Si può dimenticare come amare la Vita?

di dreamkath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Si può dimenticare come amare la Vita? ***
Capitolo 2: *** Pareti Bianche ***



Capitolo 1
*** Si può dimenticare come amare la Vita? ***


Nick EFP e FORUM: dreamkath
Fandom scelto: originale
Contesto: generale
Coppia (se presente): nessuna
Rating: giallo
Avvertitimenti/Note: nessuna
Citazione utilizzata per intero: C'era l'alba fuori. Guardo un cielo di vetro. Posso essere sincera ora davanti a tanto gelo. Non. So. Chi. Sono. – Isabella Santacroce
Note Autore: la protagonista ha dimenticato come amare la vita. Non è stata una scelta nè volontaria nè obbligata: ha lasciato che succedesse senza neanche rendersene conto. Ha permesso che "la barca dell'amore si" spezzasse "contro gli scogli banali della quotidianità". Ed è proprio la quotidianità, aiutata dall’inerzia, ad ucciderla a poco a poco.

 

Si può dimenticare come amare la Vita?

 

Silenzio, un compagno solitario fin troppo presente negli ultimi anni. Eppure, oggi, è smorzato da un leggero ronzio che mi pungola la testa. Mi irrita. È simile a un pensiero molesto che rimbalza su e giù, senza mai prendere forma: lo chiamo, ma lui preferisce nascondersi tra i dendriti del mio cervello. Forse, più che un pensiero, è un insieme di parole che, in un ieri non molto lontano, mi apparteneva. Un insieme di parole a cui vorrei poter dar voce. Parole che ho nascosto al mondo, temendo che sarebbero state respinte o che tra la cacofonia della gente si sarebbero disperse. Le ho sepolte così bene che, adesso che provo a farle emergere, mi scivolano via, precludendomi la possibilità di aggrapparmici anche solo per un istante. Se avessi il fiuto di un buon mastino, ritrovarle non sarebbe così difficile: mi basterebbe scodinzolare tra i cocci del presente per poi andare a caccia della scia del passato che ho fatto in fretta a dimenticare.

Forse basterebbe anche il naso di un comunissimo essere umano, ma, per quanto inspiri ed espiri, l’unico odore disponibile è quello dell’apatia.

Ogni persona ha un profumo che la racconta. Il mio sa dei fiori secchi lasciati nel vaso del salotto dallo scorso otto marzo. Sa dei libri comprati e mai letti. Sa dei miei “lo farò”. Sa dei miei “hai ragione”. Sa della mia noiosa “routine”.

È un profumo persistente. È un po’ come la polvere: si ostina a tornare anche se la scacci via. E ormai non tento più di sbarazzarmene. È diventato la mia droga, il mio ossigeno. Ne ho bisogno e lo assorbo inconsciamente: più lo respiro e più rimango ingabbiata in questa prigione di odori carichi d’inerzia abitudinale che mi cela al mondo esterno e mi separa dagli altri esseri umani. Più vi resto e più questi odori si cuciono sulla mia pelle, togliendomi ossigeno, corrodendo a poco a poco ciò che sono. Prima un pezzo, poi un altro e poi un altro ancora si sciolgono nell’oblio della dimenticanza. È un circolo vizioso che inibisce le mie emozioni riducendole a poco più di tre: noia, nostalgia, indolenza e, talvolta, un’inspiegabile indifferenza.

Un tempo non era così. C’erano diversi profumi. Non li ricordo, ma sono sicura di averli respirati. Davano un senso alle giornate di sole, alle risate dei bambini, alla scoperta di un nuovo fiore. Alle fiabe. Al stare in compagnia. Al lavoro. Perfino alla vita. “C'era l'alba fuori.”  Adesso, se “guardo”, “un cielo di vetro. Posso essere sincera ora davanti a tanto gelo. Non. So. Chi. Sono.”

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Capitolo 2
*** Pareti Bianche ***


Pareti Bianche


Buio, la prima cosa che penso. E il buio ha come colore il nero. Colore che il più delle volte è associato alla morte, alla cecità e al nulla.
Ed è ciò che vedo l’attimo prima di aprire gli occhi.
Il suo opposto è il bianco. Il colore delle pareti della mia camera da letto.
Colore appena verniciato che dovrebbe dare un senso di nuovo, di appena iniziato.
Eppure non è così.
Il risultato è uguale ai tentativi precedenti.
Ho provato a riempire le pareti di fotografie vecchie e nuove. Le ho rimpiazzate, non appena mi sono sembrate abituali, con pennellate di vernice dai colori più disparati.
Ma non è bastato. La sensazione di disagio è rimasta.
Ho anche tentato di lasciare tutto com’è, per cercare di assuefarmi la vista.
Ma dimenticare mi è impossibile.
Nei momenti meno prevedibili, torna a trovarmi l’esasperante sensazione di… vissuto.
Di abitudinario.
Nulla di confortante.
Solo…
soffocante.
Ieri come oggi.
È forse perché ciò che ho od ho in progetto di ottenere non ciò che voglio nel mio presente e nel mio futuro? Ciò che voglio? E cosa voglio? Troverò mai la risposta a questa domanda?
Servirebbe del tempo.
Tempo?
Avrà qualche utilità quando anche lo spazio sembra essere immutato?
Ieri come oggi, continuo a camminare per queste stanze polverose stipate di vecchi ricordi. Un piano dai tasti coperti da spartiti consunti, memorie d'istanti mezzi sbiaditi dalle nostre memorie, libri letti più di una volta e altri che attendono di essere sfogliati in giorni che dovranno ancora giungere, giornate piovose che si susseguono a quelle di sole, passi di uomini che incrociano le nostre vite senza alterarle, e passi di coloro che si fermano per qualche tempo prima di ripartire.
Ogni singolo evento sembra aggiungere qualcosa di nuovo. Un oggetto, una stanza, o, magari, una persona. Ma… perché, guardando da un’altra prospettiva, ogni singolo evento mi sembra un qualcosa di usato e vissuto (non necessariamente da me, ma da altri)?
È, forse, perché le mie emozioni non sembrano voler sbocciare qualsiasi sia la strada che mi appaia ogni passo che faccio verso il futuro? O, forse, è proprio l’angolazione da cui guado il mondo ad aver congelato il mio cuore?
Non dico che il mio cuore sia sempre un deserto privo di emozioni. Sono solo fugaci. Il tempo di vita di un petardo che sta per prendere fuoco.
Anche il mio primo amore sembra essere durato il tempo della conquista. Occhiate fugaci, sguardi ricambiati, le prime parole, i primi baci, le prime uscite. E poi la scia di un emozione in via d’estinzione.
È stato vissuto come la passione dell’attimo che deve ancora venire e poi, non appena ha messo radici, è marcito fino a non lasciare più nulla. È stato un po' come scrivere una storia riuscendo ad inventare solo l'inizio e la fine (dove l'inizio e la fine sembrano coincidere con la nascita e la morte di ogni emozione).

Dovrei alzarmi.
Lo so.
È razionale che io mi alzi.
Come tutte le mattine.
Fare colazione.
Preparare i documenti per il lavoro.
E, infine, giungere a sera con la testa piena di numeri e le caviglie gonfie per i tacchi indossati per un'intera giornata.
Ma perché inizio a credere che quello che (non) provo sia più razionale di ogni altra normalissima azione?

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