Luglio.

di KHREM
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pane caldo appena sfornato. ***
Capitolo 2: *** Essere soli. ***
Capitolo 3: *** La mancia. ***
Capitolo 4: *** Dietro l'angolo. ***
Capitolo 5: *** Come polvere dietro sè. ***
Capitolo 6: *** Il dolore delle stelle. ***
Capitolo 7: *** Il rintocco delle dieci. ***
Capitolo 8: *** La sala d'attesa. ***
Capitolo 9: *** Allucinazioni. ***
Capitolo 10: *** Aria di casa. ***
Capitolo 11: *** Profumo di dubbi. [prima parte] ***



Capitolo 1
*** Pane caldo appena sfornato. ***


Il caldo, durante il mese di luglio di quell'anno, ricordo era insopportabile.
Luglio, il mese in cui la scuola è già finita da un pezzo e settembre è ancora un mondo lontano.
Ricordo quel mese di luglio come una luce che strazia le tenebre.
Luglio...quante volte pronuncerei questa parola all'infinito.

Io mi chiamo Dafne e adesso vi racconterò la parte più importante della mia vita.
Avevo 25 anni ed ero una modella in carriera.
Avevo iniziato a 19 anni come modella editoriale.
Una carriera breve dicevano.
Poi un giorno, alla soglia dei 23 anni arrivò la svolta, ed io diventai una modella commerciale.
Ero entrata in un mercato enorme che spaziava dalla pubblicità all'interno delle riviste ai cartelloni pubblicitari.
Per una modella come me, lavorare in questo settore poteva offrire grandi opportunità, ma ogni scelta che facciamo ha il suo prezzo e le sue conseguenze.

Mezzogiorno era alle porte e come da mia abitudine, con le mie due amiche e colleghe di scatti, andavo a prendere il pane caldo appena sfornato.
Stavamo entrando nel panificio quando vidi una ragazza dietro di noi, e così Leila per gentilezza le tenne la porta aperta.
«Grazie» ci rivolse un sorriso.
«E di che? Figurati amore!» rispose Leila.
Leila era così, chiamava amore anche i muri, era sempre sorridente ed era capace di fare amicizia anche con se stessa.
Io continuavo ad accennare un sorriso, mentre le mie amiche parlavano dei vari gossip da corridoio, senza decidersi a scegliere cosa comprare.
Non riuscivo ad udire cosa dicevano loro.
Ero presa da quella ragazza che non avevo mai visto prima.
Emanava qualcosa di dolce, tanta timidezza e nello stesso tempo c'era un velo di tristezza nei suoi occhi mascherato da un tenero sorriso.
La vedevo imbarazzata.
Credo non sapesse la nostra capacità di allungarci per svariati minuti prima di metterci d'accordo e lei come la foglia più leggera d'autunno, se ne stava lì in un angolino in compagnia del profumo del pane, delle nostre voci e di un posto nuovo tutto da conoscere.

«Prego, cosa desidera?» chiese Salvina a lei.
La ragazza si guardò intorno e poi diede un'occhiata a noi incontrando il mio sguardo.
«Eh...io...ecco sto, sto dopo di loro...» disse con quel suo modo impacciato di indicarci.
«Ah, non preoccuparti cara! Quelle tre befane impiegano una vita a scegliere! Metà della mia vecchiaia la devo a loro».
Scoppiai a ridere: «Ti prego Salvina, non fare aspettare più questa ragazza e servila per favore».
La ragazza mi rivolse un sorriso abbassando lo sguardo, ringraziandomi e poi si girò nuovamente verso Salvina.
«Allora cara, come posso aiutarti?»
«Si, salve. Dunque, io vorrei sapere che tipi di pane sono quelle due pagnotte con il sesamo sopra.»
Salvina, indicò prima una e poi l'altra: «Allora cara, questa è una pagnotta preparata con farina di mais e quest'altra è una pagnotta contenente la farina di grano tenero.»
La ragazza ci pensò un attimo.
«Ok, gentilmente vorrei quella di grano tenero...»
«Ma certo, intera o metà?»
«Metà grazie.»
«Grazie a te.»
Salvina era intenta a dividere il pane a metà e ad avvolgerlo accuratamente come solo le sue mani sapevano fare da anni.
«E come si chiama questa bella ragazza?» a Salvina piaceva tanto interagire con i clienti e con quelli nuovi che sperava sempre di veder tornare.
«Io mi chiamo Ellie.»
«Oh ma che bel nome! Sei italiana?»
«Si, si è solo che mia madre durante i nove mesi di attesa doveva pur passare il tempo!» disse sorridendo Ellie.
«Caruccia 'sta ragazzetta» continuò Salvina, poi digitò alla cassa e diede il pane ad Ellie.
«Sono 2 e 15 cara.»
Salvina le diede il resto e poi la ragazza uscì dall'altra porta senza ripassare dove eravamo noi.

«Allora ragazze che vi do'?» chiese sorridendo.
«Scusa, Salvina, puoi aspettare un secondo?»
«Va bene...in tanto proseguo a servire.»
Diedi una gomitata a Leila.
«Senti, devi assolutamente seguire quella ragazza e cercare di carpire più informazioni possibili, soprattutto se torna...inventati qualsiasi cosa, ma fermala!»
Leila mi rivolse un sorrisino malizioso arricciandoci una ciocca di capelli «lascia fare a me tesoro...» le diedi una spinta «e dai sbrigati su!» 

Leila uscì correndo, si fermò, guardò a destra, poi a sinistra e poi finalmente vide la direzione presa dalla ragazza e iniziò a correre.
«Scusa! Ehi! Ragazza!» correva agitando la mano sinistra come se stesse salutando qualcuno e con la borsa a braccino monco dall'altra parte.
«Oddio mio, come cazzo ha detto che si chiama?!» continuava a sbracciarsi.
«Ah si!! Ellie!!»
La ragazza si girò e Leila iniziò la sua recita.
«Ti sono caduti questi mentre compravi il pane» le allungò delle monete.
«Oh, grazie! Non ci avevo fatto caso.»
«Sei nuova di queste parti? Non ti ho mai vista. Sai noi siamo delle clienti abituali del panificio di Salvina.»
La ragazza mise i soldi in tasca e poi rispose.
«Ehm no, in realtà sarò qui di passaggio per un po'...»
«Ah per le vacanze?» chiese con un sorrisetto da stupida Leila.
«Magari, in realtà mia madre è ricoverata qui nel centro di riabilitazione.»
Leila tornò seria.
«Oh, capisco...beh spero si rimetta presto!»
La ragazza sorrise.
«Io mi chiamo Leila e le altre mie due amiche sono Dafne e Carola.»
Si strinsero la mano.
«Allora ci rivediamo presto?» domandò Leila.
«Penso di si» rispose con un sorriso Ellie.
«Ok, ciao!»
Leila scappò di corsa e ci beccò mentre uscivamo dal panificio.

«Dimmi che hai scoperto qualcosa di utile», dissi guardandola mentre sistemavo il portafoglio nella borsa.
«Eccome amore! La vedremo da queste parti per un po' dato che ha la madre al centro di riabilitazione», le rispose controllandosi le unghia.
«Al centro di riabilitazione hai detto eh...»


Mi passai la mano tra i capelli più volte e iniziai a pensare.
In quel preciso momento noi tre fummo assalite da decine di fotografi che tra flash e domande ci avevano ormai circondate e ci tenevano prigioniere da qualsiasi altra via d'uscita.


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NOTE: il prossimo capitolo verrà pubblicato il 21/07/2018 e intanto se vuoi lascia un tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto!

KHREM



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Capitolo 2
*** Essere soli. ***


Cosa significa essere soli?
Ellie lo sapeva bene.
Ellie si alzava ogni mattina e la casa era vuota.
Ellie arrivava in cucina e non si sentiva l'odore del caffè appena pronto e dei cornetti appena sfornati.
Ellie non aveva bisogno di fare la fila per andare al bagno, era troppo solo anche lui.
Ellie non aveva nessuno che l'accompagnasse a fare la spesa, che l'aiutasse con le borse pesanti, che la venisse a prendere fin sotto casa.
Ellie non si preoccupava di accendere internet sul telefono appena sveglia perché nessuno attendeva con ansia un suo “buongiorno”, né tanto meno qualcuno aveva premura di rivolgerlo a lei.
E' vero, Ellie era piccola, era giovane, ma era già troppo sola per aspettare di esser vecchia per diventarlo.
Ed era difficile star dietro a tutto: c'erano tante spese a cui pensare, una mamma di cui le condizioni di salute erano pessime, un padre assente, i libri rimasti in vetrina da anni ormai, così come i suoi sogni e nessuno su cui poter contare nei momenti peggiori.
Per Ellie il Natale signifcava non avere nessuno a cui fare dei regali e qualcuno che pensava a cosa regalarle.
Ellie, faceva dei lavoretti per mantenersi e mentre si recava a pagare le bollette, in piazza vedeva i suoi coetanei al bar a scattarsi foto-ricordo, a ridere e a bere birra.
E così, abbassava lo sguardo, si allargava e camminava veloce per superarli, soffocare la sua emarginazione per poi continuare la sua strada così vuota, così incomprensibile, così piena di solitudine.
Però Ellie sorrideva, sorrideva sempre.
Ellie era gentile nonostante gli altri fossero indifferenti con lei e sapeva essere dolce, tanto dolce nonostante tutta la sua amarezza, e sapeva dare carezze nonostante tutti gli schiaffi presi.
Però la vita sa essere molto strana come le persone ed Ellie, proprio come me, non aveva ancora avuto l'opportunità di essere felice.

