From The Black To The Pink [Blackpink - Chaennie]

di Jeon_Dia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 붐바야 ***
Capitolo 2: *** 휘파람 ***
Capitolo 3: *** 불장난 ***
Capitolo 4: *** ST- ***
Capitolo 5: *** -AY ***
Capitolo 6: *** Unlistened Story ***



Capitolo 1
*** 붐바야 ***


Dormo da Lali stasera.
Fu quella la scusa che Chaeyoung usò con sua zia Bom. Beh, in realtà poteva essere considerata una mezza verità, dato che in quel momento si trovava davvero a casa di Lalisa, ma di certo non si stavano preparando per andare a dormire.
—Rosie, passami il mascara!
Come al solito Lisa si era appiccicata allo specchio all'ultimo minuto. Suo cugino Kunpimook le aspettava all'ingresso per accompagnarle a casa Kim, dove si sarebbe tenuta la festa più esclusiva del semestre, almeno secondo la sua migliore amica.
Chaeyoung trovò il mascara tra i cosmetici sparsi sul letto e lo tirò contro la nuca della sua amica.
—Ahi!— si lamentò lei.
—Ti ho già detto di non chiamarmi Rosie!
Lisa le fece il verso per poi concentrarsi sul suo trucco, che quella sera doveva essere assolutamente impeccabile.
Era evidente che la tailandese fosse più che entusiasta di partecipare a quel mega evento che augurava l'inizio dell'anno, a differenza della sua amica che non aveva la minima voglia di avere a che fare con tutti quei ricconi dalla puzza sotto al naso, soprattutto la padrona di casa.

Jennie Kim, ovvero una delle ragazze più ricche, snob, e ovviamente popolari della scuola, era conosciuta soprattutto per le sue feste, per le quali non badava a spese, con lo scopo di invitare gli studenti a suo parere più meritevoli della sua compagnia. Chaeyoung l'aveva inquadrata già dal primo giorno. Era il tipo di persona a cui piace stare al centro delle attenzioni, sempre con il suo gruppetto scelto e inavvicinabile, pronta a sfoggiare qualsiasi nuovo acquisto per suscitare invidia agli altri studenti. Più gente "comune" teneva alla larga, più la sua fama e il suo ego crescevano. A Rosé non piaceva per niente. Eppure c'erano due motivi per cui aveva deciso di accettare l'invito che sorprendentemente aveva ricevuto: Lisa, che come lei era stata etichettata come straniera dall'inizio della scuola, che voleva cogliere l'occasione per riscattarsi; Jane, la ragazza australiana con la quale aveva appena chiuso una catastrofica relazione a distanza, e che voleva dimenticare il prima possibile. Il tutto condito con il suo bisogno di sfogarsi e liberarsi dello stress accumulato.

Finalmente Lalisa si staccò dallo specchio e posando come una modella le chiese: —Come sto?
Chaeyoung la squadrò da capo a piedi. Indossava una canotta a rete bianca, dal collo alto che le scopriva la pancia e lasciava intravedere la fascia push-up nera. Un paio di pantaloni blu notte con catenelle pendenti dai passanti per la cintura e doppio strappo attorno alle ginocchia le fasciavano gambe, cosce e glutei, e per comodità aveva dei bassi stivaletti neri con lacci, in modo da poter ballare e sfrenarsi senza problemi. Con una mano la tailandese fece svolazzare i capelli categoricamente ossigenati facendo spostare l'attenzione dell'altra ragazza al suo viso. Come se le labbra di Lisa non fossero abbastanza carnose, le aveva messe in risalto con del lucidalabbra e gli enormi occhi da cucciolo erano circondati da una linea di eyeliner e ciglia curve e scurissime che gli conferivano un'aria più matura e pericolosa, nonostante i suoi tratti infantili. Di certo avrebbe illuminato il villone della Kim come un faro.
—Lali, sei uno schianto!
Lalisa sorrise ed annuì soddisfatta.
—Coraggio, babe!- esclamò avvicinandosi a lei e tirandola per un braccio per farla alzare.
—Dobbiamo andare...

Jennie avanzava velocemente lungo il corridoio, pronta ad accogliere i suoi ospiti. La festa era iniziata da un mezz'ora circa, ma non era un problema: era la star della serata, e come ogni grande celebrità aveva tutto il diritto di farsi attendere. Dietro di lei, sua cugina Jisoo cercava di tenere il passo, reggendo una bottiglia di Hennessy, che ritualmente sarebbe stato offerto dalla padrona di casa soltanto alle persone verso le quali provava particolare interesse. Senza fermarsi, la ragazza strinse il nodo alla bandana rossa che le teneva le lunghe onde castane lontane dal viso, stessa cosa che fece con la cinta nera che le teneva su i jeans chiari pieni di strappi. Come sempre era impeccabile e pronta a spezzare cuori. 
La musica non era ancora tanto alta nella sala da ballo inferiore della villa, dove era stata allestita la festa, dato che tutti puntarono lo sguardo su Jennie, quando quest'ultima con un calcio spalancò la porta che separava il resto della casa da quell'ambiente caotico. La ragazza si affacciò dal pianerottolo che sovrastava la pista da ballo, e facendosi passare un microfono da un inserviente si annunciò.
—È arrivata la regina!
Tutti gli invitati la acclamarono. Jennie fece vagare lo sguardo sui presenti, notando due fastidiosi elementi, che avevano approfittato di urla e applausi per infilarsi discretamente nella sala. Quei microbi di Park Chaeyoung e Lalisa Manoban.
Come si permettono ad arrivare dopo di me?! pensò.
Mantenne la calma continuando a sorridere ai suoi invitati. Aveva qualcosa in serbo per le due studentesse straniere, per Chaeyoung in particolare.

Quando vide Park Chaeyoung per la prima volta, l'anno scolastico era cominciato da appena qualche settimana. Se ne andava in giro a testa bassa, giocherellando con le ciocche dei fluenti capelli ramati visibilmente in imbarazzo, facendosi trascinare in lungo e in largo da quell'altra sfigata della sua amichetta tailandese. Jennie odiava le persone come lei: senza carattere, che accettavano passivamente qualunque cosa fosse loro imposta. Era davvero un peccato dato che quella Chaeyoung era davvero carina, e a scuola aveva già un discreto successo tra i ragazzi. Pensò che qualcuno come lei le sarebbe stata utile. Se fosse entrata nel suo gruppo non sarebbe più stata una minaccia per la sua popolarità, e cosa più importante, avrebbe ubbidito ad ogni suo ordine pur di non essere calpestata. Ed è qui che si sbagliava.
Durante una pausa pranzo Jennie e il suo gruppo invitarono Chaeyoung ad unirsi a loro. Ma lei declinò l'invito affermando di aver già in programma di pranzare con la sua migliore amica.
—Ma tu sai chi sono io?- domandò Jennie stizzita.
—Certo— rispose Chaeyoung.
—Sei Jennie Kim.

Jennie ghignò facendosi passare l'Hennessy dalla cugina.
—PRONTI A FESTEGGIARE?— gridò alzando la bottiglia verso l'alto. I ragazzi esplosero in altre grida e applausi, e soddisfatta la reginetta della villa lasciò la bottiglia ad un inserviente pronta a fare la sua discesa trionfale lungo la scalinata. Jisoo era sempre al suo fianco, seguendola come un'ombra.
—Sei sicura di volerlo fare?— chiese la ragazza portando su una spalla i lunghi capelli corvini.
—Mi sembra... eccessivo.
—Eccessivo?— ripeté Jennie con espressione compiaciuta, dopo aver visto un ragazzo sanguinare dal naso per averla osservata tanto a lungo. La bruna spostò lo sguardo infondo alla sala dove avvistò le studentesse straniere già circondate da un manipolo di ragazzi, e fece una smorfia.
—Affatto.
Ormai erano quasi giunte agli ultimi gradini, dove il loro gruppo e altri studenti le aspettavano entusiasti.
—Sai bene come funziona, Jisoo. O sei con me, o contro di me, e questo vale per tutti...
La ragazza si voltò verso la cugina, e invadendo il suo spazio vitale puntò gli occhi minacciosi nei suoi.
—Anche per te.
Jisoo deglutì, e avendo ottenuto l'effetto desiderato Jennie tornò a sfoggiare sorrisi per i suoi ospiti.

Chaeyoung e Lalisa, liberatesi dei loto vari pretendenti, sedevano tranquillamente su dei divanetti posti ai margini della sala.
—Uh, mamma- sospirò la bionda, —non ne potevo più di quei babbuini!
L'amica rise.
—Oh beh, credo sia stato il prezzo da pagare per sfavillare come una palla da discoteca.
Lisa apprezzò il complimento implicito di Rosé, ma non poté fare a meno di sospirare ancora.
—Appunto... Sono troppo per questi ragazzini, ho bisogno di un uomo io!
Chaeyoung rise ancora canzonandola.
This bad girl is too hot!
—Sai che ti dico Rosie? Ho voglia di ballare.
Detto questo Lalisa balzò in piedi. La rossa si sentiva abbastanza a disagio al pensiero di buttarsi nella mischia, nonostante la compagnia dell'amica, che notando il suo imbarazzo annunciò: —So io cosa ti serve per scioglierti!
Dopodiché si allontanò diretta al banco degli alcolici.
Chaeyoung si maledisse. Avrebbe dovuto divertirsi quella sera, lasciarsi andare, scaricare lo stress, non incatenare la sua migliore amica ad un divano!
Basta così Chaeyoung! Adesso ti alzerai, andrai da Lisa e insieme ballerete e vi scatenerete come se non ci fosse un domani!
La ragazza stava per alzarsi colpita da una scarica di positivismo, ma proprio in quel momento la raggiunse la padrona di casa.

—Hey, Park!
Jennie raggiunse la sua ospite dalla chioma ramata che vedendola arrivare sembrò paralizzarsi sul colpo. Stessa cosa che per poco non capitò anche alla bruna.
Da lontano non era ancora stata in grado di giudicare l'outfit della ragazza, che visto da vicino, non solo la rendeva più che guardabile, ma anche incredibilmente sexy.
Maglia a rete nera con fascia visibile, shorts consumati alle estremità, stivaletti neri lunghi fin sotto il ginocchio con calze bordate di rosso sporgenti e... una cinghia nera di cuoio raccordata da un anello d'acciaio a un terzo di coscia.
Ma è una giarrettiera quella?!
Jennie era sbigottita, eppure diede per scontato che la causa di questo suo momentaneo shock derivasse dal fatto che non era abituata a vedere Park Chaeyoung, quella sfigata, in abiti che non fossero le ordinarie uniformi scolastiche.
Dal canto suo, anche Rosé ritrovandosi davanti a quell'esemplare più che selvatico di Jennie Kim, si era sentita stranamente attratta da lei. Eppure il profumo dei litri di Chanel n°5 di cui la reginetta si era cosparsa, era chiaramente captato dalle sue narici come l'odore del pericolo.

Assumendo un'aria disinvolta, Jennie si sedette accanto a Chaeyoung, accavallando le gambe in modo provocatorio. Come si aspettava, gli occhi dell'altra seguirono ogni suo movimento, motivo per il quale un ghigno malefico le si disegnò sul volto.
Lei sapeva della bisessualità di Park Chaeyoung. Sapeva della sua relazione con una ragazza oltreoceano che era iniziata prima che la ragazza abbandonasse l'Australia. E sapeva anche quanto la rossa odiava farsi chiamare con il suo nome inglese.
—Allora, Roseanne iniziò dando particolare enfasi alla pronuncia del nome. 

—Ti stai divertendo?

—Oh, s-sì— rispose Rosé, in evidente imbarazzo.
—Potresti, per favore, evitare di chiamarmi con quel nome?— Chiese poi, un po' più sciolta.
—Oh, preferisci Rose? Annie? Rosie?
—Chaenyoung. Chaeyoung va benissimo.
Jennie finse un'espressione delusa annuendo.
—Chaeyoung sia.
Detto ciò, la bruna fece un cenno ad un membro dello staff che le portò la bottiglia che poco prima innalzava come un trofeo.
—Sai Chaeyoung, è ormai tradizione ad ogni mia festa, condividere una bottiglia di Henny solamente con le persone che più mi interessano...
Jennie si prese una pausa per poterla guardare negli occhi.
—E tu mi interessi particolarmente.
Rosé arrossì, osservando la ragazza stappare la bottiglia e versare il cognac in un bicchiere di vetro. Rispetto ai vari alcolici che giravano tra gli invitati, quella pareva roba raffinata.
Quando la ragazza le offrì il bicchiere, Chaeyoung lo prese con mani tremanti. Cercò con lo sguardo la sua migliore amica, che aveva appena mandato giù uno shot di non sapeva cosa. Non andava molto bene, almeno una delle due doveva restare sobria nel caso l'altra avesse avuto bisogno d'aiuto. Poi pensò che sarebbe sembrato maleducato rifiutare l'offerta di Jennie, che oltre a volerle offrire quella bevanda che doveva essere particolarmente costosa, era anche la padrona di casa.
Massì, un bicchierino non potrà certo farmi male. E nel caso mi ubriacassi peggio di Lisa, comunque viene a prenderci Bam.
La rossa sorrise impacciatamente a Jennie che la stava osservando per capire quali fossero le sue intenzioni. Portò il bicchiere alle labbra, e macchiandolo con il suo rossetto brillante, ne bevve il contenuto tutto d'un sorso. L'ennesimo ghigno soddisfatto comparve sul viso angelico di Jennie, che già assaporava la vittoria sulla povera e ignara Park Chaeyoung.

Jisoo restò per un attimo immobile, fissando un punto indeterminato della sala. Quelle luci intermittenti, che sfumavano dal nero al rosa, la avvolgevano e pareva volessero cullarla, proteggerla, portarla lontano da tutto il resto, ma purtroppo la ragazza non poteva permettere che ciò accadesse. Doveva assecondare i piani di sua cugina. Dopotutto, lei era soltanto la figlia della pecora nera della famiglia, colui che era stato in grado di perdere tutto il suo patrimonio investendo in imprese destinate a fallire, lasciando la sua famiglia sul lastrico. Non poteva permettersi di perdere Jennie, nonostante la ragazza non la considerasse realmente parte della famiglia.
Il suo compito era quello di intrattenere l'amichetta tailandese di Park Chaeyoung per il tempo necessario alla complice per narcotizzarla e filmarla in una situazione compromettente. Jennie le avrebbe distrutto la reputazione, e probabilmente la vita, ma Jisoo non aveva il diritto di protestare.

Non ci volle molto per individuare la testa bionda di Lalisa Manoban. La ragazza aveva appena lasciato uno dei tavoli degli alcolici allestiti ai margini della sala, diretta a passo deciso verso il centro della pista da ballo. Si muoveva in modo sicuro, sincronizzando il battito cardiaco con l'incalzante ritmo della musica. Aveva gli occhi di tutti puntati addosso, ma non pareva curarsene. Non soddisfatta del suo assolo, si guardò intorno alla ricerca della sua amica, per coinvolgerla in un pas de deuxe fu allora che intervenne Jisoo.
—Manoban!— la chiamò.
Lisa si voltò di scatto e le sorrise, entusiasta di aver attirato l'attenzione di un personaggio importante.
—Unnie!— ricambiò sfacciatamente, a causa dell'alcol.
Jisoo, seppur infastidita, decise di lasciar correre, avvicinandola.
—Però, sei una macchina da ballo! Potresti competere abilmente con Kim Jongin del collegio SM nelle competizioni inter-scolastiche!
—Se fossi nella categoria maschile magari.
Detto questo Lalisa emise una risatina sguaiata, che l'altra non poté far altro che assecondare.
—Hai praticamente gli occhi di tutti addosso— continuò Jisoo.
—Non sono mica l'unica- commentò facendo volare lo sguardo sugli sciacalli che pazientemente aspettavano il momento giusto per attaccare le due ragazze.
—Ma non m'importa. Io voglio solo ballare— disse iniziando a tenere il ritmo della nuova canzone con il tacco degli stivaletti.
—Perché non balli con me, unnie?
—Cosa? No, non sono capace...
—Oh, andiamo! Ti insegno io!
Jisoo si guardò intorno alla ricerca di uno sguardo di supervisione da parte della cugina, gesto che Lisa scambiò per imbarazzo. Afferrò le mani della ragazza più grande e la condusse al banco degli alcolici dove si era trattenuta prima, proponendole uno shot di vodka al lime. La maggiore sapeva che non le era permesso bere, non quando Jennie le assegnava qualche compito.
—Dai, vedrai che l'imbarazzo scivolerà via!
Non devi, si ripeteva.
Eppure è così insistente...
Magari avrebbe potuto far finta di bere per accontentare i capricci della tailandese e seguirla in pista come se nulla fosse. Tanto non avrebbe fatto nulla di male.
Me lo ha chiesto Jennie...
Alla fine, Jisoo portò il bicchiere alla bocca, e sotto lo sguardo eccitato di Lisa, bevve.

Jennie era riuscita a far bere a Chaeyoung un altro bicchierino di cognac, eppure la droga che aveva ordinato di farvi mettere all'interno, non faceva ancora effetto.
Possibile che quegli inetti mi abbiano dato la bottiglia sbagliata?!
Quello che non sapeva era che in realtà gli stupefacenti stavano facendo effetto da un po', semplicemente la rossa non lo dimostrava come ci si aspettava. Rosé si stava godendo l'atmosfera e la compagnia di Jennie, che la teneva impegnata con discorsi sulla sua infanzia e l'Australia. Non si era neanche accorta delle gambe formicolanti, o dello strano mal di testa che bussava ritmicamente alle sue tempie. Eppure era consapevole del fatto che il suo cuore batteva a poco a poco sempre più velocemente. Pensava si trattasse della sua bassa resistenza all'alcol, o la vicinanza di una ragazza carina come Jennie. Quando quest'ultima tento di riempirle ancora il bicchiere, la rossa le chiese: —Tu non bevi?
—Oh, n-no. La bottiglia è per te— rispose nervosamente. Il suo tono avrebbe causato sospetti a chiunque, ma Chaeyoung era ormai andata.
—Sbaglio o mi avevi detto che l'avresti condivisa? Dovresti studiare meglio il significato delle parole, non credi Jennie so-tutto-io Kim?
La reginetta non aspettandosi per niente l'attacco, accusò il primo colpo, permettendo alla più piccola di continuare imperterrita.
—O forse dovrei dire Jennie Sfondata-di-soldi Kim, o anche Jennie La-snob Kim.
Le mise due dita sotto il mento per chiuderle la bocca, che la ragazza aveva lasciato aperta dalla sorpresa senza neanche accorgersene, per poi avvicinarsi in modo allarmante e sussurrarle a fior di labbra: —Oppure Jennie Maledettamente-sexy Kim?
La bruna arrossì immediatamente, dato che non avrebbe mai e poi mai pensato di trovarsi in una situazione del genere.

E poi accadde.

Chaeyoung iniziò a ridere. Prima sommessamente, poi in modo incontrollato; la tipica risata di chi ha perso qualunque tipo di inibizione. Per Jennie, che aveva aspettato quel segnale dall'inizio della serata, era arrivato in modo talmente brusco da farle quasi del male fisico. Passata la sorpresa, ecco che montò la rabbia. La maggiore afferrò Chaeyoung per le spalle, per poi spingerla fino a bloccarle la schiena contro la seduta del divanetto. La rossa osservando la sua espressione furente non poté fare a meno di mordersi il labbro inferiore, mentre un ghigno trasformava il suo faccino angelico in quello di una volpe.
—Signorina Kim, non le ha insegnato nessuno che certe cose non si fanno in luogo pubblico?
Con un indice, Rosé esplorò la pelle dell'addome lasciata scoperta dal top nero della ragazza che la sovrastava, fermandosi solo dopo averlo agganciato all'estremità dei suoi jeans.
—Potremmo spostarci in una delle tue stanze, mia regina— disse la minore con voce suadente, lasciando l'altra, ancora una volta, senza parole. Approfittando ancora una volta dello stato di shock momentaneo della padrona di casa, la studentessa straniera ribaltò le loro posizioni.
—È un vero peccato, però. Mi piace l'atmosfera di questo posto.
Rosé balzò in piedi.
—Mi è venuta voglia di ballare— annunciò.
Jennie ancora su tutte le furie si alzò goffamente dal divanetto, con l'intento di afferrare quella ragazzina impertinente e cacciarla fuori da casa sua, a calci se necessario. Ma Chaeyoung fu più veloce di lei. Scansò le sue braccia saltellando via come un leprotto.
—Balliamo insieme?- propose ammiccando, prima di fiondarsi nella calca di studenti sudati e ubriachi che si contorcevano e si strusciavano l'un l'altro sulla pista da ballo.
La bruna imprecò prima di seguirla tra la gente.
A Jennie era appena scappata la sua cavietta, ed aveva tutta l'intenzione di ritrovarla per darla in pasto al serpente.

La festa ormai era entrata nel vivo. Nella sala regnava l'odore del sudore misto a quello dell'alcol, oltre alla musica che faceva vibrare l'accozzaglia di corpi che si davano da fare fino allo stremo sulla pista da ballo. C'erano già svariate coppiette che si erano appropriate degli spazi in ombra (i più intelligenti erano sgattaiolati nelle stanze degli ospiti), non riuscendo a togliersi le mani di dosso.
Lisa non ricordava da quanto tempo stesse lì in piedi, a far volteggiare il suo corpo a ritmo, in sincronia con I movimenti di Jisoo. I loro passi sembravano coreografie studiate, e insieme si stavano divertendo un mondo. La bionda era felice di come la sua nuova amica era riuscita a sciogliersi e a sentirsi a proprio agio in quel contesto. La maggiore si era appena allontanata per prendere ancora da bere, quando Chaeyoung raggiunse Lalisa.
—Lali! Mi stai tradendo— disse con il tono offeso di una bambina.
—Rosie!— esclamò l'altra gettandogli le braccia al collo. -Ma se sei stata tu ad abbandonarmi!
Jennie era a pochi passi dalle ragazze, e aveva avuto modo di ascoltare il loro mini dialogo apparentemente privo di senso logico. I nomignoli affettuosi che le ragazze si scambiavano la irritarono ancora più di quanto già non fosse.
Lali? Rosie? Oh quindi solo la tua amichetta tailandese può chiamarti così, mh?
Le due amiche avevano iniziato a ballare, seguendo il ritmo con movimenti sensuali ma veloci, da definire quasi illegali.
Entrambe erano immature, totalmente nuove a certe situazioni, in balia dell'invincibilità della prima sbronza. Probabilmente non sapevano più neanche in che luogo si trovassero ed ognuna era diventata l'unico punto di riferimento dell'altra.
Jennie era affascinata dal modo in cui Rosé si muoveva. Con gli occhi seguiva l'ondeggiare dei suoi capelli, alcuni dei quali si attaccavano al suo viso imperlato di sudore, come la maggior parte della pelle scoperta. Senza preoccupazioni, e senza freni, Park Chaeyoung era una persona completamente diversa ed attraente, e l'interesse della bruna nei suoi confronti non faceva che aumentare.
Jennie decise di rompere l'equilibrio riappropriandosi delle attenzioni di Chaeyoung. Iniziò a ballare intorno a lei, seguendo i suoi movimenti in modo istintivo. Jisoo che si stava facendo strada tra la massa, andò in soccorso della piccola Lalisa, che iniziava ad accusare l'abuso di alcol. La maggiore scortò la biondina lontano dalla musica, dai rumori, dalla festa, e Rosé privata dell'ultima cosa che l'ancorava ad un porto sicuro, si affidò completamente al mare di emozioni che la trascinava via con le sue onde.

