Come un lampo nel buio

di Myrddin Emrys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Inghilterra, autunno 1902
Uscì dalla biblioteca con i libri sotto il braccio, alzò lo sguardo al cielo e capì che presto avrebbe iniziato a piovere.
            Londra era nota per il clima rigido e lui lo aveva imparato sulla propria pelle. Ormai ci aveva quasi fatto l’abitudine: da due anni soggiornava nella metropoli e ancora vagheggiava il tepore di casa. Ma fintanto che non avesse conseguito la laurea, tornare in Italia sarebbe rimasto un sogno.
            Suo padre, esponente della fiorente e benestante borghesia toscana, aveva acconsentito al suo desiderio di terminare gli studi a Londra, dove valenti scienziati insegnavano la moderna medicina.
            Il ventesimo secolo era appena iniziato e Corrado voleva essere al passo con i tempi.
Il suo desiderio di diventare medico si stava realizzando e già si vedeva rientrare a Firenze con il dottorato in tasca, pronto a svolgere la propria missione. Perché così considerava lo struggente desiderio di curare la gente. Aveva visto fin troppo da vicino le tragedie accadute nella propria famiglia per rimanerne indifferente. Sperava, studiando medicina, di poter contribuire ad arginare le sofferenze umane e donare speranza in una vita più dignitosa e longeva.
            In lontananza vide sopraggiungere il tram e serrando i libri sotto il braccio corse verso la fermata. Forse avrebbe fatto in tempo a rientrare a casa senza bagnarsi, così da non sentire i rimbrotti di Lady Cecil che lo ospitava. Era una vedova in là negli anni, ancorata alle vecchie tradizioni e odiava vedere l’ingresso di casa sporco di fango.
            Stava correndo lungo il marciapiede, quando da un angolo sbucarono improvvise quattro figure.
Impossibilitato a fermarsi in tempo per non travolgerle, terminò la corsa addosso a due uomini, i quali barcollarono sotto l’impeto dell’urto, cadendo rovinosamente a terra. Corrado mise avanti le mani, ma si ritrovò addosso a uno degli uomini, che attutì la sua caduta facendogli da materasso.
Costernato, sbatté le palpebre e rimase a fissare il volto sbalordito e sofferente del ragazzo steso sotto di sé.
«Scusatemi tanto.» mormorò mortificato.
            L’altro uomo caduto a terra si rialzò di scatto, il viso paonazzo, mentre gli altri due iniziavano a gridare in una lingua per Corrado incomprensibile. Gli occhi a mandorla gli fecero capire che erano orientali, ma da quale paese provenissero non poté intuirlo.
Stava ancora osservando il volto disorientato del giovane che aveva travolto nella foga della corsa, quando all’improvviso si sentì afferrare per le braccia e tirare su con prepotenza. Gli altri due uomini si chinarono sul ragazzo per aiutarlo a rialzarsi, continuando a parlare con tono preoccupato e concitato, e in quel frangente Corrado si accorse che l’incidente aveva richiamato l’attenzione dei passanti.
«Tutto bene?» s’informò un signore che faceva sfoggio di due grossi baffi.
«Sì, grazie.» rispose Corrado grattandosi la nuca.
            Gli occhi gli caddero sui libri caduti a terra e con un gemito si chinò per raccoglierli. Un secondo dopo vide il tram sparire dalla visuale e sospirò.
D’un tratto si sentì afferrare di nuovo per un braccio da uno degli orientali, più precisamente quello che aveva travolto nella caduta e che lo aveva rimesso in piedi, che con tono brusco gli intimò:
«Prego, tu chiede perdono Sua Eccellenza.»
«Sua Eccellenza?» ripeté senza capire.
            L’inglese parlato da quegli uomini aveva un accento strano e Corrado pensò di aver capito male.
Osservò il ragazzino, a suo avviso un adolescente che non poteva avere più di quattordici o quindici anni, e si accorse che lo fissava con aria offesa. In quel momento prese coscienza che gli altri tre lo trattavano con deferenza e arguì che si trattasse di qualche rampollo facile al risentimento.
Tuttavia lui si era già scusato, per quale motivo avrebbe dovuto farlo di nuovo?
«Prego, chiede tu perdono.» insistette l’uomo con tono burbero.
            Corrado si guardò intorno, i passanti che venivano allontanati da uno degli orientali con modi affabili, e tornò a osservare il ragazzino. Se scusarsi avesse significato poter tornare a casa prima che piovesse, non aveva nulla in contrario a farlo di nuovo.
«Mi spiace, non l’ho fatto apposta.»
            Il ragazzo strinse gli occhi e quel semplice gesto fece scattare qualcosa negli altri tre, che si irrigidirono all’istante, pronti a fare qualcosa che Corrado non capì. Poi, però, l’espressione del giovane mutò e sul volto apparve un tenue sorriso.
A quel punto i tre accompagnatori parvero rilassarsi e il rampollo mormorò in un quieto rimbrotto:
«La prossima volta state più attento.»
            Corrado si ritrovò ad annuire e il ragazzo continuò incuriosito:
«Non siete inglese, vero?»
«Infatti; sono italiano. E voi?»
            Quella domanda tornò a far irrigidire i tre orientali, ma un semplice gesto della mano del ragazzo li tenne a bada.
«Nihonjin desu. Sono giapponese. Il mio nome è Hideyori Yukihito.» si presentò con un inchino appena accennato della testa.
«Hido... Hido...» ripeté Corrado incerto.
«Hideyori.»
            Impossibilitato a capire, alla fine si presentò a sua volta:
«Corrado Bardi.»
«Coadu...»
«Corrado. Corrado Bardi.» ripeté.
            A quel punto entrambi sorrisero e l’italiano approfittò per chiedere:
«Spero non vi siate fatto male nella caduta.»
«Sto bene. Vi auguro una buona giornata.» salutò piegando appena la testa.
            Corrado aprì la bocca per ribattere, per poi richiuderla quando vide i quattro uomini allontanarsi impettiti, senza più degnarlo di attenzione.
«Buona giornata anche a voi.» mormorò a nessuno in particolare.
            Con lo sguardo li vide camminare lungo il marciapiede fino a un palazzo tipicamente vittoriano dove ondeggiava al vento la bandiera giapponese. Rimase immobile, indifferente alle prime gocce d’acqua che avevano iniziato a scendere e solo quando prese coscienza che i libri avrebbero potuto bagnarsi si risolse a correre in direzione di casa.
 