Quel giorno, dopo essere andata a trovare la madre al centro di riabilitazione, il medico che l'aveva in cura, le aveva confidato degli esiti negativi, esiti che facevano capire che le condizioni di sua madre si sarebbero soltanto aggravate col passare del tempo.
«Ellie, cercheremo di fare tutto il possibile per tua madre.»
Il Dr. Labua le poggiò una mano sulla spalla «devi cercare di sostenerla, ancora di più.»
Ellie tirò su un forte respiro.
«Ellie, tua madre ha bisogno di te» continuò il dottore.
Ellie prese il suo marsupio e iniziò a sistemarsi per andar via, e poi si rivolse al dottore per un'ultima volta.
«E a me chi mi sostiene?»
«Tu sei giovane, hai tutta la vita davanti Ellie.»
Lei lo guardò negli occhi con la rabbia che le ribolliva dentro.
«Già...quante volte ho sentito questo discorso e intanto la vita non fa altro che scorrermi sotto i piedi.»
Ellie andò via di corsa e il Dr. Labua non riuscì a fermarla per scusarsi, per essere stato così superficiale e banale nel darle appoggio con frasi di circostanza, con frasi di cui già si era pentito.
Infondo Ellie, lui la capiva benissimo.

Ellie viaggiava sull'autobus con lo sguardo perso tra gli occhiali da sole ed i respiri profondi che cercavano di trattenere quelle lacrime che avevano bisogno di sprigionarsi, per liberarla dalla rabbia e dalla voglia di arrendersi su tutto.
Le persone parlavano, arrivavano spintoni quando dovevano scendere e per Ellie era come se anche una coltellata non le avrebbe fatto nulla, talmente lei era persa dentro se stessa.
Ad Ellie, non importava più nulla, per lei era come se avesse perso tutto senza avere niente in realtà.
Era come se lei era una di quelle persone destinate a non aver mai niente di bello.
Una di quelle che falliscono sempre.
Una di quelle che non smettono mai di soffrire, pagando anche le colpe degli altri.
Perché infondo la vita di Ellie, fino a quel momento, non era stata altro che un conto salato degli errori fatti da chi le stava attorno e di chi li ha commessi quando lei ancora neanche era venuta al mondo. 

Io non riuscivo a smettere di pensarla.
Non riuscivo a smettere di pensare a come poterla rivedere di nuovo, a come poterle parlare, a come poter entrare nella sua vita.
«Senti carina, adesso mi sono rotto le scatole! O fai un bel sorriso o te ne torni a casa! Diamine!»
«Scusami tanto Bernardo, dammi solo 5 minuti di pausa e poi ti prometto che avrò il sorriso più acceso del mondo.»
Bernardo sbuffò ma capiva quanto potesse essere stressante la posizione per me.
A me doveva sempre andar bene tutto e comunque, ora ero un personaggio pubblico e i miei problemi dovevo lasciarli a casa perché tanto se non venivano strumentalizzati, non interessavano a nessuno.
Presi una bottiglietta d'acqua e poggiai la testa sull'enorme finestrone dello studio fotografico.
Si vedeva mezza città.
Leila si avvicinò a me e mi fece una carezza.
«Ci stai ancora pensando Dafne?» 
Io iniziai a bere un po' d'acqua senza risponderle.
«Dafne, era solo una sconosciuta...tra l'altro mi pare anche che fosse solo una ragazzina che non sa neanche contare il resto. Non ne vale la pena dammi retta.»
Io mi spostai e Leila tolse la sua mano.
«Non è questo Leila...lascia stare, non puoi capire cosa ho sentito. Tu sei solo abituata a cavalcare stalloni senza neanche sapere di che razza sono!»
Leila mi afferrò per un braccio: «ehi bada a come parli!»
Io mi allontanai di nuovo.
«Anche se è vero quello che dici e anche se hai la luna storta oggi, non devi darmi della troia davanti al fotografo!»
«Perché...» continuai «adesso ti intendi anche di fotografia?»
Ci mettemmo a ridere tutte e due e poi Leila mi disse: «sta tranquilla...troveremo un modo.»
Bernardo, tirandosi più su i pantaloni, ci guardò e iniziò ad urlare.
«Allora cocca! Vedo che il sorriso ti è tornato! Muovi quel bel culo che hai e fammi dei sorrisi da prima copertina, cazzo!»
«Arrivo, arrivo!»



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NOTE:
il prossimo capitolo verrà pubblicato il 23/07/2018 e intanto se vuoi lascia un tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto!

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Capitolo 3
*** La mancia. ***


Essere soli.

Quella mattina mi ero alzata prestissimo.
Avevo la giornata libera ed ero intenzionata a sprecarla tutta per sapere di più su Ellie.
Avevo capito che se volevo trovarla potevo contare solo sulle mie forze e sul mio desiderio di rivederla.
Avevo già in mente un piano e così senza neanche fare colazione, mi preparai alla svelta e andai immediatamente al centro di riabilitazione che mi aveva indicato Leila.
Volevo sbrigarmi, fare presto.
Volevo vederla anche quello stesso giorno.
Non potevo e non volevo più perdere altro tempo.


Sulla strada, fortunatamente, non trovai traffico.
Ero anche riuscita ad infilarmi con la macchina in un posto perfetto.
Mi piaceva mettere la macchina all'ombra anche se sapevo che i sedili sarebbero scottati lo stesso al mio ritorno.
Presi la borsa dal sedile accanto e dopo essere scesa, con la chiave dell'auto a distanza, chiusi tutto.
Avevo l'allarme, dopotutto quella macchina era uno dei lussi che mi ero concessa e a cui tenevo di più.


Entrando nel centro di riabilitazione, si sentiva un silenzio assoluto, spezzato da qualche passo di un'infermiera o dalle ruote del carrello con le medicine per i pazienti.
Quel posto metteva ansia, tristezza, angoscia.
Perchè posti che servono a far curare la gente debbano sempre farti sentire sulla pelle il brivido della morte, già solo a guardare pavimenti e pareti?

Addentrandomi nella sala d'attesa per i nuovi ingressi e le uscite, avevo già intravisto la mia preda.
Un tipo con gli occhiali, cornetto metà in bocca e metà sulla camicia, e magari con tanta voglia di guardare due belle tette a distanza ravvicinata.
«Buongiorno!» esclamai sorridendo.
«La fila per il ticket non è ancora disponibile. Stiamo avviando adesso il terminale.»
«Non si preoccupi io sono qui solo per avere delle informazioni.»
«Allora le faccio presente che sul nostro sito internet può trovare tutte le informazioni riguardo ingressi ed uscite, orari visite, contatti col personale in struttura, ricevimento dei dottori, aperture dei reparti per le visite specialistiche esterne e anche i moduli da compilare e spedire o per email o per posta bollata.»
Mi rispose senza neanche guardarmi mentre continuava a leggere il giornale e a cercare tesori nascosti nel suo naso.
Io contai fino a dieci e poi continuai a sorridere.
«Il tipo di informazioni che cerco io, mi creda, non si trovano sul vostro sito web.»
Lui posò il giornale, spinse i suoi occhiali verso il centro degli occhi e poi rispose: «che cosa vuole signorina?»
Poggiai la mia scollatura sul bancone, fortunatamente ci separava il vetro.
«Lei che ne pensa?» lo vidi sbuffare mentre si tirava indietro con la sedia.

«Apprezzo il suo tentativo, ma le sue tette non potranno mai farmi effetto.»
Iniziai a ridere e a fare la cretinella.
«
Dunque le piacciono le tavole da surf...»
Mi guardò con dissenso.
«Sono gay...ora se non le dispiace: arrivederci.»
Mi fece un sorrisetto divertito e poi iniziò a digitare al computer.
«Arrivederci.
» 
Risposi scocciata.




In quel momento mi squillò il cellulare e odiando profondamente il telefono che suona in pubblico, presi subito la chiamata.
«Ehi Leila, non dormi stamattina?»
«Ma dove sei? Ero venuta a suonarti, ma la tua adorata custode impicciona del palazzo, ha detto che sei uscita presto.»
«Si, sono uscita presto e qui c'è un cazzone che mi sta già facendo perdere tempo!»
«Ma dove sei?»
«Sono al centro di riabilitazione...»
«No, non ci posso credere...va bene, ok, che è successo?»
Le raccontai la scenetta con l'impiegato e poi lei mi diede subito la sua dritta.
«Sganciagli dei soldi bella addormentata!»
«Hai ragione! Non ci avevo pensato!»
«Come vedi la bellezza non sempre è abbastanza.» 
Sorrise con la voce.
«
Grazie Leila. Senti per oggi...»
«
Non vuoi rotture di scatole, ricevuto. Sta tranquilla, aspetterò una tua telefonata.»
Sorrisi anche io.
«
Sei una vera amica.»
«Ciao Dafne.»

Bloccato lo schermo del telefono, lo misi in borsa e tirai fuori qualche banconota da mostrare a quell'idiota.
Mi avvicinai agguerrita e determinata ad avere le informazioni che mi servivano.
Bussai al vetro.
«Cosa desidera ancora signorina?» chiese lui.
«Senti bello, sei veramente molto antipatico, sei l'anti-cordialità in persona e non hai idea del tempo che mi stai facendo perdere, ma veniamo al dunque.»
Sventolai due pezzi da € 50,00.
«Voglio avere delle informazioni, tutte quelle che hai in quel cazzo di computer su una donna che è stata ricoverata qui due giorni fa. Ti è chiara la dinamica? Tu mi stampi quello che voglio e io oggi ti regalo mezzo stipendio.»
Accennai un sorriso da una che sa fare affari.
Lui ci pensò un attimo e dopo fece segno con le mani, un tre.
«Rischio il posto, non posso dare informazioni private sui pazienti.»
«E che cosa significa tre?»
«Voglio € 300,00.»
«Trecento euro?! Ma che...»
«O così o chiamo la sicurezza e la faccio accomodare fuori.»
Mostrai le altre banconote.
«Due minuti e le stampo tutto signorina.»
Mi rilassai e la contentezza già aveva preso posto sul mio volto.
«Bene, fantastico!»