La maggiore la teneva stretta per i fianchi, mentre Chaeyoung continuava a danzare in modo tutt'altro che innocente, provocandola in modo abbastanza esplicito. Intorno a loro, erano tutti troppo ubriachi per prestare attenzione alle due ragazze, ognuna presa fin troppo dall'altra. Influenzato dalla droga e dall'alcol, il cuore della rossa batteva troppo velocemente per la più grande, la quale pareva apprezzare e ricambiare le sue attenzioni. Eppure Jennie era ancora perfettamente lucida quando ammise a sé stessa che Park Chaeyoung era speciale, che l'attirava come luce per le falene, e che aveva una strana e disperata voglia di toccarla.

Deve essere mia.

Non ricordava quando questo pensiero le si era insinuato nella mente, sostituendo il piano per la sua vendetta. Forse si era spinta un po' troppo oltre cercando di ottenere qualcosa che in realtà non desiderava affatto. La sua estrema strategia di autodifesa, l'aveva portata sulla via più diretta per la distruzione totale, ma aveva importanza in quel momento? Importava davvero ora che le rosee labbra di Chaeyoung erano così vicine alle sue?
Jennie chiuse gli occhi, ma la rossa si allontanò, posandole l'indice sulla bocca. L'altra la guardò confusa, mentre Rosé la distanziava immergendosi nella folla. Voleva farsi inseguire ancora?
La bruna stava rassegnandosi all'idea, quando la vide ritornare reggendo una bottiglia di vodka alla pesca.
—Non puoi restare sobria— esordì avvicinandosi alla giovane Kim. Quando fu abbastanza vicina, le sussurrò ad un orecchio: —Non ti permetterò di rimpiangere niente.
Le ragazze si guardarono negli occhi per istanti che parevano interminabili. Poi Jennie le strappò la bottiglia di mano, e iniziò a berne il contenuto. La svuotò per metà prima di riprendere fiato, sotto lo sguardo divertito di Rosé. La bruna la guardò.
—Contenta adesso?
—Molto— assentì la piccola Park, allacciandole le braccia al collo.
Fu la maggiore a prendere l'iniziativa premendo con forza le labbra contro quelle dell'altra.
Jennie era pronta a perdere il controllo, e Chaeyoung l'avrebbe seguita, dato stavolta che non avrebbe accettato un altro no come risposta.

Il volume assordante della musica era ormai lontano. Gli unici suoni udibili nel corridoio buio erano lo schioccare dei baci umidi che le due ragazze si scambiavano, e il martellare violento dei loro cuori. Si contendevano il controllo, condividendo respiri e ansimi. Si trascinarono fino alla porta della camera da letto di Jennie che la ragazza su di giri riuscì ad aprire solo dopo svariati tentativi, provocando l'ennesima risatina della rossa. Ancora attaccate l'una all'altra, riuscirono ad entrare chiudendosi la porta alle spalle.
La stanza della bruna era grande e spaziosa, e la luce della luna, che dalla finestra illuminava l'interno quel minimo indispensabile, rendeva l'ambiente suggestivo, romantico quasi. Eppure Chaeyoung, per quanto in condizioni normali avrebbe ben gradito dare un'occhiata in giro, aveva la mente e il corpo presi da tutt'altro. Jennie scostò bruscamente il velo blu del suo letto a baldacchino, e avuto accesso al materasso vi ci spinse Rosé. La rossa la osservò mentre le tirava via gli stivali, in modo da farla distendere per intero, dopodiché scalciò via gli scarponcini. Si mise a cavalcioni su di lei, attaccando nuovamente le sue labbra. Tra un bacio e l'altro, il loro vestiti volarono sul pavimento, e una volta completamente esposte, pelle contro pelle, la padrona di casa si sentì in imbarazzo. Sentiva lo sguardo di Rosé esplorare il suo corpo, e una delle sue mani delicate accarezzarle un fianco. Il suo cuore batteva così veloce da rischiare di esploderle in petto. Voleva toccare, accarezzare, baciare la sua pelle nivea, ma era ovviamente inesperta in fatto di ragazze.
—Non sai cosa fare, mh?— sussurrò Chaeyoung.
Jennie la guardò. Le stava sorridendo amorevolmente ed era davvero bellissima. La bruna ridacchiò imbarazzata.
—Già.
Chaeyoung si alzò a sedere. Le prese il viso tra le mani, e quando la guardò negli occhi i suoi brillavano come un cielo stellato.
—Seguimi, mia regina.
Detto ciò la ragazza tornò a baciarla, per poi posare di nuovo la schiena contro il materasso facendo distendere Jennie su di sé.

 

 

Stanotte mi sto innamorando di te.

Boombayah

 

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Capitolo 2
*** 휘파람 ***


Hey boy!
Jisoo salutò i soliti studenti del loro giro. 
Era lunedì, il primo giorno di scuola dopo la festa. Il weekend era trascorso tranquillamente per la maggior parte degli studenti, che indipendentemente dalla loro partecipazione all'evento, erano andati avanti con le loro vite senza troppi problemi. Kim Jisoo non rientrava in quella cerchia.

Quella notte era stata difficile da gestire.
Contro ogni aspettativa, si era davvero divertita con Lalisa Manoban. Quella ragazzina sembrava avere il potere di far affezionare le persone facilmente, indipendentemente dall'ubriacatura. Ovviamente le aveva dato non poco fastidio il modo in cui si era presa tanta confidenza inizialmente, ma quando iniziò a barcollare per i corridoi, quando per poco non le uscì l'anima dal corpo aggrappata alla tazza del water di un bagno di servizio, quando sfinita si fece trascinare fino al primo letto che capitò loro a tiro, Jisoo era rimasta accanto a lei. Dopo aver chiamato il cugino della tailandese, in modo da farlo passare a prendere le ragazze la mattina seguente, si accertò che Lisa dormisse profondamente prima di ritornare nella sala da ballo, porre fine alla festa e fare in modo che gli studenti capaci di rincasare senza problemi lasciassero la villa. Come al solito si occupò del tutto in modo esemplare, e sapendo che l'assenza di Jennie poteva significare soltanto che era già crollata, controllò se fosse nella sua stanza. Trovarla addormentata tra le braccia di Park Chaeyoung fu alquanto scioccante, ma nonostante ciò riuscì a tenere i piedi per terra il tempo che bastava a dare disposizioni allo staff in modo che sistemassero il disastro che la festa si era lasciata dietro. Inutile dire che si addormentò appena posò la testa sul cuscino.

La mattina dopo era stata abbastanza imbarazzante, e Jennie non solo non si fece proprio vedere, ma da quando Chaeyoung e Lalisa se ne andarono non le rivolse più la parola, se non per il minimo indispensabile.
Anche quel lunedì mattina il massimo che si degnò di dirle fu "Non ho voglia di entrare" appena prima di piantarla in asso sui gradini dell'ingresso. Tutto ciò era snervante, soprattutto perché la ragazza pensava di non meritarsi quel genere di trattamento, non dopo tutto ciò che aveva fatto per la cugina, ma ancora una volta dovette mordersi la lingua.

La corvina aveva appena raggiunto il suo armadietto quando fu sorpresa alle spalle da una raggiante Lalisa.
—Unnie!
—Lalisa! Mi hai fatto prendere un colpo!- la rimproverò.
La bionda esibì una smorfia colpevole.
—Scusa unnie. Comunque chiamami pure Lisa! Tanto siamo amiche, no?
Jisoo la fissò per qualche secondo, non riuscendo a proferir parola, prima di essere salvata dal suono della campanella.
—Peccato— disse la tailandese. —Avrei voluto parlare un po' con te... Oh! E se pranzassimo insieme? C'è anche Rosie!
La maggiore spalancò gli occhi. Accettare, nonostante l'assenza di Jennie, avrebbe messo a rischio la sua immagine e il suo già complicato rapporto con la cugina. E poi non si conoscevano da così tanto da potersi considerare amiche, la scelta migliore sarebbe stata rifiutare. Eppure in quel momento, in mezzo al trambusto generale causato dagli studenti, e davanti al sorriso smagliante di Lisa, Jisoo non riuscì a dire di no.

Chaeyoung si affannò per raggiungere la classe il più velocemente possibile. Durante il tragitto gli studenti che ancora bighellonavano per i corridoi fischiavano nel vederla passare, e la cosa non fece altro che infastidirla e metterle ulteriormente fretta. Riuscì a mettere piede in classe appena prima della professoressa, e accolta da applausi e risatine si inchinò davanti alla donna e corse al suo posto accanto a Lisa. La tailandese la guardò divertita.
—Guarda un po', Miss studentessa modello arriva in ritardo. Cos'è, zia Bom ha dato di nuovo fuoco alla cucina?
La rossa le lanciò un'occhiataccia. Dopo l'inchino rituale per accogliere l'insegnante, gli studenti si sedettero e si prepararono per la nuova lezione. Rosé si limito ad accasciarsi sul banco nel vano tentativo di tirar fuori un astuccio dalla borsa. La giornata non era ancora cominciata ed era già esausta. 

La notte prima non aveva chiuso occhio ansiosa per l'indomani. Inevitabilmente aveva finito per pensare alla sua notte di follia con Jennie Kim, e maledisse sé stessa, la sua scarsa resistenza all'alcol, e la sua dannata memoria di ferro che non le aveva permesso di dimenticare tutto. Morale della favola: chiuse occhio poco prima dell'alba e un istante dopo la sveglia suonò. Il problema stava nel fatto che quello era il terzo allarme che per poco non posticipava ancora in stato di incoscienza, e irrimediabilmente rotolò giù dal letto più tardi del solito, finendo per perdere l'autobus che le consentiva di arrivare a scuola un po' in anticipo. 

La ragazza aspettò che la professoressa concludesse l'appello, poi facendosi coprire da Lalisa cercò di guadagnare una mezz'oretta di sonno. Ancora una volta mille pensieri le affollarono la mente, e dovette rinunciare al suo appuntamento mattutino con Morfeo.
—Aish!— imprecò sottovoce.
—Stai ancora pensando alla festa?— le chiese la bionda.
—Non proprio— rispose lei. Ed era la verità, dato che pensava al dopo festa.
Lalisa sbuffò tirando fuori dall'astuccio un pennarello blu, e iniziando a colorarsi le punte dei capelli. Quella mattina non c'era proprio verso di prestare ascolto alla lezione di coreano.
—Pranziamo con Jisoo oggi— annunciò poi.
Chaeyoung voltò di scatto il capo per fissarla ad occhi sgranati.
Cosa?!— chiese con un tono un po' troppo acuto. —Ma sei impazzita?! E se ci fosse anche quella?

Spazientita la tailandese rispose: —E quindi? Va bene, hai scopato violentemente con Jennie Kim, ma eravate fottutamente ubriache, è stato solo per una notte, una botta e via, e probabilmente neanche se lo ricorda quindi... qual è il tuo fottuto problema?!

Qual era il suo problema? Difficile dirlo. Infondo Lali aveva ragione, si era trattata di un'unica notte di svago che le era servita a scaricare la tensione. Nonostante ricordasse ogni particolare, ogni carezza, ogni bacio umido contro la pelle, poteva comunque giustificarsi con il fatto di essere ubriaca, no? Ma ciò che realmente l'angosciava, non era il ricordo di ciò che aveva fatto con Jennie quella notte,  ma il fatto di non averla trovata accanto a sé il mattino dopo. Le aveva fatto male. Credeva che la maggiore la ritenesse un essere schifoso, che si fosse vergognata di sé stessa a causa sua, e questo pensiero la straziò al punto da farla piangere. Perché dopo ciò che era successo, dopo ciò che avevano condiviso, Chaeyoung non voleva che Jennie la odiasse. Forse era stata colpa dell'alcol, ma quella ragazza era stata capace di farle battere il cuore come nessuno aveva mai fatto prima. La loro era stata qualcosa di più di una semplice scopata.

—Vedi di fartela passare Chaeng, perché non ho la minima intenzione di sacrificare l mia vita sociale per i tuoi stupidi complessi mentali— continuò Lisa, prima di prestare la sua completa attenzione alle formule incomprensibili scritte alla lavagna. La rossa sospirò sconsolata

Probabilmente il problema di Chaeyoung non era il non riuscire a dimenticare, ma il contrario, perché lei non voleva dimenticare affatto.

Jennie si trovava sul tetto dell'ala est dell'istituto, ubicazione dei vari laboratori scolastici. Era in compagnia del suo amico Kim Jiwon. Entrambi si recavano in quel posto quando seguire le lezioni era improponibile per le loro menti stressate. Il ragazzo era il tipo di persona che non mostrava alcuna emozione se non davanti a persone a cui era davvero legato. Quando era in sua compagnia dalle labbra del moro uscivano due o tre parole, e le offriva sempre una sigaretta. A Jennie andava benissimo così. Anche quella mattina i due stavano affacciati tranquillamente sul cortile interno della scuola, senza mai osservare seriamente qualcosa, cacciando placidamente dalla bocca il fumo precedentemente aspirato. Nonostante i polmoni della bruna si lamentassero non essendo abituati a quelle intrusioni, il leggero giramento di testa l'aiutava a sgombrare la mente. Eppure quella volta parve non funzionare.
Le era bastato pensare per un istante a come sarebbe stato condividere quel momento con Park Chaeyoung, per mandare il suo cervello a puttane ancora una volta.

La dannata mattina in cui si era svegliata accanto alla rossa, le girava fortissimo la testa. Aveva bevuto; non quanto bastasse a cancellare dalla sua memoria l'accaduto, ma forse abbastanza da non rimpiangere nulla, come la minore le aveva imposto. Infatti rimase tranquillamente distesa, contemplando il viso della ragazza che le dormiva accanto. In quel momento le era parsa bella e fragile come un fiore. Quasi temeva che sfiorandola l'avrebbe mandata in frantumi. Poi pensò alla notte precedente, al modo in cui l'aveva guidata alla scoperta del suo corpo, a come la chiamava dolcemente sussurrandole ad un orecchio. Sorrise nel notare un suo marchio sulla pelle candida di Rosé, all'altezza della clavicola. Quasi non riusciva a credere che qualcosa di tanto bello potesse appartenerle. E fu allora che si destò dal suo sogno ad occhi aperti.
Balzò in piedi allontanandosi dal letto e senza preoccuparsi di coprire la sua nudità si chiuse nel bagno annesso alla stanza. La realtà l'aveva travolta con la forza di un treno in corsa. Chaeyoung non sarebbe mai stata sua. Non poteva. L'unica cosa che era capace di fare Jennie Kim, era distruggere tutto ciò che amava, o che per pura sfortuna amasse lei. Non poteva permettersi di affezionarsi a qualcuno, non era pronta a mostrarsi per ciò che realmente era. Doveva pensare a difendere sé stessa, era l'unica in grado di farlo, e se per riuscirci avrebbe dovuto rinunciare ai sentimenti, li avrebbe sotterrati abbastanza a fondo da farli sembrare un vago ricordo. Il mondo era senza scrupoli e così doveva essere lei.
Quella mattina evitò Rosé, evitò sua cugina, le domestiche, una delle telefonate di cortesia dei suoi genitori, i messaggi di quelle oche delle sue "amiche", persino la sua ombra. Provava a tenere la mente occupata con la musica, con le tendenze, con qualche stupida app sullo smartphone, ma la minima distrazione la riconduceva a Park Chaeyoung. Era diventata quasi un'ossessione, le faceva fischiare le orecchie e non capiva più nulla. Eppure continuò a pensare che evitandola abbastanza se la sarebbe tolta dalla testa.

Jennie sospirò, volute di fumo fuoriuscivano dalle sue labbra schiuse. Jiwon la guardò incuriosito, ma lei lo ignorò semplicemente, come sempre. Oh, andiamo! Pensò. Sei Jennie Kim, una delle ragazze più popolari della scuola. Tutti i ragazzi ti guardano, tutti pensano di poterti avere, e tu... ti fai mettere il cervello sottosopra da una maledetta primina!
Fu così che decise di cambiare tattica. Lasciò cadere per terra ciò che rimaneva della sua sigaretta, per poi spegnerla calpestandola per bene.
—Ci si vede in giro Bobby— disse a Jiwon. —Salutami Mino-oppa.
Non diede neanche il tempo al ragazzo di ricambiare il saluto con un cenno del capo, dato che si era già allontanata. Si fiondò all'esterno diretta verso l'ala ovest. Sarebbe arrivata in classe in tempo per la seconda ora di lezione. Pensava che come minimo Park Chaeyoung fosse indignata per l'accaduto, e che se avesse voluto giocare ad ignorarsi a vicenda, o a chi sparge più odio, l'avrebbe assecondata volentieri.

Le ore che avevano separato le ragazze dalla pausa pranzo erano sembrate interminabili. Finalmente libere, Chaeyoung e Lalisa erano dirette alla mensa scolastica. La tailandese stava contando degli spiccioli mentre la maggiore la rimproverava.
—Insomma Lali! Ti beccherai un'altra nota disciplinare! È contro il regolamento tingersi i capelli con colori eccentrici!
—Andiamo Rosie! È solo un po' di pennarello! E poi il blu mi dona— ribatté Lisa infilando i soldi in tasca.
La rossa avrebbe voluto colpirla, ma si trattenne affrettandosi a raccoglierle i capelli per nascondere i dieci centimetri abbondanti di punte blu agli occhi di un professore che passò loro davanti. Sospirò lasciandola andare.
Entrarono nella mensa e dopo aver preso da mangiare si sedettero al solito tavolo in un angolo della sala. Lisa, senza  toccare cibo, si guardava intorno alla ricerca della snella figura di Kim Jisoo, e quando la trovò cercò di attirare la sua attenzione. Jisoo, al centro della sala, notò immediatamente la tailandese che le faceva cenno di raggiungerla, e un po' imbarazzata sistemò una ciocca corvina dietro l'orecchio per poi incamminarsi nella sua direzione. La ragazza non sapeva che sua cugina Jennie aveva deciso di entrare in ritardo, e che la stava osservando dal suo solito posto al tavolo della gente che conta.
—Oh, Jisoo non si siede qui con noi?
—Non ci ha degnato neanche di uno sguardo, ma chi si crede di essere?!
Le ragazze al tavolo blateravano, senza riuscire a coinvolgere in nessun modo Jennie. La bruna era troppo impegnata ad osservare il gruppo di ragazzini al quale la cugina stava per aggregarsi. Distingueva chiaramente la testolina ossigenata della Manoban, e aveva riconosciuto qualche primino che spesso faceva trambusto in corridoio. Si accorse di star cercando Chaeyoung con lo sguardo, quando notò che le spalle di Lalisa la nascondevano ai suoi occhi, ed imprecò. Fu allora che un ragazzo della loro cerchia le mise un braccio attorno alle spalle.
—Quindi, le bamboline straniere sono nel gruppo?— le chiese Kim Hanbin. Jennie odiava quel ricco viscido bambino viziato. Se definivano lei snob o senza scrupoli, quel ragazzo lo era il doppio. Ovviamente faceva buon viso a cattivo gioco, dato che non solo faceva parte della sua cerchia di amici circostanziali, ma doveva farselo piacere per mantenere il suo prestigio, per mettere in evidenza il confine tra le classi sociali, dato che i popolari stavano con i popolari, era quella la regola. E se la infrangevi, venivi messo in ridicolo ed emarginato.
Le ochette al tavolo contestarono quell'affermazione, dato che si aspettavano che la bruna avesse qualcosa in serbo per le studentesse più piccole. Ovviamente non sapevano nulla, e non avrebbero mai dovuto sapere.
Jennie non rispose, continuando a fissare il tavolo all'angolo, malcelando una smorfia disgustata. Hanbin, avendo inizialmente notato sua cugina Jisoo accettare l'invito della tailandese, scambiò quell'espressione come la prova della sua bruciante sconfitta sulle primine, e decise di stuzzicarla un po'.
—Finalmente! Era ora che passassero al lato giusto della forza. Sarebbero state sprecate tra la plebe. Insomma hai visto la bionda? È una furia! E la rossa ha un cu...
—Abbiamo capito Hanbin- lo interruppe Jennie stizzita. Solo i commenti di quel serpente le mancavano nel suo stato.
—Sai che ti dico? Le invito per stasera.
Così dicendo si alzò in piedi.
—Ti va di accompagnarmi Jen?
Di male in peggio...

