Cervello babbano, cuore da Strega

di Kylu
(/viewuser.php?uid=474383)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Reparto Lesioni da Creature ***
Capitolo 3: *** Commissione d'Ispezione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La luna piena era alta nel cielo quella notte. Brillava talmente forte da rendere visibile ogni dettaglio di quell’odiosa visione babbana. 

Appoggiata al davanzale, una ragazza pallida e dai lunghi capelli ricci fissava la triste porzione di mondo visibile dalla finestra della sua camera.

Grigia, ecco com’era: grigia ed inutile. Si ritrovò distrattamente a pensare che quella vista rispecchiasse esattamente come si sentiva lei in quel momento, e praticamente tutti i giorni della sua monotona vita: inutile e completamente, irrimediabilmente, nel modo più assoluto babbana.

Che poi, il fatto che i due aggettivi - babbana e inutile - fossero dal suo punto di vista così strettamente collegati era un dettaglio non trascurabile.

Kathleen Aster sbuffò, portandosi dietro ad un orecchio una ciocca ribelle che non ne voleva sapere di starsene al suo posto.

I suoi capelli: l’ennesima fonte di odio verso sé stessa e di autocommiserazione spesso malcelata da sbuffi e nervosismo perpetuo. Eppure, quei boccoli (okay, chiamarli boccoli era giusto un po’ una presa in giro, considerato che disordinati e indomabili sembravano un eufemismo) rossi ramati -rossi ramati un par di pluffe si corresse la ragazza, semmai di un patetico arancione flou che poteva essere usato da semaforo nelle strade babbane- erano l’unica cosa che, in qualche modo, sembrava legarla al mondo cui tanto agognava: il suo era un rosso-Weasley, o comunque ci andava vicino.

Un mondo che non avrebbe mai avuto niente a che fare con lei, ma al quale lei continuava a pensare, sul quale fantasticava ad occhi aperti ogni dannato giorno della sua dannatissima vita dannatamente babbana.

Perché, che Kathleen fosse babbana, non c’erano dubbi.

Vita più che ordinaria (per quanto i suoi continui sogni ad occhi aperti lo permettessero), famiglia che si distingueva unicamente per la sua eccessiva severità, nessun aneddoto della sua infanzia o prima adolescenza a provare quel suo agognato essere speciale. Scuola babbana, vestiti babbani, casa babbana, e – la cosa le provocava una repulsione verso sé stessa inimmaginabile – cervello babbano.

Eppure, c’era qualcosa che distingueva Kathleen Aster da tutti i suoi simili.

Lei credeva.

Perché ormai la vita e le infinite vicissitudini di Harry Potter erano note all’intero mondo non magico, rese di dominio pubblico grazie ad una serie di romanzi che tutti – ma proprio tutti – avevano considerato come un qualunque altro libro fantasy, ben strutturato e ricco di colpi di scena, uno di quei libri esemplari nel suo genere, che non permette di scollare gli occhi dalle pagine, ma pur sempre un qualunque, comunissimo libro babbano abbondantemente farcito della fantasia di una scrittrice un po’ fuori dalla norma.

E invece, a discapito della sua mente altrimenti razionale e di saldi, scientifici principi, Kathleen credeva.

Era cresciuta con quei libri – a parere suo, l’unica sana idea dei suoi genitori nel corso della sua esistenza era stato insegnarle a leggere a quattro anni e averle ficcato un libro di Harry Potter tra le mani fin da piccolissima, aprendole un mondo. Un mondo di sogni e fantasie infantili, che era andato mano a mano a concretizzarsi in convinzioni che solo dopo anni di prese in giro aveva imparato a tacere ad amici, parenti e conoscenti.

Ora, a sedici anni, la giovane Aster appariva come una normalissima ragazza di città, una cittadina relativamente piccola, vicino a Londra.

Non importava che, sotto gli occhi calcolatori della gente, celasse un vero cuore da Strega. Un cuore che apparteneva all’altro mondo. Quello dove la gente girava con bacchette magiche, gufi in gabbia, lunghi mantelli e strane monete in tasca.

Kathleen soffiò l’ennesimo sbuffo. Le quattro di notte. Riuscire a chiudere gli occhi ed addormentarsi, neanche a parlarne. Fortuna che era estate, e la mattina successiva avrebbe potuto recuperare qualche ora di sonno.

Fece per scostarsi dal davanzale al quale era stata appoggiata per un tempo infinitamente lungo e per chiudere la finestra, lanciando un’ultima occhiata sconsolata all’esterno.

E fu in quel momento che li vide.


Scivolavano lenti lungo il marciapiede di fronte, rapidi, silenziosi, strisciando appena i lunghi mantelli grigi sull’asfalto.
La brezza calda di quella notte estiva si estinse immediatamente.

I lampioni sembrarono balbettare un paio di volte prima di spegnersi definitivamente, uno ad uno, come fiori che, senza più radici, appassissero all’istante.
Kathleen avvertì un lungo brivido percorrerle la schiena.

Dissennatori.


Quella parola occupò per qualche istante tutto lo spazio della sua mente già offuscata dal terrore.

