fermare da nulla, doveva arrivare a scuotere Yoshiko e per farlo non doveva darle il tempo di chiudersi a riccio.

Si avvicinò silenziosamente alla porta, spostandola poco a poco, sperando che qualche cigolio non lo tradisse.

Trovò la cugina rannicchiata sul proprio letto, intenta a piangere disperata.

Vederla debole e disarmata gli strinse il cuore in una morsa e gli fece abbandonare i propositi di mostrarsi inflessibile. La raggiunse.

“Yoshiko, che cosa ti sta succedendo?” Le domandò sussurrando.

La donna sussultò spaventata, poiché non l'aveva sentito entrare. Sollevò la testa dalle ginocchia e permise al cugino di vedere i suoi occhi arrossati.

“Tu non mi vuoi.”

Le quattro parole colpirono Hikaru in pieno petto: di tutto ciò che lei avrebbe potuto dirgli, erano le ultime che avrebbe creduto di sentire.

“Che cosa dici?” Riuscì solo a balbettare.

“Da quando hai scoperto che sono imparentata con Kanda mi guardi sempre in modo strano e non fai altro che controllarmi. Hai paura che organizzi un colpo di stato?” Il tono le uscì a metà tra lo sconfortato e l'accusatore, tra le lacrime che solcavano le guance.

“Non...”

Yoshiko scosse la testa, impedendo ad Hikaru di terminare la frase appena abbozzata.

“Non posso dimenticare come mi hai urlato contro quando sono tornata dalla prigione, quando sono andata a cercare notizie!”

Matsuyama abbassò lo sguardo, vergognandosi di aver ceduto agli impulsi quella volta: aveva provato talmente tanta paura nel non trovarla, che quando era tornata si era trasformata in ira e non aveva saputo fare altro che aggredirla, contribuendo a rinforzare il muro invece di abbatterlo. Aveva anche provato rabbia nei confronti della Principessa che le aveva fornito i documenti necessari per accedere alla cella di Kanda.

“Io, non volevo urlare così – le rivelò – ero solo preoccupato che ti fossi cacciata in qualche guaio ad uscire di nascosto.”

“Tu non mi avresti mai permesso di andare!” Lo fissò intensamente, ma Hikaru era determinato a non cedere.

“Non da sola! Ti avrei accompagnata, se me ne avessi parlato!”

Fu Yoshiko a ricevere una stilettata nel petto: chiusa nel suo isolamento aveva interpretato in maniera scorretta i gesti e gli atteggiamenti di Hikaru, costruendosi una visione distorta di ciò che accadeva intorno a lei. Tentò in ogni caso di mantenere la discussione sulla via in cui l'aveva indirizzata.

“Ti farà piacere sapere che io e Kanda abbiamo in comune solo la madre.”

Nella rivelazione Hikaru lesse una voglia latente di raccontare cosa fosse successo alla prigione e si vergognò ancora di più di aver reagito in maniera da scoraggiare qualsiasi racconto da parte della cugina. Si sedette sul bordo del letto e con un gesto delicato le prese una mano.

“Dimmi cosa è successo. Desidero sapere cosa ti ha detto Kanda.”

Le parole uscirono come un fiume in piena dalla bocca di Yoshiko.

Matsuyama ascoltò tutto con attenzione, riuscendo a cogliere anche i sottintesi al racconto che probabilmente alla fanciulla erano sfuggiti: se veramente Yoshiko era figlia illegittima, la sua vita sarebbe stata molto dura, poiché lo stato sociale di un figlio bastardo era assai inferiore a quello di molti altri, i bambini nati fuori dai vincoli matrimoniali erano considerati privi di diritti.

Terminato di narrare, Yoshiko si sentì svuotata, persino delle lacrime.

“Sai – le sussurrò il Sacerdote – credo che tua madre ti volesse bene, ti ha fatto allontanare per darti una vita migliore.”

“Se lo dici tu. – ribatté la donna – Tuttavia i miei veri genitori sono coloro che mi hanno cresciuto, sono le uniche persone che possono meritare questo titolo, avrei dovuto capirlo prima.”

Hikaru si sporse e l'abbracciò stretta.

“Loro ti hanno amata con tutto il cuore, è questo che conta davvero. Ricordati che l'amore è il primo grande insegnamento della Divina Machiko ed è su ciò che dobbiamo basare le nostre vite.”

Yoshiko annuì impercettibilmente, non riuscendo però a scacciare una sensazione di vuoto dentro di sé.

“Sono comunque anche sorellastra del traditore del Regno, sono una persona per cui provare ribrezzo.”

Matsuyama indurì il tono di voce, tenendola ugualmente tra le braccia.

“Non voglio sentire mai più un'affermazione del genere. Zia Kyoko e zio Keitaro ti hanno cresciuta insegnandoti ad agire correttamente ed io ti conosco da quando eri solo una bambina, so che sei una persona buona, una persona a cui tutti vogliono bene. Aiko era molto preoccupata per te, è venuta a chiedermi tue notizie.”

Yoshiko riuscì a tranquillizzarsi e per qualche istante restò in silenzio a meditare sulle parole del cugino: gli avvenimenti dell'ultimo periodo l'avevano fatta dubitare anche di sé stessa.

Ad un certo punto tentò di divincolarsi:

“Hikaru, non dovremmo. Non è opportuno.”

Per reazione Hikaru strinse la presa.

“Non mi interessa. Non voglio più farmi guidare da cosa possa essere opportuno o meno per gli altri. Io ti ho vista crescere, ti ho voluto bene dal nostro primo incontro e te ne vorrò per sempre. Scusami se in questi mesi non ho potuto aiutarti come meritavi.”

“Sono io che non ho permesso a nessuno di aiutarmi. - Rispose la ragazza, consapevole di ciò che avrebbe potuto succedere se la situazione non si fosse sbloccata – Ho rischiato di perdere te, oltre che me stessa.”

“Non l'avrei mai permesso.” Hikaru le depositò un bacio affettuoso sul capo, come quando era bambina.

Yoshiko percepì l'affetto del gesto e cominciò a sentire il calore dell'abbraccio di Hikaru e del contatto col suo corpo, col suo profumo. Sollevò la testa per guardarlo ed uno strano pensiero le si affacciò alla mente: non aveva mai notato quanto il cugino fosse affascinante con i suoi occhi scuri. Sentì il cuore accelerare nel petto e le guance arrossire. Abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole, e si rifugiò ancora più tra le sue braccia, sperando che il Sacerdote non avesse colto il suo nuovo turbamento.






________________________________
Dopo tanta pena, pare che per Yoshiko ed Hikaru stia tornando il sereno: sono riusciti a dirsi cose che hanno tenuto ognuno per conto proprio per troppo tempo.
Ora però ci sarà da fare i conti con il "risveglio ormonale" di Yoshiko. ;)

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Capitolo 20
*** Sonetto XX ***


Aprile, Anno 2740 dal Trionfo della Dea

 

Yoshiko ed Aiko stavano sorseggiando un bicchiere di latte e mangiando alcuni frutti sedute nella sala dei ricevimenti della famiglia Nakano. Dopo le prove del coro avevano iniziato a chiacchierare lungo la strada ed avevano talmente tante cose da dirsi da non aver esaurito la conversazione giunte davanti all'abitazione di Aiko. Un servo le aveva fatte accomodare, aveva portato il cibo e le aveva lasciate sole.

“Per amor della Dea! - esclamò Aiko con un certo disappunto – Ho 21 anni e ancora non mi portano da bere del vino.”

Yoshiko ridacchiò, ricevendo in risposta uno sguardo offeso.

“Scommetto che tu non hai di questi problemi e sei pure più piccola di me!”

“Mio padre mi lasciava bere mezzo bicchiere a volte ed anche Hikaru non me lo proibisce.”

Aiko sospirò.

“Solo i Lord Nakano sono così retrogradi. Spero che mio marito non sarà così.”

Fujisawa stava per ridere una seconda volta, ma lo sguardo serio dell'amica la fece desistere e le fece comprendere che erano giunte al motivo per cui l'aveva quasi costretta a seguirla in casa.

“Vorresti dirmi che...”

“Esatto. - confermò Aiko – Mi sposerò il mese prossimo e dovrò lasciare le Ancelle. Te l'avrei detto prima, ma eri occupata coi tuoi problemi.”

Le fanciulle che facevano parte del coro dovevano essere di buona famiglia e rigorosamente nubili: nemmeno la più dotata di loro avrebbe potuto continuare a cantare una volta sposata.

“Scusami, sono stata concentrata solo su di me, dimenticando il resto.” Rispose Yoshiko abbassando lo sguardo sinceramente dispiaciuta, ma Aiko appoggiò le proprie mani sulle sue.

“Avevi tutti i motivi per rimuginare.”

Una volta chiarito con Hikaru e su suo consiglio, Yoshiko si era aperta con l'amica riguardo la propria situazione di figlia adottata ed aveva trovato in essa un valido sostegno e un supporto pieno di affetto. Naturalmente non le aveva raccontato proprio tutto, aveva taciuto per il momento la sua parentela con Kanda, tuttavia avere una persona con cui parlare l'aveva aiutata a mettere ordine nei suoi pensieri e nelle sue emozioni.

“Allora, chi è il fortunato?”

“Un nobile di Kobe. I nostri genitori hanno combinato il matrimonio da qualche anno. L'ho incontrato alcune volte e per ora mi piace. Poteva andarmi peggio.”

La giovane si strinse nelle spalle: data la sua posizione sociale, un matrimonio combinato era ciò che ci si aspettava da lei ed i nobili Nakano erano tra i più rispettosi delle tradizioni, ancora sussurravano sottovoce per la scelta del Principe Jun di contrarre matrimonio per amore e non per ottenere importanti alleanze politiche.

“Vuoi dire che non ti è capitato un vecchietto calvo e con la pancia?” Yoshiko provocò bonariamente.

“Certo che no! A quello mi sarei opposta, a costo di andare a chiedere asilo nell'Hokkaido!”

Le due ragazze scoppiarono a ridere divertite per l'assurdità dell'affermazione.

“Takeshi è un uomo molto affascinante, per ora!”

Per il troppo ridere Yoshiko aveva quasi le lacrime agli occhi.

Un pensiero le attraversò la mente: aveva un solo anno di differenza con Aiko e se suo padre fosse stato ancora in vita avrebbe presto cominciato a prendere accordi per accasarla o forse l'aveva già promessa a qualcuno. Ora era sola, chi avrebbe provveduto a trovarle un marito? Hikaru, forse?

 

 

 

Hikaru era nella stanza al pian terreno della sua abitazione, intento a mettere in ordine alcune pergamene e vecchi codici. Come suo solito, teneva la porta d’ingresso aperta, in modo che chiunque desiderasse parlargli potesse raggiungerlo con facilità. Alcuni fedeli, non trovandolo al Tempio, venivano a cercarlo a casa, mentre altri erano più discreti ed osavano avvicinarsi alla sua abitazione solo se vedevano la porta aperta, consci del fatto che anche il Sacerdote potesse avere momenti in cui non avrebbe potuto ricevere alcuno.

Matsuyama srotolò una pergamena ed iniziò a leggerne il contenuto con attenzione.

Un'ombra si proiettò dalla porta della stanza, costringendolo ad alzare gli occhi.

“Buonasera, Sacerdote Matsuyama.”