Intanto al tavolo del primo anno, Junhoe e Donghyuk, due compagni di classe delle studentesse si mostravano alquanto incuriositi dalla situazione.
—Quindi ora siete tra la gente che conta?
Chaeyoung ignorò la domanda, troppo impegnata a cercare chissà quale tesoro tra le foglie della sua insalata.
—Okay, sta arrivando!— annunciò Lisa su di giri, prima di voltarsi verso i suoi amici con uno sguardo assassino.
—Smammate.
—Ma è il nostro posto!— ribatté Junhoe.
La bionda indico con un cenno i loro vassoi già vuoti, ed insisté con le occhiatacce funeste, finché non l'ebbe vinta e i ragazzi si alzarono borbottando fra loro.
—Non vi permetterò di rovinare tutto, no e poi no— pensò ad alta voce Lalisa. Rosé in condizioni normali avrebbe riso dell'espressione dell'amica, ma era troppo distratta e sovrappensiero.
La tailandese cambiò totalmente faccia quando Jisoo entrò nel suo campo uditivo.
—Salve ragazze— salutò sorridendo imbarazzata.
—Unnie! Vieni, siediti!
Lisa le fece posto accanto a se e in un nano secondo avviò una conversazione. La più piccola faceva trovare la maggiore a proprio agio, infatti le due sembravano comportarsi come se si conoscessero da tempo. La corvina rise addirittura, e la cosa sorprese molto la maggior parte degli studenti attorno a loro, dato che nessuno aveva mai sentito Jisoo ridere di cuore, neanche Roseanne, destata dal suo stato di trance a causa della sorpresa. La maknae ne era talmente contenta che iniziò ad emettere strani versi.
—Eheh.
Sembrava una cosa carina ma dopo un po' divenne snervante.
Lali!
Lisa!
Jisoo e Chaeyoung si guardarono interdette. Lalisa scoppiò a ridere per i loro richiami sincronizzati, e le altre due la seguirono a ruota.
—Vedo che vi state divertendo.
Ancora una volta, come un uccello del malaugurio, Kim Hanbin fece ammutolire tutti.
In un attimo gli sguardi di Jisoo e Chaeyoung corsero al viso inespressivo di Jennie, che accompagnava il ragazzo. Quella situazione confuse Lisa, la quale era combattuta tra il guardare le sue amiche e il prestare attenzione ai nuovi arrivati. La corvina guardava la cugina come un cane che dopo aver sventrato i cuscini del divano aspetta la punizione del suo padrone in preda ai sensi di colpa. Jennie, invece, a malapena si accorse della sua presenza, impegnata com'era a fissare Rosé. La rossa ricambiava, tenendo gli occhi puntati in quelli della maggiore. Tutto di Jennie, dalla postura al viso, esprimeva una freddezza disarmante, eppure i suoi occhi scuri lasciavano trasparire la sua confusione, la sua umanità. Erano calamite per lo sguardo di Chaeyoung.
Le due sembravano essersi perse in un'altra dimensione, in cui erano le uniche forme di vita. Non riuscivano a distogliere lo sguardo l'una dall'altra, quasi come se quel contatto servisse loro per restare in vita, come se fosse il loro ossigeno. 
Ritornarono alla realtà quando Jisoo si alzò, prese sotto braccio Jennie e la scortò lontano dal tavolo assieme ad Hanbin.
Ci vollero un paio di secondi per far riprendere del tutto Chaeyoung, e quando la ragazza ci riuscì trovò Lalisa rivolgerle uno sguardo indagatore, di quelli di chi ha capito qualcosa, e aspetta solamente una conferma alle sue ipotesi.
—C-cosa c'è?— chiese la rossa deglutendo. Prima non si era accorta di quanto velocemente scorresse il suo sangue, né del caldo che aveva iniziato a sentire tutto ad un tratto.
—Credo di aver capito qual'è il tuo problema— esordì Lisa.
Rosé la guardò in attesa del suo verdetto, anche se in fondo sapeva cosa aspettarsi.
—Ti piace Jennie Kim.

—Ti piace Park Chaeyoung.
Jennie si voltò di scatto verso la cugina, le tappò la bocca con una mano e si guardò intorno prima di trascinarla verso una classe vuota.
—Cosa dici?!— urlò poi.
Nonostante fosse intimorita, Jisoo voleva aiutare la minore, quindi prese a due mani il suo coraggio e continuò.
—Quello che ho visto. Jen, viviamo a stretto contatto da quasi sei anni, senza contare il periodo in cui sei stata in Nuova Zelanda, confido di conoscerti almeno in parte, e credimi se ti dico che non ti ho mai visto guardare qualcosa o qualcuno come stavi guardando Chaeyoung.
La bruna la fissava, senza osare proferire parola.
—In più, pare che anche tu piaccia a lei.
—Impossibile— ribatté come un lampo.

—Impossibile che lei piaccia a te, o che tu piaccia a lei?

Perché dovrei piacerle? Certo, mi vanto spesso di essere irresistibile ma... lei è diversa dalle altre persone. Non è il tipo che si sofferma sull'aspetto esteriore. Cosa potrebbe mai trovare in qualcuno come me? I miei pensieri sono noiosi, i sentimenti... inaccessibili.
Il soliloquio interiore della ragazza andava avanti sotto gli occhi della cugina, che aveva ormai capito che per l'altra non c'era più speranza di sfuggire alla cotta. Per alleviare almeno in parte le paranoie di Jennie fece la cosa migliore che sapesse fare: mentì.
—Credo ci sia una spiegazione a tutto ciò.
La minore la guardò. Jisoo aveva tutta la sua attenzione.
—Insomma, lei... è stata la tua prima volta con una ragazza, giusto?
Jennie annuì lentamente. Quella domanda aveva fatto affluire un po' di colore alle guance di entrambe.
—Allora, semplicemente ti è piaciuto più del dovuto e vorresti rifarlo...
Ora le ragazze erano rosso pomodoro.
La più piccola ci pensò su. In effetti non era un'ipotesi da scartare. D'altronde l'amore è una facciata psicologica per l'attrazione sessuale, non è possibile che possa essere coinvolta in qualsiasi altra maniera... non che io provi amore...
—Okay, forse hai ragione, ora mi serve un'aspirina— disse Jennie massaggiandosi le tempie.
—Beh, che hai intenzione di fare?— chiese la corvina a testa bassa. Non riusciva a guardarla in faccia, ma non a causa del loro imbarazzante discorso, ma perché si sentiva un po' colpevole per quello che le aveva fatto credere.
—Non lo so, non parliamone ora.
In quel momento la campanella annunciò la fine di quella interminabile pausa pranzo. Le due si apprestarono ad uscire dalla classe.
—Guarda che dovrai inventarti qualcosa prima di stasera, dato che quel genio di Kim Hanbin ha invitato Lisa e Chaeyoung al Bling Bling stasera...
—COSA?!

—COSA?!
Rosé era sconvolta dalla notizia. Per fortuna non c'era nessuno nel magazzino adiacente alla palestra dove erano state mandate a recuperare dell'attrezzatura per la lezione di educazione fisica.
—E tu non hai detto niente?!
—Cosa avrei dovuto dire? Uh, ciao Kim Hanbin, ovvero il ragazzo più popolare della scuola, scusa ma non posso venire alla stratosferica festa di compleanno di tuo cugino, in uno dei locali più fighi di tutta Seoul. Sai la mia migliore amica ha una particolare allergia alla gente che conta!
Lisa sbuffò sonoramente.
—Andiamo, Chaeng! La vita è una sola, bisogna fare baldoria quando si può, non rimarrai giovane per sempre!
Possibile che questa pensi solamente a divertirsi?! Pensò Chaeyoung.
—Per di più— continuò la tailandese —Potrà essere la tua occasione per capire cosa ha intenzione di fare Jennie nei tuoi confronti.
—Ma se neanche io so cosa voglio fare!— si lamentò la rossa.
—Aish...
La bionda si esibì nel più teatrale dei facepalm.
—Intanto usciamo. Ci prepariamo da te, saremo uno schianto al punto da far fischiare tutti... anzi no! Li faremo esplodere! Andremo alla festa, ci faremo notare, conosceremo gente, trasformeremo la nostra monotona vita sociale in una fantastica avventura, e torneremo a scuola sullo yacht della popolarità!
Finito il suo monologo la ragazza alzò le braccia al cielo.
—Sei un po' troppo entusiasta— commentò l'amica. Lalisa le fece cenno di stare zitta, le mise un braccio attorno alle spalle, issò un borsone carico di racchette e se la trascinò lungo un corridoio.
—Fidati, andrà alla stragrande!
Nonostante tutto, Chaeyoung si fidava davvero della tailandese.
È di me che non mi fido.

Lo aveva fatto a posta. Senza alcun dubbio.
Jennie era al Bling Blingil locale preferito di Kim Hanbin e la sua razza. Si festeggiava il compleanno di suo cugino Jay, ovvero l'ennesimo pretesto per invitare la bruna ad una festa migliore di quelle che organizzava alla villa. Eppure non era quello il motivo per il quale era oltremodo irritata.
Park fottutamente Chaeyoung, e che diamine!
La rossa, ancora una volta, era vestita un po' troppo bene, e in più indossava il suo top nero, che Jisoo aveva avuto il barbaro coraggio di prestarle accidentalmente la mattina in cui aveva lasciato la villaEra facile intendere perché la cugina si tenesse a distanza di sicurezza.
Anche Jennie si teneva lontana da Rosé. Vederla con qualcosa di suo addosso, la faceva sentire strana. In più le rodeva abbastanza il fegato, dato che non solo le stava molto meglio che a lei, ma in un certo senso pareva sempre sotto i riflettori, in modo da poterle sbattere in faccia quanto fosse dannatamente attraente con il suo stramaledetto top nero.
La bruna sospirò sorseggiando il suo drink. Teneva gli occhi fissi sul gruppo delle primine, che erano in compagnia della cugina traditrice, e circondate da sciacalli. Comunque era diventata un asso nell'arte dell'evitare le occhiate che ogni tanto le lanciava la ragazza di Melbourne. Non poteva esporsi ancora più del dovuto.
Chaeyoung, Lalisa e Jisoo si alzarono dirette alla pista da ballo. Sembravano amiche da sempre, e la corvina pareva davvero felice in loro compagnia, sicuramente molto più di quanto non fosse con la cugina. Quando le ragazze iniziarono a ballare impacciatamente tra una risata e l'altra, Jennie capì di essere di troppo. Si alzò intenta ad abbandonare il locale, quando un imprevisto le fece cambiare idea. Quella serpe di Hanbin era strisciata accanto alla rossa e a quanto pareva le aveva offerto qualcosa da bere, dato che si stavano dirigendo al lato opposto del bar. Sapere Rosé tanto vicina a quel ragazzo le fece alzare la pressione sanguigna. Come poteva condividere anche solo l'ossigeno con quel tipo?
Jennie poteva ancora scegliere di andarsene e lasciare la ragazza al suo destino, ma l'impulsività vinse la partita contro l'autocontrollo.
Scelse Chaeyoung, e l'avrebbe portata via prima che lo avesse fatto qualcun altro.

Rosé non sapeva come sentirsi.
Aveva seguito il consiglio di Lisa di farsi bella e attraente per poi cercare di attirare l'attenzione di Jennie, ma la ragazza l'aveva ignorata dall'inizio della serata. Anche se sapeva di doversi aspettare un comportamento del genere, ne rimase un po' delusa, anzi un po' troppo. L'indifferenza della bruna le procurava quasi un dolore fisico.
Probabilmente Jennie Kim, a differenza sua, voleva dimenticarla eccome.

 

Sempre se non l'ha già fatto...

A quel punto non le importava più niente, e per la gioia di Lisa decise di lasciar perdere le paranoie e divertirsi. Per questo motivo si fece scortare tranquillamente al bancone del bar da Kim Hanbin. Magari l'avrebbe distratta dall'altra Kim.
Eppure aveva cantato vittoria troppo presto dato che Jennie spuntò dal nulla, le afferrò un polso e forzando il più falso sorriso che potesse mostrare, annunciò: —Ho bisogno della mia amica.
Così trascinò la rossa lontano dal bar, verso il piano superiore del locale. Oltrepassarono una zona arredata con divanetti e tavolini foderati delimitati qua e là da separé dietro ai quali le solite coppiette sbronze limonavano indisturbate, o cercavano di mettersi le mani addosso senza dare nell'occhio. L'ambiente mise a disagio la minore, che arrossì lasciandosi trascinare.
Arrivarono sulla terrazza del locale, luogo teoricamente inaccessibile ai clienti, dove, dopo tre giorni di agonia, erano finalmente sole.
La maggiore lasciò andare l'altra voltandosi verso di lei.
—Ti...ti serve qualcosa?— chiese titubante Chaeyoung. Forse la sua strategia aveva funzionato? Forse le avrebbe detto che non la odiava, che avrebbe voluto almeno essere sua amica?
Jennie si rese conto troppo tardi di non avere la minima idea di cosa fare. Il piano era allontanarla dalle grinfie di quell'altro snob, ma adesso?
—Hai il mio top addosso— fu la prima cosa che le venne in mente di dire.
—È il mio preferito, vorrei che me lo restituissi.
La più piccola la guardò a bocca aperta.
—Cosa?!— chiese senza nascondere la collera nella sua voce.
—Sul serio, mi stai prendendo in giro? Non posso crederci...
La rossa si passò una mano tra i capelli, esaurita. Assunse un'espressione amara in volto, visibilmente delusa da Jennie e da se stessa che si era permessa di sognare ad occhi aperti.
—E io che pensavo...
Non terminò la frase, anzi, presa dalla rabbia iniziò a spogliarsi. Lasciò cadere a terra la sua giacca rosa, si tolse il top e lo lanciò in faccia alla bruna.
—Prenditi il tuo dannato top!— le gridò abbassandosi. Recuperò la giacca, che infilò e chiuse completamente, coprendo la pelle candida dell'addome e del collo, e il reggiseno a pois viola che per qualche istante erano rimasti sotto gli occhi di Jennie, che fissava la ragazza sotto shock.
—Sai cosa ti dico? Sei la ragazza più insensibile che abbia mai conosciuto. Davvero vaffanculo Jennie Kim! Non voglio più vederti!
Rosé era sul punto di crollare. Diede le spalle all'altra, pronta a lasciare quel posto infernale, ma Jennie fu più veloce. Le afferrò un braccio costringendola a voltarsi verso di lei e...
L'abbracciò. Affondo il viso nel collo della minore, stringendola forte a sé. Chaeyoung non riusciva a muovere un muscolo. La sua mente le gridava di togliersela di dosso e correre il più lontano possibile, ma il suo corpo si rifiutava di obbedire, e il suo cuore batteva così velocemente...
—Jen...
—Non dire niente— la interruppe la bruna, sussurrando.
—Solo... resta.
In quel momento non servivano molte parole. Le aveva chiesto di restare al suo fianco, e la piccola Park, in tutta risposta, ricambiò l'abbraccio.

 

 

 

 

Voglio solo il tuo cuore.

Whistle

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Capitolo 3
*** 불장난 ***


Jennie giocava con i capelli di Chaeyoung. Adorava sentire quelle morbide onde rosse tra le dita. Quella sensazione la rilassava al punto da farle dimenticare tutto il resto, come Rosé stessa ogni volta che stavano insieme.
—Jen— chiamò la rossa. Aveva una guancia premuta contro il petto nudo della maggiore, inspirando il profumo della sua pelle mentre si lasciava coccolare distesa al suo fianco.
La bruna le spostò un paio di ciocche dietro le orecchie, in modo da esporre al suo sguardo il viso malinconico della minore.
—Cosa c'è?— le chiese.
—Sono le otto.
Ecco perché il muso lungo...
Jennie sospirò.
—Ultimo bacino?
A quella richiesta Chaeyoung sorrise stancamente, si puntellò sui gomiti e raggiunse le labbra dell'altra con le proprie. In principio era un bacio dolce, ma il pensiero che una volta fuori dalla villa sarebbero tornate ad essere due estranee spinse entrambe ad approfondire il contatto.
Jennie prese tra le mani il viso della più piccola e non esitò a chiedere accesso alla sua bocca, cosa che non le fu negata. Ma purtroppo in quel preciso momento non potevano permettersi di lasciarsi andare oltre. Nonostante fosse quella che soffriva di più delle particolari condizioni della loro relazione, fu Chaeyoung ad allontanare l'altra. Le posò le mani sulle spalle e la spinse via, per poi alzarsi velocemente con gli occhi velati di lacrime.
—Faccio una doccia veloce e scappo— disse senza guardare Jennie. Raccolse i suoi vestiti dal pavimento e si chiuse nel bagno annesso alla stanza. Lanciò tutto per aria correndo nel box doccia, lasciando che il getto d'acqua gelida si mischiasse alle sue lacrime amare, lavando via tutta la tristezza che le faceva pesare il cuore. La bruna si prese la testa tra le mani sentendosi tremendamente in colpa.

Erano passati tre mesi da quando le ragazze avevano abbandonato il Bling Bling nel bel mezzo della festa. Avevano trascorso la notte insieme, abbracciate sotto le stelle, parlando di cose futili o restando semplicemente in silenzio a godersi quel momento. Fu allora che Jennie propose a Chaeyoung di intraprendere una relazione che andasse oltre l'amicizia o, nel loro caso, della guerra perenne. Inizialmente la sua era pura curiosità. Voleva cercare di capire come quella ragazzina era capace di farle accelerare il battito cardiaco, e magari prolungare la felicità che provava in quel momento. Non aveva pensato alle conseguenze di quella proposta. Le pareva l'ideale per riempire le crepe del suo fragile cuore di vetro, nonostante cacciarlo dal suo contenitore di pietra avrebbe significato esporlo al rischio di un danno irreparabile. D'altro canto anche la rossa agì impulsivamente accettando. In genere si teneva alla larga dalle ragazze appartenenti ad una ricca famiglia e a coloro ancora confuse riguardo la propria identità sessuale, ma il suo bisogno di essere amata non le permise di riflettere sul fatto che Jennie apparteneva ad entrambe le categorie.
Quella sera furono le ragazze più felici del pianeta. Trascorsero insieme anche l'intera giornata seguente, ignorando il resto del mondo, come se si bastassero a vicenda per essere felici, e in effetti era così. Stava andando tutto così bene...
Poi la loro piccola felicità entrò in collisione con l'amara realtà.

Come erede di un'importante azienda di moda sud-coreana, Jennie non poteva permettersi di rovinare la sua immagine uscendo ufficialmente con una ragazza. Non che le importasse qualcosa se la gente avrebbe sparlato o meno su di lei, tanto a questo era più che abituata, ma non poteva mandare a puttane la reputazione della sua famiglia. Nonostante fosse arrivata ad odiare i suoi genitori, doveva ancora loro del rispetto, per averla messa al mondo, e per permetterle di vivere quella vita agiata e lussuosa. E per niente al mondo avrebbe voluto mettersi contro suo padre, sapendo cosa sono in grado di fare uomini tanto potenti.
Certo, poteva mostrarsi in pubblico con Chaeyoung, magari in compagnia di Jisoo e Lalisa dato che come gruppo funzionavano bene, ma anche quelle uscite avevano un limite per non danneggiare le amicizie fittizie della piccola Kim, delle quali aveva ancora bisogno per sopravvivere in quell'inferno di scuola.

Per Rosé valeva la pena vivere nell'ombra, perché grazie ai momenti che poteva condividere con lei era riuscita a conoscere Jennie. Era stata in grado di vedere con i suoi occhi la ragazza meravigliosa che si cela sotto la maschera da regina delle nevi. Aveva conosciuto la ragazza timida che cercava di prenderle la mano senza dare troppo nell'occhio, quella che rubava il cibo dal piatto della cugina solo per vederla prendersela con la povera Lisa, e addirittura la Jennie che nonostante indossi pantaloni firmati gucci non esita a sporcarsi il sedere di polvere cercando di acchiapparla...
Eppure c'erano lati di sé che Jennie rendeva inaccessibili a chiunque. Le emozioni negative, come rabbia, paura, angoscia, le teneva ben nascoste e non le mostrava a nessuno, a volte neanche a sé stessa.
Un'altra cosa che aveva esplicitamente messo fuori dalla portata di Roseanne, era l'avere un qualsiasi contatto con la sua famiglia. Non che si vergognasse di lei... o forse sì, la primina non poteva saperlo, ma di certo ogni volta che veniva nominata la sua famiglia l'umore della bruna cambiava radicalmente.
Per questo motivo la maggiore aveva messo in chiaro che per far durare la loro relazione l'unica regola che doveva rispettare, oltre alla riservatezza e alla distanza necessaria in certe occasioni, era non fermarsi mai alla villa oltre un certo orario. Jennie le aveva spiegato che ogni sera al solito orario, i suoi genitori le facevano una videochiamata, probabilmente per rimediare al modo in cui la distanza stava distruggendo il loro rapporto, o molto più probabilmente erano spinti dal senso di colpa.
Per ragioni sconosciute a Chaeyoung, Jennie non voleva che assistesse a ciò che accadeva durante e dopo quegli incontri cibernetici.
A causa di ciò un paio di di sere capitò che la bruna cacciò via in malo modo la minore quando questa s'intrattenne troppo a lungo, e nonostante le rassicurazioni della signora Choi, la governante della villa, spesso Rosé si sentiva solo usata dalla maggiore. Viveva nella perenne paura di essere abbandonata da un momento all'altro e per questo piangeva spesso. Si chiedeva quanto tempo avrebbe impiegato Jennie a sbarazzarsi di lei e poi trovare un valido rimpiazzo. In più di un'occasione stava per mollare tutto, ma ogni volta un ricordo in particolare occupava la sua mente, forse il più significativo che aveva di Jennie.