Dopo qualche attimo realizzò quasi contemporaneamente due fatti ugualmente sconcertanti: in primo luogo che lei, una babbana qualunque, era in grado di vedere i dissennatori. E poi…

Con un brivido di puro panico e assoluta sorpresa, si rese conto che quei due dissennatori si stavano dirigendo… non era possibile, stavano andando verso di lei?

Kathleen chiuse gli occhi e scosse la testa con forza. Possibile che si fosse fatta prendere così tanto da un altro dei suoi stupidi sogni, o incubi, ad occhi aperti?

Fu in quel momento arrivò il gelo.

Una coltre di ghiaccio parve ricoprire ogni suo muscolo, ogni osso, impedendole qualsiasi movimento o pensiero. Era un gelo così assoluto che non sembrava neppure sottrarre calore, ma bruciare la sua pelle, la sua carne, fino a raggiungere i nervi ed espandersi con lunghi brividi e sussulti incontrollabili.

La ragazza riaprì gli occhi, lentamente.

Le erano di fronte.

I respiri pesanti e il cappuccio scuro a celarne le orripilanti fattezze, sembravano assaporare il momento, pregustare l’istante in cui le avrebbero tolto tutto, i pensieri felici, i ricordi, l’anima. Lasciandola come un guscio senza nocciolo.

E poi a Kathleen parve come se avessero iniziato a scavarle dentro, lasciandole sempre maggiori cicatrici, sempre più profonde, mentre violavano la sua mente e il suo cuore, strappando tutto ciò di cui potevano cibarsi.

Che senso aveva lottare, se tutto ciò per cui viveva sembrava essere andato in fumo, letteralmente divorato da quelle creature orribili?

Quasi sorrise nel pensare che fino a qualche minuto prima avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per avere un qualunque segno del fatto che in fondo non fosse completamente pazza, che il mondo magico esistesse davvero.

A quel pensiero non proprio felice, ma con un pizzico del suo vecchio sarcasmo, i due esseri incappucciati sembrarono ritrarsi un attimo, come confusi.

E allora lei ricordò, in qualche angolino della sua mente annebbiata, che c’era un modo per sconfiggerli, bastava che… ma lei non aveva una bacchetta, e per di più non era una strega… non era nessuno… sarebbe stato meglio morire lì, in quello stesso istante…

I dissennatori avevano ricominciato a prosciugarla di ogni barlume di speranza.

Ma poi notò un’altra cosa. Quelle due… cose, sembravano divertirsi. Divertirsi, si, nel guardare i suoi vani tentativi di resistere. E questo la fece infuriare. Non era un pensiero allegro, né un ricordo gioioso, ma era una fiammella abbastanza forte da potervisi aggrappare, nel nulla bianco e lattiginoso dove stava sparendo la sua coscienza.

E un altro pensiero le attraversò la mente: i suoi genitori. I suoi genitori, e il fratello, che dormivano nelle stanze attigue, ignari della tragedia in corso.

Non poteva permettere che si avvicinassero a loro. Ma come attirarli fuori da lì? La porta della camera era da escludere, sarebbe servita solo a dare loro ulteriore accesso alla casa. Ma allora…

Realizzò in un attimo quale fosse l’unica soluzione. E si sentì pazza, idiota, terrorizzata, e poi ancora disgustata da sé stessa per la propria paura, quando c'era in gioco la salvezza di altre persone... 

Il problema non è la caduta, ma il saper atterrare…

Decise in una frazione di secondo.

E un attimo prima che il dissennatore più vicino si togliesse il cappuccio per rivelare l’ultima immagine che la ragazza avrebbe ricordato, Kathleen si tuffò in avanti, verso la finestra ancora spalancata, e semplicemente volò, volò per quelle che le parvero lunghe giornate di sole.
 
E poi arrivò l’impatto. Per una frazione di secondo non sentì nulla, solo il rimbombo dello schianto contro la stretta striscia di giardino sotto la finestra.

Solo dopo arrivò il dolore, così intenso che Kathleen non avrebbe mai potuto immaginarlo. Non era un’esperta di pronto soccorso, ma era quasi sicura di essersi appena rotta metà delle ossa che aveva in corpo.

Sentendosi la stupida eroina di un film troppo complicato per lei, scacciò nuovamente la paura in fondo alla pancia, per farci i conti una volta che tutto fosse finito, e si tirò su.

Non riusciva a stare in piedi dritta, doveva trattenere urla di dolore ogni volta che la gamba destra toccava il terreno, ma cominciò ad avanzare, prima lentamente, poi sempre più velocemente man mano che imparava l’arte del non ascoltare le stilettate di dolore del proprio corpo e continuare ad andare avanti. Un passo dopo l’altro.

Presto se li sentì nuovamente alle spalle. Sempre così rapidi, così odiosamente silenziosi, appena un fruscio di stoffa a tradire la loro presenza.

E poi, quando i dissennatori ormai avevano guadagnato così tanto terreno su di lei da sentirne il fiato sul collo, Kathleen cadde in avanti, le gambe che non potevano più reggere il peso di quel corpo scosso da sussulti di dolore e singulti appena trattenuti.

Due mani viscide e bianche come la morte comparirono di fronte a lei da sotto uno dei mantelli neri, e le serrarono la gola in una morsa di ghiaccio e acciaio.

