Mojito e lime

di thewickedwitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il frutto proibito ***
Capitolo 2: *** La spiaggia delle sirene ***



Capitolo 1
*** Il frutto proibito ***


----Salve a tutti. Questa è una breve storia estiva, qualcosa di molto leggero, ambientata nel mondo "reale" (non Storybrooke), che tenta comunque di mantenere in parte un certo legame con i precedenti dei personaggi che tutti conosciamo, ovviamente con molte modifiche. 
è divisa in due capitoli poichè non vorrei che come one-shot risulti troppo lunga. 
è stata ispirata dal titolo stesso, proposto nell'iniziativa dei prompt estivi sul gruppo Facebook 'Maybe I need you...'.
La storia arriva terribilmente in ritardo per l'iniziativa, ma mi è stato gentilmente concesso di utilizzare ugualmente il titolo. :)
Ringrazio come sempre il gruppo per l'idea. 
Spero vi piaccia.



Posò il boccale di birra sulla superficie in legno del bancone con un tonfo, senza preoccuparsi neanche di alzare gli occhi sull'uomo di fronte a lei. Non ne aveva bisogno.
Grasso, calvo, sulla cinquantina...le era bastato un solo sguardo alla sua espressione truce ed annoiata al momento dell'ordinazione per capire che tipo di persona fosse. Il tipico maschilista insofferente al mondo intero tranne che al suo compagno di partite e bevute sul divano di casa.
Assolutamente nulla di interessante.
Passò al cliente di fianco. Lo esaminò rapidamente sentendolo ordinare una Vodka. Sogghinò.
- Il tipico ragazzetto che vuole sentirsi grande bevendo Vodka che sa già di non poter reggere- pensò.
Biondo platino, occhi azzurri, avrebbe potuto anche considerarlo carino, non fosse per quell'espressione spaurita da bambino, che era certa tentasse di nascondere, quando era in compagnia della piccola combriccola di amici che lo fissava da lontano, come a voler verificare che davvero prendesse una Vodka e non acqua fresca.
- Predatori- pensò riempiendone un bicchierino - e preda perfetta-.
Lo spinse verso di lui.
" Ecco a te. Cerca di non farti divorare" gli disse quasi materna, un pizzico di compassione celato nell'ironia.
Lui parve non capire, sgranando gli occhi, fin quando non vide il suo sguardo puntato su quei ragazzi lontani. Sorrise timidamente.
"Grazie" sussurrò.
Lei si limitò ad un cenno del capo, restando a guardarlo, appoggiandosi con i gomiti al bancone mentre si allontanava. Scosse la testa. Cosa era grado di fare la gente per quel disperato bisogno di approvazione...
Ma quelli non erano suoi problemi.
Si riscosse, iniziando ad asciugare alcuni bicchieri.
In fondo, lei era solo la barista, se così poteva definirsi, di un chiostro sulla spiaggia, a quello si era ridotto il suo grande sogno.
Serviva liquori e le eventuali sbornie dei clienti non la riguardavano più di quanto lo facessero le loro vite, sebbene spesso si fosse ritrovata, senza sapere neanche come, ad assistere ragazzini sconvolti dall'alcol, ormai abbandonati dagli amici. Si riprometteva sempre di lasciarli lì, senza aiuto, perchè, in fondo, era loro la colpa, ma sapeva bene cosa significasse sbagliare in gioventù e...non aveva mai cuore di ignorarli.
Sospirò rumorosamente. 27 anni, nessun sogno realizzato e già si sentiva molto più grande di loro.
Lavorava lì da troppo tempo.
Il sole stava tramontando, all'orizzonte, immergendosi lentamente nel mare. La sua luce, che si rifletteva sulle numerose bottiglie alle sue spalle, aumentava la calura di quel giorno estivo ormai al termine, resa sopportabile dal piacevole vento fresco che, di tanto in tanto, le accarezzava il volto.
Il chiosco, appartenente al resort di lusso situato a poca distanza, nella parte più interna dell'isola, stava per chiudere per lasciare il tempo agli addetti, lei in questo caso, di cenare, prima della riapertura serale, che si protendeva fino a notte inoltrata.
Lanciò una rapida occhiata al bancone: solo due clienti erano rimasti, l'uomo calvo e un ragazzo di circa vent'anni, totalmente preso dal suo cellulare mentre sorseggiava il suo drink. Non credeva ne sarebbero arrivati altri, almeno, non prima della chiusura.
Aveva appena iniziato a disporre i bicchieri su un panno quando udì un voce, proveniente dal lato opposto del bancone, alla sua sinistra.
"Scusi?"
Rimase interdetta per un momento: quasi nessuno usava quella parola per chiedere un drink o qualsiasi altra cosa potesse cercare in quel chiosco. Nel breve tempo che ci mise per girarsi, vinta dalla curiosità, si figurò una donna adulta, a giudicare dal lieve tono femminile, magari particolarmente educata.
E rimase sorpresa di trovare invece una ragazza. Poteva avere all'incirca una ventina d'anni, non di più.
Come le capitava con ogni cliente, non potè fermare il suo sguardo, che iniziò ad esaminarla in ogni dettaglio. Era più forte di lei, ed era quello che amava del suo lavoro. Tutti quei clienti, tutte quelle storie diverse, avevano un fascino incredibile ai suoi occhi, che non poteva ignorare. Era divertente, provare ad immaginare come fosse la loro vita, azzeccandoci il più delle volte.
Si avvicinò lentamente continuando a fissarla. Capelli dorati, occhi verdi, fisico snello e bicipiti lievemente accennati, questi ultimi in netto contrasto con i lineamenti delicati che ricordavano quasi un viso di bambina. Indossava una semplice maglietta di una chiara tonalità di azzurro.
- Ricca, di buona famiglia, educata...- il suo profilo iniziò a delinearsi nella sua mente. Si fermò davanti a lei, guardandola dritta negli occhi. C'era qualcosa in essi...qualcosa di diverso, che insieme a quei muscoli stonava con tutto il resto. Qualcosa che, strano ma vero per una come lei, non riusciva a definire.
"Si?" Le chiese.
Ma doveva averla fissata davvero troppo intensamente perchè la vide arrossire e chinare lo sguardo. Altra mossa inaspettata, dal suo punto di vista. Divertente, in buona parte.
La ragazza si schiarì la voce tornando a guardarla.
"Un mojito, per favore" distolse lo sguardo.
Lei la scrutò ancora per qualche secondo. Questa era una delle clienti che poteva definire "interessante", e aveva intenzione di studiarla, di capire di più su di lei.  
Alzò un sopracciglio, un sorrisetto ironico sulle labbra. Forse non era il modo più educato per rapportarsi ad un cliente, ma non poteva davvero evitarlo: " Un mojito?"
La ragazza tornò a guardarla senza capire: "si"
"Sei sicura di avere l'età giusta per prendere alcolici? Sai, non dovremmo servirli ai minorenni..."
Quella la guardò piccata: " Hey, non sono minorenne! Ho vent'anni e ne ho tutto il diritto"
-Centro!-
Alzò le mani: " va bene, va bene, calma! Non c'è bisogno di agitarsi." disse prendendo un bicchiere e iniziando a preparare la fresca bevanda con un ghigno soddisfatto sul volto. Lasciò passare qualche secondo di silenzio, lanciandole occhiate furtive.
" Sei qui al resort?"
Lei annuì distrattamente guardandosi intorno, come alla ricerca di qualcuno.
Corrugò le sopracciglia: " hey, va tutto bene? Cerchi qualcuno?"
La ragazza incrociò il suo sguardo, fermandosi per qualche secondo, prima di tirare un profondo sospiro. Pareva quasi esausta. Si lasciò cadere su uno sgabello poco distante, appoggiando le braccia al bancone.
"si...no, non cerco nessuno. Piuttosto cerco di evitare qualcuno..."
La questione si faceva sempre più interessante.
"Oh...capisco" rispose con aria consapevole. Tornò a concentrarsi sul cocktail, in silenzio. Per quanto le piacesse studiare i clienti, il suo lavoro veniva sempre prima di tutto.
 Vi aggiunse le foglie di menta e una fetta di lime a decorare l'insieme dalle tonalità del verde e del giallo sbiadito che si mescolavano armoniosamente e glielo passò.
" Ecco a te"
La ragazza lo prese con un sorriso, quasi rilassandosi dalla tensione che sembrava averla oppressa fino ad un minuto prima.
Iniziò a sorseggiarlo, lentamente.
La considerò una buona occasione per scambiare due chiacchiere e capire di più su di lei.
"Allora ragazzina...sei qui per lavoro o per vacanza?"
Lei la guardò male per l'appellativo ricevuto, ma presto tornò a concentrarsi sulla bevanda che pareva quasi il centro del suo universo, in quel momento.
"Vacanza" rispose distrattamente.
Ma lei non aveva alcuna intenzione di mollare.
" Vacanza? Non sembra che tu ti stia divertendo molto...sei qui da sola a bere. Non hai amici?"
"Sono un tipo solitario" rispose a malapena, senza alzare lo sguardo.
Si strinse nelle spalle: " Alla tua età tutti ce li hanno.."
Questa volta non ricevette risposta.
Credendo che altre domande non l'avrebbero aiutata, restò semplicemente a fissarla, fino a quando lei non alzò lo sguardo, leggermente contrariata.
" Hai intenzione di restare a fissarmi tutto il tempo?"
Sorrise, inclinando la testa: " Sai, fisso tutti i miei clienti, è il mio lavoro. Sopratutto quelli più...interessanti"
Lo sguardo della ragazza cadde sulle sue labbra, mentre pronunciava quelle parole. Deglutì, affrettandosi a nascondere una qualsiasi traccia di imbarazzo.
"Mi trovi interessante?"
"Mh...si, ragazzina"
La bionda scosse la testa quasi esasperata, tornando nel suo silenzio al sapore di menta e lime.
Credette che non avrebbe detto più nulla, ma dopo poco, inaspettatamente, parlò, senza alzare lo sguardo.
"Sono qui in vacanza con i miei genitori e dei loro amici. Si conoscono praticamente da sempre e...era irrinunciabile l'idea di una vacanza insieme!"
L'altra rise leggermente al suo tono sarcastico:" e i tuoi genitori non si preoccupano che tu non ti diverta?"
Prese un altro sorso: " Diciamo che...non sono esattamente al centro dei loro pensieri"
Potè percepire la tristezza, sotto quelle parole apparentemente disinteressate.
"Oh..." fu tutto quello che riuscì a dire. Come situazione, le era tutt'altro che nuova.
Le sembrava diversa ora. Erano bastate quelle parole, perchè vedesse in lei qualcosa di più, quasi una personalità nascosta. Terribilmente interessante.
"Come ti chiami?"
Lei alzò lo sguardo, c'era qualcosa di diverso ora nei suoi occhi verdi, erano quasi sorpresi.
"Emma" disse solo.
Lei le sorrise, tendendole la mano: " Io sono Roni"
La ragazza lasciò la presa sul bicchiere per stringergliela. Dopo qualche secondo sorrise divertita, volendosi prendere una rivincita sulla sua ironia : "Roni, che razza di nome è?"
"Il mio" rispose lei, forse più seria di quanto credeva, perchè il sorriso sul volto della ragazza si spense, diventando mortificato.
"Scusami io...non volevo offenderti"
Non le piaceva parlare del suo nome, o meglio, di quel nome, ma la colpa non era sua. Sorrise, cercando di rimediare.
"No, davvero, non fa niente, nessun offesa...ragazzina" ghignò a quell'ultima parola, vedendola roteare gli occhi e tornare alla sua bevanda.
"Stiamo per chiudere, sai?" riprese, sentendo ora una confidenza nuova, che forse il sapere il suo nome le aveva dato.
Emma alzò lo sguardo sorpresa: " davvero? Finisco subito!" fece per avventarsi sul bicchiere ma lei la fermò, posando una mano sul suo braccio e girandosi a guardare gli altri due clienti.
"Fa con calma, ci sono ancora loro"
Tornò a guardarla e la trovò a fissare qualcosa. Non capì, inizialmente, finchè non vide a cosa era diretto il suo sguardo.
La sua mano, le unghie laccate di viola scuro. Sul suo braccio.
Non se ne era quasi accorta, ma quello sguardo la fece sentire strana, fuori luogo, in una scomoda situazione.
Ritirò il braccio distogliendo lo sguardo, domandandosene il perchè. Non le piaceva avere dubbi, e si affrettò a scacciarli dalla sua testa.
"Puoi fare con calma, sai, non vorrei doverti soccorrere dal soffocamento da foglia di menta!" rise nervosamente, cercando di alleviare la tensione creatasi apparentemente senza motivo.
Emma rise leggermente, e quel suono la colpì. Era strana, la sua risata. Leggera, calma, limpida, come un fiume che scorreva lento lungo un versante erboso, ma che di quell'erba, verde come i suoi occhi, portava le tracce, che ne macchiavano il flusso, togliendovi parte di quella leggerezza.
Restò ad ascoltarla, come se si protendesse nei secondi a venire, finchè non si spense.
"No, suppongo di no"
Sorrise di rimando, leggermente, realizzando di trovarsi davanti ad uno dei casi più interessanti della sua "carriera".
Rimase in silenzio, ad osservare il sole che in lontananza si immergeva del tutto nel mare, lontano, in uno scorcio di scogliera contornato di palme, come una cornice,  privando quella parte di mondo della sua luce per le ore seguenti, mentre quegli ultimi due clienti andavano via, lasciando la zona deserta.
Solo loro rimasero, nella luce del crepuscolo. Avrebbe dovuto finire di sistemare quei bicchieri ma non le andava davvero. Quel panorama, quella luce, che ormai vedeva quasi ogni giorno, riacquistarono improvvisamente ed inspiegabilmente fascino ai suoi occhi, immergendola in uno stato di serenità che le mancava da tempo. Sospirò, restando immobile.
Non si accorse dello sguardo della ragazza, a cui non era sfuggito il suo cambiamento, che la guardò per tutto quel tempo, approfittando della sua distrazione per studiarla a sua volta, attentamente.
Osservò il suo corpo, il suo viso, illuminato dalla luce ancora arancione, le labbra socchiuse e quello sguardo...quei profondi occhi scuri che parevano celare mille segreti, e che, forse, in quel momento quasi surreale ne stavano svelando uno al mondo, scostando quella imperturbabile cortina di ironia che li ricopriva per la maggior parte del tempo. Era buffo, pensò, come andando ad un semplice chiosco si potessero fare le scoperte più interessanti. Se non altro, più interessanti di quella stupida vacanza .Forse avrebbe trovato qualcosa da fare, dopotutto,  oltre che fuggire dai suoi genitori e dai loro amici. Per un momento credette persino di aver trovato qualcuno con cui poter trascorrere il tempo, parlare, un'amica. Ma si affrettò a scacciare quel pensiero, meravigliandosi di sé. Aveva avuto troppe delusioni dalle persone, troppe amicizie spezzate, e non voleva cascarci di nuovo, aveva imparato a non farlo, e quella donna era solo una sconosciuta,nulla di più.
Certo, era bella, dio, se era bella, quelle mani, che l'avevano sfiorata, perfette, quegli occhi, di una profondità unica, quelle labbra...
Distolse lo sguardo da lei.
L'esperienza le aveva insegnato che proprio le persone di miglior aspetto sono quelle da tenere più alla larga. E non voleva partire prevenuta, certo, ma non le avrebbe neanche dato fiducia a primo impatto, per quanto bella e...interessante potesse essere.
Posò il bicchiere sul bancone facendo forse più rumore del normale, rumore che risvegliò Roni dal suo stato di trance.
Si avvicinò sorridendo, prendendo il bicchiere.
"Vedo che hai finito"
"Già..."
Era ora di cena, di sicuro i suoi genitori la aspettavano e non avrebbero gradito un suo ritardo.
"Beh ora...devo andare"
Roni la salutò con un cenno del capo.
"Buona serata"
Lei sorrise di rimando e fece per avviarsi quando si fermò, voltandosi indietro.
" Riaprite stasera?"
La bruna le sorrise, tornando alle sue mansioni.
" Sarò qui alle undici in punto"
"Allora...ci si rivede"
Roni sorrise, di un sorriso enigmatico che non riuscì ad interpretare.
"Ci si rivede...ragazzina".
E la guardò allontanarsi scuotendo la testa.
Un sorriso compiaciuto nacque sulle sue labbra, mentre tornava a concedere la sua attenzione a quei bicchieri da asciugare.
 