***
 
«Sul serio?»
«Sì.» rispose Corrado scrollando le spalle. «Non avevo mai visto un giapponese così da vicino.»
            I ragazzi che seguivano le lezioni di anatomia insieme a lui lo ascoltarono con espressione interessata.
            Il professore stava spiegando il modo di eseguire un corretto esame autoptico mentre un assistente disegnava su una lavagna, anticipando quello che a breve gli studenti avrebbero visto dal vivo sezionando un cadavere.
«È vero quello che si dice?» domandò un ragazzo curioso, con tono sommesso.
«Cosa?» chiese Corrado.
«I cinesi asseriscono che i giapponesi siano in realtà delle scimmie.»
            A quella affermazione, alquanto pittoresca, Corrado abbozzò un sorriso e rispose:
«No, non credo. All’apparenza sono uguali a noi.»
«Uguali?» intervenne un altro ragazzo con una punta di disprezzo. «Pensate che siano uguali a noi?»
            Corrado lo guardò a lungo, non comprendendo quell’astio e precisò:
«Ho detto “all’apparenza”, Michael.»
            L’altro arricciò il naso e sogghignando mormorò:
«Non è che pensate che anche i negri siano uguali a noi, vero?»
            Corrado serrò le labbra e preferì concentrarsi su quanto stava spiegando il docente. Perché Michael gli stava facendo quelle domande assurde? Aveva solo raccontato quanto gli era successo il giorno prima e l’amico stava rigirando le sue parole su un terreno che lui non aveva nessuna voglia di percorrere.
Avrebbe fatto meglio a tacere.
            Michael gli si accostò maggiormente e sussurrò:
«Voi italiani siete proprio gente strana, non c’è che dire.»
            Corrado si irrigidì, ciò nonostante non replicò. Gli era occorso più di un anno per farsi accettare dal circolo degli studenti di medicina e non desiderava essere cacciato via solo per aver raccontato un aneddoto privo di importanza.
            A ventidue anni sperava solo di terminare presto gli studi e poter esercitare la professione di medico il prima possibile. Desiderava rientrare a Firenze e farsi una posizione rispettabile per sdebitarsi con il padre che lo manteneva agli studi.
Non che la sua famiglia fosse indigente, tutt’altro. Erano ricchi come tutti i banchieri, però lui aveva insistito per percorrere una strada diversa da quella del contabile e suo padre glielo aveva concesso solo dopo aver visto la moglie morire per mano di dottori incapaci.
Corrado sapeva che, se avesse fallito, suo padre non lo avrebbe più guardato in faccia e da quando era giunto a Londra non aveva fatto altro che stare chino sui libri per dimostrare che un dottore dotato di nuove conoscenze avrebbe potuto fare la differenza.
«Stasera ci sarà una riunione al circolo per parlare della scoperta della dottoressa Curie.» proseguì Michael raddrizzando la schiena. «Ci sarete?»
            Corrado sorrise e picchiettando la penna sul tavolo rispose:
«Sì, se ci sarà anche la birra.»
«Quella non manca mai.»
«Allora chi sono io per fare eccezione?»
L’amico indicò la lavagna, dove l’assistente del professore aveva disegnato un utero sezionato e sogghignò:
«Meglio essere nati uomini.»
 
***
 
            Con Michael e altri studenti, Corrado attraversò il giardino per dirigersi all’aula dove si effettuavano le autopsie, controllando che il fazzoletto fosse imbevuto di profumo per mitigare l’olezzo dei corpi in putrefazione. Doveva farci l’abitudine, poiché non era detto che avrebbe esercitato solo in città: avrebbero potuto richiedere il suo aiuto su un campo di battaglia e in quella occasione il puzzo era perenne.
E tuttavia quell’odore gli riusciva difficile da metabolizzare. Quel pomeriggio avrebbe assistito alla sezione di una donna che era morta con in grembo un feto: quello che maggiormente gli interessava era il feto, poiché gli organi, privi di grasso, erano perfetti da studiare.
            Sotto il porticato si imbatté in altri gruppi di studenti, alcuni dei quali si dirigevano sul fiume Cam per esercitarsi in previsione dell’annuale gara di canottaggio e lì, all’improvviso, Corrado incrociò di nuovo il ragazzo giapponese con i tre accompagnatori.
Rallentò l’andatura per essere certo che fosse lui e per un attimo il suo sguardo incontrò quello di Hideyori. Questi si limitò a osservarlo, per poi proseguire con le guardie del corpo lungo il porticato.
«Non ditemi!» esclamò Michael dando una gomitata a Corrado.
            L’italiano si concentrò sull’amico e si accorse che tutti stavano fissando i quattro giapponesi mentre sparivano dalla vista.
«Erano loro?»
«Sì, sono quasi sicuro.»
«Quasi?» sogghignò Michael.
            Corrado chinò appena la testa, non riuscendo a capire. Cosa faceva un adolescente al Trinity College? Ora ammettevano persino i ragazzini?
«A guardarli così,» riprese Michael pensieroso, «somigliano ai cinesi. Questi giapponesi, però, non portano i capelli legati a treccia.»
            Corrado si domandò se Hideyori l’avesse riconosciuto, per poi supporre che, se così fosse, lo avrebbe di certo salutato. Pertanto lo rilegò in un angolo della mente e insieme con gli altri si diresse all’aula di anatomia.
 
