From you

di Final_Destiny98
(/viewuser.php?uid=837544)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brook ***
Capitolo 2: *** Franky ***
Capitolo 3: *** Robin ***



Capitolo 1
*** Brook ***




Il vento soffiava dolcemente in quella tranquilla giornata soleggiata. La bandiera su cui era disegnato un teschio con indosso un cappello di paglia svolazzava lentamente. La osservava mentre era seduto sull’erba della Sunny, intento a riposarsi nonostante non avesse fatto granchè durante il pomeriggio. Oh, ma lui non aveva gli occhi, era uno scheletro.
Era una giornata stranamente tranquilla anche sulla nave stessa, non sapeva il motivo: solitamente il Capitano scorrazzava in lungo e in largo sul ponte della nave, talvolta chiedendo a Sanji di cucinare qualcosa, altre volte giocando con Usopp e Chopper, a volte chiedendo a lui stesso di suonare qualcosa per migliorare l’atmosfera. E lui non si tirava mai indietro di fronte ad una richiesta come quella: così iniziava a suonare improvvisando, oppure brani che conosceva, allegri o tristi che fossero, dal ritmo veloce o lento, al Capitano non importava. Ciò che contava era che suonasse, e Brook amava la libertà che in quel campo gli era concessa.
Spostò lo sguardo dalla bandiera alla stanza poco distante da questa, la palestra, in cui Zoro sicuramente si stava allenando. Aveva provato diverse volte ad unirsi a lui, credendo che se avesse seguito il suo esempio sarebbe potuto diventare più forte e essere utile alla ciurma il più possibile. Dopo i primi disastrosi fallimenti, era semplicemente giunto alla conclusione che lui e il “Marimo”, come lo chiamava Sanji, non avevano lo stesso stile di combattimento, per cui aveva abbandonato l’idea. Non gli serviva sollevare enormi pesi per contribuire all’obiettivo che implicitamente si erano imposti. Sentiva un buon profumo provenire dalla cucina, segno che il loro amato cuoco stava di nuovo preparando qualcosa, molto probabilmente solo per le ragazze, ma che alla fine sarebbe diventato per tutti loro vista l’irruenza di Luffy.
Era l’ultimo membro ad essere entrato nella ciurma, anche se non molto dopo rispetto a Franky. Conosceva però l’ordine degli altri, per cui sapeva bene che si era perso molte delle avventure che avevano vissuto, forse le più importanti visto che erano le iniziali. C’era stato un periodo, all’inizio del viaggio con la sua seconda ciurma, la sua seconda casa, in cui aveva pensato che sarebbe stato di troppo a loro, dopo aver visto il modo in cui combattevano tutti insieme. Aveva pensato, dopo anni e anni passati in solitudine, che mai sarebbe riuscito ad integrarsi nuovamente.
Aveva avuto paura.
Aveva provato ad allenarsi con Zoro, ma non ci era riuscito; aveva provato ad aiutare Usopp a creare le sue armi, Franky con le sue invenzioni, Chopper con le sue medicine e Sanji in cucina, ma non aveva portato a nulla. Non era in grado di leggere in silenzio come amava Robin, né di aiutare Nami con la navigazione –o almeno non più degli altri, ma solitamente la rossa se la cavava da sola. Luffy semplicemente era Luffy, sempre impegnato.
Brook, semplicemente, aveva avuto paura.
La situazione era cambiata senza che se ne accorgesse o facesse nulla di diverso da solito. Si era comportato come più credeva giusto, come sentiva di doversi comportare, e tutto aveva iniziato a prendere una piega diversa. La prima persona che finalmente gli era sembrato che gli mostrasse gratitudine era stato il cuoco, Sanji. I due erano soliti svegliarsi presto al mattino, l’uno per cucinare in tranquillità –era infatti l’unico momento della giornata in cui potesse concedersi quel piacere- e l’altro perché, semplicemente, non era il tipo di persona abituata a dormire troppo. Si trovavano in cucina. Questa era graziosamente arredata: il grande tavolo centrale con dieci posti attorno era separato dalla cucina grazie ad una penisola collegata a questa; il luogo preferito da Sanji era pulito in maniera quasi maniacale, ordinato allo stesso modo e soprattutto praticamente di sua proprietà. Per tutto il tempo in cui aveva viaggiato sulla Sunny non aveva mai visto qualcuno avvicinarsi alla cucina per usare i fornelli –tutti lo facevano solamente per prendere qualcosa dagli scaffali o dal frigorifero. Il suo compagno gli aveva gentilmente offerto una tazza di tè, lasciandogli tutto l’occorrente per servirsi ancora, ma pressoché in silenzio.