 
Guardò l’orologio, le undici e mezza. Affrettò il passo istintivamente. Quel ritardo le stava dando un terribile fastidio e mettendo addosso una tensione insopportabile. La cena si era protratta più a lungo del necessario a suo parere, e ci aveva messo un po’, alla fine, a scrollarsi tutti di dosso dando la buonanotte, per cambiarsi e uscire.
-Che stupidaggine- pensò – non ho mica un appuntamento, cosa importa se arrivo in ritardo, in fondo?-
Ma il suo corpo pareva non essere dello stesso parere, continuando a percorrere il sentiero di ciottoli tra l’erba a passo svelto. Le undici erano ormai diventate un punto fisso e temeva quasi di non trovarla, se fosse arrivata in ritardo, anche se sapeva benissimo che sarebbe rimasta lì per tutto il tempo.
Per tutta la cena non aveva fatto altro che pensare a lei, quella misteriosa barista che traboccava di ironia e fascino un istante prima, per perdersi nei colori del tramonto un istante dopo. Sapeva di avere una possibilità, un’occasione certa di rivederla, quella sera stessa, ma non era sicura fosse la cosa giusta da fare. Così abituata ad essere schiva e diffidente sentiva di andare contro i suoi stessi principi, tenendo a rincontrare una donna appena conosciuta.
Ma aveva avuto tutta quella lunghissima cena per pensarci, che era diventata insopportabile in poco tempo, come accadeva la maggior parte delle volte con i suoi. Come sempre avevano iniziato a parlare del suo futuro con i loro amici, facendone già un disegno perfetto.
-Certo, perfetto per loro magari-
Non riusciva a sopportare questo loro comportamento, come se il suo destino fosse già scritto su un libro di favole. Era giovane, aveva la sua libertà, e, cosa più importante, quella era la sua vita, e solo lei avrebbe deciso come doveva essere.
E man mano che il fastidio in lei cresceva, cresceva anche la convinzione in quello che ora stava facendo: tornare a quel chiosco e rivederla. Aveva trovato una giustificazione alla sua stessa coscienza, alla fine. Aveva bisogno di distrarsi, per prima cosa, e poi… andare a chiacchierare con una barista sconosciuta ad ora tarda, ad un chiosco sulla spiaggia, bevendo due o magari anche tre Mojiti di certo non rientrava tra quello che i suoi genitori prospettavano per il suo futuro perfetto. E sfidarli la riempiva di soddisfazione.
Aveva davvero bisogno di liberarsi da quello stereotipo di ragazza immacolata e perfetta.
In fondo, si era detta, è ovvio che per conoscere una persona la si debba rivedere. E poi, le aveva fatto una buona impressione. Poteva fare un’eccezione per una volta.
Ma dentro sé sapeva che il problema non era davvero quello. Il problema era che ci teneva a farlo più di quanto avrebbe dovuto. E questo la spaventava. Poter essere, in qualsiasi modo,  legata a qualcuno, anche solo in quello strano desiderio di rivederla, la spaventava.
Ma doveva smetterla. Insomma, si odiava per questo, per entrare in crisi ad ogni minima decisione che fosse sua. Voleva avere una notte libera, libera da tutte quelle preoccupazioni e da quella vita che le andava troppo stretta. Ed in quella donna,  aveva visto una possibilità di averla, pur non sapendone la ragione.
 
