Cervello babbano, cuore da strega

di Kylu
(/viewuser.php?uid=474383)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Babbana... ma non del tutto. ***
Capitolo 2: *** Reparto Lesioni da Creature ***
Capitolo 3: *** Un futuro inaspettato ***
Capitolo 4: *** Il Paiolo Magico ***
Capitolo 5: *** Scontri e bacchette ***
Capitolo 6: *** Binario nove e tre quarti ***
Capitolo 7: *** Sull'Espresso per Hogwarts ***
Capitolo 8: *** Hogwarts, finalmente ***
Capitolo 9: *** Rivelazioni ***
Capitolo 10: *** Scoppi a colazione ***
Capitolo 11: *** Pozioni e sorprese ***
Capitolo 12: *** Nuovi sviluppi ***
Capitolo 13: *** Lettere e notizie infauste ***
Capitolo 14: *** Duplice attentato più uno ***
Capitolo 15: *** Buio, urla e sangue ***
Capitolo 16: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Babbana... ma non del tutto. ***


(PROLOGO)

La luna piena era alta nel cielo quella notte. Brillava talmente forte da rendere visibile ogni dettaglio di quell’odiosa visione babbana.
Ma almeno quella triste porzione di mondo visibile dalla finestra della sua camera rispecchiava come si sentiva lei in quel momento, e praticamente tutti i giorni della sua monotona vita: babbana e completamente, irrimediabilmente, nel modo più assoluto inutile.
Che poi, il fatto che i due aggettivi - babbana e inutile - fossero dal suo punto di vista così strettamente collegati era un dettaglio non trascurabile.
Kathleen Aster sbuffò, portandosi dietro ad un orecchio una ciocca ribelle che non ne voleva sapere di starsene al suo posto. I suoi capelli: l’ennesima fonte di odio verso se stessa e di autocommiserazione spesso malcelata da sbuffi e nervosismo perpetuo. Eppure, quei boccoli (okay, chiamarli boccoli era giusto un po’ una presa in giro, considerato che disordinati e indomabili sembravano un eufemismo) rossi ramati -rossi ramati un par di pluffe si corresse la ragazza, semmai di un patetico arancione flou che poteva essere usato da semaforo nelle strade babbane- erano l’unica cosa che, in qualche modo, sembrava legarla al mondo cui tanto agognava: il suo era un rosso-Weasley, o comunque ci andava vicino. 
Un mondo che non avrebbe mai avuto niente a che fare con lei, ma al quale lei continuava a pensare, sul quale fantasticava ad occhi aperti ogni dannato giorno della sua dannatissima vita dannatamente babbana.
Perché, che Kathleen fosse babbana, non c’erano dubbi.
Vita normalissima (per quanto i suoi continui sogni ad occhi aperti lo permettessero), famiglia che si distingueva unicamente per la sua eccessiva severità, e nessun aneddoto magico della sua infanzia o prima adolescenza da raccontare. Scuola babbana, vestiti babbani, casa babbana, e – la cosa le provocava una repulsione verso sé stessa inimmaginabile – cervello babbano.
Eppure, c’era qualcosa che distingueva Kathleen Aster da tutti i suoi simili.

Lei credeva.

Perché ormai la vita e le infinite vicissitudini di Harry Potter erano note all’intero mondo non magico, rese di dominio pubblico grazie ad una serie di romanzi che tutti – ma proprio tutti – avevano considerato come un qualunque altro libro fantasy, ben strutturato e ricco di colpi di scena, uno di quei libri esemplari nel suo genere, che non permette di scollare gli occhi dalle pagine, ma pur sempre un qualunque, comunissimo libro babbano abbondantemente farcito della fantasia di una scrittrice un po’ fuori dalla norma.
E invece, a discapito della sua mente altrimenti razionale e di saldi, scientifici principi, Kathleen credeva.
Era cresciuta con quei libri – a parere suo, l’unica sana idea dei suoi genitori nel corso della sua esistenza era stato insegnarle a leggere a quattro anni e averle ficcato un libro di Harry Potter tra le mani fin da piccolissima, aprendole un mondo. Un mondo di sogni e fantasie infantili, che era andato mano a mano a concretizzarsi in convinzioni che solo dopo anni di prese in giro aveva imparato a tacere ad amici, parenti e conoscenti.
Ora, a sedici anni, la giovane Aster appariva come una normalissima ragazza di città, una cittadina relativamente piccola, vicino a Londra.
Non importava che dentro il proprio cuore, sotto gli occhi calcolatrici della gente, celasse un vero cuore da Strega.
Perché se il cervello doveva tenerselo babbano (e ormai a quell’età, senza lettere da Hogwarts in passato o strani avvenimenti capitati attorno a lei, questo era scontato), sentiva che il cuore, almeno, apparteneva all’altro mondo. Quello dove la gente girava con bacchette magiche, gufi in gabbia, lunghi mantelli e strane monete in tasca.
Kathleen soffiò l’ennesimo sbuffo, stavolta misto ad uno sbadiglio. Le quattro di notte. Fortuna che era estate, e la mattina successiva avrebbe potuto dormire… almeno fino a quando la madre non l’avesse buttata giù dal letto per ricordarle le migliaia di incombenze (tutte orrendamente, schifosamente babbane) che avrebbe dovuto sbrigare.
I minuti passavano lenti, e mentre sentiva il sonno decidersi finalmente a prenderla in considerazione, fece per scostarsi dal davanzale a cui era stata appoggiata per un tempo infinitamente lungo e per chiudere la finestra, lanciando un’ultima occhiata sconsolata all’esterno.
E fu in quel momento che li vide.

Scivolavano lenti lungo il marciapiede di fronte, rapidi, silenziosi, strisciando appena i lunghi mantelli grigi sull’asfalto.
La brezza calda di quella notte estiva si estinse immediatamente.
I lampioni sembrarono balbettare un paio di volte prima di spegnersi definitivamente, uno ad uno, come fiori che, senza più radici, appassissero all’istante. Kathleen avvertì un lungo brivido percorrerle la schiena.
Dissennatori.
Quella parola occupò per qualche istante tutto lo spazio della sua mente già offuscata dal terrore.
Dopo qualche attimo realizzò quasi contemporaneamente due fatti ugualmente sconcertanti: in primo luogo che lei, una babbana qualunque, era in grado di vedere i dissennatori (non che la visione fosse molto piacevole) quando in teoria non avrebbe dovuto riuscirci... né tantomeno credere nella loro esistenza. In secondo luogo notò, con un brivido di puro panico e assoluta sorpresa, il fatto che quei due dissennatori si stessero dirigendo… non era possibile, stavano andando verso di lei?
Kathleen chiuse gli occhi e scosse la testa con forza. Possibile che si fosse fatta prendere così tanto da un altro dei suoi stupidi sogni, o incubi, ad occhi aperti? Lei non apparteneva a quel mondo. Era una stupida, stupidissima inutile babbana.
Ma in quel momento arrivò il gelo.
Una coltre di ghiaccio parve ricoprire ogni suo muscolo, ogni osso, impedendole qualsiasi movimento o pensiero. Era un gelo così assoluto che non sembrava neppure sottrarre calore, ma bruciare la sua pelle, la sua carne, fino a raggiungere i nervi ed espandersi con lunghi brividi e sussulti incontrollabili.
La ragazza riaprì gli occhi, lentamente.
Le erano di fronte.
I respiri pesanti e il cappuccio scuro a celarne le orripilanti fattezze, sembravano assaporare il momento, pregustare l’istante in cui le avrebbero tolto tutto, i pensieri felici, i ricordi, l’anima. Lasciandola come un guscio senza nocciola.
E poi a Kathleen parve come avessero iniziato a scavarle dentro, lasciandole sempre maggiori cicatrici, sempre più profonde, mentre violavano la sua mente e il suo cuore, strappando tutto ciò di cui potevano cibarsi.
Che senso aveva lottare, se tutto ciò per cui viveva sembrava essere andato in fumo, letteralmente divorato da quelle creature orribili? Quasi sorrise nel pensare che fino a qualche minuto prima avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per avere un qualunque segno del fatto che in fondo non fosse completamente pazza, che il mondo magico esistesse davvero.
A quel pensiero non proprio felice, ma con una sfumatura della suo vecchio sarcasmo, i due incappucciati sembrarono ritrarsi un attimo, come confusi. E allora lei ricordò, in qualche angolino della sua mente annebbiata, che c’era un modo per sconfiggerli, bastava che… ma lei non aveva una bacchetta, e per di più non era una strega… non era nessuno… sarebbe stato meglio morire li, in quello stesso istante…
La giovane Aster capì che i dissennatori avevano ricominciato a prosciugarla di ogni barlume di speranza.
Ma poi notò un’altra cosa. Quelle due… cose, sembravano divertirsi. Divertirsi, si, nel guardare i suoi vani tentativi da babbana di resistere. E questo la fece infuriare. Non era un pensiero allegro, nè un ricordo gioioso, ma era una fiammella abbastanza forte da potervisi aggrappare, nel nulla bianco e lattiginoso dove stava sparendo la sua coscienza.
E un altro pensiero le attraversò la mente: i suoi genitori. I suoi genitori, e il fratello, che dormivano nelle stanze attigue, ignari della tragedia in corso. Non poteva permettere che si avvicinassero a loro. Ma come attirarli fuori da lì? La porta della camera era da escludere, sarebbe servita solo a dare loro ulteriore accesso alla casa. Ma allora…
Realizzò in un attimo quale fosse l’unica soluzione. E si sentì pazza, idiota, poi paurosa, e poi ancora disgustata di avere paura, quando c'era in gioco la salvezza di altre persone...
Il problema non è la caduta, ma il saper atterrare…
Decise in una frazione di secondo. E un attimo prima che il dissennatore più vicino si togliesse il cappuccio per rivelare l’ultima immagine che la ragazza avrebbe ricordato, Kathleen si tuffò in avanti, verso la finestra ancora spalancata, e semplicemente volò, volò per quelle che le parvero lunghe giornate di sole.

E poi arrivò l’impatto. Per una frazione di secondo non sentì nulla, solo il rimbombo dello schianto contro la stretta striscia di giardino sotto la finestra.
Solo dopo arrivò il dolore, così intenso che Kathleen non avrebbe mai potuto immaginarlo. Non era un’esperta di pronto soccorso, ma era sicura di essersi appena rotta la metà delle ossa che aveva in corpo.
Sentendosi la stupida eroina di un film troppo complicato per lei, scacciò nuovamente la paura in fondo alla pancia, per farci i conti una volta che tutto fosse finito, e si tirò su. Non riusciva a stare in piedi dritta, urlava di dolore ogni volta che la gamba destra toccava il terreno, ma cominciò ad avanzare, prima lentamente, poi sempre più velocemente mano a mano che imparava l’arte del non ascoltare le stilettate di dolore del proprio corpo e continuare ad andare avanti.
Presto se li sentì nuovamente alle spalle. Sempre così rapidi, così odiosamente silenziosi, appena un fruscìo di stoffa a tradire la loro presenza.
E poi, quando i dissennatori ormai avevano guadagnato così tanto terreno su di lei da sentirne il fiato sul collo, Kathleen cadde in avanti, le gambe che non potevano più reggere il peso di quel corpo scosso da sussulti di dolore e singulti appena trattenuti.
Due mani viscide e bianche come la morte comparirono di fronte a lei da sotto uno dei mantelli neri, e le serrarono la gola in una morsa di ghiaccio e acciaio. Ormai quell'essere immondo era a pochi centimetri da lei, e la ragazza perse ogni voglia di lottare. Rimase un unico pensiero: “Fa’ che finisca presto”.

E proprio nell’istante in cui vedeva il cappuccio del dissennatore abbassarsi, e il suo volto – se volto si poteva definire - appoggiarsi con esasperante lentezza al suo, nell’ormai semi incoscienza Kathleen scorse un lampo di luce bianca, pura, il grido di un paio di parole che le risultavano familiari, e di colpo la stretta sul suo collo si allentò e poi sparì definitivamente, come sciogliendosi sotto quel caldo bagliore che sembrò restituirle la voglia di vivere.
Dopo di che cadde nel buio e nel silenzio, accogliendone la pace come una manna dal cielo.




ANGOLO AUTRICE
Questa è la mia seconda fanfiction in assoluto, la prima se non si conta la one shot pubblicata quasi come prova un paio di giorni fa. Mi attirava immaginare il mondo magico che conosciamo bene - immutato, come vedrete, dal modo in cui lo ha lasciato la Rowling nelle ultime pagine dei libri - considerato dal punto di vista di una babbana qualunque che continua ad immaginare un mondo dagli altri considerato una mera fantasia. Mi sono rivista molto nel personaggio protagonista e spero di riuscire ad accompagnare Kathleen fino in fondo alla storia.
Per curiosità, come forse avete capito "Kathleen" si chiama così in onore di quello stesso "Kathleen" che precede la firma Rowling.

Un grazie di cuore a chi è arrivato a leggere fin qui!
Alla prossima, Kylu

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Reparto Lesioni da Creature ***


Le sembrava di essere immersa nell’ovatta.
Udiva solamente dei suoni confusi, indistinguibili. Percepiva la morbidezza delle coltri sotto e sopra di sé che l’avvolgevano in un abbraccio rassicurante e protettivo. Il buio dietro le sue palpebre era assoluto, denso e opprimente.
Era appena cosciente del fatto che, da qualche parte, il tempo scorresse normalmente, il sole splendesse nel cielo e le persone svolgessero la loro vita. Ma lei non riusciva a trovare un punto d’appoggio grazie al quale poter uscire da quel limbo, da quel torpore che la costringeva all’immobilità.

Dopo un tempo che le parve infinito, finalmente nell’oscurità della sua mente si aprì uno spiraglio di luce, come se dalla volta della grotta in cui era precipitata fosse stata rimossa una pietra. Pian piano riprese la coscienza di sé, e con la percezione del mondo esterno arrivò il dolore, intenso, ingestibile. Non era limitato ad un punto preciso, ma permeava ogni singolo osso e muscolo del suo corpo, impedendole di respirare normalmente o di imbastire un pensiero coerente.
“Sta riprendendo coscienza.. datele un altro calice di pozione e portatele una bella dose di cioccolato. Vado a chiamare un Medimago...”
Pozione? Medimago? Ma cosa...
Tutto d’un tratto le piombarono addosso i ricordi della vicenda che aveva vissuto.
La nottata tranquillamente noiosa interrotta dalla apparizione di quelle spaventose figure ammantate che scivolavano lungo la strada verso di lei, il volo dalla finestra per attirarli lontano dalla famiglia, la dolorosa caduta e la disperata fuga lungo la strada, fuga ben presto bloccata da quegli esseri orribili, e la sensazione di venire svuotata fino a rassomigliare ad un guscio vuoto. E poi quella luce, calda e rassicurante, seguita dall’improvviso cadere nell’incoscienza.
Un patronus… doveva essere stato un patronus a salvarla!
Si sforzò di aprire gli occhi. Per un pezzo vide tutto bianco, poi il mondo riprese lentamente i suoi colori.
Era sdraiata su un lettino da ospedale con una leggera trapunta candida a coprirle il corpo e un morbido cuscino a sostenerle la testa. Alzò leggermente il capo per esaminare l’ambiente che la circondava. Altri lettini uguali al suo, due di lato e tre di fronte. Uno di essi era occupato da una figura quasi completamente ricoperta da fasciature.
Non fece in tempo a visualizzare altri dettagli del luogo perché in quel momento la porta in fondo alla stanza si aprì e un uomo dall’aria seria e compita vestito di un lungo camice verde acido fece il suo ingresso, una targhetta professionalmente appuntata al petto: Guaritore Stephen Prow. Era alto e robusto, con i capelli castani lunghi fino alle spalle ad incorniciargli il volto e due grandi occhi dai riflessi ambrati fissati quasi torvamente su di lei..
“Stephen Prow, suo Guaritore durante il suo ricovero al San Mungo” si presentò con voce tranquilla e baritonale, senza l’accenno di un sorriso.
Pozione. Medimago. Guaritore. Camice verde acido.
Kathleen notò un simbolo ricamato su quella stoffa verde: una bacchetta ed un osso incrociati.
“Sono… al San Mungo” balbettò con voce incerta, pronunciando le prime sillabe da quando si era svegliata.
Neanche a quelle parole il Guaritore si aprì in un sorriso. “Reparto Lesioni da Creature, primo piano, per essere precisi” replicò asciutto. “In realtà non sapevamo bene dove metterla. Il punto è che non sappiamo bene... cioè, in realtà non sappiamo neanche chi, anzi cosa diavolo è lei! Ma di questo, ehm, parlerà meglio con chi di dovere. Intanto beva questo e stia zitta. E’ una nuova versione di Ossofast, dovrebbe essere ancora più veloce del classico. Beva, ho detto” le intimò Prow.
La ragazza ingurgitò il contenuto di una boccetta di vetro tutto d’un fiato. Aveva un sapore disgustoso. Al contrario dell’apparente gelo di quella sostanza liquida e di un particolare rosso aranciato, però,  Kathleen si sentì come riscaldata, rinvigorita, e una scarica di energia le attraversò le membra. Quando ebbe finito il Guaritore, sempre tenendola d’occhio con occhio critico, estrasse un lungo bastoncino di legno scuro e con un colpo leggero fece letteralmente apparire dal nulla un vassoio stracolmo di pezzi di cioccolato.
La giovane Aster rimase semplicemente a bocca spalancata, non trovando la forza neanche per distogliere lo sguardo da quella che, si rese conto in quell’istante, era una vera e propria bacchetta
Prow dovette accorgersene, perché infastidito la ripose frettolosamente in tasca e con un brusco cenno del capo ordinò alla ragazza di cominciare a mangiare. Lei non se lo fece ripetere due volte e si avventò su quella delizia, resasi improvvisamente conto della fame che la sua pancia lamentava.
In pochi minuti spazzolò via tutta la cioccolata, non curandosi di sporcarsi mani, bocca e naso come una bambina di tre anni. Per tutto il tempo, il Guaritore rimase a fissarla in silenzio, severamente, come disapprovando il suo comportamento così puerile.
Finito di mangiare Kathleen si ridistese sul letto, esausta come dopo una lunga corsa. Le sembrava che la vita le stesse sfuggendo di mano, erano avvenuti troppi fatti a sconvolgere la sua inutile vita da babbana qual era…
“Oh, non si rilassi troppo, ha visite, signorina…”
“Aster. Kathleen Aster”.
“Detto francamente, signorina Aster, il suo nome qua dentro non importerà a molte persone. L’unica cosa che conta in lei è capire cosa e come…” e con questa nota enigmatica il Guaritore si congedò con fare teatrale, lasciando però aperta la porta della stanza.

Kathleen si prese qualche secondo per osservare l’altro paziente del reparto. Sotto le bende si riuscivano a distinguere dei lineamenti da ragazzo, giovane e anche piuttosto attraente. Capelli lunghi, neri e ricci, pelle scura.
“E’ stato aggredito da qualcosa che pensano possa essere stato un Inferius, ma non ne sono certi, e lui per il momento non è in grado di ricordarlo” disse una voce vicino alla porta. Kathleen si tirò su a sedere di scatto e si girò verso l’uomo che aveva parlato.
Era magro e non troppo alto, ma dal fisico evidentemente agile e allenato. I capelli corvini erano parecchio disordinati e gli scendevano sulla fronte fino a coprirgli gli occhi, di un verde stupefacente, cerchiati da piccoli occhiali rotondi.
E sulla fronte, proprio sotto quel groviglio di capelli…
“Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile!” Kathleen chiuse gli occhi e si portò le mani davanti alla faccia.
Harry Potter si avvicinò al letto della ragazza e si sedette sul bordo, girandosi verso di lei e scostandosi i capelli dalla famosa cicatrice a forma di saetta. La scrutò da dietro le lenti, ricordando molto il modo di osservare le persone del vecchio Albus Silente.
Era una ragazzina abbastanza comune, constatò: corporatura media, altezza media, pelle chiara. Ma quei capelli… quei capelli erano davvero incredibili. Persino più disordinati dei suoi, sembravano formare una vera e propria criniera infuocata dietro la quale la ragazzina poteva nascondere le proprie fragilità. Sorrise e la guardò con dolcezza. Come doveva essere difficile per lei venire strappata dalla propria vita comune e ritrovarsi in un mondo che doveva esistere solo nei libri…
“Va tutto bene… Kathleen, giusto?” disse con voce calma e tranquillizzante. La giovane Aster riuscì ad annuire. Poi tolse le mani dal viso, si sistemò meglio i cuscini dietro alla schiena per stare dritta e si sforzò di guardare quella leggenda umana negli occhi.
Era ormai un uomo di mezz’età, ma non aveva perso quell’aria da ragazzino simpatico, un po’ timido ma furbo, che lo contraddistingueva. Era simile, davvero molto simile all’attore che lo aveva impersonato nei film.
“Bene, Kathleen… So che ti senti ancora molto stanca e giu di corda, ma avrei davvero bisogno di sapere un paio di cose. Non so se lo sai, ma io sono a capo dell’ufficio Auror del Ministero della Magia. Diciamo che ho ottenuto di esentarti da una tanto infinita quanto inutile udienza al Wizengamot - ehm, il tribunale supremo dei Maghi – in cambio di una tua spontanea… Diciamo un tuo racconto dettagliato di chi sei, da dove vieni e cosa è esattamente successo due sere fa, durante l’attacco dei dissennatori." Spiegò Harry. "Il tutto sarà registrato direttamente dal ministero in modo da poter essere esaminato in seguito da Psicomaghi specializzati e altra gente del genere… Il tutto sempre che tu sia d’accordo. L’alternativa sarebbe importi un bell’ incantesimo della memoria e riportarti a casa, ma ho come l’impressione che questa opzione non ti piacerebbe” concluse Harry.
Due sere fa… significava che aveva passato due giorni nel mondo magico, senza dare notizie a quello babbano, senza…
“I miei genitori? Mio fratello?” chiese, improvvisamente angosciata.
“Stanno tutti bene. La tua idea del salto dalla finestra e fuga, per quanto estrema, è valsa la loro salvezza. Per ora sono sotto un Confundus che evita loro di impazzire dalla preoccupazione per te, e saranno in questo stato finchè non si deciderà… il da farsi”.
La ragazza annuì, rassicurata. Poi chiuse un attimo gli occhi, sospirò un paio di volte, e infine cominciò a raccontare. Percepì l’uomo estrarre la bacchetta e mormorare un Incantesimo di Registrazione.

La giovane Aster raccontò della sua vita fino a quel momento, delle sue convinzioni, di quel mondo babbano che le stava stretto, del suo modo di essere diversa. Poi parlò di quella notte, una come tante altre passata insonne alla finestra, almeno fino all’arrivo di quelle terribili creature che sembravano essere spuntate da uno dei suoi incubi. Dopo di ché la fuga disperata, il dolore, la sensazione di essere svuotata. Infine, quella luce calda e rassicurante, e il buio dell’incoscienza.
Harry rimase ad ascoltare in silenzio fino alla fine del fiume di parole che uscivano dalla bocca della ragazza. Solo alla fine pose un’unica, semplice domanda, che sembrava essere ciò che più di tutto premeva per essere scoperto.
“Il patronus… non hai idea di chi possa averlo evocato?”
Kathleen scosse la testa, abbattuta.
Harry sorrise. “Tranquilla, non ci aspettavamo il contrario… ma è di assoluta, di vitale importanza scoprire questo punto della vicenda. Perché già è terribilmente sconvolgente che due dissennatori si addentrino in un sobborgo babbano senza alcuna apparente ragione – nessuna presenza di maghi, niente del genere – ma che un mago si trovi lì, pronto ad intervenire e salvare la situazione… i casi sono infiniti, le possibilità sono miliardi… forse il mago salvatore è stato colui che ha chiamato le creature? Ma che senso avrebbe avuto? Forse si trovava li per caso… ma sembra una spiegazione impossibile. E ultimo, ma non meno importante, c’è da considerare il fatto che tu, perdonami il termine, una babbana qualunque, sia stata in grado di... di vedere... E questo – che tu possa vedere i dissennatori e che loro abbiano scelto proprio te come vittima – non pensiamo sia un puro caso. Indagheremo” concluse Harry.
La ragazza annuì lievemente, confusa più di prima.
“Per ora ti lascio riposare. Tornerò domani per comunicarti di persona quello che si sarà deciso riguardo te e ciò che è successo. Tu riprenditi in fretta, mi raccomando!” e con questa nota allegra la più grande leggenda di tutto il Mondo Magico uscì dalla stanza, lasciando Kathleen in preda a milioni di pensieri.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un futuro inaspettato ***


La giornata non era cominciata nel migliore dei modi.
Si era svegliata a causa del dolore a diverse ossa del corpo e di un’emicrania incredibilmente forte che sembrava martellarle la testa.
Dopo una colazione leggera e veloce servitale insieme a un’altra dose pozione da un Medimago decrepito che a stento si reggeva in piedi Kathleen, ancora completamente stordita dal sonno e dall’abbondante dose di medicina, era stata portata in un'altra stanza, dove una serie di Maghi dall’aria cupa vestiti di lunghe vesti blu notte l’avevano esaminata a forza di incantesimi bofonchiati, colpi di bacchetta e domande su domande. La trattavano come se fosse stata una via di mezzo tra una pericolosa portatrice di malattie contagiose e uno schiopodo sparacoda, ripugnante e pericoloso in tutte le sue parti.
Kathleen si era sforzata di rimanere immobile mentre scintille colorate, vapori, piccole scosse e lampi le percorrevano il corpo. Si era sforzata di rispondere educatamente a tutte le domande - tra le quali alcune dal suo punto di vista completamente insensate – e sempre con enorme sforzo si era trattenuta dal mandare a quel paese i maghi che, riuniti a gruppetti di due o tre aspettando il proprio turno per esaminarla, le parlavano alle spalle insultandola velatamente per quello che era – o meglio, quello che non era.
Questo fatto l’aveva delusa profondamente. Era convinta che dopo la caduta di Lord Voldemort tutto quel razzismo verso i nati babbani, inutile e controproducente per lo stesso mondo magico, fosse stato estirpato insieme alla convinzione della superiorità dei Purosangue. A quanto pare, però, non era così.
Dopo quelle che le parvero ore interminabili, finalmente i Maghi (Medimaghi d’Ispezione, così li aveva chiamati il guaritore Prow) la lasciarono tornare nella sua stanza.
Kathleen si sedette sul letto, sbuffando.
Avrebbe avuto bisogno di un paio d’ore di solitudine per assimilare tutto ciò che stava accadendo. E magari una doccia fredda. O semplicemente, qualcuno con cui confidarsi.
Sospirò per l’ennesima volta quel giorno e si sdraiò sulla coperta, chiudendo gli occhi.
“Non devi prendertela con loro. Ho visto come ti hanno trattata, so che non sono stati carini per niente. Però devi capirli… tu sei qualcosa di completamente fuori dalla norma. Non sei strega, ma non sei neanche una Nata Babbana. Non sembri avere doti magiche, ma sei riuscita a vedere i dissennatori, e reagisci a cose che non… a cui non dovresti nemmeno credere! Sei un caso unico. Quindi non ti capiscono. E loro odiano non capire le cose”.
La ragazza si tirò su con uno scatto, ritrovandosi davanti il ragazzo bendato del letto vicino al suo.
Da sveglio era ancora più bello di come le era sembrato da incosciente. Aveva degli occhi verdi chiarissimi, trasparenti, e un sorriso che sembrò scaldarle il cuore più di un patronus.
Il ragazzo continuò a sorriderle divertito, porgendole una mano bendata. “Sono Nicholas Jaks, piacere. Tu sei Kathleen Aster, e bla bla bla, si, so tutto di te. E’ utile poter far finta di essere incosciente” aggiunse con un occhiolino.
Kathleen si sentì avvampare. Non aveva ancora detto una parola, eppure il ragazzo non sembrava turbato, anzi. Gli strinse la mano piano, temendo di fargli male, non sapendo bene che genere di ferite si nascondessero sotto la fasciatura immacolata.
“Allora, Kathleen.. Come stai? Ancora scombussolata per l’attacco dei dissennatori, immagino…”
La ragazza si sforzò di ricordare come si faceva a parlare, ancora persa nel sorriso di Nicholas.
“Ehm, si, ecco… io, beh, cioè, si” balbettò. Il ragazzo trattenne a stento uno sbuffo divertito.
“Ei, calmati, ti giuro che non ti affatturo! Volevo solo scambiare due parole dato che da quando sei qui non hanno fatto altro che trattarti come una cavia da laboratorio… In ogni caso, io ho diciassette anni e frequenterò il settimo anno a Hogwarts… se Merlino me lo permetterà” aggiunse alzando gli occhi al cielo, alludendo alle sue pessime condizioni fisiche. “Probabilmente ci si beccherà in giro a Hogwarts… anzi, senti, so che non ci conosciamo e tutto, però se avrai bisogno di una mano io ci sarò, okay? Ultimo anno e Corvonero: combinazione vincente per il perfetto secchione” scherzò con l’ennesimo sorriso sulle labbra.
Kathleen realizzò ciò che le aveva detto con qualche secondo di ritardo, presa com’era da quegli occhi smeraldo.
“Scusa. Hai detto… Hogwarts?” chiese con voce incerta, spalancando gli occhi.
“Non dirmi che non sai cos’è…” cominciò il ragazzo, incredulo.
“Ovvio che so cos’è! E’ la più rinomata scuola di Magia e Stregoneria di tutto il mondo!” lo interruppe la ragazza. “Ma il punto è… io? A Hogwarts? Io sono solo una stupida, inutile e comune babbana!”
A queste parole Nicholas scoppiò a ridere, appoggiandosi al letto della ragazza per tenersi in equilibrio, che faticava a mantenere per via delle gambe bendate. A quella vicinanza la ragazza arrossì nuovamente e girò il capo dall’altra parte.
“Tu, una “stupida, inutile e comune babbana”? Ei, hai idea di quanti non-maghi siano stati fatti entrare qui dentro senza essere sotto un Confundus o un bell’Oblivion nel corso dell’intera storia del San Mungo? Nessuno, prima di te. E quanti babbani sono in grado di vedere i dissennatori? O semplicemente… quanti babbani credono nel nostro mondo? Si, Kathleen, nostro nel senso di mio e tuo. Tu appartieni decisamente a questo mondo. O non saresti qui, ora” affermò il ragazzo.
Kathleen deglutì a vuoto.
“E per la questione di Hogwarts… quale luogo migliore per tenerti sotto controllo, studiarti e testare le tue capacità, lasciandoti però interagire normalmente con ragazzi della tua età, imparando a vivere come tutti noi e abitando in un luogo tanto magico quanto sicuro? Entro oggi ti troveranno una sistemazione momentanea fino al primo settembre. Dopo di che… Hogwarts!”.
La giovane Aster non riusciva a credere a quello che le stava succedendo.
Hogwarts… quel nome letto così tante volte durante la sua vita babbana, eppure mai contemplato interamente. Se fino a quattro giorni prima le avessero detto che si sarebbe ritrovata al San Mungo con uno studente di Hogwarts a parlare del suo futuro nel Mondo Magico…
“Ora vado a far finta di dormire… se arriva il Medimago e mi vede in piedi a chiacchierare, mi uccide, e addio ultimo anno a Hogwarts! Mia cara signorina, è stato un piacere conoscerla… se mai avesse voglia di parlare, si giri di qualche grado verso la sua destra e troverà un interlocutore sempre pronto all’ascolto” concluse scherzosamente il giovane, dopo di che sparì dalla sua visuale, lasciandola finalmente sorridente per la prima volta dopo quella sera spaventosa.
 