L’aria non era tesa, ma di certo non poteva dire che fosse a suo agio. Non pensava che Sanji avesse qualcosa contro di lui, non dopo il comportamento che aveva tenuto durante la festa dopo la sconfitta di Moria –era stato una delle persone che l’aveva lanciato per aria accogliendolo a braccia aperte, era stato al suo fianco mentre suonava-, no, era fermamente convinto che il silenzio fosse causato dal fatto che fosse nuovo. Avevano combattuto fianco a fianco contro il ladro di ombre, certo, ma non bastava perché si conoscessero. C’erano tante cose che non sapevano l’uno dell’altro, tante storie ancora da raccontare, tanti interessi in comune ancora da scoprire. A quei tempi ancora non conosceva la storia del vecchio Jeff, né dunque del legame che lo legava al cuoco, ancora non sapeva il perché di molti dei suoi comportamenti –come la sua riluttanza nel vedere avanzi.
Aveva iniziato a suonare. Un brano tranquillo che di solito faceva da sottofondo alle pigre mattine che viveva la sua vecchia ciurma e aveva sperato che anche in quella situazione  potesse essere d’aiuto. La melodia accompagnava i movimenti precisi di Sanji e il sorgere dell’alba, si univa al rumore del mare e persino il rumore del cibo in padella non stonava in quel momento.
«Ti ringrazio» gli aveva detto Sanji non appena aveva sentito che gli altri a bordo della nave si stavano svegliando. Aveva sorriso, e Brook aveva ricambiato non dicendo nulla.
In diverse occasioni simili a questa aveva conquistato il cuore dei suoi compagni. E poi erano iniziate le notti passate a chiacchierare, col passare del tempo aveva appreso il passato di ogni membro della ciurma, era diventato un Mugiwara a tutti gli effetti e ora non aveva alcun tipo di problema o imbarazzo. Erano la sua famiglia, la sua casa, tutto ciò che aveva oltre alla promessa che lo legava a Lavoon e al suo afro. Brook era felice, di una felicità che poche volte si trasformava in altro, ma che persisteva nonostante i pericoli e le incertezze del viaggio.
Uno dei ricordi più belli che aveva del viaggio, però, era proprio dei primi giorni passati sulla nave. Il Capitano non era solito alzarsi presto, insieme a Usopp era l’ultimo a fare colazione. Per cui era stato strano per lo scheletro uscire dalla cabina e trovarlo sulla polena della nave intento a guardare qualcosa tra le sue mani. Ci aveva impiegato del tempo per decidere se avvicinarsi o meno: era forse meglio lasciarlo solo? Sanji doveva sicuramente essere sveglio, perché non era al suo fianco?
Eppure lo fece comunque: si avvicino a Luffy, perché lui stesso era rimasto solo per cinquant’anni e non era possibile che lasciasse in quella condizione la persona che gli aveva dato la possibilità di vivere ancora e che aveva reso tangibile il mantenimento della sua promessa.
«Luffy-san» aveva detto.«Posso farti compagnia?»
Aveva scoperto che il Capitano stava osservando la Vivrecard del fratello con aria preoccupata. Non aveva mai visto Ace, nonostante fosse molto famoso a quanto gli altri dicevano, perché le ultime notizie che aveva letto risalivano a anni prima, quando aveva tentato di recuperare da solo la propria ombra. Prima che salpassero, Luffy aveva detto di non essere preoccupato, perché suo fratello era forte e se la sarebbe cavata. Eppure a vederlo in quel momento, Brook pensò solamente a Luffy come ad un grande attore.
Il brano che iniziò a suonare era totalmente improvvisato. Oramai portava con sé il suo violino quando andava a fare colazione, perché Sanji gradiva la sua musica e lo aiutava a rilassarsi in ogni occasione. Da un tono grave e pesante, la melodia si faceva via via più magica, leggera; vide il ragazzo chiudere gli occhi, respirare profondamente. Ormai il brano aveva assunto un tono allegro, allo stesso tempo Luffy aveva sorriso e si era alzato in piedi.
Brook lo guardò. Nei suoi occhi vedeva la stessa luce che aveva avuto durante la festa sull’isola infestata, quando avevano cantato “Il Sakè di Binks” e avevano ballato tutti insieme. Si commosse, quasi, -anche se non aveva idea di come fosse possibile, visto che lui gli occhi non li aveva- perché con quel semplice sguardo lo stava ringraziando di avergli restituito la speranza.
Fu un attimo. Andò a reclamare la propria colazione, Brook rimase sulla polena. Il sole stava sorgendo.
Finalmente si era sentito a casa.



