True colors.

di BlossHaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 ***
Capitolo 2: *** 1 ***



Capitolo 1
*** 0 ***


Note autore: È la prima volta che scrivo in questo fandom e questa idea mi è venuta in mente mentre ascoltavo una canzone abbastanza triste. Amo l'angst e, beh, questo è il risultato. Buona lettura!
AU ( Alternative Universe )



True colors.



La testa posata sulle ginocchia piegate, strette fra le sue braccia. Poteva sentire le urla di dolore, ogni pianto, ogni preghiera rivolta ad un Dio che li aveva abbandonati; l'odore di bruciato, di sangue, di sporco era qualcosa che gli faceva venire il voltastomaco. Lance, senza più un cognome, si era salvato per la bontà e l'amore dei suoi genitori. Ricordava ogni singolo istante; gli ritornavano in mente come se la mente volesse giocargli un brutto scherzo, ma si trattava della semplice e pura verità. Dagli occhi azzurri, limpidi, scendevano lacrime amare. Il viso di sua madre mentre gli sorrideva un'ultima volta prima di lasciare andare la mano coperta del suo sangue, e le parole " Vivi, piccolo mio. ", erano nella testa di quel ragazzo di diciasette anni. Il treno che stava trasportando i sopravvissuti del paese erano contati, vittime di un massacro senza precedenti: alieni, era così che l'uomo li chiamava fin da tempo immemore. Un attacco alla casa dove aveva sempre vissuto, un attacco alla sua famiglia. Morti. La famiglia Mcclain non esisteva più. L'agonia non sarebbe mai finita; il cuore che rallentava i suoi battiti, gli spasmi involontari del corpo, i singhiozzi mal celati, la voce di ognuno di loro.. Nessuno avrebbe mai dimenticato l'ascesa di quel popolo e la fuga dei pochi rimasti. Lo spazio sarebbe diventato la loro nuova casa, tuttavia, un giorno, sarebbero tornati a reclamare il pianeta, e quella era una promessa. Lance aveva perso il sorriso: un individuo esuberante che affrontava ogni situazione con una risata, facendo lo stupido, portando una goccia di felicità in quel modo.
Si era spento anche lui.
E, alzando lo sguardo, poteva rendersi conto che il suo mondo era stato distrutto: edifici in fiamme, fatti a pezzi, il sole oscurato dalle nuvole nere, l'aria pesante. Si concesse un solo istante per osserare tutto quello dalla finestra, alzando la testa, facendola vagare da una parte all'altra per guardare le persone presenti. Sul volto di ognuno di loro c'era la disperazione. Ma, effettivamente, non era il tempo per piangere i cari, poiché dovevano andare via. Chiuse gli occhi e attese.


Capitolo 0 ー Il lancio.


[ https://youtu.be/sOrvzpIT9CM ]
Anyone who has a continuous smile on his face conceals a toughness that is almost frightening.





Lance venne svegliato bruscamente da una mano finita sul viso, un modo più che efficace per renderlo operativo. Erano arrivati a destinazione: la navicella spaziale Andromedas VII si ergeva davanti a loro, in un territorio nascosto. L'uomo aveva fatto grandi progressi, a dirla tutta, ma mai si sarebbe aspettato una nave così grande! Fin da piccolo aveva sognato lo spazio, l'esplorazione di mondi mai visti, eppure era quasi spaventato da tutto quello. Avrebbe vissuto là dentro? Come avrebbero potuto procurarsi del cibo? L'acqua? I beni necessari per la sopravvivenza? Erano domande inutili alla fin fine, anche perché un modo si sarebbe trovato inevitabilmente.

I sopravvissuti vennero condotti al suo interno. Ognuno dei presenti doveva essere agganciato correttamente al sedile che gli era stato assegnato e, solo dopo essere entrati in orbita, avrebbero potuto muoversi liberamente. Il lancio era una delle fasi più delicate e tutti speravano nel suo successo senza intromissioni da parte degli alieni. Ne dipendeva la sopravvivenza del genere umano. Gli occhi del ragazzo dalla pelle ambrata si spostavano, veloci, terrorizzati da un attacco e dalla partenza. Doveva dimostrarsi l'uomo quale era, lo sapeva, tuttavia, in una situazione simile, Lance non ci riusciva. Cosa avrebbe fatto? Il respiro era accellerato e affannato; sapeva bene che cos'era quello. Il panico.