Si fermò un momento, giunta in prossimità del chiosco. Poteva già vedere le tante persone che occupavano lo spiazzo, illuminati da luci rosse e bianche, sentire il vociare che si mescolava alla musica.
Si chiese un’ultima volta se fosse la cosa giusta da fare e in quel momento decise di liberarsi davvero. Di essere davvero sé stessa, almeno per una sera.
Prese un profondo respiro e proseguì, superando le siepi.
Non appena il bancone si rivelò ai suoi occhi, essi partirono automaticamente alla sua ricerca, e la scorsero quasi subito. Maglietta nera infilata nei jeans, ciuffi di capelli mossi e scuri che le coprivano il viso mentre si affrettava a destra e a sinistra per servire un numero spropositato di avventori. Si avvicinò, quasi attirata magneticamente. Le labbra tinte di scuro socchiuse, l’espressione concentrata. Era davvero bella.
Si sforzò di avere un espressione normale. Giunse all’estremo del bancone e vi si poggiò, attendendo che fosse lei a notarla. Sapeva che lo avrebbe fatto.
E così fu,in un attimo di pausa dai mille clienti, la scorse con la coda dell’occhio, nel tempo di un sospiro.
Un sorriso prese vita sul suo viso: era tornata, sapeva che lo avrebbe fatto. Si girò lentamente, fingendo si averla vista solo in quell’istante. Andò verso di lei con un sorriso malizioso, soffermandosi a esaminare il suo abbigliamento. Aveva una camicetta bianca che le lasciava scoperte le spalle e il  petto, molto di più non riusciva a vedere.
“Bentornata, ragazzina” le disse non appena fu ad una distanza tale da poter essere udita, oltre la musica ad alto volume.
L’espressione di Emma, quasi incantata vedendola avanzare con quel sorriso, cambiò istantaneamente in una contrariata. Era lì per vivere la sua indipendenza. Non era una ragazzina, non più. E non voleva essere considerata tale.
“Non trattarmi come una bambina, non lo sono” le disse con un tono serio da cui l’altra non si lasciò intimorire. Alzò invece un sopracciglio accentuando quel sorriso insieme divertito e malizioso.
“ Non lo sei?”
Ed Emma sentì una stretta allo stomaco a quelle parole, dette con un tono così profondo, così sexy...
-Dio, lei, è così sexy…-
Quel pensiero nacque nella sua testa prima che potesse accorgersene. Non era solita farne ma…con quella donna era davvero impossibile da evitare.
“Quale è il tuo cognome?” sentì chiedersi da lei, ben consapevole dell’effetto delle sue parole.
Ma odiava quel sorriso, per quanto le piacesse. Odiava che si prendesse gioco di lei in quel modo. Doveva smetterla, si disse, di essere timida e contenuta. Se davvero non voleva essere considerata una ragazzina,allora doveva dimostrare di essere un adulta.
“Come scusa?” chiese a sua volta fingendosi offesa.
“Il tuo cognome. Ne avrai pure uno, no?”
Sospirò, domandandosi a cosa mai le servisse il suo cognome.
“Swan” esalò.
Roni sorrise ancora, andando a servire una cliente lì vicino, assimilando la sua ordinazione in silenzio e iniziando a riempire il bicchiere.
“Allora, signorina Swan…” passò il bicchiere che aveva tra le mani alla ragazza di fronte a lei per poi dedicarle nuovamente la sua attenzione poggiandosi al bancone di fronte a lei, guardandola negli occhi.
“Cosa posso servirle?”
Emma rimase a fissare i suoi occhi per un po’, studiandovi i riflessi delle rosse luci agitate che si rincorrevano al loro interno. Riuscì a riscuotersi poco dopo, maledicendosi per quegli attimi di silenzio.
Si allontanò stringendosi nelle spalle, fingendo indifferenza: “ un mojito”
La bruna la guardò e sorrise quasi incredula: “ davvero? Un altro mojito?”
Passò a servire altri clienti, continuando tuttavia a rivolgere a lei la sua attenzione, sapendo tutti gli altri comunque troppo assordati e distratti per badare alla loro conversazione.
“Come mai? Ti piace davvero così tanto?”
“Si, cosa c’è di strano? Lo prendo sempre.”
“mmm… ti andrebbe di provare qualcosa di diverso?” le chiese dopo averci pensato per un momento.
Lei la guardò scettica, ammirando tuttavia la velocità e la naturalezza con cui rispondesse ai vari ordini pur conversando con lei.
“Sarebbe?”
“Ti piace… il sidro di mele?” chiese concentrata nel posizionare una ciliegia candita su un cocktail come se fosse il tocco finale di un’ opera d’arte, per poi allontanarsi a rimirare soddisfatta il suo lavoro.
“Bah…diciamo che di solito preferisco qualcosa di più forte”
Roni consegnò il cocktail al cliente con un sorriso e si girò verso di lei, incrociando nuovamente il suo sguardo mentre si asciugava le mani in un panno.
“mh, allora… che ne dici di assaggiare il mio “frutto proibito”, eh?” chiese con un sorriso a dir poco accattivante.
La bionda restò a guardarla muta, nuovamente pendente dalle sue labbra, inchiodata a quella voce, lo stesso tono di pochi minuti prima, non comprendendo esattamente il significato di quelle parole e allo stesso tempo lottando contro la sua mente che non riusciva a fare altro che pensare quanto quella donna fosse dannatamente sexy.
Nel suo silenzio lei continuò, distogliendo lo sguardo e spostando alcune cose dietro il bancone.
“il ‘mela avvelenata’. Si tratta di una ricetta…in parte di famiglia, a cui io ho applicato le mie modifiche. È una specie di sidro di mele ma molto più forte. Contiene un misto di liquori e…vari ingredienti. Insomma, in verità non è sul menù perché…è davvero molto forte. Ma sai, sarà il drink principale, nel mio bar”.
Lei continuò a fissarla in silenzio, sforzandosi lentamente di concentrarsi sulle sue parole.
L’altra rialzò lo sguardo : “allora?” chiese non sentendola rispondere.
“Uh? Si…si, io…va bene” rispose a malapena.
Roni sorrise iniziando a prepararlo. In verità non erano molti quelli che lo conoscevano. Lo considerava un po’ un tesoro, una cosa tutta sua, da preservare fino al giorno in cui sarebbe riuscita a realizzare il suo grande sogno: aprire un suo bar. Ma non poteva negare che le facesse piacere, di tanto in tanto, farlo provare a qualcuno. Solo le persone più interessanti, ovviamente.
Ne andava molto orgogliosa e approfittò del momento di mancanza di clienti per prepararlo con ogni cura.
Emma la osservava in silenzio. La vide iniziare a bollire delle spezie, a mescolare tra loro piccole quantità, accuratamente misurate, di alcuni dei più forti liquori il chiosco offrisse, cosa che le fece leggermente preoccupare, dubitando per un momento della sua capacità di reggerlo, ma convinta a non tirarsi indietro.
Era affascinante, dovette constatare, vederla preparare quel cocktail. Il modo in cui ne fosse totalmente assorbita, come sembrasse avere a che fare con materie che conosceva alla perfezione ma che, nonostante tutto, trattasse con la massima cura ed attenzione. Pensò di non aver mai visto qualcuno preparare un cocktail con così tanta perizia. E le tornarono in mente parte di quelle parole a cui prima non aveva prestato molta attenzione, completamente presa dai suoi pensieri com'era.
“Poco fa parlavi di…un tuo bar? Ne hai uno?”
Lei sorrise malinconicamente: “ No, purtroppo no. Sai, servono delle licenze, anni di esperienza eccetera, per poterne aprire uno. Ma…un giorno ce la farò. Riuscirò ad aprire il mio bar, il Roni’s” disse con tono importante allontanandosi dal bancone per mimare con le mani nell’aria la forma dell’insegna.
Risero entrambe di cuore, poi lei tornò al suo lavoro, scuotendo lievemente la testa.
“Un giorno, ma…non ora”
Emma abbassò lo sguardo, cogliendo tutta la tristezza celata dietro le sue parole.
“Ti piace davvero molto il tuo lavoro, vero?”
Lei sospirò: “Già…” e si scoprì a fare qualcosa che non si sarebbe mai aspettata da sé, iniziò a raccontare.
“Sai, quando ero piccola avevo uno zio. Lui…mi voleva un bene dell’anima, molto più…beh, di quanto me ne volesse mia madre, così passavo la maggior parte del tempo in sua compagnia." fece una pausa. Non parlava mai a nessuno di quello, del suo passato, ma sentì di potersi fidare, in qualche modo, di quella ragazza silenziosa.
“E lui aveva un bar. Lo chiamava ‘il suo banco dei pegni’.” ricordò con un sorriso
“Sai, era una persona molto generosa e… offriva drink a molti uomini che non avevano i soldi per permetterseli. Diceva sempre che, un giorno, avrebbero trovato un modo per ripagarlo e…beh, così è stato. Ha avuto in cambio tutto l’affetto e l’aiuto del quartiere, e ora tutti hanno un buon ricordo di lui”
Emma ascoltò il suo racconto, in silenzio. Non si aspettava una mossa del genere. Era di gran lunga più di quello che aveva sperato di ottenere.
“Lui…è morto?” le chiese debolmente.
La donna sorrise tristemente, fissando il bicchiere innanzi a se che iniziava finalmente ad essere riempito di un liquido trasparente rosso fuoco.
“Si…sette anni fa” tacque per qualche secondo.
“oh…mi dispiace” sussurrò, pentendosi di quella domanda.
“Già, ma…” Roni  sospirò, mostrando un sorriso nostalgico quanto pieno d’amore e di vita.
“ha lasciato molto di sé, tra cui…” inserì nel bicchiere dell’azoto liquido che sprigionò una piccola nube di fumo.
“Questo” disse posandolo sul bancone davanti a lei.
Emma lo guardò interessata studiandolo. Il liquido di quell’accesa tonalità di rosso pareva agitarsi all’interno, forse scosso dall’azoto, e l’effetto del fumo lo faceva somigliare ad una pozione.
“Wow…” disse ammirata. Lo prese in mano, quasi con rispetto e fece per portarlo alle labbra quando fu fermata dalla sua voce.
 “Sicura di essere capace di reggerlo, signorina Swan?” le chiese divertita.
E allora scattò qualcosa in lei, senza che ne sapesse precisamente il motivo. Sorrise come non si credeva in grado di fare, come non aveva mai fatto, con malizia, mentre una nuova sicurezza si impossessava della sua mente. E quelle parole uscirono spontanee dalla sua bocca.
“Tu non hai idea di che cosa sono capace”
E l’altra la guardò sorpresa per un istante, perchè davvero non l’avrebbe creduta capace di un tono così adulto, così sexy, ma subito dopo ghignò, accettando ben volentieri il suo gioco, guardandola intensamente negli occhi.
“Allora dimostramelo”
Ed Emma non distolse lo sguardo dai suoi nemmeno per un istante, mentre portava lentamente il bicchiere alle labbra e riceveva la prima ondata di quel liquido brillante, percependo i piccoli granelli di zucchero di cui il bordo del bicchiere era accuratamente ricoperto, tra le labbra. Ingoiando il primo sorso non sentì nulla, ma un istante dopo, nella bocca ormai vuota, si sprigionarono un insieme di sapori dolci ed insieme terribilmente amari, che la lasciarono senza fiato. E la gola bruciò solo dopo quella rovente carezza liquida. Sentì la testa più leggera, per un istante, mentre sostava senza parole, sconvolta da quel gusto ma cercando al tempo stesso di analizzarne ogni minima parte, di non perderne neanche la più insignificante. Nelle narici giunse, delicato, come una carezza di conforto, totalmente in contrasto con il forte sapore appena sperimentato, una lieve fragranza di mela. Solo mela.
Dovette ammettere che era uno dei drink più forti che avesse mai assaggiato e... uno dei migliori.
Si accorse che Roni la stava ancora guardando, in attesa di un riscontro. Un cliente cercò di richiamare la sua attenzione insistentemente solo per ricevere un brusco " aspetti un attimo!".
Era troppo importante per lei quel momento per venire distratta da uno stupido cliente. Voleva, doveva, sapere il suo parere. E si accorse di temerlo, in parte.
Lei prese un profondo respiro e sorrise.
"Wow... è...è... fantastico!"
La bruna rilasciò il respiro che aveva  trattenuto fino ad allora e sorrise, di una sincerità e contentezza che Emma non poteva dire di aver mai visto prima sul suo viso. E sorrise a sua volta, perchè le fu inevitabile.
Presto Roni si riscosse andando a servire l'altro cliente.
"Sono contenta che ti piaccia" le disse, cercando di non mostrare troppo quella inspiegabile contentezza che stava crescendo in lei.
"No, sul serio, è...uno dei drink più buoni che io abbia mai assaggiato. Quello che... quello che fa provare, il gusto che rimane è...sconvolgente. C'è stato un momento in cui mi è sembrato che stesse per uccidermi. " risero entrambe.
"Beh mia cara, si chiama 'Mela avvelenata' per questo"
"Veramente, è favoloso" aggiunse prima di prenderne un altro sorso e lasciarsi nuovamente sopraffare da quei sapori sconvolgenti, chiudendo gli occhi, mentre tutti i rumori parvero affievolirsi. Quando tornò in se però assunse un espressione perplessa.
"Però...è come se mancasse qualcosa"
L'altra si girò interessata, con un sopracciglio alzato.
"Come prego?"
"Manca qualcosa" rispose lei con naturalezza guardandosi intorno.
Roni la guardò sbalordita. Ok, teneva al suo parere, ma sapeva anche di essere piuttosto esperta in materia.
"Precisamente..." continuò la bionda, trovando quello che cercava e afferrandolo :"...questo" finì, lasciando cadere nel bicchiere un po' di cannella.
L'altra la guardò ad occhi sgranati.
"Hai messo della cannella nel 'Mela avvelenata'? Questo è un assassinio ragazza!"
Emma prese un altro sorso assaggiando quel cambiamento e scosse la testa.
"No, non lo è. è perfezione invece"
Ora poteva definire quella bevanda davvero perfetta, la migliore che avesse mai assaggiato.
La bruna scosse la testa scettica.
"Parlando francamente, signorina Swan, non credo lei sia più esperta di me in materia..."
Lei sorrise e le porse il bicchiere.
"Assaggialo"
Roni la guardò senza perdere quel cipiglio tra l'indispettito, lo scettico e il meravigliato, per poi fissare il bicchiere per qualche secondo. Ed infine, allungò la mano per afferrarlo.
Certo, sapeva di avere un talento innato ed innegabile, e continuava ad essere convinta di stare per assistere alla rovina della cosa di cui andava più fiera, ma...  non era mai stata  chiusa alle novità.
Portò il lato opposto a quello da cui lei aveva bevuto, alle labbra e lo assaggiò, ricambiando il suo sguardo.
E dannazione, dopo un  primo momento di spaesamento, nel sentire variato quel sapore che conosceva così bene, dovette ammettere che era davvero buono. Normalmente la cannella non le piaceva, ma così...il sapore si confondeva con quello dei liquori, risultando assolutamente piacevole, e dando un leggero pizzicore in più sulla lingua.
Rimase piacevolmente meravigliata, ma sarebbe stato contro il suo orgoglio ammetterlo apertamente, così le ridiede il bicchiere e annuì soddisfatta.
"Si...è accettabile, dopotutto. Potrei sfruttare il tuo consiglio quando mi ricapiteranno clienti strani come te"
Emma sorrise, consapevole della verità, non badando alle sue parole.
" Dai, ammettilo che ti piace da morire!" disse con un entusiasmo da bambina.
Si rifiutò di darle quella soddisfazione.
"Come ho detto...non è male come idea."
Sapendo che non avrebbe ottenuto di più, la bionda lasciò cadere la questione.
Roni diede una rapida occhiata all'orologio.
"Hey, la musica migliore, almeno a parere dei clienti, la mettono a quest'ora. Puoi andare a ballare anche con il cocktail, il bicchiere me lo riporti più tardi. Certo, sempre se non te lo versi prima addosso". rise, guadagnandosi un'occhiata assassina dall'altra.
"Primo, non vedo perchè dovrei versarmelo addosso..." la interruppe contrariata con una mano mentre stava per ribattere e continuò: " e secondo... non mi piace la discoteca. Non mi piacciono i posti affollati in generale".
Lei si strinse nelle spalle: " E allora perchè sei qui?"
Emma alzò uno sguardo serio su di lei, restando a fissarla per qualche secondo, riflettendo se fosse  il caso di dire quello che voleva davvero dire, la verità, o se ne sarebbe rimasta troppo scoperta e vulnerabile, ma alla fine decise di parlare.
"Per te"
disse semplicemente, optando infine per ignorare quegli sciocchi dubbi e reticenze. Si portò velocemente il bicchiere alle labbra prendendo due generose sorsate.
Roni alzò le sopracciglia squadrandola, quasi diffidente.
"Per me?"
Non rispose, continuando a bere.
L'altra parve restare quasi in pensiero, per brevi secondi, poi si illuminò.
"Senti, ho un' idea. Quando finisco potrei...portarti a vedere un bellissimo posto che davvero in pochi conoscono qui. Visto che non ti piacciono i luoghi affollati, insomma. Che dici, ci stai?"
Emma ci pensò, impassibile, per qualche secondo. Era davvero la cosa giusta? Per quanto ne sapeva, avrebbe anche potuto portarla in un posto isolato per ucciderla. Ma presto si sgridò mentalmente: doveva smetterla di fare la stupida. Aveva deciso di essere diversa, per quella sera, di provare qualcosa di nuovo. E forse fidarsi faceva parte di questo. In fondo, sarebbe sempre potuta scappare se le cose si fossero messe male. Si strinse nelle spalle.
"Ok"
"Ok?" le era sembrata così riservata che non credeva davvero avrebbe accettato.
"Si, perchè no. In fondo, ho bisogno di distrarmi"
Roni la guardò in silenzio per qualche momento ancora, studiando il suo volto.
"Bene..." le tornò in mente il loro incontro di quel pomeriggio.
"A questo proposito... da chi scappavi prima, se posso chiedertelo?"
Lei sbuffò, contenta tuttavia dell'allentarsi di quella tensione.
"Beh ecco... presumo che per i miei genitori lo scopo di questa vacanza fosse anche farmi avvicinare al figlio dei loro amici...me lo hanno praticamente messo alle calcagna e...sono fortunata se di tanto in tanto riesco a liberarmene"
Roni rise di gusto: " Ah, capisco"
E fece sorridere di riflesso anche Emma.
" Non fraintendermi, è un bravo ragazzo, credo che la maggior parte delle ragazze lo definirebbe carino e...credo si sia anche innamorato di me ma... insomma, io non lo voglio è...è un idiota! Non riesce a fare un pensiero che non sia stato fatto dai suoi genitori due secondi prima e...insomma, immagino sia una vittima anche lui ma...dovrebbe reagire!"
Lei rise di nuovo, reclinando leggermente la testa all'indietro.
" La maggior parte delle ragazze lo definirebbe carino, tu no?" le chiese, innocentemente ma con malcelata curiosità.
La bionda sorrise debolmente: "diciamo che...io ho gusti un po' diversi..."
E quella sera scoprì quanto ottima fosse la soluzione di bere dopo aver detto cose che potevano metterla a disagio. Nascondersi dietro il bicchiere era forse una delle cose più intelligenti che aveva mai fatto. Temeva una risposta ironica da parte sua, ma invece lei lasciò cadere il discorso.
"Dovrebbe reagire dici... tu lo fai?"
Lei rispose con una risata sarcastica, cogliendo al volo l'occasione per cambiare discorso.
"Sono qui, no?"
E Roni  le sorrise, con sincerità, dolcezza quasi, prima di servire un altro cliente.
Restarono lì, senza scambiarsi più di qualche parola per molto tempo. I clienti aumentarono in una nuova ondata che la tenne occupata per molto tempo, lasciandole poche possibilità di conversare.
Ma Emma non distolse l'attenzione da lei neanche per un istante, quasi incantata, gli occhi incatenati a quel corpo tonico e flessuoso, studiando  i suoi movimenti e bevendo gli ultimi sorsi di quel drink squisito, continuando a stupirsi di quanto fosse brava nel suo lavoro e visibilmente appassionata ad esso. E non sentiva il bisogno di fare nient'altro, che guardarla cullandosi nel sapore dolceamaro del 'Mela avvelenata' .
Così presa com'era non si accorse di un uomo poco distante che la stava fissando ormai da tempo e che lentamente si avvicinò.
"Hey ciao. Posso offrirti da bere?" le chiese lui.
Lei si riscosse dal suo stato di trance e si girò a guardarlo. Oltre all'aspetto, a suo parere lievemente ripugnante, la investì il suo alquanto spiacevole sentore di alcol.
"No grazie. Sono apposto" rispose semplicemente girandosi nuovamente.
Ma lui non desistette e si sedette vicino a lei : " Ne sei sicura? Quale è il tuo nome?" le chiese con un tono che le diede il voltastomaco .
"Ho detto che sono a posto, grazie" rispose infastidita girandosi dall'altra parte.
Ma nonostante tutto lui continuò, imperterrito: " Lo sai che sei proprio carina?"
Lei stava per ribattere e cacciarlo in malo modo quando sentì la voce di Roni.
"Hey tu, la signorina ti ha detto che è apposto, cosa non ti è chiaro?"
L'uomo la guardò profondamente offeso ed infastidito.
" E tu chi saresti?"
"Non sarò nessuno ma..." tirò fuori una mazza da baseball da sotto il bancone: " ...ho questa. E sono sicura tu non abbia voglia di sperimentare quanto è pesante".
L'uomo la guardò sgranando gli occhi per un istante. Lasciò lo sgabello alzando le mani, con aria truce.
"Va bene, va bene, sta calma donna! Me ne vado!"
Presto si allontanò tornando nel mezzo della pista da ballo.
Emma si girò a guardarla, insieme stupita e contrariata.
"Mi sarei potuta benissimo difendere da sola" disse secca.
"Beh prego!" ribattè la bruna girandosi tra le mani la mazza.
Lei le lanciò un'occhiata truce prime di rivolgere la sua attenzione a quella specie di "arma".
" Una mazza da baseball? Davvero?" le chiese scettica con un' alzata di sopracciglia.
Ma presto la sua espressione cambiò, vedendo la luce che si accese nei suoi occhi. Una vendetta, una fame quasi. Quel suo solito sorriso malizioso e divertito le tornò sul volto.
"Tu non hai idea di cosa sono capace".
Emma sorrise di rimando, ed ebbe l'impressione che molta di quella malizia si fosse trasferita sul suo viso.
 