***Angolino autrice
Dopo secoli sono tornata, ci vuole taaanto tempo prima di riprendere il ritmo dopo la fine della scuola. Ora vorrei scrivere notte e giorno, ho mille progetti in progamma e nessuno ancora concluso, ma ce la farò e pian piano li porterò tutti qui. 
Breve OS introspettiva, perchè sento sempre il bisogno di scavare nell'animo dei personaggi e cercare di immedesimarmi in tutti. Forse qualcuno dovrebbe fermarmi.
Grazie a chiunque abbia letto fino a questo punto,
Final

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Franky ***


 

Franky pensava di lasciare la nave più spesso di quanto si possa pensare. Mai prendeva la cosa sul serio, sia chiaro, ma tra sé e sé pensava che sarebbe servita una lezione ai suoi compagni che trattavano la Sunny come se fosse indistruttibile. Aveva usato il miglior legno, certo, le migliori tecniche insegnategli da Tom, il suo mentore e padre, ma nonostante questo la nave continuava a non essere un parco giochi, grazie tante. Lui, ma anche Usopp, cercava di aggiustare ogni ammaccatura possibile -sapeva bene che i ragazzi non avrebbero mai danneggiato l’imbarcazione gravemente-  ma per lui una minima ferita era invece un grande colpo. Non importava se fosse un vetro rotto o l’albero maestro spezzato, per lui avevano quasi la stessa gravità. Per cui sì, credeva fermamente che se avesse finto di lasciarli senza carpentiere avrebbe preso la scelta migliore.

Tuttavia proprio non riusciva a separarsi da loro.

