Battiti di luce

di FlamingPhoenix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dedica ***
Capitolo 2: *** Lucy In The Sky With Diamonds ***
Capitolo 3: *** L'amarezza del cuore codardo ***
Capitolo 4: *** Negli occhi di chi guarda ***
Capitolo 5: *** Sotto la pioggia ***



Capitolo 1
*** Dedica ***


Avviso importante: E' assolutamente VIETATA la riproduzione, anche parziale, di questa storia che sto scrivendo con anima e corpo, sacrificando tempo e fatica, così come è vietato "prendere ispirazione", ricopiare nomi, situazioni o frasi intere e riportarle altrove. Se scovo qualche "copiatore" lo avverto che finisce male, molto male. La storia, al momento, è stata pubblicata solo ed esclusivamente qui: doveste vederla in qualche altro sito vi prego di avvisarmi nei commenti.
Grazie. 


0. Dedica

 

Alla mia migliore amica Anna,
la mia Stella Polare

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Capitolo 2
*** Lucy In The Sky With Diamonds ***


1. Lucy In The Sky With Diamonds

"
And now all this time is passing by
 But I still can't seem to tell you why
 It hurts me every time I see you

 Realize how much I need you"
~I hate u, I love u, Gnash ft. Olivia O'Brien

 
12/09/2017
 
La scuola. Molti odiano tutto ciò che la riguarda – insegnanti, studenti e latrine perennemente sprovviste di carta igienica, che c’è da chiedersi se i bidelli non se la mangiano; alcuni la vedono come una prigione per ragazzini dalle menti superficiali e bombardate di ormoni; altri ancora, sicuramente la maggioranza della popolazione italiana sotto i sedici anni, come un’obbligatoria ed esasperante rottura di scatole. Lucy era una delle poche eccezioni. Cioè, non che adorasse incondizionatamente tutto e tutte le materie e i corsi da frequentare – talvolta anche lei si annoiava o scaraventava un quaderno di matematica contro il muro in preda alla frustrazione per un risultato che non veniva – ma a scuola aveva fatto la conoscenza e poteva incontrarsi con i suoi amici più preziosi, coloro che rischiaravano le sue giornate altrimenti vuote e dedite alla solitudine. Per questo motivo, la mattina del primo giorno del suo ultimo anno di liceo, la ragazza si era avviata verso la sua nuova classe demoralizzata e ancora barcollante dal sonno, come del resto gli altri alunni che, con gli occhi mezzi chiusi e la faccia da rimbambiti, brancolavano per i corridoi tipo zombi alla ricerca di cervelli.
A volte, Lucy si sentiva come la protagonista di un manga, la cui vita imperfetta da liceale di ordinaria bellezza e intelligenza veniva raccontata a fumetti tra delle pagine candide, nella speranza di allietare qualcuno che le avrebbe lette. Quell’idea la divertiva, anche se era troppo imbarazzante ed infantile da ammettere ad alta voce. Come un buon personaggio manga che si rispetti, la ragazza la mattina faceva una fatica assurda a scrollarsi dalle avvolgenti braccia di Orfeo. Come già accennato, era il primo giorno del suo ultimo anno di liceo, eppure aveva comunque trovato il modo di svegliarsi in ritardo. La sera prima si era dimenticata di puntare la sveglia, forse perché era ancora assorbita nella calma e svogliatezza delle vacanze estive per convincersi che fossero davvero finite. Quando sua madre era piombata in camera sua alla maniera di un terremoto, strillandole di alzarsi poiché era in un ritardo cronico, la giovane era caduta giù dal letto spaventata e si era procurata un livido al ginocchio. E quando la giornata iniziava così, poteva solo che peggiorare. Era filata in bagno a lavarsi e, mentre sgranocchiava un toast bruciacchiato, si era vestita a tempo record, ormai abituata e allenata a questa routine estrema da numerose situazioni analoghe durante gli anni scolastici precedenti. Aveva addirittura fatto in tempo a spiaccicarsi un po’ di trucco sul viso, perché va bene tutto ma non c’era verso che se ne uscisse di casa con quella faccia da cadavere senza prima ravvivarla con un minimo di blush. Lucy si era controllata allo specchio – occhi verdi e stanchi cerchiati dalle borse Chanel e Louis Vuitton, lentiggini moleste sparse ovunque e particolarmente concentrate sul naso lungo, capelli rossi e lisci che sembravano un nido di uccelli sfatto – ed era inorridita. Fortunatamente, abitava poco distante dalla scuola e non aveva quindi la preoccupazione di dover prendere un pullman probabilmente già passato da un pezzo. Prima di uscire di casa, giusto perché anche se si è di fretta non bisogna fare i maleducati, aveva accarezzato il suo gatto tigrato e ciccione Plumcake* che, con l’altezzosità e sufficienza tipica dei gatti, aveva ammiccato due volte e poi si era voltato dall’altra parte mostrandole il sedere. Antipatico.