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Capitolo 2
*** La spiaggia delle sirene ***


Verso le quattro del mattino circa ogni avventore abbandonò  chiosco e relativa discoteca, per tornare nella sua comoda stanza a dormire. Tutti tranne Emma naturalmente, che di tornare al resort non aveva alcuna voglia.
Rimase poggiata al bancone ad aspettarla, mentre lei finiva di sistemare le ultime cose.
"Ecco fatto" spense le ultime luci e la raggiunse.
Lei sorrise: " dove vuoi portarmi?"
"Vedrai" le disse semplicemente avviandosi giù per la scogliera, verso la spiaggia.
 
Camminarono per un bel po', fuori da ogni sentiero, sulla sabbia, di tanto in tanto, finchè non giunsero ad una piccola spiaggia nascosta da alte pareti rocciose.
Emma si domandò un'ultima volta se fosse saggio fidarsi, ma la vide sedersi su una roccia e si rilassò leggermente.
Ora la illuminava la luce della luna, ombreggiando i suoi lineamenti, e mostrandola in una bellezza ancora diversa. Rimase a guardarla mentre si accendeva una sigaretta e iniziava a fumare.
Fu presa da un improvviso impulso e la raggiunse, prendendole la sigaretta dalle labbra e spegnendola contro la roccia.
Ricevette un'occhiata a dir poco assassina dalla donna.
"Hey, ma che diavolo fai?!" esclamò indignata.
"Questa roba ti uccide, non dovresti fumare! "
"E a te che te ne frega?" rispose brusca.
Era sul punto di accenderne un'altra quando la vide allontanarsi di qualche passo, con espressione ferita. E si rese conto di essere stata forse troppo brusca. Ma le era una cosa del tutto estranea avere qualcuno che si preoccupasse per lei. Ripose la sigaretta.
"Ok senti, mi dispiace, scusami, non volevo rispondere così"
Emma la guardò, mentre la sua coscienza aveva già ricominciato a farle la predica, per essersi fidata di qualcuno che, ora più probabilmente di prima, l'avrebbe delusa. Ma era arrivata fin lì ormai...e lei sembrava sinceramente pentita. Sorrise debolmente.
"Non fa niente..."
Roni ricambiò il sorriso e si girò a guardare il mare.
"Sai, dicono che questa fosse 'la spiaggia delle sirene', secoli fa, è che nelle notti di luna piena sia ancora possibile udire l'eco del loro canto. "
L'altra la guardò scettica: " E tu ci credi?"
Si voltò con uno sguardo di rimprovero: "Hey, non rovinarmi la poesia!" disse, per ridere con lei subito dopo.
"Ovvio che non ci credo ma... mi sarebbe piaciuto incontrare una sirena, se fossero esistite. Dovevano essere...beh, wow!"
Emma rise nuovamente. " si, immagino di si. Nel tuo bar potresti anche fare un cocktail dedicato a loro: La spiaggia delle sirene"
"Già...perchè no? " le rispose con sguardo perso nel vuoto, immaginando quel suo grande sogno avverarsi.
"Hai delle ottime idee, sai? Potresti essere la mia collaboratrice!" disse ridendo.
Emma si illuminò: " Allora ammetti che la cannella ti è piaciuta!".
Lei storse la bocca: "Mm...si, diciamo che era buona, signorina Swan"
Lei sbuffò: " Non chiamarmi più 'signorina Swan'. Insomma, ora ci...conosciamo?"
Vi era un punto interrogativo alla fine di quella frase, quasi a volere una conferma se le cose fossero cambiate anche per lei, rispetto al loro primo incontro.
Ricevette un sorriso, ma al tempo stesso un'espressione seria, per una volta: "Come vuoi che ti chiami?"
La bionda sorrise, sinceramente grata di quello sviluppo: " Il mio nome potrebbe andare bene, sono sicura che te lo ricordi"
"Oh certo!" le rispose ridendo. Scosse la testa leggermente, cadendo nel silenzio, lo sguardo perso nelle onde, la mente forse in un ricordo lontano.
Emma si sedette sulla sabbia per stare più comoda, e dopo qualche secondo fu richiamata dalla sua voce. Un tono serio, profondo. Se doveva essere sincera, quello che preferiva. Le era ormai chiaro che si stava aprendo su un qualche argomento che la riguardava, quando lo utilizzava.
"Sai, Roni non è il mio vero nome"
Rimase alquanto sorpresa da quella affermazione, e si voltò a guardarla. Ma l'altra non ricambiò quello sguardo, restando a fissare il mare.
" Cioè, è quello che uso quotidianamente, perchè... non mi fa piacere ricordare l'altro"
La curiosità ora la stava bruciando, ma non intendeva forzarla, quindi provò ad andare per gradi.
"Perchè? Se vuoi dirmelo, ovvio"
E lei incrociò il suo sguardo per la prima volta da quando aveva iniziato quel discorso, con un sorriso riconoscente sul viso, mentre lasciava crescere in sé la convinzione di potersi fidare di quella ragazza praticamente sconosciuta. Di avere una sorta di connessione con lei. Sospirò.
"Perchè...è il nome che mia madre ha scelto per me. E da quando...da quando sono andata via da lei, sette anni or sono, non ho voluto avere più niente a che fare con quel passato"
Emma la guardò, cogliendo tutta la tristezza racchiusa in quelle parole
Tastò il terreno con delicatezza: " Tua madre...non ti amava?"
Lei sorrise sarcastica: "Oh si, lei diceva di amarmi. Forse lo credeva davvero. Ma di sicuro non lo dimostrava affatto. Se a 27 anni ancora non ho la licenza per aprirmi un dannatissimo bar...beh, è solo colpa sua. Per lei era un lavoro troppo misero, un bar. "come quello sfigato di mio zio", parole sue."
L'altra la guardò triste e le venne spontaneo posare una mano sul suo braccio.
"Mi dispiace...davvero"
Ma entrambe, a quel contatto, sentirono qualcosa di simile ad una scarica elettrica percorrerle, ma al tempo stesso un nuovo legame formarsi, più forte che mai. E fu questa la ragione per cui restarono così, mentre Emma le rivolgeva un sorriso di incoraggiamento, come invitandola a continuare.
Roni lo ricambiò debolmente, sinceramente grata per quella comprensione che sapeva essere reale, ma troppo intristita dal passato per reagire in qualunque altro modo.
Tornò a fissare le onde che, leggere, si infrangevano sulla riva in un leggero mormorio.
"Sai noi...eravamo povere. Vivevamo in un misero quartiere di Seattle, Hyperion Heights, praticamente sconosciuto, dove per vivere... dovevi fare parte di qualche gang. Non esisteva avere un lavoro pulito, non c'era nulla di vero. Tutto dipendeva dalle simpatie e dalle antipatie che ti facevi, la tua vita stessa. E mia madre..." sospirò " ...beh, lei vi si era adattata perfettamente. C'era nata e cresciuta, come me, ma io non ero come lei. Per lei, non avrei mai potuto lavorare in un bar. Dovevo avere potere, dovevo arrivare a capo della gang più importante del quartiere. Sin da bambina mi metteva in affari di cui non sapevo nulla, gang di delinquenti che mi costringevano a fare... beh, di tutto, e da cui era un'impresa uscire. "
Parlava a fatica. Ogni ricordo, una lama che le trapassava il cuore. Tutto quello che le avevano fatto, tutto quello che lei stessa aveva fatto...
Emma continuò a guardarla, senza accorgersene aveva iniziato a passarle il pollice sul braccio, come in una carezza, non aveva saputo trattenersi, vedendo quello sguardo così distrutto.
"Loro...mi hanno fatto cose terribili. Mi rifiutavo di svolgere i compiti peggiori, di uccidere, e venivo punita. E mia madre mi lasciava nelle loro mani, li incitava a farmi del male. Dio, avevo solo dieci anni quando..."
sentì le lacrime pungerle gli occhi per quel ricordo che non aveva ancora superato e capì di doversi fermare.
Non voleva perdere tutte le sue barriere, non lo avrebbe più fatto.
E poi, inavvertitamente, sentì delle braccia avvolgerla. Capelli biondi le ricoprirono il viso. Potè sentire il loro profumo, un lieve aroma di mandorla e cannella. E non la scacciò, come normalmente avrebbe fatto, troppo sbalordita per muovere un muscolo. Sbalordita da lei, da sé stessa, ma trovando al tempo stesso, in quell'abbraccio, una conferma di potersi fidare di quella ragazza, quella Emma.
Lei si allontanò dopo poco e la bruna si affrettò a passarsi una mano sugli occhi, preoccupata che potessero tradirla e lasciare andare qualche lacrima.
Le sorrise leggermente, Emma,la tristezza negli occhi, prendendole una mano. Non aveva potuto resistere al bisogno impellente di abbracciarla. Non sapeva perchè ma non poteva sopportare di vederla così. E qualcosa si era stretto nel suo cuore, sentendole dire quelle parole, qualcosa di più forte della compassione o del dispiacere.
"Parlarne ti fa bene. Immagino che...tu non lo faccia con molte persone, quindi grazie per...la fiducia"
Ricambiò il sorriso, incerta, e al tempo stesso incoraggiata a continuare.
"Insomma, io stessa ho fatto cose terribili di cui tutt'ora mi pento e..." si sentì stringere la mano.
"Non è stata colpa tua" le disse, dolcemente ma con decisione.
"Già, forse no... Comunque, a vent'anni, decisi di averne abbastanza. Mio padre era morto quando ero bambina, per degli affari in cui mia madre lo aveva immischiato, mio zio morì quell'anno e...non ebbi più niente a legarmi a quel posto. Così andai via, più lontano che potei. Sapevo che non sarei mai più potuta tornare, avevo rubato dei soldi, mi avrebbero uccisa nel migliore dai casi. Poi, circa due anni fa, feci delle ricerche. Scoprii che molte bande erano state portate allo scoperto e fermate, grazie ad un nuovo supervisore di quartiere, una certa Victoria Belfrey. Vi ha portato molte modifiche e ora, per quanto ne so, è un moderno quartiere pacifico e...residenziale. Chissà, forse un giorno potrei tornarci..."
Emma le sorrise incoraggiante, tenendole ancora la mano: "Già, forse un giorno..."
Ma una curiosità continuava a tormentarla nel profondo. Lasciò passare qualche minuto di silenzio mentre Roni ritirò la mano, liberandosi dalla sua stretta. Poi glielo chiese,timidamente.
"Senti tu...hai detto che Roni non è il tuo vero nome e mi chiedevo se...sai se ti andasse di..."
Lei non la lasciò finire.
"Regina" esalò.
"Cosa?" le chiese perplessa la ragazza.
"Il mio vero nome, è Regina."
Emma restò senza parole.
"è..è un nome bellissimo!"
Lei si rabbuiò: " no, non per me. Perchè ogni volta che lo pronuncio mi torna in mente la voce di mia madre. Era lei, a pronunciarlo, sempre, in un costante richiamo all'ordine. Ed è insopportabile, credimi"
"già...lo so, lo capisco, ma...è un bellissimo nome ed è il tuo vero nome. Non devi lasciare che il passato rovini la tua vera identità."
Regina scosse la testa: " non è così semplice... Roni era come avevano iniziato a chiamarmi le persone che ho incontrato durante la mia fuga. L'ironia è sempre stata il mio scudo e... da questo il nome Roni. Ma in fondo, non mi dispiaceva, glielo lasciavo usare e alla fine mi hanno conosciuta solo con quello"