Era un fresco pomeriggio d'Aprile e Chaeyoung aveva appena finito di farsi una doccia dopo aver fatto l'amore con Jennie. Se "fare l'amore" era il modo giusto di definire i loro rapporti carnali. Insomma loro non si amavano, o forse sì? No. Ma di certo non "scopavano" e basta... giusto? La rossa scosse il capo avvolgendo la chioma bagnata in una delle asciugamani che Jennie le aveva messo a disposizione. Si vestì velocemente, per poi iniziare a cercare il phon in una cassettiera. In quel momento le vibrò il cellulare. Jisoo le aveva mandato un messaggio, chiedendole se lei e la sua ragazza avessero voglia di raggiungere le altre ad un ristorantino messicano che avevano scoperto per caso. 
Rosé arrossì. Definire Jennie Kim la sua ragazza le faceva uno strano effetto. Ancora con lo sguardo fisso su quel messaggio uscì dal bagno, strofinando i capelli bagnati con l'asciugamano che le si era aperta sulle spalle.
—Jisoo e Lisa mangiano messicano, ti va di raggiungerle?
Dato che la ragazza non ebbe alcuna risposta, alzò lo sguardo dallo smartphone alla ricerca della bruna, che sedeva sul parquet davanti alla grande finestra che mostrava il cielo plumbeo. Indossava solamente un maglione molto largo in cui sprofondava, abbastanza lungo da coprirle metà coscia. La ragazza aveva lo sguardo fisso sul panorama esterno. Da un momento all'altro nuvoloni neri avevano coperto il sole, e le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere. Jennie osservava quello spettacolo in silenzio. Dapprima lo stupore regnava sul sui viso, ma si trasformò presto in un'espressione neutra. Sembrava avere il vuoto nello sguardo. Preoccupata la minore la raggiunse, le si sedette accanto e restò ad osservarla in silenzio.
Il primo fulmine cadde, e come le gocce d'acqua iniziarono a scivolare lungo i vetri, così le lacrime scivolarono lentamente lungo il viso della maggiore. Il pianto di Jennie mutò con la pioggia. Da qualche schizzo a un acquazzone, da una lacrima a un fiume inarrestabile. La ragazza piangeva disperata, scossa da tremiti e singhiozzi. Quando sentì il bisogno di urlare non esitò ad affondare il viso nel petto di Chaeyoung, che poco prima le aveva circondato le spalle con un braccio. Ora la piccola Park teneva stretta a sé la ragazza. Non diceva niente dato che nessuna parola di conforto avrebbe coperto le grida che l'altra soffocava nella sua maglia. Tutto ciò che fece fu restare in silenzio, abbracciando Jennie e accarezzandole il capo, cercando di farle sentire il suo calore.
Quando le grida cessarono, la bruna era ancora visibilmente scossa e il suo petto sobbalzava ancora . D'istinto Rosé chiuse gli occhi e fece la cosa che le riusciva meglio: iniziò a cantare. Continuò fino a quando il respiro della ragazza non si stabilizzò, notando con sollievo che era caduta tra le braccia di Morfeo.
Delicatamente le accarezzò una guancia ancora umida. La vista di quegli occhi gonfi e la sua espressione tormentata le fece pesare il cuore. Spesso aveva desiderato che la maggiore le aprisse il suo cuore, che le mostrasse tutta l'oscurità che tratteneva al suo interno, ma capì che non avrebbe mai voluto vederla in quello stato. Avrebbe fatto di tutto pur di vederla sorridere, per cacciare il male che la distruggeva dall'interno... se solo le avesse permesso di farlo.
In quel momento Rosie desiderò con tutta se stessa di poter essere in grado di proteggere Jennie, nonostante l'altra non le avrebbe permesso di farlo. Voleva essere forte per lei, voleva che lei si fidasse, e voleva continuare a tenerla tra le braccia come in quel momento.
E allora Park Chaeyoung si rese conto di essere irrimediabilmente innamorata di Jennie Kim.

Anche quella sera ci pensò.
Uscì dal box doccia asciugandosi svogliatamente, e aprì la cassettiera alla ricerca di qualche vestito che aveva preso l'abitudine di lasciare da Jennie. Ormai conosceva bene quella stanza da bagno. Quelle quattro mura erano state testimoni di tanti crolli, ma di altrettante ricostruzioni. Rosé sciolse i capelli che aveva legato precedentemente per non farli bagnare, li fece ricadere sulle spalle. Ancora una volta andò a reggersi al lavandino osservando il suo riflesso nell'enorme specchio di fronte a se. Ancora una volta aveva un aspetto orribile e ancora una volta sarebbe dovuta uscire a testa alta, e mostrare al mondo che poteva farcela. Perché arrivata a quel punto, la maggiore avrebbe potuto trattarla come le pareva, usarla a suo piacimento, ma lei non avrebbe mollato. Perché quella ragazza era la causa dei suoi problemi, ma era in grado di risolvere tutto sorridendole. Perché oltre ad essere la fonte del suo dolore, era anche la sua felicità. Perché quell'espressione spontanea che le regalò quando rientrò nella sua camera, le aveva ribadito che l'amava. Ma non riusciva a capire se quell'amore fosse il suo veleno o la sua medicina.

La signora Choi bussò alla porta della camera di Jennie, interrompendo così la fusione degli sguardi delle ragazze, e l'assordante silenzio che regnava nella stanza.
La padrona di casa andò ad aprire alla sua governante, che le mostrò la sua solita espressione distesa. Eppure c'era un pizzico di panico nei suoi occhi, e un accennato tremolio nella sua voce.
—Signorina deve...
—Lo so— la interruppe Jennie. Era maledettamente in ritardo, probabilmente i suoi erano già in linea. Rassegnata si voltò verso l'altra ragazza, che stava già raccogliendo la sua borsa dal pavimento.
—Rose...
—Lo so— tagliò corto la rossa, superando lei e la signora Choi, per poi uscire dalla porta. Jen sospirò.
—Signorina, non ha capito— tentò ancora la donna.
—Lei...
—Sì, sì, ho capito benissimo. Di' loro che aspettino!— sbottò la ragazza, correndo in corridoio all'inseguimento della più piccola. Una volta raggiunta l'afferrò per un polso facendola voltare verso di sé.
Visibilmente sorpresa, la minore le chiese: —Cosa c'è?
—Resta per cena. Sbrigo un attimo quella faccenda e poi ceniamo insieme.
La rossa sgranò gli occhi.
—Ma Lali? È con tua cugina, sta venendo a prendermi.
—Si unirà a noi. Farà piacere anche a Jisoo. Dopo vi farò accompagnare dall'autista.
—Non credo sia una buona idea...— disse Chaeyoung abbassando lo sguardo. Non voleva forzare Jennie a tenerla con sé, nonostante lo volesse con tutta sé stessa.
Prima che la maggiore potesse rassicurarla, qualcun altro le rubò la battuta.
—Per me è una splendida idea!
Lo sguardo della ragazze corse in fondo al corridoio dove una splendida donna dai corti capelli neri, con indosso un tailleur blu scuro dall'aria più che costosa, camminava verso di loro.
Il silenzio aveva preso possesso dell'ambiente, eccezion fatta per il suono dei tacchi a spillo della donna e il battito cardiaco che rimbombava nelle orecchie di Jennie.
—Ciao tesoro!— salutò una volta vicina alla​ bruna, prendendole il viso tra le mani e baciandole la fronte. Strinse a sé la ragazza, che guardò verso la sua governante con un sguardo indecifrabile. Nell'espressione della signora Choi leggeva a chiari caratteri: "ho cercato di avvisarla"; e per l'ennesima volta Jennie si maledisse.
—Ciao... mamma.

Jennie sarebbe sprofondata volentieri nelle viscere della terra.
Non era psicologicamente pronta al ritorno a casa di sua madre. Insomma, oltre a sorridere come una deficiente in videochiamata, parlando di quanti soldi avesse speso in una settimana e quanti ne avrebbe messi sul conto della ragazza, non si era mai interessata tanto a lei da improvvisare un ritorno a casa. "Volevo farti una sorpresa", tsk. Va' ad incantare qualcun altro.

Mentre la figlia continuava a scoccarle occhiate di fuoco, la signora Kim pareva divertirsi ad innervosirla interagendo con le sue "deliziose amiche". Aveva avviato un discorso scorrevole al quale Jisoo, Lisa e Rosé partecipavano volentieri. Le primine la trovavano davvero simpatica, ma a differenza di Lalisa che rispondeva tranquillamente ad ogni domanda con un sorriso, Chaeyoung spesso e volentieri lanciava a Jennie uno sguardo interrogativo, come a chiedere la sua opinione sull'argomento o il permesso di parlare liberamente. Aveva capito che la bruna non gradiva la presenza della madre, e non voleva fare nulla che potesse rovinarle ulteriormente l'umore. Eppure l'altra era troppo impegnata a trattenersi dall'urlare, cosa che avrebbe voluto fare da quando la donna fece il suo scintillante ingresso nella vita della sua ragazza. Jennie aveva sempre sperato che Chaeyoung non incontrasse mai nessun componente della sua famiglia che non fosse Jisoo. Voleva tenerla lontana dal mondo spietato di cui faceva parte a causa dei legami di sangue, e averla fatta finire in quella situazione, che probabilmente la faceva sentire a disagio, le causava un nodo allo stomaco. Infatti mangiò poco e niente, visibilmente sovrappensiero.

Per fortuna quella cena infernale, almeno dal punto di vista della piccola Kim, finì presto. La madre insisté per accompagnare le ragazze alla porta, e le salutò con un abbraccio mentre Jennie continuava a restare in disparte.
Chaeyoung le si avvicinò, rispose con un tenero sorriso alla sua espressione confusa, poi l'abbracciò forte. La maggiore inizialmente non comprese il perché di quel gesto, ma capì ricambiando la sua stretta. Stava cercando di infonderle forza e coraggio per affrontare il resto della serata, e Jennie lo apprezzò davvero.
—A domani— salutò la rossa allontanandosi, per poi entrare nell'auto lussuosa della famiglia Kim dove la tailandese la stava aspettando.

La bruna seguì con lo sguardo la vettura finché non uscì dal suo campo visivo, e seguì all'interno la madre e la cugina.
—Credo sia la prima volta che porti qualche amica a casa, almeno che io sappia— disse la signora Kim, interrompendo il silenzio che si era appena creato.
—Insomma, è passato un bel po' dall'ultima volta che hai avuto amicizie così strette.
La figlia non accennava a risponderle.
—Perché non me ne hai parlato?
—Non è così importante— disse finalmente la ragazza.
—Forse per me, ma per te lo è.
Jisoo che aveva ascoltato in silenzio quella conversazione spiccicata, annunciò alle due che si sarebbe ritirata nella sua camera, augurò loro la buonanotte e scomparve una volta salita una rampa di scale. Sporca traditrice...

Dopo qualche minuto in cui non si era sentita anima viva, Jennie domandò a sua madre: —Perché sei tornata?
—Esiste un motivo preciso per cui qualcuno voglia tornare alla propria casa?
La ragazza la guardò in silenzio. Avrebbe tanto voluto essere felice di rivederla, come quando era bambina, ma le risultava molto difficile. Non riusciva neanche più a vederla come sua madre. C'era troppa distanza tra di loro, troppi giorni trascorsi ad ignorarsi e a prendersi in giro. Eppure in quel momento sembravano più simili di quanto credessero, cadute le loro maschere e senza uno schermo a far loro da protezione. La signora Kim si diresse verso un carrello dai piani in vetro, sul quale vi era una bottiglia di scotch e dei bicchierini di cristallo. Si versò un po' di liquore e ne bevve un sorso, lasciando che il calore dell'alcol l'avvolgesse. Sospirò prima di chiedere a sua figlia: —Come stai, tesoro?
Jennie continuò ad osservarla in silenzio, cercando di capire dove volesse andare a parare, troppo presa dal difendere sé stessa per notare il dolore che divorava la donna dall'interno.
—Sai— continuò la madre. —È un po' che ti sento diversa, durante le telefonate. Anche adesso riesco a percepirlo. Ho sempre avuto paura che presto o tardi avresti seguito le orme di tuo padre, trasformandoti in un pezzo di ghiaccio impossibile da sciogliere...
La donna bevve un altro sorso del suo alcol sotto lo sguardo attento della figlia.
—Eppure da qualche tempo, nonostante restassi schiva nei miei confronti, ho potuto notare qualcosa di diverso nel tuo comportamento. A volte ti ho visto con il morale sotto ai piedi, altre volte invece non riuscivi a nascondere la felicità sul tuo viso, per quanto lo volessi. Quindi ho iniziato a chiedermi...
La signora Kim guardò negli occhi sua figlia per poi porre a voce alta la domanda che le frullava in mente da un po'.
—Che si sia innamorata?
Alla ragazza venne un colpo. Iniziò a chiedersi quanto la madre sapesse sul suo conto, e su ciò che accadeva alla villa da un po' di tempo a quella parte.
—Non avrei mai pensato di poter parlare di un argomento del genere con te. Ci avevo perso le speranze— disse ancora la signora.
—Ma vedendoti con le tue amiche...
—Ora basta— la interruppe Jen. Stava andando in panico, doveva concludere quella conversazione il prima possibile.
—Non mi importa più il motivo per cui sei tornata, né di cosa pensi di me o del nostro rapporto. Trovo inopportune le tue chiacchiere, soprattutto dopo tutte le recite che hai messo in scena negli ultimi anni. Su una cosa hai ragione, ovvero sul fatto che non ho seguito le orme di mio padre e mai le seguirò. Farò tutto ciò che è in mio potere per non diventare come voi.
Jennie si accorse di essersi lasciata trasportare quando finito di parlare si ritrovò col fiato corto.
Sua madre abbassò lo sguardo sorridendo amaramente.
Posò il bicchierino ormai vuoto e lentamente si avvicinò alla porta che dava sul corridoio principale.
—Potrai difenderti da me e dal resto della tua famiglia se vuoi- disse la donna sulla soglia.
—Ma ricorda di stare attenta ai ragazzi, perché l'amore è come giocare con il fuoco. E quando ne rimarrai ferita non ci sarà nessuno a salvarti dalle fiamme.

Era già mattina e Jisoo non era riuscita a chiudere occhio. Continuava a rigirarsi tra le mani la busta che aveva trovato sul suo comodino la sera prima. Dentro c'era una lettera, l'unica che suo padre le aveva scritto da quando era finito in prigione. L'aveva letta, ma tutto ciò ottenne fu un crollo emotivo. Dopo non ebbe neanche la forza di lavarsi e infilare il pigiama, rimanendo stesa a contemplare il vuoto, con ancora indosso la t-shirt che Lisa le aveva prestato per uscire. Probabilmente il profumo della sua dongsaeng fu la sua unica compagnia durante quella lunga notte, ma non bastò ad evitare che le lacrime sgorgassero ancora, e ancora. Anche in quel momento, mentre il canto degli uccelli accompagnava l'ascesa del sole in cielo, se soltanto pensava al contenuto della missiva le saliva l'irrefrenabile impulso di piangere ancora.
Persa nella sua sofferenza non si accorse che era arrivato l'orario in cui solitamente usciva per andare a scuola. Infatti Jennie bussò alla sua porta chiamandola, ma tutto ciò che la maggiore riuscì a fare fu scivolare silenziosamente giù dal letto per trascinarsi fino all'armadio, dove si nascose. La cugina non ricevendo risposta aprì la porta per controllare se la ragazza fosse lì.
-Sarà uscita prima?- si chiese la bruna tornando giù, e Jisoo non poté fare altro che chiederle scusa mentalmente. Con tutto ciò che la minore stava passando, sua cugina non poteva permettersi di darle un altro peso sulle spalle. E ancora una volta Jisoo si tenne tutto dentro, stringendo le ginocchia al petto e lasciando che le ante dell'armadio la proteggessero, come avevano sempre fatto. Come quando da bambina era costretta ad ascoltare le urla dei suoi genitori, che spesso la perseguitavano anche in sogno.

Era difficile ammetterlo a se stessa, ma senza Jisoo Jennie si sentiva smarrita. Sua cugina era come la sua parte razionale, il suo grillo parlante. Anche salutare le persone le sembrava difficile senza i commenti o le raccomandazioni della cugina. In più si sentiva sola.
Le mancava Jisoo.
Appena la trovo, gliene dico quattro, pensò avanzando lungo il corridoio. Era da poco suonata la campanella della pausa pranzo, e la bruna era alla ricerca di un po' di compagnia.
—Jennie!
La ragazza voltò lo sguardo per incontrare l'esile figura di Lalisa che le correva incontro.
—Devo... devo uscire prima— boccheggiò la bionda riprendendo aria.
—È successo una casino a casa. Mio cugino... oh ma non è questo il punto!
La maggiore la guardava confusa, incitandola a respirare lentamente.
—Chae è rimasta sola. Non le piace gironzolare senza compagnia quindi credo stia pranzando in classe. Per favore raggiungila.
Pranpriya!
La tailandese sospirò. —Mi raccomando. Ciao Jen!
Così dicendo corse da sua madre che la stava chiamando a gran voce.
Jennie le osservò mentre si allontanavano. La signora Manoban le stava sicuramente facendo una ramanzina, e la Lalisa cercava di ottenere l'assoluzione facendosi piccola piccola, e mostrandole quei suoi occhietti dolci che con sua madre non attaccavano ormai da tempo. La bruna invidiò la sua dongsaeng per quel rapporto.
Aspettò che le due uscissero dal suo campo visivo prima di andare alla ricerca di Chaeyoung. La sua velocità aumentava ad ogni passo e senza accorgersene iniziò a correre. Neanche a lei piaceva restare sola in quell'ambiente ostile, e in quel momento aveva davvero bisogno della sua rosa.

Chaeyoung consumava in silenzio il suo pranzo al sacco. Ancora una volta la sua mente la condusse a Jennie e a sua madre. Rosé desiderava con tutte le sue forza di far parte del mondo della sua ragazza, seppure avrebbe significato intromettersi in sanguinose faide familiari e magari ferirsi. A quel pensiero le tremarono le gambe.
Finì appena metà del pranzo. Si alzò ed uscì dall'aula cercando di riprendersi. Non notò Jennie in fondo al corridoio che cercò di raggiungerla prima che svoltasse l'angolo. Ma Chaeyoung, con lo sguardo basso, lo aveva già fatto, pentendosene all'istante.

Urtò per sbaglio una studentessa bionda che come lei non prestava attenzione a dove andava, e nonostante si fosse inchinata e scusata, fu circondata dalla ragazza e da un paio di sue amiche. Quando la primina alzò lo sguardo riconobbe il gruppo come le ochette da compagnia che Jennie portava a spasso in pubblico, e come c'era da aspettarsi da loro, iniziarono a provocarla ed insultarla. Eppure Rosé non reagiva in alcun modo, la ragazza convinta di aver subito un'offesa la spinse a terra. Qualche studente curioso si era fermato ad assistere alla disputa e a sponsorizzarla con i propri cellulari.

Jennie che aveva preso tempo lungo il corridoio riflettendo su ciò che avrebbe voluto dire alla rossa, all'improvviso si ritrovò davanti quella scena. Vedere Chaeyoung per terra le aveva tolto l'aria dai polmoni. Inizio a respirare affannosamente mentre la rabbia le ribolliva in petto.
—Hayi!— urlò attirando l'attenzione generale. Caricò la bionda facendole scontrare la schiena con una parete, e digrignando i denti ringhiò: —Ma che cazzo fai?!
—Tu, che cazzo fai?!— ribatté l'altra confusa.
Chaeyoung non perse tempo, alzandosi e afferrando per le spalle la bruna. Jennie rivolse immediatamente tutte le sue attenzioni a lei, assicurandosi che stesse bene. Il gruppo di bulle si ricompattò attorno a Lee Hayi.
—Ma sei impazzita?!— chiese la capobranco con il suo tono irritante.
—Ti importa davvero di quella?
Jen guardo negli occhi Rosé, la quale scosse il capo cercando di farle capire che le andava bene. Ma a Jennie andava tutt'altro che bene.
Quella, come la chiami tu— esordì avvicinandosi alla ragazza.
—È la persona più buona, gentile ed altruista che abbia mai conosciuto. È mille volte migliore di te e di quelle altre oche!
Ora c'era più gente in corridoio. Chi parlava sottovoce, chi ridacchiava, chi filmava... e come al solito tutta l'attenzione era sulla piccola Kim.
—E sai una cosa, Hayi?- disse ad un palmo dal viso della bionda.
—Non me ne frega un cazzo di quanti chili hai perso nell'ultimo mese, del tuo orribile smalto fluo, o della tua nuova Louis VittonNon ti sopporto! Pensavo di aver bisogno di qualcuno come te ma, ascolta quest'ultimo gossip: non è vero. Perché tu non mi servi a niente. Perché tu non vali niente.
Soddisfatta e accompagnata dai brusii generali, la bruna raggiunse la sua ragazza che si era fatta piccola piccola in un angolo, la prese per mano e fece per andarsene.
—Stai giocando con il fuoco Kim!— urlò Hayi, che voleva sempre avere l'ultima parola. E Jennie sapeva che questa volta aveva ragione. Eppure...
—Non ho paura di bruciarmi.
E così dicendo trascinò via Chaeyoung, lontano da Lee Hayi, dalle grida e dall'esitazione.

Perché Jen si era spinta troppo oltre. Perché quello non era più un gioco o semplice curiosità. Aveva superato la dipendenza, era la sua droga peggiore.
La ragazza non prestava attenzione alle parole di Rosé, mentre superava gli studenti che intralciavano il loro cammino con la velocità di un treno in corsa. Aveva qualcosa da fare, qualcosa da dire.
Si sentiva come se ad ogni passo della benzina venisse versata sul suo cuore che minacciava di esplodere da un momento all'altro.
Raggiunsero la seconda ala dell'istituto e iniziarono a salire, verso l'unico luogo di quell'inferno in cui poteva sentirsi al sicuro.
Pura adrenalina le scorreva nelle vene, e quando la terrazza deserta si palesò dinanzi a lei, prese tra le mani il viso di Caeyoung, che la guardò disorientata e confusa.
Le mani di Jennie iniziarono a tremare. Doveva dirlo ora che aveva la forza di farlo. Prima che la ragione avesse ancora una volta la meglio sui sentimenti. Una singola lacrima le scivolo sul viso mentre disse quelle tanto attese parole...
—Ti amo.
Rosé ebbe appena il tempo di realizzare ciò che la maggiore le aveva detto, che già le sue labbra furono premute con forza contro quelle dell'altra. Non esitò a ricambiare quel bacio disperato, la scintilla che accese il sentiero di fuoco che le circondò. Lo stesso fuoco rosso che presto non avrebbero più potuto controllare.
Forse la madre di Jennie aveva ragione, dato che quando le fiamme divamparono, nessuno fu in grado di salvarle.
Ma nessuna delle due voleva essere salvata.

 

 

 

Perché la mia attrazione per te è più forte della paura.

 

Playing With Fire

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Capitolo 4
*** ST- ***


—Jisoo non è ancora tornata. Se ti va puoi aspettarla in camera sua— disse sorridendo la signora Kim.

—Grazie, conosco la strada.