Per far passare quei pochi minuti iniziai a ticchettare con le unghia sul bancone.
«Ecco qui tutte le informazioni a noi disponibili. Non è stato difficile poiché due giorni fa solamente una paziente ha fatto ingresso qui nella struttura. Tenga.»
Mi sistemai i fogli nella borsa e poi iniziai a contare i soldi.
«Sa cosa penso degli uomini?» chiesi sorridendo.
«Cosa?» domandò lui perdendo l'attenzione sui soldi.
«Che siete tutti dei coglioni.»
«Come scusi?»
Domandò stupito lui.
Sorrisi quando già avevo rimesso i soldi nella borsa.
«Non finanzierò mai un reato.»
Fu un secondo.
Scappai come una lepre fuori dal centro di riabilitazione e montai in macchina, premendo sul gas come in uno di quei film d'azione americani dove si fa tutto all'ultimo respiro.


Ero già abbastanza lontana dal centro di riabilitazione, quando per placare la mia adrenalina da fuga, decisi di fare colazione al bar e con la scusa visionare con calma quei fogli.
Entrai e mi sedetti ad un tavolo più appartato, lontano da occhi indiscreti.
Un cameriere si avvicinò vedendomi accomodare ed io ordinai una spremuta d'arancia e un cornetto integrale.
Da quelle carte appresi il grave stato di salute della madre e mi chiedevo già se potevo essere utile in qualcosa.
Fogli pieni di analisi e grafie degne dell'Antico Egitto.
Scorrevo le pagine.
Pagine su pagine.
Tirai su un sospiro di sollievo quando tra quei fogli lessi anche il numero di telefono di Ellie.
Avevo già voglia di andare sotto casa sua, ma pensai subito che quello potesse essere solo uno stupido colpo di testa.
Così presi il suo numero e lo salvai nella mia rubrica.
Speravo di poter vedere la sua foto sulla chat.
Un tuffo al cuore.
Era lei.
Così come l'avevo vista nel panificio.
Accennava un sorriso e il suo sguardo sembrava entrarmi dentro come un vortice che ipnotizza e non fa capire più niente.
«Ecco la sua ordinazione.» 
Disse il cameriere tenendo il vassoio da una parte e lo scontrino dall'altra.
«Tenga pure il resto.»
Pagai la colazione.
«Grazie mille!»
Sistemai per bene ogni cosa nella borsa, presi una salvietta bagnata per pulirmi un po' le mani e poi iniziai a mangiare.



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NOTE:
il prossimo capitolo verrà pubblicato il 24/07/2018 e intanto se vuoi lascia un tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto!

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Capitolo 4
*** Dietro l'angolo. ***


Essere soli.

Avevo il suo numero di telefono.
Sapevo dove abitava.
Potevo persino incontrarla ad un determinato orario.
Avevo tutto, ma non riuscivo a fare i conti con il coraggio che mi mancava e che dovevo recuperare per compiere il primo passo verso di lei.
Quello che avevo fatto quel giorno per sapere di lei, non lo avevo mai fatto per nessuno, nemmeno per aggiudicarmi un appuntamento importante di lavoro.
Forse nemmeno per me stessa.
Questo mi faceva paura.
Ne valeva veramente la pena correre dietro ad una persona che poteva anche rivelarsi un bidone?
Sentivo il cuore stretto stretto, come in una scatola e pronto ad esplodere. Se c'era un modo per provare ad essere felice era quello di iniziare a chiedermi cosa volessi veramente.
E così feci.
Cosa volevo?
Lei, io volevo lei.
E per averla ero anche disposta a correre il rischio di perdere e ritrovarmi col cuore spezzato.
La sensazione era quella di percorrere un labirinto pieno di specchi, ma per quanto essi potevano essere ingannevoli, almeno una via d'uscita ero sicura che esistesse.
Così come per ogni altra cosa.


Stavo girando senza meta nel quartiere di Ellie, un po' per conoscerlo meglio e un po' per rilassarmi da tutto lo stress di quel periodo.
D'altronde guidare rilassava chiunque, anche una persona come me e farlo di sera aveva tutto un altro sapore: le strade erano libere, le luci dei lampioni facevano atmosfera e l'aria fresca dopo un caldo giorno d'estate, che attraversando quel finestrino aperto mi accarezzava la pelle.
Ellie, ogni sera aveva l'abitudine di andare a prendere un litro di latte fresco al distributore in piazza.
E anche quella sera non mancò a quel suo appuntamento.
Tirò fuori dalla tasca le monete per prendere una bottiglia di plastica e dopo si avvicinò allo sportello da dove usciva fuori il latte.
«Guarda! Guarda!» 
Ellie si guardò un attimo intorno, ma non vide nessuno.
Introdusse l'euro, posizionò la bottiglia sotto l'erogatore e poi fece avviare la macchina tramite un pulsante.
«Ahahahah!» 
Ellie sentì il suono di un otturatore, come se qualcuno avesse appena scattato una fotografia.
Ellie iniziava ad innervosirsi, sapeva che lì spesso girava un gruppetto di ragazzi e ragazze che si divertivano a dare fastidio, così si sbrigò a chiudere col tappo la bottiglia, stringendolo per bene e infilò il latte nella busta di plastica che si era portata.
Quando si girò il suo corpo si scontrò con quello di un ragazzo e subito dietro di lui si avvicinarono altri sette ragazzi, tra cui quattro ragazze.
L'avevano circondata.
Ellie si trovava con la schiena attaccata al distributore e uno di loro gli strappò dalle mani la busta con il latte passandola ad un suo amico.
«Ragazzi...ma secondo voi è un maschio o una femmina?» chiese agli altri il ragazzo che per primo l'aveva bloccata.
Iniziarono tutti quanti a ridere mentre Ellie iniziò a tremare.
Una delle quattro ragazze stava riprendendo tutto con il cellulare.
«Secondo me possiamo scoprirlo toccando con mano, eh? Che ne dite?»
Fu un altro ad allungare le mani provando a palparla, ma Ellie non ci pensò un secondo, non voleva farsi toccare e così reagì e diede lui uno spintone.
Il suo amico le diede un pugno nello stomaco per vendicarsi dello spintone.
Ellie si piegò un po' tenendosi le braccia sull'addome, ma sempre lo stesso ragazzo la prese per la maglietta e la scaraventò a terra.
In quel preciso istante io passavo proprio di là con la macchina e tra tutti i film mentali che mi ero fatta, non avrei mai immaginato di rivederla così.
Mentre frenavo, vidi una ragazza gettarle addosso tutto il litro di latte che Ellie aveva appena comprato e poi le buttò la bottiglia sulla testa.
Scesi di corsa dall'auto con l'ombrello che tenevo sempre nel sedile posteriore contro i temporali estivi improvvisi e nel frattempo qualcuno di loro vedendomi arrivare come una furia iniziò a scappare finché tutti quanti sparirono lungo la strada dividendosi.


Ellie era rimasta a terra accartocciata.
Quello che più mi colpì di lei in quel momento è che non piangeva neanche, respirava un po' a fatica e cercava ancora di proteggersi da mani che adesso non le avrebbero più fatto del male.
Mi buttai per terra vicino a lei e cercai di tirarla su piano piano.
Volevo capire se era cosciente, se dovevo chiamare qualcuno e se c'era un posto nelle vicinanze dove poter chiedere un aiuto immediato.
Iniziai ad avvolgerla tra le mie braccia per farle sentire un po' di calore umano, per calmarla, per farle capire che ero lì per proteggerla.
«E' tutto finito. Sta tranquilla.»
Ellie era tutta sporca di latte e aveva del sangue sul viso che era colato anche un po' sui suoi indumenti.
Le avevano dato anche dei pugni sul naso e sulla bocca, forse anche vicino all'occhio.
«Ora ti porto all'ospedale.» 
Le dissi mentre stavamo cercando di tirarci su lentamente.
«No...non voglio andare...all'ospedale...»
Fece un respiro profondo.
«Ti prego...voglio andare...a...casa.»
Presi dei fazzoletti per tamponarle un attimo i punti in cui sanguinava ancora un po'.
«Ti porto a casa, ma prima deve vederti un medico, ok?»
Mi fece cenno di si con la testa.
Trovai il modo di far poggiare Ellie con le spalle al distributore e le dissi che andavo a prendere la macchina per avvicinarla il più possibile a lei.
Fatto questo, andai sul lato passeggeri anteriore e spinsi abbassando il sedile fino ad un certo punto, in modo che lei potesse star comoda ma non sdraiata e soprattutto non con la testa all'indietro.
«Vieni. Tieniti a me.» 
Ellie continuava a tremare per il dolore.
«Ce la fai? Non ti preoccupare di sporcarmi e tieniti a me.»
Sentii le sue braccia che senza forze si appoggiavano sulle mie spalle.
In quel momento capii che non l'avrei più lasciata.

Sistemata Ellie entrai in macchina anche io e azionai le sicure.
Prima di partire volevo pulirle un po' il viso.
Il naso aveva smesso di sanguinare mentre la bocca ne aveva ancora per un po'.
Presi una delle bottiglie d'acqua che avevo, altri fazzoletti e con tutto il tatto possibile iniziai dalla fronte, passai per le guance fino ad arrivare al collo.
Lei non fiatava anche se in alcune parti poteva avvertire delle fitte.
Ero riuscita a toglierle tutto il sangue che aveva, e adesso si iniziavano a vedere qualche ematoma, i lividi e in qualche punto il colore della sua pelle.
Quando terminai, Ellie aprì gli occhi e mi sorrise appena.
«Tieni, ho altra acqua, bevine un po'.»
L'aiutai a bere e poi mentre scendevo via con la mano lei mi afferrò con la sua.
«Grazie...» mi disse con voce flebile.
Io non resistetti e allungai la mia mano sul suo viso.
Le sfioravo delicatamente una guancia e poi iniziai ad accarezzarle i suoi capelli corti.


Ellie non sembrava affatto un maschio, aveva solamente i capelli corti, un viso dolce e un abbigliamento semplice.



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NOTE:
il prossimo capitolo verrà pubblicato il 25/07/2018 e intanto se vuoi lascia un tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto!

KHREM


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Capitolo 5
*** Come polvere dietro sè. ***


Ellie era così sfinita che quando arrivammo sotto casa mia lei dormiva già da un po'.
Prima di scendere dalla macchina, restai a guardarla per qualche minuto.
Sembrava una bimba.
Riposava come un piccolo angelo distrutto.
Nel frattempo avevo già scritto a Maria.
Io e lei avevamo fatto il liceo insieme e nonostante le nostre diversissime carriere, non ci eravamo mai perse di vista e lei oltre che essere stata una mia grande amica, diventò anche il mio medico di fiducia.