“Che la pace della Dea sia con voi, Lord Abe”

Terminati i convenevoli di rito e fatto accomodare l'ospite su una panca, il Sacerdote esordì nella conversazione:

“A cosa devo la vostra visita Lord? Spero nulla di grave.” La famiglia Abe viveva ad un giorno di viaggio dalla Cittadella e si recava al Tempio della capitale solo in occasione delle festività maggiori.

L'uomo si schiarì la voce.

“Sono venuto da voi in quanto ultimo parente e tutore di Lady Fujisawa.”

All'affermazione Matsuyama avvertì una strana scossa, poiché era la prima volta che veniva interpellato in quanto responsabile di Yoshiko.

“Non so se il povero Lord Fujisawa vi avesse accennato ai suoi progetti per il futuro della figlia o se non ne avesse ancora fatti. Io ho una proposta per voi.”

Hikaru scosse la testa.

“Mio zio non mi ha accennato nulla. Del resto la sua condanna è stata eseguita così rapidamente da non aver avuto modo di discutere con lui dei suoi affari.” O meglio, ricordò, aveva avuto un fugace incontro con lo zio, in cui l'aveva messo a parte del segreto più importante, tutte le altre questioni erano scivolate con naturalezza in secondo piano.

Il Lord si rese conto del turbamento che aveva investito il suo interlocutore.

“Scusatemi, Sacerdote, se vi ho riportato alla mente lo spiacevole episodio. Non era mia intenzione.”

Matsuyama si affrettò a tranquillizzarlo.

“Ne sono consapevole.”

Lord Abe proseguì più baldanzoso:

“Bene: sono venuto a proporvi di concedere la mano di vostra cugina a mio figlio. Le nostre famiglie sono entrambi nobili ed antiche, questa unione porterà vantaggi a tutti e permetterà che i capitali di vostro zio non vadano perduti.”

Hikaru si sentì mancare l'aria.

In una remota parte della sua testa, sapeva che prima o poi Yoshiko avrebbe dovuto trovare un uomo e sposarsi e che sarebbe stato compito di Lord Fujisawa provvedere a scegliere un candidato adatto. Era l'ordine naturale delle cose.

Ma l'ordine naturale era stato spezzato con l'esecuzione di Keitaro Fujisawa.

Ora sarebbe toccato ad Hikaru prendere ogni decisione, o, peggio ancora, alla luce delle ultime scoperte, anche Kanda avrebbe potuto avere voce in capitolo.

“Ho bisogno di tempo per pensare. - rispose diplomaticamente – La vostra è un'offerta generosa, ma devo controllare se nei vecchi documenti di Lord Fujisawa fosse presente un accordo con un'altra famiglia.”

L'uomo davanti a lui rispose tranquillo.

“Capisco. Se posso darvi un consiglio, non arrovellatevi troppo: se esistesse un pretendente già scelto dal Lord, si sarebbe presentato tempo fa a reclamare i suoi diritti. Ad ogni modo non posso attendere molto. Domani devo rientrare nei miei poderi.”

Il Sacerdote annuì.

“Avrete la vostra risposta prima della partenza. Mi avete colto di sorpresa e, per quanto la vostra sia una proposta molto allettante, non posso decidere del futuro di Lady Fujisawa senza riflettere.”

“Buona serata, Sacerdote.”

Lord Abe se ne andò con una certa delusione, evidentemente aveva sperato che Matsuyama avrebbe accettato senza riserve la sua proposta.

Hikaru, da parte sua, dimenticò del tutto ciò che stava facendo e si perse in lunghe riflessioni su tutta la questione. Aveva sempre considerato Yoshiko come la sua piccola cugina e non l'aveva mai veramente guardata come una giovane donna, complici anche i problemi degli ultimi mesi: solo in quel momento, focalizzando nella mente l'immagine della fanciulla, parve rendersi conto di quanto fosse cresciuta e diventata oggettivamente bella. Sommando a questo le sue origini nobili, Yoshiko diventava un partito molto ambito. Lord Abe sarebbe stato solo il primo a venire a chiedergli la sua mano.

Improvvisamente, Hikaru si rese conto di considerare fastidiosa l'idea che Yoshiko si sposasse, che lo lasciasse.

Tentò di scacciare quello stupido pensiero dalla testa, in fondo era giusto che la cugina si costruisse una propria famiglia, non poteva tenerla legata a sé per sempre, sarebbe stato molto egoista da parte sua. Doveva lasciarla andare.

Conosceva di vista il figlio di Lord Abe e provò ad immaginarlo accanto a Yoshiko: avrebbero formato una bella coppia.

La sensazione di fastidio non si affievolì, al contrario, divenne pesante come un macigno nello stomaco.

Si rese conto di non essere abbastanza lucido per prendere una decisione del genere, la soluzione più giusta sarebbe stata parlarne apertamente con Yoshiko: non voleva metterla di fronte ad un fatto compiuto e rischiare di rovinare nuovamente il loro rapporto.

 

 

 

 

 

“Hey, Yoshiko! Sei nel mondo della Dea?”

Aiko distolse bruscamente l'amica dal pensiero in cui era piombata da alcuni minuti.

“Scusami – Fujisawa abbassò la testa – Pensavo a quale futuro avrebbe scelto mio padre per me.”

Aiko le sorrise affettuosamente.

“Sicuramente un futuro che ti avrebbe resa felice.”

“Tu credi?”

“Certamente. Lord Fujisawa, pur essendo legato alle tradizioni, ha dimostrato in passato di avere una mentalità molto aperta: pensa a tua zia Rina.”

Yoshiko dovette ammettere che l'amica aveva ragione.

“Già. Lei ha potuto formare una famiglia con l'uomo di cui si era innamorata, nonostante non fosse nobile.”

Entrambe bevvero un lungo sorso dai loro bicchieri.

“Però temo che nemmeno Lord Fujisawa avrebbe immaginato che sua figlia non avesse occhi che per un Sacerdote.”

All'insinuazione maliziosa di Aiko, Yoshiko rischiò di soffocarsi con il latte.

“Ma cosa dici?” Riuscì a replicare tra un colpo di tosse e l'altro.

“Quello che mi hai raccontato tu, che ti sei resa conto che tuo cugino è un uomo affascinante.”

Fujisawa arrossì di colpo, le guance preda di intense vampate di calore. Da un po' di tempo anche solo pensare a Hikaru le provocava quell'effetto.

“Aiko, è stata una confidenza. Sai benissimo che non potrà mai succedere: i Sacerdoti non possono sposarsi!”

La giovane Nakano sospirò, alzandosi.

“Lo so, ma Matsuyama ti direbbe che le vie della Dea sono infinite.”

“È proprio una frase da lui.”

Entrambe scoppiarono a ridere sinceramente divertite.

Anche Yoshiko si alzò e si avvicinò all'amica.

“Vorrei poter dire ad Hikaru quello che sto provando per lui, ma non voglio distoglierlo dai suoi doveri verso la Dea, è sempre stato così felice nel servirla. A volte, quando siamo insieme e mi viene troppo vicino ho paura che possa accorgersi di quanto il mio cuore batta forte.”

“Oh Yoshiko! È la tua prima cotta, passerà e starei meglio.”

Aiko la abbracciò stretta a sé.

“Lo sai che su di me puoi sempre contare. Anche se dopo che sarò sposata lascerò la Cittadella, potrai sempre mandarmi a chiamare, per qualsiasi cosa.”

Fujisawa rispose alla stretta dell'amica, vergognandosi ancora per averla esclusa nel periodo più buio per lei e allo stesso tempo ringraziando la Dea che le aveva donato il canto ed il coro. Nelle Ancelle di Machiko aveva incontrato amiche sincere che prima, col suo carattere chiuso, non era riuscita a trovare.

“Si sta facendo tardi, è meglio che ritorni al Tempio.” Yoshiko si congedò.

“Aspetta! – Aiko la trattenne – Ti ho fatto venire oggi perché volevo chiederti un regalo: canteresti da solista al mio matrimonio? Ci terrei tantissimo.”

Gli occhi di Yoshiko brillavano di entusiasmo mentre afferrava le mani dell'amica.

“Sarà un vero onore!”

 

 

 

 

Quando in serata salì al primo piano, Hikaru sentì strani rumori provenire dalla camera di Yoshiko. Allarmato, corse a controllare cosa stesse accadendo.

Dalla soglia vide la cugina intenta a rovistare tra le sue cose, sul fondo dei bauli e nell'armadio.

Pur nella frenesia della ricerca, Fujisawa si muoveva leggera ed aggraziata, grazie alla rigida istruzione ricevuta, mentre alcune ciocche di capelli cominciavano a sfuggirle dall'acconciatura. Era un tratto che aveva in comune con sua madre: Hikaru aveva visto spesso la zia Kyoko doversi appartare per rimettersi in ordine.

Si sorprese a studiare con attenzione la figura slanciata di Yoshiko, a notare tutti i cambiamenti rispetto all'immagine di bambina e di ragazzina che aveva nella testa e di come, nonostante la generale magrezza della fanciulla, l'abito di lana che indossava fosse ben riempito nei punti giusti. Le guance erano un poco arrossate per lo sforzo e le labbra, rosa e delicate, si piegavano ogni tanto in espressioni di disappunto.

Yoshiko era diventata decisamente una bella donna.

Hikaru chiuse gli occhi un istante, per cancellare quei pensieri poco consoni alla sua posizione.

“Divina Machiko, forse tu sai dove ho messo quelle pergamene!”

A Matsuyama venne da ridere e riaprì gli occhi.

“Si può sapere cosa staresti cercando?”

Fujisawa si drizzò di scatto e si voltò verso il cugino:

“E tu da quanto tempo sei lì a spiare?”

“Eh dai, Yoshiko, se vuoi ti aiuto.”

“Grazie. - rispose lei, invitandolo ad entrare nella piccola camera – Sto cercando le pergamene con i canti delle cerimonie nuziali. Aiko si sposa e mi ha chiesto di cantare come solista! Devo esercitarmi, ma soprattutto vorrei realizzare col maestro una nuova versione di una delle ballate tradizionali, per farle una sorpresa!”

Hikaru notò la luce che brillava negli occhi della fanciulla, ma non riuscì a capire se fosse l'entusiasmo per l'amica o per la questione del matrimonio in generale. Lo colse lo stesso fastidio che l'aveva colto alla presenza di Lord Abe a immaginare Yoshiko in vesti nuziali.

Decise di affrontare subito l'argomento.

“Yoshiko, ti devo dire una cosa.”

Fujisawa si interruppe bruscamente, preoccupata per la gravità del tono che aveva percepito.

“È successo qualcosa di brutto?”

Il Sacerdote scosse la testa.

“Non preoccuparti. Credo che data la nostra situazione particolare sia giusto che anche tu possa esprimere la tua opinione. Ti ricordi di Lord Abe?”

“Mi ricordo vagamente. Perché?” Rispose la giovane, accomodandosi sul letto per affrontare la discussione.

“Mi ha proposto di farti sposare con suo figlio.”

Yoshiko sentì il cuore accelerare: un matrimonio l'avrebbe costretta ad allontanarsi da Hikaru e, per quanto fosse consapevole che i suoi sentimenti fossero destinati ad essere soffocati, non era pronta per la separazione.

“Che cosa hai risposto?”

“Ho preso tempo. Volevo sentire la tua opinione e capire se lo zio avesse già fatto progetti per te in tal senso.”

Hikaru disse tutto con la bocca secca.