Quando era un ragazzino incapace e con solo navi da guerra per la testa, credeva che mai nessuno sarebbe riuscito a capire la sua stravaganza. Iceburg era una persona seria, totalmente il suo opposto. Suo rivale, ma anche fratello, non era mai riuscito a comprendere ogni sfumatura di lui come invece accadeva in quella ciurma. Da ragazzino aveva desiderato creare per entusiasmare; le navi da guerra e altre mille invenzioni, costruite in parte per le attenzioni, in parte per strappare un sorriso ad Iceburg. A volte riusciva nel suo intento, altre veniva solo rimproverato. Sulla Sunny non succedeva mai. Ogni sua creazione riusciva a divertire i suoi compagni, e lui ritrovava in quella allegria la creatività per creare ancora. Da quando aveva preso posto tra loro, unendosi al viaggio e diventando effettivamente membro della ciurma –durante gli eventi di Enies Lobby aveva agito inizialmente per Tom, poi per Robin. Il fatto di star affiancando dei pirati, di avere il loro stesso obiettivo, l’aveva notato solo in secondo momento- non c’era ma stata una volta in cui si fosse sentito rimproverato o deriso per le sue creazioni, non che suo fratello lo facesse di continuo, sia chiaro. Il che era fantastico, soprattutto se considerava il fatto che quei ragazzi avevano anche la sua stessa indole in parte distruttiva e in parte altruista; si sentiva compreso nella sua particolarità, non solo fisica ma anche caratteriale. Porsi quel tipo di problemi alla sua età poteva non sembrare molto maturo, ma non era cresciuto come tutti i bambini, e questo valeva per ciascuno di loro. Ragazzi di soli venti anni avevano conosciuto più la crudeltà del mondo che molti uomini e donne di sessanta, ed erano maturati molto prima del tempo. Era questa un’altra particolarità di quella nave: l’età non contava mai, non era un intralcio come poteva esserlo in altri contesti. Il tempo sembrava fermarsi: finchè avesse avuto dei valori, sarebbe sempre stato il benvenuto. Se oltre a quelli c’erano anche talenti stravaganti e forza per combattere, tanto meglio.

Soprattutto Luffy e Chopper apprezzavano ciò che costruiva; era successo diverse volte che il suo capitano lo osservasse mentre lavorava –e che riuscisse a mandare in frantumi i suoi progetti in pochi secondi- e si era sempre sentito bene mentre ciò accadeva. Il lavoro di un carpentiere di solito non viene osservato: rimane nell’ombra, eppure rimane uno dei principali compiti su una nave. Probabilmente non capiva nulla di quello che stesse facendo, non conosceva nemmeno la struttura su cui camminava quotidianamente, ma a Franky faceva piacere comunque. Sentiva che qualunque cosa avesse deciso di ideare, sarebbe stata una grande idea per Luffy: gli infondeva quella sicurezza che avrebbe sempre voluto ricevere da Iceburg e che invece non aveva mai completamente avuto.

Quando erano stati attaccati da Z, la Sunny aveva subito danni molto gravi. Aveva creduto che non sarebbe mai riuscito a farla tornare allo splendore iniziale, non con il materiale di riserva che aveva a bordo. Aveva notato come il capitano lo guardasse: gli occhi preoccupati di chi comprende che il pericolo è vicino si rivolgevano a lui, sicuro punto di riferimento per conoscere le condizioni della nave, della loro seconda casa. Aveva compreso, e subito i suoi ordini erano cambiati: non più Nami guidava le azioni di tutti loro, come era solita fare, ma lui: lui dettava i movimenti, lui assumeva un ruolo che solitamente non sembrava avere.

Si era tranquillizzato solo nel momento in cui avevano attraccato e aveva ricominciato a pensare lucidamente: poteva riparare la Sunny, permettere a tutti loro di navigare. Aveva solo bisogno di tempo e tutto si sarebbe risolto; per un attimo aveva dubitato delle sue capacità. Per un attimo aveva temuto di essere nuovamente reputato solo uno sconsiderato dalla troppa creatività e della dubbia idea di sicurezza. Se non fosse stato in grado di ripararla, quanto ancora gli altri lo avrebbero voluto con loro?  Quanto ancora Luffy avrebbe giudicato speciali le sue creazioni?

Non perse tempo. E il capitano lo guardò in modo così intenso che, se non fosse stato per metà impegnato a cercare gli attrezzi per lavorare, probabilmente non sarebbe riuscito a sostenere. Uno sguardo di fiducia, di sicurezza, di aiuto: il capitano gli stava chiedendo se sarebbe riuscito a donargli di nuovo un terreno su cui camminare, un ponte su cui correre la mattina, una polena, se sarebbe riuscito a dargli di nuovo una casa.

 «Affido a te la Sunny, Franky.»