La ragazza aveva raggiunto la sua aula e, dopo essersi accertata che il professore non ci fosse ancora, si era infilata dentro come una scheggia, silenziosamente e cercando di passare inosservata, ma la sua migliore amica Susanna non glielo avrebbe permesso.
«Non lo perderai mai il vizio di arrivare sempre in ritardo nonostante tu abbia la fortuna sfacciata di abitare a dieci minuti a piedi dalla scuola, eh Lucilla?» la rimproverò scherzosamente Susanna fin troppo ad alta voce, correndole incontro allegra e stampandole una pacca energica sulla schiena, di quelle che per poco non ti sbilanciano e fanno cadere per terra. Lei sì che era una persona mattiniera, con l’aspetto fresco e riposato, i bei riccioli castani ad accarezzarle il volto e gli occhi azzurri sorridenti. Lucy la conosceva da una vita, la loro era una grande amicizia che era nata ai tempi delle elementari per una semplice matita prestata e aveva continuato a crescere con l’età; ma, malgrado la loro intesa perfetta e magica, come riuscisse a sprizzare così di vitalità di prima mattina era per sempre destinato a rimanere un mistero irrisolto per Lucy.
«Shh Suzz, ma cosa ti urli? Dai che attiri l’attenzione di tutti... e non chiamarmi Lucilla, sai che non mi piace.» Era il suo nome per intero, ma lei preferiva mille volte il soprannome più corto e comune. I suoi genitori amavano i The Beatles e si erano ispirati alla canzone “Lucy In The Sky With Diamonds” per scegliere il suo nome, la canzone che, le avevano riferito un sacco di volte, stava suonando alla radio della macchina la sera in cui si erano dati il loro primo bacio.
«Piuttosto Suzz, dimmi che mi hai tenuto occupato il banco in fondo, ti prego.» Altra ragione per cui avrebbe potuto ritenersi l’eroina di un manga: il banco all’angolo in fondo, dove solitamente si sedeva il protagonista, era di sua proprietà, perché era il punto più strategico per nascondersi dai professori e tentare di schiacciare un pisolino. Non importa chi o per quale motivo, chiunque avesse provato a rubarglielo sarebbe andato incontro all’ira funesta della Pelide Lucy (no, suo padre non si chiamava Peleo).
«Certo carissima! Cosa faresti se non ci fossi io? Siamo una accanto all’altra.» rispose la sua migliore amica con tono compiaciuto. La giovane la abbracciò in un moto di gratitudine e poi si abbandonò come un sacco di patate e con un sospiro di sollievo sulla sedia del suo nuovo banco. Non notò subito il sorrisetto furbo e decisamente inquietante disegnato sul volto di Susanna, che si era chinata verso di lei per sussurrarle maliziosa all’orecchio «E indovina chi c’è nel posto davanti al tuo?»
Ricapitolando, l’ipotetica vita da manga ruotava attorno alla ragazza amabile e onesta, calamita di disastri e avventure, che avrebbe catturato la simpatia e l’appoggio dei lettori, la migliore amica burlona e affettuosa ed il posto all'angolo. Quale cosa fondamentale mancava ancora? Lo avrete già capito: il figo di turno di cui la protagonista era perdutamente e senza speranza innamorata. E questo “figo” si chiamava Joele.
«Ciao Lucy!»
Due mani grandi, morbide e dalle dita affusolate da musicista sbatterono sul banco, facendo sobbalzare Lucy dalla paura. Prima ancora di sollevare lo sguardo, sapeva a chi apparteneva quella voce calda e profonda, con un ritmo lento e delicato, a cui il suo cuore reagiva come un tamburo percosso all’impazzata in un antico rituale sciamanico. Il sole puoi anche non vederlo, ma lo senti, e lui era il suo sole.
«Ciao Lele.» ribatté con tono appena tremolante. Quattro anni trascorsi assieme come compagni di classe e amici, eppure non riusciva ancora a non farsi prendere dal panico ogni volta che gli doveva rivolgere la parola. Lui le sorrise e a lei parve di sentire il proprio cuore sgonfiarsi come un palloncino. Eccolo lì, il principale motivo per cui a Lucy piaceva andare al liceo.
«Pronta per questo nuovo anno?»
«Non vedo l'ora.»