Ormai quell'essere immondo era a pochi centimetri da lei, e la ragazza perse ogni voglia di lottare.

Rimase un unico pensiero: “Fa’ che finisca presto”.

E proprio nell’istante in cui vedeva il cappuccio del dissennatore abbassarsi, e il suo volto – se volto si poteva definire - accostarsi con esasperante lentezza al suo, nell’ormai semi incoscienza Kathleen scorse un lampo di luce bianca, pura, il grido di un paio di parole che le risultavano familiari.

Di colpo la stretta sul suo collo si allentò e poi sparì definitivamente, come sciogliendosi sotto quel caldo bagliore.

Cercò la forza di alzare la testa, guardarsi attorno, capire.

Girò la testa di qualche centimetro, ma tutto si stava facendo sempre più sfocato… La gamba destra e la testa le pulsavano più che mai…


Cadde nel buio e nel silenzio, accogliendone la pace come una manna dal cielo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Reparto Lesioni da Creature ***


Le sembrava di essere immersa nell’ovatta.
 
Udiva solamente dei suoni confusi, indistinguibili. Percepiva la morbidezza delle coltri sotto e sopra di sé che l’avvolgevano in un abbraccio rassicurante e protettivo. Il buio dietro le sue palpebre era assoluto, denso e opprimente.

Era appena cosciente del fatto che, da qualche parte, il tempo scorresse normalmente, il sole splendesse nel cielo e le persone si affaccendassero nelle loro vite frenetiche. Ma lei non riusciva a trovare un punto d’appoggio grazie al quale poter uscire da quel limbo, da quel torpore che la costringeva all’immobilità.


Dopo un tempo che le parve infinito, finalmente nell’oscurità della sua mente si aprì uno spiraglio di luce, come se dalla volta della grotta in cui era precipitata fosse stata rimossa una pietra.
 
Pian piano riprese la coscienza di sé, e con la percezione del mondo esterno arrivò il dolore, intenso, ingestibile. Non era limitato ad un punto preciso, ma pervadeva ogni singolo osso e muscolo del suo corpo, impedendole di respirare normalmente o di imbastire un pensiero coerente.

“Sta riprendendo coscienza. Datele un altro calice di pozione e portatele una bella dose di cioccolato. Vado a chiamare un Medimago...”

Pozione? Medimago? Ma cosa...

Tutto d’un tratto le piombarono addosso i ricordi della vicenda che aveva vissuto.

La nottata tranquillamente noiosa interrotta dall’apparizione di quelle spaventose figure ammantate che scivolavano lungo la strada verso di lei, il volo dalla finestra per attirarli lontano dalla famiglia, la dolorosa caduta e la disperata fuga lungo la strada, fuga ben presto bloccata da quegli esseri orribili, e la sensazione di venire svuotata finché… finché? Quella luce, calda e rassicurante. Un patronus… Doveva essere stato un Patronus a salvarla!

Si sforzò di aprire gli occhi. Per un pezzo vide tutto bianco, poi il mondo riprese lentamente i suoi colori.

Era sdraiata su un lettino da ospedale con una leggera trapunta candida a coprirle il corpo e un morbido cuscino a sostenerle la testa. Alzò leggermente il capo per esaminare l’ambiente che la circondava. Altri lettini uguali al suo, due di lato e tre di fronte. Uno di essi era occupato da una figura quasi completamente ricoperta da fasciature.

Non fece in tempo a visualizzare altri dettagli del luogo perché in quel momento la porta in fondo alla stanza si aprì e un uomo dall’aria seria e compita vestito di un lungo camice verde acido fece il suo ingresso, una targhetta professionalmente appuntata al petto: Guaritore Stephen Prow.
 
Era alto e robusto, con i lunghi capelli castani ad incorniciargli il volto e due grandi occhi dai riflessi ambrati fissati quasi torvamente su di lei.

“Stephen Prow, suo Guaritore durante il suo ricovero al San Mungo” si presentò con voce tranquilla e baritonale, senza l’accenno di un sorriso.

Pozione. Medimago. Guaritore. Camice verde acido. Kathleen notò un simbolo ricamato su quella stoffa verde: una bacchetta ed un osso incrociati.

“Sono… al San Mungo” balbettò con voce incerta, pronunciando le prime sillabe da quando si era svegliata.

Neanche a quelle parole il Guaritore si aprì in un sorriso. “Reparto Lesioni da Creature, primo piano, per essere precisi” replicò asciutto. “In realtà non sapevamo bene dove metterla. Il punto è che non sappiamo bene... cioè, in realtà non sappiamo neanche chi, anzi cosa diavolo è lei! Ma di questo, ehm, parlerà meglio con chi di dovere. Intanto beva questo e stia zitta. È una nuova versione di Ossofast, ancora più veloce del classico. Beva, ho detto” le intimò Prow.

La ragazza ingurgitò il contenuto di una boccetta di vetro tutto d’un fiato. Aveva un sapore disgustoso. Al contrario dell’apparente gelo di quella sostanza liquida e di un particolare rosso aranciato, però, Kathleen si sentì come riscaldata, rinvigorita, e una scarica di energia le attraversò le membra. Quando ebbe finito il Guaritore, sempre osservandola con occhio critico, estrasse un lungo bastoncino di legno scuro e lo mosse con un leggero movimento del polso.
Un paio di secondi dopo, un vassoio stracolmo di pezzi di cioccolato sfrecciò nella stanza attraverso la porta ed andò a posarsi sul comodino accanto al letto di Kathleen.