Lisa salì le ampie scale che conducevano ai piani superiori della villa, dove si accedeva alle camere da letto.
Quella mattina era uscita prima da scuola perché un dei suoi cugini cadendo dallo skateboard aveva finito per fratturarsi un polso, e lei avrebbe dovuto badare agli altri piccoletti in visita dalla Thailandia mentre sua madre era in ospedale. Da allora non era riuscita a contattare Chaeyoung. Quando il suo eroe Kunpimook le aveva dato il cambio alla guardia delle piccole pesti, era scappata alla villa per aspettare la sua migliore amica, che sicuramente si sarebbe recata lì con la sua ragazza. Ne aveva approfittato anche perché non aveva visto Jisoo a scuola, e non avendo ricevuto risposta a nessuno dei messaggi che le aveva inviato era un po' preoccupata per lei. Le parole della zia della ragazza l'allarmarono ulteriormente.
La bionda raggiunse la camera da letto dell'amica, e sconvolta constatò di non averla mai vista in quelle condizioni. Il letto da una piazza e mezzo era sfatto e le lenzuola lilla giacevano sul pavimento insieme ad abiti e scarpe sparsi un po' dappertutto. Le tende viola erano state strappate e il bastone che le sosteneva penzolava, essendo attaccato alla parete solo per un'estremità. Le varie cornici che riempivano mensole e pareti erano state buttate in malo modo ai piedi della scrivania, sulla quale non vi erano più i libri e i quaderni della corvina impilati ordinatamente, essendo anch'essi essi sparsi insieme ai vestiti, ma un'unica candida busta da lettere.
Senza parole, Lalisa rimase ad osservare qual disastro per una manciata di minuti, fino a quando un suono particolare attirò la sua attenzione. Si avvicinò all'armadio, dal quale proveniva un sommesso singhiozzare. Con cautela aprì un'anta e lo spettacolo che le si ritrovò davanti agli occhi le spezzò il cuore.
Jisoo era rannicchiata in un angolo stringendo forte al petto un cuscino. I lunghi capelli scuri le coprivano in parte il volto ricadendo disordinatamente sulle spalle, e il suo bellissimo viso, ora ancora più pallido del solito, era stato rovinato dai residui di trucco che le sue lacrime si erano lasciate alle spalle lungo il loro percorso. Aveva gli occhi gonfi e arrossati e delle orribili occhiaie. Probabilmente, presa dalla disperazione si era strappata le unghie a sangue, dato che la federa ricamata del cuscino, che la tailandese trovava tanto adorabile, era macchiata di rosso nel punto in cui le dita della maggiore la stringevano.
Lisa cadde sulle ginocchia.
—Jisoo...— chiamò.
—Perché...?
La ragazza non aveva la forza necessaria per completare la frase. Ancora tremante l'amica alzò lo sguardo su di lei, e con voce rotta sussurrò: —Le parole fanno male.
La minore la abbracciò forte, cercando in questo modo di alleviare almeno in parte il dolore dell'altra.
—Fanno davvero male.

Jennie si sentiva davvero bene.
Aveva trascorso gli ultimi giorni meravigliosamente. A scuola pranzava sempre con Rosé in mensa, e nonostante gli sguardi degli studenti poteva camminare con lei per i corridoi, tenendola a braccetto, discutendo, scherzando, ridendo...
Chaeyoung era intenzionata a presentarla ufficialmente alla zia, e quando era alla villa poteva agire più liberamente, anche e soprattutto se si trattava di rubare un bacino ogni tanto. Ogni volta che erano sole era difficile per entrambe riuscire a togliersi le mani di dosso, e Jennie che non aveva mai provato emozioni tanto forti sembrava assuefatta da esse. Non parlava tanto spesso con Jisoo, anche perché quest'ultima aveva iniziato a passare molto tempo fuori casa, ma non diede tanta importanza a questi dettagli.

Jennie iniziava a comportarsi come una bambina: ignorava il male nel mondo immersa nella sua spensieratezza. Pensava che magari quella era la volta buona, che finalmente avrebbe potuto essere felice.
Eppure erano troppe le cose che ignorava. Non si era accorta dell'odio spietato negli occhi delle sue vecchie compagnie, degli sguardi sospettosi di sua madre, di quanto peso aveva perso la cugina in così poco tempo, o di come aveva allontanato Chaeyoung dal resto del mondo.

La rossa la faceva stare bene. Con lei si sentiva completa, al sicuro, come non si sentiva da tempo. Rosé era la sua felicità, e proprio per questo non riusciva a vedere quanto in realtà la danneggiasse.

La minore, dal suo canto, non si rese subito conto che quando la maggiore non era con lei, era completamente sola.
Forse non riusciva ad ammetterlo a se stessa, dato che tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento era sapere di essere amata da Jennie. Ma in realtà non era così.
Chaeyoung aveva bisogno di qualcuno che la riportasse alla realtà quando il sogno l'avrebbe allontanata troppo. Ma la sua piccola Lalisa ultimamente era sempre di corsa tra un impegno e l'altro, e la sua adorata zia dallo sguardo spento era spesso fuori casa.
La ragazza finì quindi per farsi trasportare dalle sue emozioni, immersa fin sopra alla testa in quella sua piccola felicità chiamata Jennie Kim, per poi annegare nel mare di disperazione che portava lo stesso nome.

Era mezzanotte passata quando Jennie e Chaeyoung, dopo una serata in discoteca, tornarono a casa Kim. La maggiore aveva aveva chiamato l'autista della villa per riportarle a casa in macchina, per evitare i pericoli della notte. Quella giornata, di cui avevano trascorso insieme ogni istante, era stata meravigliosa, e anche quel quarto d'ora d'intimità in auto, immerse in un pacifico silenzio, con solo la luce esterna dei lampioni ad illuminare le loro dita intrecciate, per entrambe valeva più di tutto l'oro del mondo. Il battito cardiaco della bruna accelerò quando la minore le poggiò la testa su una spalla, e Rosé sentì che era arrivato il momento di dire a Jennie cosa provava per lei. Nonostante le avesse comunicato più volte con il suo comportamento che i suoi sentimenti erano ricambiati, la rossa spesso pensava che dirlo a voce avrebbe rassicurato la maggiore e stabilizzato la loro relazione. Le serviva solo il momento giusto e pareva che fosse arrivato.
—Jennie— la chiamò.
La bruna la guardò dall'alto sorridendole dolcemente.
—Sì?
Il cuore di Chaeyoung le si stava lentamente sciogliendo in petto.
—Ti...
—Signorina Kim— la interruppe l'autista con tono allarmato bussando al pannello scorrevole che fungeva da divisorio tra i sedili anteriori e quelli posteriori.
—Sì?— rispose la bruna sistemandosi sul sedile, spingendo Rosé a fare altrettanto.
—Siamo arrivati...
Entrambe lanciarono uno sguardo al finestrino dal vetro oscurato, dal quale riconobbero il profilo della villa. Da lontano Jennie riuscì a distinguere anche qualcos'altro. Qualcosa che aveva sperato di non rivedere per molto tempo.
—Grazie, Seungri— disse all'autista una volta che questi si fermò prima di raggiungere la scalinata dell'entrata principale. 
—Rose, noi ci vediamo domani.
Così dicendo, Jennie uscì dalla vettura chiudendosi lo sportello alle spalle. Si rivolse all'autista ordinandogli di accompagnare a casa la rossa, ma prima che il ragazzo potesse ripartire Chaeyoung scese dall'auto.
—Jen, aspetta!
La bruna sospirò esasperata. Doveva aspettarsi che l'altra avrebbe preteso spiegazioni, ma quello era il momento meno adatto per parlare.
—Rose, sali in macchina— le disse voltando appena il capo. —Poi ti spiego, promesso.
—Ma devo dirti una cosa... è importante!
—Può aspettare!
—No che non può!
Jennie stava per superare il limite della pazienza. La paura che provava si stava trasformando rabbia troppo velocemente. Chaeyoung invece, inseguendo la maggiore che tentava di distanziarla ad ampie falcate, si stava facendo prendere dal panico. Non voleva essere respinta, non in quel momento.

—Jennie!— chiamò più volte senza ricevere la minima attenzione.
—Io...
Avanzò velocemente afferrando la ragazza per un braccio.
—Io ti...
Stammi lontano!
La maggiore aveva finito per urlarle contro, spingendola via bruscamente, come se il tocco delle sue mani equivalesse alla puntura di un insetto nocivo.
Jennie agiva con l'aggressività di un animale ferito, troppo preso dal dolore che prova, dalla necessità di nascondersi al riparo dai pericoli esterni e curare le proprie ferite, per capire che la bambina che aveva allungato una mano per accarezzarlo voleva solo alleviare le sue sofferenze. E quella bambina che aveva ritratto la mano indietreggiando, con gli occhi pieni di lacrime fissi su quell'animale selvatico e inavvicinabile, altri non era che Park Chaeyoung.
Essendosi resa conto del tono che aveva usato con la minore, Jennie cercò di ricomporsi e abbassando lo sguardo le chiese cortesemente di andarsene. Poi si voltò, e allontanandosi silenziosamente la abbandonò in mezzo alla strada.
La più piccola non aveva la forza necessaria per muoversi. Anche le lacrime che le offuscavano la vista non riuscivano a scivolare giù. Rimase quindi ad osservare l'immagine sfuocata di Jennie che la distanziava, mentre l'illusione del suo piccolo mondo felice andava in frantumi insieme a parte del suo cuore.
Ringraziò mentalmente Seungri, che uscito dall'auto l'aveva presa per le spalle, permettendole di crollare tra le sue braccia.

Non ricordava quasi nulla del tragitto fatto in auto, immerso nel più vuoto dei silenzi.
Aveva chiesto all'autista di portarla a casa di Lalisa, infatti si trovava davanti alla sua abitazione, dalla quale, come sempre, proveniva una gran baccano. Non era riuscita a salutare e ringraziare decentemente il ragazzo che l'aveva accompagnata e le dispiaceva, ma in quel momento aveva solo bisogno di essere accolta in un porto sicuro.

Bussò alla porta e la signora Manoban corse ad aprirle. L'accolse con un sorriso stanco e occhiaie scure, ma nonostante l'evidente sonno arretrato gli occhi della donna restavano vispi come quelli che aveva ereditato la figlia.
La donna la fece accomodare al tavolo rettangolare in cucina, prima di scomparire nel corridoio annesso.
Rosé non poté trattenere un sorriso quando la sentì rimproverare in tailandese i nipotini, che fino a qualche istante prima si stavano azzuffando sul pavimento.
Almeno lì, nulla era cambiato.

La donna tornò in cucina, si versò una tazza di caffè e si sedette di fronte a Rosé, passandosi una mano tra i capelli scuri.
—Lali? Non scende?— chiese la ragazza.
—Pranpriya è a lavoro— disse la donna sorseggiando la sua bevanda.
—A lavoro?
La rossa era confusa.
—Sì, in quel ristorante messicano a Gangnam. Probabilmente ha dimenticato di dirti gli orari, ma come biasimarla con due lavori part-time...
Lisa aveva un lavoro part-time. Anzi due. E Roseanne non ne sapeva nulla.
—Sai— continuò la tailandese —Si sta dando davvero un gran da fare per aiutarci. Da quando le ho detto che mia sorella è andata in banca rotta e che i suoi cugini si sarebbero trasferiti qui in Corea, non si è fermata un attimo. Sono davvero orgogliosa di lei.
La donna sospirò prima di sfoderare un sorrisetto complice.
—Ma forse è meglio se non lo viene a sapere, altrimenti si monta la testa e solo questo ci manca!
Buttò uno sguardo all'orologio prima di alzarsi in tutta fretta e avvicinarsi ai fornelli.

Rosé era letteralmente sconvolta. La famiglia della sua migliore amica era in difficoltà economiche e per dare una mano lei lavorava tanto. Ecco perché era sempre impegnata. Ma perché non le aveva accennato una parola al riguardo?

La signora Manoban si affacciò al corridoio e con il suo solito tono acuto chiamò: —Jisoo! Vieni a darci una mano a preparare!
—Arrivo tra un attimo, signora!- si sentì rispondere. Poi soddisfatta mise a scaldare il cibo che aveva già preparato quel pomeriggio.
Ancora una volta la rossa rimase spiazzata.
—Jisoo?
—Sì, la vostra amica— rispose ovvia la madre di Lisa. —È qui da un paio di giorni, pensavo che Pranpriya te lo avesse detto.
Ma non l'ha fatto...
—Dice che non vuole tornare a casa per un po'— disse poi la donna, rimestando pazientemente in una pentola.
—Pensa che data la situazione voleva anche pagare per vitto e alloggio— aggiunse.
—Ma ovviamente io e mio marito non abbiamo acconsentito. Come dico sempre: dove mangia uno, mangiano anche in due! Ma poi mangiasse... praticamente non tocca cibo. L'unica cosa che consuma è l'acqua che usa per lavarsi...
In quel momento in cucina entrò anche Jisoo. Chaeyoung avrebbe voluto non vederla in quelle condizioni. Sembrava il suo fantasma: pallida, inespressiva, con due occhiaie scure sotto agli occhi e lo sguardo perso. Quando la vide le sorrise stancamente. Quella vista era troppo da sopportare.
—Forza ragazze, apparecchiate. Allora, con Chaeyoung siamo...
La signora Manoban s'interruppe vedendo la ragazza alzarsi e correre fuori.

Rientrata in contatto con l'aria ancora fresca di quella sera di fine Giugno, Roseanne si prese la testa tra le mani. Era disorientata. D'un tratto si era sentita come se fosse stata sbalzata in un universo alternativo del quale non faceva parte. Riordinare i suoi pensieri le pareva impossibile.
Ad un tratto la porta alle sue spalle si aprì rivelando la figura di Jisoo.
—Chaeng? Ti senti bene?
La rossa si voltò a guardarla.
Perché ti preoccupi per me mentre stai così male? pensò. Io non l'ho fatto.
—Sì, sì, tranquilla— mentì.
—Ti va... ti va di parlare?
—Sto bene, sul serio- disse più a se stessa che all'altra.
Ma Jisoo sapeva che non era così, perché quelle erano le stesse parole che ripeteva ogni giorno a Lisa e alla sua famiglia. Le era quasi sembrato di aver sentito la sua voce al posto di quella della dongsaeng. La ragazza sospirò. In quel momento sbucò sulla soglia uno dei cuginetti di Lalisa.
—Noona, la mangi la torta stasera?— chiese aggrappandosi alle gambe magre di Jisoo.
—Dai, l'abbiamo fatta io e la zia!— continuò prima che la corvina potesse aprir bocca.
—Va bene, va bene— concluse la ragazza spingendolo dolcemente verso l'interno. —Vieni?— chiese poi diretta a Chaeyoung.
—Oh, no. Avevo dimenticato che zia Bom mi aspetta per cenare. Devo scappare.
Così dicendo indietreggiò di qualche passo. Doveva allontanarsi il prima possibile da quella realtà che non le apparteneva più.
—Se non ti dispiace chiedi scusa alla signora Manoban da parte mia.... oh, e salutami Lisa.
Quando si voltò poté abbandonare quel falso sorriso che avrebbe dovuto rassicurare la maggiore. Un'altra bugia.
Camminando per le strade di Seoul si chiese quante volte avesse mentito a qualcuno da quando si trasferì in Corea. Ma delle volte in cui aveva mentito a se stessa aveva già perso il conto.

Quando Jennie spalancò la porta della sala da pranzo, attirando così l'attenzione dei presenti, come era suo solito fare, lo spettacolo che si ritrovò davanti la spiazzò.
Sua madre era in piedi accanto al tavolo. Aveva evidentemente appena terminato la cena e stava invitando il suo ospite a seguirla fuori dalla casa, sotto gli occhi vigili della signora Choi e qualche cameriera. Lo sguardo della piccola Kim fu subito catturato da quello del ragazzo basso che era di fronte alla donna. Dong Youngbae.
—Cosa vuoi?— chiese con collera.
—Vedo che come al solito si crede il centro del mondo, signorina Jennie.
Quel tono freddo le fece raggelare il sangue. Non era rimasto niente della voce calda che adorava sentire. Il ragazzo tenero e divertente di un tempo, ora pareva sputare veleno ad ogni parola. Anche il suo aspetto era cambiato. Mentre prima ogni scusa era buona per gironzolare a petto nudo, adesso tutti i bottoni della sua candida camicia dalle maniche lunghe erano appuntati. Le catenelle e i gingilli che gli pendevano dal collo avevano lascito posto ad una cravatta color vinaccia ben annodata. E la sua testa mezza rasata con quella cresta ostentata alla sommità, era ormai coperta da capelli neri ben tagliati e pettinati. Con la giacca di velluto grigio del completo sotto braccio e le scarpe nere lucidate al punto da riflettere la luce dei lampadari della sala, Youngbae sembrava uno dei tanti. E fu quello a sconvolgere la ragazza a primo impatto.
—Sono qui per sua cugina Jisoo— disse poi. —Ci è giunta voce che abbia ricevuto una lettera sospetta da parte di suo zio, il Signor Kim. Come avvocato di suo padre, ho ritenuto opportuno controllare di persona.
E bravo il cagnolino di papà, pensò Jennie.
—Non ha ricevuto nessuna lettera. Lei...
—Glielo avrebbe detto?— la interruppe Youngbae, meritandosi uno sguardo di fuoco dalla bruna.
—Esattamente.
Perché Jisoo glielo avrebbe detto sicuramente, giusto?

Percependo l'aria tempestosa che appesantiva l'atmosfera della sala la madre di Jennie decise di intervenire.
—Jennie, tesoro, perché non sali un po' in camera? Non dovevi portare Chaeyoung stasera?
—Tsk— rispose Jennie inviperita. —Già è tanto che le faccio respirare l'ossigeno contaminato da te, figurati se la facevo entrare in contatto con quel...
Jennie Kim! la richiamò la donna ad alta voce. —Non ti permetto di mancare di rispetto a me e a Youngbae!

—Come se avessi il diritto di impormi ciò che mi è permesso e ciò che non lo è.
La signora Kim strabuzzò gli occhi.
—Come, prego?
—Oh, andiamo, mammina. Dov'eri tu quando il volume della musica mi sfondava i timpani? Quando ammassi di sconosciuti affollavano le stanze della villa? E quando il fumo ha invaso i miei polmoni distruggendomi dall'interno? Dopo i fiumi di alcol che hanno corso nelle vene, dopo tutti i ragazzi che mi sono portata in camera, dopo tutte le volte in cui mi sono finta qualcuno che non sono per non farmi sopprimere dalla società, hai anche il coraggio di venirmi a dire cosa devo o non devo fare?!
Tutti i suoi spettatori sgranarono gli occhi, Youngbae compreso. La signora Kim impallidita si aggrappò allo schienale di una sedia.
—La tua autorità in questa casa è mancata per troppo tempo, mammina continuò la bruna in tono pacato. —E ora mi congedo. Ma non perché mi hai chiesto di farlo, sia chiaro. Semplicemente non riesco più a sopportare la vista delle vostre orribili facce.

Detto ciò s'inchinò prima di uscire dalla sala, e quando fu sicura di essersi chiusa la porta alle spalle iniziò a correre. Corse con tutte le sue forze, ignorando la voce della signora Choi che preoccupata aveva chiamato il suo nome più di una volta.
Una volta raggiunta la sua camera si fermò e si rinchiuse al suo interno. Si accasciò contro una parete e lasciò andare un pianto isterico che aveva trattenuto troppo a lungo.

Un paio d'ore passarono prima che qualcuno bussò alla sua porta e senza aspettare di ricevere il permesso di entrare, s'infilò furtivamente all'interno della stanza. Nonostante la poca luce che filtrava dalle tende leggere non le permettesse di riconoscere il viso dell'intruso, la sua statura lo tradì. Youngbae si avvicinò velocemente a Jennie, che era già balzata in piedi pronta ad urlargli contro e a cacciarlo fuori a calci, ma lui le tappò la bocca con una mano. Con il braccio libero la spinse contro una parete, e sebbene la sua altezza non fosse niente di eccezionale, la muscolatura perfetta che nascondeva sotto al completo gli rese facile il compito di tenerla bloccata e rendere vani tutti i suoi tentativi di liberarsi.
—Shh, sta buona— le sussurrò, ricevendo di tutta risposta uno sguardo omicida.
—Dobbiamo parlare.
Volente o nolente, a quel punto la bruna poté solamente ascoltare ciò che l'altro aveva da dire.
—Quella di Jisoo era solo una scusa per tornare qui. Ho bisogno del tuo aiuto Jennie.
La ragazza era più che confusa.
—Ho le registrazioni delle telecamere di sorveglianza del parcheggiò sotterraneo della villa, incluse quelle della notte del 16 Gennaio di cinque anni fa.
Jennie sgranò gli occhi. Una ferita difficile da rimarginare le bruciava in petto come se fosse stata appena inflitta.

Con il capo poggiato ad una parete bianca e anonima, Chaeyoung pizzicava dolcemente le corde della sua chitarra, producendo una triste scia di note che si propagava nella sua stanzetta in cima alle scale. Anche quella melodia le ricordava la sua Jennie. Non riusciva a capire come in così poco tempo fosse diventata il centro del suo universo. Le era bastato così poco a conferire cicatrici al suo piccolo cuore, una sola frase, una sola parola.
Ancora una volta, seduta per terra in un angolino tra l'armadio e il muro, con la chitarra in grembo, cercava di confortarsi da sola. La paura di essere lasciata incombeva su di lei più minacciosa di prima. Forse avrebbe dovuto giocare d'anticipo? Avrebbe dovuto allontanarsi prima di essere piantata in asso? La maggiore non se lo sarebbe mai aspettato. Probabilmente dava per scontato che Rosie sarebbe rimasta, glielo aveva anche chiesto più volte. E la rossa dal canto suo non aveva il coraggio di contraddire quella sua convinzione. 
Dopotutto Chaeyoung era fatta così, proprio come Jennie. E tutto ciò che desiderava era che lei restasse.

Non si accorse di star piangendo in silenzio fino a quando non abbassò la testa per recuperare il cellulare. Due lacrime ribelli caddero pesantemente sullo schermo luminoso, che mostrava il numero di casa sua. I suoi genitori la stavano chiamando dall'Australia.
Chiuse la chiamata. Si alzò posando la chitarra sul letto e si asciugò le lacrime con il dorso delle mani. Strofinò lo schermo dello smartphone contro il cotone leggero del pigiama per asciugarlo, poi lo sbloccò per richiamare.
Hello? dissero dall'altro capo.

—Eomma! Ti ho detto mille volte di non chiamare per prima! Le chiamate all'estero le paghi!
—Scusami tesoro, ma non chiamavi da un po'...
E aveva ragione.
—Come sta zia Bom?
Oh.
—Sta... bene— mentì.
Come avrebbe potuto dirle per telefono che rientrando a casa fuori programma aveva trovato sul tavolo della cucina la cartella medica di un ospedale oncologico? Come avrebbe potuto dirle che aveva trovato sua cognata in ginocchio sul pavimento del bagno, intenta a cacciar fuori tutto ciò che aveva in corpo? Come poteva dirle che la sua adorata zia era tornata a combattere contro un male che la distruggeva dall'interno?
Al solo pensiero le si spezzava il cuore. In così poco tempo aveva iniziato ad odiarsi per non essersi accorta prima del dolore della zia. Si ripeteva che forse Bom e Lisa non le avevano parlato di problemi tanto importanti perché lei era sempre assente. Perché anche ora che sapeva tutto la sua mente trovava sempre il modo di ricondurla a Jennie, ai loro ricordi, a come era stata rifiutata, e Rosé disprezzava quella sua parte tanto egoista.