“Non sono pronta per un matrimonio ora. Ti prego, non accettare!” Nel suo sguardo la luce gioiosa di poco prima si era spenta ed aveva lasciato il posto alla supplica.

“Ne sei certa? La famiglia Abe è molto prestigiosa, sarebbe un ottimo matrimonio.”

“Ma io non voglio! - gli occhi le si riempirono di lacrime – Dì loro che sono ancora in lutto per mio padre, che sono promessa a qualcun altro, qualunque cosa, ma se vuoi davvero ascoltare la mia opinione non costringermi a sposarmi ora.”

Matsuyama le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla.

“Faremo come vuoi tu. Domani riferirò al Lord che rifiutiamo la sua proposta.”

“Grazie.”

La donna inclinò la testa fino a sfiorare con una guancia la mano di Hikaru.

Il Sacerdote non poté negare a sé stesso di sentirsi sollevato per la decisione presa dalla cugina, per il momento la situazione sarebbe rimasta stabile.

Fino all'arrivo di un nuovo pretendente.

E di quello successivo.

Ad un certo punto Yoshiko avrebbe scelto qualcuno.

Doveva farsene una ragione, per il bene di tutti.

 


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A quanto pare è tempo di matrimoni..... anche se non tutti paiono essere graditi. ;)
I nostri due protagonisti sembra che stiano raggiungendo, chi più chi meno, importanti consapevolezze, ma come si farà con le regole sociali?

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Capitolo 21
*** Sonetto XXI ***


21 Giugno, Anno 2740 dal Trionfo della Dea

 

Era stata decisamente una bella giornata, una festa sentita per festeggiare il suo compleanno. Era stata organizzata nella piazza principale della Cittadella, proprio davanti al Tempio di Machiko e tutti vi avevano partecipato: i Principi, la Principessa, nonostante secondo i calcoli delle Levatrici dovesse essere a un paio di settimane dal parto, il Capitano della Guardia e molti dei suoi uomini. Kojiro Hyuga era addirittura arrivato con la moglie da Saitama.

Poi c'erano stati buona parte dei cittadini, ormai affezionati alla loro guida spirituale. Per finire, c'era stata Yoshiko ed era sicuro fosse stata lei la prima a proporre quei festeggiamenti collettivi: avrà pensato che gli avrebbero fatto piacere. Quanto lo conosceva bene!

Per lui essere Sacerdote non significava essere sopra gli altri abitanti della Cittadella, era essere parte integrante ed attiva in mezzo ad essi, come una sola grande famiglia, esattamente come aveva imparato all'Hokkaido. Tanto più ora che i suoi legami famigliari erano tutti spezzati.

Yoshiko restava per lui sua cugina solo formalmente, non poteva più negarselo, sarebbe stato negare l'evidenza. Anche quel pomeriggio, nonostante fosse sempre attorniato dalla gente, ogni tanto sollevava lo sguardo alla ricerca della giovane donna e trovava ristoro solo quando la individuava. A volte, lei si accorgeva che lo guardava, e gli sorrideva in risposta. In quei momenti si sentiva come quando da ragazzino veniva sorpreso dalla madre con un cucchiaio di legno in mano per tentare di assaggiare la confettura ancora in lavorazione.

Altro che trentenne!

Del resto il suo amore era sempre stato rivolto alla Dea, non aveva mai pensato di poter provare qualcosa che andasse al di là del sentimento fraterno, o parentale, nei confronti di altri.

L'ironia della sorte: lui che predicava l'amore come motore del mondo, non ne aveva conoscenza diretta nella sua accezione romantica e non avrebbe dovuto averne, poiché ai Sacerdoti era imposto il celibato.

Prima di ritirarsi a dormire, si fermò ai piedi della statua della Dea, per recitare l'ultima preghiera del giorno, per ringraziare dell'affetto che gli era stato dimostrato e per chiedere aiuto nel gestire la propria difficile situazione emotiva.

“Hikaru!”

Il Sacerdote sobbalzò.

Conosceva quella voce, l'aveva già sentita una volta rivolgerglisi così apertamente, molti anni prima. Come allora il Tempio sembrò invaso di luce ed il volto marmoreo della Dea farsi animato.

“Divina Machiko, sono al tuo servizio.” Rispose Matsuyama

“Hikaru, Hikaru, ancora non hai imparato che non devi scegliere l'amore?”

L'uomo sbatté le palpebre, perplesso, poiché non si era aspettato di venire ripreso a quel modo.

“Mia signora, perdonami. Ho promesso a te tutto il mio amore ed ultimamente non ne sono stato in grado.”

La statua della Divina Machiko parve sorridere benevola.

“Dimmi, Hikaru: se l'amore è infinito, come si può donarlo tutto?”

“Non si può.”

“Allora perché temi che sia un male che il tuo amore assuma varie forme?”

Matsuyama era sconcertato e confuso. Si passò una mano sulla nuca.

“Non capisco.”

“Non temere che amare una donna sia un'offesa a me, perché l'amore che tu porterai a lei non potrà mai essere come quello che porti a me, così come l'amore che porti a me non potrà mai essere come quello che portavi ai tuoi genitori o ai fedeli di cui ti prendi cura ogni giorno. Eppure è sempre amore.”

Il Sacerdote cadde in ginocchio di fronte alla statua.

“Se è così, mia Dea, perché quando ho preso i voti e sono diventato un tuo servo mi sono impegnato a non prendere mai moglie?”

“Hikaru, Hikaru, ricorda cosa hai appreso all'Hokkaido. Ai Sacerdoti semplici non è permesso sposarsi poiché devono imparare a donare il loro amore in ogni forma prima di ricevere quello di una compagna, ma ad altri miei servi è concesso. Rifletti Hikaru.”

L'incanto terminò e nel Tempio tutto tornò ad essere calmo e tranquillo come sempre.

In Matsuyama, invece, si agitava uno strano miscuglio di emozioni e confusione. Le parole della Dea erano state criptiche per lui, doveva meditarle e cercare di interpretarle.

 

 

 

 

 

Era già quasi buio quando salì in casa, ancora preda delle riflessioni su quanto accaduto al Tempio. Dalla porta socchiusa della stanza di Yoshiko filtrava la tenue luce di una candela, segno che la ragazza fosse ancora sveglia. Per un istante fu tentato di bussare e di confidarsi, invece proseguì per la propria camera, non era giusto turbarla con storie che non avrebbero potuto realizzarsi.

Lentamente si sfilò le ampie vesti sacerdotali e le ripiegò con cura e rispetto sul tavolo, poiché quello era il simbolo del suo impegno, preso passando attraverso il fuoco: un vincolo non facile da spezzare.

Indossò la più semplice tunica che usava per riposare e si apprestò a spegnere la candela, prima di coricarsi.

Alle sue spalle la porta cigolò sui cardini.

“Mi sembrava che fossi rientrato.” La voce dolce di Yoshiko lo raggiunse, facendolo voltare.

Nonostante la penombra, la vista della cugina lo lasciò di sasso: aveva i capelli neri liberi da qualsiasi acconciatura, in modo che arrivassero alla vita e indossava una tunica bianca di cotone grezzo, dalle maniche lunghe fino al gomito, mentre la parte inferiore la copriva solo fino a poco sotto il ginocchio. Un nastro legava i due lembi della parte superiore all'altezza del collo, tuttavia la piccola apertura sul petto non riusciva ad essere completamente chiusa, permettendo di intravedere la pelle chiara. Non era un abbigliamento adatto a mostrarsi in pubblico.

“Fo... forse è meglio che ti copra.” Riuscì solo a balbettare.

“Vi imbarazzate per così poco, Sacerdote Matsuyama?” In realtà Yoshiko sapeva benissimo che avrebbe potuto dare scandalo, erano troppe le porzioni del suo corpo visibili all'uomo.

“Dovevo vederti.”

Aggiunse poi, per giustificare la sua intrusione. Nei mesi passati aveva cercato di soffocare i propri sentimenti, ma quel giorno si era accorta degli sguardi insistenti che Hikaru le lanciava ed una parte di lei li aveva interpretati come qualcosa di più del semplice affetto. Non sapeva se fosse meglio aver preso un abbaglio o essere sulla strada giusta.

Matsuyama sentiva la bocca pastosa, a fatica riuscì ad articolare una risposta.

“Hai bisogno di qualcosa?”

“Sì. Devo sapere cosa sono io per te.”

“Che domande fai? Se mia cugina!”

“Solo?” Il tono della donna era deluso, forse aveva visto qualcosa che non esisteva. Del resto Hikaru era innamorato da sempre della sua Dea.

Avrebbe voluto piangere. Abbassò gli occhi e la vista del letto le fece balenare un'idea un po' folle.

“Permettimi di dormire qui con te, questa notte.” Esalò tutto d'un fiato, mentre le guance le si imporporavano ed il cuore subiva una brusca accelerata.

Il Sacerdote fece mezzo passo all'indietro, colto alla sprovvista.

“Che cosa?”

“Per favore! – lo supplicò Yoshiko – Poi ti prometto che sceglierò un pretendente e me ne andrò. Concedimi di dormire una sola notte al tuo fianco, come addio.”

Fujisawa si avvicinò, provava il grande impulso di toccarlo, di sfiorarlo, di sentire la sua pelle sotto le dita.

“Io ti amo.”

L'aveva detto. Finalmente era riuscita a comprendere ed esternare del tutto i propri sentimenti, che andavano ben al di là di una semplice infatuazione per un uomo più grande e dell'affetto per un cugino che era sempre stato presente nella propria vita.

Hikaru sentì il proprio cuore mancare un battito, tanta fu la sorpresa per la dichiarazione. Non si era accorto di nulla, troppo impegnato a gestire i propri sentimenti in relazione alla sua posizione pubblica.

Il suo corpo si mosse quasi da solo, prevenendo qualsiasi intromissione della ragione, si chinò verso la cugina e appoggiò le sue labbra su quelle morbide di Yoshiko.

Fu un bacio dolce e delicato, un semplice sfiorare di labbra: in fondo erano come due ragazzini alle prese con la prima esperienza.

Quando si separarono, Yoshiko aveva gli occhi sgranati, poiché non si aspettava una simile reazione, solo nei suoi sogni più felici Matsuyama ricambiava i suoi sentimenti.

“Hikaru...”

“Shh – la zittì complice – Esaudisco il tuo desiderio.”

Si distesero uno accanto all'altra sul materasso imbottito di paglia, il capo di Yoshiko appoggiato alla spalla di Hikaru, mentre la candela si consumava e faceva piombare nel buio la stanza.

Per un poco il solo rumore percepibile fu il fruscio dei loro respiri.

“Da quanto tempo lo sai?” Domandò all'improvviso il Sacerdote.

La donna si rannicchiò contro il suo petto.

“Da qualche mese. Non chiedermi perché non te l'abbia mai detto prima. - Bloccò sul nascere la successiva domanda che sicuramente Hikaru le avrebbe posto – Pensi che sia facile dire ad un Sacerdote di essere innamorata di lui, quando sai da sempre che l'unico suo amore sarà quello per la Divina Machiko?”

Hikaru rimase colpito da quelle parole che denotavano una grande sensibilità ed attenzione ai problemi altrui.

“E tu?” Chiese Fujisawa.

L'uomo si passò una mano tra i capelli.

“Ho cominciato a considerarti in maniera diversa da quando Lord Abe è venuto a chiedermi la tua mano.”