Quello gli aveva detto prima di correre alla ricerca dell’uomo che aveva causato tutto. Aveva sentito sulle proprie spalle la pressione, l’onere di dover restituire il mezzo della libertà al suo capitano.

Aveva lavorato duramente. Non era solo il danno che la Sunny aveva ricevuto a fargli sentire la necessità di applicare tutto se stesso in quel lavoro, ma anche tutto ciò che aveva sentito guardando Luffy. Lavorò forse come mai aveva fatto, voleva che tutto tornasse alla normalità. Perché senza nave non ci sarebbe stato nessun viaggio, e la fine di quello che gli sembrava un sogno non voleva che arrivasse così presto come sembrava stesse per fare.

Quando finalmente finì la sua opera si sorprese di non sentire la stanchezza calargli sulle spalle come un macigno. Era notte fonda, aveva appena piantato l’ultimo chiodo; guardò la nave da vicino, e poi ancora mentre si allontanava, e continuò a guardarla anche il mattino seguente, mentre le si avvicinava. Notò che il capitano era già a bordo, seduto sul leone a prua della nave; con il suo solito sorriso si godeva il sole che stava sorgendo e solo in un secondo momento spostò lo sguardo su lui.

«Grazie.»

Una parola.

Si sorprese di quante emozioni potesse scatenare. Pochi secondi per pronunciarla e così tanti per abituarsi al suo suono e rendersi conto che era stata rivolta a lui.

Non mostrò il suo sorriso mentre si imbarcava. Disse qualcosa di divertente e forse un po’ da duro, come era solito fare. Era fiero di sé, però: era davvero riuscito a dare sicurezza al capitano.


***Spazio autrice
Credo sia leggermente OOC, ma ho sempre immaginato il personaggio di Franky molto diverso rispetto a come ci viene presentato, nonstante non sia uno dei miri preferiti.
Secondo capitolo, secondo mugiwara. Non vedo l'ora di scriverli tutti aaaaa
Grazie a tutti coloro che hanno letto.
Final