«Ehi...dove siamo?» chiese Ellie svegliandosi.
Sganciai la mia cintura per potermi girare di più verso di lei.
«Qui ci abito io...» risposi.
Ellie muoveva la testa per osservare ciò che intravedeva appena dal finestrino.
«Qui?» domandò ancora una volta Ellie mentre io mi ero dipinta in volto un sorriso imbarazzato.
«E quando devi andare al bagno, che cosa fai? Chiami un taxi?»
Venne da ridere a tutte e due.
«Tu vieni con me e lo scoprirai quando ti scappa.»
Scesi dall'auto e mi apprestai ad aprirle lo sportello e ad aiutarla ad alzarsi.

«Wow.»
Rimase meravigliata Ellie quando entrammo nell'ingresso.
«Nessuno sa di questo posto eccetto la persona che verrà a prendersi cura di te» le dissi accompagnandola nella sala mentre Anna, una delle mie domestiche, ci veniva incontro.
«Oh ma Signorina! Se ci avesse detto che sarebbe arrivata, le avremmo fatto trovare qualcosa di pronto in tavola!»
«Non preoccuparti Anna. Abbiamo avuto una serata scioccante...»
Anna si mise le mani sul volto «oh cielo! Ma cosa è successo a questa ragazza?»
«Ti presento Ellie. Aveva appena comprato del latte quando dei bastardi l'hanno aggredita...»
«Come mi dispiace...viviamo in un mondo così crudele. Posso fare qualcosa per te cara?», le domandò con un tenero sorriso Anna.

Ellie era completamente spaesata e stanca.

«Ti ringrazio Anna. Ci penso io e poi a momenti dovrebbe essere qui Maria, la dottoressa, ti ricordi?»
«Ma certo che mi ricordo! E' così tanto una cara ragazza anche lei!»
Mi sedetti accanto ad Ellie.
«So che adesso ti sembra tutto un gran casino, ma vedrai che già domani, dopo una bella dormita, ti sentirai un po' meglio.»
Ellie annuì con la testa mentre non la smetteva di fissare il tavolinetto che avevamo davanti.
«Io non so più niente» disse poi «non so neanche cosa significhi sentire casino quando nella testa c'è solamente il vuoto.»
«Mi dispiace...», Ellie rivolse a me lo sguardo «perché stai facendo tutto questo? Perché non mi hai semplicemente portata al pronto soccorso e lasciata lì? Ci avrebbero pensato gli altri dottori a prendersi cura di me. Non era necessario tutto questo...».
Stavo per risponderle quando Anna annunciò l'arrivo di Maria.

«Ciao Dafne! Ho fatto il più veloce possibile per raggiungervi! Come sta la ragazza?»
Ellie si alzò di colpo e poi disse «sto bene...voglio solo tornarmene a casa.»
«Non puoi andare via così, Maria è venuta qui a posta per visitarti.»
«Non posso? Scusa, ma tu chi sei per dirmi quello che devo fare?»
«Io non...».
«Mi hai salvata! E ti ringrazio, davvero, ti sono molto grata. Ma voglio tornare a casa.»
«Non ti sto sequestrando.»
«Se per “non ti sto sequestrando” intendi portarmi a casa tua invece che all'ospedale, muovermi a tuo piacimento e dirmi quello che devo fare e dove devo stare, allora mi hanno veramente colpita per bene prima!»
«Ma non ci arrivi Ellie? Io voglio solo aiutarti!»
«Vuoi davvero aiutarmi?»
«Certo che lo voglio!»
«Allora non arrogarti il diritto di entrare nella mia vita solo perché avevi bisogno di ripulirti la coscienza con una buona azione.»
«E sai che ti dico io invece?», Ellie continuò a fissarmi.
«Cosa?»
«Che sono io a non volere che tu entri nella mia vita. Forse avrei dovuto anche lasciarti lì a terra, saresti stata sicuramente più contenta!»
Ellie non perse tempo a rispondermi.
«Ma che cosa te ne fai di tutta questa ricchezza se poi sei così povera dentro?»
Sprofondai nella delusione.
Ci rimasi così male che mai avrei immaginato di non riuscire a rivolgerle più la parola.
«Maria, se vuole farsi visitare bene e sennò se ne può tornare subito a casa. Mi sa che ho arrecato fin troppo disturbo a questa ragazzina.»
Mi avvicinai all'orecchio di Ellie «scusa tanto se volevo aiutarti...dovresti imparare a badare a te stessa...ho anche il tuo sangue addosso e mi fa un po' schifo, sai?...» 

Presi la mia borsa e corsi fuori senza neanche salutare.
Andai via e montai in macchina mentre Anna si precipitò fino al mio finestrino bussando con enfasi.
«Signorina cosa dobbiamo fare con...» rimasi col finestrino chiuso e dopo una breve retromarcia andai via lasciando dietro di me la polvere del terreno.
Anna rientrò nella sala «è andata via...», disse a Maria.
Maria sospirò e dopo aver guardato un attimo Ellie disse: «adesso risolviamo tutto Anna.»
Maria comprese la reazione di Ellie e un po' meno la mia fuga.
Ellie era semplicemente stanca, sotto shock e aveva bisogno di sentirsi a casa.
Dopotutto aveva appena subìto un'aggressione e si trovava con delle estranee, e non aveva avuto neanche il tempo di avvertire qualcuno della sua famiglia.
«Senti Ellie, c'è qualcuno che può venirti a prendere?»
Ellie disse di no con la testa e abbassò lo sguardo sedendosi.
Maria si chinò vicino a lei e le accarezzò le mani.
«Mi dispiace per il tuo screzio con Dafne. Ti assicuro che lei aveva tutte le buone intenzioni. Ti va se adesso ti visito? Poi ti riaccompagno io a casa e ti lascio anche il mio numero di telefono se dovessi avere bisogno.»
Ellie si lasciò visitare mentre io tornando al mio appartamento in centro, mi feci una doccia veloce per togliermi i residui di quella sera.
Poi andai a letto e spensi il telefono.
Anche se sapevo già che non avrei mai chiuso occhio, spensi la luce e mi strinsi forte al cuscino.


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NOTE:
avrei dovuto pubblicare questo capitolo il 25, arrivo con qualche ora di ritardo ma eccomi qua; il prossimo capitolo verrà pubblicato il 27/07/2018 e intanto se vuoi lascia un tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto!

KHREM






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Capitolo 6
*** Il dolore delle stelle. ***


Maria quella notte riaccompagnando a casa Ellie, aveva avuto modo di conoscerla un po', di farla parlare anche per dimenticare il più velocemente possibile la paura di quell'aggressione.
Aveva capito che Ellie non era affatto una ragazzina, come l'aveva denominata Dafne prima di andar via, ma soprattutto aveva capito che portava tanti pesi sulle sue spalle e che nessuno l'aveva mai aiutata ad alleggerirsi un po'.
Parlando tra un incrocio e un semaforo, Maria venne a conoscenza della storia medica della madre di Ellie e si impegnò con lei affinché potessero trovare insieme una cura.
«A che ora dovrai essere al centro di riabilitazione domani?»
«Per le 11.00 circa.»
«Facciamo che ti passo a prendere alle 10.30 sotto casa? Così cercherò anche di parlare col Dr. Labua per saperne di più sui dettagli tecnici della faccenda. Voglio sapere ogni singola cosa della storia clinica di tua madre.»
Maria tirò il freno a mano e le sorrise.
«Sistemeremo ogni cosa Ellie. Si aggiusterà tutto, devi solo fidarti un po' di me.»
«Grazie per avermi riportata a casa e grazie anche per l'impegno che ti sei presa con me.»
«Non potevo lasciarti da sola. Per tutto il resto: è il mio lavoro e non potrei mai girare lo sguardo dall'altra parte se so che posso fare anche mille tentativi. D'altronde non ho studiato soltanto per autografare ricette nel mio studio medico.»
Si salutarono guancia a guancia e poi Ellie scese dalla macchina.
Prima di mettere in moto, Maria la salutò di nuovo e per poi ripartire.

Ellie mise le mani nelle tasche e non furono necessarie chissà quali ricerche per capire che non aveva più le chiavi di casa e che probabilmente le aveva perse chissà dove.
Forse sono ancora lì...vicino al distributore. Magari mi sono cadute a terra quando quello lì mi ha spinta.
Si avviò lentamente verso la piazza.
Era veramente a pezzi e anche quei pochi passi le costavano troppo.
Cavolo, ho la vista un po' offuscata.
Si tenne per un attimo la mano sulla fronte chiudendo gli occhi e poi li riaprì e inizò a cercare nei dintorni del distributore.

Maria, approfittando di un semaforo che come al solito sembrava sempre essere dipinto di rosso, scrisse un messaggio che inviò subito a Dafne:
"Non so che diavolo ti è preso, ma so che tu non sei così. Sei stata veramente molto ignorante con Ellie. L'ho appena riaccompagnata a casa. Questo è il suo numero: 347******* chiamala. Un bacio. 

P.S. Non avresti dovuto farla addormentare in macchina, ma avresti dovuto tenerla sveglia e lucida. Fortunatamente non ha perso né conoscenza né l'orientamento. Ho avuto modo di constatarlo personalmente."