***
 
            Era buio quando prese l’ultimo taxi diretto a Londra. Era stanco, eppure accarezzò i libri e ripensò alla discussione avuta con i ragazzi sulla scoperta fatta dalla dottoressa Curie.
Quello che lo aveva sconvolto non era il fatto che fossero scettici sulla scoperta dei fenomeni radioattivi, bensì la riluttanza dei suoi coetanei nei riguardi di una donna. Sostenevano che un essere inferiore all’uomo non meritasse di essere elevato al rango di dottoressa, sebbene negli ultimi anni molte ragazze avessero deciso di emanciparsi dedicandosi allo studio.
Lui non ci trovava niente di male, eppure nei circoli le donne non erano ancora ammesse.
            Quando giunse a casa, la proprietaria stava già dormendo ma la nipote era ancora in piedi.
«Siete arrivato, finalmente!» esclamò la ragazza alzandosi dalla sedia e andandogli incontro nell’ingresso.
«Buonasera, Rosemary. Come mai siete ancora alzata?»
«Vi stavo aspettando.» rispose lei con un sorriso civettuolo.
            Gli prese la redingote e l’appoggiò all’attaccapanni, mentre lui si toglieva i guanti e li adagiava sulla cassapanca a ridosso di una delle pareti.
«Siete rimasto al circolo?» s’informò lei con tono vivace.
«Sì. Abbiamo discusso su una scoperta recente.»
«Una scoperta interessante?»
«Direi di sì.»
            Mise il piede sulle scale che conducevano al piano superiore, ma la ragazza non aveva nessuna voglia di lasciarlo andare.
Si era reso conto che Rosemary aveva un debole per lui e avrebbe anche potuto abusare della situazione; tuttavia non voleva rovinare il buon rapporto che aveva con la padrona di casa. Certo, la sua bellezza delicata, chiara, lo affascinava e quando lei non lo guardava ne approfittava per studiarla e immaginare le proprie mani sul quel corpo sottile.
«Non volete mettermi al corrente? Magari dinanzi a una tazza di buon tè?»
            Corrado esitò, osservando l’orologio a cucù attaccato alla parete dell’ingresso segnare le undici di sera. Non era tardissimo, però era stanco e la mattina dopo doveva alzarsi presto per tornare alla biblioteca e studiare.
«A essere sinceri, sono piuttosto spossato.»
«Ricordate il ricevimento che si terrà tra due giorni a casa di Lord Maurice Spencer?»
            Corrado inarcò un sopracciglio, ammirando la tenace sfrontatezza della ragazza.
«Ricordo che siete stata invitata e che la cosa vi ha resa felice.»
«Sì, certo. Avrò bisogno di un cavaliere.»
            Il sottinteso era a tal punto ovvio che Corrado sorrise, mettendo mano al corrimano.
«Io sono solo il figlio di un banchiere italiano.»
«La vostra famiglia è antica.»
«Vero, ma noi siamo un ramo cadetto. La famiglia principale si è estinta. Pertanto, come potete ben arguire, non sono nobile.»
            Lei piegò graziosamente la testa di lato e lo guardò con i suoi grandi occhi azzurri ai quali Corrado non sapeva dire di no.
Il ragazzo indugiò, alzò lo sguardo al soffitto e sorrise, capitolando.
«Va bene. Se non ci saranno problemi, vi accompagnerò.»
«Non ci saranno.» assicurò lei illuminandosi.
            Corrado accennò un saluto e salì le scale rischiarate da alcune lampade a olio poste sopra delle applique.
Rosemary sorrise mordendosi le labbra e dopo aver fatto una giravolta corse in camera propria con esuberanza quasi fanciullesca.
 
***
 
            Hideyori prese il bokken e si mise in posizione: davanti a lui Morikawa Hiroyasu, suo maestro di kenjutsu, nonché guardia del corpo e samurai tra i più fedeli, afferrò un altro bokken con entrambe le mani.
            Ai lati del tatami c’erano altri due samurai inginocchiati che seguivano con attenzione la lezione. Erano gli stessi uomini che lo accompagnavano ovunque, pronti a sacrificare la vita per lui.
Hideyori non era un ragazzo qualunque: era il nipote dell’ultimo Shōgun Tokugawa.
Con l’apertura del Giappone all’occidente, le famiglie più in vista avevano mandato i loro figli a studiare all’estero per assimilare le diverse culture, anche se nel loro intimo continuavano a tenere alte le millenarie tradizioni. Sebbene i samurai sulla carta non esistessero più, gli uomini seguitavano ad allenarsi nello stesso modo dei loro padri, fieri di poter servire il loro imperatore.
            Liberi di potersi muovere meglio con i kimono che non con gli abiti occidentali, Hideyori e Morikawa si fronteggiavano con abilità, riportando in vita le tecniche dei maestri samurai. Per quella occasione le spade non erano le katana, bensì i bokken, fedeli riproduzioni di legno delle armi vere.
            Per un paio d’ore combatterono emettendo grida che laceravano il silenzio incontrastato della stanza, sotto lo sguardo degli altri due uomini, anch’essi in kimono.
Alla fine, Morikawa s’inchinò davanti al suo signore e scese dal tatami con la fronte imperlata di sudore.
«Se voi parlaste bene l’inglese come usate la spada, sareste perfetto.» lo elogiò Hideyori consegnando il bokken a uno dei due samurai in attesa.
            Morikawa sorrise e s’inchinò di nuovo, accettando il complimento.
Non si era ancora perdonato l’episodio del giorno prima, quando l’italiano aveva travolto lui e Hideyori e c’era mancato poco che estraesse il pugnale per ucciderlo seduta stante. Non era concesso girare per le strade con la spada, ma sotto la redingote portava sempre il pugnale per poter difendere il suo signore.
E il giorno prima, quando aveva visto l’italiano nicchiare nel chiedere scusa, era stato sul punto di lavare l’onta nel sangue. Invece Hideyori lo aveva fermato, sicuramente per non provocare un incidente diplomatico.
Sentiva ancora addosso la vergogna di non essere stato in grado di proteggerlo e di non aver capito che colpendo l’italiano avrebbe peggiorato la posizione del suo signore.
«Domani tornerete a Cambridge?» s’informò.
«No. Ho del lavoro da svolgere qui all’ambasciata.»
            Morikawa annuì e fece cenno agli altri due di lasciare la stanza. Quando furono soli, il samurai si asciugò il sudore dalla fronte e disse:
«Siamo arrivati solo da tre giorni: mi piacerebbe vedere la città.»
            Hideyori fece un cenno con la mano e concesse:
«Fate pure. Non sentitevi in dovere di seguirmi ovunque.»
            L’altro abbozzò una smorfia e borbottò qualcosa.
«Smettetela. Non sono più un bambino, ormai ho ventun anni e so cavarmela da solo.»
«Sì, lo so. Ma Hideyori-sama mi ha messo a vostra protezione ed io sono un samurai.»
            Hideyori chiuse un attimo gli occhi e con il pensiero volò a Tōkyō, dove viveva la sua famiglia.
Suo padre faceva parte dell’attuale governo e quando gli aveva espresso il desiderio di studiare a Londra per migliorare il proprio inglese, il genitore non si era opposto. Fin da piccolo sua madre, una Tokugawa, gli aveva messo a disposizione un precettore di lingua inglese affinché assimilasse il più possibile la mentalità occidentale e lui era cresciuto ascoltando le gesta di re e regine di paesi lontani.
Ora, diventato adulto, la smania di vedere con i propri occhi il mondo occidentale era diventata realtà, sebbene non si trovasse in Inghilterra per diletto bensì per studio.
Il vento di emancipazione che da molti anni soffiava, portava con sé la promessa di un futuro migliore e Hideyori voleva rendersi utile per migliorare il proprio paese.
            Comprendeva la curiosità di Morikawa; anche lui era rimasto a bocca aperta appena sbarcato a Southampton e durante il tragitto in macchina che lo aveva portato fino a Londra, era rimasto ammutolito di fronte alle maestose costruzioni in mattoni. Tutto era diverso dal Giappone.
«Desidero anche io scoprire le bellezze di questa città, tuttavia prima devo assestarmi. Non vorrei comportarmi in maniera sconsiderata verso questi occidentali.» commentò.
            L’altro chinò appena la testa, quindi assentì.
«Avete ragione. Meglio non perdere la faccia davanti a questi barbari.»
«Hiro-san,» lo chiamò usando il nomignolo che dimostrava la loro amicizia, «non usate mai quel termine dinanzi agli occidentali. Alcuni di loro parlano la nostra lingua. Mi dispiacerebbe ordinarvi di fare seppuku
            Il samurai strinse le labbra, gonfiò il petto e s’inchinò.
«Perdonate la lingua di questo vostro umile servo.»
            Hideyori sorrise, ben sapendo che il seppuku era stato abolito come pena corporale e, ciò nonostante, ancora in auge tra i samurai più tradizionali.
Sciolse la hachimaki dalla fronte, porgendola all’amico.
«Per oggi è sufficiente.» concluse uscendo dalla stanza.
 