Yoshiko sorrise nel buio, ringraziando mentalmente il Lord per il suo tempismo.

“E ora che facciamo?”

Alla domanda Hikaru si irrigidì: era tutta la sera che pensava a come riuscire a districare tutti i nodi di quella matassa ingarbugliata, senza riuscire a prendere una decisione.

“Credo che la cosa migliore sia che ritorni all'Hokkaido.”

Sentì Yoshiko stringere con forza la sua veste da notte tra i pugni.

“Così lontano? Perché? I Principi non ti permetteranno di lasciare la Capitale!”

Le accarezzò teneramente un braccio.

“Si tratterà solo di un anno, vorrei proseguire gli studi per diventare Druido. Il vecchio Arcidruido pensava che io potessi intraprendere la strada.”

Fujisawa chiuse gli occhi, sentendosi una stupida per essersi illusa anche solo per un istante di poter venire prima della Dea nel cuore del Sacerdote. Si rendeva conto che non c'era mai stata alcuna possibilità.

“Ami così tanto la Dea.” Constatò amaramente.

Hikaru la strinse forte.

“Moltissimo. Eppure la Divina Machiko sostiene che possa esserci spazio per altro amore. Per questo voglio intraprendere il nuovo percorso di studi, per capire fin dove può spingersi l'amore. Ci sarà un motivo se ai Drudi è concesso formarsi una famiglia.”

Il cuore di Yoshiko si fermò e la donna trattenne il fiato: Matsuyama le stava veramente dicendo che esisteva un modo per poter servire ed amare la Dea ed al tempo stesso amare anche lei? Avrebbe potuto impazzire per la gioia.

Hikaru si girò sul fianco e le prese le mani.

“Yoshiko, io non ti prometto nulla. Devo ancora chiarire con me stesso quali siano i miei reali sentimenti e l'unico modo che conosco è affidarmi alla guida della Dea. Ti chiedo di darmi il tempo di comprendere.”

La donna avrebbe voluto dirgli che l'avrebbe aspettato per sempre, ma sapeva che non era fattibile e che nemmeno Hikaru avrebbe voluto che lei si annullasse dietro una speranza irraggiungibile.

“Posso aspettarti per un anno. Quando tornerai dovrai aver deciso.”

Si scambiarono la promessa e poi si addormentarono uno di fianco all'altra.

 

 

 

 

Erano passati quasi dieci giorni e dall'Hokkaido non arrivava nessuna risposta alla lettera che aveva mandato. Matsuyama cominciava a temere che, nonostante avesse fatto notare, tra le varie motivazioni della sua richiesta, che un Tempio importante come quello della Capitale necessitasse della presenza di un Druido, il nuovo Arcidruido non fosse disposto ad accogliere la sua richiesta. L'attesa prolungata lo rendeva nervoso e taciturno.

Dopo aver sparecchiato la tavola dalle portate della cena, Yoshiko gli sfiorò una mano.

“Vedrai, arriverà la risposta.”

In replica Hikaru strinse quelle dita affusolate tra le proprie.

Dopo gli avvenimenti della sera del suo compleanno non si erano più avventurati in territori pericolosi e proibiti come i baci, ma stavano comunque sviluppando una diversa vicinanza fatta di contatti furtivi, di carezze mai ipotizzate prima, di tocchi leggeri che bastavano a liberare le farfalle nello stomaco.

“Lo so, ma vorrei...”

“...sapere il prima possibile. Lo vorrei anch'io, dato che se te ne andrai manderanno un nuovo Sacerdote ed io dovrò organizzare il mio trasferimento per tornare alla casa dei miei con Midori.”

Hikaru le fece cenno di accomodarsi sulle proprie ginocchia. Quante volte, quando Yoshiko era stata solo una bambina l'aveva fatta sedere a quel modo e l'aveva fatta ridere raccontandole storie incredibili. Ora quello stesso gesto assumeva un significato del tutto diverso.

Lievemente le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

“Non te ne dovrai andare molto presto. Il Principe Jun mi ha categoricamente fatto promettere di non partire prima della nascita dell'erede, vuole che sia io ad impartirgli la benedizione.”

Yoshiko sorrise all'ennesima prova di quanto il Sacerdote Matsuyama fosse ben voluto alla Cittadella.

“Si tratta di pochi giorni ormai. La Principessa è bella grossa.”

Hikaru annuì, riprendendo a giocherellare con le dita della mano sinistra della donna.

“Ho discusso anche di un'altra questione con il Principe Jun: è disposto a prendersi l'onere di essere il tuo tutore, se non troviamo nessun altro.”

Fujisawa si mosse agitata.

“Lo sai che la legge impone che una donna nobile non sposata debba avere un tutore.”

I violenti colpi che si abbatterono sulla porta d'ingresso impedirono a Yoshiko di ribattere all'affermazione e la fecero sobbalzare, temendo che qualcuno potesse vederli in un atteggiamento troppo intimo.

“Chi sarà mai a quest'ora?” Borbottò Hikaru dirigendosi alle scale.

“Forse la Principessa ha partorito.” Suggerì Yoshiko.

Hikaru scese di corsa e si diresse all'ingresso, dove i colpi si stavano facendo sempre più insistenti. Cominciò a temere che fosse successo qualcosa di particolarmente grave.

Aprì la porta e rimase bloccato dallo stupore:

“Kazumasa! Cosa ci fai qui?”

L'altro Sacerdote non rispose e si gettò subito ad abbracciare, o meglio stritolare, il vecchio compagno di studi ed amico.

“Anch'io sono felice di rivederti – ribatté Hikaru, non appena riuscì a liberarsi dalla stretta – Ti credevo in qualche villaggio sperduto sui monti del nord.”

Oda assunse un'espressione maliziosa.

“Beh, il nuovo Arcidruido ha deciso di darmi una possibilità importante: mi ha mandato ad occuparmi del Tempio della Cittadella mentre tu sarai impegnato a studiare all'Hokkaido.”

Hikaru fu percorso da un brivido e per un istante credette addirittura di aver capito male.

“Vuoi dire che...”

Kazumasa annuì.

“Ho qui la lettera dell'Arcidruido. - Disse indicando la bisaccia che portava in spalla – Ora saresti così gentile da farmi accomodare?”

Matsuyama si ritrovò in imbarazzo, rendendosi conto che tutto il dialogo si era svolto sulla porta d'ingresso dell'abitazione.

“Andiamo di sopra.”

Raggiunsero la stanza principale e trovarono Yoshiko intenta a terminare di mettere in ordine.

“Yoshiko, – la chiamò Hikaru – questo è il Sacerdote Kazumasa Oda, un mio vecchio compagno dell'Hokkaido.”

La donna si voltò per salutare l'ospite inatteso, il quale non diede modo a Matsuyama di terminare le presentazioni, esclamando:

“La famosa Yoshiko! Finalmente ci conosciamo, Hikaru ci ha parlato molto di te.”

Gli altri due arrossirono entrambi alla rivelazione.

Matsuyama sbottò:

“Kazumasa, ti sembra il modo di rivolgerti ad una Lady? Non hai imparato niente in quattro anni a contatto con Masanori?”

Il Sacerdote Oda smorzò il suo entusiasmo e si esibì in un inchino formale.

“Chiedo scusa, Lady...”

“Fujisawa – completò Yoshiko ed a sua volta rispose con una riverenza – Sono molto lieta anch'io di fare la vostra conoscenza, Sacerdote Oda. Cosa vi porta alla Cittadella?”

Hikaru prevenne il vecchio compagno.

“Kazumasa è stato nominato mio sostituto al Tempio. L'Arcidruido mi ha accettato come allievo Druido.”

“È una notizia meravigliosa. Sia lode alla Dea!” La donna avrebbe voluto saltare al collo del cugino tanta era stata l'attesa per la risposta dell'Arcidruido, ma si trattenne alla presenza di Oda.

“Immagino che voi due abbiate molto di che discutere. Col vostro permesso io mi ritirerei nella mia stanza. Buona notte Sacerdoti.”

“Buona notte Yoshiko.”

“Buona notte Lady Fujisawa.”

Con una riverenza la donna sparì oltre la porta che conduceva alla sua camera.

“Tua cugina è una dama davvero graziosa. – commentò Kazumasa quando furono rimasti soli – Mi sorprende che non sia ancora sposata.”

L'apprezzamento del compagno aveva fatto leggermente arrossire per la seconda volta Hikaru, che cercava di rispondere in maniera impacciata.

“Ecco... a quanto pare... mio zio non aveva ancora preso accordi con nessuna famiglia.”

Ad Oda non sfuggì nessuno degli strani comportamenti di Matsuyama ed incrociò le braccia al petto parlando con tono fintamente offeso.

“Hikaru Matsuyama, non mi starai nascondendo qualcosa dietro questa tua improvvisa fretta di diventare Druido.”

Colto in fallo, Hikaru agitò le braccia in gesti di diniego.

“Ma cosa ti salta in mente Kazumasa! Piuttosto, avresti dovuto avvertire del tuo arrivo, non so dove farti dormire!” Cercò di cambiare argomento, portando la conversazione su questioni più pratiche.

Il Sacerdote Oda si strinse nelle spalle.

“Volevo farti una sorpresa! Sai che io non mi formalizzo molto, mi basta un poco di paglia in un angolo. Anche così la tua abitazione sembrerà un castello reale a confronto del villaggio in cui mi aveva confinato il vecchio Arcidruido.”

Hikaru scoppiò a ridere.

“Non ti smentisci mai, Kazumasa!”

Passarono ancora del tempo a chiacchierare, poi Matsuyama recuperò della paglia nel magazzino e la sistemò al centro della propria camera, in onore dei tempi in cui da studenti erano stati compagni di stanza.

“A proposito – si ricordò improvvisamente Oda – il Sacerdote Sasaki ti manda i suoi saluti.”

Hikaru si riempì di gioia, mentre cercava un leggero lenzuolo per l'amico.

“Come sta?”

“Il vecchietto tiene duro: pensa che fa ancora delle lezioni alla scuola. Sei stato fortunato ad avere un simile esempio da seguire fin da piccolo.”

Adagio si prepararono per la notte.

Hikaru rifletteva sul fatto che fosse stato designato Oda come suo sostituto: da un lato ne era molto contento, aveva avuto la possibilità di rivederlo e sapeva che si sarebbe preso cura dei suoi fedeli con la stessa sua devozione, dall'altro rimpiangeva di conoscere troppo bene Kazumasa e di sapere quali danni avrebbe potuto combinare anche involontariamente. Ancora, se c'erano delle persone a cui avrebbe affidato senza nessun pensiero i suoi tesori più preziosi erano certamente i suoi vecchi amici Masanori e Kazumasa.

Prese un profondo respiro:

“Kazumasa, devo chiederti una cosa importante: assumeresti la tutela di Yoshiko in mia assenza? Non ha altri parenti che me.”

Il Sacerdote Oda sollevò di scatto la testa dalla bisaccia dentro cui stava frugando. Era visibilmente commosso, come poche volte Matsuyama l'aveva visto.

“Hikaru, per me è già un grande privilegio dovermi occupare del tuo Tempio, non pensavo che mi avresti concesso anche questo onore. Io sono senza parole.”

Le occasioni in cui Kazumasa, durante la sua vita, era rimasto senza sapere cosa dire si potevano contare sulle dita di una mano.

“Mi fido di te, so che farai un buon lavoro.”

I due amici si abbracciarono.