"Capisco..."sussurrò.
"Ovviamente, avendo iniziato tardi i vari corsi, avrò tardi le licenze che mi servono ma...confido nel farcela, un giorno".
Emma le sorrise: " Sono sicura di si".
Tornarono nel silenzio per qualche minuto, poi Regina parlò nuovamente.
"E tu?"
"E io cosa?" chiese perplessa.
" abbiamo parlato di me fino ad ora, dimmi qualcosa di te. Andiamo, tutti hanno qualcosa su cui sfogarsi!"
Si strinse nelle spalle: " rispetto a quello che hai vissuto tu, la mia vita è una favola. Terribilmente noiosa ma...una favola"
La bruna scosse la testa: "non è così. Potrai anche star vivendo, o aver vissuto, una vita migliore della mia, ma non per questo non hai il diritto di lamentarti su ciò che non va in essa. Insomma, ci sarà sempre chi sta peggio di noi, lo sappiamo, ma abbiamo bisogno di sfogarci lo stesso, è la natura umana, è non c'è nulla di male in questo"
Emma la guardò, grata, profondamente grata, di quelle parole. Perchè quello era un problema che si poneva spesso, forse più spesso del dovuto, e con quelle semplici parole quella donna le aveva offerto una soluzione.
Sospirò.
"Beh...i miei genitori sono ricchi, insieme, sono a capo di diverse aziende in campo meccanico e farmaceutico. Hanno amici ricchi e... dal loro punto di vista, hanno una  vita  perfetta, ma non per me. Hanno sempre messo le loro aziende, i loro incontri di lavoro, i loro ricchi colleghi, prima di me. Tutto quello che vogliono è che segua le loro impronte, che sia sempre la loro figlia immacolata e perfetta, che un giorno avrà il matrimonio perfetto e porterà avanti con onore il nome e le aziende di famiglia. Ed è un'ottima occasione, non posso negarlo, forse la migliore che avrò mai, ma...insomma, io voglio vivere la mia vita. Non dico che non accetterò le opportunità di lavoro che mi daranno ma... io voglio innamorarmi, voglio stare con quella persona, una persona che io avrò conosciuto da sola, senza che siano stati loro a presentarmela come buon partito, qualcuno che abbia vissuto, vissuto davvero, non una vita nella bambagia, una vita vera..."
Pronunciando quelle parole sentì quasi un qualcosa di familiare in esse, un sottinteso ovvio che però non riusciva a portare alla luce. Regina la osservava intensamente, con un interesse che nessuno le aveva mai rivolto, mentre affrontava quegli argomenti. E ciò la spinse a parlare ancora.
"Sai io...amo le storie. Amo leggerle, amo scriverle. Sin da bambina la mia mente viaggiava ad ogni immagine diversa dal normale, ogni piccola cosa che colpisse la mia attenzione. Il mio cervello vi produceva storie su storie, e poi ho iniziato a scrivere ed un nuovo mondo mi si è rivelato. Insomma, io voglio seguire le mie passioni, non voglio diventare come loro, così...falsa"
Terminò restando in silenzio.
"Si, ti capisco perfettamente" le disse Regina a bassa voce.
Ancora passarono secondi di silenzio. Il cielo era ancora scuro, il sole non sarebbe sorto prima delle cinque e mezza, e le stelle brillavano luminose su di loro, illuminando la spiaggia.
D'improvviso, Regina parlò.
"Dici che ti piace scrivere...come descriveresti questo momento?"
Lei si girò a guardarla, stupita da quella richiesta improvvisa. Ma presto iniziò ad elaborare una risposta. Guardò le stelle e la trovò scritta in loro. Prese un respiro profondo.
"Le stelle brillavano, sul manto nero della notte, calata ormai da diverse ore su quella piccola isola. Donavano la loro luce a quella terra, vuota e spenta, tenendole compagnia, mentre tutti erano a dormire.
Una piccola spiaggia in particolare era da loro illuminata. Era il luogo scelto dalla luna stessa, perchè vi era qualcosa di diverso, quella notte. Vi era...una donna" deglutì mentre lei si girò a guardarla, ma si fece coraggio e andò avanti.
"Sedeva su una piccola roccia scalfita dalle onde delle più alte maree, a contemplare quello spettacolo unico che le si rivelava di notte. Aveva capelli scuri, che le accarezzavano la pelle ambrata mossi dal vento, lineamenti decisi, evidenziati dalle ombre create dalla luce lunare, sfumature sul suo viso, così come sulla sua anima, e due profondi occhi scuri, che vagavano all'incessante ricerca di qualcosa di più, proprio lì, nell'istante prima a quello in cui l'onda si lasciava cadere, esausta, sulla sabbia, morbida ed accogliente. "
Regina fissò gli occhi nei suoi, le labbra socchiuse in un' espressione stupita. E fu continuando a fissarli che Emma andò avanti.
"In quegli occhi, scudo della sua anima per i più, solo pochi potevano scorgervi lo specchio, quel lieve punto di trasparenza dove vivente e vissuto si incontravano, in un debole riflesso di luce. E proprio lì, proprio in quel punto, ogni istante della sua vita era conservato, ogni più minuscola parte di essa. E solo chi fosse riuscito a vedervi attraverso sarebbe stato in grado di capirla, sarebbe stato meritevole del suo...amore"
la sua voce si spense lentamente. Rimasero entrambe incantate, immobili, l'una dal riflesso di lacrima nascente che scorgeva negli occhi dell'altra, e quest'ultima da quelle parole che sfioravano la sua anima come una dolce carezza.
Fu solo dopo qualche secondo che Emma realizzò quello che aveva detto. E distolse lo sguardo, voltò il capo, sentendo le guancie bruciare, profondamente imbarazzata. Cercò di smorzare quella tensione.
"Beh si insomma...più o meno così" disse fingendo noncuranza.
Ma Regina rimase in silenzio, l'espressione invariata. E lei non ebbe il coraggio di girarsi una seconda volta, restando con lo sguardo fisso sui jeans.
Mai nessuno, in tutta la sua vita, le aveva dedicato parole così. Era stata descritta in tanti modi, oh si, davvero in tanti modi, ma mai con una dolcezza simile, con una profondità simile.
Riuscì a parlare solo dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio.
"Emma è...è bellissimo, io...grazie"
E sentire il suo nome per la prima volta uscire dalle sue labbra la portò a voltarsi. Sorrise timidamente.
"Non sono poi così brava..."
"Stai scherzando? Era stupendo! Hai mai pubblicato un libro o qualcosa del genere? Perchè se la risposta è si il mio prossimo stipendio lo spendo per comprare i tuoi libri"
Emma rise: "no, non ho mai pubblicato nulla. Spero di poterlo fare, un giorno..."
La bruna annuì: " Sono sicura che ci riuscirai"
Tornarono nuovamente in silenzio, ma dopo poco fu proprio Regina a parlare.
"Hey, ti va di...sentire della musica?"
Lei annuì entusiasta: "Certo!"
Sorrise: "Bene, ti faccio sentire la mia canzone preferita"
"Davvero?" le chiese la bionda interessata: " Qual'è?"
"'Slow dancing in a burning room', di John Mayer. La conosci?" chiese cercandola sul cellulare.
Lei ci pensò un attimo: "No, in verità no..."
"Devi assolutamente allora, immagino ti piacerà".
Così avviò la canzone, lasciando che le lente e dolci note si diffondessero nell'aria tersa della notte.
Restarono in ascolto, in silenzio per un po', guardando il mare. Poi a Regina venne un'idea, e per quanto assurda e spropositata le potesse sembrare decise di non pensarci .  Si alzò e le tese una mano.
"Vuoi ballare?"
Lei sollevò lo sguardo, a dir poco meravigliata. E furono forse quelle stesse note, quella voce calda che parlava di un amore profondo quanto doloroso, prosperante tra le fiamme, in costante pericolo, a convincerla a non sprecare più un solo attimo della sua vita. Mai più uno solo.
Così prese la sua mano e si alzò. La testa le girò per un momento, mentre l'effetto del 'Mela avvelenata' iniziava a penetrare nel suo cervello, ma lo ignorò. Si lasciò trasportare al centro della spiaggia, ed in un momento si trovò a pochi centimetri da lei, la vita circondata dalle sue braccia in quel calore così piacevole. Le sue stesse braccia avvolte al suo collo.
Ci mise un secondo a mettere a fuoco, nella vista che iniziava ad offuscarsi, per l'alcol e per le mille sensazioni che sentiva invaderle il cuore e la mente, il suo viso, così vicino, i suoi occhi, che non smettevano di fissarla, le sue labbra perfette, che notò solo ora essere solcate da una piccola cicatrice. Sentì lo stomaco contrarsi dolorosamente a quella scoperta, in quella che potè definire in tutto e per tutto un'ondata di desiderio. Si morse il labbro, ancorandosi nuovamente ai suoi occhi, dove non trovò altro che un riflesso del proprio sguardo, liquida e dolce lussuria, che si perdeva nelle profondità di un baratro più grande, qualcosa di più importante, quello che le teneva connesse.
Si muovevano insieme, al suono cadenzato della canzone, a malapena, non sentendo il reale bisogno di nient'altro che guardarsi a vicenda e vivere quel momento con tutte le loro anime, immerse in una seconda dimensione, tenute strette dalle funi delle loro vite che si incrociavano in quella precisa frazione di tempo. Sempre più vicine, mentre tutto il resto scompariva, sempre di più, perchè nient'altro importava, per nessuna delle due.
E alla fine, o forse a quello che era solo l'inizio, il bruciore allo stomaco divenne troppo forte per essere sopportato un secondo di più. Così si avvicinò alle sue labbra, piano, quasi in trance, socchiudendo gli occhi, e nella lucidità sbiadita dall'alcol ebbe un solo secondo per domandarsi ancora una volta se non stava commettendo soltanto un grandissimo errore. Solo un secondo, perchè poi toccò le sue labbra.
E allora non rimase spazio per nient'altro, nella sua mente, nell'intero universo.
Quelle labbra, dolci, incredibilmente morbide, leggermente umide, che ricambiarono il suo bacio con la stessa intensità. E pensò di voler rimanere così per sempre, come se da esse prendesse la sua stessa essenza vitale, aggrappandosi al suo collo, sopraffatta da tutto quello. E per la prima volta sentì di essere dove davvero doveva essere.
La baciò ancora e ancora, senza mai staccarsi del tutto, finchè non rimasero entrambe ansimanti, a prendere fiato l'una poggiata sulla fronte dell'altra.
Emma si girò, dandole le spalle, senza liberarsi dalla stretta delle sue braccia intorno ai suoi fianchi, solo per poggiare la testa, reclinata all'indietro, sulla sua spalla, stringendosi in quell'abbraccio, posando le mani sulle sue. E allora lei la strinse di più, sapendo che era quello che voleva, quello di cui entrambe avevano bisogno. Ripresero ad ondeggiare lentamente, quasi cullandosi, al tempo della musica.
