L'alba che verrà

di _DA1SY_
(/viewuser.php?uid=1063086)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La piaga ***
Capitolo 2: *** Fuori dal buio e verso la luce ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni ***
Capitolo 4: *** Una ragazza inquietante ***



Capitolo 1
*** La piaga ***


“Sto morendo? No, credo che sia solo il solito sogno.”

Il vento si stava alzando su quel paesaggio grigio e freddo, privo di colori come fosse spento e morto sotto un cielo livido di pioggia e carico di tensione, rigido come le persone che avvolgeva; un gruppo di ragazzi di ferro che, inglobati nel marcio panorama non risaltavano rendendone dunque omaggio.

Immobili e inflessibili, eretti sulle loro gambe con il viso severo come se privato di emozioni umane, esseri viventi azzerati da sentimenti e di libertà, come fossero automi; stavano lì, con il mento in alto verso quel cielo tuonante e con sguardo fisso in quel vuoto infinito attendendo parole, ordini o comandi da chi li aveva privati della loro volontà e resi schiavi del sistema.

In riga, uno a fianco dell’altro, stavano in silenzio e immobili con lo sguardo fisso esattamente all’orizzonte dei loro occhi spenti e apparentemente privi di anima.

Lo stesso taglio di capelli, una rasatura perfetta a filo della pelle che lasciava crescere, a tre dita dalle orecchie, un ciuffo perfettamente pettinato e ordinato. Erano uomini consapevoli di aver accettato personalmente di essere privati di ogni libertà e qualifica che li rendesse umani e differenti gli uni dagli altri.

Le divise grigie ma pulite, il portamento rigido e inflessibile che neanche quella pioggerella estiva, che prometteva una tormenta sembrava poter mutare.

Un uomo, molto più anziano, osservava i ragazzi come fossero carne da macello; camminava avanti e indietro di fronte ad essi sul piastrellato in marmo grigio, dove qua e là nelle insenature era cresciuto qualche ciuffo d’erba che pareva anch’esso spento e malato.

In quella giornata si contavano ventuno anni precisi dal momento in cui l’umanità venne sopraffatta dalla piaga, un dolore che il genere umano si trovò a dover affrontare senza mai trovare una spiegazione logica al perché della sua comparsa.

Il comandante, in veste verde e marrone, si fermò all’improvviso e, senza dare ordine di riposo, iniziò il suo discorso che non sarebbe potuto essere interrotto dai semplici ragazzi al suo cospetto. << Soldati, siete qui perché cinque anni fa avete scelto di far parte del nuovo ordine del corpo militare; vi siete arruolati spontaneamente e oggi, per qualcuno di voi, è finalmente giunto il momento di passare di grado. Il vostro gruppo sarà il terzo. Solo due gruppi sono stati formati prima di voi e come ben sapete hanno fatto molti progressi in questi anni di ricerche; hanno catturato molti sussurratori e a volte sono stati costretti a imprigionare i loro protettori; hanno scovato le informazioni alla quale VOI tutti ambite ma, soltanto nove di voi quindici hanno mostrato le abilità e le attitudini per passare di grado e poter iniziare a lavorare accanto alle squadre di ricerca ed essere informati sulle straordinarie scoperte. Questo era il vostro momento, e questi anni sono stati la vostra formazione, siamo rimasti molto stupiti da alcuni di voi e delusi da altri, l’elenco con i nomi dei soldati saliti di grado è fissato alla bacheca fuori dal vostro dormitorio. Andate incontro al vostro destino soldati, rompete le righe. >>

Dopo quell’invito i ragazzi si liberarono dalla morsa della ferrea disciplina militare che gli era stata inculcata per anni come dovere comportamentale e, muovendosi con furia, come un branco di animali al pascolo, corsero verso il dormitorio, verso il loro ambito e tanto sognato futuro, pareva impossibile che, fino a pochi attimi prima, erano stati privi di così tanta energia e vita.

La pioggia continuava a cadere e questa volta non erano più immuni alla forza della natura; le divise dopo la corsa nel fango erano lerce e luride, i loro capelli erano ormai spettinati e fradici; inzuppati così non sembravano più soldati dell’esercito ma “ratti in divisa” come venivano definiti da una buona fetta dell’umanità in disaccordo con i loro modi di riportare la pace e l’ordine nel mondo.

Tra i ragazzi che si trovarono a fissare l’elenco appeso alla bacheca c’era chi sorrideva e si dimenava per la felicità e chi continuava a ripassare, riga per riga, leggendo tra i nomi inseriti dove fosse il proprio, sperando di non averlo visto nelle letture precedenti.

<< Ale, mi dispiace molto. >> Lorenzo mise la mano sulla spalla dell’amico, ma quest’ultimo non riuscì a rispondere, non riuscì a guardarlo negli occhi, persino respirare sembrò difficile e così innaturale in quel momento.

Aveva dato tutta la sua vita al raggiungimento di quello scopo, rinunciando persino alla sua famiglia e arrivando a ripudiare suo padre, un sussurratore, per poter entrare in quell’élite.

Dalla morte di sua madre e ancora prima forse, da quando iniziò a comprendere che suo padre era stato colpito dal male che tutti chiamavano “la piaga”, aveva scelto che quello di entrare del gruppo militare di ricerca sarebbe stato il suo obbiettivo e la sua ragione di vita.

<< Vedi che fine fanno quelli come te? I figli dei sussurratori? Sei marcio, e non vogliamo merda in questo gruppo; il nostro compito è quello di aiutare e di proteggere i civili da quelli come te! >>

Lorenzo tolse la mano dalla spalla di Alessandro che sembrò non sentire neanche l’offesa. << Lascialo in pace, sono sicuro che ci sia un errore. Ale non può essere stato sbattuto fuori dal corpo di ricerca, è quello che tra tutti noi più si merita di passare di livello. Sono certo ci sia un errore e se fossi in te mi rimangerei quello che hai detto perché scommetto che da domani verrà nominato lui capo del terzo gruppo e se così fosse ti converrebbe abbassare i toni oppure il primo ad andarsene affanculo tra tutti noi sarai tu. >>

Federico rimase zitto con il viso corrugato e con l’amaro dell’offesa subita. Sapeva che Lorenzo aveva ragione, Alessandro era da sempre quello più preso di mira a causa del padre ma era anche quello più determinato e più pronto di tutti; non solo aveva mostrato grande determinazione ma le sue qualità in quei cinque anni di addestramento avevano spiccato sotto ogni disciplina, facendogli acquistare il rispetto di tutti i superiori e la promessa che avrebbe comandato lui il terzo gruppo una volta finita la selezione, o almeno così era parso a chiunque in quella cerchia di soldati.

Lorenzo prese per un braccio Alessandro e insieme andarono dal comandante, ma non ci fu modo di cambiare il verdetto fiale; l’ultimo test scritto era risultato insufficiente benché Alessandro continuò ad affermare che dovevano esserci stati degli sbagli. In tutta risposta, ottenne solo la minaccia di essere espulso dall’accademia ed espulsione significava definitiva impossibilità di coronare il suo sogno.

<< Ale, come ti senti? >>

<< Uno schifo Lore, ho rinunciato a tutto per arrivare a questo punto, hai idea di come mi possa sentire? Hai idea di quanto mi senta un fallito? Ho messo tutto in questo sogno, capisci? Come posso aver fallito? >>

Lorenzo non sapeva proprio come rispondere ad Alessandro; si conoscevano da cinque anni ormai, da quando si erano ritrovati compagni di stanza all’inizio della loro carriera militare. Erano diventati come fratelli, forse l’essere entrambi inesorabilmente così soli li fece avvicinare, tanto che negli anni trovarono forza insieme facendosi coraggio l’uno con l’altro. Era per loro giunto il momento di salutarsi? << Sto pensando di rinunciare per quest’anno, sai? Posso rinunciare al passaggio di grado per quest’anno e ritentare l’anno prossimo con te. >>

<< Non lo fare Lorenzo! Non è un tuo problema questo e anzi, sei il migliore di quel gruppo e sei l’unico che può ambire al grado di capo. >>

<< Non mi interessa del grado e di tutto il resto, ho iniziato questo percorso con te e non voglio ritrovarmi in un gruppo in cui la persona che più se lo merita non c’è, hanno voluto escluderti? Bene, per quest’anno perderanno i due miglior soldati. >>

<< Non farmi sentire addosso il peso di questa scelta. >>

<< Io scelgo per me, tu al mio posto avresti fatto lo stesso. >> Alessandro si morse il labbro, dubbioso sull’affermazione del ragazzo. << Avevo fatto arrivare una cosa per questa occasione speciale e visto che entrambi riproveremo l’esame l’anno prossimo almeno dobbiamo festeggiare il tuo compleanno, tanti auguri Ale. >>

Lorenzo tirò fuori da sotto il suo letto una bottiglia di vino rosso e Alessandro finalmente sorrise, erano cinque anni che non vedeva più alcolici, nulla usciva e nulla entrava nell’accademia, era una specie di fortezza o un carcere di massima sicurezza. << Come cavolo hai fatto Lore? >> Alessandro era sorpreso e colpito da quell’inaspettato regalo.