Ellie continuò a cercare invano.
Non c'era nessuna traccia delle sue chiavi.
Tornò sotto casa sua senza neanche sapere cosa poter fare.
Quando andava a prendere il latte non si portava mai il cellulare appresso.
E nel suo edificio non esisteva nessun citofono e l'unica vicina di casa che aveva era una signora anziana di 90 anni che ormai ci sentiva molto poco.
Non poteva certo mettersi a gridare Ellie, non ce l'aveva neanche la voce.
Ellie era stremata.
Rimase qualche minuto con la testa appoggiata al cancello.
Due lacrime rigarono il suo viso, ma neanche loro avevano più la forza.
Ellie si lasciò andare giù per terra.
Guardò i suoi vestiti sporchi, quelle tracce di sangue rimaste sulla maglietta.
I segni delle botte.
La testa che le faceva così male.
Avrebbe voluto così tanto potersi addormentare col suo cuscino sotto la testa, essere dentro la sua casa, che anche se era piccola la faceva sentire al sicuro.
Pensava a sua madre, a cui era riuscita a dare la buonanotte prima di uscire e almeno per questo non doveva preoccuparsi.
E poi pensava che in quel momento nessuno al mondo si stava chiedendo dove lei fosse.
Dentro il suo cuore sentiva la sua invisibilità.
Sentiva che a nessuno importava di lei perché alla fine nessuno era lì con lei.
Voleva crollare, ma rimase sveglia.
Aveva troppa paura di addormentarsi lì davanti al cancello.

Ed è vero, io quella notte non ero lì con lei, ma ero ancora sveglia nel mio letto e non potendo dormire presi il telefono e lo riaccesi.
Lessi subito il messaggio di Maria, anche se mi fece sorridere il numero di telefono di Ellie, perché io ce l'avevo già fin dal principio.
Non solo mi ero comportata da egoista, ma anche da incoscente facendola dormire.
Credevo che fosse la cosa migliore farla riposare...che disastro che sono!

Erano le quattro quando nonostante lei potesse dormire provai a chiamarla.
Squilla...
Squilla...
Dai rispondi...
Squilla...
Nessuna risposta.
Dovevo immaginarlo, sarà crollata dal sonno.
Mi sentivo una persona orribile.
Ero stata così perfida, mi ero comportata da stronza  e le avevo detto cose che non pensavo.
Avevo solo avuto paura di perderla e di essermi solamente illusa.
Avevo solo pensato a me stessa e a quello che provavo io.

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NOTE:
a sorpresa è arrivato questo nuovo capitolo; ci vediamo tra le parole del prossimo domenica 29/07/2018.
Intanto se vuoi lascia un tuo pensiero su questo che hai appena letto! :) inoltre ti invito, se non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :) EFP continua a cambiarmi dimensione e font dei capitoli. Non so perché, ma io ho sempre impostato le stesse cose, quindi chiedo scusa se il carattere e le dimensioni di ogni capitolo vi risulteranno diverse.

Grazie per la lettura e a presto!

KHREM




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Capitolo 7
*** Il rintocco delle dieci. ***


PRIMA DI COMINCIARE:
 ti invito a leggere ogni frase di questo capitolo lentamente, dando un tono ad ogni parola che incontri.
Voglio che tu senta questo capitolo addosso alla tua anima da lettore.



Immaginate una mattina d'estate.
Una di quelle mattine in cui la gente va al mare.
Una mattina di quelle assolate.
Una di quelle mattine in cui tutto sembra diverso.
I bambini che schiamazzano e i genitori che urlano loro di non allontanarsi.
I clacson, i mercanti, le chiacchiere di quartiere, il caffè al bar, la fila alla posta.
E adesso, immaginate quella stessa mattina, come un'ombra oscura che si getta sulla gente, sulle strade, sulle macchine.
Come una sfumatura di nero, che inizia a sovrastare ogni cosa che incontra.
Immaginate di ascoltare il silenzio torbido di un momento, che resta si indimenticabile ma che inesorabilmente vorremmo cancellare per sempre dalla nostra vita.
Immaginate il rintocco delle campane di una chiesa.
Immaginate la gente che a cerchio e curiosa guarda ciò che tutti noi pensiamo essere lontana, descritta solo nei film, che fa tremare.
Quella mattina fu ritrovata riversa al suolo, gelida come un canto d'inverno.
Indossava ancora gli abiti del giorno prima.
Nessuno si accorse di lei, una persona così sola.
Dicevano che la morte, così improvvisa e così strana, colpisce senza badare a chi, che cosa e perché.
La morte, l'unica persona che non fa distinsione di sesso, di razza, di età, di portafoglio.
Davanti al cancello c'era un'ambulanza, arrivata troppo tardi.
Davanti al cancello c'era un carro funebre, arrivato troppo presto.
Davanti al cancello c'erano persone, arrivate senza mai essere arrivate.
«Che cosa è successo?» chiese Maria ad un macabro spettatore, chiudendo lo sportello dell'auto e precipitandosi.
«L'hanno trovata morta...poverina...Lei...».
Maria cessò di ascoltarlo e quando arrivò davanti al cancello, ormai aperto dalle forze dell'ordine che erano giunte sul posto chiamate da un commerciante del marciapiede di fronte, si trovò davanti persone che facevano avanti e indietro, come le lancette di un orologio impazzite.
Si avvicinò ad un infermiere che era lì e chiese: «mi scusi ma che cosa sta succedendo qui?!»
«Lei chi è? Una parente?» domandò lui.
«Sono un medico...il suo medico...»
L'infermiere la prese da parte e la aggiornò sulla situazione.
«E' stata trovata morta questa mattina, erano circa le 8.00 quando ci hanno chiamati. Dai primi rilevamenti, lei è morta nella notte a seguito di un trauma cranico dovuto o ad una caduta o a delle percosse.»
Maria indietreggiò.
Mise una mano sulla bocca e gli occhi si bagnarono di lacrime.
Iniziò ad ansimare Maria, stava per piangere ma era la prima volta in vita sua che rimase così sconvolta, così inerme.
Mentre cercava di riprendere il respiro, il suo sguardo cadde sul retro dell'ambulanza che era rimasta con un portellone aperto.
Si avvinò lentamente tenendosi sull'ambulanza stessa.
«Oh mio Dio! Oh mio Dio! No!!!!» si mise le mani tra i capelli urlando dalla disperazione.
Vide un lettino ed un lenzuolo bianco che avvolgeva un corpo, vicino un medico che continuava a scrivere su una specie di cartella.
«Mi scusi non può stare qui! Si deve allontanare!» l'infermiere di prima la portò via da lì e poi disse a tutti i presenti la stessa cosa: «mi dispiace, ma non potete stare qui...lo spettacolo è finito, per favore!»
Maria vide mettere i sigilli davanti al cancello.
«La prego! In che ospedale la state portando?» chiese agitatamente Maria.
«A quello centrale signorina. E' stata richiesta l'autopsia, infatti abbiamo appena mandato via il carro funebre, adesso non serve. Ci vorranno un paio di giorni.»
Maria si allontanò per pemettere all'ambulanza di partire.
Si avvicino alla sua auto, entrò, e con tutta la forza che aveva si mise a sbattere i palmi delle mani contro il volante.
Entrò in uno stato di disperazione forte, acuta, spietata.
Si sentiva in colpa.
Si sentiva un medico fallito.
Aveva sbagliato tutto e aveva lasciato sola una persona che quella notte avrebbe avuto bisogno di cure.
Era stata superficiale, banale e poco attenta.
Ma doveva calmarsi.
Adesso doveva dirlo a me e raggiungere quel corpo ormai troppo stremato per poter dire ancora una parola.
E poi sarebbe dovuta andare al centro di riabilitazione.
Non sapeva con quale forza ci sarebbe andata, ma doveva.
Adesso era il suo dovere, lo stesso dovere che avrebbe dovuto prendersi solo poche ore prima.

«Pronto Maria, buongiorno! Stavo per chimarti!»
«Ciao Dafne...senti dovremmo vederci subito.»
«Che succede? Stai bene?»
«Non posso parlartene per telefono, ma...»
«Ma?  Parla Maria! Sai che mi puoi dire tutto.»
«Si tratta di Ellie.»
«E' successo qualcosa?»
«Dafne, vieni all'ospedale centrale...ne parliamo lì...»
«Ok, il tempo di arrivare.»

Maria posò il telefono sul cruscotto dell'auto.
Si abbracciò al volante.
Mi dispiace Ellie, mi dispiace.
Girò un po' la testa verso il marciapiede e l'occhio le cadde in un punto preciso del cancello.
Uscì dalla macchina.
Si guardò intorno e poi di soppiatto si avvicinò fino al punto che le interessava e raccolse qualcosa.
Rientrò in macchina e aprì il suo pugno chiuso.
Questo è il biglietto che avevo dato ad Ellie col mio numero di telefono...per qualsiasi necessità...
Forse voleva chiamarmi per chiedermi aiuto...
Maria si lasciò andare ad un pianto lungo minuti, finché poi asciugandosi le lacrime partì per l'ospedale.
Voleva e doveva arrivare prima di me.


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NOTE:
a sorpresa ecco a te il nuovo capitolo; ci vediamo tra le parole del prossimo domani, 29/07/2018.
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e aspetto di conoscere le tue sensazioni. :)
Lascia un tuo pensiero su quello che hai appena letto! :) So che un po' di persone stanno seguendo la storia e sapere cosa ne pensate mi può solo che aiutare a migliorarmi e per me è importante :) non siate timidi u.u non mangio mica io u.u;
inoltre ti invito, se non l'hai già fatto, a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).

Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :) EFP continua a cambiarmi dimensione e font dei capitoli. Non so perché, ma io ho sempre impostato le stesse cose, quindi chiedo scusa se il carattere e le dimensioni di ogni capitolo vi risulteranno diverse.

Grazie per la lettura e a presto!