E Regina non potè resistere al richiamo di quel collo chiaro , di quelle spalle scoperte proprio sotto la sua bocca, di quella pelle di cui poteva definire i pori frementi di desiderio, dove scese a lasciare delicati baci roventi di un'incontrollabile voglia, ognuno capace di generare innumerevoli brividi lungo le spalle della bionda. Non si era mai sentita così prima, le sembrava di elevarsi oltre ogni conosciuta dimensione, di dissolversi quasi nella musica sempre meno udibile.
Sentì le sue mani, morbide, quelle mani perfette scivolare lentamente sotto la leggera camicetta di cotone, posandosi sul suo ventre, che si contrasse al primo contatto, offrendole il leggero rilievo degli addominali. Salire e fermarsi, appena sotto il seno, per tornare giù, con la stessa lentezza di prima, in quella carezza che pareva senza fine.
Le sentì disegnare la circonferenza dei suoi fianchi, appena sotto il margine dei jeans, con la punta delle dita, sentendo il leggero graffiare delle sue unghie laccate, che aizzavano un fuoco che divampava piano, dolcemente, al di sotto di quel sottile strato di pelle e carne.
Sospirò leggermente girando la testa verso la sua, in un improvviso quanto impellente bisogno di avere nuovamente le sue labbra. Fissò i suoi occhi, una muta richiesta nella lucidità che li ricopriva, nelle labbra socchiuse che cercavano le sue.
E Regina non potè fare altro che catturarle ancora una volta, dando loro quello a cui ambivano disperatamente, un bacio lento, lungo e dolce che si protese nel tempo, solcando le note calme della canzone, ancora sospese nell'aria, mentre Emma vi si aggrappava come fosse la sua fonte di vita, ancora una volta, l'acqua nel deserto, il sole sulla landa ghiacciata, tutto quello di cui aveva bisogno.
Si girò verso di lei nuovamente, iniziando a baciarla più avidamente, sentendo un nuovo impellente bisogno di vivere a fondo ogni momento, di sentirla più vicina, come se non fossero già separate solo dalla leggera barriera dei loro vestiti estivi. Strinse la sua maglietta tra i pugni, febbrilmente, come se temesse che lei potesse fuggire da un momento all'altro, approfondendo quel bacio, spingendosi verso di lei al massimo che le era possibile, mentre lei la accoglieva, cercando di darle sempre più spazio tra le sue braccia, nel suo petto, tenendola stretta in un abbraccio che non le concedeva nessuna via di fuga, che lei comunque non avrebbe cercato, perchè quella donna era la sua via di fuga., lo realizzò in quel momento.
E lentamente il contatto con la realtà iniziò a sbiadire, aiutato dall'effetto lieve che l'alcol aveva sulla sua testa. Prese i suoi polsi guidando le sue mani su di sé, invitandola a toccarla, forse pregandola, perchè alleviasse anche solo per un secondo, con il fresco delle sue mani, quell'insopportabile calore che le impregnava ormai ogni brandello di carne. Ma improvvisamente la sentì fermarsi. La sentì distaccarsi a fatica dalle sue labbra, cercando convulsamente di risalire dalla nuove profondità che quel bacio le aveva mostrato, nel suo petto, in cui l'aveva gettata, invitandola dolcemente ad andare sempre più giù.
Si era accorta, Regina, che quello era troppo. Che stavano per superare un confine troppo importante. Era insicura, si, quasi certa di star compiendo un altro degli innumerevoli sbagli della sua vita, lasciandosi trascinare così in profondità da quelle emozioni, da quella ragazza che conosceva da meno di un giorno, dal legame che sentiva si fosse creato con lei, straordinario, in così poco tempo. Ma aveva anche capito che, dopotutto, era pronta ad affrontare il rischio. Era una dolorosa consapevolezza quella che le diceva che, se anche le cose fossero andate male, se anche fosse stato tutto lì, tutto in quella notte, sarebbe riuscita a tirare avanti senza poi troppe difficoltà, perchè lo aveva fatto, una, troppe volte. Ma quello che non sapeva era se lei fosse davvero pronta. Se non fosse solo l'ebrezza del corpo a spingerla a farlo.
Certo, era stata con altri prima, senza preoccuparsi del se si trattasse di reale volontà o solo di un capriccio momentaneo,  la maggior parte di loro era stata solo un corpo di passaggio, il divertimento di una notte. Ma non doveva, sentì di non poter lasciare che fosse lo stesso con lei. Perchè quella ragazza era troppo pura, troppo bella per cadere in un simile errore. Perchè mai, mai avrebbe voluto che si pentisse di quello che avevano fatto, che si pentisse di lei.
Le prese il viso tra le mani, richiamando totalmente la sua attenzione.
"Emma...sei sicura che sia questo quello che vuoi?" chiese con il fiato corto per il bacio appena terminato, perdendosi nel verde, ora più scuro, delle sue iridi.
Lei la guardò a sua volta, in silenzio, per qualche secondo di terribile attesa. Poi annuì leggermente.
"Si...tutto"
Regina scosse la testa, non credendole.
"Ti prego, devi esserne davvero sicura. Non devi farti condizionare dall'alcol o da quello che vuole il tuo corpo ora. Fidati, è molto importante"
La guardava, emozionata come poche volte lo era stata, sull'orlo di un baratro. Da una parte, la convinzione di essere davvero quello che voleva, dall'altra, la preoccupazione di non esserlo, la preoccupazione che quello fosse un errore, che si sarebbe potuto rivelare madornale per entrambe, perchè ormai non poteva più nascondere a se stessa quanto ci tenesse, a quel contatto, a quella notte, a quella ragazza.
Ed in risposta, Emma annuì.
"Lo so. E ne sono sicura. Voglio te. Voglio che tu sia la mia prima."
Regina la guardò a bocca aperta, non nascondendo lo stupore a quelle parole.
"La tua prima? Io credevo che..." le chiese incredula.
Lei sorrise debolmente, lievemente imbarazzata. Certo, non era così che aveva immaginato la sua prima volta, su una spiaggia, con una sconosciuta, ma in quel momento capii che non poteva essere più perfetta di così. Il destino l'aveva messa davanti a quel punto della sua vita in quel momento, con lei. No, non il suo destino, lei stessa. L'aveva scelta, e questo era tutto quello che contava.
Scosse impercettibilmente la testa.
"La mia prima."
Regina restò a guardarla, in silenzio, senza sapere cosa dire, ancora sbalordita, da una parte ulteriormente scoraggiata, dall'altra ulteriormente rassicurata. Ma poi Emma riempì quel silenzio, troppo dolorante l'attesa.
"Ti prego... ne ho bisogno".
Si avvicinò alle sue labbra, sempre di più, quasi a rallentatore, mentre la canzone giunse al termine lasciandole nel silenzio.
Si fermò ad un centimetro da esse guardandola intensamente negli occhi, rendendola impossibilitata a muovere un singolo muscolo.
"Liberami" esalò.
E fu quanto bastò. Perchè non potè resistere a quella supplica. Non più.
Tutto ciò che potè fare fu portare una mano ad accarezzarle leggermente la guancia, avvicinando al suo quel viso d'angelo al confine del paradiso che chiedeva disperatamente l'inferno, per poi eliminare quell'ultima distanza, aprendogliene le porte.
Nuove note iniziarono a librarsi nell'aria: 'Firestone'
E sprofondarono insieme in quel fuoco bruciante di passione, i loro corpi uniti come unico bersaglio di quelle pietre  infuocate che le colpivano, proteggendosi ed esponendosi a vicenda a quel dolore, a quel calore lancinante, mentre l'unico impulso ancora rimasto in loro le spingeva l'una verso l'altra, eliminando quelle ultime barriere materiali che ancora le dividevano, con una dolcezza ed una sicurezza che fino a quel momento entrambe avevano ignorato di avere, dividendo solo per brevi attimi quelle labbra che avevano trovato il loro incastro perfetto. 
Quando si trovarono naturali, così come erano nate, nella forma di imperfetta perfezione senza maschera alcuna che ad ognuno viene donata, visibile per i più solo al principio della vita, Regina la accompagnò verso una grotta, una rientranza nella roccia a malapena visibile nel buio della notte, dove un telo le attendeva, pronto ad accoglierle come il buio, in quello che era stato il suo rifugio preferito per anni, e che ora avrebbe tenuto in se per sempre un ricordo unico e strordinario. Perchè mai avrebbe potuto smettere di ricordarle la morbidezza di quella pelle, le forme perfette di quel corpo con cui si era sentita a casa come non le era mai successo prima, che aveva distinto a malapena, bianco nella luce lunare, ma percorso come se già fosse marchiato a fuoco nella sua memoria. Respirò ogni suo sospiro, accolse ogni sua carezza, in una danza senza bisogno di maestri, che la lasciò senza fiato il più delle volte, ma piena di un nuovo sentimento che non avrebbe saputo descrivere, dritto nel suo petto, ad ogni scatto, ad ogni battito.
Giunse nella realtà di una nuova dimensione, superiore a tutto quello che aveva mai sperimentato, dove non fu solo il corpo a sentirsi bene, ma sopratutto l'anima. Ed in quel momento, fu sicura di star vivendo la notte migliore della sua vita.
E in quel tempo inaspettato ed unico, imparò ad amare il suo vero nome, sentendo il suo suono uscire da quelle labbra come petali di rosa tremanti al vento, ad un millimetro dal suo orecchio, come un dolce canto, un sussurro, una preghiera. E fu sicura che per nulla al mondo avrebbe voluto cambiarlo, perchè nessun altro nome sarebbe potuto suonare così bene sulle sua labbra.
Ed infine giacquero, strette l'una tra le braccia dell'altra, dopo aver saziato la loro fame di bellezza e di libertà, appagate come mai nulla le aveva fatte sentire nella loro vita.
Regina restò a guardarla addormentarsi, accarezzandole il viso e quei meravigliosi capelli, felice di vederle addosso un'espressione serena come non l'aveva mai vista, tornando lentamente a contatto con la realtà.
Quando il suo respiro divenne pesante si alzò a malavoglia e si rimise i suoi abiti, per poi tornare vicino a lei e ripiegarle il telo addosso, proteggendola dal fresco della sera. Le si sdraiò di fianco, rilassandosi, con la certezza che nessuno, neanche in quell'aurora che timorosa iniziava a tingere il cielo, sarebbe arrivato a quella spiaggia, per come era nascosta. Nessuno le avrebbe viste. Lasciò che il sonno la avvolgesse e la catturasse, senza chiudere mai gli occhi, volendo osservare fino all'ultimo istante concessole quell'angelo dormiente che era finalmente riuscito a spiegare le ali, pur avendole ora chiuse, e la cui presenza al suo fianco, lo sapeva, era insicura e volubile come un soffio di vento.
E il suo viso, ora illuminato dalle tenui sfumature rosa del cielo, fu l'ultima cosa che vide prima di addormentarsi.
 