<< Eh, sapessi. Ho i miei trucchi! >> Lorenzo aprì la bottiglia facendo scivolare il tappo incastrato nel collo in vetro e, tossendo per camuffare il rumore, stappò la bottiglia riempiendo due bicchieri ma, finito il brindisi, gli auguri e il primo sorso la sveglia di Lorenzo suonò, segno che in quella sera e in quel momento toccava a lui il giro di perlustrazione dell’edificio. Fu così costretto a lasciare Alessandro solo nella stanza e con il bicchiere di vino ancora pieno, uscì quindi per il solito turno di guardia.

Il ragazzo, anche se in solitudine, si concesse il privilegio si bere il primo bicchiere, di riempire il secondo e di finire anche quello senza dar segno di voler smettere. I suoi pensieri iniziarono a farsi più offuscati e il corpo teso improvvisamente si sciolse, quasi fosse fatto di molle. Dopo aver posato il terzo bicchiere mezzo vuoto sul comodino si sdraiò nel letto e lasciò la sua mente vagare senza freni, permettendogli di ripercorrere momenti dolorosi che per anni erano stati chiusi in uno scomparto segreto della sua memoria.

La perdita di sua madre alla tenera età di cinque anni e l’affidamento agli zii perché il padre, essendo in una struttura, non era in grado di curarsi di lui.

Ripensò a cosa si lasciò alle spalle per inseguire il suo sogno, rinunciando ad ogni tipo di rapporto con il padre, anche se ogni tanto si domandava qualcosa a riguardo: come stesse, se si ricordasse di lui e se dopo tanto tempo avesse sentito la mancanza di suo figlio e ancora, se si ricordasse di averne uno.

La verità è che dalla nascita del ragazzo, il padre era stato colpito dalla piaga, lui come una grande fetta dell’umanità; voci lontane di un mondo al di là della terra, un inferno, un paradiso dove i morti parlavano con i vivi dandogli ordini incomprensibili e folli.

Alessandro si ricordò degli anni in cui sua madre si prendeva cura del padre nascondendolo al governo, era piccolo, molto piccolo e nella sua mentre conserva l’immagine dell’uomo che parla, urla e sorride, riportando frasi senza senso e macabre di vita e di morte, discorsi su fate o su elfi che sosteneva di vedere.

Sua madre si era presa cura di lui e di un marito che aveva più di una volta provato ad ammazzarla. Quella donna mai aveva fatto pesare a qualcuno la sua condizione di vita e mai aveva trattato in modo diverso l’uomo che tanto aveva amato. Si era presa cura di entrambi finché le fu stato concesso, finché il male che la minacciava da qualche tempo la fece morire in un freddo giorno di inverno.

Alessandro aveva incolpato il padre per la morte della madre; sentiva che la malattia della donna era stata colpa del dispiacere di avere accanto un uomo del genere.

Nessuno aveva una risposta al perché della piaga se non il governo e l’esercito. Da anni infatti, l’accademia militare formava uomini per il gruppo di ricerca per studiare, controllare e debellare la piaga.

“ Sto morendo? No! Dannazione, è sempre lo stesso sogno. Mi fa tanto male il braccio.. “

Il vortice di angoscia che l’alcol aveva portato nella sua testa e il sonno leggero, nel quale era involontariamente caduto, vennero bruscamente interrotto dal bussare prepotente di qualcuno alla porta della stanza.

Saltando sul letto con il cuore in gola pensò che Lorenzo, come al suo solito, aveva dimenticato la chiave della stanza in camera ed era rimasto chiuso fuori ma, per precauzione, in pochi secondi nasconde i due bicchieri e la bottiglia di vino dell’armadio e solo dopo andrò ad aprire la porta. Di fronte a lui non c’era Lorenzo ma Federico e Marco, entrambi con un sorriso malvagio in volto.

<< Mi dispiace Ale, non prenderla sul personale ma ci è stato ordinato di farlo. >> I ragazzi iniziarono a strattonarsi finché Marco riuscì a mettersi alle spalle di Alessandro bloccandogli le braccia mentre Federico iniziò a prenderlo a pugni in faccia e calci nello stomaco finché il ragazzo non smise di dimenarsi e perse i sensi.

Come su un altalena, Alessandro ebbe dei momenti di lucidità, si sentì prima scuotere d’un tratto e poi torno alla realtà, anche se una realtà distorta e appannata alla vista confusa di una mente instabile. Mentre lentamente riacquistava per poi riperdere subito dopo i sensi, vide una figura nera, una figura avvolta in un mantello e con il volto coperto da un cappuccio. Il ragazzo sentiva qualcosa pungergli il braccio, sentiva un dolore, un fastidio ma da lì a poco, tornò l’incoscienza.

“ Sto morendo? Forse si.. Questa volta credo di si.. “

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Fuori dal buio e verso la luce ***


Quando gli occhi di Alessandro rincontrarono la luce, si trovò disteso su una brandina nell’infermeria mentre al suo fianco stava Lorenzo a braccia conserte e con viso severo. A pochi metri, altre due brandine erano state messe per Federico e Marco che, sporchi di sangue e imprecando per il dolore delle ferite, stavano seduti contorti.

<< Cos’è successo Lorenzo? Perché quei due mi.. >> Alessandro cercò di alzarsi e sedersi, mentre premeva con una mano la fronte dolorante. L’amico si mise subito a disposizione per aiutarlo, cercando di mantenerlo in equilibrio tenendogli una mano dietro la schiena.

<< Ale, si più sapere cos’hai combinato? Vuoi farti espellere? Cosa cazzo ti è preso? >>

<< No! Lore non è stata colpa mia, sono stati loro a picchiarmi! Hanno bussato alla porta, credevo fossi tu e quando ho aperto ho trovato quei due bastardi! Io non li ho picchiati, devi credermi Lorenzo. Ho anche visto qualcuno mentre ero privo di sensi; qualcuno incappucciato, avvolto in un mantello nero. >>

<< Di cosa stai parlando Ale? Dovete esservene date proprio tante! >>

<< Non mi credi? Lorenzo non ho alzato un dito io! >> Recuperando il fiato, la voce di Alessandro si faceva sempre più aggressiva.

Lorenzo non fece in tempo a rispondere che nella stanza entrò con prepotenza il capitando seguito da un uomo in camice bianco.

<< Mi vergogno di voi soldati, ubriacarsi e picchiarsi a sangue? È questo che vi abbiamo insegnato in cinque anni? Dove hai preso l’alcol tu? Piccolo bastardo, avremmo dovuto capire da subito che uno nato dalla feccia sarebbe stato feccia! E voi? Siete passati di grado, occorreva davvero sporcarsi le mani in questo modo? Il dottor Mertol ha eseguito un prelievo del sangue su tutti voi e l’unico ad essere risultato positivo all’alcol è stato il soldato. Per il tuo comportamento deplorevole, Alessandro Regent, sei definitivamente espulso. Ubriacarsi e conciare così due compagni è troppo. >>

<< Non sono io il bastardo qui, non li ho conciati così! Sono stati loro a bloccarmi e a pestarmi, erano in due contro uno! >> Non era la prima volta che sul ragazzo venivano usati certi termini e raffigurazioni ma era la prima volta che Alessandro aveva trovato la forza di alzarsi in piedi e di ribellarsi a quella mancanza di rispetto. Essere chiamato bastardo dopo tutti i sacrifici che aveva fatto per loro e per quella causa, essere chiamato bastardo ed essere considerato feccia, rispettare le regole dava dunque la possibilità ad un superiore di mancare di rispetto e azzerare la dignità umana? No, questa volta il ragazzo scelse sé stesso, e di lottare per la sua dignità, non più per il suo sogno.

<< Osi rispondere in questo modo ad un tuo superiore? E allora dimmi, tu avrai un labbro spaccato e qualche livido qua e là, ma come me lo spieghi il naso rotto di quello? >> Disse il comandante indicando Federico. << Chi li ha conciati così? >> A pochi centimetri dalla faccia del ragazzo, il comandante urlava, sputando inconsapevolmente saliva.