KHREM


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Capitolo 8
*** La sala d'attesa. ***


Dopo aver saputo il motivo della chiamata di Maria e la corsa in ospedale, ci ritrovammo in una piccola sala d'attesa.
Lei seduta ed io ero mezza sdraiata con la testa sulle sue gambe.
Mi accarezzava i capelli mentre io parlandole tenevo stretto un fazzoletto vicino al viso.
Le avevo raccontato tutto su Ellie.
Le avevo raccontato quanto fosse stato forte il mio desiderio di conoscerla sempre di più.
«E' tutto così ingiusto...che modo di andarsene è questo?» dissi.
«Sai Dafne...non mi capita tutti i giorni di incontrare qualcuno che ama un'altra persona con tutta se stessa...senza neanche sapere chi è.»
Riflettevamo su quanto fosse così raro "amare" e su cosa fosse in realtà questo sentimento che fa così tanta paura a tutti.
Ci chiedevamo se tutte quelle persone che si tenevano per mano, si amassero davvero, o se quel tenersi per mano fosse solo per paura della solitudine.
Oggi le persone hanno perso il senso dell'amore.
L'amore è unico e indissolubile, unisce e migliora la vita di tutti quelli che vengono accarezzati da questo sentimento.
Eppure non sentivamo altro che parole di gente perennemente infelice, forse perché sempre abituata a rincorrere ciò che per loro è più conveniente, ciò che non li espone troppo, ciò che gli fa credere di poter essere in un posto carino in cui poter stare anche se in realà si desidera sempre di essere altrove e con qualcun altro.
Anche se poi di nascosto, già solo con la mente cerchiamo quello che veramente vorremmo avere tra le braccia e intorno a noi.
L'amore è coraggio.
L'amore è uno specchio nell'anima dell'altro.
L'amore non ti fa soffocare.
L'amore è quella cosa che ti fa pensare che hai tutto e non ti manca più niente.
L'amore è un pensiero dolce che non si scontra con dubbi e incertezze.
L'amore è chiuedere gli occhi e pensare alla stessa persona che si è appena addormentata al nostro fianco.
L'amore ti fa amare, ti fa anche trovare l'amore per te stesso.
L'amore non ti permette mai di smettere ma ti dà modo di continuare.
«Ti va un caffè Maria?» chiesi a lei alzandomi.
«Stai Dafne, te lo vado a prendere io.»
«No, preferisco muovermi un po'...questo posto mi sta facendo morire un'altra volta.»
Andai verso il distributore di caffè mentre cercando qualche moneta nel portafoglio, mi ricordavo di quando Leila era corsa dietro ad Ellie per darle il resto che in realtà non aveva perso.
Mi chiedevo come sarebbe andata se fossi stata io a correrle dietro per darle quel resto.
Se fossi stata io a tenerle la porta quando entrò nel panificio.
Mi chiedevo come sarebbe stato se invece di prendere e andarmene le fossi rimasta accanto e l'avessi accompagnata io a casa.
Se ci fossi stata io...avrei potuto salvarla...
Poggiai il mio pugno chiuso e stretto sul distributore e in quel momento la mia testa iniziò a girare.
Il distributore.
Mi sembrava ancora di vedere Ellie lì a terra davanti a quel maledetto distributore.
«Cazzo!» diedi una botta forte al distributore.
«Dafne...», Maria venne dietro di me ed io mi girai e la strinsi forte.
Iniziai a piangere tra le sue braccia che un po' tremavano e un po' cercavano di sorrgermi.
«Non fare così Dafne...ti prego...» disse.
«E' morta!...Se n'è andata!...Non c'è più!...Io non posso rivederla più da nessuna parte...non posso neanche chiederle scusa per come mi sono comportata con lei ieri sera...», mi liberai dalla stretta di Maria ferocemente.
«Dafne...»
«Lasciami stare ti prego...ho bisogno di stare sola. Vado a prendere un po' d'aria.»
«Si...» rispose Maria abbassando la voce e strofinandosi nervosamente un braccio.
Maria tornò a sedersi sperando di poter parlare con qualcuno il prima possibile.
Doveva essere forte ma aveva solo voglia di scappare da quell'inferno che in poche ore aveva cambiato letteralmente la sua vita e la stima che aveva di se stessa.
Maria aveva i capelli biondi lunghi e lisci e gli occhi celesti.
Adesso quegli occhi celesti come il cielo sembravano un cielo cupo e grigio pronto a dare tempesta.
«Lei è la Dottoressa Maria Ricci?» chiese un medico in camice bianco appena uscito dal reparto.
«Si, sono io.»
«Bene, so che la defunta era una sua paziente, quindi ho pensato che volesse avere la sua cartella medica con tutti i vari appunti riportati dei rilevamenti fatti. Questi ovviamente sono i primari, per i secondari, come sa, ci vorrà qualche giorno. Ci metteremo d'accordo per farglieli avere, ok?»
«Si, la ringrazio. »
Il medico le strinse la mano.
«Di nulla e condoglianze. Si vede che lei ci tiene molto ai suoi pazienti. Glielo leggo negli occhi.»
Il medico andò via sparendo per i corridoi della sala d'attesa.
Maria si sedette di nuovo.
Fece un respiro profondo.
Nel frattempo io mi ero andata a rifugiare vicino ad un muretto.
Ero in piedi a braccia conserte, ma il fatto di poggiare le spalle sulla parete mi faceva sentire sorretta.
Volevo svenire.
Volevo urlare.
Volevo spaccare tutto.
Volevo...non so cosa volevo.
Mi pesavano gli occhi.
Iniziavo a vedere un po' sfocato, così tanto che iniziai a confondere le persone che passavano.
E fu lì che io ebbi la mia prima allucinazione.
Vidi Ellie tra quella gente che mi sorrideva.
Provai a chiudere gli occhi per qualche secondo decidendo poi che forse era meglio tornare da Maria.
Avevo paura, non so che cosa mi stava succedendo, ma qualsiasi cosa stesse accadendo non volevo esserne partecipe.
Maria era rimasta con la cartella clinica in mano perché non aveva il coraggio di leggere quel responso che si aspettava già.
Ma doveva farlo e non poteva farlo nessun altro al posto suo, e non sarebbe stato giusto tener chiuso quel fascicolo.
Voltò la copertina con tutta la lentezza che non aveva mai posseduto neanche per fare un'iniezione.
Fu un attimo quando il suo sguardo crollò.
«Ma cosa...? Non è possibile.»



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NOTE:
capitoli un po' ansiogeni, non è vero? u.u Beh lascia una tua recensione e se non l'hai già fatto, vai a leggere le mie storie precedenti, e se ti fa piacere passerò anche a leggere le tue storie (il giorno a cui mi dedicherò alle varie letture e alle recensioni è il martedì, ricordatelo u.u).
Ah.
Vuoi sapere quando esce il prossimo capitolo?
Facciamo che non te lo dico e lo scoprirai solo restando qui con me. u.u
Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche sono sempre i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto!

KHREM



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Capitolo 9
*** Allucinazioni. ***


Maria era rimasta con la cartella clinica in mano perché non aveva il coraggio di leggere quel responso che si aspettava già.
Ma doveva farlo e non poteva farlo nessun altro al posto suo, e non sarebbe stato giusto tener chiuso quel fascicolo.
Voltò la copertina con tutta la lentezza che non aveva mai posseduto neanche per fare un'iniezione.
Fu un attimo quando il suo sguardo crollò.
«Ma cosa...? Non è possibile.»
Si alzò di colpo.
«Devo subito dirlo a Dafne!»
Maria trascinò via la sua borsa, il fascicolo da cui pendevano fuori i fogli, e iniziò a correre per tutto il reparto e i corridoi che la separavano dall'uscita.
Io mi avviai per rientare, ma l'immagine di Ellie, continuava a seguirmi.
Camminavo più forte e adesso sembrava anche che Ellie mi stesse chiamando.
Non sapevo più come fare, non riuscivo a smettere di vederla e ascoltarla e così cominciai a correre anche io, come Maria, attraversando tutto il cortile dell'ospedale.
Correvo, correvo, correvo, scappavo da questa allucinazione.
Evitando persone, macchine e stralci di aiuole.
Arrivai all'ingresso e prima di salire quei pochi gradini, mi fermai un attimo per riprendere fiato.
In quello stesso istante però, arrivò Maria con tanti fogli penzolanti e la sua borsa che era finita con un manico staccato.
«Dafne! Oddio, finalmente ti ho trovata!»
«Maria...devi portarmi via da qui! Immediatamente! Non mi sento per niente bene...ho paura...».
Maria si mise a cercare e poi estrasse il foglio che le interessava.
«Cazzo, ma hai sentito cosa ti ho detto?» - Maria mi guardò un'istante prima di tornare a mettere in ordine il resto dei fogli.
«Ti ho detto di portarmi via da qui!»
Maria si mise al mio fianco, come per farmi vedere o leggere qualcosa.
Io le rivolsi uno sguardo incredulo, era come se praticamente lei avesse dei tappi alle orecchie e non ascoltasse quello che le stavo pregando di fare.
Maria però insistette.
«E' inutile che mi fai leggere queste 'cose'...io non...non le capisco, non le guardo neanche...Che cosa vuoi Maria?».
Stava per illustrarmi quello che voleva farmi notare quando ad un tratto sentii una forte stretta al braccio.
«Dafne!»
Mi voltai di colpo senza guardare e tirai una sberla a vuoto con l'altra mano, facendo cadere tutti i fogli di Maria a terra.
Maria si chinò mentre io rimasi pietrificata.
«Dafne, sono io, Ellie. Ti sei già dimenticata di me?»
«Ellie!!! Tesoro!!!» - Esultò Maria abbracciandomi.
Io dedicai loro ancora uno sguardo, finché Maria non si girò per dirmi:
«Dafne, ho cercato di dirtelo ma tu non volevi ascoltarmi!»
Io non avevo capito un cazzo, ma vedendo Maria abbracciare Ellie, riuscii a capire che non avevo avuto nessuna allucinazione, non ero diventata pazza tutta d'un tratto e in un solo secondo mi gettai piangendo tra le braccia di Ellie, che mi strinse forte senza sapere in realtà il vero motivo del mio pianto a dirotto e degli occhi pieni di gioia di Maria.
Maria ci lasciò sole, per andare a rintracciare il medico da cui aveva avuto quelle carte e restituirgliele, ormai non servivano più.
Quella notte non fu Ellie ad essere morta, ma la sua vicina di casa di 90 anni.
E quando arrivarono i soccorsi, una macchina della guardia medica portò via prima Ellie, recandosi all'ospedale, dove la curarono e le diedero anche modo di lavarsi e cambiarsi, bere e mangiare qualcosa.
Per questo quando Maria arrivò sotto casa di Ellie, perchè si erano date appuntamento per le dieci, si trovò davanti quella scena così devastante.
Passarono minuti, quando io ed Ellie eravamo ancora abbracciate.
Sentivo ancora quel dolce imbarazzo di Ellie mentre la stringevo e percepivo il suo respiro, come se cercasse di dirmi qualcosa e nello stesso tempo di vivere in silenzio quel momento nostro.
Mi strinse ancora di più.
«Dafne...»
«Si, Ellie?»
«Ho caldo.»
«Oh si, scusami...» - stavo per allentare la presa quando lei, ancora una volta, mi strinse ancora di più.
«No, stavo scherzando, restiamo così...se ti va...mi viene più semplice.»
Quel mio corpo che toccava il suo così, mi fece sobbalzare il cuore più volte.
Era passato mezzogiorno ed io avevo i brividi di freddo.
«Dafne...io volevo...»
«Volevi?»
«Ora...te lo dico.»
«Ok...»
Fece un respiro più intenso.
«Volevo chiederti scusa per come mi sono comportata con te. Tu volevi solo aiutarmi ed io ti ho rifiutata come se tu fossi la cosa peggiore del mondo.»
Disse tutto così velocemente, ma avevo capito ogni parola.
«Sono io che dovevo capire che cosa stavi passando, non dovevo lasciarti sola...mi dispiace tanto.»
«Ed io invece dovevo fidarmi di te.»
Mi staccai dalle sue braccia per poterla guardare negli occhi.
Eravamo l'una di fronte all'altra, una decina di centrimenti, perchè anche se non ci stavamo più abbracciando, io avevo avvolto le mie braccia intorno alla sua testa, mentre le sue mani cingevano i miei fianchi.
Ci guardammo per un intenso secondo e poi le dissi:
«e adesso, ti fidi di me?»
Lei mi sorrise e poi rispose:
«si, adesso si.»
Mi stavo stringendo ancora un po' per avvinarmi di più al suo viso quando Maria ci interruppe.
«Forza bellezze! Dopo questo bello spavento dobbiamo prenderci assolutamente una giornata libera, tutte e tre insieme! Su!
»
Ci staccammo, Ellie si mise tra me e Maria e tutte e tre iniziammo a camminare per raggiungere la macchina, a braccetto.
«Di quale spavento parli, Maria?»
Chiese Ellie.
«Te lo racconto strada facendo tesoro.»