Intanto sua madre aveva iniziato a parlare senza sosta. Le stava raccontando di un suo amico produttore a cui avrebbe voluto presentarla quando sarebbe tornata a casa per le vacanze estive.
Un'altra cosa a cui avrebbe dovuto pensare quanto prima, dato che Luglio era praticamente alle porte. Mancavano sì e no due settimane di scuola prima della pausa.
Nonostante volesse con tutta se stessa scappare, abbandonare quella realtà piena di frustrazione che non le apparteneva più, non poteva lasciare da sola la zia. Non adesso che aveva così tanto bisogno di un sostegno. Non poteva darla vinta al suo egoismo e alla sua debolezza.

—Adesso ti passo papà— le disse la donna al telefono. —Ti adoro tesoro.
—Anche io eomma.
Proprio in quel momento sentì il campanello della porta d'ingresso. Per evitare di far alzare la zia che stava riposando decise di andare ad aprire, ma Bom fu più veloce di lei.
Chaeng la chiamò intanto suo padre con la voce drammatica che usava sempre durante le telefonate. —Ritorna.

Chaeyoung sorrise amaramente, mentre guardava sua zia litigare con la serratura della porta. Quando finalmente riuscì ad aprirla, sulla soglia apparve la figura elegante di una splendida donna bionda con gli occhi truccati di nero. Lo sguardo felino che volendo avrebbe potuto uccidere, era dolcemente posato sul viso della zia, la quale con sorpresa esclamò: —Cherin! prima di buttare le braccia intorno al collo della sua migliore amica.

Lee Chaerin ricambiò il suo abbraccio stringendola forte, e annunciando con un tenero sorriso: —Sono tornata.
Una nuova speranza si accese in Chaeyoung alla vista della donna.
Aveva trovato la sua via di fuga.
—Sto arrivando, appa.

Park Chaeyoung aveva fatto la sua scelta. Aveva deciso di scappare.
Non era ancora sicura di voler fare qualcosa di drastico. Aveva bisogno di tempo per riflettere, per mettere in ordine i suoi pensieri e le sue priorità, e soprattutto capire cosa volesse fare.
Il cambio d'aria avrebbe potuto aiutarla. E poi, sotto sotto, le mancava Melbourne.

Erano passati tre giorni dal ritorno di Chaerin a casa della zia, due giorni da quando aveva comunicato loro che voleva partire. E ora stava scendendo le scale di casa con in spalla la chitarra e un piccolo trolley, pronta a prendere un altro volo. Sebbene avrebbe trascorso le vacanza estive con i genitori, non aveva preso molte cose, giusto un paio di cambiate più pesanti per far fronte alla fredda estate australiana, e qualche libro scolastico per tenersi al passo. Questo perché sapeva che a Melbourne aveva lasciato parecchie cose, e anche per dare una garanzia a zia Bom sul suo ritorno.
La donna era paranoica tanto quanto la nipote, e il fatto che la ragazza avesse voluto anticipare le vacanze estive di un paio di settimane non la aiutava ad accantonare i suoi pessimi presagi.
Ora Chaeyoung era all'ingresso, di fronte alla zia. La donna non se la sentiva di accompagnarla, così lo avrebbe fatto Chaerin. Era lì per salutarla. Nei suoi occhi lucidi leggeva chiaramente la domanda che la tormentava da un paio di giorni: "cosa ho sbagliato?"
—Non hai sbagliato niente— le disse la ragazza. —Sei stata straordinaria.
Quell'affermazione bastò a mandare a quel paese l'autocontrollo di Bom che singhiozzando abbracciò forte la nipote.
—Guarda che non vado in guerra— tentò di sdrammatizzare la rossa, che non sapeva di star mentendo ancora. La guerra era già in atto dentro di lei, e le battaglie a cui sarebbe andata in contro di lì in avanti sarebbero state sempre peggiori.
—Non avrei mai voluto farti sentire un rimpiazzò— mormorò Bom contro la sua spalla.
—Non l'hai fatto— dissentì Rosé accarezzandole la testa. Poi le prese il viso tra le mani e la guardò dritto negli occhi scuri e arrossati.
—Tornerò.
La donna annuì e le baciò la fronte.
—Ti aspetterò.

Quando salì sull'auto nuova e costosa di Chaerin, Chaeyoung si sentì come se fosse già su un suolo estero. La donna mise in moto e la ragazza rimase a guardare la casa della zia fino a che non uscì dal suo campo visivo.
Chaerin cercava di conversare, ma Rosé la ignorava o rispondeva a monosillabi con lo sguardo perso fuori dal finestrino.
Quando finalmente arrivarono all'aeroporto, prima che potesse scendere, Chaeyoung si decise ad aprire bocca.
—Non vi ho ancora perdonato per averla abbandonata— disse. —Né a te né alle altre.
La bionda sospirò.
—Lo so— ammise, per poi scendere dall'auto.

La donna accompagnò Rosé fin dentro l'aeroporto, la aspettò mentre faceva la fila per il check-in e il deposito bagagli, attese con lei finché non fu chiamata per l'imbarco.
—Prenditi cura di lei— disse la ragazza prima di mettersi in coda.
Non si voltò mai una volta verso l'amica della zia, che rimase ad osservarla con un triste sorriso fino a quando non scomparve dalla sua vista, come Bom avrebbe voluto.

Prima di salire sull'aereo, Roseanne diede un ultimo sguardo sul suo cellulare, il quale aveva appena vibrato. Controllando la schermata dei messaggi ne trovò uno da parte di Jisoo, il suo operatore la informava che aveva provato a chiamarla. Era orario di scuola, probabilmente era con Lali e non l'avevano vista arrivare fuori scuola. La rossa si sentì un po' in colpa per starsene andando senza aver salutato nessuno. Magari era ancora in tempo per tornare indietro...
No. Aveva preso una decisione e l'avrebbe rispettata. Se avesse chiamato per dare spiegazioni, probabilmente avrebbe esitato soltanto sentendo la vocina nasale di Lisa, quindi prima di pentirsene digitò velocemente un messaggio che inviò al numero di Jisoo.

Perdonatemi.

Poi ne inviò un secondo.

Vi voglio bene.

Prima di chiudere ricontrollò i messaggi e le chiamate.
Neanche una telefonata...
Con le lacrime agli occhi spense il cellulare, intenta a lasciarlo spento per tutta la durata della pausa estiva.

Salì sull'aereo, trovò il suo posto e si accomodò. Tirò l'iPod fuori dalla tasca della giacca che si era portata dietro, infilò gli auricolari e aspettò pazientemente il decollo. Quando finalmente il carrello si alzò dal suolo, Chaeyoung guardò fuori dal finestrino osservando la terra rimpicciolirsi sotto di lei. Ricordò il vero motivo per il quale era giunta in Corea più di sette mesi prima. In un certo senso aveva raggiunto il suo scopo, e stando a quanto si era detta prima di abbandonare l'Australia, non aveva più motivo di stare via da Melbourne.
Eppure se pensava alla Corea non le veniva in mente Seoul, il fiume Han, l'edificio scolastico o la sua stanzetta in cima alle scale... no. Lei vedeva il viso addormentato di zia Bom stravaccata sul divano, le cene rumorose in casa Manoban, la testolina bionda di Lalisa che saltellava per i corridoi, l'espressione spazientita di Jisoo ogni volta che la tailandese la infastidiva, e... il sorriso di Jennie che riusciva sempre a farla sciogliere.
Forse prima non aveva capito il motivo per cui voleva allontanarsi così tanto, ma ora lo sapeva per certo. Doveva capire se quelle immagini erano una motivazione valida per restare, nonostante le delusioni, il dolore e la frustrazione che l'attendevano lontano da casa.

 

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Capitolo 5
*** -AY ***


Jennie aveva deciso di saltare scuola quella mattina. Non se la sentiva di abbandonare quel porto sicuro della sua camera da letto. L'ultima volta che lo aveva fatto, a furia di girovagare senza meta e senza sosta per i corridoi della villa, visibilmente sovrappensiero, finì per puro caso nella stanza di Jisoo. Per fortuna non la trovò nelle condizioni in cui era stata fino a qualche giorno prima, grazie al grande impegno e la collaborazione delle domestiche, ma la sua attenzione fu catturata dall'unica cosa che nessuna delle inservienti osò spostare di una virgola. E quella cosa era la lettera che  era stata inviata a sua cugina da suo padre. L'aveva ricevuta sul serio. Presa dalla rabbia e dallo sconforto, la ragazza aprì la busta e senza troppi ripensamenti lesse la missiva senza il permesso della destinataria. In quelle spesse righe l'uomo le aveva spiegato che presto avrebbe terminato di scontare la sua pena e le chiedeva il suo aiuto per rientrare nelle grazie del nonno, che aveva le redini dell'azienda di famiglia. Per riassumere voleva mettere in ombra il fratello maggiore, il padre di Jennie, in modo da ereditare il controllo della casa di moda, e aveva intenzione di utilizzare la sua unica figlia per raggiungere il suo scopo. La freddezza che riusciva a percepire da quelle parole scarabocchiate in fretta era disarmante. Evidentemente l'uomo pensava che la ragazza avesse ereditato da lui la sete di potere, e che lo avrebbe assecondato fedelmente per ricevere in cambio una posizione di prestigio a tempo debito. Che brutta razza quella dei Kim, pensò la bruna, sperando vivamente di essere un caso a parte, un unico frutto sano in quell'albero genealogico marcio fino alle radici. Ma per quanto riguardava la cugina? Perché non le aveva detto niente a riguardo? Beh, la risposta era semplice e abbastanza ovvia: era confusa. Non sapeva cosa fare. Proprio come Jennie, da quando Youngbae le aveva proposto di esporsi, denunciare suo padre e presentarsi in tribunale per testimoniare contro di lui. Entrambe si ponevano la stessa domanda: schierarsi dalla parte di un genitore che le aveva permesso di venire al mondo, o contro un mostro freddo e calcolatore che farebbe di tutto pur di salvaguardare i propri interessi?
In fondo in fondo, Jennie sapeva bene da quale parte avrebbe voluto stare, ma quella scelta avrebbe comportato dei rischi. In più, nel suo piccolo sperava che Jisoo scegliesse lei, che ignorasse le richieste di suo padre per il bene di sua cugina. Ma pensandoci, la piccola Kim era tanto diversa dal resto della sua famiglia? Non aveva trattato più volte la cugina maggiore alla stregua di una sguattera? Non si era sempre comportata in modo freddo e odioso con le persone che davvero tenevano a lei, per puro egoismo? Per farsi accontentare, per ottenere tutto quello che desiderava, aveva ferito troppe persone.

Rigirandosi tra le lenzuola che le si attorcigliavano alle gambe, il filo dei suoi pensieri la ricondusse al viso affranto di Chaeyoung, un'altra anima bianca che aveva sporcato con il catrame del suo cuore nero. La curiosità che l'aveva spinta a chiederle di stare con lei, era una copertura per il suo egoismo. Quel desiderio di non farsi sfuggire qualcosa di così meraviglioso dalle mani, quella gelosia nel vedere il modo in cui la rossa si comportava o si avvicinava a persone che non fossero lei, quella rabbia al pensiero che qualcun altro avesse potuto averla... Quella ragazza era la cosa più bella che le fosse mai appartenuta, seppure per un'unica notte, e non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare. E ammettendo a sé stessa tutto ciò, si rese conto che a causa del suo egoismo aveva rovinato le vite di entrambe. Rosé era quel tipo di persona che se ti da amore lo fa incondizionatamente, senza limiti che tengano, e per Jennie quelle attenzioni che dapprima le parevano una dolce follia che le faceva sentire il brivido di essere viva, si trasformarono in una dipendenza letale. E prima che se ne rendessero conto entrambe avevano finito per innamorarsi l'una dell'altra.

La maggiore che non poteva assolutamente permettersi di provare amore, che si era tenuta lontano da tutti per non essere ferita dal mondo esterno, si era azzardata a mostrare la parte più vulnerabile di sé stessa a qualcuno ed ora rischiava di perdere anche quella. E non è forse per questo che nonostante il ricordo delle lacrime della sua piccola rosa fosse più doloroso di avere una lama conficcata nel petto, non era ancora riuscita a trovare il coraggio di parlarle?

Lanciò uno sguardo al cellulare posato sul comodino, indecisa sul da farsi. Alla fine lo afferrò e controllò l'orario. Era tardi per entrare a scuola, ma aveva il tempo di darsi una sistemata e farsi trovare fuori dall'istituto al termine delle lezioni. Poteva andare a prendere le ragazze con Seungri, organizzare un bel pranzo per cercare di sistemare le cose all'interno del gruppo. Magari avrebbe potuto prendere in disparte Jisoo e farsi spiegare un paio di cosette, o avrebbe potuto farlo quella sera, non era questa la sua priorità. Ciò di cui necessitava era stringere a sé Chaeyoung, inspirare la sua pelle candida beandosi del suo profumo, e affondare le dita tra le sue morbide onde rosse. Ne aveva davvero bisogno.

 

ㅡAncora non risponde— disse Jisoo, e Lisa imprecò in tailandese.
Le ragazze avevano cercato di chiamare Rosé al cellulare quella mattina, prima dell'inizio delle lezioni, e un'altra volta durante la pausa pranzo, senza ricevere nessuna risposta. Ci stavano provando anche mentre seguivano la coda del resto degli studenti che si recavano verso l'uscita. Gli unici segni di vita della loro amica erano stati un paio di messaggi:

Perdonatemi.

Vi voglio bene.

Ed erano bastati a far preoccupare la maknae. La maggiore cercava di rassicurarla dicendole che probabilmente aveva bigiato con Jennie, un'altra che non vedevano da un po'. Anche se era riuscita a convincere la bionda che arrabbiata ne diceva di tutti i colori, Jisoo non credeva molto alle proprie parole. Ricordava in che condizioni si trovava la rossa l'ultima volta che aveva avuto modo di parlarle, e anche se in quei giorni si era tenuta a debita distanza dalla villa, aveva sentito dire in giro che Dong Youngbae era tornato in città. Immaginava che la cugina non aveva reagito per niente bene alla notizia, cosa che avrebbe potuto spiegare lo stato d'animo di Chaeyoung.

Solo questo ci mancava, pensò la mora affranta. Improvvisamente Lalisa le afferrò il braccio zittendosi. Erano a metà delle scale, e di fronte a loro appoggiati alla ormai immancabile auto dalla verniciatura nero brillante, vi erano Jennie e Seungri. Ma lei non c'era.
Jisoo lanciò un'occhiata sconvolta all'amica, per scoprire che il suo sguardo era puntato da tutt'altra parte. Non molto distante da loro, Park Bom si apprestava ad entrare nell'istituto tramite una porta laterale, accompagnata da una donna che la ragazza ricordava vagamente di aver visto su una rivista.
Prima che la maggiore potesse formulare un pensiero concreto, la tailandese era già corsa ad intercettare le donne, allarmando Jennie. La bruna si avvicinò alla cugina con espressione indecifrabile.
—Cosa succede?— le chiese per poi portare lo sguardo alle sue spalle. —Dov'è Rose?
—Noi... noi pensavamo che fosse con te...
La minore si passò una mano tra i capelli, il panico che si faceva largo sul suo viso.
—Tranquilla— tentò di rassicurarla Jisoo. —È una ragazza sveglia. Non è tipo da fare stupidaggini. Probabilmente...
—Unnie!
La corvina fu interrotta da una piccola Lalisa che in lacrime si fiondò tra le sue braccia.
—Se n'è andata!— urlò contro il suo petto, incurante degli sguardi curiosi che la gente intorno le rivolgeva. —È tornata in Australia!
Sconvolta Jisoo guardò prima il volto addolorato di Bom, la quale si era avvicinata al trio, poi la cugina. Vide la luce nei suoi occhi affievolirsi velocemente, fino a spegnersi del tutto. E nonostante le reazioni delle ragazze fossero più dolorose della notizia in sé, il pensiero di aver forse perso un'amica come Chaeyoung la colpì nel profondo. Ma ancora una volta decise di essere forte. Lo doveva a Jennie e Lisa.

La bruna era riversa sul letto, nelle stesse condizioni di quella mattina, se non peggiori. Il senso di colpa la stava divorando, non faceva altro che ripetersi che se Chaeyoung aveva deciso di andarsene in quel modo era soltanto colpa sua. Pensava di poterla proteggere allontanandola momentaneamente, ma aveva fatto il passo più lungo della gamba. Aveva fatto soffrire entrambe, e anche se credeva di meritare quel dolore, si odiava per aver coinvolto la rossa.

Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando si era rinchiusa in camera, prima che qualcuno bussasse debolmente alla sua porta. Senza aspettare una risposta, la signora Kim aprì lentamente la porta per poi chiuderla alle sue spalle una volta entrata. Si avvicinò silenziosamente alla figlia, si sedette con attenzione accanto a lei, e un po' esitante le posò una mano sul capo. Jennie non la respinse, non ne aveva le forze. Motivata dalla mancata reazione della ragazza, la donna prese ad accarezzarle la testa dolcemente, con mano tremante, e prese un bel respiro prima di iniziare a parlare.
—È arrivata una lettera dalla scuola. Le tue ultime assenze preoccupano i professori e il tuo andamento scolastico recentemente è peggiorato.
La ragazza si limitò a lanciarle un'occhiata scettica, facendo sospirare sua madre. Si prese un minuto di silenzio per riordinare prima di annunciare: —Ho saputo di Chaeyoung.
Sentirle pronunciare quel nome destabilizzò l'equilibrio della bruna che si ritrovò a dover trattenere le lacrime. Sua madre lo notò.
—La ami non è così?
Jennie spalancò gli occhi incredula.
—Puoi accusarmi di essere stata assente e un pessimo genitore, perché è la verità... ma non sono cieca, Jennie. In voi due ho rivisto me e tuo padre quando eravamo ragazzi, quando potevamo ancora permetterci la spensieratezza giovanile, e quando i sentimenti contavano ancora qualcosa...
Si prese una pausa per guardare negli occhi la piccola Kim che si era messa a sedere.
—Non siamo sempre stati mostri senza cuore Jennie— disse con aria affranta. Le occhiaie scure e lo sguardo stanco e sofferente la facevano sembrare più vecchia di quanto in realtà non fosse. Un altro sospiro. La signora Kim tirò fuori dalla tasca della giacca una busta e la depose tra le mani della figlia. Jennie la aprì rivelandone il contenuto: dei biglietti aerei a nome suo, di Jisoo e di Lisa.
—Mi sono già accordata con la signora Manoban, partirete all'inizio della pausa estiva. Starete fuori una settimana, non di più, e per quando tornerete Youngbae si è offerto di aiutarti a ripetere in vista della ripresa delle lezioni.
Così dicendo si alzò.
—Ti lasciò un po' di tempo per elaborare il tutto, poi mi farebbe piacere ascoltare una tua opinione.
La donna si avvicinò all'uscita, ma prima di andarsene chiamò un'ultima volta la sua piccola Kim.
—Jennie?
La ragazza, in lieve stato di shock, le rivolse la sua piena attenzione.
—Mi hai detto che per nulla al mondo vorresti seguire le orme dei tuoi genitori. Allora resta fedele alle tue parole e non commettere i nostri errori. Non tagliare tutti fuori come ha fatto tuo padre, e soprattutto non lasciare che ti taglino fuori...
Il tono della madre era deciso e fermo, nonostante dai suoi occhi scuri non traspariva alcun segno di vita.
—...come ho fatto io.

Chaeyoung camminava tranquillamente per le strade di Melbourne. L'aria fresca dell'emisfero australe le scompigliava i capelli, e nonostante l'inverno fosse appena iniziato, il freddo era ancora sostenibile con una giacca di pelle.

Quelle prime settimane di reinserimento non erano andate affatto male. Nonostante avessero soppresso una linea autobus che era abituata a prendere quando andava a scuola lì, riusciva a muoversi per la città facilmente. Aveva ripreso i contatti con qualche vecchia compagna di classe, e aveva iniziato ad uscire spesso con la sua vicina di casa Elizabeth, sua coetanea e amica d'infanzia. Tornare nei negozi e i locali che frequentava prima di trasferirsi era stato strano, così come lo era stato riprendere a parlare in inglese assiduamente. Alcune cose erano cambiate, altre no, ma restavano comunque familiari e accoglienti. Non ci volle molto per lei e la sua famiglia per riprendere la loro vecchia routine, come se non se ne fosse mai andata. Ma i ricordi restavano, vividi e invariati, fissi nella sua mente, tormentando il suo sonno ogni notte. Sorrisi e smorfie, una serie di istantanee dietro i suoi occhi, urla e risate, il riecheggiare nelle sue orecchie. Più di una volta quando non trovava qualcosa per casa le era rimasto in gola il nome di sua zia. Più di una volta, quando incappava in qualcosa di esilarante, aveva chiamato "Lisa" la sua amica Beth. Più di una volta prima di fare qualcosa di particolare aveva aspettato un parere oggettivo che non era mai arrivato. E ancora ogni mattina aveva desiderato che il cuscino a cui si era aggrappata durante la notte, fosse stato in realtà il corpo caldo della sua Jen.

Aveva troppi conti in sospeso per godersi a pieno quel suo ritorno alle origini. Forse se avesse salutato almeno Lalisa avrebbe gradito appieno le alternative e le proposte di quella vacanza. Le riunioni di famiglia, lo shopping, le montagne russe al Luna Park... pareva mancare sempre qualcosa per rendere il tutto perfetto.

Quella sera la ragazza si era divertita molto insieme a dei ragazzi della sua vecchia scuola che non vedeva da tanto. 
Si stava incamminando verso casa quando qualcosa le scattò in mente. Un'idea. Un lampo. Una nota. Una singola nota che aveva unito due melodie che le risuonavano in testa da un po'. Chiese in prestito una penna ad un passante e raccolse da terra una pagina di giornale che trasformò in un foglio di pentagramma improvvisato. Scrisse velocemente una serie di battute prima di restituire la penna allo sconosciuto, inchinandosi per ringraziarlo come era ormai abituata a fare. Guardò la sua opera con occhi luccicanti. Aveva qualcosa su cui lavorare. Qualcosa a cui dedicare tempo ed attenzione. Una distrazione.