La giovane Aster rimase semplicemente a bocca spalancata, non trovando la forza neanche per distogliere lo sguardo da quella che, si rese conto in quell’istante, era una vera e propria bacchetta

Prow dovette accorgersene, perché, infastidito, la ripose frettolosamente in tasca e con un brusco cenno del capo ordinò alla ragazza di cominciare a mangiare. Lei non se lo fece ripetere due volte e si avventò su quella delizia. In pochi minuti spazzolò via tutta la cioccolata, non curandosi di sporcarsi mani, bocca e naso come una bambina. Per tutto il tempo, il Guaritore rimase a fissarla in silenzio, severamente, come disapprovando il suo comportamento così puerile.

Finito di mangiare Kathleen si ridistese sul letto, esausta come dopo una lunga corsa.
 
Le sembrava che la vita le stesse sfuggendo di mano. Troppi fatti erano avvenuti nelle ultime ore.
 
Si sentiva così stanca, così spossata… E troppo confusa per rendersi conto che tutto quel che era accaduto, era realmente accaduto.

“Oh, non si rilassi troppo, ha visite, signorina…”

“Aster. Kathleen Aster”.

“Detto francamente, signorina Aster, il suo nome qua dentro non importerà a molte persone. L’unica cosa che conta è capire cosa e come…” e con questa nota enigmatica il Guaritore si congedò con fare teatrale, lasciando però aperta la porta della stanza.

Kathleen si prese qualche secondo per osservare l’altro paziente del reparto. Sotto le bende si riuscivano a distinguere dei lineamenti da ragazzo, giovane e anche piuttosto attraente. Capelli lunghi, neri e ricci, pelle scura.

È stato aggredito da qualcosa che pensano possa essere un Inferius, ma non ne sono certi, e lui per il momento non è in grado di ricordarlo” disse una voce vicino alla porta.
 
Kathleen si tirò su a sedere di scatto e si girò verso l’uomo che aveva parlato.

Era magro e non troppo alto, ma dal fisico evidentemente agile e allenato. I capelli corvini erano parecchio disordinati e gli scendevano sulla fronte fino a coprirgli gli occhi, di un verde stupefacente, cerchiati da piccoli occhiali rotondi.
E sulla fronte, proprio sotto quel groviglio di capelli…

“Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile!” Kathleen chiuse gli occhi e si portò le mani davanti alla faccia.
 
Harry Potter si avvicinò al letto della ragazza e si sedette sul bordo, girandosi verso di lei e scostandosi i capelli dalla famosa cicatrice a forma di saetta. La scrutò da dietro le lenti, ricordando molto il modo di osservare le persone del vecchio Albus Silente. 
 
Era una ragazzina abbastanza comune, constatò: corporatura media, altezza media, pelle chiara. Ma quei capelli… quei capelli erano davvero incredibili. Persino più disordinati dei suoi, sembravano formare una vera e propria criniera infuocata dietro la quale la ragazzina poteva nascondere le proprie fragilità.
 
Sorrise e la guardò con dolcezza. Come doveva essere difficile per lei venire strappata dalla propria vita comune e ritrovarsi in un mondo che doveva esistere solo nei libri…
 
“Va tutto bene… Kathleen, giusto?” disse con voce calma e tranquillizzante. La giovane Aster riuscì ad annuire. Poi tolse le mani dal viso, si sistemò meglio i cuscini dietro alla schiena per stare dritta e si sforzò di guardare quella leggenda umana negli occhi.

Era ormai un uomo di mezz’età, ma non aveva perso quell’aria da ragazzino simpatico, un po’ timido ma furbo, che lo contraddistingueva. Era simile, davvero molto simile all’attore che lo aveva impersonato nei film.

“Bene, Kathleen… So che ti senti ancora molto stanca e giù di corda, ma avrei davvero bisogno di sapere un paio di cose. Non so se lo sai, ma io sono a capo dell’ufficio Auror del Ministero della Magia. Diciamo che ho ottenuto di esentarti da una tanto infinita quanto inutile udienza al Wizengamot - ehm, il tribunale supremo dei Maghi – in cambio di una tua spontanea… Diciamo un tuo racconto dettagliato di chi sei, da dove vieni e cosa esattamente è successo due sere fa, durante l’attacco dei dissennatori." Spiegò Harry. Fece una pausa, come per lasciare il tempo alla ragazzina di assimilare quanto aveva detto.
 
 "Il tutto sarà registrato direttamente dal ministero in modo da poter essere esaminato in seguito da Psicomaghi specializzati e altra gente del genere” continuò, “E sempre che tu sia d’accordo… L’alternativa, però, sarebbe importi un bell’incantesimo della memoria e riportarti a casa, ma ho come l’impressione che questa opzione non ti piacerebbe” concluse Harry con un mezzo sorriso.