Tempo addietro aveva alzato gli occhi verso il cielo notturno illuminato dalle piccole e semplici stelle; le aveva guardate con ammirazione, lo sguardo tipico di un bambino. Era seduto accanto a suo padre, sull'erba fresca di umidità, e la bocca aperta dallo stupore. Quella sera aveva preso la mano del genitore e, con il cuore in mano, aveva pronunciato parole che mai avrebbe scordato.
« Diventerò un esploratore dell'universo. Costruirò un astronave e viaggerò, vedrò ogni stella e pianeta. E poi tornerò a casa quando avrò visto ogni cosa, per abbracciare te, la mamma e i miei fratelli.  » Il sorriso di Lance era sincero e le iridi colorate di uno splendito azzurro cielo erano lucide di emozione.

Ma ora?

Sentiva distintamente la paura; Lance Mcclain non era mai stato un tipo coraggioso. A scuola era considerato il pagliaccio e c'era chi lo prendeva in giro per questo e nonostante ciò il sorriso non l'aveva mai perso. Preferiva dimostrarsi forte in quel modo, pensare prima agli altri ed esserci ogni volta. Ma non bastava, no. Non sarebbe mai bastato, per nessuno. Andava bene così.
Non sentiva più nulla proprio perchè la sua maschera era l'indifferenza. Differente. Lui sorrideva, scherzava, faceva finta di essere stupido, ma non sentiva. Ascoltava le richieste d'aiuto della sua famiglia e dei suoi amici, e quella era la sua arma più potente. Capiva, ascoltava, aiutava ed infine si rinchiudeva nel suo mondo, perché nessuno avrebbe ascoltato i problemi di un ragazzo così. Come poteva biasimarli? Sorrise al ricordo di quella sera e sorrise alla consapevolezza, ancora una volta, che era e sarebbe rimasto solo.

E con quella consapevolezza il rumore assordante dei motori arrivò fino al cervello: stavano andando via, finalmente. Lance disse addio alla sua casa, alla sua vita quoditiana, alla sua famiglia, ma soprattutto a se stesso. Lance non sarebbe più esistito.
Nessun attacco avvenne. La razza umana abbandonava ogni cosa per ricostruire la civiltà.
Fu violento, rumoroso, intenso su quella astronave. Ma arrivarono alla destinazione provvisoria. In orbita furono liberi di muoversi, di abbracciarsi e di cantare vittoria per una volta, mentre addetti specializzati li conducevano nella sala principale, dove ad ognuno sarebbe stata assegnata una chiave identificativa e che permetteva l'accesso a varie stanze, tra cui quella personale. Da quello che aveva capito doveva registrare il suo nome.
« Approfittate dell'occasione per iniziare una nuova vita. Riunitevi e formate una fila, il nostro personale vi aiuterà. Dopodiché ci riuniremo alle altre astronavi: la V, la VIII, la X, e così via.» Furono quelle parole del comandante della Andromedas VII prima di concedarsi.

Lance si avvicinò al bancone, rispettando gentilmente la fila. Quando arrivò il suo turno, un ragazzo dai capelli strambi chiese il nome e l'età. Tutto ciò che serviva per ricominciare la vita era un pizzico di fantasia, anche se lui non era famoso per l'originalità.

« Sono Blue, senza nessun cognome. »

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Capitolo 2
*** 1 ***


Note autore: Sinceramente sono indecisa se lasciare o meno la storia con il rating arancione. Magari posso cambiare il rating se la situazione si fa più piccante o troppo violenta. Mhn. In ogni caso, il capitolo è abbastanza tecnico. Non ho idea se quello che ho scritto corrisponde alla realtà, ma ho fatto un giretto su internet per cercare di capirci qualcosa. Ci ho capito poco, quindi mi sono affidata a me stessa e alla mia fantasia. Perdonatemi.
AU ( Alternative Universe )



True colors





Capitolo 1 : Keith

So keep your head high, and most importantly, keep smiling, because life's a beautiful thing and there's so much to smile about. «