                                                                       ***
 
“Quindi pensiamo sia la soluzione migliore. Ti troviamo una sistemazione da qualche mago o strega volenteroso, ti procuriamo tutto il necessario con i fondi della scuola riservati a chi ha bisogno di un aiuto economico, dopo di ché parti dal binario 9 e ¾ insieme agli altri ragazzi. La versione ufficiale sarà che sei una studentessa di un altro Istituto magico in soggiorno studio ad Hogwarts, impossibilitata ad usare la magia in seguito ad un disastroso incidente di cui ti è stato intimato di non parlare. La preside McGrannit si assicurerà personalmente di informare gli insegnanti della delicata situazione, e troverai da parte loro tutto l’aiuto che ti servirà. Ti troverai bene, vedrai. Nel frattempo, in questo paio di settimane ti consiglio di studiare tutto quello che puoi nei più svariati campi della magia. Non dovrai mai sottoporti a prove pratiche, ma dovrai essere convincente nel recitare il ruolo di una ragazza al sesto anno di istruzione magica durante interrogazioni e esami scritti” spiegò Harry Potter.
Ventiquattrore dopo il primo incontro con la ragazza, era di nuovo seduto sul bordo del suo letto, ad esporle le decisioni del consiglio del Wizengamot a proposito del suo prossimo futuro.
Vedeva la meraviglia dipinta negli occhi azzurri di quella ragazza così particolare, una meraviglia mista a paura.
Paura di non farcela, paura di non essere abbastanza, di non riuscire a soddisfare le aspettative di tutti.
Harry riconosceva quella sensazione. Era la stessa che aveva provato egli stesso quando, ancora undicenne, si era ritrovato sulle spalle il fardello della fama e dell’essere speciale.
“Kathleen… andrà tutto bene. Incontrerai la preside e qualche professore prima di iniziare il corso. E io mi terrò in contatto durante tutto l’anno. Non appena qualcosa dovesse andare storto, saremo pronti ad intervenire. E nel frattempo capiremo la tua situazione… particolare. Resta solo il decidere dove alloggiarti per le prossime settimane” riflettè l’uomo, un velo di preoccupazione nella voce.
“Io voto per il Paiolo Magico." disse una voce allegra. "Dite a Tresh - il nuovo proprietario, il figlio di Tom -  di tenerla d’occhio e la lasciate lì. Può girare per DiagonAlley e prendere confidenza con il Mondo Magico senza dare nell’occhio. Una soluzione più semplice e di gran lunga migliore rispetto a spedirla in una famiglia non sua, che non capirà mai la sua situazione”.
La ragazza voltò il capo verso il letto di Nicholas. Il ragazzo aveva parlato senza alzare la testa o aprire gli occhi, sembrava ancora profondamente addormentato.
Eppure pareva aver fatto centro: lo sguardo di Harry si illuminò e l’uomo balzò in piedi, esclamando: “Ma certo! Idea geniale, perché non ci ho pensato prima? Perfetto, vado subito a scrivere a Tresh. Intanto tu preparati, partiamo subito. E’ inutile farti stare qui, tra Medimaghi e Guaritori che non fanno altro che parlarti dietro. Finirai di riprenderti in una comoda stanza accanto a DiagonAlley. Perfetto, davvero. Scendi al piano terra, ti aspetto tra dieci minuti!” e con questo, uscì di corsa dalla stanza, dimenticandosi persino di ringraziare Nicholas.
Quest’ultimo aspettò che la porta della stanza si richiudesse, poi scattò in piedi ed andò a battere il cinque a Kathleen, rivolgendole uno dei suoi sorrisi.
“Non serve che mi dici che sono la persona più intelligente, buona e simpatica del pianeta, lo so già. E non serve che mi ringrazi, piacere mio” le disse strizzandole l’occhio. La ragazza rise.
“Io… mi sembra di vivere in un sogno. Non posso crederci…  non… sul serio, non ho parole!”
“E non sai la parte migliore” aggiunse Nicholas, un briciolo di malizia negli occhi.
“Al Paiolo Magico… ci sarò anche io! I miei sono in vacanza fino a metà settembre, io sarei dovuto essere da un mio amico in India ma considerate le mie condizioni” fece una smorfia indicando il proprio corpo “Beh… appena mi dimettono da questo schifo di posto, ti raggiungo! Si si, i commenti li farai poi… ora corri da Potter, non puoi fare aspettare una leggenda umana come lui!”
Kathleen non se lo fece ripetere due volte. Scattò in piedi, ancora vestita come tre giorni prima (i buchi e gli strappi nel tessuto, però, erano stati riparati con un colpo di bacchetta), ma prima di correre verso la porta si fermo per schioccare un bacio sulla guancia a Nicholas e mormorargli un “grazie” sommesso, lo sguardo fisso a terra e le guance rosse dall’imbarazzo.
Si precipitò giù dalle scale superando Medimaghi e Guaritori indaffarati che la guardavano con disprezzo e sconcerto. Ne aveva abbastanza di quel luogo, dei loro sguardi, del loro modo di trattarla da diversa.
Harry l’aspettava nell’atrio, in piedi accanto alla porta. “Tresh dice che ti sta già preparando la camera. E il Nottetempo sta arrivando. Mi raccomando di tenerti forte… Ora a guidarlo è il vecchio Stan Picchetto, se hai presente a chi mi riferisco” rise l’uomo.
Le mise una mano sulla spalla e, senza salutare nessuno, la condusse fuori dall’ospedale, fino ad uno stretto marciapiede davanti ad una vetrina malmessa.
“Allora, sei pronta?” chiese Harry Potter, fissandola negli occhi.
Kathleen pensò a quante ne aveva passate fino a quel momento, alle persone conosciute, alle scoperte, a quello che l’attendeva.
Si girò verso l’uomo che per anni era stato solo un mito di carta ed inchiostro, e che ora poteva sentire li, accanto a lei, a stringerle una spalla per infonderle coraggio.
“Si, sono pronta.”

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Paiolo Magico ***


Kathleen si risvegliò con un sorriso sulle labbra. Non si alzò subito, ma rimase un po' sdraiata su quel letto morbidissimo e appena cigolante, i raggi del sole già abbastanza alto nel cielo che filtravano attraverso le sue palpebre chiuse.
Era al suo terzo giorno di permanenza al Paiolo Magico, e ancora non era sparita la meraviglia verso tutto ciò che si parava di fronte ai suoi occhi.
Il viaggio sul Nottetempo dal San Mungo era stato probabilmente la cosa più divertente che avesse mai fatto. Stan Picchetto, a detta di Harry, guidava in maniera ancora più spericolata rispetto al suo predecessore, Ernie Urto. Il suo vecchio posto da bigliettaio, invece, era momentaneamente occupato dal figlio di Lee Jordan, un tale Jimmy, che arrotondava la paghetta mensile prima di iniziare l’ultimo anno ad Hogwarts.
Aveva la stessa età di Nicholas. Erano in Case diverse, ma sicuramente avevano frequentato qualche corso assieme. Chissà se si conoscevano, avrebbe potuto chiederglielo.
Nicholas.
Nicholas, Nicholas, Nicholas.
Doveva smetterla di pensare a lui in continuazione.
Probabilmente l’aveva solo presa in giro, lui con quel suo modo di fare ammiccante che la affascinava così tanto. Non doveva assolutamente pensarci. Come se non avesse avuto di meglio a cui pensare, poi!
In quei giorni si stava definitivamente riprendendo dallo shock, dal male fisico e dal periodo pesante passato in ospedale. Tresh era davvero una buona persona; ogni giorno le preparava pasti abbondanti e sazianti, poi si sedeva vicino a lei ad un tavolo isolato della locanda e le parlava anche per ore intere, trascurando gli altri ospiti.
Le indicava persone e oggetti, le faceva notare particolari o frammenti di conversazione, e per ogni cosa le raccontava una storia, istruendola a modo suo sul Mondo Magico. Era un ragazzo abbastanza giovane, molto attivo e sempre con la battuta pronta. Non era particolarmente bello o attraente, ma aveva un proprio carisma maturato forse grazie al suo lavoro.
Per il resto del tempo Kathleen si ritirava in camera sua per riposare e riprendere più energie possibili, oppure cercava di aiutare Tresh a sbrigare in fretta le faccende che trascurava per stare con lei. La ragazza si stupiva di fronte a tutte le magie che le capitavano continuamente attorno – piatti e bicchieri che si lavavano da soli, scope che parevano essere tenute in mano da uomini invisibili, pane che si affettava, aghi e fili che rattoppavano lunghi mantelli da mago – e il ragazzo si divertiva ad osservare quei dettagli per lui così comuni che si riflettevano negli occhi spalancati di Kathleen attraversando un filtro di innocenza e ingenuità.
Kathleen si decise finalmente ad alzarsi, stiracchiandosi i muscoli ancora intorpiditi per la buona nottata di sonno. Si lavò e si vestì lentamente, pregustando una nuova giornata all’insegna della Magia.
Per la prima volta dalla prima chiacchierata con Harry Potter, ripensò alla sua famiglia, ancora sotto Confundus in modo da evitarle preoccupazioni inutili.
Sarebbe stato bello poter condividere con i propri genitori ciò che le stava accadendo, ma sapeva che era impossibile. La sua permanenza nel Mondo Magico era già di per sé una violazione, almeno in parte, della legge sulla Segretezza. Figuriamoci coinvolgere anche tre babbani… tre babbani normali.
Uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle. Un’altra cosa che adorava del suo soggiorno in quella locanda: uscire dalla camera lasciandola in disordine come suo solito, poi tornare un’ora dopo e ritrovarla linda, pulita e ordinata. Il massimo era stato il primo giorno, quando rientrando dopo qualche ora passata con Tresh si era ritrovata piegati sul letto due paia di jeans e qualche maglietta. Comuni vestiti babbani, vero, ma sempre meglio di quelli ormai lisi e consumati che si ritrovava addosso.
“ ’Giorno Tresh” sbadigliò entrando nel locale principale della locanda, il bar-ristorante dove la gente era solita sedersi a chiacchierare anche al di fuori dell’orario dei pasti ed andando incontro al ragazzo, indaffarato dietro al bancone.
“Buongiorno, mia piccola Aster” la salutò con un sorriso lui.
“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così” lo rimbrottò subito lei. L’aveva rinominata “piccola Aster” da quando, vedendosi per la prima volta, Kathleen si era presentata con il cognome.
“E io ti ho detto mille volte che devi cominciare ad abituarti a svegliarti prima la mattina. Ad Hogwarts non troverai nessuno che ti tenga in caldo la colazione, sai?” disse lui con fare fintamente severo.
Kathleen sbuffò, esasperata e divertita insieme. Prese il vassoio con la colazione che Tresh le stava porgendo e si sedette al tavolo più vicino. Perfetta colazione tipicamente inglese, in versione un po’ ridotta per soddisfare la sua fame non eccessiva, come sempre: bacon, uova, pane tostato imburrato e un bicchierone di succo d’arancia. La cucina di Tresh era davvero ottima, e in pochi secondi la ragazza spazzolò tutto ciò che aveva nel piatto.
Lui come sempre si sedette vicino a lei ma, invece di cominciare a parlare come faceva normalmente, si limitò a osservarla in silenzio. Dopo pochi minuti Kathleen non riuscì più a reggere quello sguardo preoccupato fisso su di lei e sbotto: “Tresh, ti prego, dimmi quello che devi dirmi e falla finita. Sei inquietante a fissarmi e basta”.
Tresh sorrise un po’ in colpa, poi la guardò con la stessa preoccupazione di prima e le disse, senza nemmeno provare a girarci attorno: “Oggi, stasera, verrà a parlarti la McGrannit. La tua futura preside, intendo. Harry mi ha detto di non dirti altro, però… senti, penso che ti debba parlare di cosa fare dei tuoi genitori”.
Kathleen lo osservò orripilata. “Cosa fare dei tuoi genitori” la faceva pensare a possibilità orribili.
“Ehm… in che senso? Cioè, pensavo li lasciassero sotto un Confundus fino a quando sarei tornata” disse, la voce incerta.
“Devono essere in grado di giustificare una tua così prolungata assenza. Devono sapere cosa rispondere a tutte le domande che gli faranno. E’… sarà meno semplice del previsto. Però non ci pensare fino a stasera e goditi la giornata. Promesso?” chiese Tresh con fare speranzoso.
“Io… ci proverò. Si, si, tranquillo” rispose Kathleen.
“Bene” fece il ragazzo sfregandosi le mani ed alzandosi dalla sedia sulla quale si era seduto e ritrovando il suo proverbiale brio. “Stavo pensando… sei qui da tre giorni e non hai ancora mai visitato DiagonAlley!”
“Direi che è arrivato il momento giusto per farlo, allora” affermò una voce alle loro spalle.
Kathleen si girò di scatto alzandosi in piedi a sua volta, riconoscendo la voce. Non si era sbagliata: i suoi capelli, i suoi occhi, il suo sorriso
“Nicholas!” esclamò, trattenendo a stento l’impulso di correre da lui e gettargli le braccia al collo. Sbiancò e poi arrossì violentemente, abbassando gli occhi per non incrociare i suoi e rischiare un attacco di cuore.
“In persona. E esattamente dove le avevo promesso di essere” confermò lui, facendole l’occhiolino.
Finalmente senza fasciature – ad eccezione dell’avambraccio destro – il ragazzo rivelava un fisico a dir poco perfetto. Kathleen indugiò forse qualche secondo di troppo sui suoi muscoli ben disegnati, guizzanti sotto la pelle liscia e colore caramello.
“Mi sono già sistemato nella camera accanto alla tua. Tresh, preparami il conto e tutto che poi ci pensiamo stasera… Ora devo accompagnare la nostra cara Kat a scoprire quello che si è persa fino ad adesso!”.
Kat? Da quando era diventata “Kat”? Anzi, la loro cara Kat?
Non che quella nuova confidenza le dispiacesse. Anzi.
Nicholas si avvicinò e la prese per mano, per poi cominciare a trascinarla fino al cortile sul retro del Paiolo Magico da dove, sapeva, si apriva il passaggio per DiagonAlley.
Eppure la ragazza, di nuovo viola per l’imbarazzo e impegnata com’era a sforzarsi di non fissare a bocca aperta la mano di lui che stringeva la propria, non prestò minimamente attenzione alla strada che stavano percorrendo, fino quando non si trovarono di fronte ad un muro di mattoni. Nicholas doveva avere già picchiato sul mattone giusto perché il muro stava già cominciando ad aprirsi davanti ai suoi occhi.
Era esattamente come nel film. L’unica, piccola, insignificante differenza era che qui non c’erano effetti speciali del computer. Era tutto vero, reale, tangibile e molto più concreto, in quel momento, della sua vecchia vita babbana.
I mattoni del muro formarono un arco sopra le loro teste e si immobilizzarono. Kathleen strinse ulteriormente la stretta della mano di Nicholas e poi fece un passo in avanti.
Il suo primo, vero passo nel Mondo Magico.
 
                                                                                  ***
 
Cinque ore di visite a negozi, librerie, bancarelle e quant’altro dopo, Nicholas e Kathleen erano seduti ad un tavolino al riparo dal sole, intenti a gustarsi il loro pranzo, un gelatone comprato da Florian Fortebraccio, riaperto dopo la fine della Seconda Guerra Magica. Ovviamente a pagare era stato il ragazzo; Kathleen non possedeva alcun denaro Magico, anche se contava di convertire un po’ di denaro babbano in galeoni prima dell’inizio della scuola.
DiagonAlley era incredibile. Il Ghirigoro, il Serraglio Stregato, la Gringott, il negozio di Madama McClan… era tutto davvero come veniva descritto nei libri, se non meglio. Perché, invece di limitarsi ad usare la fantasia per immaginare scaffali su scaffali di libri di magia, gabbie piene di gufi spettinati o rospi gracidanti, scrivanie in marmo sormontate da folletti -folletti!- dall’aria seriosa e compita, bastava girare lo sguardo a destra e sinistra e ritrovarsi la mente invasa da queste immagini stupefacenti.
E poi, ancora più meraviglioso del giro a DiagonAlley, era stato Nicholas.
Si fermava in ogni posto interessante e le spiegava ogni cosa di cui lei non capisse il senso o la funzione, le mostrava quello che le sarebbe servito acquistare per l’anno a venire e le presentava persone di ogni età, il tutto senza lasciarle un attimo la mano, come per tenerla al sicuro, o come se avesse capito senza che lei ne parlasse il senso di stordimento che l’essere in quel luogo le trasmetteva.
“Finito il gelato? Beh, allora direi che possiamo andare! Tra un po’ dovremo rientrare al Paiolo Magico perché tu devi sistemarti prima di incontrare la McGrannit… ma prima devo portarti ancora in un posticino…” le rivelò, enigmatico.
Si alzarono e ricominciarono a camminare, questa volta semplicemente affiancati.
Dopo un po’ Nicholas le passò un braccio attorno alle spalle.
“Allora, Kat, ti piace?”
Kathleen si era ormai in parte abituata alla sua presenza, abbastanza comunque da riuscire a parlare quasi normalmente. “Oh, ehm, si, moltissimo! DiagonAlley… non mi sarei mai aspettata di vederla sul serio! Invece sono qui e… mi sembra un sogno, su serio” rispose tutto d’un fiato.
Nicholas rise. “Non intendevo proprio questo, anche se sono contento di sentire che ti piace il posto. No, io intendevo… ti piace la vita da strega? Ah, e ti piace stare con me?”
Kathleen pensò che ci mancava poco, e sarebbe bruciata per autocombustione spontanea. “Eh?”chiese, convinta di aver sentito male.
Nicholas scoppiò nuovamente a ridere. Lei scosse la testa tra sé e sé: stava scherzando. “Dall’effetto che ti faccio si presume che io ti spaventi neanche fossi un Ungaro Spinato, oppure… che ti piaccia” osservò lui con malizia, sottolineando il concetto dandole un buffetto sulla guancia.
“Oh, siamo arrivati, per questa volta sono costretto a risparmiarti di rispondere… ma ne riparleremo!”.
Solo allora la ragazza aprì gli occhi… e si ritrovò davanti il posto più spettacolare che avesse mai visto.
Tiri Vispi Weasley, recitava una scritta a caratteri cubitali.
“E’… è stupendo!” disse Kathleen, a bocca aperta davanti a quel mondo caotico di suoni, luci, oggetti che giravano, esplodevano, saltavano.
“Mi dispiace solo che oggi non ci sia George Weasley, il proprietario, avrei voluto che lo conoscessi. Comunque… Entra, guarda e prendi. Per oggi, offro io!”
 
                                                                                  ***

Rientrarono al Paiolo Magico che era ormai tardi. Non appena misero piede nella locanda, Tresh gli corse incontro e intimò a Kathleen di salire subito in camera sua. Preoccupata e sconcertata, la ragazza salì le scale ed entrò nella stanza. Stava per buttarsi sul letto, esausta, quando notò che questo era occupato da un grande gatto grigio con gli occhi cerchiati da segni scuri.
Kathleen capì immediatamente.
“Buonasera, preside McGrannit. Sono Kathleen Aster, penso che stesse aspettando me” disse rivolgendosi al gatto e mantenendo una distanza che giudicava rispettosa.
Il gatto sembrò sorridere, dopodiché, con un guizzo, iniziò a mutare. Tempo pochi secondi e di fronte a lei si stagliava una donna alta e magrissima, parecchio in avanti con gli anni, ma che manteneva un’espressione decisa e sicura di sé.
“Mi compiaccio nel dirle che i suoi modi sembrano molto più sofisticati rispetto a quelli di metà degli studenti del’ultimo anno ad Hogwarts.
Buonasera a lei, signorina Aster.”

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Scontri e bacchette ***


L’idea era stata di Nicholas. Era entrato nella stanza di Kathleen senza chiedere il permesso, annunciandosi appena con qualche rapido colpo alla porta. La McGrannit, palesemente furiosa per quell’interruzione, non aveva potuto obiettare davanti alle teorie del ragazzo, così si era deciso per lo svolgimento del piano.
E questo aveva portato Kathleen, nemmeno un’ora dopo, ad uno scontro diretto con i suoi genitori.
Trasportati ancora sotto il Confundus fino al Paiolo Magico grazie alla materealizzazione congiunta e sorvegliati a vista da due Auror, ora i genitori di Kathleen - Ryan e Jodie – se ne stavano seduti sul bordo del letto della ragazza, gli sguardi vacui persi nel vuoto.
“E’ il momento” sentenziò la vecchia preside. “Signorina Aster, è la sua unica occasione per convincerli con le buone a lasciarla vivere la sua vita, convincerli dell’esistenza di questo mondo. Si ricordi, se entro pochi minuti non sarà riuscita a portarli dalla parte della ragione, saremo costretti ad obliviarli e riportarli alla loro vita di sempre, sempre sotto Confundus ma, questa volta, con precise istruzioni su come dovranno affrontare il tuo distacco nei prossimi mesi” ripetè.
Kathleen annuì. Non aveva proferito parola da quando era stato deciso di concederle un’occasione con i genitori, qualche istante per provare a spiegare, dando loro la possibilità di ragionare con lucidità…
In realtà, la ragazza nutriva ben poche speranze. Era contenta di poterli rivedere, ma sapeva che quel mondo, quel mondo che sentiva più suo ogni giorno che passava, non sarebbe mai potuto appartenergli. Con il fratello non ci aveva neppure provato: aveva detto che era inutile tentare di convincere lui, così gli Auror lo avevano lasciato direttamente a casa. Era meglio così, comunque, perchè meno babbani erano a conoscenza della verità, meglio era.
La McGrannit si mise di fronte alla coppia, bacchetta in pugno e puntata contro di loro.
“Finite Incantatem!”
Gli Aster sembrarono sussultare leggermente, battendo velocemente le palpebre, lo sguardo ora nuovamente presente e attento.
“Ma cosa sta…”
“Ciao, papà” lo interruppe Kathleen. “Ciao, mamma. Ehm… scusate il trambusto di questi ultimi, ehm, giorni. Posso spiegare tutto. Ora vi prego, state un attimo calmi, d’accordo? Non sarà facile farvi capire…”
“Ma dove siamo? Che cosa è… Perché non mi ricordo come siamo stati portati qui? Anzi, perché non mi ricordo nulla di... giorni e giorni? E chi è questa gente, cosa vogliono da noi?!” la madre di Kathleen stava già andando in panico e si alzò dal letto con uno scatto. Quando uno dei due Auror le toccò gentilmente un braccio per convincerla a risedersi, emise un urlo e se lo scrollò di dosso come fosse stato un insetto particolarmente molesto.
“Mamma! Ti ho detto di stare CALMA!”
All’urlo della figlia Jodie si bloccò, le braccia ancora alzate nell’atto di spingere via il povero Auror malcapitato. In un unico, veloce movimento, si ricompose e si sedette rigida vicino al marito che, imbambolato e un po’ strabico come appariva in quel momento, sembrava completamente sotto shock.
“Bene” cominciò Kathleen, facendo un respiro profondo. Sentì Nicholas, dietro di lei, tossire una volta, come a ricordarle che lui era lì e non l’avrebbe lasciata sola. Sorrise, riconoscente.
“Cerco di farla breve. Avete presente le storie a cui credevo, quelle per cui mi prendevate in giro? Il Mondo Magico, Hogwarts, DiagonAlley…? Bacchette magiche, gufi postini, monete d’oro e banche piene di folletti… Beh, tutto questo… tutto questo è là fuori” disse con voce tranquilla, indicando la finestra che dava su DiagonAlley con un lento gesto della mano.
Ci fu un attimo di silenzio, rotto solo dal tamburellare nervoso delle dita di un Auror.
La pressione nella stanza sembrò aumentare notevolmente e accumularsi, poi, di colpo, come se qualcuno avesse tolto un coperchio, sembrò scoppiare all’improvviso, e il padre di Kathleen scoppiò in una fragorosa risata.
“Katleen... Kathleen. Ascolta." cominciò con i tono che si usa con un ritardato mentale. "Queste storie – queste fantasie – vanno benissimo, okay? E’ bello vedere come ti sia appassionata ad una serie di libri, come riesca a fantasticarci su. Però non bisogna esagerare. Arrivare a portarci in qualche modo in un posto del genere, coinvolgere altre persone, tutto questo… solo per assecondare le tue fantasie. Ormai hai sedici anni, è il momento di crescere. Però davvero, ascoltami”
“No, papà, per una volta ascolta tu me” lo interruppe la ragazza. “Per più di dieci anni - dieci lunghi, fottutissimi anni – vi siete presi gioco di me, non avete fatto altro che dirmi Kathleen, devi crescere, Kathleen, smettila di sognare ad occhi aperti… Ma non lo capisci, non l’avete mai capito, che io non mi stavo inventando tutto, che io sentivo che c’era qualcosa. Ma voi siete così mentalmente chiusi da non riuscire, da non provare nemmeno a credermi per un secondo, neanche di fronte a delle prove palesi… Vuoi che ti racconto cos’è successo davvero? Una notte di ormai più di una settimana fa ero come sempre sveglia alla finestra, quando due schifosi e orribili dissennatori – si, papà, hai capito benissimo, quei cosi che ti succhiano via la felicità e i bei ricordi fino a lasciarti vuoto e che, se ci riescono, ti portano via l’anima – mi hanno attaccato, non sappiamo ancora perché. E io non avrei nemmeno dovuto vederli, perché sono una babbana, un' inutile babbana come voi. E invece li vedevo perfettamente, e per cercare di allontanarli da voi e da mio fratello sono saltata dalla finestra e ho iniziato a correre, ma stavo per venire baciata, quando qualcuno mi ha salvata con un Patronus. Sono stata ricoverata al San Mungo per un po’, ho incontrato Medimaghi, Guaritori e Harry Potter in persona… si, proprio quel Harry Potter” confermò la ragazza, fermandosi un attimo a tirare fiato, per poi riprendere il racconto. “Poi mi hanno alloggiata qui, al Paiolo Magico, per darmi il tempo di entrare in confidenza con il mondo della magia prima di prendere il treno per Hogwarts, il primo settembre. Non sono una vera e propria strega, perché se entro gli undici anni non manifesti nessuna forma di Magia non puoi esserlo… però non sono neanche una babbana normale. Il punto è questo… passerò l’anno alla scuola di magia e stregoneria più prestigiosa d’Inghilterra e forse del mondo intero. Che voi lo vogliate o no. Ma se voi riuscite ad accettarlo, potrò tenermi in contatto via gufo, venirvi a trovare per Natale eccetera. Altrimenti vi faranno un incantesimo della memoria e passerete l’anno sotto Confundus, come eravate fino a qualche minuto fa” concluse.
Di nuovo calò il silenzio. Ma questa volta fu la madre di Kathleen ad interromperlo.
“Tu hai… manifestato strani poteri. Da bambina. Piccola”.

Tutti i presenti, escluso Ryan, restarono letteralmente a bocca aperta.
Jodie si agitò sulla sedia, imbarazzata dall’improvvisa attenzione che tutti le rivolgevano.
“Si, tu… facevi strane cose. Quello che descrivono proprio quei libri che tu ora pretendi che parlino della realtà. Facevi muovere gli oggetti a comando. Accendevi e spegnevi le luci a tuo piacimento, per divertirti. Una volta hai fatto alzare in volo tutti i fiori di un prato, li hai fatti girare in aria attorno a te, per poi farli ricadere sull’erba quando ti ho urlato di smettere. Quando ti arrabbiavi, poi, era terribile. Facevi esplodere oggetti, sbattere porte… tutto con la forza del pensiero”.
La donna sembrava dover aggiungere qualcos’altro ma poi si fermò, come ripensandoci, come se volesse rimangiarsi tutto ciò che aveva detto fino a quel momento. Abbassò gli occhi per terra e strinse una mano del marito, come aggrappandocisi.
“Questo… è incredibile. Doti di questo genere sono completamente fuori dalla norma anche per un bambino figlio di maghi potentissimi. Saper controllare i propri poteri a così tenera età, avere consapevolezza dell’uso che se ne fa… è una dote che normalmente si acquisisce solo grazie a tanto studio e il lavoro di tutti i docenti delle scuole di magia” osservò la McGrannit, perdendo per un attimo i suoi proverbiali freddezza e distacco. “Quello che non mi è chiaro è… se Kathleen dimostrava tutti questi poteri… che fine hanno fatto?”.
Tutti fissarono la donna, compreso il marito che, capirono, di quella parte della storia non sapeva nulla.
“Erano in due. Incappucciati, con un lungo mantello nero. Vennero una notte in cui Ryan non c’era. Non ho potuto fermarli”
Kathleen si irrigidì. Nicholas le si avvicinò, in silenzio. “Si spieghi meglio, Jodie” disse la McGrannit con voce dolce.
La donna sospirò, come se rivangare quei ricordi fosse dolorosissimo e difficile.
“Bussarono alla  porta. Io non volevo aprire, ma loro riuscirono a entrare. Avevano quelle cose in mano… quei bastoncini lunghi di legno. Quelle cose che nei libri chiamano bacchette. Non li ho visti in faccia, erano coperti. Uno dei due, l’unico che abbia parlato, avevo una voce roca e molto grave. Erano entrambi molto alti, ma i mantelli non lasciavano trapelare la loro struttura fisica, ne lasciavano intravedere alcun tratto del viso, quindi non so darvi una descrizione esauriente” la donna, adesso, sembrava aver perso tutta la paura di pochi istanti prima e appariva pratica e sicura di sé.
“Mi chiesero di Kathleen. Io provai a mentire, a dire che non era in casa, ma loro mi fecero qualcosa e io mi ritrovai immobilizzata per terra, e anche se nessuna corda sembrava trattenermi, non riuscivo a muovere un singolo muscolo. Trovarono Kathleen al piano di sopra, in camera sua, e io non riuscii a vedere cosa le fecero, ma sentivo che sussurravano strane formule, e poi un tonfo, come se l’avessero immersa in un liquido… Dopo di che tornarono giù e mi liberarono dall’incantesimo. Mi dissero che non mi avrebbero fatto dimenticare quella nottata, perché dovevo ricordare, dovevo aver paura di loro. Ma se ne avessi parlato a qualcuno, loro l’avrebbero saputo e sarebbero venuti di nuovo, questa volta per uccidere. E io capii che non stavano scherzando. L’ultima cosa che ricordo è una luce rossa e la sensazione di perdere i sensi all’improvviso. Quando mi risvegliai, sdraiata sul pavimento e con un grosso livido in testa, dei due strani uomini non c’era traccia. Corsi in camera di Kthleen, e lei era lì, che piangeva e urlava, ma non sembrava traumatizzata, piuttosto semplicemente spaventata nel non vedermi per un po’. Era lì, la mia bambina, le guance rosse piene di lentiggini e quel ciuffo di capelli in testa, esattamente com’era sempre. La vita è andata avanti, e io mi convinsi persino di essere caduta, aver preso una botta in testa e aver immaginato tutto. L’unica differenza era che da quel giorno Kathleen non ha più dato alcun segno di strani poteri, ma a me andava bene così, andava meglio così, perché non chiedevo altro che una vita normale con una figlia normale” concluse lei con amarezza.
Kathleen la guardò. Una donna che aveva sempre considerato noiosa, spesso sciocca persino, sempre presa nella monotonia delle sue giornate e nella sua vita insulsa. E non le aveva mai raccontato nulla, anzi, non aveva fatto altro che deriderla per le sue fantasie… In quel momento la vide per quello che era: una donna spaventata, sola nel portare il peso di quel fardello per quindici anni.
“Kathleen… mi dispiace. Mi dispiace di non averti mai detto nulla. Ma avevo troppa paura. E ho paura ancora adesso. E so che non ce la farei mai a saperti in un posto così lontano e pericoloso, lontana per un anno. Lo so che è una scelta da vigliacca e che ce l’avrai con me per questo, ma sul serio non ce la faccio… Per favore, riportatemi a casa mia. Fatemi quel che dovete fare, e poi riportatemi a casa. Kathleen, quando tutta questa storia sarà finita noi ci rivedremo, e sarà come prima, giusto?” chiese, speranzosa.
La ragazza sorrise con tristezza. Comprendeva perfettamente la scelta della madre, ma non poteva fare a meno di sentirsi abbandonata da lei, e molto probabilmente anche dal padre. “Tranquilla, mamma. Si, andrà tutto bene. Capisco, davvero. Ti penserò” rispose, con lo stesso sorriso triste di prima. Andò verso la madre e la abbracciò, attenta a non piangere per non far sembrare il distacco ancora peggiore. Poi rivolse l’attenzione al padre.
“Tu… mi assicuri che starai bene? Anche senza di noi?” chiese, e lei capì che si aspettava una vera risposta, e che da questa dipendeva la scelta dell’uomo.
Era da egoisti pretendere esplicitamente che accettassero quel mondo. E lei voleva bene ai suoi genitori, preferiva saperli al sicuro piuttosto che pensarli spaventati e sempre in apprensione per lei.
Guardò il padre negli occhi e annuì brevemente. L’uomo sospirò, poi guardò la McGrannit.
“Allora seguo mia moglie” affermò. “Promettetemi solo che… Mi prometta che la terrà d’occhio.”
La preside annuì a sua volta, un’aria grave dipinta sul volto. “Potrete mantenervi comunque in contatto. La signorina Aster mi farà avere le lettere da recapitarvi tramite posta babbana, e un addetto ai rapporti con i Non Magici si occuperà personalmente di prelevare la posta indirizzata alla ragazza per poi recapitarla ad Hogwarts via gufo. Una volta obliviati e Confusi, i signori Aster saranno convinti che la figlia sia in un qualche college nel lontano nord Inghilterra, qualcosa per giovani ragazzi promettenti… La ragazza potrebbe addirittura poter tornare a casa per le vacanze di Natale o Pasqua” affermò. Poi indicò un Auror e disse: “Procedete”.
 