 
Fu svegliata dalla luce del sole e da un vociare lontano che il suo orecchio attento percepì subito.
Aprì gli occhi, recuperando in un istante i ricordi, mentre un sorriso nasceva spontaneo sulle sue labbra.
Ma quando mise a fuoco l'ambiente intorno a lei, si ritrovò da sola.
Il sorriso si spense lentamente.
Ma certo.
Che stupida.
Cosa credeva, di ritrovarla lì, ad aspettarla, la mattina dopo? Cosa pensava di aver significato per lei?
Si accorse di una lacrima che, leggera, le stava rigando il volto.
La asciugò, inorridita da se. Cosa faceva, piangeva per una ...sconosciuta? Non era da lei, non poteva permetterselo. Aveva avuto una notte fenomenale, questo era certo, ma... non la migliore di sicuro. Era una ragazza carina, e sperava davvero che non si fosse pentita di quello che avevano condiviso, ma era tutto lì. Non c'era nulla di più.
Si alzò, raccogliendo la sua borsa risoluta. Il suo cellulare segnava le dodici. Sbloccando lo schermo lo ritrovò ancora fermo alla fine della playlist. Potè leggere il nome del brano, Firestone, per poi spegnerlo rapidamente tirando un rapido sospiro.
Doveva sbrigarsi, o non sarebbe stata pronta per il turno pomeridiano in tempo.
Così se ne andò da quella spiaggia, lasciandosi un ultimo sguardo alle spalle, che contro la sua volontà risultò nostalgico, prendendo la via meno frequentata che portasse alla sua casa.
Insieme a quello sguardo seppe di star lasciando lì una parte di sé.
 