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NOTE: 
spero che questa storia inizi a tenerti un po' di compagnia e naturalmente spero anche di averti fatto una bella sorpresa con Ellie.
Fammi sapere tutto quello che ti passa per la testa riguardo la storia, mi sarà di certo utile e mi aiuterà a migliorare. :)

D'ora in poi, non scriverò più qui sotto, nelle note, la data in cui i capitoli seguenti verranno pubblicati.
Per prima cosa, è bella l'attesa e l'arrivo in aspettato e seconda cosa, anche per evitare ritardi nella pubblicazioni dovuti a ovvie giustificazioni.

Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche, sono tutti sempre, i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto! 

KHREM

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Capitolo 10
*** Aria di casa. ***


Erano passati un po' di giorni, prima che Ellie potesse tornare a casa sua, a causa di quei sigilli che la polizia aveva messo.
Dal giorno dell'incontro in ospedale, io non avevo più visto neanche Maria per alcuni impegni di lavoro che mi constrinsero a stare fuori città.
Riuscivo la notte con qualche minuto libero a dispozione, prima di dormire, a comunicare con una delle due per sapere come stavano andando le cose.
Avevo saputo che la mamma di Ellie, adesso veniva tenuta sotto osservazione da Maria che aveva fatto in modo di trasferirla in una clinica vicino al suo studio, un po' più seria e un po' più costosa, ma questo Ellie non lo sapeva.
Ellie credeva che fosse solamente un semplice trasferimento.
Anche lei si stava riprendendo, qualche segno era ancora visibile, ma la paura e i malesseri stavano ormai scomparendo.
«Buongiorno Signora!» esclamò Ellie entrando appena nel chiosco.
«Oh, buongiorno cara! Tu devi essere Ellie, giusto?» domandò la signora sorridente stringendole la mano.
«Si, sono io! E' incantevole qui dentro Signora Monica!»
Ellie si guardò intorno estasiata.
«Vieni cara, ti faccio vedere tutto il necessario prima di lasciare nelle tue mani questo piccolo paradiso.»
Ellie, seguì le istruzioni della Signora Monica molto attentamente.
Le diede delle dritte su come trattare con i clienti, come servirli, come capirli affondo nelle loro richieste.
«E soprattutto mia cara, ricordati che le tue mani accarezzeranno e cureranno delle piccole vite e non degli oggetti, come tante persone credono.»
«Si, Signora Monica.»
«Ricordati che questi fiori e queste piante sono come le persone: devi dar loro amore, portar loro rispetto e allora vedrai crescere qualcosa di molto speciale in loro, a partire dall'essenza che ti regaleranno.»
La Signora Monica fece una carezza al viso di Ellie «vedo nei tuoi occhi una ragazza per bene, non credo di doverti dare molte altre raccomandazioni».
Ellie aiutò la Signora Monica a prendere le sue cose «ricordati solamente che per qualsiasi cosa puoi chiamarmi, che sia giorno o che sia notte».
«Grazie infinite per la possibilità che mi sta dando! Non la deluderò!» disse Ellie stringendole entrambe le mani.
«Ne sono sicura figliola.»
Si salutarono ed Ellie rimase sola nel chiosco.
Tirò un sospiro di sollievo per essere riuscita a trovare questo piccolo lavoro e continuò a guardarsi intorno e ad ammirare tutti quei colori.
Il chiosco si trovava in un posto molto sicuro della città, pieno di gente, pieno di negozi e non era molto lontano dal mare.
Ellie era immersa nei fiori, nei loro petali e nel fresco candido di quella piccola oasi.
Bene, vediamo cosa c'è da fare sulla tabella di marcia!
Aveva ancora mezz'ora di tempo prima di aprire e così iniziò a sistemare il piccolo magazzino all'interno del chiosco.
Quei piccoli scaffali e quelle piccole dispense erano sempre tutte in disordine e la Signora Monica le aveva dato carta bianca purché tutto potesse essere finalmente sempre in ordine e pulito.
Mmm...vediamo. Qui ci sono tre scaffali, due cassetti con un piccolo ripiano e due sportelli in basso.
Quindi potrei...sistemare le varie decorazioni, nastri e fasci colorati sugli scaffali, così che sono visibili anche per i clienti...nei cassetti potrei sistemare i vari arnesi che utilizzerò per le decorazioni e le composizioni...e negli sportelli potrei mettere le varie bombolette spray, qualche bottiglia d'acqua e quei piccoli vasetti abbandonati li sotto...chissà mai possano tornare sempre utili un giorno...il ripiano...meglio lasciarlo libero. Non ci sarà mai abbastanza spazio qui dentro, ne sono sicura!
Ellie si grattò un attimo la testa guardando con soddisfazione il piccolo magazzino.
In quel momento mentre lei era di spalle, bussai alla porticina del chiosco.
Ellie aprì e vidi spuntare sul suo volto un'espressione sopresa.
«Dafne! Che cosa ci fai qui?» le sorrisi e poi le risposi «te lo dirò solo se prima mi fai entrare».
Ellie mi fece entrare e mi prese uno sgabello per farmi sedere.
«Allora?» chiese sorridendo «vuoi tenermi sulle...spine?»
Ci guardammo ridendo e poi mi decisi a risponderle.
«Sono scappata.»
«In che senso "scappata"?»
Mi avvicinai di più a lei con lo sgabello e poi le presi tutte e due le mani accarezzandole.
«Oggi è il tuo primo giorno di lavoro Ellie ed io volevo augurarti buona fortuna».
Mi guardò per un istante imbarazzata e poi distols
e lo sguardo e lasciò anche le mie mani.
«Dove vai?» chiesi.
Lei si voltò e mi rivolse un sorriso furbetto.
«Il tuo colore preferito?» mi domandò.
«Il rosso».
Ci fu un silenzio assordante per qualche minuto, scandito da qualche rumore prodotto da quello che stava facendo lei.
«Tutto bene...Ellie?»
«Perfettamente! Non aver paura!» esclamò ridendo.
Si avvicinò a me con le mani dietro la schiena e poi disse «adesso chiudi gli occhi e promettimi che qualsiasi cosa accada, tu continuerai a tenerli chiusi»
La guardai con sorriso stampato in faccia «non sono sicura di poterti fare questa promessa...» lei mi fece una smorfia «ma guarda che non ho mica intenzione di tirarti addosso una scatola di insetti...».
Mi guardò pregandomi di chiudere una buona volta gli occhi ed io cedetti e senza più controbattere mi fidai di lei e chiusi gli occhi.
Ellie iniziò a farmi cadere sulla testa dei petali rossi «ma che cavolo fai Ellie!?», quasi gridai ridendo, «non aprire gli occhi, l'hai promesso!».
Continuò a far cadere gli ultimi petali e poi non sentii più nulla.
«Adesso posso aprire gli occhi?».
Ellie si guardò prima intorno e poi mi diede il permesso.
«Ma guarda cosa hai combinato!» le dissi alzandomi e pulendomi dai petali.
«Ti sei arrabbiata?» mi chiese.
«No...certo che no Ellie. E' che non ho capito il senso di quello che hai fatto con i petali...».
La guardai un po' confusa.
«Cioè, è stato divertente, ma...».
«Ma è solo una stupida ragazzata, vero?»
«Non volevo dire questo Ellie.»
«Ma l'hai pensato...»
Mi grattai la testa mentre qualche petalo cadeva ancora a terra.
«Ellie, adesso devo andare. Devo tornare a lavoro e anche tu qui hai un gran bel da fare. E' il tuo primo giorno.»
«Lo so» mi allungò le chiavi della macchina che avevo poggiato sul bancone e poi disse «allora ciao».
Mi diede le spalle e iniziò a spolverare un po' il bancone e poi ci passò su uno sgrassatore con una pezza bagnata.
La guardai ancora un istante e ancora più confusa le dissi un "ciao" sottovoce e uscii.
Entrai nella mia auto, posai la borsa e misi in moto.
Ovviamente, come spesso mi capitava, il cellulare iniziò a squillarmi e così poco dopo dovetti accostare per rispondere.
«Che diamine sempre la solita storia...ogni santa volta che metto moto!»
Era un numero anonimo e appena dissi "pronto?" mi chiusero il telefono in faccia.
«Ma che cavolo...» stavo per mettere il cellulare di nuovo nella borsa quando vidi una scatolina, così la presi e le tolsi il fiocchetto e il coperchio.