***
 
            Corrado scese dal tram e si avviò lungo il marciapiede per raggiungere la biblioteca. Si fermò un attimo all’angolo con la strada che portava all’ambasciata giapponese e gettò uno sguardo al complesso. La Hinomaru sventolava lieve e alcuni soldati erano di picchetto.
            Esitò e alla fine si avvicinò per osservare meglio il palazzo.
Ai lati della strada gruppi di bambini chiedevano l’elemosina nei loro abiti lerci e strappati e Corrado cercò nel taschino un po’ di spiccioli. L’aria era fredda e gli si strinse il cuore nel vedere i loro piedi nudi più neri del carbone. Lasciò i soldi e quelli gli si misero alle costole, parlando e allungando le mani per toccarlo nella speranza che donasse di più.
«Ecco, questo è tutto, non ho altro.» dichiarò allargando le braccia.
            I bambini provarono a tirarlo per la redingote e alla fine Corrado dovette alzare la voce per mandarli via.
Quando riuscì a raggiungere l’ambasciata, si accorse di avere gli abiti sporchi e imprecò sommessamente. Se fosse andato diretto alla biblioteca, tutto quello non sarebbe successo.
Eppure la curiosità era stata più forte e ora che si trovava lì si accorse che i giapponesi di guardia lo fissavano per capire cosa avesse in mente. Erano armati fino ai denti e Corrado scrutò con una certa apprensione le lunghe spade che pendevano al loro fianco.
            Alzò lo sguardo oltre il porticato, verso le finestre ai piani superiori, senza riuscire a vedere nulla. Le tende chiuse non accettavano intromissioni di occhi indiscreti.
Una carrozza si accostò e ne scese un funzionario inglese accompagnato da segretari e valletti. Salì le scale e sparì all’interno dell’edificio.
            Corrado si passò una mano tra i capelli, domandandosi cosa l’avesse spinto ad andare fin lì.
Azzardò un’ultima occhiata alle finestre, quindi estrasse l’orologio dal taschino: faceva ancora in tempo ad andare a studiare in biblioteca. Tornò indietro, passando per una strada alternativa onde evitare i bambini e dimenticò i giapponesi.
Dalla hall dell’edificio, dove inservienti e dipendenti si inchinavano all’inglese appena arrivato, Morikawa lo seguì con lo sguardo, domandandosi cosa ci facesse l’italiano lì all’ambasciata. Per un attimo fu tentato di rincorrerlo, ma poi posò lo sguardo sul funzionario inglese e con un inchino lo accompagnò nelle stanze di Hideyori.
 