*Questa storia, purtroppo per l'autrice, non è sponsorizzata dalla Mulino Bianco.

N/A: Ciao! Innanzitutto vi ringrazio per aver deciso di dare un'occhiata a questa storia, la mia prima originale in assoluto (spero non si dimostrerà un fiasco). Come noterete, ogni capitolò sarà introdotto da alcuni versi di canzoni attinenti e a me molto care. Aggiornerò ogni giovedì sera. Che dire, buon proseguimento di lettura!

-FlamingPhoenix
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** L'amarezza del cuore codardo ***


2. L'amarezza del cuore codardo


"E fa male, sì ma non ci devi pensare
 Nella mia testa c’è una tempesta
 E non è temporaneo questo temporale

 Sbaglio a chiamare, sbaglio chi amare"
~Irraggiungibile, Shade ft. Federica Carta


07/10/2017
 
«Perché mi guardi così?» le chiese Joele ridendo, un po’ per l’espressione buffa di lei e un po’ per l’ebrezza dovuta all’alcool. Nonostante il frastuono della musica nella discoteca, Lucy percepì chiaramente la sua voce, che manteneva come sempre un timbro caldo e profondo, che non mancava mai di causarle brividi lungo tutta la schiena. Appoggiata alla parete, in un angolo scuro e appartato della sala, ammirava le lame di luce colorata provocate dalla strobosfera danzare sul viso del ragazzo. Chiunque avrebbe notato, avrebbe capito, anche solo osservando l’espressione sul volto di lei in quel momento, i suoi sentimenti. Chiunque, tranne lui.
Le belle labbra della ragazza erano leggermente curvate all’insù, gonfiando le paffute guance rosee. Ma gli occhi, i suoi occhi luccicanti erano ciò che la tradivano, che rivelavano impudicamente la sua anima in fiamme. Erano colmi di tenerezza, affetto e tanto, incauto amore… e desolata tristezza. Lo guardava come fosse una meraviglia del mondo, come un’opera d’arte dal valore inestimabile, inavvicinabile e irraggiungibile per lei, semplice ragazza che era, uguale a migliaia di altre.
‘Perché ti amo’ avrebbe voluto rispondergli, ma la paura di essere respinta, forse disprezzata e allontanata, era troppo forte. Sentì un groppo alla gola e gli occhi bruciare per la rabbia e il dolore, detestandosi per la propria impotenza, per essere così… così. Non poteva perdere il suo amico più prezioso, colui che amava silenziosamente da quattro anni ormai, solo per i propri avidi, egoisti sentimenti. Perciò, mentre lo sguardo di Lucy vagava per la sala, le sue labbra si dischiusero a formare una sola, piccola, tormentata parola «Nulla».


 

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Capitolo 4
*** Negli occhi di chi guarda ***


3. Negli occhi di chi guarda


"Maybe tonight I'll call you
 after my blood turns into alcohol,
 Oh I just wanna hold you"