<< Si saranno pestati da soli solo per mettermi nei casini >> Aggiunse poi con tono pacato e di indifferenza, asciugandosi il viso con il pollice.

<< Questo è troppo. Ho preso la mia decisone, espulsione immediata e senza possibilità di arruolarsi ancora mentre, per quanto riguarda gli altri due li affido a te Lorenzo. Ti sei dimostrato da sempre un bravo soldato, hai sempre aiutato questo povero stronzo ad essere una persona migliore ma come ho già detto, buon sangue non mente. Hai portato tutti loro in infermeria stamattina scegliendo di fare la cosa giusta per il bene di tutti e lasciando da parte i tuoi sentimenti. Hai scelto di rispettare le regole senza remore e facendo ciò che la giustizia ti imponeva di fare. Ti nomino qui, e in questo momento, ufficialmente capo della terza squadra di ricerca, sono affidati a te ora. Fai di loro ciò che ti pare e infliggi a loro una punizione esemplare. >>

Alessandro si alzò dalla brandina e senza troppi convenevoli anzi, in silenzio e con indifferenza, se ne uscì dalla porta.

Lorenzo dopo quasi mezzora fece ritorno nella sua stanza dove Alessandro stava preparando la valigia, raccogliendo ormai le ultime sue cose.

<< Non credevo che sarebbe successo tutto questo Ale, devi credermi. Io vi ho portati in infermeria solo perché vi ho trovati conciati in quello stato, sei stato praticamente tutta la notte privo di sensi su quella brandina. >>

<< Lore, lo so. Non do la colpa a te della cosa infondo, l’esame del sangue non mente, ho bevuto tre o quattro bicchieri dopo che sei uscito. Non do la colpa a te, sono solo incazzato perché davvero io non c’entro nulla. Sono sicuro, per quanto potessi essere ubriaco, di non aver alzato un dito. Ho aperto la porta e quei due hanno iniziato a picchiarmi anche dicendo qualcosa tipo “Ci è stato ordinato”, e poi ho visto qualcuno incappucciato e sono sicuro che abbia fatto qualcosa sul mio braccio. La faccenda è strana e sta prendendo una piega che non mi piace. >>

<< Sai dirmi qualcosa di più su questo tizio? Sei sicuro che non fosse il dottore che ti ha fatto il prelievo? Magari eri incosciente e ti è sembrato incappucciato ma in realtà non riuscivi a mettere a fuoco.>>

<< Non lo so. Potrebbe anche essere ma, qualcosa non mi torna; vedendo come sono andate le cose sono più che sicuro che qualcuno volesse incastrarmi. Federico e Marco hanno detto che gli è stato ordinato di farlo e quelle parole le ricordo bene, ero ancora cosciente.>>

Lorenzo si sedette sul letto accanto alla valigia di Alessandro. << Dovresti denunciare la cosa, fare ricorso. Magari interrogando quei due si può risalire a chi sta dietro questa faccenda. >>

<< Credo che qualsiasi cosa io faccia o dica, da adesso in poi, sarò comunque etichettato come feccia, come bastardo e, per aggiungerne una, come un ubriacone spara cazzate. >>

<< Mi dispiace per le cose che ti hanno detto. Sai che non è così, vero? >>

<< Certo che lo so. Ed è per questo che non sono dispiaciuto di andarmene da questo posto. Ho sacrificato ogni cosa per il bene della ricerca, perché speravo che così facendo avrei potuto aiutare persone come mio padre e persone come mia madre ma, in questo posto guardano quelli come mio padre solo come delle bestie da macello dalla quale ricavare informazioni per poi eliminarli definitivamente per paura che succeda ad altri ciò che è successo a loro. Ora finalmente ne sono consapevole e ne ho avuto la prova, questo posto non è come credevo; è stato fatto per sopprimere quelli che io voglio aiutare ed è per questo che io non c’entro più nulla. Troverò la mia strada e troverò persone che la pensano come me, ricomincerò da li. >> Alessandro chiuse la valigia e sul suo volto comparve un sorriso pieno di speranza.

<< Ale, io sono una persona che la pensa come te. >>

<< lo so Lore, per questo sono contento che sia tu il capo del terzo gruppo, ora che ti è stata data la possibilità, cambia le cose. >>

Lorenzo sorrise e si alzò dal letto. << Cercherò di capire cos’è successo questa notte, Ale. >>

<< Lore, stai attento. Se volevano fare qualcosa a me, non è escluso che vogliano farlo anche a te. E poi quella figura scura e incappucciata. Sono sicuro di averlo visto per davvero. >>

<< Scoprirò di più sulla faccenda, te lo prometto. Le nostre strade si incroceranno ancora un giorno, lo sai vero? >>

<< Certo, Lore. >> Alessandro mise a terra la valigia e, prima di iniziare a trascinarla, con una mano si strinse il segno dolorante sul braccio.

<< Bada a quella cosa, non mi è mai sembrata normale. Ti fa tanto male? >> Lorenzo indicò il braccio di Alessandro.

<< Brucia da qualche giorno ormai. >>

<< Potresti farlo vedere a un dottore. >>

<< è solo una voglia Lorenzo. Sai, dopo tutto questo tempo, stavo pensando di andare a trovare mio padre. >>

<< Vai, ora sei finalmente libero di andare! >>

I due ragazzi si salutarono in un forte abbraccio e dopo essersi dati qualche pacca sulla schiena Alessandro se ne andò per la sua strada.

Uscito da quel cancello sentì una ventata di libertà, la brezza che preannunciava l’estate, quell’aria fresca dopo la tempesta. Gli uccelli volavano alti in quel cielo dipinto e cinguettavano felici, era stata aperta la gabbia e il desiderio di volare lontano non era mai stato così vivo e acceso. I dubbi e le domande che affollavano la mente del giovane erano comunque violenti come il mare in tempesta; c’era la consapevolezza di un fallimento ma la serenità di aver mantenuto l’orgoglio senza doversi sentire davvero feccia per sé stesso. C’era fierezza in cuore per aver saggiamente rinunciato al suo sogno, avendo scelto finalmente di prendere le difese del padre non accettando più di essere definito il marcio della società. Quella libertà era dunque forse sintomo di maturità?

Per quanto fosse terrorizzato dal futuro nuovo che quel cancello gli aveva spalancato davanti agli occhi non si sarebbe mai più dovuto piegare ad un ordine che gli imponeva di trattare chi avrebbe voluto aiutare come cavie da laboratorio. Come aveva fatto a perdersi per così tanto tempo? Come aveva fatto ad essere così cieco? Se avesse voluto aiutare suo padre gli sarebbe dovuto restare accanto, non accettare che lo definissero mostro solo per poter accedere ad un gruppo ristretto di individui senza morale e senza pietà.

Aveva fatto di tutto per riavere la sua famiglia, ma solo in quel momento, si rese conto che la sua famiglia lo stava aspettando in silenzio da anni.

L’autobus era carico di gente quella mattina, molti erano saliti nel quartiere residenziale. Alessandro viveva in una zona di periferia, poco lontana dal centro e vicino alla parte industriala della città. Suo padre aveva ereditato una piccola fattoria strizzata tra i quartieri del centro e la zona periferica. Benché a pochi isolati dall’abitazione iniziavano le fabbriche, la fortuna di quel pezzo di terreno, sul quale era poi stata ubicata la casa, era l’immensa privacy e pace che in quel luogo si potevano respirare.

Infatti, la proprietà della famiglia Regent era raggiungibile solo tramite un sentiero in mezzo ad un fitto bosco, polmone della grande città e, proprio lì nel mezzo di quella foresta in uno spiazzo di terra, spuntava innaturale dal suolo la vecchia casa tra quei fiori variopinti e profumati e sotto i tronchi che, aggrovigliandosi, formavano uno squarcio in quel cielo azzurro trapunto di nuvole. Con il cinguettare degli uccelli, che con il loro canto animavano l’intera area, e l’edera e la rosa rampicante, la fattoria appariva come fatata e magica.

Mentre Alessandro camminava sul sentiero, riusciva ad intravedere l’edificio e ancora una volta, non sapeva spiegarsi come fosse possibile nel giro di così pochi minuti passare dal traffico e dal caos del mondo a quel luogo così magico e sereno.

Ai lati del sentiero c’erano una vastità di alberi di tutti i tipi, si poteva sentire un immenso profumo di erba e di terra bagnata, e di tutto ciò che compone un bosco: muschio, fiori, vita.