 
Ed eccola nuovamente lì quel pomeriggio, dietro quel bancone, in comodo abbigliamento da lavoro, in quei jeans che ora le sembravano troppo stretti e quella maglia, che sentiva troppo larga.
Roni era di nuovo lì, a fare ciò che le riusciva meglio, preparare cocktail che offuscassero la ragione e dessero serenità od euforia a qualcuno. Chiunque. Nessuno.
 Nessuno.
Sforzatasi con tutte le forze di tenere Emma fuori dalla sua mente, era più che felice di avere così tanti clienti da non potersi concedere un attimo di pausa.
Una birra a sinistra, una vodka a destra...così volava il pomeriggio, così scorreva la sua vita.
Tutto era di nuovo normale, come doveva essere e sempre sarebbe dovuto restare.
E quei sogni che solo la sera prima erano sembrati così vicini, erano ora solo un pensiero lontano, rinchiuso in un cassetto.
Eccola di nuovo lì, la sua normalità: i sogni infranti.
Puliva un bicchiere con più perizia del necessario, per concentrarsi ancora, svolgendo al meglio il suo lavoro, quando la sagoma di una cliente poco distante richiamò la sua attenzione. Non alzò lo sguardo su di lei. Come un automa registrò la sua presenza, come già decine di volte quel giorno aveva fatto, centinaia, negli anni addietro.
"Si?" ripose finalmente il bicchiere.
"Un mojito"
E rimase immobile, trafitta da una lancia al petto, da quella voce che aveva rotto le barriere del suono, ed insieme zittito tutte le altre.
E da quella ferita, da quella fessura, entrò in lei nuova luce, che risalì fino al suo volto.
Un sorriso crebbe sulle sue labbra, mentre alzava la testa e con essa lo sguardo, lentamente.
E fu sicura che la luce del sole avesse brillato più forte nel momento in cui vide, su quel volto di fronte al suo, tremendamente familiare, quello stesso sorriso.
 
 
 
 
 
 

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