Due sere fa… significava che aveva passato due giorni nel mondo magico, senza dare notizie alla sua famiglia, senza sapere come stessero…
 

“I miei genitori? Mio fratello?” chiese, improvvisamente angosciata.

“Stanno tutti bene. Da quello che mi è sembrato di capire durante il sopralluogo, ti sei gettata dalla finestra per allontanare i Dissennatori da loro. Sbaglio?”
 
Kathleen scosse la testa.
 
“Per ora sono sotto un Confundus che evita loro di preoccuparsi per te, e saranno in questo stato finché non si deciderà… il da farsi”.

La ragazza annuì, rassicurata.
 
Harry la fissò attentamente, in attesa, le domande sottointese sospese tra loro. Vide Kathleen chiudere gli occhi e sospirare un paio di volte. Estrasse la bacchetta e mormorò un Incantesimo di Registrazione.
La giovane Aster cominciò a raccontare. Raccontò della sua vita fino a quel momento, delle sue convinzioni, di quel mondo babbano che le stava stretto, del suo modo di essere diversa. Poi parlò di quella notte, una come tante altre passata insonne alla finestra, almeno fino all’arrivo di quelle terribili creature che sembravano essere spuntate da uno dei suoi incubi. E poi la fuga disperata, il dolore, la sensazione di essere svuotata. Infine, quella luce calda e rassicurante, e il buio dell’incoscienza.

Harry rimase ad ascoltare in silenzio fino alla fine quel fiume di parole che usciva dalla bocca della ragazza. Solo alla fine pose un’unica, semplice domanda.

“Il patronus… Non hai idea di chi possa averlo evocato?”

Kathleen scosse la testa, abbattuta.

Harry sorrise. “Tranquilla, non ci aspettavamo il contrario… Ma è di assoluta, vitale importanza scoprire questo punto della vicenda. Perché già è terribilmente sconvolgente che due Dissennatori si addentrino in un sobborgo babbano senza alcuna apparente ragione – nessuna presenza di maghi, niente del genere – ma che un mago si trovi lì, pronto ad intervenire e salvare la situazione… E ultimo, ma non meno importante, c’è da considerare il fatto che tu sia stata in grado di... di vedere. E questo – che tu possa vedere i Dissennatori e che loro abbiano scelto proprio te come vittima – non pensiamo sia un puro caso. Indagheremo” concluse Harry.

La ragazza annuì lievemente, più confusa di prima. “Ma come può essere possibile? Come posso… Come ho potuto vederli? Io sono… Voglio dire, sono solo una babbana. Tutto questo non ha senso” continuò a bofonchiare tra sé. Harry sorrise con tenerezza.
 
“Che tu sia solo una babbana penso sia da escludere, a questo punto. Non trovi?”
 
L’uomo si alzò dal bordo del letto e si passò una mano fra i capelli. “Per ora ti lascio riposare. Tornerò domani per comunicarti di persona quello che si sarà deciso riguardo te e ciò che è successo.” disse, sorridendo di nuovo. Kathleen ricambiò con un sorriso incerto. Era spaventata, disorientata, ma avrebbe tanto voluto dire a – le sembrava ancora impossibile riuscire a crederci – a Harry Potter quanto fosse stato meraviglioso poterlo conoscere. Avrebbe voluto ringraziarlo per essere stato così gentile con lei, riservandole lo stesso affetto di un padre nonostante non la conoscesse nemmeno.
 
Lo guardò in silenzio avviarsi verso la porta con un ultimo cenno della mano.
 
 “Riprenditi in fretta, mi raccomando!”
 
E con questa nota allegra la più grande leggenda di tutto il Mondo Magico uscì dalla stanza, lasciando Kathleen in preda a milioni di pensieri.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Commissione d'Ispezione ***


La giornata non era cominciata nel migliore dei modi.

Kathleen si era svegliata a causa del dolore a diverse ossa del corpo e di un’emicrania incredibilmente forte che sembrava martellarle la testa.

Dopo una colazione leggera e veloce servitale insieme ad un’altra dose di pozione da un Medimago decrepito che a stento si reggeva in piedi, Kathleen, ancora completamente stordita dal sonno e dall’abbondante dose di medicina, era stata portata in un'altra stanza, dove una serie di Maghi dall’aria cupa vestiti di lunghe vesti blu notte l’avevano esaminata a forza di incantesimi bofonchiati, colpi di bacchetta e domande su domande.
 
La trattavano come se fosse stata una via di mezzo tra una pericolosa portatrice di malattie contagiose e uno Schiopodo Sparacoda, ripugnante e pericoloso in tutte le sue parti.

Kathleen si era sforzata di rimanere immobile mentre scintille colorate, vapori, piccole scosse e lampi le percorrevano il corpo. Si era sforzata di rispondere educatamente a tutte le domande - tra le quali alcune dal suo punto di vista completamente insensate – e sempre con enorme sforzo si era trattenuta dal mandare a quel paese i maghi che, riuniti a gruppetti di due o tre aspettando il proprio turno per esaminarla, le parlavano alle spalle insultandola velatamente per quello che era – o meglio, quello che non era.
 
Questo fatto l’aveva delusa profondamente. Era convinta che dopo la caduta di Lord Voldemort tutto quel pregiudizio nei confronti dei nati babbani, inutile e controproducente per lo stesso mondo magico, fosse stato estirpato insieme alla convinzione della superiorità dei Purosangue.