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NOTE:
giornate un po' sottosopra le precedenti a cui devo il ritardo della pubblicazione di questo capitolo.
La pubblicazione verrà ripresa con un ritmo molto più decente, promesso. u.u



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KHREM





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Capitolo 11
*** Profumo di dubbi. [prima parte] ***



La cintura mi stava letteralmente soffocando, così la sganciai e nell'avvicinarmi di più al sedile accanto per non far cadere sotto al sedile il contenuto della scatola, i miei occhi si riflessero nello specchietto.
Non mi ero neanche accorta, presa dalla fretta e confusa dal gesto di Ellie, di avere una corona di fiori in testa.
Posai tutto e sorrisi continuando a guardarmi.
Presi con cura la corona di fiori e cercai di annusarne ogni piccola parte.
Si sentiva anche il profumo di Ellie.
Ebbi una vampata di calore fortissima che fece scottare il mio viso come carne sulla griglia.
Rimisi la mia coroncina sulla testa e mi scattai una foto.
Mi lasciai andare per qualche istante con le spalle addosso al mio sedile.
Iniziai a contemplare i raggi del sole che cominciavano a scaldare sempre di più il vetro dell'auto.
Avevo difronte a me una lunghissima giornata di lavoro, ero di rientro in città in giornata, ma sarebbe stata pur sempre faticosa e stressante.
Avevo la testa annebbiata da molti pensieri in quel periodo e stavo anche pensando di vendere quel enorme palazzo in cui portai Ellie dopo averla soccorsa.
Non mi serviva, era troppo fastoso, troppo in vista per una che voleva solo nascondersi.
Pensavo a come poter poi reinvestire i soldi ricavati dalla vendita e se mai sarei riuscita a fare in modo che ne valesse la pena.
Poi ci stavano i domestici, non sapevo ancora se dar loro modo di vivere altrove e sempre lavorando per me o se invece lasciarli andare con una buona liquidazione.
D'altronde a me i domestici non servivano.
Io amavo starmene da sola per conto mio, a casa.
Ed ora che provavo ad immaginare come sarebbe stato svegliarmi con Ellie accanto, capivo ancora di più quanto non avrei avuto bisogno di nient'altro.
Smisi per un attimo di pensare e riposi di nuovo l'attenzione sulla scatolina che avevo trovato nella borsa.
Ormai era già aperta.
La scatolina era piena di petali rossi, alcuni caduti anche nella borsa. Ancora altri "dannati" petali rossi.
Capendo che Ellie aveva deciso di farmi una sorpresa, cercai con le dita di scavare all'interno per vedere se ci fosse qualcosa ricoperto dai petali.
E così fu, ci stava un bigliettino scritto da Ellie:
"Mi hai salvato la vita e non ti ho ancora ringraziata per questo. Posso invitarti a cena da me una di queste sere? Non ti avveleno promesso! Ellie."
In quel momento, una giornata che si prospettava piena di caos, iniziò ad avere un senso.
Stavo per scrivere un messaggio ad Ellie, quando pensai che volevo sentire ancora la sua voce, e così misi il vivavoce nell'auto e mentre ripartii, il suo telefono iniziò a squillare.
Avete mai provato quella forte sensazione del cuore che sta per uscirvi fuori dal petto, mentre va a tempo con il suono degli squilli di un telefono?
E mentre sentite quegli squilli in quegli interminabili secondi, inizia a mancarvi il respiro, cominciate a cercare la sua voce tra i ricordi che avrete e su quella voce vorreste morirci volentieri, dentro.
«Vuole ordinare dei fiori, Signorina?
»
«In realtà a me non interessano particolarmente i fiori in questo momento...»
«E come posso esserle utile allora?» domandò Ellie con qul suo tono soffice.
«Vorrei parlare con una certa persona che oltre ad aver ornato la mia mente piena di pensieri, con una splendida corona di fiori, mi ha anche invitata a cena.»
La sentii quasi sorridere in quei piccoli istanti imbarazzanti ma dolci, di silenzio.
«Lei è sicura che sia la stessa persona ad aver fatto entrambe le cose?»
Io sorrisi.
«Ci metterei la mano sul fuoco.»
«E allora, cosa riferisco a questa persona? Per la cena intendo.»
Feci un piccolo respiro.
«...Che se le va bene, domani sera sarebbe perfetto.»
«Facciamo allora domani dopo le venti?» chiese per conferma Ellie.
«Va benissimo.»
«A domani, Dafne.» disse, e mentre stava per riagganciare io mi precipitai con la voce per bloccarla: «Ellie?» 
«Si?» - rispose lei.
«Grazie per la sorpresa
Ci scambiammo gli ultimi saluti e poi riagganciai.


[qualche ora dopo]


Mentre Ellie era immersa nei fiori, io ero assalita dai flash della macchina fotografica di Bernardo.
«Oggi sei particolarmente radiosa! Sei perfetta!» esclamò entusiasto lui.
Gli dedicai un sorrisone e gli diedi una pacca sulla spalla.
Lui era un uomo sulla cinquantina, che dava si, l'impressione di essere uno stronzo, ma in realtà amava così tanto il suo lavoro, da voler ogni volta spaccare il minuto con la consegna degli scatti.
Erano già un paio di anni che lavoravamo insieme e quando purtroppo subivamo un cambio di produzione, e non era lui al timone della carrellata di fotografie, io mi sentivo sempre un po' a disagio e un po' persa.
Ci punzecchiavamo parecchio durante le ore di lavoro, a volte volavano anche gli insulti tra la tensione e la pressione di dover fare tutto all'ultimo minuto, ma c'era molta intesa tra il suo modo di porre l'obiettivo e me in tutte le mie forme.
«Fra poco arriva Mario lo sai?» rise.
«Quello lì ti ha praticamente messo gli occhi addosso e mi sa che non vede l'ora di metterci anche le mani!»
Continuò a ridersela.
«Ah! Perfavore, Bernardo.»
«Lui mi guardò e poi disse: sta tranquilla, se quello inizia a rompere, lo aggiusto io!»
Andai in camerino a cambiarmi per la prossima sessione e nel mentre che aspettavo la truccatrice, iniziai a spogliarmi.
Mi tolsi le scarpe, il vestito intero che avevo addoso e rimasi in intimo per qualche minuto.
Non ero sicura di dover cambiare anche quello, e quindi aspettavo che entrasse chi di competenza per stabilirlo.
Mi spostai dal paravento per andare a prendere il mio cellulare che avevo lasciato sul mobile con lo specchio.
Lo presi e mi sedetti ad aspettare sul divanetto rosso di pelle, controllando qualche notifica e impostando come immagine del profilo, quella foto che avevo scattato in macchina di mattina.
Mi stavo rilassando un po' nell'attesa, quando all'improvviso sentii uno strano calore intorno al collo.
Mi toccai con una mano dietro, ma non avevo nulla di particolare.
Appena tolsi la mano, ebbi come la sensazione di un qualcosa di bagnato e morbido che mi toccava.
Capii subito cosa diavolo era.
Mi alzai di colpo e inziai a dare di matto.
Lui rideva e se ne stava lì, a torso nudo, a guardarmi soddisfatto.
«Che cosa cavolo hai da guardare? Va fuori di qui!»
«Dai...non te la prendere Dafne! Era solo un bacino tenero.»
«Mi fai schifo...chi ti dà il permesso di fare una cosa del genere?»
«Come sei scorbutica...»
«Vattene, ho detto!»
«Anche se sei incavolata nera...non hai idea di quanto sei sexy!»
«E' il mio camerino, cazzo! Và fuori!»
All'improvviso si aprì la porta.
«Ehi, ma che succede qui dentro?» domandò scossa Leila.
«E' Dafne che ha le sue cose...»
«Ciao Mario!» gli disse Leila ammiccando un sorrisetto malizioso e poi continuò «sai che a Dafne non piace scherzare...», mi lanciò un'occhiata aggiustandosi il rossetto agli angoli della bocca.
«Mi ha sbavato sul collo! E questo è il mio camerino!», dissi incrociando le braccia.
«Era un bacio, quello, carina.»
, disse Mario avvicinandosi a me un'altra volta.
«E ti incazzi così per un bacio, Dafne?» aggiunse Leila.
Io mi sentivo ancora il suo fiato sul collo e quella sensazione di bagnato non mi usciva dalla testa, così
, avendone abbastanza di tutti e due, presi per un braccio Leila strattonandola.
«Andate fuori tutti e due!» esclamai furiosa.
«Ehi, sta calma! Non ti preoccupare, me ne vado...» ribatté Leila.
Leila iniziò ad uscire mentre Mario, seguendola, mi mandò un bacio
«ciao amore».
«Vaffanculo idiota!» afferrai la maniglia della porta e la sbattei forte nel chiuderla.


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NOTE:
ammetto spudoratamente, che il capitolo precedente, era un po' lento, frutto di una specie di ponte che credo stia bene per rallentare un po' gli eventi della storia. Spero di essermi ripresa con questo capitolo. Se così non fosse allora la magia è finita. u.u Poi, mi è andato in tilt il program NVU che uso per l'html, quindi probabilmente il carattere risulterà più piccolo e non c'è verso stasera di metterlo a posto. Quindi, chiedo venia, poiché provvederò a sistemarlo a breve.

Puoi scrivermi per qualsiasi cosa: consigli, suggerimenti e critiche, sono tutti sempre, i benvenuti. :)

Grazie per la lettura e a presto! 

KHREM





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