Ogni tanto si sentiva l’abbaiare di cani che animavano i suoni della natura. Non aveva mai avuto parole per descrivere l’immensità di quel posto, ma quello, più di qualunque altro luogo era casa sua.

Il ragazzo non aveva mai sentito di appartenere al caos, al grigio della città e a quella visione opaca del mondo. Sarà che si era sempre sentito estraneo a quella vita, estraneo a quegli ambienti, agli usi e alle abitudini degli uomini di quella città e di quel mondo pur essendone un ospite vivente.

Le corse a cavallo, le passeggiate nel bosco, la pioggia che cadeva incensante sulla natura maestosa e sonora, i piedi nudi sul prato e il contatto con la vita.

Lui apparteneva a quel mondo, e tornare in quel luogo non era solo tornare a casa, era tornare a qualcosa di più profondo e di più vero, era tornare ad essere vivo.

Il ragazzo era giunto fin davanti alla porta d’ingresso. Il suo animo tormentato aveva lasciato spazio alla felicità che appariva ben visibile sul suo volto ma, in quella beatitudine, bastò un rumore innaturale a strapparlo dal suo sogno sereno e a ributtarlo violentemente e con prepotenza nella crudele realtà del vero mondo in cui era nato e vissuto.

Un rumore diverso dai suoni della natura, un rumore sinistro che spezzò la pace e la quiete di quel luogo, per qualche secondo gli uccelli smisero di cinguettare e le cicale di frinire. Il ragazzo si voltò di scatto cercando di ascoltare i suoni oltre la natura e sforzandosi con gli occhi di scrutare attentamente ogni singolo movimento innaturale delle piante.

C’era qualcuno, non era solo e Alessandro lo aveva capito da subito. Solo perché non riuscisse a scovare tra le fronde l’ospite indesiderato non voleva dire che non ci fosse.

Il ragazzo inserì la chiave nella toppa della serratura ma questa non volle girare.

Erano cinque anni che nessuno tornava in quel luogo infatti, la vecchia stalla, la casa e persino il sentiero non più battuto erano stati sopraffatti dalla mano del tempo e dalla forza di madre natura.

Ma quella porta, la serratura non poteva aver avuto vita propria, non poteva essersi aperta e poi chiusa, e poi aperta ancora a suo piacimento o per mano della natura. Così girò la maniglia e la porta si aprì.

C’era qualcuno li fuori e qualcuno era stato anche lì dentro.

<< Cosa cazzo vogliono da me? Quello incappucciato, quello nascosto tra le fronde e ora quello che è entrato in casa mia? Sarà sempre la stessa persona? >>

Alessandro entrò nella casa e chiuse dietro di sé la porta. Quella era l’unica porta che dava all’esterno, se ci fosse stato qualcuno in casa l’avrebbe scoperto. Prese l’attizzatoio in ferro del camino e iniziò a perlustrare la casa. Quanti ricordi, quelle stanze erano state nei suoi sogni per tutti gli anni da soldato, il pensiero che qualcuno avesse violato un luogo così sacro per lui era fastidioso come l’idea che qualcuno avesse toccato le sue cose e ancora di più quelle di sua madre, che custodiva come cimeli di inestimabili valore.

La casa era sottosopra, tutto era stato messo a soqquadro. I cassetti e gli armadi erano stati svuotati, non si trattava di ladri altrimenti avrebbero rubato anche le poche cose di valore. Chiunque fosse entrato cercava qualcosa in particolare, doveva aver avuto un obbiettivo ben preciso per svuotare ogni cassetto e rovistare in mezzo ad ogni cosa. Quale oggetto mancava alla lista? Alessandro non poté capire cosa mancasse nella conta, non aveva idea di cosa ci potesse essere nascosto in quella casa di così importante. Poteva aver a che fare con il padre, qualcuno dell’esercito che stava svolgendo delle ricerche o suo padre stesso in un momento di follia. Non aveva una spiegazione ancora e per quanto guardasse gli oggetti presenti in quella casa, dopo cinque anni di assenza e un’infanzia vissuta un po' lì e un po’ dagli zii, ogni oggetto pareva nuovo ai suoi occhi e solo di pochi aveva un ricordo bene preciso.

<< Forse dovrei avvisare Lorenzo di tutto questo. >> Il ragazzo scostò la tenda della finestra della camera da letto e lo vide, un'altra volta.

Una figura incappucciata e avvolta in uno scuro mantello, la stessa che aveva incontrato la notte prima, ora si stava dirigendo verso il sentiero.

<< Dannazione! Deve aver provato ad entrare quel bastardo! Meno male che ho chiuso la porta a chiave, dove cazzo sta andando ora? >> Alessandro spostò completamente la tenda per avere tutta la visuale possibile. Nessuno, non c’era più nessuno, doveva essersi addentrato nel bosco e se avesse seguito il sentiero da lì a poco sarebbe arrivato alla strada. Come potrebbe non dare nell’occhio un tizio simile? Alessandro si interrogò sulla questione e l’unica risposta plausibile è che teneva il mantello solo in sua presenza per restare in incognito e che in mezzo alla gente vestiva normale come chiunque altro. Se davvero lo avesse seguito dall’accademia fino a lì avrebbe dovuto prendere un taxi oppure una macchina. L’ultima alternativa, che gli fece ancor di più gelare il sangue, era la possibilità che si trovava nel pullman con lui, se fosse stato così Alessandro non se ne era neanche accorto.

<< Dannazione, sto diventando paranoico. Devo andarmene da qui, analizziamo la situazione; lui non sa che io l’ho visto prendere il sentiero e allontanarsi. Deve aver provato ad entrare in casa pur sapendo che io mi trovavo qui quindi il suo obbiettivo è entrare per raggiungermi. Potrebbe tornare da un momento all’altro con qualcosa per aprire la porta o ancora peggio in compagnia di altri e io sono qui da solo in un posto sperduto. Ho un vantaggio, lui non sa che io l’ho visto. Se ora io me ne vado, quando tornerà non troverà più nessuno in casa. >>

Alessandro scese di corsa le scale e iniziò a rovistare nei cassetti e tra le cianfrusaglie che erano state buttate a terra.

<< Eccolo! >> Tra gli stracci, arrotolato dentro un panno in pelle di daino, trovò il pugnale del padre, un cimelio di famiglia che da generazioni veniva tramandato di padre in figlio.

<< Papà, mi perdonerai se mi reputo pronto per questo. >> Il ragazzo tenne il pugnale in mano con la promessa di nasconderlo nello zaino una volta che sarebbe salito sull’autobus.

La prossima meta era il manicomio dove si trovava il padre ma nessuno poteva garantirgli che lungo il sentiero per arrivare alla strada non avrebbe avuto problemi. Senza perdere ulteriore tempo, si fiondò fuori dalla porta di casa e la chiuse dietro di sé; controllando un paio di volte che fosse chiusa per davvero.

Alessandro sapeva che prendere il sentiero sarebbe stato un azzardo così, dato che conosceva quel luogo, decide di costeggiarlo passando per la fitta boscaglia, tenendosi comunque ad una distanza favorevole da poter osservare l’arrivo di eventuali intrusi.

Da lì a poco, il ragazzo fu costretto a fermarsi e a nascondendosi tra la fitta boscaglia. Questa volta erano in tre, doveva aver chiamato i rinforzi.

Il ragazzo deglutì mentre la paura saliva.

Se non avesse guardato fuori dalla finestra a quest’ora lo avrebbero trovato in casa, sereno e pronto per una brutta fine.

Una fitta dolorosa come mai in tutta la sua vita gli colpì il braccio, facendolo tremare per il dolore. Digrignò i denti e cercò di trattenere le lacrime e la voce.

Quando i tre furono abbastanza lontani, tanto che non avrebbero potuto udire il suono dei suoi passi nella boscaglia, il ragazzo riprese a muoversi, fino a correre per allontanarsi il prima possibile da li, prima che loro potessero accorgersi che la casa era ormai vuota.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Rivelazioni ***


Dopo essere salito sul pullman, Alessandro si sedette nel primo posto libero che trovò alle spalle del conducente.

Il manicomio era stato costruito fuori dalla città, ai margini della comunità e nell’aperta campagna; la particolare locazione fu un modo per isolare e allontanare il problema dagli occhi di chi ne era terrorizzato.

La struttura si trovava a poco meno di un’ora dalla casa del ragazzo e il pullman era indubbiamente il mezzo più comodo per raggiungerla in quanto, ne erano stati predisposti molti per raggiungere quel luogo situato ai margini della società.