Ora, dopo quelle che le erano parse ore interminabili, i Maghi (Medimaghi d’Ispezione, così li aveva chiamati il guaritore Prow) si stavano allontanando da lei, appellando o facendo comparire sedie e poltroncine per accomodarsi e discutere, sempre a bassa voce. Kathleen rimase in piedi, la sensazione di essere una cavia da laboratorio sempre più impressa nella mente.
 
“Signorina Kathleen Aster” esordì alzandosi una strega molto alta dall’atteggiamento solenne e lo sguardo severo. Kathleen si ritrovò a pensare che, per lo meno, si era presa la briga di informarsi riguardo il suo nome.
“Presente” rispose con sarcasmo. Era stanca, nervosa, voleva solo uscire di lì il più presto possibile.
 
La donna la ignorò. “Lei conferma di non aver mai avuto, prima dell’attacco dei Dissennatori di tre giorni fa, alcun tipo di contatto con il Mondo Magico?”
 
“Lo confermo” sbuffò Kathleen.
 
“Conferma di non aver mai dato segno di possedere doti magiche?”
 
“Penso che me ne ricorderei, lei non crede?”
 
“Si limiti a rispondere alle domande” la fulminò la donna. Kathleen strinse le labbra. Si limiti a non guardarmi come se fossi uno spiacevole incidente, avrebbe voluto rispondere.
 
La donna continuò. “Conferma di non aver mai saputo dell’esistenza del Mondo Magico prima di tre giorni fa?”
 
Katleen la osservò dal basso in alto, in imbarazzo. “Veramente, ecco, ci sono dei libri che parlano del vostro mondo, immagino lo sappiate. E io, uhm, ci credevo… abbastanza”
 
La donna inarcò le sopracciglia, soppesandola con lo sguardo. “Lei credeva nel nostro mondo prima del giorno dell’attacco?”
 
“Già”
 
“Questa è tutta strana” sentì un Medimago dai capelli e dalla barba argentati borbottatare al suo vicino. Kathleen si girò a lanciargli un’occhiataccia. Ma ormai tutta la stanza era vibrante di commenti più o meno sussurrati, occhiate curiose nella sua direzione, chiacchiericcio concitato.
 
Per essere maghi così importanti, si ritrovò a pensare Kathleen, la loro discrezione era notevolmente scarsa.
 
Passavano i minuti. Kathleen restava lì, in piedi, senza nulla da fare se non pensare con nostalgia al suo letto nel reparto qualche piano più giù.
 
“Kathleen ora è stanca” annunciò, dondolando sulle gambe e accennando un mezzo sorriso di commiato. “Vi ringrazio per la vostra attenzione” aggiunse, per poi uscire e chiudersi la porta alle spalle. Nessuno la fermò.
 
 

Kathleen si sedette sul letto, sbuffando.

Avrebbe avuto bisogno di un paio d’ore di solitudine per assimilare tutto ciò che stava accadendo. E magari una doccia fredda. O semplicemente, qualcuno con cui confidarsi.

Sospirò per l’ennesima volta quel giorno e si sdraiò sulla coperta, chiudendo gli occhi.

“Non devi prendertela con loro. Ho visto come ti hanno trattata, so che non sono stati carini per niente. Però devi capirli… tu sei qualcosa di completamente fuori dalla norma. Non sei una Strega, ma non sei neanche una Nata Babbana. Non sembri avere doti magiche, ma sei riuscita a vedere i Dissennatori, e reagisci a cose che non… a cui non dovresti nemmeno credere! Sei un caso unico. Quindi non ti capiscono. E loro odiano non capire le cose”.

La ragazza si tirò su con uno scatto, ritrovandosi davanti il ragazzo bendato del letto vicino al suo.

Da sveglio era ancora più bello di come le era sembrato da incosciente. Aveva degli occhi verdi chiarissimi, trasparenti, e un sorriso che sembrò scaldarle il cuore più di un Patronus.

Il ragazzo continuò a sorriderle divertito, porgendole una mano bendata. “Sono Nicholas Jaks, piacere. Tu sei Kathleen Aster” la anticipò. “È utile poter far finta di essere incosciente” aggiunse con un occhiolino.

Kathleen si sentì avvampare. Non aveva ancora detto una parola, eppure il ragazzo non sembrava turbato, anzi. Gli strinse la mano piano, temendo di fargli male, non sapendo bene che genere di ferite si nascondessero sotto la fasciatura immacolata.

“Allora, Kathleen. Come stai? Ancora scombussolata per l’attacco dei Dissennatori, immagino…”

La ragazza si sforzò di ricordare come si faceva a parlare, ancora persa nel sorriso di Nicholas.

“Ehm, si, ecco… io, beh, cioè, si” balbettò.
 
Il ragazzo trattenne a stento uno sbuffo divertito.