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Robin ***


Avere trent’anni ed essere la terza più grande dell’intera ciurma era una sensazione strana, soprattutto dopo tutto ciò che aveva vissuto con loro. A dire la verità, le era parso strano solo dopo gli eventi di Enies Lobby, quando l’invincibile-non-tanto-invincibile CP9 aveva perso contro la sua ciurma. Non aveva più problemi nell’usare il possessivo per definirla, visto che ormai si sentiva completamente parte di essa e la considerava la sua famiglia, composta dagli unici che l’avevano accettata offrendole la vita, non un’occasione per morire. Si era odiata infinitamente, non aveva mai amato nessuno al di fuori di sua madre e degli archeologi della sua terra. Eppure per loro aveva rischiato, aveva ceduto: aveva dato loro la libertà in cambio della sua stessa vita. Durante il viaggio verso l’isola, più volte si era detta che tutto quello stava accadendo perché, semplicemente, era stanca di vivere: un’esistenza passata a scappare da milioni di nemici non era quello che aveva sognato. Aveva continuato a vivere per realizzare il suo sogno, in parte per non rendere vano il lavoro degli studiosi di Oara; aveva stretto alleanze sin da quando era bambina, mostrando al mondo qualcuno che non era perché era convinta che in quel modo sarebbe riuscita a ottenere il favore di qualcuno. Effettivamente aveva funzionato: persone prima di basso calibro, poi sempre più alto, si erano fidati di lei per poi venire miseramente traditi quando non le erano più utili –in questo aveva aiutato anche il suo bell’aspetto, non poteva negarlo per quanto la cosa la facesse rabbrividire. Era intelligente, più di quanto desse a vedere. ma quello non sarebbe mai bastato a garantirle la sopravvivenza: lo sapeva fin troppo bene che chi sapeva veniva considerato una minaccia, mentre le belle ragazze dalle poche idee erano omaggiate.
 Un mondo crudele, fin troppo opportunista, ma abbastanza facile da raggirare, ed era sempre stato ciò di cui Robin aveva avuto bisogno. Certo, fin quando non aveva incontrato lui.
Monkey. D. Luffy non pretendeva di sapere se le persone fossero intelligenti o meno, e soprattutto di sapere se lo fossero più di lui. Al ragazzo importavano i valori, i sentimenti e le passioni: Robin sarebbe potuta essere un cavallo, un albero oppure un minuscolo essere e ai suoi occhi non sarebbe cambiato nulla: le avrebbe comunque salvato la vita non solo ad Alabasta, quando avrebbe solo voluto rimanere sepolta sotto le macerie, ma anche ad Enies Lobby, dove forse –forse, certo- in realtà sperava che tornasse a prenderla.
Sul treno, diretta alla fantastica isola praticamente sospesa nel vuoto, Robin si era ripetuta che tutto quello era stato un metodo per porre fine alla sua vita, che quella volta non ci sarebbe stata una via di fuga; eppure dentro di sé sapeva di star sperando, o forse era addirittura certa che quella non fosse una fine, ma un inizio. E quando la
sua ciurma, i suoi compagni avevano dichiarato guerra all’intero Governo Mondiale pur di riportarla con loro lungo i mari, Robin aveva sentito dentro di sé la voglia di vivere ancora e ancora, per molti anni al loro fianco.
Mai si era pentita di quei pensieri. Mai aveva pensato che sarebbe stato meglio se tutto fosse finito in quel luogo.
Apprezzava la vita sulla nave come mai aveva fatto prima d’allora. Amava la tranquillità che si alternava alla vivacità del gruppo, poter leggere in qualsiasi luogo, anche sola, e non sentirsi mai in quel modo. Partecipava a tutte le attività, giochi e qualsiasi altra cosa venisse in mente ai suoi compagni, e allo stesso tempo poteva rimanere isolata sul ponte a leggere. Amava la compagnia di Nami, la risata di Luffy, le discussioni di Zoro e Sanji e ogni altro aspetto di quella ciurma tanto estranea ai suoi modi e che poi si era rivelata la sua casa. Si era integrata tanto che tutti avevano fatto proprie delle piccole abitudini verso di lei, persino Luffy. Cercava sempre di non fare troppo rumore mentre si trovava nelle sue vicinanze mentre leggeva, le lasciava la sua tazza preferita quando Sanji chiedeva di dargli un aiuto in cucina; Robin non si sarebbe mai liberata della sensazione di libertà che prendeva il suo cuore ogni volta che lo osservava: era stato lui a decidere di volerla raggiungere, lui a liberarla dal fardello che portava sulle spalle da tutta la vita, lui a farla, metaforicamente, rinascere. Mai avrebbe dimenticato tutto quello, per sempre gli sarebbe stata grata, anzi, sarebbe stata loro grata.