Prima di mettersi comodo, e di abbandonarsi ai suoi pensieri, fece il punto della situazione; appoggiò la fronte sul finestrino e chiuse gli occhi.

Ripensò che alla fermata nei pressi di casa sua era stato l’unico a salire sul mezzo e, essendo un orario lavorativo, sarebbero salite durante l’intero viaggio poche altre persone soprattutto considerando che quasi nessuna di quelle sul mezzo lo avrebbe accompagnato fino alla sua destinazione finale.

Continuava a domandarsi se andare da suo padre sarebbe stata una scelta saggia. Sapeva che non sarebbe potuto restare con lui per molto tempo ma confidava nella massima sicurezza e nel controllo di quel luogo, gli uomini che lo stavano pedinato ora dovevano aver per forza perso le sue tracce; o forse era semplicemente quello in cui Alessandro sperava.

Avrebbe voluto tornare all’accademia per parlare di persona con Lorenzo ma tornare in quel luogo non gli sembrava la migliore delle idee; se chi lo stava pedinando faceva parte dell’esercito anche la giustizia e le forze militari non avrebbero di certo potuto aiutarlo, aveva solo bisogno di nascondersi e indagare di più sulla faccenda.

D’un tratto pensò alla casa degli zii, quella in cui crebbe e vi passò quasi dieci anni dopo la morte della madre.

Finalmente il ragazzo tirò il fiato, aveva una meta e un posto in cui rifugiarsi una volta uscito dal manicomio.

Durante tutto il tragitto, ripercorrendo le strade che aveva visto molte volte nella sua vita e nei suoi incubi, la mente del giovane fu invasa dai ricordi.

Alessandro nacque nel giorno sbagliato, o almeno così gli fu detto. Nacque nel giorno in cui suo padre, come altre persone; donne, uomini e persino bambini, impazzirono a causa della piaga.

Alla mente del ragazzo tornarono vive le storie che il padre gli raccontava in giovane età; era solo un bambino, piccolo e ingenuo e non si preoccupava di certo di comprendere cosa fosse la pazzia, non sapendo neanche che esistesse una condizione simile, era semplicemente la sua normalità. Il padre gli raccontava cose e lui le prendeva come “favole della buona notte”, così le etichettava sua madre.

Crescendo poi, Alessandro scoprì che quelle del padre non erano semplici storie, erano esperienze di vita che credeva sue, parlava con entità e riportava discorsi sentiti nella sua testa, lui come tutti gli altri che furono colpiti da quella piaga, i sussurratori. Sentivano voci sussurrate alle loro orecchie, ma era tutto nella loro testa.

Alzando lo sguardo Alessandro notò che il conducente lo stava fissando tramite lo specchietto e, appena i loro sguardi si incrociarono, il giovane buttò l’occhio altrove, tornando a guardare fuori dal finestrino. Si era convinto che quello scambio di sguardi fu soltanto una casualità ma dovette però ricredersi quando, dopo pochi minuti, tornado a fissare lo specchietto sorprese nuovamente l’uomo ad osservarlo.

<< Scenderai all’ultima fermata tu? >> Il tono grottesco dell’uomo alla guida fece sussultare il ragazzo che stava diventando sempre più paranoico.

Lì per lì non seppe se rispondere con sincerità oppure scendere con indifferenza alla fermata successiva per poi continuare a piedi. Infine, decise di rispondere con sincerità a quella domanda; ormai era sul mezzo e, a meno che non si fosse buttato fuori dal veicolo in corsa spaccando un finestrino, sarebbe dovuto restare su e aspettare, tanto valeva verificare le sue intenzioni << Si, sto andando a trovare una persona. >>

<< Stai andando a trovare qualcuno oppure sto trasportando uno spietato assassino? Quel taglio di capelli, ho già visto gente con quel taglio di capelli, nelle loro divise e con le anime sporche di sangue innocente! >> Il tono del conducente si fece sempre più vibrante; pareva un cane che digrignava i denti, pronto ad azzannare e sbranare la sua preda.

Alessandro non capì davvero cosa intendesse l’uomo con quella frese; sicuramente il suo taglio di capelli lo rendeva facilmente riconoscibile ma non faceva più parte della milizia e dire che non era un soldato non era mentire. Tutto sommato non riusciva proprio a comprendere perché i civili considerassero i soldati assassini, di cosa non era stato informato negli anni di servizio? Cosa stava succedendo nel mondo e perché un soldato non era stato messo a conoscenza che la gente lo reputava un assassino? A quel punto, al ragazzo non gli restò altro che fingere.

<< Non so di cosa lei stia parlando. >> Non lo sapeva davvero. << Questo taglio di capelli mi piace e non capisco come questi possano fare di me un assassino. >> Cercando di mantenere la calma il più possibile incrociò le dita sperando di essersi giocato bene le sue carte. << La risposta alla sua domanda è sì, sto andando a trovare mio padre, sono stato fuori città per molti anni e finalmente ora sono tornato. >>

Ci furono una manciata di secondi infiniti di silenzio in cui il ragazzo iniziò a sudare freddo.

<< Perdonami, sono stato impulsivo. Non trasporto più così tanta gente al manicomio ormai. Da qualche anno a questa parte mi capitano si e no un paio di persone al mese se va bene. Con le storie che si sentono ultimamente poi.. >>

<< Di quali storie sta parlando mi scusi? Perdoni la mi domanda ma, perché mi ha dato dell’assassino poco fa? >> Alessandro si sentì sollevato, si era giocato bene le sue carte e quello era il momento di ricavare più informazioni possibili da quell’uomo.

<< Porti lo stesso taglio di capelli di quegli assassini dell’esercito; ho dei conti in sospeso con loro. Di quali storie sto parlando? Devi essere davvero stato molto lontano da qui ragazzo; perdona la mia impulsività di prima, ti ho giudicato male. Comunque, da qualche anno gira voce che la gente sparisce senza alcuna spiegazione. >>

<< Non si preoccupi, non avevo la minima idea che questo fosse lo stesso taglio che portano i militari e se sono così tanto mal visti in questa città, provvederò subito a cambiare la mia pettinatura; la ringrazio per avermi informato ma, come può la gente sparire senza alcuna spiegazione? >>

<< Non preoccuparti ragazzo, in pochi sanno come portano i capelli questo perché quasi nessuno ha mai incontrato di persona soldati del corpo di ricerca militare, tutti ne parlano ma in pochi abbiamo avuto l’onore di averci a che fare. >>

<< Credo di aver sentito parlare di quel corpo; non è mica quello che protegge i malati? >>

<< Protegge? >> Il conducente sbuffò.

<< Non ha risposto alla mia domanda però; come può la gente sparire? Intende dai manicomi? >>

<< Esatto. Mi chiedi come fa? La verità la sa solo l’esercito; all’inizio ti fanno credere che la causa delle sparizioni dei malati siano le voci che sentono poi, quando inizia a fare tante domande ti dicono che hanno trovato il corpo e che dall’autopsia è risultato che la causa del decesso è: infarto, una caduta con conseguente trauma cranico e ad alcuni è stata persino rifilata la scusa dell’annegamento. Si inventano di tutto poi per non farti vedere il corpo. La verità è che c’entra il governo, i militari insomma; girano voci che qualcuno stia facendo degli esperimenti su quelle anime. >>

<< Non avevo mai sentito una storia del genere, ma è davvero possibile che stiano facendo certe cose? >> In cinque anni Alessandro era stato messo all’oscuro di tutto, aveva vissuto credendo di essere nella ragione e pensando che li fuori i civili elogiassero il corpo di ricerca; lui stesso non sapeva se ciò ce l’uomo diceva fosse la verità. Sentì all’improvviso la sensazione di aver vissuto nell’illusione per tutto quel tempo.

<< Sono tutti d’accordo, per loro questa situazione è scomoda. Scommetto che li portano via per fare i loro sporchi esperimenti ma, purtroppo non siamo nessuno noi per sapere i loro piani. >>

<< No! È qui che sbagliamo, noi abbiamo il diritto di cambiare le cose e abbiamo il diritto di sapere la verità. Finché teniamo la testa abbassata le cose non cambieranno. Non capisco neanche il senso di tenerli segregati in posti come quelli... >>

<< Ti do una dritta ragazzo; attento a quello che dici, hanno occhi e orecchi da ogni parte. >>

Alessandro si zittì per qualche minuto, sentendosi d’un tratto ancora paranoico. << Lei ha parenti o amici lì? >>

L’uomo non rispose, si ammutolì e mantenne il silenzio per tutto il resto del viaggio finché, una volta a destinazione, le porte dell’autobus non si aprirono e Alessandro gli dovette passare accanto per scendere dal mezzo.