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"Don Camillo! Don Camillo!" ehm, questa scena della Dea che "rimprovera" Hikaru mi ha fatto venire inmente le analoghe scene nella serie di film.
Qui abbiamo delle importanti prese di coscenza, delle decisioni altrettanto importanti e la possibilità di una soluzione che non è detto si concretizzi: il nostro Hikaru ammette di non essere ancora certo del significato dei propri sentimenti, per quanto l'attrazione verso Yoshiko gli sia ormai palese.

Nota di servizio: come avrete notato il capitolo è arrivato in ritardo di un giorno. Purtroppo i primi 20 giorni di questo mese per me sono pienissimi di cose da fare e non posso seguire la storia come vorrei, per cui è facile che i prossimi aggiornamenti non siano regolari. Passato il periodo tutto rientrerà nella norma.
Ad onor del vero, secondo i piani iniziali, con 21 capitoli avrei già dovuto tranquillamente aver finito, ma poi si sono moltiplicati sulla tastiera. ;)

 

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Capitolo 22
*** Sonetto XXII ***


Fine Luglio, Anno 2740 dal Trionfo della Dea

 

Era un periodo strano per Yoshiko, un periodo in cui le capitava spesso di sentirsi mancare l'aria o di trovarsi prigioniera di un limbo. Era cominciato tutto con la nuova partenza di Hikaru e nemmeno l'essere ben consapevole che l'allontanamento fosse dovuto al tentativo di aprire la strada ad un loro possibile futuro condiviso riusciva ad alleviare la sofferenza che provava. Non l'avrebbe mai creduto possibile, fino a poco prima, ma insieme a Matsuyama se n'era andata una parte di lei. Anche quando era partito 12 anni prima per studiare aveva sentito la sua mancanza, eppure allora era stato diverso, molto diverso: si era trattato di una bambina che perdeva il suo compagno di giochi preferito, ora si trattava di una donna che perdeva l'ultimo legame con il proprio passato e con l'unico futuro che riusciva ad immaginare, di una donna che perdeva l'uomo che amava.

Qualche giorno prima che se ne andasse, Hikaru l'aveva aiutata insieme al Sacerdote Oda a riportare le sue cose alla vecchia abitazione di famiglia, dove Midori aveva già provveduto a far ripulire ogni stanza. Rimettere piede tra quelle mura era stato strano: era la prima volta che vi ritornava dopo l'arresto di Lord Fujisawa, le sembrava che tutto appartenesse ad un'altra vita, ad un'altra Yoshiko. Ed in fondo era così.

La vecchia Midori l'aveva accolta con gioia e trasporto ed aveva assicurato a tutti che si sarebbe occupata di lei con la stessa premura di un tempo, eppure le sue attenzioni le risultavano soffocanti. Aiko era passata una volta, ma col marito abitava a Kobe e Yoshiko non se la sentiva di chiederle di restare con lei. Finiva per trascorrere buona parte del proprio tempo da sola, lasciando che la malinconia e la tristezza stringessero la loro morsa su di lei, fino a portarle via ogni palmo di aria.

Gli unici momenti in cui si sentiva veramente bene erano quelli in cui si occupava di qualche piccola incombenza al Tempio, aiutando il Sacerdote Oda ad ambientarsi ed a conoscere gli abitanti della Cittadella oppure quando si trovava con le Ancelle di Machiko. Quando cantava tutti i problemi del mondo circostante sembravano sparire e restavano solo la sua voce e la musica. I suoi progressi in quel campo nel corso degli anni erano stati impressionanti, tanto che per il coro sarebbe stata una grossa perdita privarsi della sua voce.

“Buongiorno Yoshiko. - la salutò col consueto calore il maestro – Terminata la prova avrei bisogno di parlarti.”

“Come desiderate.” Rispose la donna con un leggero inchino.

Il coro iniziò a cantare e Yoshiko si perse nella musica e nell'armonia delle voci che si intrecciavano in uno dei suoi brani preferiti.

La prova finì troppo presto per lei, avrebbe continuato fino a notte, ma sapeva bene che non sforzare troppo la voce aveva la stessa importanza dell'esercizio: era un gioco continuo di equilibrio.

Una volta che le compagne furono congedate, si accostò al Maestro Watanabe.

“Cosa dovete dirmi?”

L'uomo le sorrise e le fece cenno di seguirlo tra le colonne, avrebbero parlato passeggiando.

“Ho un grande favore da chiederti Yoshiko: desidererei che tu prendessi lezioni più approfondite da me, in particolare di composizione.”

Fujisawa sussultò per l'emozione.

“Maestro, credete che io ne sia in grado?”

“Certamente. Ricordi la ballata che mi hai chiesto di rielaborare per il matrimonio di Aiko?”

La donna annuì, non poteva dimenticare, era stato il suo regalo per la sua amica più cara.

“Ti sarai resa conto che in realtà abbiamo scritto la nuova versione insieme, abbiamo utilizzato molte delle tue idee. Senza mancare di rispetto a tutte le altre fanciulle, tu sei la mia migliore allieva, hai qualcosa in più che nessuna di loro ha e non parlo solo delle tue doti vocali: tu comprendi la musica nella sua essenza. Non affiderei il mio coro ad altri che a te.”

Yoshiko ci mise qualche momento ad elaborare le parole del Maestro che da una parte la lusingavano, dall'altra lasciavano spazio ad un'interpretazione preoccupante. Si bloccò di colpo.

“Maestro, non vorrete lasciarci?”

L'uomo sorrise intenerito.

“Per ora no, anche se un giorno io e mia moglie desideriamo raggiungere nostro figlio e la sua famiglia che abitano lontani. Vorremmo veder crescere i nostri nipotini.”

Yoshiko riprese a camminare, tirando un sospiro di sollievo.

“È un pensiero molto bello, sono sicura che vostro figlio apprezzerà. Stare vicino alla famiglia è importante.”

“Sicuramente, ma negli anni voi Ancelle di Machiko siete diventate la mia seconda famiglia. Ho visto così tante fanciulle entrare a far parte del mio coro, diventare donne e sposarsi ed ogni volta mi sono commosso come se fossero le mie figlie a spiccare il volo. Per questo voglio essere sicuro di lasciare il coro alle cure di qualcuno che gli mostrerà la mia stessa dedizione.”

Yoshiko era sinceramente commossa alle parole del Maestro, che glielo mostrarono sotto una luce nuova, non più solo insegnante, ma guida e punto di riferimento durante gli anni più delicati per una fanciulla. Improvvisamente mise a fuoco una serie di dettagli e piccole attenzione rivolte dall'uomo e dalla moglie alle Ancelle di Machiko che ad un occhio poco attento potevano sfuggire. Ricordò che nel periodo successivo alla morte del proprio padre, durante le prove a casa, spesso la signora Watanabe si assicurava che lei mangiasse almeno due dei pasticcini che regolarmente offriva.

“Maestro, voi mi lusingate, ma temo che sostituirvi sia un compito difficile e poi...”

“Non dubitare di te stessa solo perché sei una donna: sarai perfettamente in grado di guidare le Ancelle di Machiko. La Dea ti ha donato la musica, non gettare il suo dono, usalo per insegnare ad altre.”

La donna era molto pensierosa, poiché sapeva che non avrebbe potuto continuare a cantare per sempre nel coro riservato alle fanciulle. Il Maestro le stava offrendo una via per non allontanarsi dalla musica. Avrebbe dovuto impegnarsi molto se voleva imparare e solo la Dea sapeva quanto avesse bisogno di trovare qualcosa che la tenesse occupata e le impedisse di fissare la mente solo su Hikaru, sulla sua lontananza.

“Vorrei provare, Maestro.” Disse semplicemente, sicura che l'uomo avrebbe compreso.

“Ti aspetto domani pomeriggio da me, porta delle pergamene.”

Erano giunti all'ingresso del Tempio ed il Maestro si congedò, dirigendosi verso casa.

Fujisawa restò tra le colonne preda di una fitta di dolore allo stomaco: avrebbe voluto correre a dare la notizia ad Hikaru, ma Matsuyama era lontano giorni di viaggio e l'aveva pregata di non contattarlo se non per questioni della massima gravità. Anche Aiko era lontana e Midori non avrebbe capito, troppo legata all'idea che una Lady dovesse vivere negli agi e senza preoccupazioni. L'unico a cui avrebbe potuto raccontare qualcosa era il Sacerdote Oda, del resto era il suo tutore.

Strinse forte a sé le pergamene con i canti, cercando il conforto alla sua solitudine. Già una volta la musica l'aveva aiutata, quando era entrata a far parte delle Ancelle di Machiko, ora le dava un'altra possibilità per essere serena.

La musica non l'avrebbe mai abbandonata, la musica l'avrebbe salvata sempre.




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Eccomi di ritorno dopo il periodo full.
Un piccolo capitolo che ci mostra la vita di Yoshiko senza Hikaru lontano a riflettere e studiare. Si fa presto a pensare che un anno non sia un periodo eterno, ma quando ci si ritrova sole senza quasi nessuno è tutto più difficile. Ora Yoshiko sembra aver trovato una nuova occupazione, grazie a qualcuno che crede molto in lei. ;)

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Capitolo 23
*** Sonetto XXIII ***


Inizio Agosto, Anno 2741 dal Trionfo della Dea

 

Per un viaggiatore in arrivo all'entrata principale, al tramonto, la Cittadella offriva uno spettacolo capace di lasciare senza fiato, col sole che lentamente calava alle spalle della Fortezza Musashi, in posizione dominante sull'abitato, e colorava il cielo di arancione e rosso. Per Hikaru, la scena era seconda solo alla vista dell'alba che sorgeva dai monti della Corona di Machiko.

Percorse gli ultimi metri che lo separavano dalle Guardie della Porta, gli infaticabili Tachibana, prima di smontare dal palafreno grigio che l'Arcidruido gli aveva messo a disposizione per il viaggio di ritorno. Era un poco impacciato nei movimenti, non si era ancora abituato a portare la sua nuova veste da Druido, più stretta di quella sacerdotale, ma dotata di un ampio drappeggio sulla spalla sinistra. La prima volta che l'aveva indossata aveva dovuto essere aiutato da ben due degli Attendenti dell'Arcidruido, tra cui il severo Sacerdote Fujita che stava svolgendo il suo periodo di servizio nella cerchia ristretta della massima autorità.

“Sacerdote Matsuyama! Siete tornato, finalmente!” Lo salutò Masao Tachibana, riconoscendolo all'istante.

Il fratello proseguì:

“Entrate pure! Non abbiamo bisogno di controllarvi.”

Hikaru ringraziò con un cenno del capo, guidando con le briglie il cavallo attraverso l'arco del portone.

“Vi ringrazio per l'accoglienza. È bello essere a casa! Che la pace della Dea sia con voi.”

Si diresse verso le stalle attigue agli alloggi dei Guardiani della Porta, dove venivano ospitati anche molti degli animali dei visitatori.

“Vi posso lasciare in custodia l'animale? Vorrei che riposasse almeno una notte prima di trovare il modo di rimandarlo all'Hokkaido. Io raggiungerò il Tempio a piedi.”

“Nessun problema.” Rispose Kazuo, facendo cenno al garzone di aprire la porta.

Alloggiato il palafreno con un'abbondante dose di acqua fresca e qualche mela, Matsuyama gli diede un'ultima carezza.

“Grazie per avermi portato fino a qui. Ora riposa.”