“Ei, calmati, ti giuro che non ti affatturo! Volevo solo scambiare due parole dato che da quando sei qui non hanno fatto altro che trattarti come una cavia da laboratorio… In ogni caso, io ho diciassette anni e frequenterò il settimo anno a Hogwarts… se Merlino me lo permetterà” aggiunse alzando gli occhi al cielo, alludendo alle proprie pessime condizioni fisiche.  “Probabilmente ci si beccherà in giro a Hogwarts… anzi, senti, so che non ci conosciamo e tutto, però se avrai bisogno di una mano io ci sarò, okay? Ultimo anno e Corvonero: combinazione vincente per il perfetto secchione” scherzò con l’ennesimo sorriso sulle labbra.

Kathleen realizzò ciò che le aveva detto con qualche secondo di ritardo, presa com’era da quegli occhi smeraldo.
 
“Scusa. Hai detto… Hogwarts?” chiese con voce incerta, spalancando gli occhi.

“Non dirmi che non sai cos’è…” cominciò il ragazzo, incredulo.

“Ovvio che so cos’è! È la più rinomata scuola di Magia e Stregoneria di tutto il mondo!” lo interruppe la ragazza. “Ma il punto è… io? A Hogwarts? Io sono solo una stupida, inutile e comune babbana!”

A queste parole Nicholas scoppiò a ridere, appoggiandosi al letto della ragazza per tenersi in equilibrio, che faticava a mantenere per via delle gambe bendate. A quella vicinanza la ragazza arrossì nuovamente e girò il capo dall’altra parte.

“Tu, una stupida, inutile e comune babbana? Ei, hai idea di quanti non-maghi siano stati fatti entrare qui dentro senza essere sotto un Confundus o un bell’Oblivion nel corso dell’intera storia del San Mungo? Nessuno, prima di te. E quanti babbani sono in grado di vedere i Dissennatori? O semplicemente… quanti babbani credono nel nostro mondo? Si, Kathleen, nostro nel senso di mio e tuo. Tu appartieni decisamente a questo mondo. O non saresti qui, ora” affermò il ragazzo.

Kathleen deglutì a vuoto.

“E per la questione di Hogwarts… quale luogo migliore per tenerti sotto controllo, studiarti e testare le tue capacità, lasciandoti però interagire normalmente con ragazzi della tua età, imparando a vivere come tutti noi e abitando in un luogo tanto magico quanto sicuro? Entro oggi ti troveranno una sistemazione momentanea fino al primo settembre. Dopo di che… Hogwarts! O almeno” aggiunse in fretta, “Sempre che tu lo voglia, ecco. Perché vedi, so essere abbastanza convincente, e potrei, come dire, parlare con chi di dovere. O farci parlare mio padre” e qui fece una smorfia.

La giovane Aster non riusciva a credere a quello che le stava succedendo.
Hogwarts… Quel nome letto così tante volte durante la sua vita babbana, eppure mai contemplato interamente. Se fino a quattro giorni prima le avessero detto che si sarebbe ritrovata al San Mungo con uno studente di Hogwarts a parlare del suo futuro nel Mondo Magico…
 
“Tuo padre?” chiese tornando con i piedi per terra.
 
“Si, lui, ecco, diciamo che ha una grande influenza”
 
“Su cosa?”
 
Nicholas distolse lo sguardo. “Su tutto.”
In un attimo recuperò il sorriso e le diede una leggera pacca sulle spalle.  “Ora vado a far finta di dormire… se arriva il Medimago e mi vede in piedi a chiacchierare, mi uccide, e addio ultimo anno a Hogwarts! È stato un piacere conoscerti… Se dovesi avere voglia di fare quattro chiacchiere, girati di qualche grado verso la tua destra e troverai un interlocutore sempre pronto all’ascolto” concluse scherzosamente il giovane, dopo di che sparì dalla sua visuale, lasciandola finalmente sorridente per la prima volta dopo quella sera spaventosa.

 
                                                                       ***

 
“Quindi pensiamo sia la soluzione migliore. Ti troviamo una sistemazione da qualche mago o strega volenteroso, ti procuriamo tutto il necessario con i fondi della scuola riservati a chi ha bisogno di un aiuto economico, dopo di che parti dal binario 9 e ¾ insieme agli altri ragazzi. La versione ufficiale sarà che sei una studentessa di un altro Istituto magico in soggiorno studio ad Hogwarts, impossibilitata ad usare la magia in seguito ad un disastroso incidente di cui ti è stato intimato di non parlare” spiegò Harry Potter.
“La preside McGrannit si assicurerà personalmente di informare gli insegnanti della delicata situazione, e troverai da parte loro tutto l’aiuto che ti servirà” continuò. Poi si fermo un attimo a guardarla, un sorriso gentile che non mascherava del tutto la sua preoccupazione. “Ti troverai bene, vedrai. Nel frattempo, in questo paio di settimane ti consiglio di studiare tutto quello che puoi nei più svariati campi della magia. Non dovrai mai sottoporti a prove pratiche, ma dovrai essere convincente nel recitare il ruolo di una ragazza al sesto anno di istruzione magica durante interrogazioni e esami scritti” .

Ventiquattrore dopo il primo incontro con la ragazza, era di nuovo seduto sul bordo del suo letto, ad esporle le decisioni del consiglio del Wizengamot a proposito del suo prossimo futuro.

Vedeva la meraviglia dipinta negli occhi azzurri di quella ragazza così particolare, una meraviglia mista a paura.