***
 
«Siete certo?»
«Sì.» rispose Morikawa.
«Questi occidentali si somigliano un po’ tutti.» insistette Hideyori.
«Riconoscerei quell’uomo tra mille.» bofonchiò.
            Ancora non aveva digerito l’affronto subito due giorni prima e l’immagine di Corrado gli si era stampata in mente come un marchio a fuoco.
            Hideyori rifletté e si avvicinò alla finestra.
Si era sorpreso nel vederlo all’università e avrebbe desiderato salutarlo, anche se il suo rango non glielo consentiva. Cos’era venuto a fare all’ambasciata? Cercava lui? E per quale motivo?
Osservò la strada e l’andirivieni di pedoni, carrozze e sporadiche macchine, desiderando liberarsi degli obblighi per poter girare in piena libertà. Da quando era arrivato gli sembrava di essere il miele che attrae gli orsi e ogni giorno era costretto a incontrare funzionari, nobili, ministri e accettare inviti per la stagione mondana che ormai volgeva al termine. Il console gli aveva spiegato che era normale frequentare le case dei Lord ed era considerato scortese rifiutare gli inviti ai balli.
«Potrei occuparmi di lui.» suggerì Morikawa con leggerezza.
            Hideyori non si mosse, né distolse lo sguardo dalla strada.
«L’incidente per me è chiuso. Mi ha chiesto scusa.» ribatté con tono pacato.
«Vi ha gettato a terra!»
«Già. Capita quando si corre.» rispose con un sorriso divertito.
«Yuki-sama, voi non...»
«Non sembra strano anche a voi che due persone così diverse si siano incontrate in un paese straniero?»
            Morikawa emise un grugnito sommesso e l’amico si girò a guardarlo.
«Comprendo benissimo i vostri sentimenti.» concesse Hideyori. «Se fossimo stati in Giappone e lui mi avesse gettato a terra, voi gli avreste staccato la testa di netto per lavare l’onta. Ma non siamo in Giappone e non siamo più nel medioevo. Pertanto smettetela di pensare all’onore offeso e iniziate a ragionare all’occidentale. E non dimenticate mai che siamo ospiti dell’ambasciatore.»
            Morikawa serrò la mascella e un attimo dopo si gettò in ginocchio, rimanendo prostrato ai piedi del suo signore, il volto contro il pavimento.
«Permettetemi di fare seppuku. Non posso vivere con questa vergogna.»
           Hideyori inspirò a fondo, pensando che le tradizioni erano dure a morire. Era come se non avesse parlato.
Fino a trent’anni prima quell’atteggiamento era comprensibile, addirittura sollecitato; ciò nonostante, da quando il Giappone si era aperto all’occidente, le cose stavano mutando e lui sperava di portare la civiltà nel proprio paese.
Come poteva salvare la faccia all’amico senza che si suicidasse? Lo capiva: Morikawa si sentiva responsabile perché era venuto meno al compito di proteggerlo e l’onore del samurai gli imponeva il seppuku; nondimeno lui non aveva nessuna voglia di perdere il solo amico che avesse.
Morikawa Hiroyasu lo aveva visto nascere, l’aveva addestrato per divenire samurai, lo aveva accompagnato in una casa da tè e l’aveva sempre protetto. Possibile che la sua mentalità fosse così ancorata alle vecchie tradizioni? Eppure non aveva che trentacinque anni, era ancora giovane.
«Alzatevi, Hiro-san.» ordinò con tono stanco. «Vi lascerò fare seppuku quando sarà il momento.»
            L’uomo alzò la testa per guardarlo e mormorò:
«Desiderate lasciarmi vivere nel disonore?»
«No, ma per ora dovete continuare a proteggermi in questo paese straniero ed io mi fido solo di voi.»
            Morikawa raddrizzò la schiena e alla fine si alzò, riflettendo.
«Va bene.» accettò con poco entusiasmo. «Aspetterò con ansia il giorno in cui mi permetterete di recuperare il mio onore.»
            Hideyori sorrise e indicò la scrivania piena di carte e libri, esortando:
«Rimettiamoci al lavoro.»

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Capitolo 2
*** 2 ***


Rosemary era incantevole nell’abito bianco che aveva scelto per il ballo da Lord Maurice Spencer.
Corrado non poté fare a meno di ammirarla mentre con eleganza scendeva le scale, sulle labbra un sorriso gioioso, la vita sottile esaltata da una cintura con una chiusura a forma di giglio. Aveva raccolto i riccioli biondi sulla nuca, lasciandone alcuni liberi che sfioravano le spalle nude come tocchi di ali di farfalle.
Lui, al confronto, appariva molto ordinario, molto borghese con la giacca corta e i pantaloni a tubo.
«Siete un raggio di sole che illumina questa serata.» l’accolse porgendole la mano.
            Lei rise civettuola e lasciò scivolare la mano guantata in quella di lui.
Lady Cecil studiò la nipote con cura, borbottò qualcosa sulla gioventù che, secondo lei, stava impazzendo con i modi di fare scandalosi e irriverenti e ordinò a Corrado di prendere le pellicce. Il ragazzo abbozzò un sorriso alle maniere spicce dell’anziana signora e lasciò la mano di Rosemary.
Si affrettò a fare quanto richiesto, posando le pellicce con delicatezza sulle spalle di entrambe le donne, per poi coprirsi a sua volta con la redingote. Indossò la tuba, prese i guanti e scortò le dame fuori di casa, dove li attendeva una carrozza.
            Una volta seduta, Rosemary aprì la borsetta e tirò fuori il carnet, mostrandolo a Corrado.
«Auspico che si riempia subito.»
            L’invito non poteva essere più esplicito e il ragazzo piegò le labbra in un sorriso divertito.
«Allora iniziate con l’appuntare il mio nome.»
           Gli occhi di lei brillarono e in un attimo segnò il nominativo del primo cavaliere che l’avrebbe fatta danzare.
«Se continui a mostrarti così sfacciata,» borbottò Lady Cecil, «gli uomini faranno la fila e tu sarai considerata una poco di buono.»
«Oh, nonna! Non siamo più nell’ottocento, siamo nel nuovo secolo e le donne sono più emancipate, più libere.»
            Lady Cecil si girò con aria sprezzante a guardare la nipote e rispose secca:
«Avrei usato un altro aggettivo per definire le donne di oggi.»
            Rosemary impallidì e Corrado abbassò lo sguardo verso i piedi, sperando di arrivare presto a destinazione. Quando azzardò un’occhiata alla ragazza seduta di fronte a sé, vide che gli stava sorridendo di nascosto, come se la considerazione della nonna non l’avesse sfiorata.
            Quando arrivarono al palazzo di Lord Maurice Spencer, Corrado rimase impressionato dalla fila di carrozze che attendevano per arrivare davanti all’ingresso e far scendere gli occupanti.
Era la prima volta che partecipava a un ballo dell’alta società e non aveva idea di cosa aspettarsi. Di certo non aveva immaginato tanta gente. Le donne sembravano rifulgere come lampadari per quanti gioielli indossavano, mentre gli uomini sfoggiavano gli abiti tessuti con le migliori stoffe provenienti da Parigi.
            Ogni tanto un flash immortalava gli invitati: i giornalisti erano sempre alla ricerca di uno scoop e la stagione mondana ne concedeva tanti.
            Il palazzo era illuminato a giorno e servi e camerieri si facevano in quattro perché tutto andasse secondo i canoni.
Diversi valletti si occupavano delle pellicce e delle redingote che i partecipanti si toglievano prima di entrare nel salone e anche Corrado lasciò tuba e guanti a un ragazzo che pareva inamidato. Scortò le due dame e subito si trovò risucchiato in un vortice di lustrini, risate, fumo, chiacchiere che gli fecero desiderare di fuggire. Sembrava che lì, in quella sala, il tempo si fosse fermato a cinquant’anni prima.
Alcuni invitati, più fortunati, sedevano su chaise longue disposte lungo le pareti, mentre i restanti rimanevano in piedi e perdevano tempo in pettegolezzi.
Rosemary lo prese per mano e lo presentò a un paio di ragazze che attendevano in piedi a un lato del salone, mentre un cameriere si avvicinava con un vassoio pieno di bicchieri di cristallo riempiti di vino.
            Da quel momento a Corrado furono presentate tante di quelle persone che ben presto ne dimenticò i nomi. Non faceva in tempo a terminare di bere un bicchiere di vino che subito se ne ritrovava un altro in mano. Dopo un po’ capì che se non metteva qualcosa in bocca rischiava di ubriacarsi.
            Nel frattempo gli invitati continuavano a riversarsi nel salone e l’orchestra, posta su una predella a un lato della stanza, iniziava a provare gli strumenti, segno evidente che presto avrebbero fatto il loro ingresso i padroni di casa per aprire le danze.
«Vado a cercare da mangiare: desiderate che vi porti qualcosa?» domandò a Rosemary prima di allontanarsi.
«Sì, quello che c’è. Grazie, siete un tesoro.»
            Con lo sguardo Corrado cercò Lady Cecil per chiedere anche a lei, ma la donna era sparita in mezzo alla bolgia, catturata dalle vecchie amiche.
            Lasciò il salone a fatica, facendosi largo tra la folla, molti che lo guardavano domandandosi chi fosse.
In una stanza vide che c’erano dei tavoli imbanditi e con un sospiro di sollievo si avvicinò. Su un piatto posò alcune pietanze, mandò giù alcuni cucchiai di porridge e si preparò a tornare nel salone.
Passando per l’ingresso, i suoi occhi incrociarono quelli di Hideyori, appena giunto insieme a Morikawa ed entrambi si bloccarono. Si guardarono per un attimo, quindi Hideyori accennò un saluto chinando appena la testa e Corrado si ritrovò a scimmiottarlo.
Subito dopo gli si parò davanti la figura di Morikawa e l’italiano salutò impettito anche il samurai. Un attimo dopo i due giapponesi sparirono in mezzo alla bolgia di gente e Corrado non li rivide più per un bel po’.
 