                                                                                  ***
 
L’insegna ormai consumata al punto di essere quasi illeggibile sbatacchiava con un rumore sinistro. La porta del negozio, malconcia e impolverata, quasi scompariva, schiacciata tra un nuovissimo negozio di abbigliamento e una colorata vetrina di giochi magici. Sembrava che nessuno mettesse più piede nel piccolo locale che si intravedeva oltre la vetrina sporca e vuota da tantissimo tempo; la gente aveva paura ad entrarci, e passava oltre la piccola insegna senza degnarla di uno sguardo, come se il solo gettarvi un’occhiata fugace potesse portare sfortuna.
Kathleen entrò aprendo con qualche difficoltà la porta incrostata di sporcizia e ragnatele. Un brivido le corse lungo la schiena mentre le assi, ormai grigie e corrose dal tempo, scricchiolavano ad ogni suo passo. Era un posto da film horror, ma quello, secondo la McGrannit e Harry Potter, era l’unico modo per scoprire fino a che punto apparteneva la mondo magico.
Si guardò intorno. Era un luogo molto piccolo e apparentemente vuoto, tranne che per una sedia dalle gambe esili e delle lunghe scaffalature vuote che ricoprivano le pareti fino al soffitto.
“Buon pomeriggio” disse una voce acuta in sussurro sinistro.
Era un uomo vecchissimo, seduto su una sedia in un angolo. Sembrava una scultura, da tanto immobile stava, ma una scultura ormai rovinata. Il vecchio portava lunghi capelli bianchi, sporchi e disordinati, che gli ricadevano sulle spalle e sul viso. La pelle incartapecorita pendeva sulle ossa fragili. Le mani rugose e pallidissime stringevano convulsamente i braccioli della sedia. L’unica cosa che sembrava davvero viva in lui erano i suoi grandi occhi scoloriti che la scrutavano.
“Signorina Aster… la stavo aspettando. Si, ero sicuro che l’avrei conosciuta presto”  disse Mr Olivander.
Kathleen restò in silenzio. Si trovava davanti ad un altro personaggio leggendario, eppure non poteva fare a meno di trovarlo inquietante, di provare timore.
“Lei non è una babbana, lo sa questo? Lei crede di esserlo, ma in verità è molto potente. Io lo sento. E anche se al momento non riesce ad accedere ai suoi poteri, la magia lascia sempre traccia, e questo è il motivo per cui vede i dissennatori e sente cose che i babbani non sentono”.
Kathleen trattenne il respiro. Era in cerca di risposte da una vita intera, e ora che poteva averle, aveva paura.
“Si, si, molto potente, molto potente, mi creda. Ma io non sono la persona giusta per svelarle tutto. Se continuerà a cercare le risposte che cerca, presto conoscerà tutta la storia. In ogni caso… La sua bacchetta è decisa da tanto tempo, ormai. Fin dalla fine della Seconda Guerra Magica. Se riesce a prenderla lei, nello scaffale più in basso a destra, grazie, perché come vede io non sono nel massimo della mia forma”. Il vecchio emise una risata con la sua voce flebile.
Kathleen si inginocchiò e allungo le mani nel buio della stanza, fino ad afferrare una lunga scatola rettangolare di legno. Il dettaglio più strano era che, in contrasto con il resto della mobilia e degli oggetti, il legno era lucidissimo e lustro. La ragazza tornò di fronte ad Olivander, che con un cenno le diede il permesso di aprirla.
Il coperchio scivolò piano lungo i bordi, rivelando una bacchetta sottile e delicata, adagiata su del velluto rosso.
“Salice e piuma di fenice. Dieci pollici ed un quarto, abbastanza flessibile. La sua bacchetta. E la mia ultima creazione.”
Kathleen allungò una mano tremante, e prese in mano quel bastoncino apparentemente così comune. Una scossa elettrica sembrò percorrerla e per un attimo la punta si illuminò di una calda luce dorata.
“E’ sua. E ovviamente senza pagare. Farà grandi cose, con quella bacchetta. Però faccia attenzione. Quella piuma di fenice nel nucleo… quella fenice ha già fatto abbastanza Storia. Cose terribili e cose meravigliose, nel male e nel bene, argento e oro, Serpeverde e Grifondoro, uniti in una storia che lei conosce sicuramente già. In ogni caso… non penso che le nostre strade si incroceranno di nuovo, perciò… Buona fortuna.”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Binario nove e tre quarti ***


Gli ultimi giorni al Paiolo Magico erano stati un vero strazio.
Nicholas se ne era andato così, di punto in bianco, cinque giorni prima della partenza dell’Espresso per Hogwarts.
Doveva stare a casa sua per un po’, salutare a dovere i genitori, prepararsi per la ripresa delle lezioni, preparare il baule con tutte le proprie cose. Questa era, comunque, la scusa ufficiale. Ma Kathleen non aveva potuto fare a meno di notare come il ragazzo fosse sempre più distaccato mano a mano che il giorno della partenza si avvicinava.
Aveva smesso di tenerle la mano girando per DiagonAlley, sempre più spesso si ritirava in camera propria per ore intere ed era quasi sempre nervoso, quasi irascibile.
Tresh, ormai confidente fidato della ragazza, aveva attribuito questo comportamento ambiguo allo stress che la vicinanza del nuovo anno scolastico comportava.
Ma Kathleen sentiva che stava cambiando qualcosa. Sembrava che si stesse preparando ad un distacco, o qualcosa del genere.
Salutandola prima di prendere la strada per casa, aveva accuratamente evitato di guardarla negli occhi.
In ogni caso, la giovane Aster aveva ben presto trovato mille modi per tenersi impegnata e pensare meno all’assenza del ragazzo; c’erano un mucchio di cose da fare e il tempo sembrava non bastare mai.
Passava le giornate a procurarsi le ultime cose, per poi piegare e sistemare bene tutto nel vecchio baule procuratole da Tresh, e la notte un po’ leggeva un po’ studiava fino alle prime luci dell’alba, quando crollava esausta direttamente sulle pagine aperte dei grossi volumi scolastici.
Kathleen era semplicemente terrorizzata di non essere all’altezza dell’opportunità che le veniva offerta, studiare in quella prestigiosa scuola di Magia spacciandosi per un ex-studentessa di un altro college, alla quale uno strano incidente aveva sottratto le capacità magiche. Così leggeva e rileggeva quei tomi fino ad impararli quasi a memoria. La sua materia preferita era decisamente Difesa contro le Arti Oscure, mentre Storia della Magia le risultava insopportabile, soprattutto dopo aver appreso da Tresh che ad insegnarla era ancora quel vecchio fantasma dalla voce soporifera di Rüf.
Comunque, in un modo o nell’altro anche quegli ultimi giorni erano passati e in quel momento, alle dieci e mezza precise, Kathleen attendeva, trepidante ed emozionata come non mai, sulla banchina della stazione di Londra, esattamente tra il binario nove e il binario dieci.
Proprio in quell’istante comparve la famigliola che stava aspettando, e il suo cuore perse un battito.
Erano tutti incredibilmente simili agli attori che li avevano impersonati nei film. Solo che lì erano reali: Kathleen poteva sentirli chiacchierare e ridere allegramente, poteva vederli scambiarsi gli ultimi abbracci e raccomandazioni prima della partenza.
La famiglia Potter si avvicinò alla ragazza spingendo carrelli con rispettive valigie, gufi in gabbia e il cesto di un gatto. Si fermarono a qualche metro da lei, chi con un sorriso spavaldo – doveva decisamente essere James quello che la fissava spudoratamente, i capelli spettinati e un’espressione furba sul viso – chi con timidezza – Albus e Lily, non potevano essere altri che loro, con un identico piccolo sorriso ad incurvare loro le labbra -.
Harry si staccò da Ginny e avanzò fino a Kathleen, per poi abbracciarla con fare paterno.
“Kathleen. Come stai?” chiese, tenendole le mani sulle spalle e guardandola negli occhi.
“Bene” rispose lei automaticamente. “Solo… un po’ agitata” ammise minimizzando.
Harry le sorrise, poi si girò verso la sua famiglia.
“Ginny, James, Albus, Lily… Questa è Kathleen. Kathleen… la mia famiglia. Ma… effettivamente penso tu ne sappia già abbastanza” aggiunse ridendo.
La ragazza si prese qualche momento per osservare meglio la famiglia Potter.
Notò la somiglianza di Albus con il padre, e quella di James per il nonno suo omonimo. Lily spariva sotto la chioma rossa che, a parte il fatto che fosse liscia e non riccia, era in tutto e per tutto simile alla sua. Questo particolare affine gliela rese subito simpatica.
Poi i suoi occhi si posarono su Ginny.
Vederla lì, reale e bellissima, era un sogno. Quella ragazza – quella donna, ormai – era stata il suo idolo per moltissimi anni. Simpatica, ironica, focosa, mai smorfiosa o viziata, rappresentava il concentrato di tutto ciò che Kathleen avrebbe voluto essere.
La ragazza sorrise nella loro direzione, tormentandosi le mani, imbarazzata dal vivo interesse che sembravano dimostrare per lei.
“James è all’ultimo anno, e ha promesso che ti aiuterà con i compiti e lo studio, visto che lui il sesto anno l’ha già fatto… tra punizioni e lettere a casa” disse l’uomo con una smorfia.
“Lily è al quarto, ma Albus è al sesto come te. Stesso vale per Rose, mia nipote, la primogenita di Ron e Hermione. Almeno hai due ragazzi sicuri del tuo anno su cui contare”.
Kathleen sorrise, riconoscente. Tradotto, pensò, significava che magari non avrebbe dovuto passare tutto il tempo da sola da perfetta insulsa babbana.
“Ginny, passa con i ragazzi e aspettate dentro tuo fratello con gli altri… io e Kathleen vi raggiungiamo subito” disse Harry.
Gli altri annuirono e, nel giro di qualche secondo, sparirono attraverso lo spesso muro della stazione. La ragazza rimase ammutolita a fissare il punto in cui la pietra apparentemente solida era stata appena attraversata da quattro persone.
“Kathleen… Ti ho preso una cosetta, un regalino di buon inizio anno… Qualcosa con cui potrai tenerti in contatto con me durante tutto l’anno, farmi sapere appena c’è qualcosa che non va. Io ti sosterrò sempre, anche se da lontano, okay? So bene cosa vuol dire essere soli nel mondo magico, senza genitori a cui rivolgersi. Quindi… ricordati che io ci sono. Chiudi gli occhi ora” le ordinò Harry.
Kathleen eseguì, riflettendo sulle parole dell’uomo. I suoi genitori non erano morti, ragionò, però in fondo non faceva molta differenza, erano quasi ugualmente lontani e irraggiungibili.
Sentì un fruscio e un rumore come di ali che sbattevano e piume che si arruffavano. Poi Harry le disse di aprire gli occhi.
L’uomo teneva in mano una gabbia spaziosa, di metallo, e tranquillamente appoggiata ad un trespolo all’interno di essa…
Una civetta bianca. Una bellissima, apparentemente morbida civetta bianca dalle piume lucenti.
Proprio come Edvige pensò lei.
“Pensavo di prenderti un gufo comune, perché so che tra i fondi forniti dalla scuola agli studenti senza denaro non è prevista una quota per un animale. Poi sono entrato nel negozio e lei era lì che mi guardava... identica a Edvige quando mi è stata regalata da Hagrid. E allora ho pensato… beh, è per te”.
Kathleen rimase senza parole. Non aveva mai visto niente di più puro e stupendo.
“Io… grazie, grazie mille. E non solo per la civetta, grazie per tutto quello che fai per me, grazie perché mi capisci e ci sei se ho bisogno… vorrei riuscire a ripagarti in qualche modo un giorno” disse la ragazza.
“Un giorno farai grandi cose, Kathleen, me lo sento. E allora ripagherai non solo me, ma tutto il mondo magico. Ma ora…” disse, mettendo una mano sulla spalla della ragazza e girandosi verso il muro tra il binario nove e il binario dieci. “Ora… andiamo!”.
Mancavano tre passi alla parete. Due. Si stavano per schiantare, sicuro che si sarebbero schiantati… uno… il muro sembrava così dannatamente solido…
Il tempo di un respiro, e furono dall’altra parte.
Il binario nove e tre quarti era davvero caotico come lo aveva descritto la Rowling nei suoi libri. L’aria era satura di fumo, la vista si perdeva dopo solo qualche metro.
E poi lo vide: l’Espresso per Hogwarts, un treno enorme gremito di ragazzi e ragazze in cerca di scompartimenti liberi, si stagliava nella nebbia della stazione, già rombando, pronto a partire.
“Sono già tutti su… il treno sta per partire, ti conviene sbrigarti!” le disse Ginny, comparsa improvvisamente alle sue spalle.
“Sali e vai verso la fine del treno, dovrebbe esserci uno scompartimento con tutti i ragazzi Potter – Weasley, ti aspettano lì. E Kathleen… buon anno, e buona fortuna” le disse la donna con un sorriso, stringendole una mano in segno di incoraggiamento.
Tempo un ultimo abbraccio di Harry e la ragazza si ritrovò immersa nella folla di genitori e parenti vari che si accalcava sotto i finestrini del treno per un ultimo saluto, e in un attimo fu trascinata dalla massa degli ultimi ritardatari fino al corridoio dell’Espresso di Hogwarts.
Un ultimo fischio di avvertimento, e le porte vennero chiuse con uno scatto.
Il treno cominciò a muoversi, eruttando vapore su tutta la stazione.
Ormai non si poteva più tornare indietro. Era davvero in ballo.                                                             
Hogwarts, sto arrivando.
 
 
 

ANGOLO AUTRICE:
Buonasera lettori! È la prima volta che mi tengo uno spazio per scrivere due righe dopo il primissimo capitolo, perché normalmente dopo averne buttato giù uno nuovo sono troppo ansiosa di pubblicarlo per fermarmi ancora cinque minuti a scrivere. Comunque, perdonatemi questo capitolo decisamente scarso di contenuto, ma era necessario per preparare i successivi.
Ormai ci siamo: la nostra Kathleen si sta dirigendo ad Hogwarts con compagnia bella, e sta per affrontare un anno di avventure.
I misteri da svelare sono molti: chi erano e cosa volevano gli uomini del racconto della madre di Kathleen? Cosa è successo ai poteri della ragazza? E’ una strega, in fondo, o ormai è irrimediabilmente una babbana? Chi ha scagliato il patronus che l’ha salvata dall’attacco dei dissennatori? Come si comporterà Nicholas con lei una volta arrivati a scuola?
Un ringraziamento speciale a chocolate_pudding che non manca mai di recensire i nuovi capitoli, stimolandomi ad aggiornare presto, e a quell’altro paio di lettori che mi hanno scritto in messaggio privato per chiedermi di continuare in fretta la storia… grazie di cuore!
Ci si vede domani con il prossimo capitolo!
Kylu

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sull'Espresso per Hogwarts ***


Kathleen rimase ferma nel corridoio ormai quasi vuoto per diversi lunghi istanti, il bagaglio e la gabbia appoggiati per terra ai suoi piedi, fissando estasiata il panorama che scorreva sempre più veloce fuori dai finestrini. Era in viaggio, era davvero in viaggio verso Hogwarts!
Si riscosse, ricordandosi che avrebbe dovuto raggiungere la carrozza che le era stata indicata.
Impaziente di conoscere la nuova generazione Potter e Weasley, afferrò il manico del baule, sollevò la gabbia con l’altra mano, ed iniziò ad arrancare verso il fondo del treno.
Dopo qualche decina di metri incrociò un gruppetto di ragazzi. Dovevano avere più o meno la sua stessa età. Ciò che per prima cosa la colpì furono le loro risate fredde, in qualche modo spaventose.
Kathleen si guardò attorno, sorpresa. Gli studenti che ancora si attardavano nel corridoio alla loro vista sfrecciavano a chiudersi negli scompartimenti più vicini, un’espressione tra il timoroso e il reverenziale dipinta sul volto. Eppure quei ragazzi proseguivano nelle loro chiacchiere e battute, senza accorgersi, o forse senza curarsi della reazione che procuravano agli altri.
Anzi, più la gente si mostrava impaurita, più loro sembravano divertirsi.
Uno dei ragazzi in fondo al gruppo attirò l’attenzione di Kathleen. Era parecchio alto, magro, dal fisico nervoso e scattante, i tratti del viso affilati eppure perfetti nel loro pallore lunare che ne esaltava la proporzione e le linee impeccabili. Aveva un paio di stupendi occhi grigi, grandi e profondi, che sembravano scrutare il mondo a raggi X. Il ciuffo di capelli sulla fronte, d’un biondo chiarissimo, era stato sistemato ordinatamente in una pettinatura rigida e composta, ma alcuni ciuffi ribelli erano sfuggiti a quel lavoro minuzioso ed erano scesi ad incorniciare il volto del ragazzo.
La ragazza continuò a fissarlo incuriosita. Stava leggermente appartato rispetto agli altri, e nonostante ridesse alle loro battute e addirittura partecipasse alla conversazione, Kathleen notò un ché di meccanico in quel gesto, come un voler nascondere il reale scarso interesse verso la compagnia degli altri o i loro discorsi.
Le sembrava di doverlo riconoscere, come un vecchio amico che si incontra dopo tanti anni. Eppure non le veniva in mente nessun nome a cui abbinare quel viso incredibilmente bello.
Persa nei suoi pensieri per qualche secondo più del dovuto, non si accorse che i ragazzi avevano ripreso a muoversi e venivano nella sua direzione. Kathleen cercò di appiattirsi al muro tra uno scompartimento e l’altro in modo da non ostruire il passaggio. Le passarono accanto, chi ignorandola e chi squadrandola con disprezzo, fino a che uno dei ragazzi, passando, le riservò uno sguardo al cianuro e con un calcio fece ribaltare il suo vecchio baule.
Le chiusure arrugginite cedettero e parte del contenuto – tutti i libri che aveva acquistato negli ultimi giorni, accatastati alla meglio sopra i vestiti – si riversò lungo il corridoio. Qualche studente allarmato dal rumore si affacciò dal proprio scompartimento per accertarsi che fosse tutto a posto.
Kathleen gemette, buttandosi per terra e iniziando a raccogliere i libri dalle pagine stropicciate.
Avrebbe voluto scomparire. Era sul treno da nemmeno un quarto d’ora, e già si era fatta riconoscere…
Sentì qualcuno alle sue spalle e si girò di scatto, pronta a dirne quattro a quell’idiota che le aveva rotto il baule. Ma poi rimase di sasso. Non era lui.
Era il ragazzo biondo che aveva notato pochi istanti prima, e a quella seconda vista finalmente un nome le salì alla mente.
Scorpius Malfoy.
E lei l’aveva giudicato… come? Bello, dal viso perfetto, con quegli occhi stupendi…? Un Malfoy?
“Aspetta, ti do una mano. E’ quell’idiota di Nott che si diverte a fare il figo” disse con voce appena roca il ragazzo, chinandosi e iniziando a passare libri alla ragazza.
“Malfoy, per Salazar, che stai facendo?” lo richiamò la voce di una ragazza una decina di metri più avanti.
“Niente” rispose subito lui, scattando in piedi, come rendendosi conto solo in quel momento di ciò che effettivamente stava facendo.
“Stavi aiutando quella là? Ma sei fuori?” rimarcò questa volta la voce di un ragazzo, fuori dal campo visivo di Kathleen che, ancora inginocchiata e di spalle rispetto al ragazzo, non osava muoversi.
“Ma ti pare? Non so neanche di che Casa sia, sarà una sfigata del Tassorosso… Volevo solo accertarmi che non si fosse fatta troppo male o Nott andava nei casini. Beh, tira su tutta questa roba prima di darci nuovamente fastidio” le disse lui tirandole malamente in grembo i libri che ancora stringeva tra le mani.
Lo vide ghignare nella sua direzione, e di nuovo ritrovò quella nota stonata, un’espressione di fondo che non si addiceva al ruolo che sembrava recitare di fronte ai suoi amici.
“E fai in fretta… stupida babbana” concluse Malfoy, per poi allungare una gamba come per preparare un calcio.
Kathleen si riparò con le braccia, aspettando il dolore… ma il piede del ragazzo si arrestò a pochi centimetri dal suo fianco. Un pensiero le attraversò la mente in una frazione di secondo: da quella angolazione, i suoi amici non avrebbero potuto vedere che non l’aveva realmente colpita. Ma perché quello strano ragazzo recitava in quella maniera? Soffriva di una sorta di bipolarismo o cosa?
La ragazza si piegò in due, fingendo di incassare il colpo con un gemito soffocato, mentre la banda si allontanava. Dopo qualche secondo si rialzò e ricominciò a raccattare tutti i suoi libri sparsi in giro.
“Kathleen! Ti ha fatto male? Quegli emeriti stronzi… mai a prendersela con qualcuno che possa tenere loro testa, mai… ma aspetta che li becco da qualche parte da soli, non me ne frega di beccarmi l’ennesima punizione, io ti giuro che gli uccido…”
 
La ragazza alzò la testa: James Potter era comparso all’improvviso davanti a lei. Gli sorrise, grata, poi infilò gli ultimi tomi nel baule e lo richiuse con un gesto secco.
“Ti sono venuto a cercare quando non ti abbiamo visto arrivare… Rose era già convinta che fosse successo qualcosa e si stava preoccupando, vabbè che lei si preoccupa per tutto…”. Le prese la valigia e la gabbia dalle mani e la condusse lungo il corridoio.
“No, io… sto bene. Grazie. Ero solo un po’ in mezzo alle scatole e passando mi hanno urtato il baule che si è aperto” minimizzò lei. Vide James guardarla di sottecchi, per niente convinto.
Si fermarono di fronte ad uno scompartimento con le tende tirate. Il ragazzo aprì la porta, e fu subito accolto da un vociare indistinto e da una serie di esclamazioni.
“Vieni, Kathleen… no, Rose, tutto a posto, solo una banda di idioti Serpeverde che se la sono presa con lei, i soliti vigliacchi decerebrati… Siediti lì” le disse indicando l’unico posto libero, spingendo poi il baule sotto il sedile e appoggiando la gabbia con la civetta sulla retina porta bagagli.
“Conosci tutti più o meno, no? Eviterei le presentazioni imbarazzanti… comunque, loro sono Rose e Hugo, non gli avevi ancora visti…”
La ragazza abbassò gli occhi e accennò un saluto, rossa in viso, prendendo posto accanto al finestrino, vicino ad Albus. “Ti abbiamo lasciato quel posto lì pensando che ti sarebbe piaciuto guardare fuori…" le disse il ragazzo. "Il primo viaggio ad Hogwarts non si scorda mai!”.
Kathleen gli sorrise, riconoscente.
 
                                                                                  ***
 
Oltre cinque ore dopo, l’Espresso per Hogwarts filava tra le campagne al nord d’Inghilterra, procedendo spedito sotto una pioggerellina fine che aveva iniziato a battere sui vetri fin dalla prima ora di viaggio.
I sedili e il pavimento erano ora ricoperti delle carte colorate di qualunque dolce offrisse il famoso Carrello – James e Hugo l’avevano costretta ad assaggiare tutto, dalle cioccorane alle gelatine TuttiIGustiPiù1.
Ora, con la pancia piena e l’espressione divertita e serena, Kathleen era impegnata in un’animata conversazione sul Quidditch con Lily e Albus. Nonostante la sua provenienza babbana, dello sport magico per eccellenza la sapeva lunga, ed era un piacere poter discutere delle regole, dei giocatori o delle squadre più famose e delle vittorie o sconfitte più eclatanti della storia con qualcuno che non la considerava né pazza né infantile, come succedeva ogni volta che da bambina aveva provato a buttare lì un discorso del genere con i parenti.
Provenienza babbana… quelle parole risvegliarono in lei i pensieri che non avevano smesso di tormentarla per più di dieci minuti di fila da quando erano partiti.
“E fai in fretta… stupida babbana”.
Le parole di Malfoy continuavano a risuonarle in mente. Non tanto perché si sentisse offesa o quant’altro – era stata lei stessa a definirsi in quel modo per oltre dieci anni – ma perché non poteva essere possibile, non era neanche minimamente contemplabile la possibilità che quel ragazzo sapesse… che fosse a conoscenza…
O forse si?
Forse suo padre aveva degli informatori all’interno del San Mungo? O l’avevano spiata al Paiolo Magico? O…
Kathleen sospirò. Si stava facendo solamente tante storie mentali. Molto probabilmente – anzi, sicuramente – era solo un insulto che rivolgeva alla gente che considerava inferiore a lui, e lei l’aveva semplicemente interpretato erroneamente come un’accusa personale.
“Kathleen, vuoi fare una partita a Sparaschiocco?” le chiese Hugo, interrompendo i suoi pensieri.
La ragazza sorrise, annuendo. Quei cinque ragazzi erano tutti così meravigliosamente magici, così simpatici, tutti bellissimi nella loro versione di capelli rossi lisci alla Weasley, corvini spettinati alla Potter o castani e mossi alla Granger. Ed era così incredibile, così fantastico essere lì…
“No, aspetta” intervenne Rose, staccando finalmente gli occhi dalle pagine del libro in cui si era tuffata non appena il viaggio aveva preso a scorrere tranquillo. “Volevo chiederti una cosa… Qualche sera fa ho sentito dire a mio padre che Olivander ti ha dato una bacchetta e che quindi in teoria un po’ Strega dovresti esserlo…” disse rivolgendosi alla ragazza.
Kathleen la fissò, un sopracciglio sarcasticamente alzato, iniziando a comprendere dove volesse andare a parare.
Non ci poteva fare niente, ma quella ragazza in perfetto stile so-tutto-io in realtà non riusciva a digerirla del tutto. Era simpatica e carina quanto gli altri, vero, ma c’era qualcosa in lei che la rendeva insopportabile. Si era detta che era stato così anche tra Harry, Ron ed Hermione al loro primo anno, e per questo aveva deciso di studiarla per un po’ senza giungere a conclusioni affrettate e senza fermarsi all’apparenza.
“Suppongo tu non abbia ancora provato ad usarla per via della Traccia” continuò lei, ora con l’attenzione di tutti puntata addosso. “Ma sul treno di Hogwarts non hai quel problema lì, quindi… che ne dici di provare, tipo, ora?”.
Kathleen si irrigidì.
Si era già abituata a portare la bacchetta nascosta in una manica della veste o in una tasca interna, ma non aveva mai provato a farci nulla, nonostante la voglia fosse tanta: aveva troppa paura di ricevere una delusione non vedendo accadere niente.
Eppure... Olivander aveva detto che un giorno avrebbe compiuto grandi gesta con quella bacchetta…
“Va bene” disse, stupendo gli altri e soprattutto se stessa. Recuperò velocemente la bacchetta e la impugnò delicatamente nella mano destra. “Sinceramente però non so che effetti potrà avere” ammise poi con voce sussurrata.
“Beh, se devi far esplodere la testa a qualcuno prendi Albus, almeno faresti un favore all’umanità, forse non ti denuncerebbero neppure… Sicuro che la Dunat ti farebbe avere una medaglia al merito per servizi resi alla scuola o qualcosa del genere, considerata l’incredibile incapacità di mio fratello in Trasfigurazione…” sdrammatizzò James.
“Ma per Merlino, la smetti di sparare cavolate? Non vado male in Trasfigurazione, sei solo tu che…”
“Non vai male, a parte il fatto che una volta si e l’altra pure trasfiguri la testa del tuo vicino in qualche uccello esotico…”
“E’ successo solo una volta, e poi Jennifer McClagen aveva rotto sul serio, nessuno ha rimpianto un paio di settimane senza…”
“Oppure far esplodere topi e rospi invece di trasfigurarli in innocenti tazze di the…”
“Ma dopo li ho ricomposti e li ho trasfigurati praticamente senza errori…”
“A parte il fatto che il tuo non fosse the ma un bricco intero di Whisky Incendiario e che Stephen Steward abbia passato la giornata nel bagno del terzo piano a vomitare l’anima per esserselo scolato tutto” fece notare James ridendo.
“Non è colpa mia se quella testa di Nargillo ha bevuto tutto mentre mi andavo a procurare un altro topo per riprovare…”
“BASTA! Smettetela di fare i bambini, una volta per tutte!” urlò Lily, in quel momento incredibilmente simile alla nonna – la signora Weasley, la madre di Ron.
“Allora… provi?” chiese Albus titubante, lanciando un’ultima occhiataccia al fratello maggiore e rivolgendosi di nuovo a Kathleen..
Lei sospirò.
Puntò la bacchetta contro un buco nella stoffa del suo sedile.
Reparo!”.