Le strade della Cittadella erano meno brulicanti di gente rispetto ad altri momenti della giornata, tuttavia chi lo incontrava si fermava a salutarlo affettuosamente e lui ricambiava con uguale calore. Dall'alto planò vicino a lui Memuro, l'aquila che aveva sostituito Furano dopo la sua dipartita durante la Battaglia della Cittadella.

“Anche tu sei contento di essere tornato?”

Memuro emise un verso di approvazione e poi ripartì verso i campi per godersi un volo al caldo, lontano dalle nevi quasi perenni della città-scuola.

Hikaru proseguì verso il Tempio, ripensando all'anno appena trascorso, a quanto aveva imparato e, soprattutto, alle conversazioni che aveva avuto modo di scambiare con l'Arcidruido. Una in particolare attirava spesso la sua attenzione: era avvenuta un paio di mesi dopo l'inizio del suo nuovo percorso di studi.

Era seduto sul parapetto del muro anteriore della città-scuola ad osservare le montagne ed i primi fiocchi di neve che facevano timidamente capolino.

“Sacerdote Matsuyama, ti vedo sempre molto pensieroso.”

La voce del capo dell'ordine l'aveva fatto sobbalzare e scattare in piedi per esibirsi in un inchino formale.

“Arcidruido, buon pomeriggio.”

“Stai pure seduto, ragazzo.”

Hikaru aveva obbedito e si era fermato ad osservare il nuovo Arcidruido, molto più giovane dell'uomo che l'aveva consacrato Sacerdote.

“So che il mio predecessore aveva un'altissima considerazione di te ed anche il Sacerdote Sasaki mi ha parlato molto bene, al punto da spingermi ad accettare la tua richiesta senza riserve.”

“I miei maestri sono stati troppo buoni. Io cerco di adempiere il mio dovere al meglio delle mie possibilità.” Aveva risposto, pur ripensando con gratitudine a Sasaki che ancora una volta aveva fatto tanto per lui.

“Tuttavia ti sento molto tormentato. Cosa ti turba? Paura di aver sbagliato ad intraprendere il percorso per diventare Druido?”

Di fronte alla massima autorità religiosa Hikaru non aveva saputo celare ciò che non aveva rivelato nemmeno al vecchio maestro.

“Io amo la Dea con tutto me stesso...”

“Ma ami anche una persona.” Aveva concluso per lui l'Arcidruido.

“Sì. No. Non lo so. - Hikaru aveva nascosto il viso tra le mani in un attimo di disperazione – Non comprendo del tutto i miei sentimenti.”

L'Arcidruido gli aveva appoggiato una mano sulla spalla.

“Non sarà la Dea a fornirti questa risposta: solo tu puoi interpretare i tuoi sentimenti. In fondo noi Sacerdoti siamo uomini come tutti, solo con un rapporto più diretto con la Divina Machiko. Soffriamo e gioiamo come ogni persona. Ci innamoriamo o crediamo di esserlo.”

Matsuyama era rimasto in silenzio per qualche istante.

“Sento tutti i giorni la sua mancanza, vorrei averla sempre al mio fianco. È sufficiente perché sia amore?”

“Forse. Avrai le idee chiare al termine del tuo percorso di studi. Sai – L'Arcidruido aveva iniziato a raccontare – io avevo intrapreso il cammino per diventare Druido anche per poter sposare la fanciulla che credevo di amare, ma l'anno di lontananza mi ha fatto capire quanto fosse debole il mio legame con lei. Usa questo periodo, oltre che per studiare, per comprendere la natura del tuo attaccamento a questa persona, per comprendere al meglio te stesso, Sacerdote Matsuyama.”

Terminato il racconto, L'Arcidruido si era avviato lasciandolo solo a meditare sulla natura delle parole che aveva appena udito.

Quasi senza accorgersi, Hikaru era giunto alla piazza Principale, stranamente deserta, ed al Tempio. Nel cielo e tutt'attorno i colori del tramonto risplendevano più vividi che mai. Osservò la facciata del luogo di culto e prese un profondo respiro, cercando di catturare tutta l'aria che poteva: finalmente era a casa!

Give me again all that was there,

Give me the sun that shone,

Un suono melodioso attirò la sua attenzione verso le fioriere: una donna stava annaffiando i fiori davanti all'ingresso del Tempio e si accompagnava nel lavoro cantando.

Give me the eyes, give me the soul,

Give me the lad that's gone.

Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque, senza bisogno di osservare oltre. L'improvvisa accelerazione del cuore nel petto gli diede la conferma di trovarsi davanti a Yoshiko. Era ancora più bella di come la ricordava: indossava un abito estivo di colore giallo che le lasciava scoperte le braccia, mentre i capelli neri erano raccolti in una semplice treccia che le scendeva su una spalla. Nell'atmosfera del tramonto sembrava il personaggio di un'antica leggenda, una visione celestiale, un dono della Dea. Se ancora avesse avuto dei dubbi, li avrebbe dissolti in un solo istante.

Si avvicinò con calma, assimilando ogni dettaglio della scena, per imprimersela nella memoria.

“Yoshiko.” La chiamò quando fu sufficientemente vicino.

La donna si voltò e spalancò gli occhi. Matsuyama le lasciò appena il tempo di riconoscerlo che l'afferrò per la vita e la sollevò, iniziando a ruotare sul posto, mentre il secchio con l'acqua rotolava alla base di una colonna. Rideva felice come non gli accadeva da troppo tempo.

“Sono così felice di essere tornato!”

Fujisawa sorrise in risposta, le guance che si coloravano di rosso durante il volteggio improvvisato. Solo quando i suoi piedi toccarono terra si guardò attorno allarmata:

“Hikaru, siamo in piazza, potrebbero vederci!”

Matsuyama non l'ascoltava, perso nei suoi occhi.

“Sposami, Yoshiko!”

“Co... cosa? - La donna riuscì solo a balbettare in risposta, spiazzata dallo strano modo in cui aveva ricevuto la proposta – Sei appena tornato, è un anno che non ci vediamo e...”

Si stava affannando a trovare una giustificazione. Non che i suoi sentimenti fossero mutati dalla partenza del cugino, solo non capiva più nulla, il mondo le vorticava intorno ed il cuore minacciava di esploderle nel petto.

Hikaru le afferrò le mani e pazientemente le spiegò:

“Mi conosci da tutta la vita, che bisogno c'è di aspettare ancora? Sai che uomo sono, sai che posso renderti felice. Hai molte più garanzie con me che con un matrimonio combinato. Oppure, hai conosciuto qualcun altro?”

Yoshiko scosse violentemente la testa.

“Ci sono stati altri pretendenti, ma nel mio cuore c'è sempre stato posto solo per te. Io sarei onorata di poter diventare tua moglie.”

“L'onore sarebbe il mio. Ti amo.”

I loro volti si avvicinarono per suggellare la promessa.

 

 

Il Sacerdote Oda stava uscendo dal Tempio dopo aver riposto tutte le suppellettili usate durante la preghiera conclusa da poco. Doveva riaccompagnare a casa Lady Fujisawa che si era trattenuta ad innaffiare i fiori. La cugina di Hikaru era sempre molto gentile con lui ed era stata un valido aiuto durante l'anno: la buona volontà doveva essere una caratteristica di famiglia. Aveva appena raggiunto le colonne del porticato quando aveva visto Hikaru arrivare dall'altro lato della piazza. Gli sarebbe corso incontro, se non lo avesse visto con lo sguardo puntato alle fioriere ed a Yoshiko, così si era appoggiato col fianco destro alla colonna ed a braccia incrociate aveva assistito a tutta la scena ed alla relativa dichiarazione.

Sapeva che quei due gli avevano nascosto qualcosa: nei pochi giorni dell'anno precedente che erano stati tutti e tre insieme non aveva potuto fare a meno di notare certi sguardi che passavano tra loro. Poi, il modo in cui Yoshiko parlava di Hikaru in sua assenza non aveva fatto altro che aumentare i suoi sospetti.

I due cugini parevano essersi dimenticati di essere allo scoperto e stavano per scambiarsi un bacio, le loro labbra stavano per sfiorarsi.

Lo sguardo di Kazumasa venne attirato da un gruppetto di soldati che stava giungendo alla piazza.

“Ci mancava solo la ronda della Guardia Reale! - pensò, lasciando in tutta fretta la sua posizione e spostandosi in modo da farsi incontro agli uomini e bloccando la visuale delle fioriere. Iniziò a salutare con un tono più alto del consueto – Vice Capitano Iazawa, che la pace della Dea sia con voi! Il Capitano vi ha mandato in ronda questa sera?”

Il vociare del Sacerdote Oda riscosse Hikaru che rapidamente si allontanò dalla donna, mentre quest'ultima quasi si tuffò verso la fioriera, fingendo di lavorare attorno alla piantina.

Dopo pochi istanti vennero raggiunti da Kazumasa, abbastanza alterato:

“Per amor della Dea, Hikaru! Capisco che tu sia innamorato senza possibilità di guarigione, ma almeno contieniti in pubblico.”

Matsuyama chinò il capo, consapevole di essere stato troppo imprudente: era appena tornato, molti non avrebbero riconosciuto le vesti da Druido né tanto meno avrebbero saputo che gli sarebbe stato concesso sposarsi, in più essere visti baciare la propria cugina poteva creare uno scandalo su molteplici livelli.

“Sacerdote Oda – intervenne Yoshiko – ci perdoni. Un anno di separazione è stato lungo da sopportare.”

“Non è opportuno parlarne qui. Entriamo tutti in casa.”

Una volta raggiunta la stanza al piano superiore, Kazumasa si gettò esausto su una sedia.

“Non so se ti rendi conto di cosa mi hai appena costretto a fare: io che ti faccio una ramanzina, cose da fine del mondo!” Alzò le braccia con fare plateale.

Anche senza volerlo, Hikaru scoppiò a ridere: in fondo Kazumasa era sempre il solito burlone.

“Mi sorprende che il mio Tempio sia ancora in piedi dopo un anno che è affidato a te.” Ribatté il Druido, stando allo scherzo.

“In effetti ho superato le aspettative di tutti.”

Il Sacerdote Oda si rialzò ed abbracciò fraternamente l'amico.

“Lascia che ti faccia i complimenti per essere riuscito a diventare Druido. Ti sta molto bene la nuova veste.”

“Se solo non fosse terribilmente scomoda in certi momenti.”

Yoshiko aveva assistito alla scena con occhi sgranati. Nonostante stesse cominciando a conoscere alcune stranezze ed esuberanze del Sacerdote Oda, non era abituata a vedere Hikaru interagire in maniera così scherzosa, almeno non da dopo aver preso i voti. Dall'altra parte, però, era venuta a sapere da Kazumasa di alcune avventure piuttosto bizzarre, come una valanga umana, se non ricordava male.

Matsuyama fece cenno a tutti di sedersi attorno al tavolo.

“Delle questioni amministrative parleremo dopo, ora voglio solo riposare e godere l'essere di nuovo qui. È stato un anno più duro del previsto. Ti fermi a cena da noi?” Domandò in fine rivolto a Yoshiko.

La donna non aspettava altro che il permesso di fermarsi.

“Mi farebbe molto piacere.”

Kazumasa si alzò.

“Vado a mandare un messaggio alla vostra cuoca, Lady Fujisawa, affinché non si preoccupi.”