Paura di non farcela, paura di non essere abbastanza, di non riuscire a soddisfare le aspettative di tutti. Non occorreva utilizzare la Legilimanzia su di lei per capirlo. Harry riconosceva quella sensazione. Era la stessa che aveva provato egli stesso quando, ancora undicenne, si era ritrovato sulle spalle il fardello della fama e dell’essere speciale.

“Kathleen… andrà tutto bene. Incontrerai la preside e qualche professore prima di iniziare il corso. E io mi terrò in contatto durante tutto l’anno. Non appena qualcosa dovesse andare storto, saremo pronti ad intervenire. E nel frattempo capiremo la tua situazione… particolare. Resta solo il decidere dove alloggiarti per le prossime settimane” riflettè l’uomo, un velo di preoccupazione nella voce.

“Io voto per il Paiolo Magico." disse una voce allegra. "Dite a Tresh - il nuovo proprietario, il figlio di Tom - di tenerla d’occhio. Può girare per DiagonAlley e prendere confidenza con il Mondo Magico senza dare nell’occhio. Una soluzione più semplice e di gran lunga migliore rispetto a spedirla in una famiglia non sua, che non capirà mai la sua situazione”.

La ragazza voltò il capo verso il letto di Nicholas. Il ragazzo aveva parlato senza alzare la testa o aprire gli occhi, sembrava ancora profondamente addormentato. Eppure pareva aver fatto centro: lo sguardo di Harry si illuminò e l’uomo balzò in piedi, esclamando: “Ma certo! Idea geniale, perché non ci ho pensato prima? Perfetto, vado subito a scrivere a Tresh. Intanto tu preparati, partiamo subito. È inutile farti stare qui, tra Medimaghi e Guaritori che non fanno altro che parlarti dietro. Finirai di riprenderti in una comoda stanza accanto a DiagonAlley. Perfetto, davvero. Scendi al piano terra, ti aspetto tra dieci minuti!” e con questo, uscì di corsa dalla stanza, dimenticandosi persino di ringraziare Nicholas.

Quest’ultimo aspettò che la porta della stanza si richiudesse, poi scattò in piedi ed andò a battere il cinque a Kathleen, rivolgendole uno dei suoi sorrisi.

“Non serve che mi dici che sono la persona più intelligente, buona e simpatica del pianeta, lo so già. E non serve che mi ringrazi, piacere mio” le disse strizzandole l’occhio. La ragazza rise.

“Io… mi sembra di vivere in un sogno. Non posso crederci…  non… sul serio, non ho parole!”

“E non sai la parte migliore” aggiunse Nicholas, un briciolo di malizia negli occhi.
“Al Paiolo Magico… ci sarò anche io!” rise di fronte all’espressione di Kathleen. “I miei sono in vacanza fino a metà settembre, io sarei dovuto essere da un mio amico in India ma considerate le mie condizioni” fece una smorfia indicando il proprio corpo “Beh… appena mi dimettono da questo schifo di posto, ti raggiungo! Si si, i commenti li farai poi… ora corri da Potter, non puoi fare aspettare una leggenda umana come lui!”

Kathleen non se lo fece ripetere due volte. Scattò in piedi, ancora vestita come tre giorni prima (i buchi e gli strappi nel tessuto, però, erano stati riparati con un colpo di bacchetta), ma prima di correre verso la porta si fermo per schioccare un bacio sulla guancia a Nicholas e mormorargli un “grazie” sommesso, lo sguardo fisso a terra e le guance rosse dall’imbarazzo.

Si precipitò giù dalle scale superando Medimaghi e Guaritori indaffarati che la guardavano con disprezzo e sconcerto. Ne aveva abbastanza di quel luogo, dei loro sguardi, del loro modo di trattarla da diversa.

Harry l’aspettava nell’atrio, in piedi accanto alla porta. “Tresh dice che ti sta già preparando la camera. E il Nottetempo sta arrivando. Mi raccomando di tenerti forte… Ora a guidarlo è il vecchio Stan Picchetto, se hai presente a chi mi riferisco” rise l’uomo.

Le mise una mano sulla spalla e, senza salutare nessuno, la condusse fuori dall’ospedale, fino ad uno stretto marciapiede davanti ad una vetrina malmessa.

“Allora, sei pronta?” chiese l’uomo, fissandola negli occhi.

Kathleen pensò a quante ne aveva passate fino a quel momento, alle persone conosciute, alle scoperte, a quello che l’attendeva.

Si girò verso l’uomo che per anni era stato solo un mito di carta ed inchiostro, e che ora era lì, accanto a lei, a stringerle una spalla per infonderle coraggio.

“Si, sono pronta.”
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Quanto mi fa strano tornare, dopo anni, a raccontare delle avventure di Kathleen…
Cari lettori, state scoprendo ora questa storia o già la conoscevate? Per ora i cambiamenti nella storia non sono tanti, perché siamo ancora ai capitoli “introduttivi”, forse un po’ noiosi ma necessari. Spero davvero che vi affezionate alla nostra protagonista, perché questa volta non ho intenzione di lasciarla a metà avventura!
Vi mando un abbraccio e uno Zuccotto di Zucca.
Vostra, Kylu

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3787039