Saltellava contenta verso casa Park, non curandosi del modo in cui la gonna le si piegava contro le cosce, avendo avuto il buonsenso di indossare degli shorts anatomici sotto di essa. Durante l'intero tragitto Rosé non fece altro che pensare al suo spartito di fortuna, che aveva piegato ed infilato in una tasca della giacca. Le tremavano le dita dal desiderio di riprodurre quella melodia con la sua chitarra. Voleva trasformare quell'idea in qualcosa di concreto, ed era eccitata al pensiero di poter comporre finalmente una canzone, dopo tanti anni di studio. La musica era parte integrante della sua vita, e quello era senz'altro un bel traguardo da raggiungere. Chissà, magari se avesse perfezionato le sue abilità avrebbe potuto rendere la sua passione una professione. Sognava ad occhi aperti con un sorrisetto beato in viso quando arrivò nel suo quartiere. La ragazza ridacchiò riprendendo tra le mani il foglio di giornale. Poi accadde l'inaspettato.

—PARK CHAEYOUNG!— si sentì chiamare da una vocina acuta, attaccabrighe e dolorosamente familiare. Spalancò gli occhi, alzando lentamente lo sguardo sulla strada di fronte a se, giusto in tempo per cogliere l'espressione peggiore che Lalisa Manoban sapesse fare, e metà strada tra l'incavolata nera e lo stare per piangere. In una frazione di secondo le si era buttata addosso facendola cadere con il sedere per terra, scoppiando poi in un pianto isterico e liberatorio. Il foglio che la rossa teneva in mano volo via passando totalmente in secondo piano.

—Brutta idiota!— gridò, facendo seguire una lunga serie di vocaboli in tailandese, che se avesse sentito sua madre come minimo le avrebbe lavato la lingua con il sapone da bucato. Piangendo e urlando, non si risparmiava dal tirarle qualche pugno o morderla dove le pareva. Cosa che in realtà la sua amica aveva apprezzato più di averla semplicemente vista. Perché in quel modo le stava provando di essere reale, e che non stava sognando. La maggiore si limitava comunque a stringerla, accarezzandole l'inconfondibile testolina bionda, seppur con una ricrescita scura ben visibile, e a ridere intervallata da qualche lamento che nessuno avrebbe preso sul serio. Si stava trattenendo dal piangere dalla contentezza, accettando la punizione della sua migliore amica. Con non poca difficoltà riuscirono ad alzarsi da terra e ad abbracciarsi decentemente.
—Non ti azzardare mai più— sussurrò la tailandese con voce rotta.
—Non lo farò.
—Lo spero per te.

La rossa rise ancora, con le lacrime che le offuscavano la vista, che aspettavano solo un segno per cadere giù. Segno che non tardò ad arrivare, quando Lisa sciolse l'abbraccio, permettendo a Chaeyoung di guardare dall'altra parte della strada. E come se fosse stato attratto da una calamita, il suo sguardo incontrò finalmente quello di Jennie.
La ragazza si bloccò, un nodo in gola le rendeva difficile respirare. Pesanti lacrime presero a scivolare lungo le sue gote ad ogni passo della bruna, che con espressione indecifrabile le si stava avvicinando, senza interrompere il loro contatto visivo. Quando era ormai a portata d'orecchio, Roseanne cercò di scuotersi, di tirare fuori un filo di voce per affrontare la ragazza che sicuramente avrebbe richiesto una spiegazione di qualche tipo.
—J-Jen...— si sforzò, ma fulmineamente la maggiore le prese il viso tra le mani, e azzerando in un attimo la distanza che le separava, la baciò.
Nessuna descrizione dettagliata o sentimentale calzerebbe bene per ciò che per entrambe era stato quel bacio. Un misto di pura tenerezza e disperata passione, come se fosse il primo ma al contempo l'ultimo. E il gusto salato delle sue lacrime in contrasto con il dolce del lucidalabbra di Jennie, Chaeyoung ci avrebbe messo la mano sul fuoco, era il sapore dell'amore. Del loro amore.

Quella sera le ragazze si fermarono a casa Park. Tutto il gruppo era su di giri, compresa Jisoo che si era lasciata andare al punto da colpire più volte la spalla di Chaeyoung con pugni tremolanti. Lisa spiegò alla rossa e ai suoi genitori che aveva estorto il loro indirizzo a Bom minacciandola di allagarle casa, causando delle grasse risate a tutti i presenti. La signora Park cucinò una cena speciale, a base di appetitosa carne arrosto, e per la gioia dei commensali, la maggiore delle Kim riuscì a mangiarne una buona porzione.
Nonostante i signori Park avessero accettato di buon grado la relazione tra la figlia e Jennie, quest'ultima si sentiva ancora in imbarazzo ad assumere comportamenti da coppia in presenza di altre persone. Imbarazzo che le colorò di rosso le guance quando la madre di Roseanne lasciò alle ragazze il compito di organizzarsi per la notte.
Di tacito accordo, Lalisa e Jisoo decisero di dormire nel divano letto in soggiorno, mentre la minore delle Kim avrebbe condiviso la camera con la padroncina di casa.

I signori Park si erano già ritirati in camera per la notte, per permettere alle ragazze di godersi quel pigiama party di ricongiungimento, quando Jennie sgattaiolò fuori al balcone del soggiorno. Aveva approfittato del fatto che le ragazze erano salite al piano superiore, per tirare fuori dalla borsa un pacchetto di sigarette che si era fatta comprare da Seungri la settimana prima. Ne accese una e tirò, lasciando che quel fumo infernale irritasse i suoi polmoni ancora contrari a quelle intrusioni. Sotto di lei la strada era illuminata dalla calda luce dei lampioni e dai fari delle poche automobili che sfrecciavano lungo quel tratto, creando un'aura giallo-arancio in netto contrasto con il nero di quel cielo senza stelle. Aveva sentito il bisogno di bruciare internamente, di sentire la testa pesante, in modo da bloccare il crollo emotivo che minacciava di sopprimere quello che restava dell'entusiasmo di quel giorno. Era soddisfatta di quella giornata, ma la sua felicità andava scemando gradualmente, e l'ansia e l'insicurezza rischiavano di avvolgerla come un manto di tenebra. Aveva paura di restare sola con Chaeyoung quella notte, spaventata dalle sue emozioni dalla sua storia che spengeva contro le sue labbra serrate per essere raccontata, per essere condivisa. Voleva che la rossa conoscesse il suo passato, e con esso ciò che l'aveva resa la persona che era. Si era resa conto di conoscere tanto di lei, ma al contrario Roseanne non sapeva quasi nulla della bruna. E Jennie aveva intenzione di rimediare. Sentiva di doverlo fare, che era arrivato il momento. Perché quella ragazza era ormai parte di lei, rappresentava la sua forza, la sua debolezza, e sarebbe stato giusto renderla partecipe della sua vita e delle decisioni importanti che avrebbe dovuto prendere di lì a poco. Eppure aveva il timore che una volta scoperto quello che con tanto zelo la maggiore aveva nascosto al mondo, la sua piccola rosa, inorridita, se ne sarebbe andata per sempre, lasciando in lei l'ennesimo vuoto.
Sospirò rilasciando una nuvoletta bianca che andò a disfarsi contro la volta scura che la sovrastava.
Sentì il suono della porta scorrevole che le si aprì alle spalle. Non le servì voltarsi per capire che era lei.

—Le altre sono su in bagno— disse Chaeyoung con la sua voce melodiosa.
—Lisa ha paura che Jisoo possa rimettere, quindi le sta appiccicata.
Emettendo una risatina stanca, la minore le si affiancò, appoggiandosi alla ringhiera del balcone, puntò lo sguardo sulla strada incapace di guardare in faccia la sua ragazza, vuoi per imbarazzo, vuoi per il senso di colpa, o semplicemente non sopportava di osservarla mentre si autodistruggeva fumando.
—Non vomiterà— esordì Jennie. —Ora sta bene.
La più piccola annuì, ma il silenzio prese il comando della situazione.
—Il suo rifiuto per il cibo era dovuto alla sua condizione emotiva. Suo padre le ha praticamente chiesto di aiutarlo a portare la mia famiglia alla rovina, dopo aver ignorato la sua esistenza per anni, e senza dimostrarle un minimo di affetto. Era sconvolta e non sapeva cosa fare. La sua salute fisica è stata il riflesso del suo dolore psicologico.
La voce della bruna giungeva fredda e impassibile alle orecchie di Rosé, che ad occhi sgranati seguiva il suo discorso.
—Rose, sai perché sono brava in inglese?— chiese improvvisamente.
Presa in contropiede la rossa rispose inciampando sulle proprie parole: -Sei andata, cioé sei stata in Zel- aish, Nuova Zelanda.
L'altra annuì facendo un ultimo tiro lungo.
—Sai anche perché ci sono stata?
—Credo... credo che tu non me lo abbia mai detto...— ammise Chaeyoung abbassando lo sguardo, mentre un lieve rossore affluiva alle sue gote.
Jennie spense ciò che restava della sua sigaretta, per poi buttare il mozzicone giù in strada.
—Risposta esatta.
La minore si decise a guardare in faccia la sua ragazza, che aspettava solo di poter incatenare lo sguardo a quello dell'altra.
—Rose, tu mi hai raccontato tutto di te. Ti sei lasciata osservare e studiare, e dato che so anche quanto frequentemente ti spazzoli i capelli, credo di poter sostenere di conoscerti abbastanza. Ma tu cosa sai di me?
La rossa riusciva a leggere l'amarezza sul viso di Jennie, che s'interruppe un attimo per passarsi una mano tra i capelli.
—Sai che mi piace sentirmi superiore agli altri? Falso. Che mi piace fare baldoria? Più o meno. Che la mia famiglia fa schifo? Ci arriverebbe chiunque mi si avvicinasse almeno un po'. Il problema è che tu ti sei avvicinata troppo, ma ancora non conosci quanto effettivamente la mia vita sia un disastro. Perché i miei genitori hanno fatto cose orribili, e tutto ciò che ho saputo fare è stato coprirli scappando. Perché in realtà sono una grandissima codarda Rose.
Non si era accorta del suo respiro affannato fino a quando l'altra non le posò una mano su una spalla per calmarla.
—Va bene così. Non sentirti costretta a parlarmene.
—Ma io...
—Il bagno è liber-ow...!— le interruppe Lalisa uscendo fuori nel suo bel pigiamone azzurro di pile, appena prima di essere aggredita da Jisoo che tappandole la bocca si lamentò a bassa voce della sua insensibilità, e del suo pessimo tempismo.
Jennie scossa la testa. —Vado a...
—Ti accompagno— precedette Rosé.
Sotto lo sguardo curioso e attento delle amiche, le due salirono al piano di sopra. La padrona di casa le indicò il bagno in fondo al corridoio, e prima di entrare nella sua stanza subito a destra le chiese: —Hai bisogno di qualcosa?
Jennie scosse la testa, issò in spalla la borsa che si stava trascinando dietro ed entrò in bagno.

Chaeyoung infilò pigramente il pigiama, senza neanche perdere tempo a chiudere la zip della felpa morbida. Si affacciò al bagno vedendo Jennie reggersi al lavandino con lo sguardo fisso sul suo riflesso allo specchio. Aveva lo sguardo spento e un'espressione fredda, ma riusciva a notare il tremolio nelle sue braccia. Roseanne non capiva perché la ragazza si reputasse una persona orribile, come aveva detto non sapeva molto della sua vita. Ma anche lei sapeva abbastanza da conoscere la sua Kim. Abbastanza da capire che in quel momento l'unica cosa che avrebbe dovuto fare era non lasciarla sola. Ed è ciò che fece.

Inizialmente quando vide il riflesso della rossa avvicinarsi, Jennie pensò di avere un'allucinazione, vedendo qualcosa che desiderava tanto vedere. Poi la minore posò la fronte contro una spalla e le cinse i fianchi abbracciandola da dietro, facendole fermare il respiro in gola. Si lasciò avvolgere da quel dolce crimine che era il suo profumo, una tentazione a cui non avrebbe mai saputo resistere, e per la quale sarebbe andata volentieri all'inferno.

E ancora una volta si lasciarono trasportare dalle loro emozioni, da quel fuoco inestinguibile che era il loro amore. Erano come due fiamme che si attraevano e si fondevano allungandosi verso il cielo. Proprio in questo modo si stringevano l'una all'altra, cingendo i propri corpi per avere più contatto possibile. A piedi scalzi percorsero silenziosamente la poca distanza che separava la stanza da bagno dalla camera da letto della minore, e una volta chiusa la porta alle loro spalle, lasciarono andare i propri respiri irregolari. Lo schioccare dei loro baci e l'alternanza melodica di gemiti e ansimi facevano da accompagnamento musicale al ritmico battere dei loro cuori all'unisono.
E nel momento in cui prese tra le mani il viso della ragazza distesa sotto di lei, senza alcun indumento a coprire le sue imperfezioni, senza alcuna maschera a coprire le sue insicurezze, senza alcun pensiero razionale a soffocare le sue emozioni, Jennie poté definirsi completa. Perché nel mondo di bugie in cui il destino l'aveva costretta a vivere, Chaeyoung era la sua verità. Per lei nulla era mai stato vero e giusto tanto quanto quella sensazione che provava all'altezza dello stomaco ogni volta in cui vedeva la sua rosa, quei brividi che le percorrevano la schiena ogni volta che la loro pelle si sfiorava, quella confusione che prendeva possesso della sua mente quando la rossa non era in giro...
—Rose— le sussurrò a fior di labbra, e quella parola bastò a far sciogliere Roseanne completamente.
La minore aveva odiato sentirsi chiamare con il suo nome inglese in Corea, dato che gli ricordava la sua casa, quella che le mancava così tanto e a cui avrebbe voluto fare ritorno quanto prima. Ma quel nome pronunciato dalla voce della sua regina, fuoriuscito dalle sue labbra gonfie rosse, l'aveva sempre fatta sentire così bene, così adatta e maledettamente perfetta, da alleggerire drasticamente il suo senso di nostalgia. E anche in quelle settimane di lontananza, era stata una delle cose che le era mancata di più, quasi quanto le dita della maggiore che giocherellavano con i suoi capelli. Allora la rossa capì che le bastava Jennie per sentirsi a casa. Che solo al suo fianco si sarebbe sentita nel posto giusto senza aver bisogno di altro. E non aveva bisogno di trovare una ragione per tornare, perché la presenza della bruna accanto a se era la prova che non se n'era mai realmente andata, e mai lo avrebbe fatto.

—Jen— chiamò la più piccola, il cui corpo snello era stretto tra le braccia della sua ragazza, in modo che entrambe entrassero nel letto singolo di Roseanne.
—Mh?
—C'è qualcosa che non sai di me.
Il tono della rossa fece allarmare per un istante Jennie, la quale si irrigidì immediatamente. -Cosa?
—Ti amo— disse Chaeyoung guardandola con occhi brillanti e sinceri. Sentì i muscoli della bruna rilassarsi e vide un adorabile sorriso, con tanto di incisivi in vista, formarsi sulle sue labbra.
—Sapevo anche questo, ma grazie per averlo confermato.
E così dicendo la baciò ancora una volta, con il cuore colmo di una gioia profonda e riparatrice.

 

 

 

Non chiedermi perché devi essere tu, resta semplicemente con me.




 

STAY

 

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Capitolo 6
*** Unlistened Story ***


1st Spin-off - Kim Jisoo


Una Storia Mai Ascoltata



Jisoo aveva cinque anni quando imparò che l'armadio era un posto sicuro.

A scuola alcuni bambini la prendevano di mira e le facevano brutti scherzi. Per spaventarla le raccontavano di mostri che vivevano negli armadi dei bambini, che aspettavano che questi ultimi si addormentassero per poterli mangiare in un sol boccone. Per questo aveva paura di dormire da sola nella sua stanza, e spesso la sua mamma le faceva compagnia nel suo lettino. Non importava quante volte la donna mostrasse a sua figlia che nel suo armadio dalle ante rosa pastello non ci fosse nulla oltre a vestitini multicolore, ma la piccola continuava a piangere ogni notte.

Una sera il padre di Jisoo tornò a casa ubriaco, dopo l'ennesima strigliata del nonno della bambina causata dall'ennesima delusione lavorativa all'interno dell'azienda di famiglia.
La piccolina non riusciva a capire cosa stesse succedendo quando la sua mamma entrò di corsa nella sua stanza, spense le luci, la strinse forte tra le braccia e si rifugiò all'interno del famigerato armadio.
—Mammina, perché siamo qui dentro?
—Shh, non parlare Jisoo— disse la donna alla sua bambina.
Suo marito aveva alzato un po' troppo il gomito, e stava sfogando la sua frustrazione sulla mobilia e l'argenteria della cucina. Già una volta era capitato un avvenimento del genere, quando Jisoo era ancora più piccola, e la povera donna non ne era uscita illesa. Al solo ricordo tremava.
—Mammina hai paura?— chiese ancora la bambina, stavolta sottovoce. Sua madre annuì.
—Ma come? Tu sei grande.
—Anche i grandi a volte hanno paura. Ma tranquilla, tesoro, qui siamo al sicuro.

Il signor Kim continuò a lungo con il suo fracasso, spostandosi un po' in tutta la casa, poi finalmente uscì di nuovo. Ciononostante la donna aspettò altri venti minuti prima di uscire dall'armadio e sforzarsi di sorridere alla sua bambina.
—Hai visto amore? Il mostro non era nell'armadio.

La mattina seguente una piccola e imbronciata Jisoo corse da una delle sue maestre.
—Maestra! Maestra!— chiamò con la sua vocina.
—Cosa c'è Jisoo? Hai litigato con i tuoi amici? 
—Non mi vogliono ascoltare. Dicono che sono una bugiarda! 
La signora si abbassò per arrivare all'altezza della bimba. -Perché, cosa hai detto?
La piccola la guardò negli occhi.
—Ho solo detto che anche i grandi hanno paura dei mostri...

Jisoo aveva sette anni quando uno dei suoi zii morì.
Parole come "isolamento", "antidepressivi" e "overdose" erano ancora completamente incomprensibili per lei, ma aveva già raggiunto la maturità necessaria a capire il significato effettivo della morte. Lo zio non sarebbe mai più tornato. Non aveva mai avuto l'occasione di conoscerlo bene, e le dispiaceva tanto.

C'erano molte maschere al funerale. Tante facce finte e preimpostate, s'inchinavano, stringevano mani, e recitavano a memoria le solite frasi fatte. Probabilmente come Jisoo nessuno conosceva effettivamente quell'uomo.
Il nonno era quello che aveva avuto l'incarico di ricevere saluti e condoglianze, perché alla fine era l'unico componente maschile della famiglia che era realmente legato al figlio venuto a mancare, e probabilmente l'unico realmente distrutto dall'accaduto.
Il papà di Jisoo era stato colto di sorpresa dalla notizia, e forse a casa aveva versato qualche lacrima nel ricordare quel fratello maggiore che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta da bambino, lo stesso che lo teneva per mano quando il buio lo faceva tremare, ma in quel momento pareva privo di qualsiasi emozione.
L'altro zio, il più grande dei tre fratelli, invece aveva una strana aura di superiorità attorno, come se la cosa non lo avesse minimamente intaccato, o peggio, come se non lo avesse affatto sorpreso.
Eppure Jisoo ricordava vagamente modestia e un caldo sorriso sul volto dello zio. Si chiese da quanto tempo non lo vedesse.
La risposta le si parò davanti sotto forma di un'iperattiva bambina di sei anni.

L'ultima volta che aveva visto sua cugina Jennie, la più piccola a stento riusciva a formulare una frase, mentre ora parlava e parlava e parlava...
—Unnie, perché piangi?— le chiese a un certo punto.
Jisoo allora era ancora molto emotiva, e quando vide i nonni scoppiare in lacrime senza riuscire a trattenersi, li seguì a ruota.
—Unnie è... Solo un po' triste— rispose asciugandosi la faccia con la manica del giacchetto nero. 
-Non devi essere triste, unnie! C'è Jennie qui con te!
Detto ciò l'abbracciò forte, strappando un sorriso alla più grande. In quel momento Jisoo realizzò che la sua cuginetta era totalmente estranea al male del mondo, e che avrebbe voluto proteggerla con tutte le sue forze.
—Jennie— chiamò il padre della minore. —La nonna non si sente bene, dobbiamo riaccompagnarla a casa.

Jisoo li osservò allontanarsi, sempre più convinta che quella bimba andasse protetta. Perché anche se avendo solo sette anni non conosceva il significato di tante parole complesse, lei il male lo conosceva e aveva imparato a riconoscerlo. Perché ciò non riguardava affatto i mostri, le streghe, o i dispetti e le bugie dette a scuola.
Il male era tutte quelle maschere che la circondavano. Il male era la superbia che lo zio non si curava di trattenere nonostante ciò che era accaduto. Il male era quelle chiazze violacee che sua madre nascondeva sotto il velo scuro.

E ancora una volta gli unici che ascoltavano queste riflessioni che una bimba come Jisoo non dovrebbe neanche immaginare, erano il suo ormai fidato armadio e i suoi vestiti stropicciati.

Jisoo aveva otto anni quando la sua mamma l'abbandonò.

Accadde una domenica pomeriggio. Faceva freddo, tanto che prima di entrare in macchina la madre della bambina dovette togliere via dai vetri uno strato di ghiaccio. Poi la donna allacciò la cintura alla figlia e si mise al volante, diretta verso la villa dei suoi cognati.
Era stata organizzata una festa per il compleanno di Jennie, che sarebbe stato il giorno dopo. Si festeggiava prima perché l'indomani i suoi genitori avrebbero avuto una riunione importante, e Jisoo avrebbe passato lì la notte per farle compagnia durante l'assenza dei due, sotto esplicita ed implorante richiesta della sua cuginetta.