“Speriamo che Obira trovi la strada, non come quando sei arrivato e lei ti ha raggiunto con tre giorni di ritardo.” Hikaru scherzò sulla poca capacità di orientamento nei lunghi viaggi dell'aquila di Kazumasa. Questo ribatté abbastanza seccato

“Non mi pare che Memuro ti sia alle calcagna.”

“È arrivato con me, sta facendo un volo nei prati qui attorno.”

“Va bene, mi arrendo.”

Il Sacerdote Oda imboccò le scale e scese al piano inferiore alla ricerca di inchiostro e pergamena. Yoshiko ridacchiò.

“Era sempre così nei quattro anni che avete passato all'Hokkaido?”

Il Druido arrossì per la piccola stoccata.

“Eravamo molto complici. Solitamente erano Kazumasa e Masanori a punzecchiarsi e a me toccava fare da mediatore. Avere qui uno di loro è come fare un salto nel passato.”

“Ma il passato non può tornare.”

L'affermazione di Fujisawa fu un sussurro a fior di labbra, appena percepibile.

“No, sono successe troppe cose nel frattempo e noi siamo cambiati con esse. È inevitabile.”

Yoshiko allungò le braccia sul tavolo, mentre una lacrima scendeva solitaria su una guancia.

“Mi sei mancato tantissimo, certi giorni credevo di impazzire. Lo avrei fatto se non avessi avuto la musica.”

Hikaru sospirò, sporgendosi ad accarezzare il volto di Yoshiko per cancellare le tracce della sua sofferenza.

“Anche tu mi sei mancata, più di quanto avrei mai immaginato.”

“Insomma! Non vi si può lasciare da soli nemmeno un istante?” Kazumasa annunciò in modo chiassoso il suo ritorno insieme ad un cesto di verdure che in breve tempo iniziò ad affettare.

I due innamorati si allontanarono e finché non fu pronta la cena regnò il silenzio.

Fu il Sacerdote Oda a rompere il ghiaccio:

“Cosa avete intenzione di fare ora?”

Yoshiko alzò lo sguardo dal piatto con fare interrogativo, spingendo l'uomo a spiegarsi.

“È vero che Hikaru in quanto Druido ora non ha problemi a sposarsi, ma voi restate sempre cugini, sono in parecchi a considerare scandalose unioni con questo grado di parentela.”

Matsuyama appoggiò le posate e scambiò un fugace sguardo di intesa con Fujisawa per essere certo di avere la sua approvazione.

“Noi non siamo realmente cugini, anche se l'abbiamo scoperto da circa un paio d'anni. Esistono dei documenti che lo provano, dovremo chiedere ai Principi di renderli pubblici.”

Hikaru ripensò a quando avrebbe voluto che quei documenti sparissero, ma il Principe Jun si era opposto con fermezza ritenendo che un giorno avrebbe potuto essere utile averli a disposizione. Si domandò quanto Sua Altezza stesse vedendo lontano.

“Allora non ci sono problemi!” Kazumasa batté le mani al colmo dell'entusiasmo, sembrava un bambino.

Yoshiko ed Hikaru scoppiarono a ridere divertiti per quella genuina manifestazione.

“Vorrei poterti sposare subito.” Sussurrò la donna alzandosi e raggiungendo Matsuyama da dietro.

Il Druido rispose malizioso.

“Beh, volendo abbiamo il Sacerdote.”

Sentendosi chiamato in causa Oda si irrigidì e cercò di dissuadere con tutte le sue forze la coppia dal proposito.

“No, no! Non crediate che io sia disposto a farvi sposare in una cucina come due fuggitivi!”

“Kazumasa, calmati. - intervenne placido Hikaru – So benissimo che in questa maniera rischieremmo voci malevole. Inoltre non voglio sposarmi di nascosto, voglio poter amare mia moglie alla luce del sole.”

Anche Yoshiko annuiva convinta.

“Se dicessi a Midori che mi sono sposata con mio cugino le farei venire un infarto, tradizionalista come è. Meglio attendere che i Principi svelino il mio segreto, ormai non ho più paura, posso affrontare qualsiasi cosa con Hikaru al mio fianco.”

Kazumasa si rilassò visibilmente, poiché aveva seriamente temuto che l'amico, preso dalla fretta, commettesse un passo falso che gli avrebbe impedito di godere appieno della felicità che meritava. Nel periodo in cui aveva servito nei villaggi sui monti aveva imparato che il sostegno e la benevolenza di coloro che doveva guidare erano fondamentali per la buona riuscita del proprio lavoro.

“Parlando seriamente, ricordami chi ha l'autorità per celebrare il matrimonio di un Druido.”

Hikaru soppesò le parole.

“Un Sacerdote solo non basta, ci vorrebbe un altro Druido o l'Arcidruido in persona, ma dubito che si muoverebbe dall'Hokkaido. I Drudi più vicini si trovano a parecchi giorni da qui, dovrei fare delle ricerche.”

Il Sacerdote Oda saltò in piedi, preda di un'improvvisa ispirazione.

“Se non vi dispiace aspettare, diciamo un mese, ho io la soluzione! In fondo avete aspettato anni. Lasciate fare a me! Avrete un matrimonio bellissimo!”

Scappò fuori dalla stanza, in direzione della propria camera e vi si chiuse dentro, lasciando entrambi esterrefatti.

“Ho paura di scoprire cosa abbia in mente.” Esalò Hikaru.

La porta si riaprì per un breve istante.

“Buonanotte. Ci rivediamo domani per la preghiera del mattino.”

Yoshiko si coprì la bocca con una mano, per nascondere un risolino.

“Quanto meno una persona che sarà felice per noi siamo sicuri che ci sia!”

Hikaru la raggiunse.

“E non gli ho ancora detto che l'Arcidruido ha deciso di farlo fermare permanentemente come mio assistente. Speriamo che ora non ci interrompa più.”

Finalmente poterono scambiarsi il bacio che avevano a lungo atteso dal momento in cui si erano rivisti. Mentre la baciava, l'uomo l'attirò a sé per far aderire i loro corpi il più possibile, per cercare di sentirsi nonostante i numerosi strati di stoffa.

 

 

 

Hikaru ricordava di aver visto poche volte il Tempio di Machiko così gremito: certo, la folla non era paragonabile a quella accorsa per il matrimonio reale di due anni prima, ma gli stava dando una forte dimostrazione di affetto.

Nei suoi anni di servizio aveva celebrato parecchi matrimoni, conosceva la funzione a memoria, sapeva con precisione cosa sarebbe dovuto avvenire in ogni istante. Stare dalla parte dello sposo, invece, era un'incognita. Nervosamente si sistemò il drappeggio sulla spalla, ancora litigava con quel tipo di abito. Data la sua carica particolare era stato infranto il cerimoniale che prevedeva per gli sposi l'azzurro: avrebbe affrontato il rito con indosso la normale veste druidica arancione.

Alle sue spalle sentì dei bisbigli:

“Hikaru è una celebrità da queste parti!”

“Kazumasa, almeno oggi, risparmiati!” Masanori si massaggiò le tempie, cercando di concentrarsi sul dovere che lo attendeva.

“Sei sempre così rigido, Lord Kato!”

Hikaru si voltò e bloccò la risposta piccata che sicuramente Masanori aveva pronta.

“Vi ricordo che è stata una vostra idea quella di concelebrare la funzione, vedete di riuscire ad andare d'accordo.”

Il Druido ritornò a scrutare verso la folla e verso la porta d'ingresso, da dove sarebbe arrivata Yoshiko, sperando di aver dato una calmata ai due Sacerdoti, poiché non voleva rischiare che la cerimonia saltasse ora che tutto era predisposto.

Aveva ancora viva dentro di sé la sorpresa di due sere prima: stava cercando Kazumasa per farsi rivelare cosa avesse in mente per rendere valido il matrimonio in assenza dell'Arcidruido o di un Druido e l'aveva trovato intento a conversare con Masanori, giunto da oltre confine. I vecchi compagni di studio gli avevano spiegato che l'autorità di un Sacerdote non era sufficiente a celebrare il matrimonio di un Druido, ma quella combinata di due Sacerdoti lo permetteva. Kato gli aveva assicurato che c'era già stato un precedente documentato in tal senso. Al colmo della gioia, Matsuyama li aveva abbracciati forte, non avrebbe mai osato immaginare che il proprio matrimonio con la donna che amava sarebbe stato celebrato dai suoi due migliori amici.

L'arrivo del coro delle Ancelle di Machiko diede il via alla cerimonia. Dietro il corteo Yoshiko procedeva radiosa nel suo abito azzurro, scortata dal Maestro Watanabe visibilmente commosso: per lui la cerimonia aveva un doppio significato, era l'ultima in cui il Coro avrebbe cantato preparato da lui, poi avrebbe ceduto il testimone alla giovane donna che stava per sposarsi.

Non appena Hikaru vide la sua futura moglie seppe con certezza di essere stato benedetto dalla Dea. Sentì un soffio caldo su una delle guance e lo interpretò come una carezza della Divina Machiko, che sempre gli era stata accanto.

Accolse Yoshiko col consueto bacio sulla fronte ed insieme si voltarono verso i Sacerdoti.

Masanori e Kazumasa alzarono le braccia insieme ed impartirono la prima benedizione: ora nulla avrebbe più potuto andare storto, Yoshiko ed Hikaru si sarebbero appartenuti per sempre e nulla avrebbe più potuto separarli.





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Questo capitolo è pieno di note conclusive! XD
I nomi delle due aquile, dopo quello toponomasti di Furano, sono quelli du due località realmente esistenti in Hokkaido: li ho scelti dalla cartina di google maps.
La canzone che canta Yoshiko è "The skye boat song" ed è una canzone tradizionale scozzese relativa alla fuga di Charles Edward Stuart, qui nella versione del testo di Robert Louis Stevenson. I quattro versi da me scelti recitano: dammi ancora ciò che c'era là / Dammi il sole che risplendeva / Dammi gli occhi, dammi l'anima / Dammi il ragazzo che è andato. Se volete sentirla vi propondo la versione rielaborata come sigla della serie Outlander ambientata in Scozia. In questa versione, alla parola lad (ragazzo)è stata sostituita lass (ragazza). clicca qui


Nei progetti iniziali questo capitolo doveva essere diverso, ma poi Kazumasa ha iniziato a voler fare prima il wedding planner, poi il guardone, ed ha assunto la forma definitiva. Doveva anche essere l'ultimo, ma Yoshiko ed Hikaru hanno ancora un colpo di coda in serbo. ;)

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Capitolo 24
*** Sonetto XXIV ***


Febbraio, Anno 2743 dal Trionfo della Dea

 

“Divina Machiko, non ne posso più!” Urlò Yoshiko preda dell'ultima fitta di dolore lancinante.

“Coraggio Lady Matsuyama, state andando benissimo.” La incitò Donna Harumi, la levatrice a cui si era affidata per la nascita del suo primogenito. In realtà sarebbe stata più tranquilla con la Principessa al suo fianco, ma era giorno di udienze alla Fortezza e né lei né il marito avevano osato mandarla a chiamare.

Quando la contrazione si esaurì, la donna ebbe qualche istante per prendere fiato. Aveva il viso completamente arrossato e gocce di sudore le scendevano dalla fronte per lo sforzo che stava compiendo. I ciuffi di capelli che erano sfuggiti alla lunga treccia le restavano incollati alla fronte.

Nella stanza era presente anche Hikaru, che la teneva per mano e tentava di fornirle il suo sostegno.