Cinque anni dopo



A volte il fato ci leva ciò a cui più teniamo. Una madre, un padre, un fratello. Il dolore che si prova nel perdere un caro, qualcosa che nessuno può immaginare. Non si tratta di stare male, si tratta di convivere con il pensiero che ormai, lui o lei, non c'è più; non è stato facile per Lance, o meglio, Blue, ma in cinque anni ha imparato ad essere qualcuno che mai avrebbe creduto o sperato di diventare. Lance McClain, quello nuovo, era un uomo. Nessuno lo conosceva come Lance, quella sua piccola identità era celata a chiunque, eppure ogni giorno della sua vita si chiedeva se era stato un bene. Si sentiva in colpa per aver accantonato una parte di sé, dimenticando, o almeno ci provava, la morte della sua famiglia. Lavorava come tecnico a bordo della grande astronave, un complesso di dieci navicelle Andromedas unitesi alla settima per dare vita a un piccolo pianeta loro. Andromedas Leben rappresentava la loro nuova casa. Ognuno aveva il nome che voleva, un lavoro che contribuiva al miglioramento di ogni cosa, la speranza che un giorno sarebbero tornati indietro. Ed era questo che aveva spinto Lance ad entrare nell'esercito durante il secondo anno: l'addestramento era stato arduo e infinito, eppure, perfino lui, ce l'aveva fatta. Aveva una licenza e, qualsiasi fosse stata l'occasione, lo avrebbero chiamato a combattere sul fronte principale. Perché era quello che voleva. Aveva passato, in sostanza, cinque anni a desiderare la vendetta, ed era quel sentimento che lo aveva portato a risollevarsi ad ogni caduta. Con sguardo alto e fiero camminava, anche se la puzza e lo sporco lo circondavano ovunque. Era un soldato pronto a morire per vendicare la sua famiglia. E nessuno lo avrebbe fermato.

Non potevano sapere se era mattina o l'ora di dormire, per questo usavano un sistema di monitoraggio che avvertiva quando la luna arrivava ad illuminare la parte settentrionale della terra, proprio come in quella occasione. Lance, quella sera, camminava per i corridoi vuoti della grande astronava madre. Non aveva sonno, come sempre. Due grandi occhiaie rendevano scuro il volto giovane del ragazzo; egli sorrideva ironico. Ogni giorno, verso quelle che per loro erano le tre del mattino, Lance si recava in un piccolo magazzino lasciato lì, senza alcuna utilità. Aveva costruito per conto suo una sottospecie di radio con un antenna detta dipolo aperto, semplice e collegata alle frequenze radio della terra: era quella la sua piccola speranza. Il governo provvisorio non dava loro alcuna notizia riguardante il pianeta perché ritenuta top secret e di poca rilevanza per il momento. Ma per Lance non era così.

« Qui è blue, parlo dalla nave madre, l'Andromedas Leben. Se c'è qualcuno che può sentirmi, vi prego rispondete. » Dopo aver acceso l'apparecchio, aveva tentato ancora una volta di comunicare con dei possibili sopravvissuti. La speranza di Lance era quella, i sopravvisuti. Un popolo che stava combattendo per la sua terra. Ma nessuna risposta venne mai, creando nel ragazzo un senso di vuoto. Possibile che gli alieni avessero ucciso ogni uomo?

Chiuse gli occhi. Ricordava le giornate felici, ma passate. I suoi compleanni, le sue prime uscite da solo con gli amici, le sue prime cotte, ogni piccola cosa che a quell'età pareva insignificante. Sospirò.

La realtà era che si stava aggrappando a qualcosa di futile e impossibile; avrebbero vissuto là, nello spazio, per sempre, ammirando da lontano il pianeta. In fondo Lance McClain non era cambiato. Era rimasto il solito ragazzo con grandi speranze e fiducia nell'uomo, un assurdo ottimista. E lo sepeva.

Le iridi azzurre si posarono inevitabilmente sulla facciata che dava sulla terra: era bello immaginare di tornare là e costruirsi una famiglia, la sua, fatta di amore e sincerità. Con un pizzico di innocenza. Perché quella non esisteva più neanche nei bambini.

Si addormentò, così.







« Per fav--.. ris--.. S--.. Keith! Per favo---…. Aiuto. » Fu con quella voce che il cubano si risvegliò; spalancò gli occhi, si mise a sedere e si buttò letteralmente addosso alla radio, urlando.

« Qui è Blue! Sono Blue! Rispondete! Sono BLUE! Mi ricevete?! » Non credeva di possedere un tono così alto e mai si sarebbe immaginato di urlare il nome di un colore, forse piangendo di gioia.