Arrivato vicino al conducente, l’uomo allungò il braccio, afferrò la maglia del ragazzo e lo trattenne. Alessandro finalmente capì perché l’autista aveva scelto di restare in silenzio per tutto il tragitto; il volto era segnato dalle lacrime e gli occhi erano gonfi e lucidi.

<< Iris. Avevo più o meni vent’anni quando i militari entrarono in casa mia e portarono via mia sorella, lei aveva solo quattro anni a quel tempo. Quel luogo all’inizio era stato presentato come una struttura di aiuto e di ricerca dove li avrebbero curati e invece, non sapevano neanche loro cosa fare e come aiutarli, la salvezza divenne la loro bara. Alla fine, avevano le strutture piene di persone che non potevano aiutare e accadde l’inevitabile, la soluzione migliore. Due anni fa Iris, come tanti altri dopo di lei, scomparve nel nulla. Ecco la loro migliore soluzione. Ti ho aggredito perché pensavo fossi uno di loro venuto per ammazzare altra gente, perdonami. Hai detto di aver dentro tuo padre? Va da lui, proteggilo. Portalo via da lì finché sei in tempo. >>

<< Mi dispiace molto per la sua perdita. Seguirò il suo consiglio. >>

Alessandro salutò l’uomo e rimase a guardare il mezzo allontanarsi.

Il gruppo di ricerca era sempre stato elogiato come il gruppo vicino ai malati e prossimo a sconfiggere la piaga dell’umanità, in realtà aveva più segreti di quanto immaginasse. << Lorenzo, chissà se hai già saputo di queste stranezze ora che sei il capo e hai diritto di essere informato su tutto. Posso davvero ancora contare sul tuo aiuto? Chissà se resterai saldo ai tuoi principi. >>

Il manicomio era una costruzione moderna, di vent’anni appena, risalente a pochi mesi dopo la comparsa della piaga. Il governo, non potendo spiegare il perché di ciò che stava accadendo, pensò bene di limitare i problemi realizzando in tutto il mondo strutture di accoglienza per individui colpiti dal male.

All’inizio erano i parenti stessi che richiedevano il ricovero, un po’ perché la fiducia nel governo era tanta e un po’ perché, improvvisamente, molte persone si trovarono difronte ad una situazione difficile da gestire alla quale nessuno era preparato.

Gli anni passarono e con essi mutò anche la coscienza degli uomini; molti, delusi dai fallimenti delle ricerche, iniziarono a riportare a casa parenti e amici dai ricoveri, offrendo così nuovamente una vita dignitosa ai malati.

Le cure sperimentali e le ricerche infatti non diedero mai i risultati sperati, i manicomi divennero quindi semplici prigioni dove rinchiudere i malati così che la società non avrebbe più dovuto averci nulla a che fare.

La scelta di riportare a casa i malati dopo gli evidenti fallimenti però, si rivelò da li a poco la scelta sbagliata a causa del loro costante bisogno di attenzioni.

I malati percepivano voci come fossero sussurri di voci lontane; i sussurratori erano spaventati da queste e terrorizzati perché erano convinti che le voci che sentivano provenivano da anime morte e questa convinzione li fece impazzire ogni giorno di più, molti iniziarono a vivere in un mondo tutto loro, popolato delle più fantasiose creature.

C’era chi sosteneva che ciò che sentivano potesse essere vero e che i sussurratori erano semplicemente persone più sensibili, che il loro fosse un dono come il sesto senso. Altri invece sostenevano la teoria che riportassero esperienze delle loro vite passate ma, al governo non interessava cosa sentissero o vedessero a preoccuparlo fu l’incremento vertiginoso dei tassi di suicidio e degli omicidi che terrorizzava la parte sana dell’umanità.

Perfino il padre di Alessandro, quando ancora vivevano alla fattoria, provò a togliersi la vita perché quelle voci di morte erano diventate così insistenti e così insopportabilmente marce da non dargli pace. Il ragazzo ricordava storie, lamenti e suppliche di anime perdute provenire dalla bocca del padre quando riportava alla madre ciò che sentiva.

Ricordando il suo passato, arrivò all’ingresso di quella villa e, come se avesse ancora per mano sua madre si trovò lì a dover varcare ancora quella soglia, spaventato come se fosse tornato bambino.

Vedendo incrementare i tassi di suicidio e omicidi e, vista la preoccupazione e il terrore delle persone verso un male di cui non si aveva né una spiegazione né una cura, il governo, insieme ai militari decisero di arginare il problema; i ricoveri che fino a quel momento erano stati offerti come un servizio su richiesta del cittadino divennero obbligatori e forzati.

Il governo offrì cospicue somme di denaro a chi denunciava o ricoverava un sussurratore sia che a denunciare fossero parenti, amici o conoscenti del malato. Quegli anni furono una vera e propria caccia alle streghe.

Alessandro ricordava perfettamente la sua prima volta in quel posto, per mano alla madre sofferente già da tempo malata con le lacrime agli occhi mentre cercava di convincere il direttore della struttura a lasciare libero l’uomo.

Si fece coraggio ed entrò, chiudendo la porto dietro di sé. L’aria che si respirava era pungente, ricca di umidità con quella punta di muffa che pizzicava il naso. Nel lungo corridoio con le pareti e il pavimento rivestiti di una plastica verde, ormai consumata e lurida, si affacciavano le porte aperte delle varie camere.

Nelle camere le finestre dovevano esser chiuse, dato che non si vedeva nulla all’interno benché le porte fossero tutte spalancate, solo in alcune la luce filtrava leggera da una qualche tapparella sgangherata. Era come se tutto l’intero complesso fosse abbandonato, non era più affollato come un tempo.

Alessandro aveva come l’impressione che in ognuna di quelle stanze qualcuno lo stesse osservando, scrutandolo nel buio, pronto a saltargli addosso da un momento all’altro.

Quel luogo era peggiorato in cinque anni e il ragazzo affrettò il passo per raggiungere la stanza dove avrebbe dovuto trovato il padre.

Una volta arrivato all’ingresso della stanza del padre fu sollevato nel vedere che, almeno lì, la tapparella era sollevata, non di molto ma, non era buio e deprimente come nelle altre, li c’era ancora la vita.

Il padre stava seduto su una sedia accanto ad un tavolo, mentre il suo sguardo era rivolto verso il mondo esterno che si mostrava oltre quella finestra.

<< Papà! >> Alessandro con un sorriso nervoso in viso si avviò a passo svelto verso il padre che, udendo quella parola, saltò in piedi osservandolo con confusione e incredulità.

<< Dove sei stato tutto questo tempo? Avevo paura di averti perduto. Sto forse immaginando tutto? Oh, no… >> L’uomo si allontanò dal ragazzo e tornò seduto al suo posto. << Vattene via, tu non esiti! >>

<< No, papà sono io! Posso spiegarti, sono stato via per cinque anni ma ora sono tornato.>>

<< No... no... Io non ci casco più! Vai via! Andate via tutti! Andatevene via tutti oggi. Stanno arrivando! Stanno arrivando a prendermi e io devo essere pronto! >> Alessandro si sentì in una morsa di angoscia, dopo tutto quel tempo cosa pretendeva? Che fosse miracolosamente guarito? Che la sua assenza non avrebbe avuto conseguenze sulla instabile mente dell’uomo? Fece dunque un gran respiro, cercando di raccogliere più calma possibile.

Il giovane non aveva mai avuto un vero e proprio rapporto con il padre. Non avevano mai avuto quei momenti padre e figlio e anzi, aveva sempre visto quell’uomo come la causa di ogni sofferenza e dispiacere della madre anche se, la donna, non aveva mai dato modo a nessuno di sospettarlo; amava a tal punto quell’uomo che continuò ad amarlo fino all’ultimo dei suoi giorni. Alessandro a quel tempo era solo un bambino e aveva associato le lacrime della donna alla sofferenza di avere un marito folle; ancora non sapeva cosa volesse dire amare a tal punto qualcuno da desiderare che il male colpisse se stessi piuttosto che l’altra persona.

Era capitato davvero poche volte che i due si fossero trovati da soli. Negli anni della sua adolescenza ad accompagnarlo a trovare il padre fu sempre la zia, la sorella di sua madre che, dopo la morte di questa, lo prese a vivere con sé e la sua famiglia.

Ora erano lì soli e Alessandro non sapeva davvero cosa dire, erano due perfetti estrani, senza un passato e senza un futuro

<< Papà sono io, Alessandro. Posso sedermi qui? >>

L’uomo girò la testa dall’altra parte, fingendo di non sentirlo e di non vederlo.