~Give me love, Ed Sheeran
 
07/10/2017
 
Lucy lo osservava ballare nel mezzo della sala, bagnato dalla luce fluorescente dei riflettori, insieme ad un gruppetto di ragazze civettuole e un po’ ubriache. Era sempre stato così: lui al centro dell’attenzione di tutti, grazie al suo bell’aspetto e alla sua personalità accattivante; lei abbracciata dalle ombre, spettatrice di tutto e protagonista di niente. Non fraintendiamoci: non era quel genere di persona che disprezzasse le feste o stringere nuove amicizie, semmai il contrario, semplicemente non era nel suo stile mettersi in mostra, né tantomeno essere la social butterfly della situazione. Tuttavia, in momenti come quello, quando la gelosia la divorava da dentro, azzannandole il cuore e stringendole lo stomaco, non poteva fare a meno di schermirsi e cercare la solitudine. Era più forte di lei, essere gelosa di qualcosa – qualcuno – che non era nemmeno suo.
La ragazza stava distrattamente dondolando il cocktail che aveva in mano, un nettare arancio vivo, bello da vedere e dolce da gustare, mentre vagava con la mente da tutt’altra parte, quando i suoi nervi si misero all’allerta. Prima la raggiunse il suo profumo, simile all’odore del bucato steso ad asciugare durante una giornata di sole e il muschio umido dopo una tempesta; poi arrivò lui, le guance leggermente rosse e il viso reso lucido dal sudore. «Che fai qui tutta sola?» le chiese Joele ridacchiando e, senza attendere risposta, aggiunse «Io devo lavarmi le mani.» Non c’era bisogno che glielo domandasse, la giovane lo stava già seguendo verso la toilette. Ovviamente, da una parte voleva approfittare dell’occasione per passare un attimo da sola con lui, dall’altra era seriamente preoccupata che l’amico non fosse abbastanza sobrio per scendere gli scalini senza cadere.
Davanti allo specchio, Lucy si perse, come tante altre volte, ad ammirare il volto riflesso di lui. Alcune ciocche di morbidi capelli neri, in cui sognava di affondare le sue dita ed accarezzare, si attorcigliavano dolcemente sulla sua fronte abbronzata, dandogli un’aria da bambino innocente. Gli occhi, tuttavia, sormontati da folti sopraccigli scuri, brillavano quasi sempre di una luce maliziosa e provocatoria. Non erano di un blu marino né di un grigio misterioso, ma di un comune marrone cioccolato, che riusciva lo stesso a trasmettere molteplici emozioni; accaldata confusione nel caso della ragazza. A lui non era mai piaciuto il suo naso, si lamentava spesso della sua grandezza, ma lei lo trovava perfetto per la forma del suo viso e più volte aveva immaginato di dargli un tenero bacio eschimese. Le labbra, poi, erano un magnete per lo sguardo. Idratate e della spessore giusto, lievemente circondate dalla peluria dei baffi, promettevano morbidezza e sensualità. Una volta lei le aveva sfiorate con il polpastrello del pollice ed il suo ferreo, temprato autocontrollo aveva vacillato.
«Non funziona.» esclamò il ragazzo, con un tono a metà tra l’infastidito e l’incredulo, passando ostinatamente le mani sotto l’asciugatore automatico.
«Genio del male, non è attaccata la spina alla presa di corrente!»
«Oh, è vero. Sei proprio intelligente.» Scoppiarono entrambi a ridere. Era ubriaco, eppure il sorriso che le rivolse era tanto luminoso e sincero quanto da sobrio. 
«Sei una vera amica, lo sai?»
Una fitta al cuore «Lo so.»

 
 

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Capitolo 5
*** Sotto la pioggia ***


4. Sotto la pioggia

"It's too cold
For you here and now
So let me hold
Both your hands in the holes of my sweater"