« Vi prego.. » Sussurrò mentre le lacrime rigavano il viso. Se c'era qualcuno forse anche la sua famiglia era viva! Ma il segnale era disturbato da qualcosa e Lance ringhiò. Possibile che tutte le disgrazie a lui?! No! Non lo avrebbe permesso! Corse assieme alla radio e all'antenna e prese l'unica cosa che gli avrebbe permesso di giungere in un punto più vicino alla terra: una tuta spaziale. Non ci pensò su due volte ad aprire lo sportellone principale, dando l'allarme di apertura porte. L'antenna principale si trovava al centro dell'Andromedas Leben e il cubano avrebbe fatto in modo da amplificare il segnale con quella, perché in cinque anni aveva continuato a sperare e ora c'era una speranza effettiva. Non avrebbe permesso che se ne andasse.

Si lanciò nello spazio e utilizzò i propulsori dietro la schiena per avvicinarsi all'antenna. Raggiunto il suo obiettivo, aprì un piccolo sportello posto sulla parabola più grande: l'antenna principale era composta essenzialmente da cinque parabole, ognuna delle quali era collegata a uno spuntone enorme. Lance ci aveva lavorato per delle manutenzioni, ma conosceva perfettamente il meccanismo. Con estrema cautela prese il filo blu e il filo nero della piccola radio, li intrecciò con cura e pregò affinché funzionasse. Prese infine il piccolo microfono per parlare e diede sfogo alla sua voce.

« Mi senti?! » Aveva il fiatone; piccole nebbioline di condensa si scontravano contro il vetro del casco, mentre gli occhi azzurri erano rossi e bagnati dalle lacrime. Dentro di sé sperava che il ragazzo rispondesse per dargli buone notizie. Urlò quando per interi minuti aspettò la sua risposta. Urlò per dare sfogo ad ogni emozione che aveva represso, facendolo morire dentro. Urlò per farsi sentire.

« Rientra immediatamente stolto! » La voce di Shiro, il comandante, risuonò nelle sue orecchie. Ma no, Lance non si sarebbe mosso per nessun motivo al mondo. Mancava qualcosa. Aveva bisogno di un pizzico di elettricità. Dalla tuta sganciò i propulsori e creo una sorta di campo elettromagnetico grazie a due poli opposti presenti, quelli che costituivano una ricetrasmittente che indicava la posizione, li collegò alla piccola antenna della sua radio. E in qualche modo ce la fece.

« Qui è Keith! Qualcuno riesce a sentirmi? » Quella voce ebbe il potere di renderlo finalmente felice.

« Sì, ti sento! Sono blue! » Disse con gioia. Chiuse la comunicazione con Shiro che cercava di farlo rientrare con le buone e continuò quello scambio di parole.

« Blue, ti prego. Devi aiutarci. Siamo sulla terra. Loro non sanno di noi, ma ho poco tempo per spiegarti. Ci troviamo precisamente a New York, le coordinate sono 40.7648 latitudine e -73.9808 longitudine! Ci sono altre persone! Abbiamo bisogno di aiuto! » New York, perfetto. Avrebbe avvertito il comandante e il resto della squadra e tutto sarebbe andato per il meglio, sì. La voce del ragazzo intanto era ricolma di agitazione e Lance non sapeva cosa fare.

«Va bene Keith, calmati. Verremo a prendere tutti, okay? Okay?! » Ma la conversazione venne interrotta dal suono di un'esplosione. Lance rimase fermo per alcuni minuti con il volto basso e la rabbia che scorreva nelle vene. Era il momento di tornare sulla terra.









La strigliata da parte del comandante fu abbastanza pesante; aveva infranto una lista di regole infinite e aveva messo in pericolo l'intera popolazione. Blue aveva esposto le sue motivazioni e aveva detto che c'era ancora vita sulla terra e che dovevano tornare indietro oer aiutare quelle persone, tuttavia la risposta non gli piacque per niente.

« Cadetto Blue la esonero dai suoi incarichi. Nessuno partirà per una missione suicida! » Lance ringhiò e decise di conto suo che avrebbe fatto il possibile per salvare quel ragazzo e chiunque fosse con lui. La giornata si chiuse con il cubano che si recava nello stesso magazzino che aveva usato per cinque anni; aveva costruito una radio e riparato fin troppe navi, sarebbe stato un gioco da ragazzi rubare una navicella spaziale grande per contenere più di venti persone. Un gioco da ragazzi.

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