***
 
«Credo che siate il mio primo cavaliere.» ricordò Rosemary con un sorriso.
            Corrado annuì, ascoltando le note di un valzer riempire il salone. I padroni di casa scesero in pista per primi, aprendo le danze e solo dopo un po’ furono raggiunti da altri ballerini.
            Corrado s’inchinò a Rosemary e la prese tra le braccia, guidandola con eleganza tra le coppie. Sapeva ballare, gli piaceva e in quel momento fu contento che sua sorella avesse insistito per fargli prendere lezioni. Non aveva nulla da invidiare a quei damerini inglesi che si pavoneggiavano e ne ebbe conferma quando Rosemary gli disse:
«Ci guardano tutti. Siete davvero bravo.»
«Tutto merito di mia sorella.»
«Allora devo ricordarmi di ringraziarla.»
«In realtà ci guardano perché voi siete bellissima. Gli uomini qui presenti fanno fatica a distogliere lo sguardo da voi.»
            Lei arrossì suo malgrado e sbagliò un passo, andandogli a finire addosso. Corrado rise, sorreggendola e lei balbettò una scusa.
            Quando il valzer terminò, si ritirarono in un angolo del salone per riprendere fiato e dissetarsi e Lady Cecil li raggiunse.
«Vieni con me, devo presentarti una persona.» ordinò alla nipote.
            La ragazza gettò un’occhiata a Corrado, ma questi non poté aiutarla e si limitò a seguirla con lo sguardo attraverso la folla. La nonna la presentò a un giovane di bell’aspetto e dai modi gentili e immaginò che l’anziana signora si preoccupasse per il futuro della nipote. A diciotto anni non era ancora fidanzata e Corrado provò un moto di simpatia per lei.
Rammentò che anche suo padre aveva provato a trovargli moglie tra la nobiltà fiorentina, incontrando il suo netto rifiuto: prima la laurea e dopo il matrimonio con chi voleva lui e non con una scelta dal genitore. Per fortuna che da quel punto di vista poteva ritenersi libero.
«Danzate molto bene.»
            A quella voce si girò e rimase a guardare Hideyori in silenzio. Solo quando vide il volto di Morikawa indurirsi si precipitò a rispondere:
«Sì, grazie.»
            Per quale motivo quel samurai ce l’aveva con lui? Cosa aveva fatto per meritarsi un simile astio?
«Voi non danzate?» s’informò.
«Mi imbarazza ammetterlo, ma non ne sono capace.» rispose Hideyori con un sorriso.
«Ah! Nel vostro paese non ballate?»
«Sì, certo, con un tipo di musica differente e con danze diverse.»
            Corrado annuì, sebbene in realtà non avesse idea del tipo di musica che si suonasse in Giappone.
In quell’istante la banda attaccò un nuovo valzer e Hideyori si girò per studiare i ballerini. Corrado, invece, rimase a guardare il ragazzo, incuriosito da quel volto dall’età indefinibile. I suoi occhi a mandorla, il viso dai tratti delicati, il portamento fiero e altero, i capelli più lunghi del normale, lisci e dai riflessi azzurrini, lo rendevano affascinante e un po’ misterioso.
            Con la coda dell’occhio osservò il samurai impettito e si accorse che lo fissava come se avesse voluto incenerirlo all’istante. Si incupì e si concentrò sulle coppie che danzavano.
Con immensa sorpresa si accorse di sudare, avvertì un capogiro e fece un passo indietro. Si guardò intorno per cercare un’uscita e quando adocchiò una finestra che dava sul giardino del palazzo, vi si diresse.
            Uscì all’aperto e inspirò a fondo per far passare la nausea, appoggiandosi a una panchina. L’aria fresca, in violento contrasto con il caldo del salone, lo galvanizzò e avanzò fino a un gazebo per allontanarsi dal frastuono.
Qui si sedette, portando una mano sullo stomaco in subbuglio. Non era abituato a bere tanto e sapeva che l’indomani l’avrebbe pagata a caro prezzo. Allentò la cravatta per poter respirare più a fondo e chiuse gli occhi, lasciandosi andare contro lo schienale della panchina.
A quella distanza la musica arrivava ovattata ed era piacevole per le orecchie.
            A poco a poco riprese colorito, lo stomaco si placò e con un sospiro riaprì gli occhi, sentendosi meglio. Sussultò alla vista della figura che stava in piedi dinanzi a lui e per poco non urlò per lo spavento.
«Vi sentite meglio?»
            Il tono preoccupato di Hideyori gli contrasse di nuovo lo stomaco e deglutì più volte prima di riuscire a rispondere:
«Sì, meglio.»
            Come aveva fatto ad arrivargli così vicino senza che lo sentisse sopraggiungere? Era inspiegabilmente solo, non c’era segno dell’implacabile samurai e Corrado raddrizzò la schiena quando lo vide sedersi accanto a sé.
«Sore ga... Bene. Perdonatemi, ma mi sono preoccupato quando ho visto il vostro pallore improvviso.»
            Perché? avrebbe voluto chiedere, ma la domanda gli morì in gola.
«Troppa gente.» continuò Hideyori. «Troppo vino e troppo fumo. È il mio primo ballo all’occidentale e devo dire che, purtroppo, non fa per me.»
«In effetti, credo di avere bevuto troppo. Non sono avvezzo all’alcool in queste quantità. Se può darvi sollievo, è il primo ballo anche per me.»
            Il giapponese lo guardò sorpreso, attraverso l’oscurità rischiarata solo da alcune lampade a olio poste lungo il sentiero che dal palazzo conduceva al gazebo.
«Non si direbbe. Danzate in modo impeccabile. Avete il senso del ritmo.»
«Ah!» rispose con un gesto vago della mano. «Se so danzare è merito delle lezioni prese a Firenze.»
«Firu... Non avete detto di essere italiano?»
            Corrado sorrise e gettò indietro la testa che ancora gli girava.
«Sì, certo: Firenze è una città italiana.»