Il ragazzo sospirò. << Papà, facciamo così, io ora ti farò delle domande e tu mi riponderai con dei cenni del capo, ok? Così non dovrai aver paura che qualcuno possa vederti parlare. Va bene? >>

Il padre rispose chinando la testa in segno di approvazione.

Ci furono una manciata di secondi di silenzio in cui Alessandro si sforzò di scavare tra le sue memorie alla ricerca di qualche bel ricordo che avevano vissuto insieme ma niente; non riusciva a ricordare nulla come se quell’uomo fosse un perfetto sconosciuto. Era davvero possibile che non avessero mai fatto niente insieme? Il giovane si interrogo, senza trovare una risposta soddisfacente, riuscendo solo a ricordare i brutti momenti e a scaricare su di lui la colpa di essere stato privato di una vera famiglia e la colpa della sofferenza madre.

<< Perfetto. Prima di tutto volevo scusarmi con te, per essere stato assente così tanto tempo. >> Fu nuovamente il silenzio. << Sono tornato a casa nostra, ti ricordi com’era la fattoria? Cosa ne dici se un giorno chiedessimo un permesso di uscita e tornassimo insieme? >>

 Il padre rispose scuotendo la testa.

<< Perché? Non ti piacerebbe uscire da qui? >>

Il padre non rispose a quella domanda ma si guardò attorno, stava sudando. La fronte era lucida e umida e per il terrore non batteva ciglio. Solo la testa si muoveva nervosamente nella stanza per scrutare se ci fosse qualcun altro al di fuori di loro.

Alessandro si strinse gli occhi tra l’indice e il pollice. << Va bene, non ti piacerebbe uscire. Cambiando argomento, prima hai detto che qualcuno deve venire a prenderti, di chi si tratta? >>

Nessuna risposta.

<< Sono il gruppo di ricerca o qualcuno che c’entra con loro? >>

D’un tratto la testa dell’uomo che, fino a quel momento non aveva smesso di muoversi, si inchiodò mentre lo sguardo si rivolse a qualcosa o a qualcuno che stava alle spalle di Alessandro.

Il ragazzo si sentì preso in una morsa di terrore, desiderava che quello del padre fosse uno sguardo perso nel vuoto, assente, così non avrebbe dovuto fare i conti con ciò che ora gli si trovava alle spalle eppure, sentiva che qualcuno era lì, fermo ad osservarli.

<< Sono venuti a prendermi, Ale. >>

Nell’udire quelle parole il ragazzo si voltò istintivamente e, all’ingresso della stanza, ferma immobile nel corridoio stava la figura di una persona avvolta in un mantello e con in testa un cappuccio. Era senza dubbio la stessa persona che doveva averlo seguito a casa sua e la stessa che, quella notte all’accademia, lo aveva scosso mentre si trovava privo di sensi. Non appena il ragazzo si alzò, quella figura iniziò a correre lungo il corridoio e verso l’uscita. Alessandro prese velocemente il pugnale dallo zaino e si getto all’inseguimento.

Il giovane era veloce, e ben allenato fisicamente a quelle prestazioni. Rapido e con agile, riuscì in pochissimo a recuperare l’estraneo che si infilò in un vicolo cieco.

<< Ora dimmi chi sei, cosa vuoi da me? Perché mi stai inseguendo? >>

L’incappucciato estrasse da sotto il mantello una lunga spada e si avvicinò ad Alessandro.

Il ragazzo provò qualche affondo ma erano pressoché inutili contro un avversario che possedeva un’arma del genere.

Cercò piuttosto di schivare gli attacchi dell’altro ma con somma fatica, non gli restava che fuggire. Fece un passo indietro per poi correre via in cerca di aiuto ma, non appena si mosse, una fitta dal braccio gli paralizzo tutto il corpo facendolo urlare dal dolore, questa volta il male era addirittura peggiore di quello che aveva provato nel bosco. La mente si annebbiò e le gambe cedettero. Si accasciò a terra senza più riuscire a muovere un muscolo.

La persona avvolta in quel nero mantello ritirò la spada nella fodera e, per qualche istante, rimase immobile davanti al ragazzo che si contorceva per il male. Stava per andarsene, lasciandolo accasciato a terra quando tornò sui suoi passi e, dopo aver raccolto il pugnale da terra, gli strappò la maglietta lasciando scoperto il segno sul braccio che ora pulsava livido sulla carne viva.

<< Aiutami, ti prego! >>

La figura ora accucciata davanti a lui tentennò. Il ragazzo, preso a contorcersi dal dolore, poté notare che la testa di quell’estraneo si era mossa a destra e a sinistra, probabilmente per vedere se ci fosse qualcuno in quel luogo oltre a loro ma, più quello gli era vicino e più sembrava che il dolore si acutizzasse.

La strana figura misteriosa guardò il pugnale che teneva nella mano destra e lo strinse forte tra le dita prima di conficcarlo nel cuore al ragazzo che, da lì a poco esalò il suo ultimo respiro.

Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una ragazza inquietante ***


Le palpebre all'improvviso si spalancarono; il ragazzo in un sol colpo ispirò quanta più aria poteva come se, fino a quel momento, fosse rimasto in apnea. Ciò che lo fece svegliare così, di soprassalto, fu un forte dolore al petto: nella carne viva di sangue pulsante doveva esserci conficcato qualcosa. D'impulso, provò ad alzarsi ma non vi riuscì, rimanendo bloccato su di un letto. Le sue braccia e le sue gambe erano state legate con delle corde ai quattro lati della struttura in legno così da rendere ogni suo movimento inutile; da subito quindi gli occhi si spostarono sul petto dolorante ma nessun segno di ferita era presente sul suo dorso nudo.

 

Aveva il cuore che batteva a mille, il fiato corto e nella bocca il sapore acido del sangue. Continuava faticosamente a ispirare e inspirare piccole boccate di aria, come se dovesse tornare a riempire i polmoni di ossigeno. Provò nuovamente a dare qualche strattone con le braccia e con le gambe ma non c'era modo di liberarsi. L'unica cosa che gli era concesso fare in quella situazione era osservare quell'ambiente a lui sconosciuto. Più il tempo passava, più tornava al mondo e più sentiva i fastidi sul suo corpo. In principio solo un pizzichio al braccio, un leggiero fastidio, un solletico; poi un formicolio costante e crescente.

 

Uno raggio di luce, proveniente dalla parte alta di una parete della stanza, squarciava il buio in cui si trovava il prigioniero e, a mano a mano che i suoi occhi si abituavano a quell'oscurità riusciva meglio a comprendere cosa gli stesse accanto. L'umidità e l'odore di muffa collegarono immediatamente quel luogo a una cantina oppure a un seminterrato. Non poteva trovarsi in una prigione in quanto, gli oggetti che ornavano la stanza non erano miseri; un armadio, un baule, uno specchio e una scrivania, stracolma di fogli.

 

In quella stanza, il legno rivestiva ogni cosa, andava dal pavimento fin al soffitto, il comodino accanto a lui era anche esso in legno color nocciola; doveva essere antico e di modesto valore in quanto, le piccole imperfezioni e asimmetrie dei disegni intagliati, che lo caratterizzavano, non erano stati realizzati da una macchina ma dalla mano precisa ma imperfetta di un uomo. Nessuna lampada o lampadina sul soffitto in nocciolato, sul comodino stava solo una candela spenta e incastrata in un vecchio candeliere in ottone impastato di cera bianca.

 

 Sembrava tutto così antico.

 

Il dolore al braccio cresceva ogni istante sempre di più tanto da rendere i suoi pensieri meno lucidi e poco riflessivi, ogni sforzo di comprendere come fosse arrivato a quel punto e in che luogo si trovasse era inutile. Aspettare era quindi la soluzione migliore che gli si prospettasse alla mente; chiunque l'aveva messo lì, prima o poi sarebbe dovuto anche tornare e magari, nel frattempo, piano piano avrebbe riacquistato lucidità e forza.

 

Il rumore di una porta che si aprì squarciò il silenzio e attirò l'attenzione del ragazzo mandandolo sull'attenti.

 

<< Eccolo. >> La voce veniva dalla figura che, incappucciata e avvolta nella penombra, aveva aperto la porta; la stessa persona invitò un uomo a varcare per primo la soglia della stanza.

 

<< Vedo che finalmente vi siete svegliato! Lamentate qualche dolore? >> Chiese l'uomo basso e tarchiato che, oscillando su una gamba e l'altra, entrò per primo nella stanza.