Tutti trattennero il respiro.
Passò un secondo.
Due.
Non successe niente.
“Ehi, non abbatterti, alla prima volta non funziona mai a nessuno, e non hai scelto nemmeno l’incantesimo più facile…” tentò di consolarla Lily.
La ragazza scosse la testa. Era solo la conferma di quello che era, un promemoria che nonostante fosse lì, il suo cervello rimaneva irrimediabilmente babbano.
“Riprova” disse James. Era strano, davvero raro vederlo serio com’era in quel momento.
Kathleen ricacciò indietro le lacrime che premevano per uscire e annuì. Poi si sforzò di concentrarsi solo su quel buco nella stoffa.
Ti prego, ti prego. Non ti costa niente ripararti, no? Mentre per me vorrebbe dire tanto…
“Reparo!”.
Niente.
La stoffa rimaneva lì, lacerata, come un occhio spalancato che osservava maligno il fallimento della ragazza.
“Reparo, reparo… reparo!”
Kathleen stava uscendo di testa. E all’improvviso un nuovo sentimento la sorprese, imponendosi su tutti gli altri: non si sentiva più sconfitta, insulsa o inutile, non si sentiva più umiliata e ridicola.
No, lei era semplicemente arrabbiata.
Perché l’avevano illusa, le avevano detto che avrebbe fatto grandi cose, le avevano detto che sarebbe potuta diventare una Strega vera e propria. E ora quel fottutissimo buco sarebbe dovuto andare al diavolo, per Merlino, quello stupido buco schifoso che…
“REPARO!”
Quasi urlò, sfogando quella rabbia repressa.
Fu un attimo, una scarica elettrica, come se avesse preso una scossa. Per il brevissimo tempo di un battito cardiaco, Kathleen si sentì colma di un potere che andava oltre ogni sua più fervida immaginazione; se ne sentì riempita, era davvero troppo per poter essere contenuto, avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro come una stella, espandersi fino a formare un nuovo universo, era qualcosa di semplicemente incontenibile, e tutta quella forza le scorreva nelle vene, inondandola con una carica di adrenalina e potere assoluto…
Fu un attimo e poi, così com’era cominciato, tutto finì, lasciandola stremata e vuota.
Il buco nella stoffa del sedile era scomparso.
 
                                                                       ***
 
“Guardate, da qui si vede già il lago nonostante la bufera… abbiamo fatto bene a cambiarci già” osservò Rose, seduta tranquillamente, sempre con il suo tomo da millecinquecento pagine appoggiato in grembo.
Hugo, Albus e James erano impegnati nell’ennesima partita a Gobbiglie e schiamazzavano e strillavano come bambini davanti ad un giocattolo nuovo.
Lily, invece, era intenta a fissare Kathleen, persa nella contemplazione del panorama fuori dal finestrino, la guancia poggiata ad una mano.
“Kathleen, sei in quella posizione da tre ore e non hai rivolto parola a nessuno. Capisco che quello che ti è successo ti abbia sconvolto, ma ti abbiamo già ripetuto un milione di volte che appena arrivati ad Hogwarts, o al massimo domani, potrai parlare alla McGrannit. Lei saprà di sicuro darti una spiegazione. E poi vedila così: almeno abbiamo appurato il fatto che tu, di magia, ne hai eccome. E’ solo bloccata da qualche parte dentro di te. Ma è lì, e devi soltanto imparare a tirarla fuori”.
Kathleen non si dette neanche la pena di annuire.
Sapeva perfettamente che le parole della ragazza erano verissime, ma faceva fatica ad essere positiva in quel momento. E poi l’attacco di magia, così l’aveva soprannominato tra sé e sé, l’aveva lasciata stanchissima ed affamata come non mai.
Lily sospirò. Si conoscevano da pochissimo, eppure sentiva di essere già affezionata a quella ragazzina così particolare. Allungò una mano e cercò quella della nuova amica, stringendola forte per farle sentire che in quella storia non era da sola.
A quel tocco Kathleen si riscosse e finalmente alzò la testa, un piccolo sorriso sul viso.
In quel momento il treno curvò, sbaragliando tutte le biglie dei ragazzi giu dal tavolo da gioco e in giro per tutto lo scompartimento.
E in quel momento Kathleen ebbe per la prima volta la visione che aspettava con ansia da giorni e che sognava da una vita.
Le finestre erano tutte illuminate, migliaia di piccole luci che si stagliavano sul nero della pietra. Le torrette si innalzavano maestose ed aggraziate, sfidando il cielo plumbeo. Gli alberi della Foresta Proibita si dibattevano sotto il vento e la pioggia scrosciante, i prati davanti al portone d’ingresso del castello resi lucidi dalle gocce d’acqua.
Era a Hogwarts.
E, per la prima volta nella sua vita, così come tanti altri prima di lei, si sentì veramente a casa.
 
 
 


ANGOLO AUTRICE
Buonasera lettori! Ho ritardato di un giorno l’aggiornamento, chiedo perdono, ma mi era venuta un’illuminazione su una fanfiction completamente diversa. Che dire… con questo luuungo capitolo ho cercato di farmi perdonare il quasi vuoto totale dell’ultimo...
Finalmente vediamo comparire un altro dei più importanti personaggi della storia: Scorpius Malfoy.
Il prossimo capitolo sarà ambientato, finalmente, ad Hogwarts. Ho preferito dilungarmi per un intero capitolo su questo lunghissimo viaggio in treno piuttosto che velocizzare troppo i tempi. E comunque di cose ne sono successe, e nuovi interrogativi vanno ad aggiungersi a quelli lasciati in sospeso nel capitolo precedente: perché Malfoy ha un comportamento così, per usare un eufemismo, a dir poco bizzarro? Perché Nicholas non è lì ad aiutare Kathleen ad ambientarsi o semplicemente a stare con lei come ci saremmo aspettati? E cosa succede, per Merlino, ai poteri – o non poteri – della nostra Kathleen?
Grazie ancora una volta a Chocolate_pudding per le ottime recensioni e un grazie anche a tutti i lettori che hanno messo la storia tra le seguite, le preferite o le ricordate.
A presto!
Kylu

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Hogwarts, finalmente ***


La visione di Hogwarts svanì veloce com’era apparsa non appena il treno tornò a curvare.
Kathleen rimase con la bocca spalancata e la fronte appoggiata al finestrino, incapace di proferire parola da tanta era l’emozione.
“Sembra che tu abbia appena visto il Barone Sanguinario distribuire caramelle ai Grifondoro” osservò James. La ragazza, con un enorme sorriso stampato in faccia, si staccò dal vetro e tornò a distendersi comodamente sul suo sedile, con un’aria trasognata degna di Luna Lovegood.
Proprio in quel momento in tutti gli scompartimenti risuonò una voce: “Tra cinque minuti arriveremo ad Hogwarts. Siete pregati di lasciare il bagaglio e le gabbie di gufi, gatti o rospi sul treno; saranno portati negli edifici della scuola separatamente”.
“Ehi, ci conviene sbrigarci a cambiarci, dovevamo farlo prima come avevo detto io!” esclamò Rose scuotendo la testa.
Kathleen recuperò dal baule la divisa scolastica comprata pochi giorni prima da Madama McClan e la indossò più velocemente che poteva. Era strano, ma nonostante la camicia dal colletto inamidato e il lungo mantello da Strega si sentiva perfettamente a suo agio con quegli indumenti.
Osservò i suoi compagni di scompartimento che finivano di rassettarsi la divisa. Erano tutti forniti di cravatta rosso-oro; Rose portava un distintivo da prefetto appuntato al petto, James quello di capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro.
Il treno prese a rallentare fino a fermarsi del tutto. James e Hugo si precipitarono fuori, probabilmente per cercare di accaparrarsi un buon posto sulle carrozze; Rose cercò di prendere per mano Lily, che si liberò urlando alla cugina qualcosa sul fatto di non avere più cinque anni.
Albus sorrise a Kathleen e le fece cenno di seguire la fiumana di gente che si spintonava, procedendo lentamente verso lo sportello.
Dopo qualche minuto scesero su un marciapiede stretto e buio; la pioggia continuava a scrosciare e il vento gelido non dava tregua. Quasi tutti gli studenti, previdenti, si strinsero in giacche o maglioni che avevano portato con se. Kathleen rabbrividì, coprendosi al meglio con il mantello leggero della divisa. Nonostante cercasse di respingere quel pensiero dall’intera giornata, non poté evitare di scrutare la folla in cerca di quel volto che le mancava così tanto. Nicholas. Sentì una stretta al cuore al solo pensiero di lui, ma la scacciò con tutte le sue forze, relegando il pensiero in un angolino del cervello. Non si sarebbe certo fatta rovinare la prima serata ad Hogwarts da un ragazzo che le aveva promesso tanto e poi non si era più fatto vedere!
“Primo anno, primo anno da questa parte!” urlò una voce appena roca per sovrastare il ruggito del vento.
Kathleen rimase senza parole. “E’… Hagrid?”  chiese, speranzosa. “Il figlio” rispose Albus, ancora vicino a lei. “Si chiama Boffin… Hagrid alla fine ha sposato la preside di Beauxbatons, non lo sapevi? Boffin ha preso il posto di Hagrid come guardiacaccia e insegnante di Cura delle Creature Magiche da quando il padre ha deciso di trasferirsi con la moglie da qualche parte in montagna qua vicino. E’ in gamba, solo… un po’ maldestro” spiegò il ragazzo.
“Coraggio, seguitemi… C’è qualcun altro del primo anno? Forza, quelli del primo anno mi seguano!”.
Kathleen salutò gli altri con un cenno del capo, poi andò ad unirsi alla fila di bambini che circondavano un uomo enorme. Si vergognava un po’ a stare tra ragazzini di cinque anni più piccoli di lei, ma Harry aveva spiegato che dovendo anche lei essere smistata in una Casa, avrebbe dovuto compiere il tragitto dal treno fino al castello con i nuovi arrivati.
“bene, ora, attenti a dove mettete i piedi. Con ‘sta pioggia non si vede un accidenti” disse ancora il mezzo gigante.
Seguirono Boffin lungo un sentiero ripido e stretto, fiancheggiato da alberi altissimi che impedivano ulteriormente la vista.
“Tra dieci metri, vista panoramica di Hogwarts!” annunciò con voce baritonale.
A Kathleen sembrava di star vivendo un sogno. Stava rivivendo quello che per anni e anni aveva letto solo nei libri; cercava addirittura di non sbattere le palpebre, per non perdersi neanche un secondo di quella serata indimenticabile.
Dopo qualche passo, il sentiero si aprì sulla riva del Lago Nero, ai margini della Foresta Proibita.
Il castello di Hogwarts si stagliava sulla sommità di una montagna, con le sue migliaia di torri e le finestre illuminate a decorarne le pareti lisce. Molti ragazzi ammutolirono, qualcuno emise uno strillo, qualcun altro un “oooh” di meraviglia. Sembrava già parecchio più vicino rispetto alla brevissima visuale avuta dal treno.
Sulla riva del lago, tra onde e soffi di vento, beccheggiavano decine di piccole imbarcazioni di legno.
“Fino a quattro per battello… sbrigatevi, su, o a Hogwarts arriveremo domani!” disse una nuova voce alle loro spalle.
Kathleen si girò. A parlare era stata una ragazza apparentemente poco più grande di lei, di altezza media, molto magra ma dalle belle forme. Aveva lunghi capelli neri lisci e dei begli occhi dal taglio orientale. Sorrise a Kathleen: “Ciao, mi avevano detto che ci sarebbe stata una ragazza grande quest’anno… vieni sulla barca con me così facciamo due chiacchiere, farsi il tragitto con quei bimbetti viziati è una cosa da manicomio” le disse. Kathleen sorrise a sua volta, riconoscente. Preferiva di gran lunga stare con una ragazza grande rispetto a umiliarsi davanti a bambini tanto più piccoli di lei.
Non appena tutti furono a bordo, Boffin battè sul fianco del suo battello personale – più robusto degli altri, e più spazioso – esclamando: “Si parte!”.
Le barchette si staccarono dalla riva, cominciando a muoversi in direzione del castello.
“Sono Caposcuola di Serpeverde, la McGrannit mi ha chiesto se potevo dare una mano a Boffin quest’anno… credo che lo chieda sempre a qualcuno, quel’uomo ha sul serio bisogno di una mano per gestire quelle piccole pesti, è solo da un paio di anni che fa questo lavoro e non è ancora abituato a… Ehi tu! Se non ti pare di essere già abbastanza bagnato per questa cavolo di piogia puoi buttarti nel lago, ma prova a schizzarci un’altra volta e ti farò mangiare dalla Piovra Gigante!” urlò rivolta ad un bambino di un’imbarcazione vicina. In effetti, pensò Kathleen, più fradici di così non sarebbero potuti essere. In quel momento si accorse di star rabbrividendo per il freddo in un modo incredibile, batteva i denti tanto da avere la mascella stanca. Osservò con invidia la ragazza di fronte a lei, completamente avvolta in un lungo cappotto imbottito.
“A proposito… mi chiamo Ayumi Coaster e ho diciassette anni. Tu sei…”
“Kathleen Aster” completò lei.
“Sei quella di un’altra scuola di magia che ha fatto l’incidente, eccetera eccetera?” chiese con curiosità la Serpeverde.
“Si, io… si, esatto” balbettò Kathleen. Impara a mentire decentemente, si disse, o sarà peggio per te…
“Siamo quasi arrivati… Giù le teste, gente!” urlò Boffin.
La barchette raggiunsero la scogliera, incredibilmente stabili nonostante le onde potenti che ne battevano le fiancate.
Non aveva fatto in tempo a finire il pensiero quando Ayumi urlò “Attenta!”, un attimo prima che un onda più alta delle precedenti sbattesse l’imbarcazione contro la roccia e Kathleen vi venisse sbalzata contro. L’impatto venne assorbito interamente dal braccio destro della ragazza, che sentì il rumore della pelle che si strappava. Gemette per il dolore, imponendosi di non urlare; poi ricadde all’indietro, nell’acqua gelida del lago, e precipitò sempre più a fondo.
Le sembrò di essere immersa nel ghiaccio puro. Ogni poro della sua pelle sembrava gridare per il dolore mentre l’acqua follemente fredda vi penetrava. Kathleen sentì i polmoni bruciare, aveva bisogno di aria, non sarebbe resistita per molto… la pressione la schiacciava, opprimendole il petto… La ragazza scalciò con tutte le proprie forze e ben presto guadagnò la superficie del lago. La barca era fortunatamente solo ad un paio di metri da lei, e Kathleen iniziò a nuotare in quella direzione, nonostante le onde che la aggredivano furiosamente. Con la caduta nell’acqua ghiacciata, il dolore al braccio sembrava essersi assopito, così riuscì a fare un paio di bracciate prima che Ayumi l’afferrasse e la caricasse a peso di nuovo al sicuro sul battello.
Sentì gli sguardi di tutti puntati addosso, e si rese conto di essere messa davvero male: il sangue continuava a sgorgare dalla ferita, uno strappo dai lembi di pelli smembrati che si estendeva dal gomito al polso. Scossa da spasmi di freddo, Kathleen si sentì svenire, ma ancora una volta si auto impose di restare cosciente e tranquilla.
Intanto le barche avevano preso ad attraversare un lungo tunnel buio –Almeno qui non piove, pensò Kathleen cercando di distrarsi dal dolore e il senso di gelo che la attanagliava –  al termine del quale attraccarono, permettendo ai ragazzini di scendere, Kathleen fermamente sorretta da Ayumi. Si arrampicarono lungo un passaggio nella roccia, e finalmente emersero sull’erba del prato davanti al castello, nuovamente sotto la bufera.
Salirono una scalinata di pietra e si affollarono davanti ad un immenso portone di quercia.
Boffin alzò il braccio e bussò tre volte.
 
                                                                       ***
 
Venti minuti dopo Kathleen, il braccio strettamente fasciato e una pozione Rimpolpa Sangue a scorrerle nelle vene, si trovava in una saletta insieme ai ragazzini del primo anno. Ayumi si era dileguata appena accertatasi di lasciare la ragazza in buone mani – quelle di Plinch, la nuova infermiera – ed era corsa a raggiungere i suoi compagni al tavolo di Serpeverde, nella Sala Grande. Il vociare dei ragazzi più grandi raggiungeva i nuovi arrivati attraverso la spessa parete che li divideva. Erano stati accolti dalla professoressa di Trasfigurazione Dunat, una ragazza molto giovane e parecchio attraente.
Kathleen osservò i ragazzini che cercavano di sistemarsi al meglio, nonostante i vestiti bagnati, infangati e stropicciati, aiutandosi anche l’un l’altro per pettinarsi e aggiustarsi, per quanto possibile, colletti e cappelli.
“Da questa parte, prego, siamo pronti per cominciare la Cerimonia dello Smistamento” disse in quel momento la Dunat.
I ragazzi, una cinquantina in tutto, nervosi e tesi come non mai, si misero in fila dietro l’insegnante, che li condusse attraverso una piccola porta direttamente in Sala Grande, dove sbucarono da dietro il tavolo dei professori.
Era incredibile, semplicemente incredibile. Era così grande, meravigliosa con quel soffitto che rispecchiava il cielo plumbeo di quella sera e le migliaia di candele sospese ad illuminare l’ambiente, così magica…
I tavoli delle quattro Case erano gremiti di studenti e apparecchiati con stoviglie e piatti argentati, come a predire un lauto banchetto.
Appena sotto i gradini di pietra che separavano la zona insegnanti dai tavoli degli studenti, si trovava un vecchio sgabello sghembo a tre gambe, e sopra di esso un ancor più malandato cappello a punta, liso e rattoppato in più punti.
Il Cappello Parlante.
“Se mi mettono a Tassorosso penso che lascio la scuola!”
“Ti immagini finire a Grifondoro, tra quei palloni gonfiati che si credono chissà chi…”
“Ma scherzi, Corvonero è la Casa migliore, io spero proprio di finire lì…”
Pezzi di conversazioni giungevano a Kathleen, che iniziò a sudare freddo. E se in fondo fosse stato tutto uno sbaglio? Se fosse effettivamente stata babbana? Se fosse rimasta lì, seduta su quello sgabello, ancora gocciolante e tremante per la caduta nel lago, con il braccio fasciato ed un vecchio cappello in testa a renderla ancora più ridicola, finchè non fosse stata riportata a casa sotto un bell’Oblivion?
Non poteva nemmeno pensarci…
In quel momento, sull’intera sala calò il silenzio, e tutta l’attenzione si rivolse al famoso cappello.
Uno strappò si aprì nella stoffa, e il Cappello Parlante cominciò a declamare…
 
 
Ormai allo smistamento presiedo da tempo immemore
E alla giusta casa assegno studenti senza remore.
Penserete che le mie rime siano ormai scontate
Ma mai potreste capire quanto vi sbagliate!
La storia dei Fondatori ogni anno racconto
E delle doti di ogni Casa io faccio il resoconto.
Quindi ancor per un altro anno ascoltate
E alle mie parole molta attenzione prestate.
C’era un tempo in cui i Quattro eran contenti
E uniti facevan delle loro convinzioni intenti.
Così Hogwarts venne presto fondata
E da quel giorno la magia è qui iniziata:
Ragazzi e ragazze da tutta la nazione
Venivano ad apprendere un’importante lezione;
Sfruttare i poteri, capirli e controllarli
Per poi alla causa del Bene prestarli.
Finché un giorno Salazar dagli altri si staccò;
Da quel momento ognuno di testa propria ragionò
Così a Grifondoro finivan solo i più coraggiosi
Puri di cuore, nobili, di gloria bisognosi;
Mentre Corvonero solo i più acuti apprezzava
Al loro intelletto un accrescimento costante destinava.
Per Tassorosso al più contava la bontà
E una dose eccellente di buona volontà;
Infine Serpeverde gli ambiziosi prediligeva
E in loro la freddezza e l’acume accresceva.
Però separati più deboli erano i maghi
Si perdevano in bazzecole, null’altro che svaghi.
Solo uniti la vera forza si può trovare
E tutte le avversità insieme superare.
Ora ancora un avvertimento vi do,
quel che posso per salvarvi io lo farò.
Pericoli sconcertanti dietro l’angolo vi attendono
Pericoli che in molti a sottovalutare tendono.
Ma voi vigilate, con costanza vegliate
O le vostre menti saran presto abbagliate
Perché la novità una terribile spiegazione cela
E la nuova generazione al Suo ritorno anela.
Ora con questa parole vi ho avvertito;
Ma adesso il tempo dei discorsi è finito.
Ognuno semplicemente sedersi dovrà
La mia voce nella sua testa poi si ritroverà:
Nessun vostro pensiero per me è segreto.
Aver paura è il vostro unico divieto;
mai ho sbagliato, quindi tranquilli
Già domani nelle classi sarete, più o meno arzilli.
Intanto nei Dormitori lasciatevi smistare
Senza neanche poi dovermi ringraziare.
Di certo non sarà un’esperienza traumatizzante:
Parola mia, del Cappello Parlante!
 
 
Uno scroscio di applausi accompagnò gli inchini che il cappello rivolse a professori e studenti dopo le ultime parole. Tutti sembravano così allegri, su di giri persino… Solo Kathleen, le mani che applaudivano meccanicamente, era rimasta gelata a quelle parole.
La novità un’orribile spiegazione cela…
Le veniva in mente una sola spiegazione a quel verso, e non le piaceva proprio per niente.
La professoressa Dunat si alzò e, con una lunga pergamena arrotolata in mano, disse: “Quando chiamo il vostro nome, sedetevi sullo sgabello e mettetevi il Cappello in testa. Vi dirà a che Casa apparterrete durante tutti i sette anni della vostra istruzione magica. Dopo di che rimettetelo a suo posto e andate ad unirvi ai vostri compagni” distraendola così dalle sue riflessioni.
Lo smistamento procedette al rilento. In molti casi il Cappello sfiorava appena la testa del ragazzino che si trovava di fronte e già esprimeva la sua decisione; in altri, il malcapitato doveva attendere diversi minuti, lo sguardo di tutti puntato addosso.
Era tra i primi, se lo aspettava. Eppure fu comunque un colpo quando sentì “Aster, Kathleen!” pronunciato dalla donna.
Nella sala veleggiavano i sussurri. Era grande, si vedeva, quindi cosa ci faceva lì tra quelli del primo anno?
“Ascoltate” urlò l’insegnante alla sala intera. “La signorina Aster viene da un’altra scuola di magia; si è poi dovuta trasferire a Londra in seguito di un incidente che l’ha momentaneamente privata dei suoi poteri. Passerà l’anno nella nostra scuola, tra gli studenti della sua età – frequenterà il sesto anno normalmente, in quanto la sua preparazione lo permette” spiegò.
Kathleen avrebbe voluto scomparire. Doveva aspettarselo, non avrebbe potuto passare inosservata, eppure non aveva potuto fare a meno di desiderarlo.
Evitò accuratamente di guardare in direzione dei tavoli, per evitre di incrociare gli occhi di Nicholas che la osservavano critici.
Con gambe malferme fece qualche passo avanti, si sedette sullo sgabello e finalmente si sistemò il cappello sulla testa.
“Umm.. cosa vedo qui? Tanto, tanto potere, tutto racchiuso in una così fragile ragazza, e per di più al di fuori della sua portata, bloccato dentro di lei… Caso difficile, caso difficile… Una mente così complessa necessiterebbe una vita per essere compresa e smistata al posto giusto…” osservò una voce nella sua testa.
“Determinazione, ambizione, buon cuore, intelligenza… di tutto un po’, come si sul dire… eppure… ma cosa vedo qui? Grifondoro, eh? Si, di coraggio ne hai fin troppo, e sei pura di cuore… E sia! GRIFONDORO!”
Urlò il Cappello Parlante.
Il tavolo rosso-oro scoppiò in un applauso fragoroso, mentre la ragazza toglieva il cappello mormorando un “grazie” sommesso, per poi correre ad unirsi ai Potter – Weasley festanti.
“Grande Kat, lo sapevo che eri dei nostri!” le disse James abbracciandola. La ragazza si sedette tra Albus e Lily, mentre i suoi nuovi amici le battevano il cinque e i ragazzi attorno le battevano sonore pacche sulle spalle.
“Ma chi si rivede! Lo sapevo, io, lo sapevo!” disse una voce alle sue spalle.
Era Jimmy Jordan, bigliettaio durante l’estate sul Nottetempo. Era lì che l’aveva conosciuto, così simile al padre – o almeno a come lo immaginava – e così aperto, scherzoso, vivace. Diete una spinta ad Albus e si sedette vicino a lei, permettendosi una notevole confidenza considerati i pochi minuti che avevano passato assieme. “E un’altra rossa è entrata nella grande famiglia dei Grifondoro… Ti scambieranno tutti per una Weasley! Ehi, ma tu prenderti una felpa no, eh?” le disse. Poi, senza aspettare risposta, si sfilò velocemente il maglione che indossava spra la divisa e lo passò alla ragazza che accettò con un sorriso, riconoscente.
Passò il resto dello Smistamento osservando i tavoli delle Case. Al tavolo di Serpeverde individuò Ayumi, che la salutò con un piccolo sorriso e un cenno del capo, e vicino a lei…
Spostò velocemente lo sguardo verso un altro tavolo, arrossendo. Per la seconda volta in quella lunga giornata aveva incrociato lo sguardo di Scorpius Malfoy, e per la seconda volta era rimasta impressionata da quegli occhi grigio-azzurri chiarissimi. Anche a tre tavoli di distanza, la bellezza artica del ragazzo si faceva notare. Si girò nuovamente per un’altra frazione di secondo…
La stava fissando.
Senza l’ombra di un ghigno, l’espressione indecifrabile e pensierosa, sembrava scrutarla in cerca di qualche segno. Fu un attimo, poi lo sguardo del ragazzo si spostò sul suo vicino, il viso subito ricomposto in un sorriso ammiccante e arrogante.
Kathleen si riscosse ad una gomitata di Jimmy. La fila dei nuovi studenti era finalmente terminata; senza più alcun indugio, i piatti da portata si riempirono con ogni possibile pietanza e il banchetto ebbe inizio.
La ragazza si godette la cena fino in fondo -gustando soprattutto la compagnia di James, Albus, Lily, Rose, Hugo e Jimmy, che ben presto le presentarono i rispettivi amici e compagni di dormitorio -, finalmente libera da pensieri tristi e preoccupazioni, libera dalla sensazione di essere diversa, libera da quegli occhi di ghiaccio che sembravano scavarle un solco fino al centro del cuore.
Nessuno parve notare che per tutta la durata del banchetto proprio quegli occhi di ghiaccio, invece, non la abbandonarono un attimo.
 
 
SPAZIO AUTRICE
E dopo oltre tre ore filate di scrittura e concentrazione, finalmente sono riuscita a sfornare questo lungo capitolo atteso, sudato, dall’incipit cancellato e riscritto più di una volta finchè la febbre della scrittura non mi ha presa… Sono davvero troppo stanca per scrivere ancora, quindi risponderò a possibili domande o richieste di spiegazioni rispondendo alle recensioni (spero saranno tante, considerato il lavoro dietro questo capitolo!).
Riassumendo tutto il discorso che mi ero preparata a fare: spero il capitolo vi sia piaciuto –in alcuni punti ho ricalcato la descrizione della Rowling del primo approccio ad Hogwarts di Harry per rendere il tutto più realistico- e beh, fatemi sapere che ne pensate!
Ci vediamo a brevissimo col prossimo aggiornamento (:
Un abbraccio a chi recensisce, chi segue, chi preferisce, chi ricorda e ai lettori silenziosi (:
Kylu

Ps: scrivere la filastrocca del Cappello Parlante è stata la cosa più divertente in cui mi sia cimentata dall'inizio della fanfiction, spero che il risultato non sia completamente banale o sciocco...
Pps: scusate la lunghezza forse esagerata del capitolo, ma non riuscivo più a fermare le mie mani sulla tastiera!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Rivelazioni ***


Era Scorpius Malfoy.
Kathleen si irrigidì istintivamente, stringendosi le braccia al petto e schiacciandosi contro il muro.  Perché era li? Cosa voleva? Se aveva intenzione di sfotterla per ciò che era accaduto, lei avrebbe… avrebbe…
Distolse lo sguardo appena in tempo per non essere catturata nuovamente in quegli occhi di ghiaccio.
Scorpius, invece, teneva i propri fissi in quelli della ragazza. La sua espressione era nuovamente indecifrabile. Era tanto bello da apparire inquietante.
Kathleen pensò come fosse diverso da Nicholas, pur essendo entrambi bellissimi. Ma mentre la bellezza di Nicholas era del tipo che si vuole far notare a tutti i costi, quella del giovane Malfoy era molto più fine ed elegante. E la cosa più incredibile era che sembrava non curarsene: a differenza di Nicholas, sempre impeccabilmente vestito, pettinato e quant’altro, lui sembrava non curarsi tanto del proprio aspetto. I capelli chiarissimi ricadevano a ciocche spettinate sulla sua fronte, sul mento si intravedeva un accenno di barba, il nodo della cravatta verde-argento era allentato e i primi due bottoni della camicia della divisa scolastica erano aperti.
 
“Allora, Kat, ti piace?”.
“Oh, ehm, si, moltissimo! DiagonAlley… non mi sarei mai aspettata di vederla sul serio! Invece sono qui e… mi sembra un sogno, su serio”.
Nicholas rise. “Non intendevo proprio questo, anche se sono contento di sentire che ti piace il posto. No, io intendevo… ti piace stare con me?”.
“Eh?”.
“Dall’effetto che ti faccio si presume che io ti spaventi neanche fossi un Ungaro Spinato, oppure… che ti piaccia”.

Improvvisamente, come un fiume in piena, i ricordi dei momenti con Nicholas la sommersero spazzando via anche l’ultima barriera di razionalità.
Kathleen sprofondò nuovamente il viso tra le mani per attutire un nuovo scoppio di singhiozzi.
Si vergognava, si vergognava tantissimo a farsi vedere in quello stato. Mai si sarebbe permessa una cosa del genere in situazioni normali. Ma in quel momento si sentiva così tremendamente sola, triste e inutile…
Sentì i passi del ragazzo che si avvicinava ulteriormente. Lo sentì sedersi accanto a lei, talmente vicino da sfiorarla quasi. A che gioco stava giocando?
Poi lui le prese una mano e la strinse.
Lei alzò di scatto il viso, talmente sorpresa da dimenticarsi persino di avere il volto completamente bagnato di lacrime e gli occhi rossi dal pianto.
Lui la guardò alzando impercettibilmente un sopracciglio.
“Non è solo perché sta con quella” disse lei sussurrando, rispondendo ad una domanda non formulata verbalmente. “E’ che… per l’ennesima volta nella mia vita mi sono solo illusa. Io non sono fatta per piacere alle persone. Non sono fatta per i lieto fine. Sono una ragazza insignificante e stupida, che si illude appena uno…” di colpo le si smorzarono le parole sulle labbra.
“A momenti non so neanche chi sei. E ti vengo a raccontare queste cose. E’ che non capisco. E’ come se… ti conoscessi da sempre, non so” osservò la ragazza con voce incerta.
Ma non aveva importanza chi fosse, si disse. Tanto se ne sarebbe andato anche lui, proprio come facevano tutti.
“Il fatto è che ne ho abbastanza di soffrire per le persone” scoppiò, riprendendo a piangere. Lui la osservava in silenzio.
“Non ne posso più, e allora sai cosa? Non devo più fidarmi delle persone. Alla fine ci resti solo di schifo. E non è per Nicholas nello specifico. Sono… tutti. A partire dai miei genitori e mio fratello, poi quelli che fanno gli amiconi e il giorno dopo spariscono, quelli che ti usano solo quando servi, è tutta un’unica, enorme presa per il culo” concluse lei, serrando gli occhi e passandosi una manica sul viso con la mano libera, come per scacciare definitivamente il dolore. Poi appoggiò la testa sulle ginocchia, guardando il vuoto, svuotata da tutto: dalla rabbia, dal dolore, da ogni ricordo.
Vuota.
Lui si limitò a stringerle più forte la mano e ad intrecciare le sue dita con le proprie.
Era incredibile come la sua semplice presenza silenziosa la aiutasse più di mille parole, più di qualunque frase d’incoraggiamento.
Non so neanche chi sia, si disse Kathleen. Non so cosa sa lui di me, non so cosa vuole, non so perché è qui. Dovrei andarmene subito. Eppure… perché mi sento così rassicurata, così al sicuro, così… protetta, da lui?
Stettero fermi in quella posizione per qualche minuto. Al di là della porta di quella aula che sembrava staccata dal resto del mondo, si udivano attutiti i suoni della scuola che si animava con l’inizio delle lezioni. Rumore di centinaia di passi, chiacchiericcio, urla, risate.
E loro due in silenzio, sempre mano nella mano, come a prepararsi ad affrontare insieme ciò che il futuro avrebbe riservato loro.
Fu solo quando gli occhi di Kathleen tornarono limpidi e quando il suo respiro si fu regolarizzato che Scorpius si alzò con calma, le diede un’ultima delicata stretta alla mano e poi si dileguò dalla porta, rapido e felpato com’era arrivato.
In tutto quel tempo, non aveva detto a Kathleen una sola parola.
Eppure nessuno era mai riuscito a comunicarle così tanto.
 