«Aa, sō. Wakarimashita.»
            Corrado non capì ma preferì sorvolare. Percepiva con crudele chiarezza di non poter sopportare un dialogo troppo a lungo.
            Hideyori rimase in silenzio, fissando il ragazzo attraverso gli sprazzi di luce che provenivano dal palazzo e dalle lampade e notò i bagliori dorati che i suoi capelli riflettevano sotto il riverbero. Aveva visto molte persone con occhi e capelli diversi dai suoi e ogni volta rimaneva affascinato da quei colori chiari che tanto gli ricordavano la luminosità.
«Asahi.» mormorò.
            Corrado riaprì gli occhi a fatica e ammise:
«Scusatemi, non comprendo la vostra lingua.»
            Hideyori sorrise e alzò lo sguardo al tetto del gazebo.
«Sole di mattina. Asahi significa qualcosa tipo “sole di mattina”. I vostri capelli chiari mi ricordano la stessa luminosità.»
            Corrado alzò la testa e si girò a guardarlo con aria perplessa. Sembrava assorto nella contemplazione del tetto e per un attimo pensò che i giapponesi fossero alquanto strani.
«Il samurai che vi accompagna... Chi siete in realtà?»
            Hideyori sorrise e domandò:
«È importante?»
            Corrado non rispose subito e dopo poco chiese:
«Vi ho visto a Cambridge: quanti anni avete?»
«Ventuno. E voi?»
«Ventuno?!» esclamò incredulo, mettendosi seduto di scatto. «State scherzando?»
            Hideyori distolse l’attenzione dal soffitto, si girò a guardarlo con aria interrogativa e ribatté:
«Per quale motivo dovrei scherzare sulla mia età?»
«Ah, perché...»
Stava per dire che sembrava un adolescente, quando percepì che poteva risultare offensivo; quindi si morse le labbra prima di riprendere:
«Ne dimostrate di meno.»
            Il giapponese scosse la testa e Corrado continuò:
«Io ne ho ventidue. Sono al penultimo anno di medicina.»
«Io studio legge e storia.»
«Avete fratelli o sorelle?»
«Sì, due fratelli e tre sorelle. Io sono il maggiore.»
«Io ho una sorella più grande, l’unica che mi sia rimasta.»
            Hideyori stette in silenzio, immaginando che gli altri fossero deceduti e non osò domandare. Invece chiese, cambiando discorso:
«Da molto vivete a Londra?»
«Due anni. E voi?»
«Circa una settimana.»
            Corrado sorrise divertito e lo guardò.
«Allora dovete avere avuto un pessimo impatto.»
            Il volto di Hideyori rimase impassibile, segno evidente che non aveva compreso, e l’italiano lo studiò a lungo. Poteva anche avere ventuno anni, eppure gli sembrava di rivolgersi a un bambino.
«Un pessimo impatto.» ripeté. «Poiché vi siete scontrato con me appena arrivato. Un pessimo impatto rivolto anche alla città di Londra. È un gioco di parole.» concluse alzando le spalle, come se la battuta non avesse più senso.
            Hideyori annuì e sorrise appena.
«Però,» rifletté Corrado, «parlate bene l’inglese.»
«L’ho imparato da un precettore britannico in Giappone. Ho studiato molto i modi occidentali, eppure essere qui è diverso.»
«Sì, lo so. Ho dovuto ambientarmi anch’io; immagino che per voi sarà più difficile.»
«Mi insegnereste a danzare?»
            Quella richiesta colse Corrado di sorpresa e per un po’ rimase incerto su cosa rispondere. A dire il vero gli sarebbe piaciuto stare in sua compagnia, era una piacevole scoperta; tuttavia doveva studiare e non aveva molto tempo a disposizione.
«Ho ricevuto altri inviti a serate simili.» continuò Hideyori con tono sommesso. «Mi piacerebbe imparare i balli occidentali. Vi pagherò per il disturbo.»
«No, non è necessario, non è questo.»
            Si alzò dalla panchina e fece qualche passo, osservando il palazzo illuminato e i moscerini che volavano intorno alle lampade illuminate, la musica che giungeva in sottofondo, quasi ovattata.
Quindi tornò a rivolgere l’attenzione al ragazzo e mormorò:
«Hidu...»
«Hideyori.»
«Sì, Hideyori.» ripeté per memorizzare quel nome bizzarro. «Temo che non imparerò mai questo suono. Va bene, vi insegnerò a danzare.»
            Il giapponese si alzò dalla panchina con aria soddisfatta e s’inchinò, mormorando:
«Grazie, Corrado-san
«San
«Noi usiamo sempre l’appellativo onorifico di “signore” accanto al cognome. In realtà dovreste chiamarmi Hideyori-sama
            Corrado esitò, come se avesse capito male e domandò sorpreso:
«Hideyori è il vostro cognome, non il nome?»
«Sì.»
«E qual è il vostro nome? Non posso continuare a chiamarvi per cognome, è impensabile.»
«Il mio nome è Yukihito; però solo a persone particolari è concesso usalo.»
            Corrado lo fissò incuriosito e s’informò:
«E chi sarebbero queste persone speciali?»
«Familiari. Amici stretti. Amanti.»
            L’altro aprì la bocca e la richiuse di scatto. Chinò appena la testa, comprendendo di aver fatto una domanda imbarazzante.
Hideyori lo guardò senza dire nulla; se fosse stato un altro, non gli avrebbe dato spiegazioni, ma lui era diverso e si limitò a osservare divertito la sua reazione alla scoperta.
«Voi avete usato san con il mio nome, non sama.» notò Corrado.
            Hideyori sorrise e spiegò:
«Il titolo di san è rivolto a tutti. Sama viene dato solo alle persone di alto rango.»
«Allora è per questo che il samurai mi guarda sempre storto? Perché non ho aggiunto sama?» domandò girandosi a guardarlo.
            Il giapponese scosse la testa e disse:
«È più complicato.»
            Corrado rimase in attesa di una spiegazione e quando si accorse che non sarebbe giunta, con la mano fece cenno di rientrare prima che il freddo facesse prendere loro un malanno.
 