 

<< Dove diavolo solo? >> Rispose il giovane, cercando di schiarirsi la voce. La persona, che per prima aveva parlato e che aveva aperto la porta, si spostò agilmente ai piedi del letto dove si tolse il cappuccio mostrando dei lunghi capelli lisci di una chioma bianca argentata, quasi azzurrina nella la luce di quello spiraglio. << Non fare domande, piuttosto rispondi alle nostre. >> Ruggì la giovane donna mentre si mosse verso il comodino, per poi accendere la lunga e sottile candela.

 

Alessandro osservò ogni movimento di quella donna. Finalmente con la flebile fiamma della candela il ragazzo riuscì ad osservarla meglio; non aveva mai visto dei capelli così particolari e ne rimase colpito.

 

Il volto della donna aveva una forma allungata e i lineamenti erano spigolosi con gli zigomi pronunciati; pareva quasi malata nel pallore della carnagione ma, a risaltare il tutto erano due grandi occhi verdi smeraldo poco sopra ad una spruzzata di lentiggini. Le labbra erano rosso violaceo e, carnose, arricchivano la particolarità e l'inquietudine che quel viso trasmetteva. Dalla fronte partiva la chioma argentata che liscia e perfetta scendeva fin sotto le spalle della ragazza.

 

Il prigioniero osservò poi i vestiti, cercando di inquadrare a che ramo militare o a che gruppo di soldati appartenesse ma, rimase ancor più confuso e colpito; non aveva mai visto vestiti simili.

 

Non era neanche come gli strani individui che lo stavano seguendo da qualche tempo: indossava solo un cappuccio marrone scuro collegato ad una mantellina dello stesso colore e materiale che le copriva soltanto le spalle, evitandole così l'ingombro di un lungo mantello.

 

I pantaloni in pelle erano aderenti e finivano in due stivali marrone più scuro che le fasciavano le gambe fino al ginocchio.

 

Sulla parte superiore poi, indossava una maglietta morbida bianca con un abbondante scollatura chiusa da due laccetti; le maniche erano lunghe e larghe, bloccate all'estremità in due polsini in cuoio che tenevano protetti entrambi gli avambracci, infine, una fascia in cuoio le proteggevano il petto. 

 

<< Capisco che sei spaventato ragazzo ma fidati di noi. Posso darti del tu? Rispondi a delle semplici domande e una volta che saremo sicuri che starai bene ti porteremo dal nostro capo e ti verrà spiegato tutto. Ora, ricominciamo. Senti qualche dolore ragazzo? >>

 

Alessandro deglutì e dopo aver guardato per un secondo la donna provò un forte senso di inquietudine ma, scelte di fidarsi e di obbedire all'uomo che trasmetteva più sicurezza e calma; ancora una volta si schiarì la voce e nello sconforto del dolore fece un profondo respiro. << Mi sono svegliato provando la sensazione di avere nel petto una lama, proprio nel cuore, sento nella bocca il sapore del sangue e il braccio sinistro bruciare, se solo potessi strapparmelo via dal corpo! >> La voce era debole, e parlare gli costava fatica e dolore, anche se nell'ultima frase il tonò cambiò; mordendosi le labbra diede davvero l'impressione di uno che, se solo avesse potuto, si sarebbe strappato l'arto dal corpo.

 

Alessandro riprese il fiato ancora una volta prima di riprendere a parlare; mentre l'uomo annotava tutto su di un taccuino. << Ricordo che prima di svegliarmi qui, stavo combattendo e d'un tratto il braccio ha iniziato a farmi male. Porca troia, non in questo cazzo di modo! L'uomo.. >> Balbettò per il dolore. << L'uomo con cui stavo combattendo mi pugnalò. >> Il ragazzo tentennò, come se si fosse ricordato solo in quell'istante di ciò che gli era successo. << Ho creduto di morire, come ho fatto a salvarmi?  >> Quelle labbra rosso violacee si allargarono in una smorfia di sorriso beffardo. << L'uomo. >> Sussurrò la donna divertita prima di uscire dalla stanza.

 

<< Ragazzo, senti bruciore solo al braccio? >>

 

<< Si, soltanto al braccio; ho una dannata voglia da quando sono nato e spesso negli anni mi ha dato fastidio ma mai come negli ultimi tempi. La prego, è un bruciore insopportabile, sembra che stia andando a fuoco! La prego cazzo! Mi amputi questo cazzo di braccio, faccia qualcosa! >>

 

<< Se prometti di fidarti di me ti slegherò il braccio e gli darò un'occhiata. Stiamo solo cercando di aiutarti, un po' di pazienza è tutto ti sarà più chiaro. Dobbiamo tutelarci anche noi, capisci?>>

 

Alessandro fece un cenno di approvazione con la testa; tra il dolore insopportabile e le lacrime che nascevano dai suoi occhi, si sentì sollevato e più tranquillo adesso che finalmente non si sentiva più addosso lo sguardo di quella strana ragazza.

 

L'uomo slegò poi entrambe le braccia al ragazzo concedendogli il privilegio di sedersi sul letto; in segno di gratitudine quest'ultimo rimase calmo; d'altronde che altra scelta aveva?

 

Era soffocato dal dolore e inorridito dalla sensazione del pulsare del sangue nelle vene che sembravano non essere in grado di contenere il flusso a quel ritmo incalzante.

 

Dalla bocca iniziò a colare rosso e vivo il sangue, giù per il mento e fino al petto; anche a denti serrati era impossibile contenerlo.

 

Il ragazzo che aveva riacquistato la memora di cosa fosse successo, ridiede una rapida occhiata al petto, ma ancora nulla, non aveva alcun segno di lotta, nessun taglio o ferita, neanche del rossore a provare che vi fosse stato un combattimento eppure riusciva a ricordarlo bene l'attimo in cui il suo corpo fu trafitto dal pugnale e in cui si rese conto che sarebbe morto.

 

<< Sto impazzendo? >> Alessandro si mise la mano destra tremante sul petto insanguinato, rivolgendo la domanda all'uomo piegato sul suo braccio e intento ad analizzarlo.

 

Il segno, che fino a pochi istanti prima per Alessandro non era mai stato nulla se non una voglia ora era vivo e pulsava mentre la pelle in rilievo si staccava da sola come quella di un serpente durante la muta; in quel disgustoso processo, i segni della voglia si facevano neri e definiti come mai lo erano stati prima, la voglia si allungava: i segni erano come righe spesse su un foglio di carta bianco, le vene si muovevano, in rilievo e pompavano il sangue a quel simbolo che stava nascendo. Il braccio sembrava morto, bianco cadaverico ma tutto ciò che correva, nasceva e cresceva era così vivo e doloroso.

 

<< Cosa mi sta succedendo? >> Disse nel panico più totale il ragazzo, sgranando gli occhi marroni e cercando di togliere il braccio dalla presa dell'uomo che non diede cenno di mollare la presa.

 

<< Questo che hai su braccio è un sigillo, non preoccuparti, non sei l'unico ad averlo. Adesso ti darò una cosa da magiare dopodiché il sigillo brucerà molto di più. Se mangerai il processo di chiusura sarà più veloce. >> L'uomo tirò fuori dalla sacca legata in vita una busta e un'ampolla. Aprì la busta e schiacciandola fece uscire un impasto azzurro e semidenso che mise vicino alle labbra di Alessandro. Quando il ragazzo mangiò ciò che gli era stato offerto gli venne avvicinata alla bocca anche un'ampolla. Come promesso, il dolore si fece molto più forte e la pelle iniziò a squamarsi così velocemente da far salire del fumo dal braccio; la carne stava letteralmente bruciando sotto al fuoco vivo che incideva e rimarcava i segni già presenti da una vita.

 

Alessandro urlò, cadendo sul letto tra le convulsioni mentre ogni articolazione del suo corpo si contorceva.

 

<< Coraggio, bevi anche questo presto! È un anestetico, perderai i sensi per qualche ora, giusto il tempo per permettere al sigillo di svilupparsi e al dolore di passare. >>

 

<< Mi devo fidare, giusto? >> Con la bava che colava dagli angoli della bocca, a denti serrati urlò con più furia aveva in corpo.

 

<< Devi. Piacere, sono il Dottor Strauss. >> Il dottore quindi, afferrò la mascella insanguinata con una mano e mentre il ragazzo urlava infilò nella sua bocca il liquido che stava nell'ampolla. La schiuma continuava ad uscire dalla bocca ma Alessandro cadde in un sonno profondo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3749651