                                                                                  ***

Meno di un’ora dopo Kathleen era seduta tranquilla in primo banco dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure. La ragazza, che aveva momentaneamente chiuso in un cassetto della mente il caso-Nicholas e lo strano comportamento di Malfoy, non stava più nella pelle: come aveva annunciato la sera prima la McGrannit, il nuovo professore di quella materia (quello precedente si era ritirato dall’insegnamento quando per colpa di uno scherzo di James e qualche altro studente malandrino aveva creduto di essere soggetto al Vaiolo di Drago) era niente meno che il grande e leggendario Alastor Moody, detto “Malocchio”.
Alcuni insegnanti erano rimasti gli stessi dall’epoca di Harry Potter – era il caso di Vitious, il centauro Fiorenzo, il vecchio fantasma di Rüf, il professor Lumacorno e qualcun altro – mentre molti altri erano cambiati: La Dunat di trasfigurazione, tanto per cominciare, poi il grande Paciock di erbologia, e un certo Bones di Cura delle Creature magiche (Boffin svolgeva solo le mansioni da Guardiacaccia).
“Kathleen, sicura di non voler parlare di…”
“Rose, ti ho detto dopo!”
“Okay, okay tranquilla!”
“Ma mi volete spiegare che succede?” intervenne Albus, ingenuo.
“Al, non capisci davvero mai niente tu o fai apposta?” lo rimbeccò Rose.
Il ragazzo si limitò a guardarla perplesso, scompigliandosi senza pensarci i capelli con una mano. Quel gesto dette inizio a una serie di bisbigli e sospiri da parte di alcune Tasorosso sedute dietro di loro.
“Oh ma smettetela!” sbottò Rose guardandole con sdegno.
Albus arrossì di botto. Nonostante tutte le attenzioni che tutti gli dimostravano fin dai tempi del suo primo anno ad Hogwarts – colpa del suo cognome, certo, ma anche di certe sue doti notevoli in molte materie e una combinazione di capelli nerissimi e occhi verdi davvero invidiabile – era rimasto un ragazzo sensibile e modesto, e questo era ciò che Kathleen più apprezzava in lui.
In quel momento una porta dietro la cattedra si aprì con un tonfo secco.
“via i libri e fuori le bacchette. Non penso di dovervi ricordare chi sono, quindi tutto quel che vi dico è che non voglio vedere gente farsi i fatti propri in questa stanza, PER ESEMPIO LEI SIGNORINA DEL TASSOROSSO” aggiunse, improvvisamente urlando. Tutta la classe trasalì. La ragazza in questione arrossì e si allontanò dalla vicina di banco, a cui aveva continuato a sussurrare nell’orecchio – indicando Albus – da quando erano entrati.
“M-mi scusi” balbettò lei.
“Lei si chiama?”.
“Micol McDale, signore”.
“Bene, signorina McDale, intanto cinque punti in meno per la sua casa, la prossima volta è punizione. Per quanto capisca che il signor Potter qui presente sia un interessantissimo spunto di conversazione, è pregata di SEGUIRE – LA – LEZIONE!” torno ad abbaiare Malocchio. Tutti sussultarono di nuovo.
“Sbaglio o Albus è diventato viola? Secondo me c’è sotto qualcosa” bisbigliò Rose a Kathleen con un mezzo sorriso.
“Questo ovviamente vale anche per i figli delle celebrità, signorina Weasley” disse questa volta sottovoce, burbero, il vecchio Moody.
“In ogni caso buon anno, fate i bravi e bla, bla, bla. Per informazione generale, molte lezioni quest’anno saranno seguite da un ragazzo giovane che deve imparare il mestiere. Io non posso trattenermi a lungo, la mia età si fa sentire, oltre a tutti gli acciacchi che una vita da auror ti procura…” osservò, alludendo alle innumerevoli cicatrici che gli deturpavano il volto e alla propria gamba di legno. “Il tizio si chiama Teddy Lupin, ma lo conoscerete prima o poi”.
Kathleen sentì Rose trattenere il respiro. Questa volta era stata lei ad arrossire in zona orecchie – tipico dei Weasley. Kathleen scosse la testa divertita, e tornò a girarsi verso Moody.
Dieci minuti dopo erano divisi a coppie, uno di fronte l’altro. Esercitazioni di duelli per ripassare le nozioni apprese negli anni precedenti e per dare un’idea al nuovo professore del livello della classe.
Moody girava tra gli studenti, commentando e consigliando.
“Voi due, laggiù, perché non state lavorando?” chiese indicando Kathleen e Albus e avvicinandosi a grandi passi.
“Ecco, io...” cominciò Kathleen.
“Lei è?”
“Aster, Kathleen Aster”.
Un lampo di comprensione attraversò gli occhi dell’uomo.
“Ah, certo. L’incidente, e il resto. Beh, Potter può lavorare con qualcun altro ovviamente, dal momento che lei è temporaneamente senza poteri…”
“Non è quello il problema, signore” disse Kathleen. “Il problema è che stamattina ho avuto un… diverbio, con un ragazzo di corvonero, e mi sono resa conto di non poterli proprio controllare. Non vorrei mettere a rischio l’incolumità di Albus” spiegò lei.
Malocchio rimase un attimo in silenzio. Il resto della classe prese a mormorare.
“Ha parlato di questo fenomeno con qualche nsegnante, signorina Aster?”.
“No, signore”.
“Allora mi segua, subito. Voialtri: continuate ad esercitarvi, torno tra cinque minuti. Se uno solo di voi sgarra mentre sono via, assisterà ad una lezione in prima persona sulle maledizioni senza perdono!”
 
                                                                             ***
 
L’ufficio della preside era esattamente come descritto nel libro. La McGrannit, dopo aver ereditato lo studio dal predecessore Piton, aveva cercato di renderlo più rassomigliante possibile a ciò che era stato ai tempi di Albus Silente. Ora lungo le pareti si addossavano strumenti e tavolini dalle gambe sottili e dall’aspetto fragile, i soliti vecchi quadri erano appesi al muro dietro la scrivania e, al centro della stanza, troneggiava la gabbia dorata di una fenice.
La preside sedeva rigida, il mento appuntito appoggiato alle mani dalle dita intrecciate. Kathleen aveva appena finito di raccontarle tutto ciò che di nuovo era successo nell’ambito della sua magia: l’episodio sul treno, la sensazione che ne aveva ricavato, e  il duello con Nicholas.
“Penso di poter giungere alla conclusione” disse prendendo finalmente parola, “che quando gli strani individui combinarono qualcosa con la sua magia – come secondo il racconto di sua madre -, non abbiano estratto il potenziale magico che è in lei, cosa ineffetti impossibile, ma si siano limitati a bloccarlo, come imponendovi un sigillo. Il punto è: come sboloccarlo?” sospirò, appoggiandosi allo schienale. “Mi sembra di capire che in entrambi i casi in cui ha compiuto una magia, signorina Aster, lei fosse particolarmente arrabbiata in quel preciso istante. Come se il suo potenziale magico avesse bisogno di un’emozione forte, come un piccolo shock, per poter venire a galla ed esprimersi. Come una spinta in più. E da come ha descritto le sue sensazioni, mi sembra di capire che di questo potenziale magico lei ne abbia più di qualunque mago la storia ricordi” affermò l’anziana donna.
Kathleen rimase a bocca aperta.
“Ma quindi… quindi, in conclusione, cosa sono?”
Chiese, e anche alle sue orecchie la domanda suonava sciocca e infantile, ma aveva davvero bisogno di saperlo, per potersi finalmente sentire definitivamente parte di uno o dell’altro mondo, quello Magico o quello Babbano.
“Difficile stabilirlo sulla base dei pochi dati posseduti. Ma sembrerebbe... è come se lei avesse un cervello babbano, se mi permette il termine, dovuto agli anni vissuti in assenza di magia e dalle sue origini, ma che in fondo abbia un vero e proprio cuore da Strega, e che in esso si celi un potere incredibile, pressoché illimitato”.
Sospirò di nuovo. Poi fissò la ragazza negli occhi, e disse: “Sono convinta che sua madre non abbia detto tutto ciò che sa riguardo a questa storia. Magari non per sua volontà” aggiunse alzando una mano per fare presente a Kathleen, che già aveva aperto bocca, di non interromperla. “Ma potrebbe essere sotto un potente Imperius o un Oblivion. Ce ne dobbiamo assolutamente accertare. Se permette, mando subito una ronda di Auror a prelevarla con quanta più discrezione possibile e portarla al San Mungo per sottoporla ad alcuni test. Non potrà vederla, però. Mi dispiace, ma per la sua sicurezza è meglio che lei stia qui, per ora, finchè i fatti non si saranno chiariti”.
Kathleen annuì. Era d’accordo con tutto ciò che aveva detto la preside.
“E a proposito di sicurezza sua e altrui… non la spingerò a parlare di ciò che è capitato con il signor Jaks stamattina. Suppongo lei abbia avuto tutte le buone ragioni del mondo, e non posso incolparla per l’incantesimo dal momento in cui non sa controllare i suoi poteri. Ma l’aggressione in stile babbano non è tollerata ad Hogwarts, perciò sarò costretta a metterla in punizione. Domani si rechi in infermeria alle otto di sera. Alla sua casa non saranno però sottratti punti, perché voci fidate mi hanno riferito che sia stato il ragazzo a cominciare con gli insulti. Bene, signorina Aster, è tutto” la congedò senza aspettare risposta. “Può andare. La terrò aggiornata sugli sviluppi con sua madre. Fino ad allora, si goda le lezioni!”.
 
 
SPAZIO AUTRICE
Ma buonasera lettori! O sarebe il caso forse di dire buonanotte.
Vi lascio con tanti nuovi misteri da svelare e nuovi punti di domanda da risolvere… fino al prossimo capitolo! Aggiornerò presto, prometto.
Oggi ho postato ben due capitoli, non potete lamentarvi! Che dire, quando la febbre della scrittura prende, non c’è nulla da fare.
Spero di non aver fatto troppi errori, non rileggerò prima di postare, sono stanca morta e domani ho scuola!
Recensite, recensite, recensite! Anche perché i nomi dei recensori più affezionati finiranno nella storia… Siamo già a due: Ayumi e Micol (anche se quest’ultimo non penso sia il nome reale, ma è la firma utilizzata nelle recensioni). Comunque, fatemi sapere che ne pensate di come sto proseguendo la storia, datemi consigli, criticate… basta che vi facciate sentire!
Ora vi lascio, ci sentiamo a brevissimo!
Vostra ormai affezionata
Kylu
 
Nox!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Scoppi a colazione ***


La luce filtrava attraverso le spesse tende color porpora del letto a baldacchino e le palpebre ancora chiuse di Kathleen. Doveva essere presto: dai letti vicino al suo non giungeva alcun rumore, e nell’aria si respirava ancora la tranquillità della notte di risposo appena passata.
La ragazza si rigirò nel letto, mezzo addormentata, nascondendo la testa sotto il cuscino. Non sentì le tende che la circondavano aprirsi pian piano, né si accorse di niente quando qualcuno si sedette vicino a lei, finchè…
“Svegliati, bella addormentata! Voglio portarti a fare un giro per il castello prima di colazione. Su, alzati!” esclamò Rose con voce fintamente severa, mantenendo un tono di voce basso per non svegliare le compagne di dormitorio.
Kathleen mugugnò qualcosa e rimase immobile sotto le lenzuola.
“Okay, penso proprio di dover ricorrere a…” disse Rose afferrando la bacchetta dal comodino del proprio letto, a un paio di metri di distanza da quello di Kathleen. Poi, con un incantesimo non verbale, aprì completamente le tende e buttò all’aria le lenzuola dell’amica.
“Rose, è l’alba, smettila di rompere i…”
“Signorina Aster, moderi il linguaggio!” trillò Rose in una fedele imitazione della McGrannit.
“Non hai voglia di vedere il Castello? Pensa, Kathleen, i sotterranei, le serre, la torre di Astronomia, la casa di Boffin, il Platano Picchiatore…”
A quelle parole Kathleen sembrò finalmente svegliarsi. Era ad Hogwarts, accidenti! Ancora non riusciva a crederci. Si alzò di scatto dal letto.
Rose rise. “Vestiti e scendi in sala comune, ti aspettò lì”.
“Arrivo subito, dammi dieci minuti!”
“Te ne concedo cinque” rispose lei.
Fu pronta in tre.
 
                                                                             ***
 
“Ecco, ti pareva se non avevamo tutte le sfighe che si potessero avere” si lamentò Albus osservando il suo orario, seduto con gli altri al tavolo della sua Casa per fare colazione. “Doppie Pozioni con i Serpeverde due volte in settimana… E Divinazione e due ore di Storia della Magia nella stessa giornata…”. Gli altri Grifondoro del sesto anno si guardarono scuotendo la testa con un’aria tra il triste e l’arrabbiato. “Almeno oggi abbiamo la prima ora buca!” aggiunse poi il giovane Potter, rinfrancandosi un po’.
Kathleen fissò il proprio orario a sua volta. Prima che il professor Vitious passasse a consegnare a ciascun ragazzo la propria pergamena con gli orari delle lezioni, la preside McGrannit l’aveva chiamata dal tavolo degli insegnanti, e si erano appartate in un’aula vuota appena fuori dalla Sala Grande per discutere quali materie, oltre a quelle obbligatorie, la ragazza avrebbe seguito.
Kathleen non sapeva decidersi: era così interessata a tutti i tipi di magia che, se fosse stato ancora possibile, avrebbe seguito le orme di Hermione Granger e le avrebbe scelte tutte. Secondo la McGrannit, considerato che la ragazza avrebbe dovuto lavorare il triplo per poter stare al passo con gli altri, avrebbe dovuto sceglierne solo un paio, qualcosa di facile, magari. Ma ogni suo dubbio era stato cancellato di fronte all’entusiasmo di quella ragazza. In sostanza Kathleen avrebbe seguito, oltre  corsi tradizionali, quelli di Cura delle Creature Magiche, Antiche Rune e Aritmanzia. Aveva lasciato perdere Babbanologia perché di babbani ne sapeva fin troppo, e aveva escluso di principio Divinazione, che riteneva una perdita di tempo.
Nonostante Kathleen sapesse perfettamente la mole di lavoro che l’aspettava dietro l’angolo, nonostante fosse conscia delle ore di studio che avrebbe passato tra vecchi tomi polverosi e rotoli di pergamena da farcire d’inchiostro, non poteva dire di essere mai stata più felice.
Non vedeva l’ora di cominciare.
“Ma buongiorno Kathleen! Passato bene la tua prima notte ad Hogwarts?” chiese Jimmy sedendosi vicino a lei. Kathleen sorrise. Jimmy era sempre così allegro e spiritoso, pieno di vita. E sembrava gli importasse davvero di lei. E poi, rifletté la ragazza squadrandolo per la prima volta con occhio critico, coi suoi capelli biondi e mossi e quel sorriso furbo, era decisamente carino.
“Tutto a posto direi, a parte Rose con le sue fantastiche idee di svegliarmi all’alba per farmi fare un giro per il castello” rispose con una risata. “Tu?”
“Io benissimo, ho appena visto il mio orario, è stupendo! Abbiamo un sacco di ore buche…” osservò lui.
“Ore buche che ti serviranno per studiare, sempre che tu riesca a mettere in moto il cervello” affermò Rose acida.
Lui non sembrò prendersela; la guardò con un ghigno divertito e chiese: “A voi invece è andata piuttosto male, eh?”
“Puoi dirlo forte” rispose la ragazza.
Kathleen sentì distrattamente Jimmy e Rose che continuavano a parlare, la sua attenzione tutto d’un tratto incentrata su qualcos’altro. Nicholas. Stava camminando tranquillo nel corridoio tra i tavoli di Grifondoro e Corvonero, a una decina di metri da dove sedeva lei. Con la sua altezza, il suo fisico e il suo viso, non poteva certo passare inosservato: Kathleen notò che nove ragazze su dieci si giravano al suo passaggio, qualcuna con un’aria sognante, altre ridacchiando o cercando di mettersi in mostra, altre ancora lo indicavano spudoratamente con il dito sussurrando qualcosa alla vicina. Kathleen le giudicò subito ridicole. Ripensò a quelle giornate passate insieme a DiagonAlley, mano nella mano, e poi alla prima volta che si erano parlati, al San Mungo, e quando l’aveva supportata durante lo scontro con i suoi genitori…
“Lo conosci?” chiese Jimmy aggrottando le sopracciglia, seguendo lo sguardo di lei.
“Oh… io, si, cioè, lo conosco” rispose arrossendo.
Rose ridacchiò. “Cosa ci nascondi, Kat?” chiese con voce scherzosa.
In quel momento Nicholas, sempre camminando con calma, raggiunse l’altezza del tavolo alla quale erano seduti loro.
“Ciao, Nicholas…” disse Kathleen prima di riuscire a trattenersi.
Lui fece ancora un paio di passi, girandosi solo impercettibilmente verso di lei. Cosa stava facendo? La stava ignorando? Non era possibile, di sicuro non aveva sentito… Aprì la bocca per ripetere il saluto, quando...
“Amore! Ciao tesoro, mi sei mancato da ieri sera” esclamò una ragazza, la classica barbie alta e magra dai lunghi capelli lisci e biondi, alzandosi dal tavolo di Corvonero per gettargli le braccia al collo e iniziare a baciarlo.
“No…” sussurrò Kathleen, senza credere ai suoi stessi occhi. Ma in quel momento Nicholas abbracciò a sua volta la ragazza e prese a restituire il bacio.
Kathleen ci mise qualche istante a metabolizzare quello che il suo cervello stava registrando. Si impietrì, sbiancando all’improvviso.
Improvvisamente, con uno scatto, si alzò e afferrò la borsa dei libri, per poi dire a Rose e Jimmy, con una voce che non sembrava appartenerle: “Io, ecco, mi sono dimenticata una cosa in dormitorio… Ci vediamo dopo a Difesa contro le Arti Oscure…”
Poi, senza ascoltare ciò che i due amici le rispondevano, si diresse verso il portone della sala grande con passo veloce. Non prestava attenzione a ciò che le stava intorno, così che finì per urtare con la borsa un ragazzo di Corvonero.
“Ei tu, ma guarda dove vai!” esclamò il ragazzo. A quelle parole, Nicholas e la ragazza finalmente si staccarono per girarsi a vedere cosa fosse successo. Kathleen si scusò in fretta e tornò a muoversi a grandi passi per guadagnare l’uscita da quella sala, che le pareva improvvisamente più buia.
“Lascia stare, Connols, è la ragazza nuova, è già tanto che sappia da che parte sia la porta”.
Kathleen si bloccò. Era la sua voce.
Molti ragazzi attorno a lei cominciarono a ridere.
“Bella questa” disse il ragazzo che evidentemente si chiamava Connols, “Tranquilla, vai pure, non è successo niente” aggiunse poi, rivolto alla ragazza, in un vano tentativo di mostrarsi gentile.
“Stai attenta a non finire nella Foresta Proibita mentre cerchi l’aula… Ai ragni giganti non piacciono le borse di libri in testa, potresti farli arrabbiare, e noi non abbiamo voglia di venirti a ripescare dopo” aggiunse Nicholas, ghignando.
Kathleen sentì qualcosa dentro di sé che si rompeva definitivamente. Non capiva. Era stato così dolce con lei, l’aveva aiutata, l’aveva sostenuta, le aveva promesso di aiutarla anche una vota arrivati a scuola… e ora? Ma cosa gli aveva fatto? Niente, assolutamente nulla, si rispose da sola.
Represse le lacrime che le stavano salendo agli occhi. Non era più triste. Era solamente tanto, tanto, tanto arrabbiata.
“Brutto idiota schifoso col cervello di uno schiopodo sparacoda”  disse a denti stretti, girandosi definitivamente verso di lui. Mezza Sala Grande, ora, li stava fissando. “Pensavo, caro Nicholas, non mi hai mai detto per cosa sei finito al San Mungo bendato peggio di Tutankhamon… Un brutto e cattivo babbano di tre anni ti aveva aggredito? O ti sei semplicemente affatturato cercando di farti crescere un po’ di materia grigia in testa? Perché in quel caso mi dispiace, ma neanche la magia può fare miracoli” disse gelida ad alta voce, affinché tutti sentissero.
Ci fu una risata generale, subito spenta da un’occhiata assassina di Nicholas.
“Penso che definire babbano un qualunque bambno di tre anni da parte tua sia un po’ ridicolo. Sbaglio o riesci a fare meno magie di un cucchiaino, al momento?” fece lui.
“Ti va di provare?” rispose lei sarcastica, estraendo la bacchetta dal mantello, ostentando una sicurezza che non aveva.
“Ei bambina, non ti hanno detto che i duelli fuori dalle apposite ore di lezione non sono consentiti? Pensavo fossi più informata, con l’aria da sottuttoio che ti ritrovi…”
“Non provare mai più a chiamarmi bambina, tu brutto pezzo di vermicolo…”
Si bloccò. Non aveva senso andare avanti ad insultarlo, non ne valeva la pena.
Pensò distrattamente alla prima volta in cui Draco Malfoy aveva chiamato la Granger “mezzosangue”. Sarebbe stato bello fare a Nicholas l’incantesimo che aveva fatto allora Ron…
In quel momento, la sua bacchetta tremò nella sua mano e si esibì in un lampo accecante.
Nicholas rise. “E quello cosa doveva…”
Si bloccò a metà frase, improvvisamente verdognolo, le mani a stringersi lo stomaco. Iniziò a emettere strani rumori, finchè…
Diverse ragazze urlarono. La barbie che fino a qualche secondo prima stava ancora avvinghiata al ragazzo fece un balzo indietro, schifata. Nicholas aveva iniziato a vomitare lumache, proprio per l’effetto dell’incantesimo a cui Kathleen aveva pensato.
“Cosa avevi detto, scusami, Nicholas? Ah, giusto, che sapevo fare meno magie di un cucchiaino” disse avvicinandosi. “Sai cosa? Sarà anche vero, ma rimango comunque molto più intelligente di te! Sei una persona orribile, uno schifoso falso incoerente! Questo era per avermi presa in giro” disse lei, che ormai l’aveva raggiunto. “E questo per avermi dato della bambina” aggiunse.
Il rumore dello schiaffo rimbombò per tutta la Sala Grande.
“Ora, Nicholas, goditi la giornata! È stato davvero un piacere parlarti. Ciao ciao!”.
E con questo, girò i tacchi e uscì di corsa dalla Sala Grande.
Si assicurò di essere a debita distanza, poi si permise di scoppiare in lacrime. Non le importavano le conseguenze di ciò che aveva fatto. Lui l’aveva presa in giro per tutto il tempo, l’aveva illusa, si era solamente divertito con lei…
Entrò in un’aula vuota e si sbattè la porta alle spalle con violenza. Si accasciò contro una parete e rimase così, seduta per terra a singhiozzare con il viso nascosto tra le braccia, per diversi minuti. Non riusciva a calmarsi. Fortuna che, come aveva detto Albus, quel giorno avrebbero avuto la prima ora libera: avrebbe avuto tutto il tempo, quindi, per calmarsi e ricomporsi prima dell’inizio di Difesa contro le Arti Oscure.
Sentì la maniglia della porta abbassarsi e la porta cigolare piano sui cardini. Ecco che Rose era venuta a cercarla per consolarla. Oppure Jimmy, con qualche battuta pronta per tirarle su il morale.
Sentì dei passi lenti e leggeri avanzare verso di lei.
Finalmente alzò il viso dalle braccia e alzò gli occhi verso il nuovo venuto.
Non era Rose.
E non era neppure Jimmy.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Pozioni e sorprese ***


“SCORPIUS MALFOY?!”
Rose si era fermata in mezzo al corridoio, i libri che teneva tra le braccia ora sparsi per terra.
“Shh, Rose, ma che cavolo urli?! Ripetilo più ad alta voce che magari qualcuno in Alaska non ti ha sentito…”
“Scorpius Malfoy. Scorpius Mafoy. SCORPIUS MALFOY, PER DIANA!!”
Kathleen imprecò.
“Rose, vuoi darti una calmata? E vedi di raccogliere i tuoi libri che non voglio perdermi anche incantesimi” disse, stizzita.
Dopo essere stata in ufficio dalla McGrannit, Kathleen aveva raggiunto gli altri che stavano uscendo dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure per dirigersi a Incantesimi. Assicuratasi di essere al di fuori della portata di orecchie indiscrete, la giovane Aster aveva raccontato all’amica quanto accaduto con tanto di dettagli.
Si sarebbe aspettata di tutto, qualunque tipo di reazione. Ma non questa.
“Kathleen” disse Rose dopo aver raccolto i propri libri e tornando a camminare. “Kathleen. Ascolta. Non capisci. Malfoy è… non so come descriverlo. E’ arrogante, egocentrico, superficiale al massimo. Un bambino troppo cresciuto che se ne va in giro a fare lo sborone per la scuola con quell’altro paio di amici idioti che si ritrova. E’ una testa di…”
“Si, si, ho afferrato il concetto” la interruppe in fretta Kathleen. “Diciamo solo che ci ho avuto a che fare due volte, e in entrambe le occasioni è stato così… strano. Ed è stato molto dolce a venire da me dopo che avevo fatto quel casino con Nicholas. Non mi doveva niente, eppure…”
“Eppure è venuto a cercarti ed è stato là a tenerti la mano senza spiaccicare parola per quanto, mezz’ora? Questo non è dolce, Kat. Questo è inquietante”.
Kathleen non rispose, mordendosi il labbro, nervosa. Era strano. Rose aveva ragione, lo capiva. Eppure… eppure c’era stato qualcosa con lui, qualcosa di strano che… non riusciva a comprendere. E questo la rendeva confusa, un po’ arrabbiata e soprattutto delusa. Ancora.
“Quindi? Secondo te… cos’è successo? Ho visto un fantasma o che?” chiese, cercando di metterla sul ridere per non insospettire l’amica mostrandosi troppo pensierosa.
“Ma no, Kathleen, non intendevo quello. Ma boh, vallo a capire Malfoy, quello è tutto strano” concluse lei.
Kathleen annuì fingendo un sorriso.
 