“Sei bravissima!”

“Zitto tu! - ribatté la donna, sollevandosi in risposta al nuovo dolore – È colpa tua se sono qui!”

L'occhiata di biasimo che Donna Harumi rivolse al Druido fu evidente: lui non avrebbe dovuto essere lì, nessun uomo assisteva mai ad un parto, nemmeno un Priore, figurarsi il padre del nascituro.

“Lady Matsuyama, ci siamo: ancora una spinta ed avrete fatto.”

La contrazione arrivò più forte delle precedenti, a dilaniarle il ventre. Yoshiko spinse con tutte le proprie forze, ancorandosi con la mano sinistra al materasso e con la destra stringendo il braccio al marito.

“Oh, mia Dea!” Esausta si appoggiò al cuscino che aveva dietro la schiena.

“Eccolo qui!” Annunciò la Levatrice: tra le mani aveva un bimbo che dopo alcuni istanti iniziò a piangere, facendo sorridere Matsuyama.

Rapida e precisa Donna Harumi adagiò il piccolo sul letto e si mosse tra i suoi strumenti per ultimare tutte le procedure necessarie a poterlo presentare ai genitori.

Si avvicinò a Yoshiko e gli porse il bambino lavato e pulito, avvolto in un telo candido.

“È un bellissimo maschietto. Informerò io i Priori della nascita. Avete già scelto un nome?”

Hikaru scosse la testa:

“Abbiamo selezionato dei nomi, ma abbiamo ancora dei dubbi.”

“Tobei. - Disse Yoshiko tutto d'un fiato, voltandosi verso Matsuyama – Lo chiameremo Tobei, come tuo padre.”

Il Druido aveva le lacrime agli occhi per la commozione.

“Ne sei sicura?”

“Mai stata più sicura.”

L'uomo si chinò e le sfiorò le labbra con un bacio, per poi ripetere il gesto sulla testolina del figlio.

Si diresse dalla Levatrice e le strinse le mani:

“Donna Harumi, vi ringrazio per tutto.”

La donna rispose in modo burbero:

“Ho fatto il mio dovere. Ora, Druido Matsuyama, se non vi dispiace, portate nella stanza accanto il piccolo Tobei mentre controllo un'ultima volta Lady Matsuyama.”

Hikaru sorrise ed obbedì, non volendo provocare ulteriormente la pazienza della Levatrice, consapevole di aver infranto le regole di condotta.

 

 

 

Kazumasa arrivò dopo circa tre ore, una volta conclusi tutti i doveri del Tempio. Da quando si era sposato, Matsuyama si era trasferito nella casa della famiglia Fujisawa, lasciando al Sacerdote Oda l'abitazione presso il Tempio della Divina Machiko. In quel modo ognuno avrebbe avuto i propri spazi a disposizione, in fondo la sua nuova residenza era solo ad un paio di quartieri di distanza dalla piazza principale.

“Congratulazioni papà!” Kazumasa si era complimentato con la sua solita esuberanza, costringendo Hikaru a stappare una bottiglia di vino rosso per festeggiare.

“Che buono! Da dove viene?” Commentò.

“Dalla cantina di mio zio. – rispose il Druido – Apparteneva alla sua riserva speciale, ma penso che non gli dispiacerà se lo usiamo per celebrare la nascita di suo nipote.”

I due amici si sorrisero complici.

“Il piccolo è di là con la madre?”

“Sì – Matsuyama era visibilmente orgoglioso – Yoshiko sta riposando, è stato un parto faticoso. Vieni, ti faccio vedere Tobei.”

I due si incamminarono nel corridoio e raggiunsero la camera padronale. Hikaru bussò leggermente, ma non ottenne risposta. Aprì e si intrufolò nella stanza.

Il piccolo dormiva tranquillo nella culla preparata già da qualche giorno.

Matsuyama si avvicinò al grande letto per svegliare la moglie.

Si accorse subito che qualcosa non andava: le guance di Yoshiko avevano perso il loro colore, la fronte era imperlata di sudore ed il respiro era flebile.

“Yoshiko! Per amor della Dea!”

La donna aprì a fatica gli occhi.

“Hikaru – esalò debolmente – mi sento svuotata.”

Il Druido si allarmò ulteriormente, poiché la Yoshiko avrebbe dovuto riprendere le forze, nemmeno a parto appena concluso gli era sembrata così debole. Preso da un'ispirazione improvvisa scostò la coperta ed inorridì: la veste da notte bianca della moglie era intrisa di sangue e la macchia si allargava sul lenzuolo sottostante.

“Dea Misericordiosa, aiutami.”

Anche Kazumasa si era avvicinato e guardava con orrore la scena: nel villaggio dove aveva servito prima di arrivare alla Cittadella aveva visto una donna morire dissanguata dopo il parto e temeva di rivivere la tragedia.

Matsuyama si affacciò alla finestra portando due dita alle labbra e fischiò con quanto fiato aveva, pregando che Memuro fosse nei dintorni.

L'aquila atterrò sul davanzale nel momento in cui terminò di scrivere furiosamente sulla pergamena.

“Vola alla Fortezza e trova la Principessa Yayoi. Solo lei e la Dea possono fare qualcosa.”

Quando Memuro fu sparita alla vista, il Druido si accostò in ginocchi al letto di Yoshiko e, afferratale una mano, iniziò a pregare più intensamente che poté.

“Divina Machiko, ti supplico, non portare via Yoshiko. Non posso perdere anche lei.”

Il Sacerdote Oda si precipitò fuori dalla stanza e si diresse al portone per farlo trovare aperto alla Principessa quando sarebbe arrivata. Aveva sentito dire che fosse una Strega Bianca, ma non l'aveva mai vista all'opera. Era la loro ultima speranza.

 

 

La Principessa Yayoi giunse correndo nella camera dei coniugi Matsuyama. Non appena Memuro le aveva poggiato in grembo il messaggio del Druido aveva lasciato l'udienza alla Fortezza, senza dire nulla, lanciando solo uno sguardo a Jun, sicura che il Principe avrebbe capito.

Le bastò una sola occhiata per capire la gravità della situazione: ogni istante di esitazione poteva essere fatale.

Giunse le mani in una rapidissima preghiera alla Divina Machiko affinché le concedesse di utilizzare al meglio il proprio dono. Si inginocchiò accanto a Lady Fujisawa, al lato opposto rispetto a quello di Matsuyama, e distese le proprie mani sul ventre della donna. Una luce chiarissima scaturì da quelle mentre la Strega sussurrava sottovoce delle formule. Da dopo il matrimonio con Jun o, meglio, da dopo che aveva conosciuto e provato il vero Amore, Yayoi aveva sviluppato le abilità magiche che le mancavano ed aveva imparato a guarire attraverso le mani, senza bisogno di ricorrere a pozioni e simili.

La perdita di sangue si arrestò e la Strega spostò le mani risalendo lungo il corpo di Yoshiko, fino alla testa. Poi la luce sparì.

Il respirò di Lady Matsuyama era tornato profondo e regolare e le gote avevano riacquisito colore.

Yayoi sospirò: era arrivata in tempo.

“Va tutto bene. Yoshiko è salva.”

Al sentire le parole Hikaru scoppiò a piangere, scaricando la tensione, poiché aveva temuto di perdere l'adorata moglie.

“Divina Machiko, ti ringrazio.”

Yoshiko aprì gli occhi.

“Hikaru, sono qui. Non vado da nessuna parte.”

Matsuyama l'abbracciò forte.

“Ho avuto paura che non potessi tornare da me.”

“Io tornerò sempre da te.”

Yayoi osservò i due sposi con commozione, mentre il Sacerdote Oda innalzava una preghiera di ringraziamento alla Dea.

 

 

 

Hikaru stava bevendo una coppa di vino quando venne raggiunto dalla Principessa che aveva aiutato Yoshiko ad indossare una veste pulita. Si alzò di scatto.

“Altezza Reale, io non so come ringraziarvi per quello che avete fatto, per aver salvato la mia Yoshiko.”

Yayoi scosse la testa.

“Non dovete ringraziare me, Druido Matsuyama, ma la Dea che mi ha dato la possibilità di guarirla: sapete meglio di me che devo a lei i miei poteri.”

Hikaru annuì, considerava da molto tempo il fatto che una Strega Bianca si fosse stabilita alla Cittadella un disegno della Divina Machiko e ne aveva avuto un'ulteriore conferma.

“Mi chiedo perché non mi abbiate mandata a chiamare prima, sapevate che avrei assistito più che volentieri vostra moglie durante il parto.”

Il Druido chinò la testa.

“Avevate le udienze alla Fortezza.”

“Non dovevate preoccuparvi – rispose benevola Yayoi – Il Principe Tsubasa e mio marito sono perfettamente in grado di cavarsela da soli. Spesso io ascolto solamente.”

“Avrei dovuto chiamarvi subito, forse avremmo evitato tutto questo.” Matsuyama sospirò, offrendo poi un calice alla Principessa.

“Grazie. Non date colpe né a voi stesso né alla Levatrice: molte volte queste emorragie si manifestano ad ore di distanza dal parto, non avrebbe potuto prevederle.”

“Se Kazumasa non fosse arrivato – Hikaru parlò con voce spezzata – non sarei andato nella stanza da letto e non me ne sarei accorto per molto tempo.”

“È vero, ma la Dea ha fatto in modo che lo notaste e salvaste Yoshiko con la vostra prontezza di spirito di mandare l'aquila a cercarmi. Stasera tornerò a controllare come sta e porterò un decotto che l'aiuterà a recuperare le forze: anche se non c'è più nessun pericolo, la perdita di sangue è stata molto abbondante. Ora andate da lei, io porterò la buona notizia ai Principi.”

La Strega appoggiò la coppa e se ne andò silenziosa.

Il Druido si raccolse in preghiera per mettere ordine ai pensieri, non credeva che avrebbe provato un'angoscia così grande, peggiore di ciò che aveva sentito quando erano morti i suoi genitori. Se Yoshiko non ce l'avesse fatta non avrebbe saputo come sopravvivere al colpo.

Andò in camera e trovò Lady Matsuyama sveglia, seduta nel letto a cullare il piccolo Tobei. Subito gli si scaldò il cuore e si sentì fortunato per i due miracoli che la Dea gli aveva donato e che amava con tutto sé stesso: la sua bellissima moglie e il suo bambino, la sua famiglia. Sentì che non avrebbe potuto provare felicità maggiore.





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E finalmente siamo arrivati alla fine di questi Sonetti! Una fine che può anche essere un nuovo inizio per i nostri protagonisti. ;) Avevo iniziato con le loro nascite, concludere con quella dell'erede mi sembrava il modo perfetto di chiudere il cerchio. Anche se c'è stato un piccolo brivido.
Dico "finalmente" siamo alla fine, perché questa raccolta ad un certo punto ha iniziato una moltiplicazione spontanea: la prima scaletta contava di 19 capitoli a cui se n'è aggiunto prontamente uno per arrivare a cifra tonda. Poi in stesura se ne sono aggiunti quattro fino a giungere a 24.

Per l'angolino dei ringraziamenti, ringrazio tutti coloro che hanno letto silenziosamente ed inserito la storia nelle varie liste. Ringrazio in particolare Melanto e Sanae77, infaticabili commentatrici ad ogni aggiornamento.
Un saluto anche a Sakura Chan che si è divorata in un lampo La Ballata  ed ora si è avvicinata anche a questi Sonetti.

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