~Sweater weather, The Neighbourhood
 
19/10/2017
 
Nel piazzale del liceo, al termine delle lezioni, gli studenti creavano uno sciame caotico e rumoroso. Sotto la pioggia inaspettata e scrosciante, spinta di traverso dal vento gelido, c’era chi, con lo zaino in testa per ripararsi, correva verso il pullman per non rimanere a piedi, sgomitando di qua e di là tra la folla, e chi si rifugiava nell’asciutto della propria auto o in quella dei genitori.
Lucy, che da sempre amava sia la pioggia che il caos, al riparo sotto il porticato dell’edificio, osservava ammaliata la scena ed ascoltava il concerto delle gocce d’acqua che si schiantavano con violenza sull’asfalto. Quando, però, i suoi occhi si posarono su una figura in particolare che, inerme sotto il diluvio, si affrettava lungo la strada, le sue gambe scattarono automaticamente in quella direzione, quasi scivolando nella discesa frenetica della rampa d’ingresso della scuola.
«Ciao Lele!» esclamò la ragazza una volta raggiunto l’amico, senza riuscire a mascherare nel tono di voce lo stupore e, soprattutto, la felicità di vederlo. Si strinse a lui, così da riuscire a coprirlo con il suo ombrello bianco a pois blu. «Niente moto oggi?»
Joele possedeva una Ducati Supersport rosso fiammante, con cui varcava pressoché tutte le mattine il cancello del liceo rombando con vanto agli altri studenti a piedi. Quella motocicletta l’aveva denominata “la sua bambina” e la sfoggiava con particolare orgoglio e gelosia; l’aveva ricevuta come regalo al suo diciottesimo compleanno dai genitori, che non erano per niente messi male finanziariamente. Pur provenendo da una famiglia agiata, il giovane non era né arrogante né viziato, anzi, era molto più modesto e coi piedi per terra di altri allievi, e ciò contribuiva alla sua già cospicua popolarità tra le ragazze.
«Con questo tempo da matti ho preferito venire in autobus.» Le sorrise e le sfiorò la mano con la sua prima di afferrare il manico dell’ombrello così da tenerlo lui, per galanteria ma anche per sollevarlo più in alto; vista la loro notevole differenza di statura, infatti, lui stava prendendo dentro con il capo la cupola dell’arnese. «Adesso però torno a casa con mio padre, mi aspetta in macchina in fondo alla via.»
«Ah ah» annuì la ragazza, subito dopo schiaffeggiandosi mentalmente per quella risposta da ebete. Il fatto è che, anche il minimo contatto fisico con lui la metteva talmente in soggezione da minacciare di farle andare in tilt il cervello. Tutto era rosa e fiori, almeno parlando del suo autocontrollo, quando non lo toccava, quando loro due rimanevano separati da un muro d’aria che raffreddava i suoi bollenti spiriti. Ma in quello spazio ristretto sotto l’ombrello, con le loro spalle premute l’una contro altra e il profumo agrodolce della sua pelle mescolato all’odore di asfalto bagnato che le aleggiava attorno, la giovane si sentiva come Superman alle prese con la sua più grande debolezza, la Kryptonite. Perché sì, in effetti Joele era proprio quello per lei, la sua Kryptonite. ‘Datti un contegno’ si ammonì mentalmente, mentre il cuore le sbatteva furioso contro la gabbia toracica, come volendo evadere dalla sua prigione per arrivare all’amico e azzerare definitivamente la distanza che li divideva. Lei, tuttavia, si era ripromessa più volte che mai e poi mai avrebbe permesso ai suoi sentimenti di rovinare la loro serena amicizia. Era già in uno status previlegiato rispetto ad altre ragazze con una cotta per lui, perché non riusciva proprio a farselo bastare?
«Allora ti accomp-» stava aggiungendo Lucy, per rompere il silenzio da lei prolungato mentre rimuginava sul da farsi con il capo abbassato, ma, voltandosi verso l’amico, le parole le morirono in gola – un’altra volta. Lui era chino su di lei e la fissava con intensità, con gli occhi assottigliati in due fessure, come se stesse esaminando qualcosa di strano, nuovo e preoccupante. Le punte dei loro nasi si sfioravano appena.
«Va tutto bene? Non è da te essere poco loquace, e sei anche tutta rossa. Non sarai mica…» spalancò gli occhi, come se la verità fosse finalmente venuta a galla tra i suoi pensieri, e la ragazza si sentì pervadere da un terrore irrazionale. Che avesse unito i puntini e indovinato i suoi sentimenti, per dello stupido imbarazzo, dopo tutti quegli anni che li nascondeva efficacemente? Era forse quella, la fine?
«...sul punto di ammalarti!?» proruppe lui allarmato, mettendole una mano sulla fronte per misurarle la temperatura corporea. «Lo sapevo, sei calda. E’ per colpa mia, perché per ripararmi con il tuo ombrello ti stai bagnando per metà.» Le accarezzò la guancia, spostandole una ciocca di capelli umidi che le si era incollata allo zigomo. «Come al solito, sei fin troppo gentile nei miei confronti. Grazie Lucy.» Detto ciò, Joele le smollò l’ombrello e corse via sotto la pioggia, ridendo e ululando un “a domani” al vento, e la giovane non trovò nemmeno le forze per fermarlo. I suoi pensieri erano ridotti a un groviglio indistinto. Era rossa? Visibilmente. Accaldata? Eccome, ma per una febbre ben diversa da quella ordinaria. Bagnata? Senza dubbio, e non solo a causa del diluvio. E dire che, normalmente, era lei quella ingenua e lui quello pervertito… l’amore era un bel problema. 

 
 
 

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