                                                                       ***

Due ore di incantesimi con i Corvonero e una di erbologia di nuovo con i Tassorosso dopo, Kathleen si stava avviando verso la Sala Grande per pranzare. Vicino a lei, Albus e Rose chiacchieravano a tutto spiano della stagione di Quidditch che stava per cominciare.
Se c’era una cosa che la ragazza ci teneva a provare, questa era il volo. Pensare di solcare il cielo ad altezze vertiginose munita solo di un vecchio manico di scopa era qualcosa di incredibile.
“Ciao ragazzi! Come vi è andata la mattinata?” salutò Lily, raggiungendoli in quel momento affiancata da Hugo.
“La mattina bene, ma aspetta il po…”
“Ciao Albus” trillò una ragazzina mora dai grandi occhioni nocciola interrompendolo. “Ti ricordi di me, vero? Sono venuta alle selezioni di Quidditch l’anno scorso” continuò con voce petulante.
“E il Capitano Based ti ha mandata via ricordandoti gentilmente che le selezioni per la squadra di Grifondoro sono riservate ai soli studenti di quella casa” mormorò Lily in un sussurro ben udibile. Rose e Kathleen si scambiarono un’occhiata, cercando poi di nascondere le risate con dei sonori colpi di tosse.
La mora le ignorò e tornò a rivolgersi a ragazzo. “Comunque, sono Sabina Spood, e io e un paio di mie amiche – la Skeeter e la Bullstrode – ci chiedavamo se tu volessi unirti a noi il primo finesettimana ad Hogsmade… Ovviamente portando qualcuno dei tuoi amici, ammesso che non siano, ehm, certi ragazzini di basso grado” concluse alludendo palesemente a Hugo.
“Come mi hai chiamato scusa, schifosa viscida pezzo di…” cominciò quello.
“Albus non è interessato” disse Lily mettendo a tacere il cugino con una gomitata nelle costole. “E vorrei aggiungere che dovresti tenere i tuoi bei occhietti da decerebrata lontano da mio fratello, e sarebbe molto gentile da parte tua avvisare anche quelle altre due sfigate con cui formi il fantastico trio delle IPER, ovvero Idiote Perfettine Enormemente Rompipalle” disse Lily, affabile come sempre.
La Spood squadrò la piccola Potter da capo a piedi. “Che caratterino!” esclamò fintamente sorpresa per tutta risposta. “Ora si capisce perché nessuno si voglia mai sedere con te alle lezioni... Ovviamente, anche vestirsi decentemente e darsi una pettinata ogni tanto aiuterebbe” aggiunse perfida.
Lily non si lasciò intimorire. “Sai, a differenza di te, faccio parte di quella parte del mondo che considera ciò che si ha sulla testa meno importante di quello che si ha dentro la testa. Il che, nel tuo caso, corrisponde ad un mucchio di…”
“Spood, non avresti qualcosa di meglio da fare che stare qui ad importunarci, tipo che ne so, spettegolare con la Skeeter del prossimo ragazzo a cui punterete o lamentarti di un’unghia rotta?” intervenne Rose, interrompendo la raffica di insulti che Lily stava per sparare addosso a quella sottospecie di ragazza.
“Veramente sto ancora aspettando una risposta da Al” disse lei, cominciando a studiarsi con aria annoiata una ciocca di capelli e passandosela tra le dita.
“Bhe, ecco…” rispose il diretto interessato, nervoso. “Sinceramente, Sabina, non mi va troppo di venire con voi. A parte il fatto che non vi sopporto, diciamo che il primo finesettimana ad Hogsmade vorrei passarlo con una persona speciale…” borbottò lui imbarazzato.
“Aspetta, aspetta… mi stai dicendo che il grande Albus Potter è innamorato?” chiese la ragazza, incredula.
“Esattamente” rispose lui. “Ora, se vuoi scusarci…” dopo di che prese sottobraccio sorella e cugina e, con Hugo e Kathleen ai fianchi, tornò ad affrettarsi verso la Sala Grande.
“Albus! Ora ci dici chi è” commentò Lily.
“Non ve lo posso dire” si scusò lui.
“Al, cugino mio che ti voglio tanto bene, ma sei completamente scemo? L’hai appena detto a quella vipera della Spood – dopo averle per altro tirato pacco – il che significa che entro domani lo saprà tutta la scuola!” esclamò Rose, incredula dell’ingenuità del ragazzo.
“Lo so” rispose ancora lui. “E non mi interessa più di tanto. Tanto tutti mi hanno sempre parlato alle spalle anche quando non c’era nulla da dire… che differenza vuoi che faccia? Oh, ciao Micol!” aggiunse poi arrossendo di brutto, scorgendo la ragazza di Tassorosso che aveva seguito con loro la lezione di Malocchio.
Lei però non si voltò neanche e continuò nella sua direzione. Kathleen avrebbe giurato di aver sentito un suo singhiozzo.
“Ei… ma che le prende?” chiese Albus, confuso.
“Non ti avrà sentito…” ipotizzò Lily.
Finalmente i cinque entrarono in Sala Grande. Kathleen notò fin da subito gli sguardi che gli studenti le rivolgevano – alcuni divertiti, altri ostili -, conseguenza di ciò che era accaduto quella mattina con Nicholas.
“Lasciali perdere, entro domani se lo sono già dimenticati…” le sussurrò Albus. Lei annuì, sorridendo appena.
Il pranzo fu squisito. I piatti d’argento finissimo sembravano essere continuamente ricolmati con nuove prelibatezze, e gli studenti si avventavano su di essi ingozzandosi di cibo, rifocillandosi in vista di un estenuante pomeriggio di studio e lezioni.
Ma poi quella parentesi tranquilla in quella giornata turbolenta passò, e fin troppo presto Kathleen si ritrovò, ancora una volta con Albus e Rose, alla volta dei sotterranei per la doppia lezione di Pozioni in compagnia dei Serpeverde.
Era la lezione che Kathleen attendeva con un misto di ansia, nervosismo allo stato puro e trepidazione fin da quella mattina. Non fece in tempo a prendere posto insieme agli altri due in fondo all’aula, quand’ecco che il motivo di tanta apprensione si presentò ai suoi occhi.
Scorpius Malfoy entrò in classe circondato dal suo solito gruppo di compagni, che sembrava ricalcare il gruppo Sepevede di una generazione prima. Il ragazzo stava al centro del circolo, che sembrava sghignazzare per una qualche sua battuta, ed esibiva il tipico ghigno made-in-Malfoy. Si buttò all’indietro i capelli platinati passandosi una mano sulla fronte in un gesto arrogante. Tutto in lui trasudava sicurezza di sé e una certa dose di cinica spensieratezza. Sembrava così diverso dal ragazzo che poche ore prima era stato vicino a Kathleen in quel momento tanto delicato.
Kathleen scosse la testa per togliersi quei pensieri dalla testa e girò in fretta il viso dalla parte opposta rispetto ai banchi che i Serpeverde stavano occupando. Recuperò il libro di pozioni avanzate dalla borsa e lo aprì con un sospiro.
In quel momento entrò dalla porta un uomo dal pancione enorme e dall’aspetto bonario. La definizione “tricheco” sembra più che appropriata, pensò Kathleen con un mezzo sorriso malcelato da un minuscolo colpo di tosse.
“Bentornati, cari ragazzi, bentornati! E un saluto speciale al nostro nuovo acquisto…” esclamò Lumacorno indugiando con lo sguardo tra i ragazzi fino a soffermarsi su Kathleen. “Lei si prospetta essere un interessante soggetto, signorina Aster. Lei non crede?” sorrise lui, con l’aria di chi si prospetta di assaggiare un boccone del proprio piatto preferito.
“Sinceramente, signore, non mi riterrei di certo un interessante soggetto, per quanto tale definizione  da parte sua naturalmente mi lusinghi” commentò lei, tagliente. Se c’era una cosa che odiava, era la gente come Lumacorno che raccoglieva a se futuri personaggi famosi in una sorta di collezione personale. Tutti si girarono ad osservarla, sorpresi. Essere nelle grazie di Lumacorno era nelle aspirazioni di tutti gli studenti, in quanto gli eletti venivano poi favoriti palesemente ad esami o compiti in classe.
“Oho” esclamò di nuovo lui, ridendosela sotto i baffi. “Che caratterino la nostra Kathleen” osservò. Ma perché diavolo dovevano ricordarle tutti quale caratterino avesse?
“In ogni caso, penso che per il primo periodo tu debba lavorare in coppia con qualcuno dei più bravi della classe per poter ricevere un aiuto. Potresti per esempio affiancarti a…” Rose alzò la mano, speranzosa, ma l’attenzione del vecchio Horace era già passata al tavolo dei Serpeverde.
Il cuore di Kathleen perse un battito. Non poteva essere lui, non poteva…
“Nott, ti va di aiutare la nostra nuova amica?” chiese il professore.
Lei tirò un sospirò di solievo misto a una piccolissima dose di delusione.
Un ragazzo scuro di pelle e dai capelli cortissimi fece un segno di assenso, non riuscendo a soffocare del tutto la smorfia di fastidio nata sul suo volto.
“Bene, Kathleen, allora puoi sederti lì a quel tavolo cara, esatto, tra il signor Nott e il nostro amico Scorpius, qui…”
Deglutendo a vuoto, la ragazza si chinò a raccogliere la propria borsa e, il libro di pozioni stretto tra le braccia, prese rigidamente posto dove le era stato indicato. Nott non le rivolse alcun cenno di saluto, e così Malfoy, apparentemente troppo impegnato a cercare qualcosa dentro la sua borsa. Un terzo ragazzo – Kathleen sospettava fortemente che si trattasse di Zabini –, seduto a un paio di banchi di distanza, invece, si sporse verso di lei per stringerle la mano, un enorme sorriso stampato in faccia.
“Bene” riprese Lumacorno. “Ora che siamo tutti sistemati, vi propongo un brevissimo test per accertarmi del livello generale della classe dopo una vacanza dallo studio. La prima parte sarà teorica, la seconda pratica. Avete mezz’ora di tempo per compilare il foglio” disse, colpendo con la bacchetta una pila di pergamene sulla cattedra. Improvvisamente i fogli cominciarono a distribuirsi da soli tra i ragazzi. “Dopo di che avrete circa un’ora per completare la parte pratica del test, riempire una fiala di vetro con ciò che sarete riusciti a fare e consegnamela. Iniziate… ora!” concluse, dando inizio al lavoro.
Kathleen osservò il foglio davanti a lei. Erano domande piuttosto complicate, dedusse vedendo le espressioni di sgomento dipinte sulle facce dei compagni. Allungò la mano per recuperare piuma e calamaio dalla borsa, e fu in quel momento che accadde.
Le sue dita sfiorarono per una frazione di secondo il braccio di Scorpius, già intento a scrivere fitto. Il ragazzo si bloccò e si girò improvvisamente verso di lei, guardandola con l’espressione indecifrabile che lei aveva già imparato a riconoscere. La osservò un attimo, squadrandola, poi annuì impercettibilmente, come a voler rispondere ad una domanda inespressa.
Un secondo dopo, si era già girato verso il foglio e aveva ripreso a scrivere.
Kathleen rimase ferma qualche istante, poi afferrò il necessario dalla borsa e prese a lavorare al suo primo test di pozioni.
Lo trovò straordinariamente facile, merito probabilmente delle serate trascorse ad imparare praticamente a memoria grandi passi della sua copia nuova di zecca di Pozioni Avanzate.
 
  1. Da dove è ricavata, quali sono gli effetti e qual è la dose consigliata dell’Essenza di Dittamo?
Kathleen sorrise, ricordando come quella particolare pozione fosse sempre presente, persa nei meandri dell’incantesimo Estensivo Irriconoscibile, nella borsetta di Hermione, durante il suo vagabondare con Harry e Ron.
  1. L’essenza di Dittamo è ricavata dall’omonimo fungo dalle molteplici funzioni curative; è in grado di fermare le emorragie e ricreare un sottile strato di pelle nuova e cura le bruciature più profonde. Tre gocce sono sufficienti per qualunque tipo di ferita.
 
 
***



Un’ora e una ventina di domande dopo Kathleen era alle prese con un calderone fumante ripieno di un liquido nero come il ribes. Era un miracolo essere riuscita ad arrivare fino a quel punto: Nott non l’aveva minimamente aiutata e lei si era ritrovata a navigare tra radici e oli strani senza alcuna esperienza ad aiutarla. Sospirò. L’intruglio avrebbe già dovuto raggiungere una tonalità di lilla chiaro. Non capiva dove aveva sbagliato. Sospirò per l’ennesima volta, dandosi dell’incapace.
Improvvisamente sentì un sussurro nell’orecchio.
“ti sei dimenticata due gocce di succo di Fagiolo Sopoforoso”.
Kathleen sussultò. Si girò di qualche centimetro e vide Scorpius che con la scusa di recuperare una radice di valeriana dal banco affianco si era sporto verso di lei.
“Grazie” mormorò quindi di rimando. Lui era, però, già tornato quello di sempre e aveva ripreso uno scambio di battute stupide con Zabini.
La giovane Aster scosse la testa. Cosa passava per il cervello di quel ragazzo, ammesso che ne avesse uno? Soffriva di bipolarismo? Era l’unica soluzione plausibile. O quello, o si fumava troppe foglie di tentacula velenosa.
La ragazza aggiunse ciò che le era stato consigliato, e immediatamente la pozione nel calderone si accese di un allegro lilla chiaro. Sorrise, riconoscente. Le sembrava incredibile stare riuscendo in una pozione così difficile al primo giorno di lezioni.
Si deterse con una manica il sudore dalla fronte, poi controllò il libro di Pozioni Avanzate, concentrandosi e cercando di ritrovare la riga del testo in cui era spiegato il passaggio successivo. Ah ecco, giusto: doveva mescolare in senso antiorario finché la pozione non sarebbe diventata trasparente.
Si procurò un enorme mestolo di metallo (molti studenti usavano un incantesimo non verbale per incantesimi così semplici, ma nel suo caso era tutto rallentato dal non poter usare la magia) e si accinse al passaggio finale della preparazione del Distillato della Morte Vivente.
“Aspetta” borbottò una voce alla sua destra. Di nuovo il biondo platinato che la aiutava. Ma perché?
Con un gesto della bacchetta quasi impercettibile, il giovane Malfoy abbassò la fiamma sotto il calderone di Kathleen. Dopo di che le fece un brusco segno con il capo. Kathleen cominciò a mescolare in senso antiorario, guardandosi attorno; nessuno studente sembrava essersi accorto degli aiuti che le aveva dato il ragazzo, ne tantomeno l’aveva visto Lumacorno, intento a passeggiare tra i banchi e soffermandosi presso quelli occupati dai suoi studenti preferiti per scambiare qualche parola circa gli ultimi party da lui tenuti.
Un’ultima mescolata, e la pozione nel calderone di Kathleen perse improvvisamente ogni colore, divenendo trasparente e perfettamente omogenea. Kathleen esultò. Non ci poteva credere! Aveva finalmente trovato qualcosa in cui riusciva bene. Certo, senza gli aiuti del misterioso ragazzo non sarebbe stata la stessa cosa…
“Oho!” fece il professore passando avvicinandosi al banco della ragazza. “Oho! Cosa vedo qui? La nostra Kathleen è riuscita perfettamente – e sottolineo perfettamente – a portare a termine il suo test pratico! Raccolga una fiala di pozione, cara, e la appoggi sulla cattedra. Voi tutti, fate la stessa cosa, il tempo è praticamente terminato. Avrete i risultati mercoledì. Anche se nel suo caso, mia nuova promettente allieva, l’esito del test sembra scontato” aggiunse con un altro dei suoi sorrisi bonari.
Dieci minuti dopo sulla cattedra dell’aula erano impilate ordinatamente una serie di fialette di vetro. Molti non erano riusciti a completare il lavoro, e si contavano perciò ancora liquidi colorati di lillà, nero o viola scuro.
“Perfetto, perfetto” commentò ancora il vecchio Horace. “Ora potete andare, ci vediamo mercoledì. Nott, Malfoy, Potter, Weasley, mi aspetto che vi uniate a me e all’intero LumaClub per un te questa domenica. Kathleen, mia cara, ovviamente sarei lieto se anche lei si unisse a noi. A mercoledì!”.
Gli studenti cominciarono a scemare rumorosamente fuori dall’aula.
“Sei stata bravissima, Kat!” esclamò Rose non appena le due amiche riuscirono a riunirsi. Kathleen sorrise brevemente, poi a bassa voce le raccontò di Malfoy, lasciandola ancora una volta a bocca aperta.
“Non so più cosa dirti, Kathleen. Sta’ tranquilla e aspetta nuovi sviluppi. Magari vuole solo fare colpo, sai, detiene il record della scuola in numero di disperate che gli sbavano dietro” commentò lei con una smorfia disgustata. “Oppure ha il cervello pieno di Nargilli, per dirla come direbbe l’amica di mamma e papà, quella Luna” aggiunse ridendo. Poi si ricordò di avere dimenticato il libro di pozioni sotto il banco e con un saluto veloce corse nella direzione da dove erano venute.
In quel momento si avvicinò Albus.
“Kathleen… ciao. Scusami, non ho potuto fare a meno di sentire il tuo discorso con Rose” cominciò lui. Lei annuì. Non le dava fastidio che Albus sapesse quel che era successo. Dopotutto era pur sempre un Potter.
“Senti, ecco. Non è per farmi gli affari tuoi. E’ solo che penso di doverti avvisare. Malfoy non è solo arrogante  e superficiale come dicono tutti, quello lo avrai notato anche tu. Malfoy è malvagio, Kathleen. Malvagio. A parte aver fatto soffrire metà delle ragazze della scuola illudendole e poi piantandole così. Ma poi… non lo so, ma c’è qualcosa in lui, qualcosa di sbagliato. Potrei giurarci, Kathleen” le disse lui, serissimo, guardandola negli occhi.
Kathleen chiuse gli occhi. Avrebbe voluto che smettessero di parlarle male di Scorpius ogni volta che ne avevano l’occasione. In fondo aveva ragione Rose: doveva stare tranquilla e attendere nuovi sviluppi.
Aprì la bocca per rispondere. In quel momento però si bloccò, un espressione schifata sul volto, impallidendo di colpo e bloccandosi in mezzo al corridoio.
Albus la guardò preoccupato. “Kathleen, cosa ti…” si bloccò anche lui. Ad una decina di metri di distanza si trovava Nicholas,che doveva essere appena uscito dall’infermeria, circondato da un nugolo di ragazze cinguettanti, che camminava nella loro direzione abbracciato ad una ragazza – e non era la barbie bionda di quella mattina: questa aveva capelli ancora più lunghi e lisci, ma di un castano caldo dai riflessi ambrati, e occhi verdi pesantemente truccati.
“Andiamocene” borbottò Albus, prendendo prontamente Kathleen per un braccio e costringendola a girarsi e muoversi veloce verso il corridoio prima che potesse venirle in mente qualcosa di acido e sarcastico da sputare contro quella sottospecie di ragazzo.
Improvvisamente Kathleen si riscosse e si sottrasse alla presa dell’amico. “Sto bene, Albus, puoi lasciarmi adesso” disse sforzandosi di sorridere.
Constatando che il ragazzo appariva ancora teso e nervoso, cercò di cambiare argomento.
“Sai, mi stavo chiedendo, cosa è successo a Malocchio? Perché nei libri di Harry Potter… intendo quelli conosciuti dalla comunità babbana… Malocchio muore all’inizio del settimo libro, mentre stanno trasportando Harry - tuo padre - da Privet Drive alla tana…”.
“Oh, questa è una storia che i miei genitori raccontano una volta ogni due ore” rise Albus. “Non sono la persona migliore per raccontarla a te. Comunque, in effetti erano tutti convinti che fosse morto, si. Però… Dopo la sconfitta di Voldemort, probabilmente lo sai, in tutto il mondo Maghi e Streghe si risvegliarono dalla maledizione Imperius e Confundo, gli innocenti furono liberati e tutti i mangiamorte sbattuti ad Azkaban dopo processo. Durante una delle tante retate a casa di uno degli ex-mangiamorte (mi pare fosse quella di Goyle) fu scoperta una prigione sotterranea segreta, un po’ come quella di Villa Malfoy. E qui erano tenuti i prigionieri di guerra che potevano avere informazioni interessanti, o che potevano essere utili alla causa in qualche modo” spiegò Albus.
“Ma come ha fatto a sopravvivere alla caduta? E tutti gli indizi, tipo il suo occhio magico sulla porta dell’ufficio della Umbridge…” chiese Kathleen, confusa dalla rivelazione.
“L’hanno salvato i mangiamorte: era troppo prezioso per morire così. E quello era il suo vero occhio: non ne aveva bisogno per essere torturato e e interrogato dai Goyle. Ma come hai visto” aggiunse Albus riprendendo un po’ di vivacità, “Ora il nostro Malocchio è tornato quello di un tempo”.
“Ma quella è Rose?” chiese Kathleen dopo un attimo di silenzio.
Qualcuno si stava precipitando nella loro direzione attraverso il lungo corridoio, i capelli infuocati che si confondevano con la cravatta e gli ornamenti rosso-grifondoro della divisa scolastica.
“Kathleen! Albus!” urlò lei. Sembrava terrorizzata.
“Cugina, calmati!” esclamò Albus bloccando la corsa delle ragazza e poggiandole le mani su entrambe le spalle. Rose chiuse gli occhi e trasse un lungo respiro.
“Cosa succede?” provò a chiedere Kathleen.
“Io… il libro… nell’aula, Malfoy e Nott… Porco Merlino!” concluse strillando.
“Potresti esprimerti in una lingua conosciuta? Che c’è, hai visto Lumacorno in bigodini?" Chiese Albus in un vano tentativo di fare una battuta.
“Ma se non ha nemmeno i capelli” osservò Kathleen.
“Ah, giusto…”
“VOLETE SMETTERLA?” tornò ad urlare Rose. Gli altri due ammutolirono.
La ragazza prese un altro profondo respiro e finalmente riuscì a parlare.
“Sono tornata in aula di Pozioni per recuperare il mio libro. Ho subito notato che non era vuota: c’erano Malfoy e Nott che parlavano, anzi, Malfoy sembrava mormorare, mentre Nott sembrava sull’orlo di una crisi isterica. Mi sono avvicinata, non ne ho potuto fare a meno. Ho sentito Nott dire all’altro idiota che lui non poteva capire, che lui non aveva ciò che lo stava facendo impazzire. Ho sbirciato dalla porta e li ho visti. Nott si era alzato la manica e… e faceva vedere a Malfoy…”
“Cosa?” chiese Kathleen, improvvisamente spaventata.
“Il Marchio nero. Nott è stato marchiato con il simbolo del Signore Oscuro”.
 
 
SPAZIO AUTRICE
Ma buon giorno lettori!
Ci ho messo un po’ ad aggiornare stavolta, vero? Mi dispiace, ma tra la scuola e i milioni di impegni che mi sono sobbarcata quest’anno non ce l’ho fatta ad aggiornare prima. Sperò di essermi fatta perdonare con questo capitolo abbastanza lungo.
Non mi convince, assolutamente, però non penso che potrei scriverlo in maniera più decente nemmeno cancellando e riscrivendo tutto. Ho avuto serie difficoltà a riprendere da dove avevo lasciato la volta scorsa.
In ogni caso, fatemi sapere cosa ne pensate voi. Come sempre, vi ricordo che per me i vostri pareri sono molto importanti, anche perché è la fanfiction più complessa tra quelle a cui sto lavorando.
 
IMPORTANTE! Ora vi faccio un altro piccolo appunto di cui ho già discusso con un paio delle mie recensitrici più affezionate. Stavo pensando di formare un gruppo Facebook della storia (in realtà comprenderebbe tutte le mie fanfiction, ma questa è in assoluto quella a cui tengo di più e quindi il 90% abbondante degli approfondimenti, degli spoiler, delle informazioni in più e degli avvisi di aggiornamenti posticipati o anticipati riguarderebbero proprio questa storia). Voi che ne pensate? Se vi piace l’idea scrivetelo in una recensione o al massimo in messaggio privato, e se sapete già che l’idea vi potrebbe piacere potreste darmi direttamente il vostro contatto Facebook, così non appena creerò il gruppo poso aggiungervi.
Ci sentiamo presto comunque con il prossimo aggiornamento!
Un abbraccio,
vostra Kylu

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Nuovi sviluppi ***


  
Il marchio nero.
Non era possibile.
Non era possibile.
Si fissarono, in silenzio.
“Rose, tusaichi non esiste più. Mio padre l’ha ucciso, e fine della storia. Lo sai” osservò Albus, l’incertezza nella voce.
“Io so solo quello che ho visto” rispose la ragazza, tagliente. “E quello che ho visto era un… un…”
“Ho capito quello che hai creduto di vedere” la interruppe il giovane Potter. “Ma io ti dico che è impossibile. Avrai visto male, o ti sarai lasciata suggestionare…”
“Ah, così sarei io a sbagliarmi? Al, per Merlino, devi credermi, non sono stupida, io l’ho visto…”
“Rose, calmati” intervenne Kathleen.
Gli altri due si girarono a guardarla, scettici.
“Dovrei calmarmi? Dovrei calmarmi IO? Ma ti rendi conto di quello che –”
“Si, me ne rendo conto”affermò lei. “Ho un’idea su quello che ciò che hai visto potrebbe significare. Non è una bella prospettiva, ma… Loro ti hanno vista?”
“No… non penso” rispose Rose. “In classe non ci sono proprio entrata, sono corsa via appena ho visto… quello”.
“Allora non abbiamo nulla di cui preoccuparci” sentenziò la ragazza. Di nuovo, gli altri due la guardarono sbigottiti.
“Ne parleremo con la McGrannit… appena ne sapremo di più”.
“Ma può essere davvero tanto, tanto pericoloso. Immischiarci in questa roba. Meglio parlarne subito” disse Albus.
“E rischiare di mettere in pericolo l’intera scuola? Dobbiamo indagare, prima. Cerchiamo di seguire quei due serpeverde e capire cosa succede”.
“Va bene” assentì Rose dopo un attimo di silenzio. “Ad una condizione:  Lily, Hugo e James non ne devono sapere nulla”.
“Di cosa non dovremmo sapere nulla?” chiese Hugo, sopraggiungendo in quel momento con Lily.
“Hugo, Lily! Ciao, come è andata la mattinata? James dov’è?”
“Tutto apposto” rispose la piccola Potter con un sorriso. “James è in Sala Grande penso, ha detto che voleva cenare presto che poi va a farsi un giro sul campo di Quidditch visto che per stasera è ancora libero”.
“Allora andiamo anche noi, dai” disse Rose, e dopo aver scoccato uno sguardo eloquente ad Albus e Kathleen si avviò con il fratello e la cugina più piccoli.
“Tu vai, io ti raggiungo subito” disse Al a Kathleen. Lei lo fissò interrogativa. “Devo… vedere se una persona….” Il resto della frase si trasformò in un borbottio sommesso. Dopodiché sparì lungo il corridoio.
 
                                                                                  ***
 
Erano nuovamente seduti al tavolo di Grifondoro, il vociare degli studenti a riempire loro le orecchie. Kathleen pensò come fosse strano, eppure bellissimo, che la nuova generazione Potter e Weasley avesse formato una sorta di gruppo molto unito, a differenza della quasi totalità di fratelli e sorelle che lei conosceva.
La ragazza si guardava intorno sorridente, godendosi quell’atmosfera a cui non si era ancora abituata, senza prestare attenzione ai discorsi che si svolgevano attorno a lei.
“Ci esci già stasera? Non puoi passare la serata con noi, scusa?”
“Ma Lily… non ci vediamo da una vita, dobbiamo raccontarci dell’estate e tutto il resto…”
“Ho capito, ma un giorno in più non ti avrebbe ucciso…”
I toni accesi della discussione tra Lily e Rose scossero Kathleen, che si fece improvvisamente attenta.
“Aspetta…con chi è che ti vedi?” chiese Kathleen, curiosa. Non sapeva ancora praticamente nulla dei gossip di Hogwarts, neppure quelli riguardanti Rose.
“Con Taylor Johnson” rispose al posto suo Lily. “E se permetti, cugina sono-troppo-impegnata-per-stare-con-te Rose, io me ne andrei a chiacchierare con qualche amico vero… ciao ciao” disse acida la ragazza. Dopo di che si alzò e uscì dalla sala con fare teatrale.
Rose sbuffò. “Fa sempre così, lascia perdere” disse intercettando lo sguardo preoccupato di Kathleen. “Se le gira male la serata è rovinata. Ci farai l’abitudine. Comunque” aggiunse, “non è che mi vedo con Taylor in quel senso”. Kathleen la fissò con un mezzo sorriso.
“Non lo devo vedere nel senso di ragazzo” si affrettò a spiegare allora l’altra. “E’ il mio migliore amico” concluse con uno dei suoi sorrisi dolci.
“Ah” commentò laconicamente Kathleen.
“Tu ce l’hai un migliore amico?” chiese l’altra, per poi mordersi subito un labbro e aggiungere frettolosamente: “Oh, scusa. Cioè, immagino che tu non… Beh, ora che sei qui e con tutto quello che è successo, sarà tutto… diverso, con i tuoi amici eccetera…” cercò di ritrattare.
Kathleen annuì. Non sapeva quando avrebbe rivisto i suoi amici, né cosa avrebbe potuto raccontare loro. Gli avvenimenti dell’ultimo periodo, così incredibili e travolgenti, le avevano impedito di soffermarsi eccessivamente a rimuginare su pensieri tristi come quello, ma ora che l’amica aveva portato a galla il discorso si accorgeva di quanto in fondo tutti le mancassero terribilmente.
“Io, beh… Avevo, come dire, una… specie di migliore amico. Cioè, non era proprio il mio migliore amico” iniziò a raccontare. “Ci raccontavamo sempre tutto, però, e sapevo di poter contare su di lui. Per me è stato sempre piuttosto difficile fidarmi delle persone. Però con lui era diverso, lo vedevo quasi come un fratello. Andavamo nella stessa scuola, e passavamo le pause insieme a ridere per i fatti nostri, era bellissimo. E lui era una persona stupenda. Solo che…” si fermò un attimo, sospirando. “Solo che aveva i suoi difetti, proprio come tutti. E a me andavano bene anche quelli, erano parte di lui e con tutto il bene che gli volevo, non avrei mai permesso a nulla di separarci. Però, quell’insieme di piccole cose che si accumulano, prima o poi diventano troppe. Tu sopporti, sopporti, ma dopo un po’ scoppi, non ce la fai letteralmente più a tenerti tutto dentro. Per me lui era praticamente la persona più importante del mondo. Io invece per lui non ero nulla. Non mi scriveva mai per primo a meno che non avesse bisogno di qualcosa. Spesso si lamentava del fatto che fossi triste o nervosa, senza chiedersi perché fossi così”. Si bloccò. Aveva parlato troppo, come non le succedeva da giorni. E’ che sentiva il bisogno di sfogarsi. Erano cose di cui non aveva mai parlato con nessuno, e ora che erano così distanti da lei, sembravano essersi ingigantite.
“Mi dispiace, Kat” disse Rose, passandole un braccio dietro le spalle.
Lei sorrise. La prima impressione che aveva avuto di quella ragazza era stata pessima, ma fortunatamente era stata abbastanza saggia da darle una possibilità di farsi conoscere. E ora si ritrovava un’ottima amica su cui contare.
In quel momento si sentì chiamare. Si girò, sorpresa, poi sorrise. Ayumi si dirigeva a grandi passi verso di lei, un ghigno alla Serpeverde stampato su quel bellissimo viso dai lineamenti delicati.
“James, guarda un po’ chi arriva…” disse improvvisamente Hugo tirando una gomitata al cugino grande. Quest’ultimo alzò la testa e in un attimo il suo sguardo si posò sulla Caposcuola che si stava avvicinando al tavolo. La reazione fu immediata: strabuzzò gli occhi e si strozzò con il succo di zucca che stava bevendo, imprecando poi tra un colpo di tosse e un altro.
Ayumi raggiunse finalmente l’amica e si sedette accanto a lei, senza dare peso agli sguardi al cianuro che gli altri Grifondoro le scoccavano.
“Ciao Ayumi” esclamò ad altissima voce James. Kathleen, Rose, Albus e Hugo quasi scoppiarono a ridere davanti alla sua faccia, improvvisamente atteggiata ad un espressione che a parere del ragazzo doveva essere provocante.
"Ciao Kathleen" disse lei, ignorando deliberatamente James."Come è andata la prima giornata? Ho sentito che hai già trovato il modo per metterti in mostra" aggiunse con una mezza risata senza lasciarle nemmeno il tempo di rispondere.
"James, smettila di sbavare, o dovrò diseredarti come fratello" disse Lily con un sussurro ben udibile, alzando teatralmente gli occhi al cielo. Il ragazzo si riprese con un sussulto e uscì dallo stato di quasi trance in cui sembrava essere precipitato, ora improvvisamente interessato ai decori della tovaglia sotto i calici e i piatti d'argento.
 
                                                                       ***

“Mi spiegate cosa avete oggi? Se non fosse ancora il primo giorno di scuola direi che siete depressi per lo studio”.
Zabini non capiva più i suoi amici. Nott e Scorpius se ne stavano in Sala Comune dei Serpeverde rintanati nell’angolo più isolato, sprofondati in due poltrone di velluto verde e argento, ormai da un’ora abbondante, e in tutto quel tempo non si erano spostati di un millimetro. Si limitavano a fissare il vuoto e a scambiarsi ogni tanto occhiate significative.
“Niente, Zabini. E se ci facessi l’enorme favore di toglierti dalle palle te ne saremmo grati a vita” disse pacatamente il giovane Malfoy, degnandosi infine di rispondere al compagno.
“Se non la smettete di fare i cani bastonati vi affatturo” rispose lui, acido.
Nott scambiò l’ennesima occhiata con l’amico. Dopo di che si sedette un po’ più compostamente e riuscì a mettere in piedi un sorriso tirato.
“Scusa, hai ragione tu. Scop, sforziamoci di essere gentili con questa testa di Nargillo, che magari poi smette di rompere”.
“Testa di che?” chiese Zabini con aria perplessa.
“Lascia perdere” rispose al posto suo Scorpius. “Piuttosto, Zabini, di che vuoi parlare? Soldi non te ne prestiamo, i compiti fatteli fare da qualche primino sfigato da schiavizzare”.
“No, voglio parlare della nuova” rispose lui.
“La nuova che?”
“Massì, com’è che si chiama… la Aster”.
Nott cominciò a ridere, Scorpius scoppiò in un attacco di tosse improvvisa.
“Ma che ca’ c’hai da ridere te?” esplose lui. Non li sopportava più quei due quella sera.
“Ma te la sei vista? E’ solo una povera sfigata che non sa far levitare una piuma… poi con quei capelli manco si vede chi c’è sotto” osservò Nott.
L’altro sembrò offeso. “Forse perché tu non hai guardato bene, ma io si, e posso assicurarti che…”
“Va bene, va bene, non ci serve sentire la tua sviolinata per quella babbana da quattro soldi” esplose Scorpius interrompendolo.
Gli altri due lo fissarono. Era una reazione decisamente eccessiva per uno che, da bravo Serpeverde e da bravo Malfoy qual era, si riteneva superiore a tutto e tutti fino al punto di non essere mai realmente toccato da nulla.
“E tu smettila di ridere o di spezzo la bacchetta e te la ficco dove dico io” esclamò gelido contro un terrorizzato bambino di undici anni.
“Malfoy? È arrivata una lettera per te via gufo…” disse una ragazzina sopraggiunta in quel momento.
“E chi te l’ha chiesto?” rispose lui beffardo.
Zabini la guardò con dispiacere e le mimò con le labbra: “Brutto momento”. Lei annuì comprensiva, porse la lettera a Malfoy e se ne andò.
“Ma chi è che rompe a quest’ora, dico io…” disse lui rabbioso, stracciando la busta e dispiegando la pergamena che conteneva.
Improvvisamente Scorpius si bloccò, imprecando pesantemente.
Sbiancò e si appoggiò allo schienale della poltrona, lo sguardo fisso sulle righe vergate in una scrittura precisa, stretta.
“Sono fottuto” disse semplicemente.
 