Era consapevole che l’aiuto che poteva dare in battaglia era limitato: poteva ideare una strategia –anche se il capitano diventava un vero esperto nei momenti più critici- oppure poteva sostenere uno scontro contro un avversario non troppo forte, ma sul campo pratico sicuramente Sanji, Zoro e gli altri ragazzi risultavano più utili. Era stato quello uno degli interrogativi di Robin non appena aveva realizzato di essere entrata ufficialmente a far parte di una ciurma, e che questa aveva rischiato la vita per lei: come avrebbe ripagato tutto quello che avevano fatto? Come sarebbe riuscita a dimostrare che anche lei poteva essere un elemento unico della squadra? La risposta non era arrivata in breve tempo. L’aveva cercata ogni attimo per giorni, forse settimane, ma era effettivamente riuscita a trovare qualcosa che solo lei potesse fare, una dimostrazione del fatto che anche lei fosse indispensabile su quella nave.
Era successo un giorno qualunque, ancora stava aspettando di poter risolvere tutti i suoi quesiti. Non c’era un caldo particolarmente soffocante, il vento soffiava leggero e Sanji le aveva appena portato gentilmente un drink da sorseggiare mentre era immersa nella lettura di un libro: trattava di miti, leggende e avventure di uomini coraggiosi, pirati, ma non solo. Era difficile per lei trovare un racconto di quel genere che non conoscesse, ma era sempre interessante sapere quante versioni dello stesso si potesse trovare. Proprio in quel momento stava leggendo una variante di una leggenda che aveva già letto in libri precedenti. Sentì i passi di qualcuno, ma non ci fece troppo caso: doveva essere Nami che si dirigeva verso i suoi mandarini, o Zoro che cercava un posto in cui sonnecchiare.
            «Robin! Cosa fai?»
La voce del capitano le arrivò alle orecchie limpida e forte come sempre. Sollevò lo sguardo dalle parole del libro e lo rivolse verso il piccolo corvino che le stava venendo incontro con fare annoiato. Fu sorpresa, perché in genere a quell’ora stava pescando con Usopp –o ci provava- oppure dormiva sulla polena della nave, non girovagava di certo alla ricerca di qualcosa da fare.
            «Sto leggendo» gli rispose sorridendo.
Il ragazzo arrivò accanto a lei e guardò curioso le pagine del libro. Era una cosa ancora più insolita, perché “Luffy” e “lettura” non potevano stare nella stessa frase; infatti, non appena si accorse che, effettivamente, non c’era alcuna immagine da osservare, tornò a guardare il mare di fronte a lui. Era rimasta in silenzio, sapendo bene che non ci fosse bisogno di trovare un argomento con cui riempirlo: il ragazzo avrebbe iniziato a parlare a breve.
            «E di cosa parla quel libro?»
            «Di pirati e altri uomini che cercano avventure e rincorrono sogni» rispose.
Ebbe la totale attenzione del capitano e sorrise. Le chiese di dirle di più, e non aveva perso tempo a raccontare ciò che sapeva; il tempo passava in fretta, ma il capitano sembrava non stancarsi di lei: ascoltava quello che diceva, certo interrompendola spesso per commentare o imitare le gesta che narrava, ma rimaneva seduto accanto a lei e la guardava sorridendo. E allora aveva capito.
Non era necessario che in combattimento facesse tutto da sola, finchè avrebbe dato tutta se stessa nessuno le avrebbe fatto colpa di qualcosa. Non era nemmeno necessario che cercasse di cambiare il suo carattere riservato e tranquillo che era così in contrasto con quello di tutti gli altri componenti. Poteva dare un contribuito in quegli aspetti semplicemente essendo se stessa, e in quel momento aveva trovato qualcosa che solo lei aveva la capacità di fare: quando il capitano era annoiato, quando nessuno era disponibile a tenerlo rumorosamente occupato, ci avrebbe pensato lei. Poteva raccontare a Luffy tutto quello che sapeva e aveva studiato negli anni, certa allora che l’altro non si sarebbe stancato tanto facilmente. Era felice, Robin, perché aveva finalmente trovato qualcuno con cui condividere quel sapere che, in un certo senso, era sempre stato il suo crimine.
Avrebbe dato a Luffy la conoscenza del mondo.


Note autricEEE***
In ritardissimo, ok. Mi scuso infinitamente, davvero. Ho iniziato a scriivere questo mini-capitolo tempo fa e ho finito solo ora, spero non ci siano delle incongruenze; nel caso, provvederò a rimediare.
Btw, eccomi con Robin, la ragazza che preferisco tra le due della ciurma. Non ho la minima idea di come si faccia ad impostare per ogni capitolo stesso carattere e dimensione, per cui spero di averci azzeccato. In caso, saranno un po' diversi, insomma...
Grazie a tutti coloro che hanno letto fin qui. Ci vediamo alla prossima cooon Chopper direi.
Final-

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3777719