La mamma di Jisoo lasciò l'auto ancora in moto davanti alla scalinata della villa, la aiutò ad uscire dalla macchina e le mise in spalla lo zainetto contenente tutto ciò che le sarebbe servito per la notte e il giorno seguente. Accompagnò la figlia scalino per scalino, stringendole forte la mano, fino a farle male, guadagnandosi uno sguardo interrogativo dalla piccola. Arrivarono al portone già aperto, dove la signora Choi, una dolcissima governante che Jisoo adorava, le accolse con un espressione un po' troppo malinconica data l'occasione.
La madre si inginocchiò davanti alla sua bambina e le accarezzò il viso sorridendole tristemente.
—Nello zainetto ci sono il pigiama, la biancheria e i vestiti per domani— le disse poi. —Li ho presi dal tuo armadio.
—Lo so.
—Poi c'è lo spazzolino, il dentifricio alla fragola che ti piace tanto, e il bagnoschiuma che usi spesso. Quelli sono del bagno.
—Sì, mamma. Lo so— ripeté la bimba confusa.
—Brava tesoro.
La donna fece scorrere le dita tra i capelli scuri della figlia continuando a parlare.
—Nel caso dovesse girarti la testa ci sono anche le vitamine, le caramelle a forma di orsetto, sai dirmi da dove le ho prese?
—Dal mobile in alto.
—Esatto, quello a cui non arrivi, che ti deve aprire papà.
—Ma me lo apri sempre tu, mamma— contraddisse Jisoo facendo tremare il sorriso della madre che le prese il viso tra le mani e sospirò. 
—Allora, mi prometti che farai la brava?- chiese ancora con gli occhi lucidi e arrossati.
—Si, mamma. Lo sai che sono brava.
—Certo che sei brava. Sei bravissima, tesoro mio. Vieni qui...
La donna strinse forte a sé la sua bambina. Impresse nella sua memoria il profumo dei suoi capelli, il calore del suo corpicino, la morbidezza e il candore della sua pelle...
Se Jisoo avesse capito prima che quello sarebbe stato l'ultimo abbraccio che avrebbe avuto dalla sua mamma, avrebbe stretto di più la presa.
—La mamma ti vuole tanto bene— disse con la voce spezzata. —Te ne ha sempre voluto. Non dimenticarlo.
Detto ciò sciolse il loro abbraccio e con il viso rigato di lacrime baciò la fronte della bimba, per poi correre via a testa bassa.

—Mamma!— chiamò Jisoo, mentre il panico si faceva largo in lei. Ma la donna non si voltò. Ora Jisoo aveva paura.
La signora Choi la prese in braccio prima che potesse correre verso la madre, e iniziò a camminare in senso opposto, all'interno della villa.

Jisoo pianse più di una volta quella sera. Si allontanava dagli altri alla ricerca di un posticino inosservato dove poter lasciare andare le sue lacrime. Fece di tutto per non rovinare la festa di Jennie, nonostante avesse il cuoricino a pezzi.

Anni dopo venne a scoprire che sua madre non se n'era andata di sua spontanea volontà. 
I segni delle violenze del marito stavano diventando troppo evidenti, e presto la gente avrebbe iniziato a parlare. Per evitare ulteriori danni all'immagine della famiglia, gli zii l'avevano costretta ad andarsene, minacciandola di allontanarla con la forza dalla figlioletta, e la donna non aveva avuto altra scelta se non accontentarli.

Eppure prima di scoprire la verità, Jisoo si portò tanta tristezza nel cuore, e rabbia e odio verso sé stessa e suo padre. Ma mai provò odio nei confronti di sua madre.
Dopotutto i suoi genitori si erano sposati a causa sua. Era stata lei ad imporre alla sua mamma quella vita tanto infelice, e non poteva biasimarla se aveva preferito abbandonarla piuttosto che sopportare ulteriormente le percosse del marito.
Era arrivata a ritenersi la rovina della vita della madre, e ogni notte non faceva altro che ripetersi che la donna era felice e per questo doveva esserlo anche lei. Seppure non ci provasse davvero.

Ad undici anni, Jisoo fu mandata in collegio.

In quei tre anni senza madre si era costretta a maturare precocemente e aveva imparato come porsi nei confronti degli adulti. Aveva capito che ognuno ha delle parole che ama sentirsi dire, delle espressioni che ama vedere e delle attenzioni che ama ricevere. Una volta capito quali, quella persona ce l'avevi in pugno.
E così la ragazzina aveva imparato dagli adulti il gioco del travestirsi, e nonostante la sua età poteva vantare di un gran bell'assortimento di maschere per qualunque conversazione.

Agli occhi degli uomini e le donne che entravano in contatto con lei, Jisoo era l'ideale di ragazzina perfetta, così carina, così elegante ed educata. Sapeva quando immettersi in un discorso e quando tacere, e alla gente tutto questo piaceva.
Eppure dietro le sue belle maschere Jisoo si sentiva vuota. Dovendo reprimere le sue emozioni, i suoi istinti e il suo carattere aveva iniziato ad avere dubbi sulla propria personalità e identità.
Non sapeva più chi era.

Con suo padre, ormai, aveva perso le speranze.
Per lui esisteva solo il lavoro, il suo unico obiettivo era raggiungere una posizione di risalto, e le loro conversazioni si riducevano a saluti e richieste. 
L'uomo continuava ad ubriacarsi occasionalmente, e ogni volta che poteva, in occasioni del genere, la figlia andava a dormire da qualche amica. Quando non ci riusciva le toccava sorbirsi gli sfoghi del padre che le urlava contro di essere una maledizione, solo per pentirsene e non farsi trovare in casa la mattina dopo. Spesso le lasciava anche dei soldi con cui potersi comprare quello che voleva, ma lei, di nascosto, li rimetteva sempre nel suo portafogli quando tornava.
Non sentiva il bisogno di approfittare della situazione. Per quanto cercasse di convincersi di odiare suo padre, non poteva fare a meno di provare pena per lui. O meglio non voleva ammettere che nonostante tutto suo padre lo amava ancora. E forse anche per lui era lo stesso.

Nonostante ciò nulla impedì al signor Kim di mandarla in un collegio per il semplice fatto che somigliava troppo a sua madre, e a lungo andare la vista del suo viso aveva iniziato ad infastidirlo.
E non c'era amica, o compagna di classe che potesse alleviare almeno in parte il dolore che provava in quel momento. Perché nessuno dei suoi coetanei poteva comprendere la sua sofferenza, o almeno il modo in cui la esprimeva. Jisoo era come un'adulta nel corpo di una ragazzina, e di conseguenza i suoi discorsi parevano incomprensibili ai ragazzi della sua età.

E a furia di ripetere una storia che non veniva mai ascoltata, Jisoo smise semplicemente di raccontarla.

Jisoo aveva tredici anni quando suo padre finì in prigione.

A causa delle sue manie di grandezza e il suo morboso bisogno di elevare la propria posizione, aveva rischiato di mandare in banca rotta l'azienda, acquistando un'impresa tessile specializzata in manifatture. Dato che aveva agito alle spalle del resto della famiglia, per evitare ulteriori perdite e limitare i danni, per il bene dell'attività il nonno lo aveva denunciato, pur essendo consapevole del fatto che il figlio non avrebbe potuto risarcirlo in alcun modo.

Così il conto del padre di Jisoo fu bloccato e lui finì in una cella dove avrebbe passato circa sei anni.
Per questo motivo Jisoo uscì dal collegio prima della fine dell'anno scolastico.

Era il mese di Novembre quando si trasferì alla villa degli zii, e lì le cose sembravano sempre le stesse, tranne per Jennie, cresciuta assieme alla sua personalità spensierata. Accolse Jisoo calorosamente, eppure non le stava più dietro come quando era bambina. Adesso invece cercava di farsi seguire, di coinvolgere la cugina in ciò che le piaceva, e a volte ci riusciva anche.
In questo modo Jisoo conobbe Jiyong e i suoi amici.

Zio Jiyong, come si faceva chiamare dalle ragazze, adorava portare in giro le due. Si assicurava sempre di vederle con un gran sorriso stampato in faccia, cosa affatto difficile data la sua allegria contagiosa.
Jisoo fu grata del tempo che poté condividere con lui in quelle poche uscite alle quali si era aggregata.

Quel Natale fu il primo che riuscì a trascorrere come parte della famiglia dopo tanto tempo.
A quanto pare per Jennie era lo stesso, dato che solitamente erano tutti indaffarati nel creare una nuova collezione da lanciare nei primi dell'anno nuovo, quindi entrambe erano davvero eccitate. Quella cena era ancora più particolare rispetto alle altre dato che era stato invitato anche Jiyong, motivo per quale la più piccola di casa Kim era al settimo cielo.

Ebbene quella sera accadde l'inaspettato. Il nonno delle ragazze presentò Jiyong come il suo quarto figlio. Figlio illegittimo che aveva intenzione di riconoscere pubblicamente il 20 Gennaio, giorno in cui la collezione per il nuovo anno, alla quale il ragazzo aveva dedicato impegno e dedizione, sarebbe stata lanciata.
La notizia lasciò tutti senza fiato.

Jisoo aveva da poco compiuto quattordici anni quando zio Jiyong morì in un incidente stradale.

Era il compleanno di Jennie quella sera. Quella notizia la sconvolse al punto da farla litigare con il padre e rinchiudersi in camera sua per una settimana.
Jisoo avrebbe tanto voluto starle vicino, dirle parole di conforto, stringerla forte tra le braccia e ricordarle che il suo sorriso era la cosa più preziosa al mondo... Ma la maggiore, che di sofferenza se ne intendeva, era consapevole del fatto che la cugina non le avrebbe concesso di farlo. Almeno non così presto.
Eppure non ne ebbe mai la possibilità dato che qualche giorno dopo Jennie partì per la Nuova Zelanda, e una settimana più tardi Jisoo tornò in collegio.
Negli anni a seguire non fece altro che chiedersi quale maledizione fosse stata lanciata sulla sua famiglia per far sì che capitessaro tutte quelle disgrazie, non essendo in grado di capire che erano i membri della famiglia stessi ad essere la causa di tanta sfortuna.

Jisoo aveva diciotto anni quando Jennie tornò in Corea.

Gli zii avevano le avevano fatto lasciare il collegio completate le scuole medie, iscrivendola poi ad un istituto privato dalle ottime credenziali, dove avrebbe studiato anche le loro figlioletta al ritorno dall'estero. Ovviamente la loro decisione era dovuta al benessere di Jennie, per la quale Jisoo sarebbe stata un cagnolino fedele. La ragazza lo aveva capito da prima che le facessero intendere la cosa. Discendendo da un padre che aveva agito tanto disastrosamente, anche Jisoo veniva etichettata dalla società di cui faceva parte come un agnellino dal manto color pece. Date le circostanze gli zii pensarono pur di continuare a far parte di quel mondo, di quella famiglia disastrata all'interno ma scintillante all'esterno. Pensarono che avrebbe fatto di tutto per stare con Jennie, pendere dalle sue labbra e mettere a rischio se stessa.
E in effetti avevano ragione. Ma Jisoo non voleva la cugina per farsi vedere in pubblico, per dimostrare di essere bene accetta, per sottolineare la sua appartenenza alla famiglia Kim o per stare sotto i riflettori come tutti credevano.
Lei voleva Jennie perché era l'unica persona che le aveva dimostrato affetto tempo addietro, l'unica che era stata in grado di farla sorridere, e l'unica nella quale rivedeva se stessa.

Già, perché proprio come Jisoo, Jennie era cambiata. Era stata costretta a crescere, e adesso della sue spensieratezza, della sua gioia e la sua allegria non restava più nulla. C'era solo ghiaccio nei suoi occhi, mentre sul viso un'ostentata superbia, tipica di chi vuole far sentire gli altri inferiori e far loro capire di chi comanda. Ma la maggiore sapeva che la cuginetta non era realmente così. E probabilmente anche Jennie lo sapeva, nonostante cercasse con tutte le sue forza di convincersi del contrario.

In quell'anno Jisoo ebbe occasione di conoscere la sua nuova cuginetta. Era diventata in grado di distinguere la sua personalità impostata e il suo vero e sofferente io.
La vera Jennie era quella impulsiva, non la mente calcolatrice. Jennie era la ragazza che agiva in modo rischioso non per provare il brivido di disobbedire o per fare la bad girl di turno, ma per capire fino a che e punto l'adrenalina riuscisse a soffocare il dolore. Era la bambina che ogni volta che arrivava un temporale scoppiava a piangere e si nascondeva sotto le coperte, e al contempo la donna ferita che bisognosa di sfogare la sua rabbia e la sua frustrazione attaccava chiunque gli capitasse a tiro, pentendosene subito dopo.

Ed era per poter vedere quella ragazza sorridere di nuovo che Jisoo rimase alla villa nonostante tutto.

Jisoo aveva diciannove anni quando Lisa è entrata nella sua vita.

Aveva appena iniziato il terzo anno e nonostante lo studio frenetico, aveva sempre il dovere di accontentare tutti i capricci di Jennie. Soprattutto quando si trattava di organizzare feste o rovinare la reputazione a qualcuno. Figuriamoci quando bisognava fare entrambe le cose.

L'obiettivo della cugina era Park Chaeyoung e per poter attuare il suo piano contro di lei, Jisoo avrebbe dovuto tenere alla larga l'altra primina, una ragazza tailandese dai capelli decolorati di nome Lalisa Manoban.
Quando l'avvicinò era già ubriaca persa, e non riusciva a tenere a bada la lingua.
-Unnie!- la chiamò, e la sua sfacciataggine inizialmente infastdì la maggiore. Ma in realtà quel fastidio era dovuto a ricordi dell'infanzia che non si sarebbero mai ripetuti o rinnovati nel presente. E in più per quanto odiasse ammetterlo a sé stessa le era mancato quel nome.

Fare da balia a Lisa per quella sera fu una delle cose più divertenti e liberatorie che avesse fatto negli ultimi anni. Le aveva permesso di essere un po' se stessa, senza essere giudicata. E poter occuparsi della ragazza come non aveva potuto fare con la cugina l'aveva fatta sentire strana.
E a proposito di Jennie... Per poco non urlò quando la trovò a letto con Park Chaeyoung. Di certo non avrebbe mai lontanamente immaginato che la serata sarebbe finita in quel modo. Il piano della piccola Kim era stato un fallimento totale.

La mattina dopo, Jisoo non solo dovette occuparsi di Lisa e dei postumi della sua sbronza, ma dovette anche prendersi cura del cuore spezzato della piccola Chaeyoung, ferita dalle azioni della padroncina di casa. Aiutò entrambe a riprendersi, chi più e chi meno, ed essendosi assicurata che i domestici si occupassero di dare una lavata ai loro vestiti, da restituire loro puliti e profumati. Il problema era che qualcuno aveva dimenticato di far partire l'asciugatrice , quindi prestò loro qualcosa, commettendo il grave errore di dare alla rossa un top della cugina scambiandolo per proprio. Cosa che le ragazze scoprirono alla festa di Kim Hanbin una settimana dopo. Ma ciò che accadde in seguito fu tutt'altro che spiacevole.

Ebbene mentre Jisoo pensava che tutto stesse andando per il meglio, ecco arrivare un fulmine a ciel sereno.

Mia cara Jisoo,
So che non mi sono fatto sentire per un po', e per questo ti chiedo perdono, ma adesso è arrivato il momento di unire le forze.
Come ben saprai, si avvicina il momento della mia scarcerazione, e ho intenzione di riappropriarmi di ciò che mi spetta ed è mio di diritto. So che al momento tuo zio e la sua famiglia perfetta sono la luce degli occhi di tuo nonno, ma insieme possiamo fare in modo che le cose cambino.
Mio fratello ha commesso diversi errori da quando sono qui dentro, e non sarà in grado di tenerli nascosti ancora a lungo. Le sue azioni sono decisamente più imperdonabili delle mie, e so da fonti sicure che presto lo scheletro che nasconde nell'armadio sarà esposto alla luce del giorno. Ed è allora che agiremo. Io e te insieme.
Quando tuo nonno capirà che tutto ciò in cui credeva altro non era che una mera illusione, toccherà a te stargli accanto. Gli dimostrerai di essere migliore di quella ragazzina frivola e viziata di Jennie. Conquisterai la sua fiducia e farai in modo che si fidi di me, un uomo privato di tutto ciò che amava e pentito delle sue riprovevoli azioni.
Erediteremo la azienda, come meritiamo, e mai più nessuno oserà etichettarci, indicarci, provare compassione per noi o dirci cosa dobbiamo fare. Noi avremo il controllo.
Ricorda, figlia mia, che non siamo nati per piegarci dinanzi agli altri, ma per far piegare loro dinanzi a noi.
Resto in trepidante attesa di una tua risposta.

Tuo padre, Kim *

In questo modo Jisoo capì che suo padre ormai era diventata la copia perfetta di suo fratello. E in questo modo capì che lo aveva perso definitivamente.
Riviveva tutti i ricordi che aveva di lui come se stesse guardando una pellicola a velocità raddoppiata.

I ricordi della sua infanzia le parevano fin troppo nitidi, fin troppo dolorosi ora che poteva vedere la cosa dal punto di vista di un'adulta e afferrare concetti che un tempo non avrebbe potuto capire in alcun modo.
Cercò conforto nel suo armadio, e le pareva di risentire le urla dei suoi genitori all'esterno.
Jennie le bussò per chiederle di andare a scuola insieme, ma la sua voce non riusciva a raggiungere le sue orecchie, già piene di lamenti strazianti e singhiozzi interminabili.
E quando la sua prima adolescenza le tornò alla mente, quando tutti gli insulti che l'uomo che chiamava 'papà' le rimbombavano in testa, quando come al solito nessuno ascoltava le sue disperate ma purtroppo tacite richieste d'aiuto, improvvisamente il suo cuore parve esplodere. Una rabbia mai provata prima, frutto di anni trascorsi a soffrire in silenzio, a nascondere se stessa, a mordersi la lingua a sangue, iniziò a gravarle sul petto, mentre il sangue le correva nella vene tanto velocemente da farla affannare.
Uscì dall'armadio, e come se qualcun altro avesse il controllo del suo corpo, sfogò quella rabbia imitando il padre. Ci mise poco a sfasciare la stanza, e altrettanto poco a realizzare che nonostante tutto ciò che le avesse fatto subire quell'uomo le mancava terribilmente.
Lei rivoleva il suo papà, ma non quell'essere freddo che di umano aveva ben poco. Lo voleva vivo e pieno di emozioni, per quanto distruttive potessero essere. Perché era stato quell'uomo a crescerla, e lei non aveva potuto evitare di affezionarsi a lui.
Così cadde a terra in preda ad un pianto più che disperato.

Non sapeva neanche lei con quale forza riuscì a trascinarsi verso l'armadio aperto, e rifugiarsi ancora al suo interno, né sapeva quanto tempo aveva trascorso al suo interno, con indosso ancora gli abiti della sera scorsa, macchiando di trucco sciolto e sbavato la t-shirt con la stampa delle labbra che aveva rubato a Lisa.
Oh, Lisa...
Quando la trovò in quelle condizioni, sbiancando alla vista di ciò che era rimasto di lei, e la strinse così forte a sé continuando a ripeterle che tutto si sarebbe sistemato, Jisoo capì quanto quella ragazza fosse importante per lei.
In quel momento era tutto ciò che le era rimasto, e promise a se stessa che per nulla al mondo l'avrebbe lasciata allontanarsi da lei.

Jisoo non faceva altro che domandarsi quanto l'essere umano poteva essere distruttivo nei confronti di se stesso e degli altri.
Se lo chiedeva quando si guardava allo specchio, vedendo  le costole sporgere, gli occhi gonfiarsi, la pelle sbiancare. Non riusciva nemmeno a percepire il senso della fame, o il pizzicore sotto le palpebre, il suo male psicologico aveva la supremazia su quello fisico. Nonostante ciò la ragazza continuava a comportarsi come se nulla stesse accadendo, con educazione impeccabile, sorrisi immancabili, e parole gentili per tutti. Eppure era evidente che non stava bene.
Jisoo riusciva a leggere negli occhi di Lisa, dei suoi genitori, dei cuginetti persino, la preoccupazione dinanzi a ciò a cui la ragazza si stava riducendo.

Jisoo si rimproverava per non essere stata capace di aiutare Rosé quando sconvolta era giunta a casa Manoban per trovare un po'di sollievo, solo per andarsene ancora più in pena a causa sua. Si rimproverava di non essere riuscita a mangiare più di un boccone della torta che aveva fatto con i bambini. Si rimproverava per non aver saputo cosa fare quando la sua migliore amica era scoppiata a piangere tra le sue braccia nel momento in cui scoprì che Chaeyoung se ne era andata. Si rimproverava di essere diventata un peso per chiunque le stesse attorno.

Jisoo era appena tornata alla villa.

Lisa era rimasta a casa, troppo stanca per alzarsi dal letto quella mattina. Aveva trascorso la notte in bianco tra pianti, risate e imprecazioni, troppo eccitata per la notizia del viaggio in Australia. Le aveva lasciato un bacio in fronte prima di uscire.

La ragazza era appena entrata in camera sua, per sprofondare immediatamente nel materasso in lattice del suo letto, quando sentì un leggero bussare alla porta.
—Si?— chiese scattando a sedere.
La porta si aprì mostrando il sorrisino timido disegnato sul volto di Jennie.
—Posso?
Sorpresa la maggiore si ritrovò ad annuire e poi ad osservare la cugina avvicinarsi e sedersi al suo fianco.
—Come stai?— domandò poi.
—Bene?
—Tu...— continuò la minore timorosa. —Non devi fingere con me. Non più.
Jisoo era confusa.
—Jisoo...io so di non essere mai stata una brava cugina. Insomma non sono mai stata brava in generale, soprattutto con te, ma...
Jennie guardò negli occhi la sua unnie, che a sua volta la fissava incredula.
—Io ti voglio bene unnie. Voglio che tu sappia che se avrai bisogno di me ci sarò sempre... Voglio che tu sia felice e... E quindi smettila di piangere okay?
Jisoo non si era neanche accorta delle lacrime che le erano scivolate lungo le gote. Senza curarsene minimamente sorrise e abbracciò la cugina.
La minore le accarezzava la schiena che si alzava e abbassava a causa dei singhiozzi.
—Lo so— disse poi. —Anche io.

Trascorsero così la mezz'ora successiva, strette l'una tra le braccia dell'altra, fino a quando il respiro a maggiore si stabilizzò. La luce del tramonto che filtrata dalle tende davanti alla finestra, coloravano di riflessi arancio-rossastri i capelli corvini di Jisoo, che tranquilla lasciava che il suo sguardo si perdesse nel vuoto.
—Ti va di parlare?— chiese Jennie rompendo quel silenzio che le avvolgeva.
—Di cosa?
—Di quella.
Con un cenno del capo la minore indicò la scrivania, e la cugina capì subito a cosa si stesse riferendo.
—È una storia lunga— disse poi raddrizzando la schiena. —Una storia complicata, che nessuno ha mai ascoltato...
—Allora lascia che sia io la prima ad ascoltarla.
Le ragazze si guardarono per un po', prima che la corvina si alzasse per chiudere a chiave la porta.
—Sappi che non sarà affatto facile.
Jennie annuì, invitandola a sedersi nuovamente accanto a lei.

E finalmente Jisoo non ebbe più bisogno di mentirle.

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