 
 
SPAZIO AUTRICE
Lettori miei <3
Ma buonasera, come va?
Era un secolo e mezzo che non aggiornavo, chiedo venia.
Il capitolo non mi convince per niente, oserei dire che è davvero scarso sia per contenuti che per forma. Ma che ci posso fare, ormai avevo promesso che aggiornavo oggi!
Scusatemi sul serio, è che tra la scuola e gi altri miei mille impegni non sono riuscita a ritagliarmi quelle due o tre orette per scrivere il nuovo capitolo. In futuro mi impegnerò di più, promesso.
Fatemi assolutamente sapere che ne pensate, recensite in tanti (:
Vi ricordo che ho aperto il gruppo Facebook della fanfiction, dove posto un po’ di spoiler, curiosità e faccio sapere quando faccio gli aggiornamenti. Se vi va aggiungetemi (sono Kyara Bo), che poi vi metto nel gruppo (:
Ci sentiamo tra pochissimo, ora torno a studiare L
Un abbraccio e un enorme grazie a chi legge, segue, recensisce, ecc.
Vostra Kylu

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Lettere e notizie infauste ***


-IMPORTANTE: una piccola nota a inizio capitolo… Rileggendo qui e là il testo originale della fanfiction mi sono resa conto di aver commesso un madornale errore: i nomi dei serpeverde amici di Scorpius sono infatti Nott e Zabini, ovviamente, mentre io nella confusione dovuta alla velocità di scrittura al pc ho sempre scritto Blaise e Zabini, ovvero nome e cognome della stessa persona, tra l’altro della vecchia generazione. Ora l’errore è stato corretto nei capitoli precedenti e d’ora in poi si parlerà con i cognomi appropriati. Scusate ancora per la svista!
Kylu
 
 
Kathleen sospirò, esausta, gettandosi di peso su un divano sfondato color cremisi davanti al camino, le cui lingue di fuoco diffondevano una calda luce aranciata nello spazioso ambiente circolare. La sala comune di Grifondoro era quasi vuota; i pochi studenti presenti cercavano di godersi una delle ultime ore buche senza montagne di compiti da sbrigare.
“Per Merlino” sbuffò Rose, trascinando una poltrona accanto al divano e sprofondandoci a sua volta. “E’ il secondo giorno e mi sento come se mi fossi scolata mezza bottiglia di Pozione Soporifera! Questo sesto anno si trasformerà presto in un suicidio di massa” sentenziò, scostandosi i corti boccoli rosso scuro dal viso e gettando la testa all’indietro, gli occhi serrati.
Kathleen sospirò di nuovo, senza trovare nemmeno la forza per annuire. Si massaggiò la fronte con due dita, avvertendo già un principio di emicrania. Era stata una giornata estenuante… e non era ancora finita.
Dopo una colazione veloce in Sala Grande, lei, Rose ed Albus si erano affrettati verso l’aula di Trasfigurazione; la professoressa Dunat, per quanto i suoi tratti ancora dolci, quasi da ragazzina, non lo lasciassero presagire, era un’insegnante molto rigorosa e non ammetteva ritardi. La doppia ora con lei – in compagnia, ancora una volta, dei Tassorosso – si era rivelata tanto interessante quanto stancante. Per finire in bellezza, poi, la Dunat aveva assegnato alla classe un tema di cinquanta centimetri sulla trasfigurazione animale.
Storia della magia era stata terribile. Fin dai primi tre minuti Kathleen aveva capito che non avrebbe mai seguito realmente quella materia, limitandosi a riscuotersi ogni tanto dal torpore che la voce soporifera del professore fantasma ispirava per prendere qualche appunto distratto.
E ora lei e Rose avevano appena concluso una doppia lezione di Aritmanzia - la giovane Weasley aveva una vera e propria passione per la materia, e sembrava conoscere a memoria il programma del’intero anno. Albus, che seguiva corsi aggiuntivi differenti, era partito invece alla volta di divinazione.
Kathleen si guardò attorno con fare circospetto. Assicuratasi di non avere nessun compagno di casa a portata d’orecchio, si sedette più compostamente sul divano e si raccolse velocemente i capelli in una crocchia alta.
Stava per cominciare a parlare, quando Rose la precedette. “Dobbiamo parlare” disse semplicemente. Kathleen annuì.
“Ieri, dopo che ho raccontato a te ed Al quello che avevo visto… hai detto di avere un’idea riguardo a ciò che significava”.
La ragazza annuì di nuovo. Poi, vedendo che l’amica non proseguiva ma la fissava con malcelata impazienza, si apprestò a spiegare il proprio ragionamento.
“Ecco, beh, magari è una cosa stupida, ma ho pensato… Un gruppo di persone invasate e completamente votate ad un obiettivo comune come erano i mangiamorte – una setta, una congrega, come preferisci – non si sfalda semplicemente perché il loro capo viene a mancare. Anzi, potrebbe essere considerato da loro come una sottospecie di martire della causa e rafforzarne le convinzioni…”
“Ma dopo la battaglia finale i mangiamorte sono stati uccisi o rinchiusi ad Azkaban” osservò Rose, le prime avvisaglie di panico nella voce.
“Non tutti. Non tutti, e lo sai meglio di me” rispose l’altra. “Hanno aspettato che le acque si fossero calmate, hanno atteso qualche anno nell’ombra, come in letargo” cominciò ad ipotizzare poi, parlando lentamente. “ Dopo un po’ di tempo hanno iniziato a ricongiungersi, sempre senza fretta per non dare mai nell’occhio. Formato il gruppo dei sopravvissuti ancora latitanti, hanno iniziato a cercare nuovi seguaci”.
“Stai dicendo…” cominciò Rose, il viso come una maschera bianca. “Stai dicendo… che i seguaci di Tu-sai-chi… vogliono proseguire l’opera anche senza il loro padrone?”
“E’ un ipotesi. Ma non trovo altre spiegazioni plausibili. Una cosa è certa: dobbiamo andare a fondo a questa faccenda. Se dovessi avere ragione…” Puntò gli occhi fuori dalla finestra della torre. La luce inondava ancora i prati verdi e lussureggianti del Castello; la Foresta Proibita si stagliava ombrosa contro il cielo terso.
“…là fuori si sta preparando l’inferno. E probabilmente noi siamo gli unici a poterlo fermare in tempo”.
 
                                                                       ***
 
Domani sera, solito posto, solito modo.
E’ importante, la situazione non può e non deve sfuggirci di mano.
Dovrai risolvere la questione.
A modo nostro.
Ti saranno comunicati modi e tempi in cui dovrai agire.
 
Poche righe, vergate in quella calligrafia che aveva imparato a riconoscere ormai anni addietro.
Poche righe, con l’incredibile capacità di gelargli il sangue nelle vene.
Scorpius piegò la pergamena ormai consumata per le troppe volte in cui era stata letta, accartocciata per la rabbia, stretta nel pugno serrato per il terrore di ciò che si doveva apprestare a compiere.
Solito posto, solito modo.
Non era la prima volta che si mettevano in contatto con lui, affatto. Era forse la fonte più sicura che avessero all’interno di Hogwarts. Un perfetto burattino nelle loro mani.
Bastava tirare un filo o lasciarne un altro, e lui doveva abbassare il capo ed eseguire.
Non che avesse scelta. Non l’aveva mai avuta, e per quel che ne sapeva, non ne avrebbe avuta mai neanche in futuro. Un futuro che si delineava con precisione di fronte a lui, cupo e claustrofobico come non mai.
Dovrai risolvere la questione.
La “questione”… è così che la chiamavano ora? Ovvio, nelle lettere non si poteva lasciare trapelare nulla di più dello stretto necessario. Però quel modo così asettico ed impersonale di nominarla gli procurò un brivido. L’ennesimo della giornata. D’altra parte, non per caso non era in quella combriccola di Grifondoro, coraggiosi fino alla nausea.
A modo nostro.
Era questo che lo spaventava maggiormente.
A modo loro.
E lui conosceva alla perfezione i loro metodi.
 
                                                                       ***
 
L’ultima lezione di Kathleen della giornata era Antiche Rune.
La ragazza si era stupita non poco quando aveva constatato che Rose non avrebbe seguito quel corso; l’amica si era spiegata al riguardo bofonchiando qualcosa sul fatto che avere una madre fissata con le rune ti porta a non poterne più di quella materia fin dall’età dei tre anni.
Rose si offrì però di accompagnare Kathleen fino all’aula giusta, visto che la ragazza non aveva ancora dimestichezza con le scale incantate, i passaggi segreti e i mille trabocchetti del castello.
Appena uscite dalla Sala Comune s’imbatterono in Albus, che strascicava i piedi con un’aria cupa ed abbattuta. Quando le vide alzò appena la testa per salutarle con un cenno, per poi sibilare qualcosa contro “quella perdita di tempo di materia assolutamente inutile e idiota”.
“Povero cugino” commentò Rose tirandogli una pacca sulla spalla. “Per la prossima lezione vedo di procurarti una merendina marinara da zio George, okay?”.
“Si, forse dovrei iniziare a paccare… Ma non tutti hanno la fortuna di quel Malfoy, per esempio. L’anno passato non è venuto a metà delle lezioni e nessuno gli ha mai detto niente. Se mancassi io una volta manderebbero la squadra Auror a cercarmi. Adesso che ci penso” aggiunse poi, “neanche oggi ci ha concesso l’onore di presentarsi, quel serpeverdino inutile. Vabbè ragazze, io vado a buttarmi giù dalla torre dalla finestra del mio dormitorio. A dopo, se venite a raccogliermi!” Albus si congedò con un sorriso sghembo e sparì dietro il buco del ritratto.
“Papà e zio Harry glielo avevano detto di evitare assolutamente divinazione” osservò Rose scuotendo la testa mentre lei e Kathleen passavano oltre. “Ma zia Ginny sosteneva che ora che ad insegnarla c’è solo Fiorenzo sia meglio… E poi a divinazione c’è una certa tassorosso” rise la ragazza.
“Ah, volevo giusto chiedertelo…” cominciò Kathleen, cercando di provare a pensare a qualcosa d’altro (il suo cervello si era inceppato quando Albus aveva nominato Scorpius). “Lui e quella Micol si piacciono, si vede lontano un chilometro, e se me ne sono accorta io in due giorni, possibile che non se ne accorgano i diretti interessati?” chiese.
“A quanto pare si. Possibilissimo, soprattutto se uno dei due è una testa di Nargillo assoluta che non lo capirebbe neanche se glielo dicessi, e l’altra ha un’autostima pari o inferiore a zero e non riterrebbe neanche possibile piacere a lui”.
Erano ormai quasi arrivate all’aula di Antiche Rune quando Rose fece segno a Kathleen di bloccarsi, estraendo la bacchetta.
Passò un paio di secondi osservando il corridoio apparentemente deserto con gli occhi ridotti a due fessure. Improvvisamente alzò la bacchetta contro una vecchia armatura arrugginita.
Depulso!
L’armatura venne scaraventata di lato con un baccano assurdo. Appiattito al muro, fino al secondo prima celato alla vista altrui, stava James, un’espressione ridicola sul viso e i capelli ritti in testa per lo spostamento d’aria causato dall’incantesimo.
Kathleen scoppiò a ridere.
Rose si limitò a fissarlo tra lo scioccato, l’incredulo e il divertito.
“Non dirmi che stai facendo quello che sto pensando che tu stia facendo” esordì poi, l’aria minacciosa, probabilmente a causa della bacchetta ancora stretta in pugno.
“Ehm.”
“JAMES SIRIUS POTTER!” esclamò allora la ragazza, in un tono che avrebbe reso fiera nonna Molly.  “Non avrai cominciato a PEDINARLA, vero?”.
“Ehm…” ripetè James. Poi si staccò finalmente dalla parete e sembrò ritrovare la parola. “Cugina, calmati. Ero qui più o meno per caso e ho pensato di aspettare solo un paio di minuti in più, tutto qui…”
“Tutto qui?” sbottò Rose, per poi unirsi finalmente all’amica in una risata incontrollabile.
“James, sei ridicolo, ti dai tante arie da Casanova e poi sei ridotto a nasconderti dietro le armature per vedere trenta secondi la ragazza che… Oh, ciao Ayumi!” s’interruppe poi, sforzandosi di tornare seria.
“Ciao Rose, ciao Kathleen. Che ci fate qui?”
“Stavo accompagnando lei alla prima lezione di Antiche Rune… e venendo qui abbiamo incrociato per caso James, e ci siamo fermati a scambiare… quattro chiacchiere” sorrise divertita.
“Ah, vedo... Mi stavo giusto chiedendo da dove fosse venuto quel fracasso di prima" disse la Serpeverde alludendo al rumore provocato dall'incantesimo di Rose. "Mi ero quasi scordata che quello lì potesse essere peggio di Pix” commentò poi squadrando James come se stesso osservando un insetto particolarmente disgustoso.
Lui arrossì vistosamente. “Si, ehm, si, ecco, io stavo giusto andando che devo…” il resto della frase si perse in un borbottio indistinto. Dopo di che sparì dietro all’angolo in fondo al corridoio. Ayumi scosse la testa con aria rassegnata, poi salutò le due ragazze e se ne andò a sua volta.
“James è proprio perso” commentò Rose. “Non mi sarei immaginata che potesse uscire di testa a questo modo per una… Comunque siamo arrivate” aggiunse, indicando all’amica un’aula abbastanza piccola ma molto luminosa. I pochi studenti già presenti in aula si stavano sistemando nei banchi in prima fila, recuperando dalle borse pesanti tomi dall’aria antica.
Nel giro di dieci minuti la classe, formata unicamente da una ventina scarsa di studenti del sesto anno di tutte le case – i sopravvissuti ai GUFO, più Kathleen – osservava attenta l’insegnante, che esponeva  il programma dell’anno.
Sandy Temple* era una donna sulla trentina d’anni, giovanile e dal’aria simpatica. Sembrava mantenere con gli studenti un’intesa particolare, impossibile per gli altri docenti.
La lezione passò veloce, classificandosi di gran lunga come la migliore tra quelle succedutesi fino a quel momento. Il suono della campanella decretò fin troppo presto la fine delle due ore. Gli studenti cominciarono a raccogliere le proprie cose e a lasciare l’aula alla spicciolata.
“Kathleen, posso parlarti un attimo?”
Kathleen si avvicinò titubante alla cattedra. Forse l’insegnante voleva dirle che quel corso era troppo avanzato per lei? Che non sarebbe riuscita a stare al passo con il programma e che perciò avrebbe dovuto abbandonarlo?
“La preside McGrannit mi ha raccontato la tua storia… Notevole, davvero notevole” esordì la donna, un sorriso sincero e aperto dipinto sul viso. “Pensavo che avresti avuto parecchie difficoltà a seguire questo corso, che in fin dei conti è uno tra i più difficili. Invece mi hai, come dire, stupita  molto positivamente. Hai letto qualcosa del nostro libro di testo quest’estate?”
“Tutto, professoressa. Tre volte” ammise Kathleen, imbarazzata.
La Temple rimase senza parole per un attimo, poi scoppiò a ridere.
“Vedi te che quest’anno avremo una nuova Hermione Granger… Notevole, sul serio” ripetè. “In ogni caso” aggiunse, “quello che ci tenevo a dirti era che se hai bisogno, per qualunque cosa, passa dal mio ufficio. E’ qui a fianco a quest’aula. Posso darti una mano in quasi tutte le materie, rispiegarti qualche concetto, o anche solo scambiare quattro chiacchiere”.
Kathleen arrossì. L’insegnante pareva così ben disposta, così… sincera.
“Grazie mille” rispose. “Io… non so che dire. Grazie, sul serio”.
“Figurati. Quando posso, aiuto. Ora però va’ a riposare. Di corsa!”.
 
                                                                                  ***
 
I passi di Kathleen rimbombavano per i corridoi vuoti. Tutti gli studenti di Hogwarts erano nelle proprie sale comuni o già in Sala Grande ad attendere la cena. La ragazza camminava con calma, godendosi il silenzio del castello e gli ultimi raggi di sole che filtravano dalle alte finestre.
All’improvviso avvertì una serie di passi provenire da una qualche direzione attorno a lei. Non sembravano seguirla, parevano più che altro andare avanti e indietro, come nel movimento tipico di chi è particolarmente nervoso o angosciato.
Due secondi di silenzio, poi… eccoli di nuovo.
Il suono non proveniva dal corridoio che si apriva di fianco a lei, né si perdeva in lontananza verso le scale che le stavano di fronte.
Kathleen si guardò attorno. Aveva una sola soluzione: una porta in fondo allo stesso corridoio dal quale era venuta. Indietreggiò, un po’ spaventata.
I passi sembravano essersi fermati.
Con gli occhi fissi davanti a sé continuò a procedere camminando all’indietro, finche non avvertì contro la schiena la superficie dura e fredda della porta. Allungò una mano dietro la schiena e abbassò la maniglia d’ottone.
Con uno scatto, aprì la porta e vi s’infilò dentro, svelta.
Un secondo dopo era a terra, dolorante
“Che diamine ci fai tu qui?”
Biondo platinato, gli occhi grigi d’un mare in tempesta, Scorpius Malfoy cercava di ritrovare l’equilibrio perduto dopo lo scontro con la ragazza.
Kathleen cercò di mettersi seduta sul duro pavimento di pietra. “Cosa ci fai tu qui, piuttosto” gli rispose a tono.
“Si da il caso che questo sia il bagno dei maschi. Devo giustificare il mio bisogno di andare in bagno, Aster?”.
Esitò, portando gli occhi su qualunque cosa non fossero gli occhi della ragazza. Le allungò una mano con fare incerto. Kathleen la fissò per qualche secondo, poi si tirò su da sola. Non intendeva ricevere altri aiuti da quel ragazzo. Con un gemito di apprensione notò che la caduta le aveva riaperto la ferita che si era procurata al braccio durante la traversata del lago.
Rialzò gli occhi sul viso del biondo, impedendo alle proprie gambe di tremare.
“Già che ci siamo…" cominciò lei. "Vorrei dirti due parole. Grazie per quello che hai fatto per me ieri dopo colazione e a pozioni, davvero. Grazie. Però ora basta. Non capisco il tuo gioco. E non voglio provare a capire te” mentì, “ma se per caso ti senti in qualche modo, che ne so, obbligato ad aiutarmi… Lascia stare. Fare il gentile per poi sfottermi alla grande con i tuoi amici… no, grazie. Detto questo, ci si vede, ora vado in infermeria”.
Si girò nuovamente verso l’uscita, una mano a stringere  il braccio leso, dimentica perfino del rumore dei passi che l’avevano condotta fino a quella porta.
“Aspetta”.
Kathleen si girò. Cosa c’era ora, Malfoy aveva intenzione di chiederle scusa? Di spiegarle il suo comportamento da bipolare?
Il biondo estrasse la propria bacchetta dalla tasca della divisa, poi la puntò sul braccio della Grifondoro. Un veloce incantesimo non verbale, e nuove bianche bende di lino fasciarono il braccio sanguinante.
“Nessuno mi obbliga a fare nulla, Aster” affermò poi.
Dopo di che si voltò e uscì.
I suoi passi si persero presto nel silenzio.
 
 
                                                                                  ***
 
Jeremy le si era seduto vicino durante cena, aveva preso a chiacchierare e non la mollava neppure ora, mentre si avviavano con gli altri verso la Sala Comune. Non che le desse fastidio, tutt’altro. Kathleen però era stanca morta e aveva un’emicrania pazzesca; non avrebbe desiderato nulla di più di buttarsi sul suo letto a baldacchino del dormitorio nella torre e concedersi una sana dormita rigeneratrice.
“…Quindi la McGrannit ha detto che penserà se lasciarti venire ad Hogsmeade nonostante tu non abbia il permesso scritto dei tuoi. Ma l’ho quasi convinta, tranquilla. Se proprio va male però puoi sempre chiedere a James di imprestarti il vecchio Mantello dell’Invisibilità, a te non dirà di no, d’altra parte… Aspetta, quello cos’è?” s’interruppe Jeremy.
Un aereo planino di carta si era appena raggiunto Kathleen librandosi a mezz’aria, e ora la seguiva passo dopo passo. La ragazza si fermo, allungò la mano e lo afferrò, per poi dispiegarlo lentamente.
 
Devo parlarti.
Domani dopo la tua punizione in infermeria.
Mi troverai dietro la terza serra di erbologia.
Nicholas
 
Kathleen scosse la testa, fremente di rabbia. Quella sottospecie di schifoso Schiopodo Sparacoda  col cervello di un vermicolo! Come si permetteva?
“Tutto a posto?” chiese Jeremy preoccupato. In tutta risposta Kathleen gli passò il biglietto.
“Che pezzo di…” iniziò, furente.
“Lascia perdere” disse in fretta lei.
“Non lascio perdere, quell’ipocrita!, ti giuro che se lo becco io…”
“Kathleen!”
Una nuova voce interruppe quello che si prospettava essere un fantastico monologo di Jeremy contro Nicholas.
“Kathleen, mi manda la McGrannit, devi assolutamente venire nel suo ufficio! Corri, muoviti, dai!”
Era Albus, ed era semplicemente sconvolto.
“Questa volta non ha fatto assolutamente nulla! Era con me, non ha fatto niente, sono io che tra un po’ vado a picchiare Nicholas e appenderlo a testa in giu dalla torre di astronomia…”
“Kathleen, muoviti” ripetè Albus ignorando l’altro grifondoro, “Dalla McGrannit, subito!”
“Ma cosa diamine è successo?” chiese la ragazza, un principio di terrore nella voce.
Albus distolse lo sguardo dal suo ed esitò.
“Si tratta di tua madre” mormorò infine, la voce spezzata.
“Hanno appena chiamato dal San Mungo. Tua madre è ricoverata lì… in coma”.
 
 
 
 
*In onore di Miss Temple in Jane Eyre, l’insegnante che per prima crede nella protagonista del libro e le da tutto l’aiuto di cui è capace.
 
 
SPAZIO AUTRICE
Ma ciao lettori (: Tutto bene?
Si, lo so che sono imperdonabile. Sono passati secoli dall’ultimo aggiornamento.
Non uccidetemi però. Se mi uccidete chi continua la fanfiction?
Beh, ho poco da dire sul capitolo. Il prossimo arriverà nel giro di pochi giorni, e stavolta sul serio, perché a differenza delle altre volte so già esattamente come proseguire la storia.
Nel frattempo voi recensite, recensite, recensite! Sapete che è importante per me. Per sapere che ne pensate, per avere nuove idee, per capire se devo proseguire la storia o mollarla lì incompiuta…
Vi ricordo il gruppo della fanfiction, https://www.facebook.com/groups/509139912512552/541943085898901/?notif_t=like (spero funzioni il link).
Al prossimo capitolo… e grazie a tutti (:
Kylu
 
Nox!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Duplice attentato più uno ***


Nell’affollato ufficio della preside regnava un’aria pesantissima. Nemmeno i quadri discorrevano più, preferendo limitarsi a fissare con sguardo cupo le facce scure delle tre persone riunite attorno all’ampia scrivania.
Kathleen era seduta rigida su un’alta sedia di legno chiaro, lo sguardo vacuo puntato davanti a sé. Non aveva praticamente proferito parola da quando Albus l’aveva letteralmente trascinata fin davanti alla McGrannit.
“Viceministro, qui non si tratta di avere permessi o non avere permessi. La signorina Aster qui presente ha il diritto di vedere propria madre! Io esigo che venga predisposta una passaporta per il San Mungo. Qui e subito!”
“Lei esige, preside? Sono addolorato di doverla informare che quel che lei esige o non esige, in effetti, non valga poi molto. Le regole sono regole a vanno rispettate…”
“Per i quattro Fondatori, sono ordini del Primo Ministro! Di un suo superiore, cosa non le è chiaro in questo? Lei è un incompetente, un retrogrado, un…”
“Se non si calma immediatamente temo di doverla segnalare al Wizengamot, preside McGrannit” la interruppe l’altro, con un sorriso tanto gelido quanto finto dipinto sulle labbra.
Fu in quel momento che Kathleen finalmente reagì. Si alzo lentamente, e con altrettanta lentezza si girò verso quello che le era stato presentato come Viceministro: un uomo sulla cinquantina, poco più alto di Vitious, con un paio di piccoli occhi incredibilmente ravvicinati e un unico ciuffo color topo pettinato in modo tale da cercare di nascondere , con scarso successo, una calvizie già imminente.
“Mia madre”, cominciò, la voce tremante per lo sforzo di costringersi a trattenere il tono, “è in coma al San Mungo perché una masnada di pseudo-medimaghi celebrolesi, psicotici e notevolmente decerebrati si è divertita a provare qualche giochetto sul suo cervello. Ora lei predispone questa dannata passaporta e mi fa andare lì” affermò, continuando a fissarlo negli occhi con determinazione.
Era stata spaventata, confusa, terrorizzata; ora era solo furiosa.
“Moderi il linguaggio, signorina Aster! Non le permetto di rivolgersi a me con questi term…”
“E io non le permetto di trattenermi qui quando per colpa di certi elementi di dubbia sanità mentale mia madre è nei casini” lo interruppe lei, scandendo le sillabe come se si stesse rivolgendo ad un bimbo di tre anni. Era consapevole di star tirando troppo la corda, e in circostanze normali non si sarebbe mai permessa di rivolgersi a quel modo a chicchessia, ma in quel momento non le importava di nulla, nemmeno di mancare di rispetto ad uno dei soggetti più burocraticamente importanti del Mondo Magico.
La sottospecie di gnomo – così l’aveva definito la ragazza nella propria mente – stava per aprire bocca per ribattere, indispettito come non mai, quando s’interruppe improvvisamente, la bocca semiaperta a conferirgli un’aria ancora più ottusa del normale.
Un filo di luce si stava condensando in un punto preciso dello spazio sopra la scrivania. Ben presto dalla luce si formò una lince argentea che girò su se stessa fino a ritrovarsi esattamente di fronte alla McGrannit.
Poi il Patronus parlò con la voce grave e potente di Kingsley Shacklebolt.
“Chiudete tutte le comunicazioni tra Hogwarts e l’esterno, fermate la passaporta per il San Mungo. Sto arrivando tramite polvere volante”.
La McGrannit si portò entrambe le mani alla bocca, semplicemente terrorizzata. Il Viceministro s’immobilizzò.
Kathleen allungò una mano verso il Patronus, come in cerca di qualcosa di più del semplice messaggio che questi aveva trasmesso, qualcosa di tangibile, un appiglio di qualunque tipo.
Ma il Patronus si dissolse nell’aria, così come tutte le sue paure.
Era il momento di agire.
Si girò velocemente verso lo spazioso camino ospitato dall’ufficio, appena in tempo per vedere un uomo alto e dall’aspetto rassicurante che appariva vorticando tra alte fiamme verdi.
A Kathleen mancò il respiro. E’ l’ennesimo personaggio della leggenda che incontro, si disse. Dovrei essermi abituata ormai, a vivere in un romanzo.
“Ministro!” squittì lo gnomo con fare petulante. “Non capisco, cos’è success...”
“C’è stato un attentato” disse l’uomo ignorando deliberatamente il collega. “Duplice, in realtà”.
Scoccò uno sguardo grave alla preside, poi si rivolse direttamente a Kathleen, senza attendere che qualcuno li presentasse.
“Kathleen… tuo padre e tuo fratello”.
La ragazza poté sentire distintamente il rumore di qualcosa dentro di sé che si spezzava.
“Non sono morti” si affrettò ad aggiungere l’uomo, poggiando una mano sulla spalla della giovane, evidentemente impallidita. “Va tutto bene, cara, tutto bene. Dumbworm*” aggiunse poi, rivolgendosi al Viceministro, “sarebbe così gentile da andare in infermeria e procurare una pozione calmante per la signorina Aster? E nel frattempo, convochi gli insegnanti della scuola qui tra venti minuti. Dobbiamo proteggere Hogwarts nel migliore dei modi”.
Dumbworm annuì e sparì strisciando i piedi oltre la porta dell’ufficio.
Kingsley sospirò, poi tornò a rivolgersi a Kathleen, invitandola a sedersi.
“Prima di raccontarvi cosa è successo, voglio rassicurarti: stanno entrambi bene, e sono a casa al sicuro. Abbiamo stanziato un paio di Auror nei dintorni in caso di necessità, ma per il resto… Sono un po’ scioccati, ma in perfetta salute e senza più alcun motivo di preoccuparsi per il futuro”.
“E’ stato perché siete quasi riusciti a scoprire quello che è successo con la storia dei miei poteri, signore?” chiese Kathleen, la voce nuovamente tremante, ma senza più una traccia di rabbia.
L’uomo la fissò sbalordito. “Si, ma come…?”
“Era semplicemente l’unica spiegazione logica plausibile. Non avrebbero avuto altri motivi per attaccarli. Loro sono… babbani comuni, per quanto ne sappiamo, giusto?” chiese retoricamente lei.
Il Primo Ministro la fissò ancora qualche secondo. Poi parlò.
“Sono stati entrambi Schiantati. In casa. Senza nessun segno di scasso o qualche altro indizio riconducibile ad un potenziale aggressore. Fortuna che il corpo Auror ha raggiunto il luogo prima della polizia babbana. Comunque non è questo quello che spaventa…” fece una pausa, sospirando di nuovo.
“Hanno lasciato un messaggio”.
Allungò una mano sotto il mantello da mago che indossava e mostrò a Kathleen e alla McGrannit una foto in bianco e nero.
Era la parete solitamente immacolata appena di fronte all’ingresso, riconobbe la ragazza con un brivido. Nel muro spiccavano ora grandi lettere profondamente scavate nell’intonaco con qualche incantesimo.
Temete, nemici dell’Oscuro. Lasciate perdere questa storia, o la prossima volta moriranno”.
La giovane Aster si sentì gelare il sangue nelle vene.
In quel momento rientrò Dumbworm, sorreggendo un alambicco ricolmo di liquido.
“Mi sono perso qualcosa, signor Primo Ministro, signore?” chiese con la sua vocetta fastidiosa, porgendo la pozione a Kathleen.
“Cosa significa tutto questo, Kingsley?” chiese invece la McGrannit, prendendo finalmente parola.
“Non ne abbiamo idea” ammise lui. “Non ancora, per lo meno. Ma ci stiamo lavorando. Si risolverà tutto presto. Per ora…”
Kathleen bevve il liquido tutto d’un sorso. Aveva un sapore particolare, di agrumi forse, ma con un un retrogusto amaro.
“Dobbiamo tenere gli studenti rinchiusi nei propri dormitori e raddoppiare le misure di sicurezza” concluse la McGrannit.
L’uomo si accigliò. “No, al contrario. Raddoppiare la sicurezza si, ma giusto come precauzione. Gli studenti non saranno informati di nulla, o almeno non fino a nuovi sviluppi. Le attività scolastiche proseguiranno come di consueto. E’ inutile e controproducente seminare allarmismo. La situazione s’ingigantirebbe fino a diventare ingestibile. Kathleen” proseguì poi. “Sarai ovviamente informata di ogni cosa. Riceverai notizie dal San Mungo ogni volta lo desidererai, solo che… al momento non riteniamo sicuro farti uscire dai confini di Hogwarts, ecco. Mi dispiace”.
La ragazza annuì. Se lo aspettava.
“Ora è meglio che tu vada. Staranno arrivando gli insegnanti. Ricorda: per qualunque cosa puoi parlare alla preside che, in caso, potrà contattare direttamente me. Giusto?”. La McGrannit annuì con convinzione.
“Signorina Aster” disse poi lei. “Se non si sente bene, è dispensata dalla punizione di questa sera”.
La Grifondoro scosse la testa. “Sto… bene. Ce la faccio. Grazie, comunque” rispose automaticamente.
Salutò garbatamente i presenti per congedarsi, sprofondata in uno stato come di trance, come se a guidarla fosse il pilota automatico. Vide se stessa come dall’esterno abbassare la maniglia, uscire dalla porta e percorrere le scale. Poi si mise a correre.
Solo una volta fuori, nel parco, con il fiato corto per lo sforzo richiesto alle gambe, si sentì nuovamente lucida.
Per qualche strana ragione, e nonostante tutto, era meno traumatizzata di quello che si sarebbe aspettata a sangue freddo. Si sentiva inspiegabilmente tranquilla - merito probabilmente della pozione calmante, o forse di un semplice presentimento.
Sarebbe andato tutto bene.
Tutto bene.

                                                                                  ***
 
La punizione in infermeria era stata meno pesante del previsto. L’infermiera, informata dell’accaduto dal Primo Ministro in persona, era stata fin troppo dolce e comprensiva nei confronti della ragazza; Kathleen aveva certo lavorato molto – era ormai notte, e non si sentiva più le braccia a furia di strofinare ogni superficie orizzontale e verticale possibile ed immaginabile – però le erano state concesse diverse pause, durante le quali l’infermiera si era divertita ad ascoltare ripetutamente il suo resoconto sullo svolgimento dei fatti della mattina precedente.
E a proposito della mattina precedente e delle persone coinvolte, Kathleen non si era minimamente scordata del biglietto ricevuto appena prima di essere raggiunta da Albus con l’infausta notizia.
In linea di principio, non aveva nessuna voglia di vedere quell’essere viscido che era Nicholas, ne aveva giustificazioni valide per recarsi fuori dal castello di notte, violando il coprifuoco, specialmente ora che le misure di sicurezza erano raddoppiate quasi esclusivamente per lei.
Devo parlarti.
Ah si? E di cosa avrebbe dovuto parlare, per Merlino? Delle motivazioni nascoste dietro al suo comportamento da spregevole ed emerito ipocrita?
Domani dopo la tua punizione in infermeria.
Mi troverai dietro la terza serra di erbologia.
Poteva aspettarla per ore, quella testa di Nargillo. Sarebbe stato divertente andarsene in dormitorio a riposare immaginando il ragazzo lì ad aspettarla invano.
Eppure… Eppure Kathleen non era stata smistata a Grifondoro per nulla. Che la si chiamasse nobiltà d’animo – come avrebbero detto i rosso-oro più orgogliosi – o stupida testardaggine –secondo la versione verde-argento –, la giovane Aster detestava lasciare le situazioni in sospeso.
Per questo, una volta uscita finalmente dall’infermeria, non si diresse verso la propria Sala Comune, ma si strinse nel mantello e, dopo aver rischiato di perdersi soltanto qualche centinaio di volte, spalancò con circospezione il portone del Castello ed uscì di soppiatto nell’aria fresca della notte.
Era un paesaggio da favola. La luce bianca della luna illuminava di riflessi magici la vegetazione e giocava tra le piccole increspature del Lago Nero.
Seguì il percorso che aveva seguito con il resto della classe il giorno prima per recarsi a lezione di Erbologia. Per assurdo, le era più facile orientarsi di notte che di giorno. Un po’ per questo, un po’ per fortuna, nel giro di pochi minuti riuscì a raggiungere la serra numero tre.
Avvertiva la presenza di qualcuno appena dietro l’angolo. Era già lì ad aspettarla.
Allora forse ci tiene a me.
Non ci tiene a te, sei solo tu che ti fai degli svarioni mentali perché ti piace!
Non mi faccio svarioni mentali. E NON MI  PIACE.
Si che ti piace.
No! E un egocentrico, viziato, idiota, permaloso ragazzino che…
Sei ancora in fase di negazione? Che tenerezza!
Kathleen scosse forte la testa per scacciare quell’assurdo dibattito mentale tra cuore e cervello.
Doveva smetterla di fare la bambina.
Finalmente si decise a compiere quei pochi passi che ancora li separavano, determinata come non mai ad affrontarlo con tutto il suo coraggio – e il suo orgoglio – grifondoro.
Costrinse il proprio viso ad assumere un’espressione al contempo minacciosa e indifferente, alzò il mento in un atteggiamento di sfida, e fu pronta. Girò l’angolo, prestando attenzione a non scivolare sull’erba umida e sperando che il battito del suo cuore non tradisse la sua rabbia ed il suo immenso rancore.
Lui era lì che l’attendeva. Anche con la luna come unica fonte di luce, la ragazza riusciva a distinguere bene il suo profilo quasi perfetto, il suo fisico ben disegnato, la momentanea serietà del suo viso.
“Kathleen”.
Aveva davvero una bella voce. Profonda, appena roca. Kathleen, evita si disse la grifondoro.
Concentrati.
Gli si mise di fronte e lo fissò dritto negli occhi.
“Cosa vuoi?”.
“Mi sarei aspettato un approccio un po’ più dolce, Kat…” disse lui, ritrovando immediatamente il suo solito ironico.
“Non ho tempo da buttar via. Dimmi che diamine vuoi da me, così che poi possa tornare finalmente in santa pace al mio dormitorio…”
“Voglio parlare”.
“Parla”.
“Come stai?”
“Come… sto? Come sto? COME STO? Ma per Merlino! Sto benissimo, proprio fottutamente bene, grazie per l’interessamento! Non importa che qualche ipocrita dal cervello di un vermicolo paraplegico mi abbia presa in giro per due settimane per poi sfottermi davanti alla scuola intera!”
“Zitta.”
“ZITTA IO? Ma che diavolo ti passa per il cervello, si può sapere, che cazz…”
“Kat, calmati”.
“Calmati lo dici a tua sorella. Va’ a farti fottere, Nicholas. Non so neanche perché sono venuta qui.”
“Non te ne andare! Devo fare una cosa prima”.
Il ragazzo la osservò intensamente, di nuovo senza traccia del sorriso scaltro che lo contraddistingueva.
E Kathleen non fece in tempo ad aprire bocca per ribattere, che si ritrovò letteralmente messa spalle al muro, schiacciata dal corpo di lui contro il suo, le sue labbra premute contro le proprie.
 
 
ANGOLO AUTRICE
Non uccidetemi.
Sono giusto un po’ in ritardo, eh?
E in più questo è un capitolo corto, e scarno di avvenimenti…
Veniam peto.
Ma vi PROMETTO che aggiorno tra pochissimo, questione di un paio di giorni.
Questa volta sul serio.
Fatemi sapere che ne pensate, è importante per me!, e se ci siete ancora…
Un bacio,
vostra Kylu
 
*DumbWorm. Letteralmente: stupido verme

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Buio, urla e sangue ***


NB: Sei pagine, signori e signore, dico SEI PAGINE di capitolo!
Okay, vi lascio alla lettura. Solo una cosa: leggeteli i miei “angoli autrice”, please!
 
 
Mi manchi. Ho bisogno di vederti.
Sospirò, sistemandosi un corto boccolo dietro l’orecchio. Gettò un’occhiata fuori dalla finestra. Era buio da un pezzo, le stelle brillavano già distintamente su quel panno di velluto nero che era il cielo.
Quand’è il primo finesettimana a Hogsmade?
Stanchezza. Stanchezza emotiva. Di tenere tutto segreto, di dover sopportare quella distanza forzata. Distanza che sarebbe durata tutto l’anno a venire. E quello successivo.
Strinse le dita sulla lunga penna d’aquila e la intinse nel calamaio.
Non credo avremo gite fino al mese prossimo. Manchi tanto anche tu.
Aveva appena finito di vergare quelle poche lettere nella sua calligrafia precisa ed ordinata che queste scomparvero.
La risposta fu altrettanto immediata.
Allora ti batto sul tempo!
Che intendeva dire? Si accigliò, mentre una nuova riga andava già formandosi appena sotto la precedente.
Non avete ancora avuto Difesa contro le Arti Oscure? Ero sicuro che te l’avessero già detto! Meglio così… sarà una sorpresa. Fantastico!
Sorpresa. Non una gran bella cosa, dal suo punto di vista. Non sopportava non avere tutto sotto controllo, non sapere esattamente cosa aspettarsi.
Sprofondò nuovamente lo sguardo nell’oscurità fredda e silenziosa che regnava al di là dei vetri. Sarebbe piovuto entro la mattina seguente, poteva già percepire l’umidità nell’aria.
Sbadigliò, allungando le braccia dietro alla schiena. E un’altra giornata era passata. Quante ne sarebbero trascorse ancora, prima di poterlo rivedere?
Poco male, avrebbe aspettato. Avrebbe avuto pazienza.
Avrebbe atteso con un finto sorriso dipinto in faccia, proprio come faceva sempre.
 
                                                                       ***
 
Dumbworm si pettinò nuovamente il ciuffo di capelli color topo all’indietro in un gesto frettoloso, nervoso come non mai. Erano ore che aspettava, il volto chino coperto dal cappuccio scuro del lungo mantello che indossava, come unica distrazione per ingannare l’attesa i ghirigori immaginari formati dai granelli di polvere accumulati sulle assi sconnesse del tavolo davanti a lui.
“Dumbworm.”
L’uomo ebbe un sussulto. Quella voce l’avrebbe riconosciuta tra mille.
Si girò lentamente. E lui era lì, seduto rigido accanto a lui, il portamento elegante e composto di sempre, il capo a sua volta celato dalla stoffa scura.
“Ebbene?”
“Nessun allarmismo, come previsto. Hanno preferito tenere la cosa per loro. Idioti. Meglio per noi, però. Possiamo continuare ad agire senza attirare nessun sospetto.”
“Lei?”
“Ci siamo preoccupati per nulla. Solo una sciocca ragazzina come tante. Scialba e anonima”
“Fai male a sottovalutarla, Dumbworm…”
“Non la sottovaluto, sono oggettivo! Sbaglio o sono l’unico qui che l’abbia vista? L’unico ad avere una possibilità di avvicinarsi a lei? L’unico…”
“…l’unico idiota che rischia di mandare all’aria tutto il piano” lo gelò l’altro. Dumbworm si zittì all’istante.
“Un passo falso, Dumbworm, e sai come possiamo essere convincenti per riuscire a ricondurti sulla retta via…”
L’uomo deglutì sonoramente e si passò una mano sulla fronte sudata.
“Non vedo la necessità di passare alle minacce…”
“Nessuna necessità. Per ora”. L’uomo si alzò e mosse qualche passo verso l’uscita del locale, silenzioso com’era arrivato, per poi mormorare nuovamente qualcosa nella sua direzione.
“Buon lavoro, Dumbworm. Lui ne sarà contento. Il piano può proseguire come stabilito. Ora vedi di sbrigarti, non abbiamo tempo da perdere. Tienimi aggiornato al solito modo”.
 
                                                                       ***
 
Le braccia forti di Nicholas le cingevano la vita, stringendola a lui e imprigionandola contro il muro alle sue spalle.
Kathleen sgranò gli occhi, senza riuscire a formulare un pensiero coerente. Quel gesto l’aveva colta completamente impreparata.
Ma che diamine stava facendo?
L’attimo di smarrimento si consumò in fretta.
Il secco rumore dello schiaffo che colpì il ragazzo in pieno viso non si fece attendere.
 “Tu… lurida… sottospecie… di vermicolo… geneticamente modificato… tieni le tue sudice mani da Piovra Gigante ritardata lontane da me!”
La grifondoro cercò di mantenere un tono contenuto e pacato, ma i suoi sforzi furono vanificati dal suo sottolineare ogni parola con un colpo piuttosto forte a qualunque parte del corpo di Nicholas riuscisse a raggiungere – per quanto poco male potesse causargli con la sua struttura corporea da ragazzina.
Lui scoppiò a ridere, per qualche secondo inerme sotto i pugni della ragazza. Gli bastò un unico fluido movimento per bloccarle le mani tra le sue e spingerla nuovamente contro il muro, tenendosi stavolta però a distanza di sicurezza: Kathleen continuava a dimenarsi e cercare di colpire l’altro con le gambe, ancora libere.
“Kat, calmati…” cominciò, con quella che doveva essere una voce suadente e persuasiva.
“Ti ho detto di non toccarmi, razza di nargillo decerebrato, quale parte della frase non ti è chiara?” ribattè lei.
Per una volta la mia consueta acidità mi torna utile pensò. Nicholas continuava ad ostentare sulle labbra quell’odioso sorriso sghembo, e lei non sopportava che un qualche pallone gonfiato cercasse di farla sentire inferiore o si prendesse gioco di lei.
“Ho detto di non toccarmi. Fai schifo, hai capito? Schifo! Fare il carino con me solo per… cosa? Divertirti? O perché non c’era nessun’altra del sesso opposto al tuo a portata di mano? Tu non sei un ragazzo, sei solo un… un…”
“Non l’ho fatto per quello” la interruppe lui in fretta. “Kat, tu mi piaci. Non ti ho mai presa in giro. Quello che ti ho detto… Come mi sono comportato al Paiolo Magico, è così che sono davvero. Quello che hai visto ieri mattina… non ero io”.
“Oh, e allora illuminami, grande corvonero sono-troppo-figo-per-parlarti Nicholas, hanno per caso preparato una Pozione Polisucco per prendere le tue sembianze e rovinarmi il primo giorno ad Hogwarts?” chiese lei con tutto il sarcasmo che riuscì a mettere insieme, nonostante le lacrime premessero per farsi strada nuovamente sul suo viso.
“Senti. Non possiamo dimenticare tutto e ricominciare? Non succederà mai più, lo promet-”
“Sai cosa? Io ME NE FREGO di quel che mi prometti tu! Cosa è successo, l’oca bionda di turno ti ha mollato? Poverino, quasi quasi mi fai pena! Quasi, eh. Ora scusami ma ho di meglio da fare che stare qui a parlare con te. La-scia-mi  an-da-re. Chiaro?”
“Io non ti lascio, Kathleen. L’ho fatto una volta, non ripeterò lo stesso errore”
Kathleen lo guardò negli occhi, smettendo finalmente di lottare contro la sua presa.
E’ solo una delle frasi fatte che usa con tutte per raggirarle.
Ma se fosse stato serio? Se lei se ne fosse andata, e lui l’avesse seguita, ma lei non avesse proprio voluto sentir ragioni, e avesse perso l’occasione della sua vita?
Ma se…
Okay, torna con i piedi per terra.
“No, Nicholas” disse scuotendo la testa. “Mi dispiace. No. All’inizio pensavo di aver trovato un amico. Poi hai cominciato a piacermi. Ora ti vedo per quello che sei veramente: un ragazzo convinto di essere al centro del mondo, che sfrutta tutte le persone che gli stanno attorno per i propri fini, come se fossero oggetti. Ma non è così, sai? C’è chi, a differenza tua, non si limita alla sfera emotiva di un cucchiaino da caffè. Perciò scusami tanto, ma o mi lasci andare ora, o mi metto ad urlare e giuro che ti faccio sospendere” concluse, ostentando una sicurezza che non aveva.
Lui si limitò ad osservarla, impassibile, senza però lasciare la stretta sui suoi polsi.
D’un tratto scattò in avanti, avvicinando il proprio viso a quello di Kathleen fino a quando non arrivarono a sfiorarsi.
“Dimmi che non ti è piaciuto” sussurrò. “Dimmi che non lo vorresti ancora…”
Kathleen chiuse gli occhi, radunò quel poco di cervello che non era fuggito via insieme al suo buon senso – non avrebbe mai finito di maledirsi per la decisione avventata di presentarsi lì – e sussurrò di rimando a Nicholas.
“Ti bacerei soltanto se fossi un dissennatore”.
“Ehi, stupida bambina, come ti permetti? Cosa hai detto, eh, cosa hai detto?”
Nicholas aveva alzato la voce, e aveva preso a stringerle i polsi fino a farle male.
“Lasciami! Lasciami, idiota, mi fai male, lasciami stare!”
“Ti ho chiesto scusa, ti ho detto che mi piaci, cosa vuoi ancora?”
“Mi pare che ti avesse detto di lasciarla andare.”
Una terza voce aveva sovrastato con il suo tono determinato gli insulti di Kathleen e il monologo del corvonero.
La ragazza trattenne il fiato, bloccandosi di colpo.
Riconosceva quella voce.
L’aveva sentita pochissime volte, eppure già la distingueva tra tutte le altre come se avesse avuto quel timbro inciso nel cervello da sempre.
Nicholas imprecò, mollandola di colpo. Lei si accasciò lungo la parete della serra, massaggiandosi i polsi doloranti, il braccio ancora avvolto in bende che doleva da impazzire.
Scorpius Malfoy spuntò dall’angolo buio più lontano da loro, la bacchetta dalla punta illuminata tesa davanti a se, la divisa ancora perfetta, il mantello che frusciava alle sue spalle senza una piega, come se fosse appena uscito da una lezione al castello.
Nicholas lo squadrò da cima a piedi, aprendo la bocca per ribattere. Poi il suo sguardo si soffermò sui muscoli ben delineati dell’altro, sulla sua mano serrata attorno alla bacchetta. Serrò le labbra. Le riaprì.
“Chi sei tu per dirmi cosa devo fare?” chiese infine con aria strafottente.
Kathleen si limitava a guardare la scena dal basso, cercando di non riflettere sul fatto che fossero al secondo giorno, e lei fosse già immischiata in tante di quelle storie da far concorrenza al vecchio Golden Trio.
Scorpius. Possibile che sembrasse essere il centro di tutto?
La aiutava e poi la ignorava, le stava vicino per poi sfotterla con gli altri, la salvava di nuovo e poi la guardava dall’alto in basso.
E ora spuntava di nuovo, così, casualmente, dal nulla.
“Io ti consiglio di portare la tua faccia da culo lontana da qui prima che a me passino per la testa certe maledizioni che avrei tanta voglia di provare” affermò Malfoy, sempre senza sorridere, senza traccia di scherno, ma con un’aria così calma e tranquilla da risultare invidiabile persino dal vecchio Albus Silente.
Nicholas si allontanò lentamente, camminando all’indietro, senza perdere di vista la bacchetta dell’altro.
“Non finisce qui, Kat”.
Dopo di che girò sui tacchi e sparì nel buio.
Kathleen respirò profondamente, chiudendo gli occhi. Poi si alzò, cercando di spazzolare con le mani capelli e divisa, come per darsi un certo contegno.
“Grazie” disse, sempre mantenendo basso lo sguardo.
Nessuna risposta.
Alzò finalmente gli occhi, un sorriso riconoscente ancora impresso sulle labbra.
Di Malfoy non c’era traccia.
 
                                                                       ***
 
“Rose, tu sai dov’è Kathleen? Non può essere ancora in punizione…”
Un Albus parecchio preoccupato spuntò da dietro le pagine ingiallite del libro nel quale la ragazza si era rifugiata. Il suo sguardo cadde sulle candele ormai quasi del tutto consumate, il fuoco del camino ridotto a poche braci incandescenti.
“Non ci avevo proprio fatto caso, ma hai ragione tu, è tardissimo!” esclamò chiudendo finalmente il libro e scattando in piedi.
“Andiamo a cercarla?”
Rose strinse le labbra. Era preoccupata, davvero preoccupata, ma non si poteva permettere di violare il coprifuoco. In quanto sicura Caposcuola dell’anno successivo, era suo dovere comportarsi da studentessa modello. In qualunque situazione.
“Aspettiamo ancora una mezz’oretta. Magari si è intrattenuta a parlare con qualcuno, o magari ci ha impiegato più tempo del previsto a-”
“O magari” la interruppe il cugino, “si è persa in giro per il castello e non riesce a tornare in Sala Comune. Io dico di andare subito a cercarla. Al massimo vado con… Aspetta un attimo. James dov’è?”
Rose scosse la testa. Non lo vedeva da quel pomeriggio. “Probabilmente è andato a scavarsi la fossa dopo l’ultima figuraccia con Ayumi” osservò, ironica.
Albus scoppiò a ridere. “L’hai visto com’è perso eh? Non l’avevo mai visto così… Non è da lui andare dietro in questo modo patetico ad una ragazza…”
“No, quella è una tua specialità, giusto?” lo zittì l’altra. Il giovane Potter arrossì. “Al, è da un secolo che tu e Micol vi piacete, e siete gli unici a non averlo ancora capito. Deficienti, sempre detto. Ma ti vuoi svegliare?”
Lui borbottò qualcosa di indistinto.
“Sbaglio o ho sentito pronunciare il nome di colei-che-non-può-essere-nominata-davanti-ad-Albus?” chiese Lily allegramente, entrando in quel momento dal buco del ritratto insieme ad Hugo.
“Lily! Hugo! Ma vi sembra l’ora di rientrare? Dovrei mettervi in punizione, tutt’e due!” fece Rose riprendendo il suo classico cipiglio severo.
“Ma non metteresti mai in punizione il tuo fratellino più bello, vero?” chiese Hugo avvicinandosi alla Weasley maggiore.
“E poi noi avevamo un buon motivo…”
“Per stare fuori fino a tardi…”
“Anche se ovviamente…
“Non ve lo diremo!”
Lily e Hugo scoppiarono a ridere. Albus si aprì suo malgrado in un sorriso. Quella piccola peste dai capelli rossi di sua sorella era sempre stata molto legata al cugino, di sicuro molto più che a lui. Da come si comportavano, dal loro modo di stare sempre assieme e di completarsi le frasi a vicenda, si sarebbero detti gemelli.
Come lo zio George e lo zio che è morto durante la battaglia di Hogwarts
“Avete visto James?” chiese in quel momento Rose, distraendolo dai suoi pensieri.
“Jami? No” rispose Lily, confusa. “Che ha combinato questa volta?
“Non lo sappiamo, solo che non lo si vede in giro da un po’ ”rispose Albus. “E Kathleen non è ancora tornata dall’infermeria…”
Proprio in quel momento, il ritratto della Signora Grassa di aprì per lasciare passare una Kathleen parecchio scossa, spettinata ed infangata.
“Kat! Kat, cos’è successo?” chiese Rose agitata, correndo ad abbracciarla.
Lei mise le mani in avanti, come a voler bloccare qualunque gesto da parte degli amici.
“Non volete saperlo. Davvero, non penso che vorreste saperlo” affermò serissima. Poi scoppiò in quello che era a metà tra un singhiozzo e una risata.
“Ti prego, Rose, andiamocene a dormire. Spero che il resto della settimana passi in fretta”.
 
                                                                       ***
 
La terra correva veloce sotto i suoi piedi, mentre le gambe macinavano metri su metri. I sottili raggi di luce lunare che riuscivano a filtrare tra il fitto fogliame gli illuminavano le ciocche biondo platino di riflessi cangianti, mentre la luce della bacchetta accesa davanti a lui s’infrangeva sui tronchi degli alberi più vicini, non riuscendo a rischiarare che pochi metri.
Fortuna che la ragazzina non lo avesse visto celarsi ai suoi occhi con un Incantesimo di Disillusione e cominciare a correre in direzione della Foresta Proibita.
Perché si era dovuto mettere in mezzo in quella faccenda? Era stato un gesto sciocco e avventato. I grifondoro lo avrebbero definito cavalleresco, aggettivo che per un serpeverde purosangue del suo rango equivaleva ad un insulto. Cosa avrebbe detto suo padre se lo fosse venuto a sapere? Se fosse venuto alla luce che un Malfoy –un Malfoy, per Morgana!– si era abbassato al livello di un paio di inutili sanguesporco per correre in aiuto di una ragazzina? Una Natababbana, per di più.
Non che gli importasse veramente di ciò che la sua famiglia pensasse. Ne tanto meno teneva seriamente in considerazione la storia del sangue.
Erano convinzioni ormai del tutto superate, giusto? Pregiudizi conclusi con la caduta dell’Oscuro Signore, vero?
No.
Niente di più sbagliato.
E questo Scorpius l’aveva provato sulla sua stessa pelle anni prima.
Inutili pensieri oziosi, si disse con uno scatto nervoso. Sta’ zitto e abbassa la testa, come sempre.
Finalmente scorse il suo punto d’arrivo e permise alle gambe di rallentare, tremando per lo sforzo fisico appena sostenuto.
Si trovava in una semplice radura, apparentemente uguale a molte altre, appena discostata dal sentiero poco tracciato che si inoltrava nel buio fitto della foresta.
Il ragazzo, ancora ansimante, si diresse verso uno degli alberi dalla parte opposta dello spazio erboso, ed infilò le mano destra in una cavità del tronco, per poi estrarla pochi secondi dopo.
Tra le dita stringeva una catenina di metallo sporco, alla cui estremità pendeva un ciondolo – la scarsa luce non permetteva di distinguerne bene il colore – la cui forma curiosa ricordava quella di un serpente attorcigliato.
Attese.
Attese ancora.
I primi goccioloni di pioggia cominciavano a cadere, quando improvvisamente il ciondolo s’illuminò di una forte luce azzurra, e con un leggero strappo all’ombelico il ragazzo si sentì catapultato in un caos di luci e colori, fino a quando una nuova superficie solida non si formò sotto i suoi piedi, facendolo cadere a terra.
Si ritrovò in quella che a prima vista gli parve una radura del tutto simile alla prima. Avvertiva l’erba sotto di sé, e gli stessi brividi lungo la schiena causati dalle fredde gocce di pioggia che scivolavano sotto il mantello della divisa.
Poi si mise a sedere, e sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
Non era in una foresta. Era in un cimitero.
Le sinistre file di lapidi si estendevano fino a coprire uno spazio enorme, stagliate nettamente contro il cielo le prime file, perse nell’oscurità quelle più lontane.
Ciò che davvero lo spaventava, però, erano le figure che lo circondavano. Tutte avvolte in lunghi mantelli neri, tutte con la solita maschera spaventosa calata sul volto.
“Scorpius… Malfoy.”
Quella voce… quella voce così anziana e fragile, eppure così piena di cattiveria.
Una delle figure ammantate si avvicinò fino a sovrastarlo.
“Sei venuto… Molti di noi erano convinti che ti saresti tirato indietro, alla fine. Proprio come tuo padre” continuò.
“Io non sono mio padre.”
Risate. Perfide e amare come non mai.
“No, giusto… Tu sei un uomo forte e coraggioso, non è così?”
Scorpius digrignò i denti. Odiava farsi prendere in giro.
“Ditemi cosa volete”.
“Quanta fretta, piccolo Malfoy, quanta fretta… Sei così ansioso di conoscere il tuo nuovo compito?”
“Sono ansioso di tornare al castello prima che mi scoprano per colpa vostra”.
“E questa insolenza da dove arriva? Non va bene, Scorpius, non va bene per niente… E’ forse il caso di ricordarti un attimo qual è il tuo posto tra noi? Crucio!”
Il ragazzo urlò.
Aveva pensato, in passato, di essersi ormai abituato a quella maledizione. Col tempo, poi, aveva compreso che le Maledizioni Senza Perdono erano qualcosa a cui non potevi abituarti. Ogni volta faceva male come la prima. Un male inimmaginabile.
“Devo continuare, Scorpius, o ti è bastato un piccolo assaggio?”
Il serpeverde ricadde bocconi sull’erba bagnata, tremante.
Si deterse il sudore dalla fronte, cercando di controllare il respiro. Non avrebbe dato loro la soddisfazione di vederlo completamente sottomesso.
“E rispondi quando ti parlo!”. Il calcio lo raggiunse inaspettato. Urlò di nuovo, stringendosi il volto. Sotto le dita, il suo stesso sangue si mischiava alla pioggia che continuava a cadere.
Perlomeno quando avranno finito di divertirsi sarò troppo malconcio per soddisfare i loro piani.
Proprio in quel momento, invece, la figura decise di arrivare al dunque.
“Ora ascolta, Scorpius. La ragazza, quella nuova, presumiamo tu l’abbia già incontrata…”
Il giovane Malfoy trattenne il respiro. Come avevano fatto a scoprire…?
“Il tuo compito è semplice. Devi tenerla sottocontrollo fino a quando non ti comunicheremo il momento opportuno. Dopo di che dovrai eliminarla, ovviamente facendo in modo che nessuna colpa possa anche lontanamente ricadere su di te, e di conseguenza su di noi”.
Non l’avevano scoperto. Questo fu il suo primo pensiero.
Poi il suo cervello registrò il resto della frase.
“Perché?”
Fu tutto quello che riuscì a chiedere, cercando di rimanere lucido e di accantonare i propri pensieri confusi. Avrebbe avuto fin troppo tempo per pensare, in seguito.
“Perché è pericolosa. E’ capace di cose che non devono accadere. Per ora, però, ci serve viva. E’ estremamente preziosa alla nostra causa” replicò asciutta la figura ammantata. “Non abbiamo altro da aggiungere. Comunicheremo al solito modo. Vedi di non commettere passi falsi, conosci l’alternativa che ti attende” concluse.
Scorpius chiuse gli occhi. Il rumore di decine di mantelli fruscianti riempì l’aria. Dopo di che, il silenzio.
Quando riaprì gli occhi era solo. Completamente zuppo d’acqua e sangue.
Il ciondolo tornò a brillare tra le sue dita. Non aspettò neanche di essere tornato al sicuro nella foresta proibita; si coprì il viso con le braccia e permise all’incoscienza di portarlo con se.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Ma buonsalve lettori! Non potete dire che questa volta io ci abbia messo troppo, suvvia. Questo grazie alla mia fantastica “manager” Giulia, che mi ha ricordato che era proprio l’ora di aggiornare :’) Un grazie speciale a lei e ad El, sempre pronto ad aiutarmi con i miei dubbi esistenziali (si dice “scomparirono” o “scomparvero?, o cose di questo tipo).
Detto questo, spero che questo capitolo lunghissimo vi sia piaciuto! In realtà non so se è lunghissimo, ma per una volta mi sembra di aver infarcito per bene di nuovi misteri la fanfic. Mi è piaciuto tantissimo provare a scrivere dai punti di vista di personaggi diversi, penso che farò la stessa cosa nei prossimi capitoli, voi che ne pensate?
NOTA IMPORTANTE. Probabilmente vi sembrerà che la fanfiction stia procedendo a rilento: oltre la dozzina di capitoli e siamo solo al secondo giorno! Quindi ci tengo ad avvisare che dal prossimo i lassi di tempo occupati da un singolo capitolo saranno maggiori.
Vi ricordo sempre del gruppo facebook della fanfiction (trovate il link nei capitoli precedenti), e comunico che a brevissimo aggiornerò anche l’altra mia long potteriana.
 
Ultima cosa: recensite, recensite, recensite! O presto al posto del capitolo troverete l’avviso che la fanfiction chiude per demotivazione della pseudo-scrittrice.
Un abbraccione a tutti,
Kylu
Ps: se il capitolo o ciò che ho scritto dopo vi risultasse assurdo, considerate che l'ho fatto con la febbre ed un raffreddore epico. Chiedo venia!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** AVVISO ***


Salve!
Ho deciso di ricominciare a pubblicare la storia dal primo capitolo, per rivederla e correggerla fino al punto in cui anni fa smisi di scrivere, e poi continuare fino a concluderla. Se ci fosse qualcuno che avesse ancora voglia di seguire le avventure di Kathleen, trovate la nuova versione sul mio profilo: quando arriverò all'attuale ultimo capitolo pubblicato qui, cancellerò questa versione lasciando solo quella nuova.
Grazie per l'attenzione, un abbraccio,
vostra
Kylu

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2021825