***
 
«Ma dove eravate finito?» esclamò Rosemary quando lo vide.
«Scusatemi, ero fuori a prendere una boccata d’aria.»
«Non vi sentite bene?» domandò scrutandolo a lungo.
            Corrado scosse la testa e con la coda dell’occhio vide Hideyori avvicinarsi al samurai e rivolgergli alcune parole.
«Venite, volevo presentarvi i padroni di casa.» esortò Rosemary indicando i due attempati coniugi.
            Corrado annuì, seguendo con lo sguardo i giapponesi che uscivano dal salone. Fu tentato di seguirli per abbandonare quell’ambiente, ma Rosemary lo prese per mano e lo condusse davanti a Lord Maurice Spencer e sua moglie.
«Dunque, voi siete il signor Bardi di Firenze.» commentò il Lord con tono stanco, sistemandosi il monocolo.
«Sì, mio signore.» rispose lui inchinandosi. «Per servirvi.»
«È vero che state studiando medicina a Cambridge?» domandò Lady Elizabeth.
«Sì, mia signora.»
«E pensate di rimanere a Londra o tornerete in Italia una volta laureato?»
«A dire il vero non ho ancora deciso.» rispose mantenendosi sul vago, soffermandosi sulla strana acconciatura della Lady. «Per ora penso a studiare, poi si vedrà.»
            Rosemary gli si aggrappò al braccio e lo guardò con aria adorante, dicendo:
«Io farò di tutto per farlo rimanere con noi.»
            Imbarazzato, Corrado si accorse che anche i padroni di casa erano rimasti stupiti da tanta sfrontatezza e provò a sorridere per sciogliere la tensione.
Lady Elizabeth agitò oltremodo il ventaglio, mentre gli occhi diventavano due gelide fessure.
«Io... Io vi ringrazio dell’invito, per me è stato un onore partecipare al vostro ballo.» balbettò Corrado cercando una scusa per potersene andare.
«Vi auguro di trascorrere una buona permanenza qui a Londra.» salutò il Lord con tono secco, togliendo il monocolo.
            Corrado s’inchinò deferente e quando fu certo che i padroni di casa fossero spariti tra la folla, si rialzò sospirando. Osservò Rosemary che aveva le gote rosse per il caldo e per il vino bevuto e decise che per lui la serata terminava lì.
«Io mi ritiro.» annunciò.
«Oh, ma non potete!» esclamò la ragazza sgranando gli occhi. «La festa è ancora all’apice.»
«Lo so, ma non mi sento bene e torno a casa. Manderò indietro la carrozza. Perdonatemi.»
            E senza ascoltare altro se ne andò, immaginandosi già sotto le coperte, abbandonato in un sonno ristoratore.
 
***
 
            Michael lo guardò a lungo, notando le occhiaie e l’aria mezzo addormentata e dopo un po’ domandò insinuante:
«Avete una faccia strana stamattina: dovete raccontarmi qualcosa di piccante?»
            Corrado scosse la testa e passò una mano sul volto.
«Ho solo partecipato al ballo di Lord Maurice Spencer.»
            Michael spalancò gli occhi ed emise un fischio sommesso. Prese sottobraccio l’amico e lo portò lontano da orecchie indiscrete, fino a fermarsi al ponte sul fiume.
Quel giorno l’aria era più fredda del solito e il loro alito si condensava a ogni respiro. Le fronde dei salici lambivano l’acqua come soffici carezze mosse dal vento e il frinire delle foglie riportava alla mente le cicale e il tepore dell’estate appena conclusa.
«Avete conosciuto qualche bella ereditiera?» s’informò il ragazzo in vena di pettegolezzi.
«No.»
«Siete andato al ballo con Lady Cecil? È lei che vi ha presentato?» insistette.
«Sua nipote Rosemary.»
            Michael socchiuse gli occhi e si avvicinò per sussurrare:
«Ed è carina? È impegnata?»
«Michael, per favore.» gemette, insofferente a quell’interrogatorio.
            L’altro si indispettì e portò le mani sui fianchi, mentre l’italiano appoggiava gli avambracci sulla balaustra del ponte in pietra e osservava le oche nuotare lungo il fiume.
«Voi vivete con la nipote della proprietaria di casa e non ne avete mai parlato: cosa devo supporre?»
«Supponete quello che più vi aggrada. Perdonatemi, in questo momento non sono dell’umore adatto per raccontare la serata mondana. Ho mal di testa per il troppo vino bevuto.»
«Sì, lo immagino.» bofonchiò Michael facendo un gesto vago con la mano. «Allora oggi non sarete dei nostri?»
            Corrado distolse l’attenzione dalle oche e dai mulinelli del fiume e posando lo sguardo sull’amico s’informò:
«Altra riunione al circolo?»
            L’inglese annuì, si chinò per raccogliere un sasso e prese la mira. Lo lanciò verso una delle oche con tutta la forza che aveva e il sasso sfiorò l’animale che starnazzò impaurito. Alcuni studenti che transitavano sul ponte si girarono a guardare e sghignazzarono peggio della bestiola.
«Oggi lettura dei classici greci. Avevamo pensato di interpretare il ruolo di Achille e Patroclo mentre uno di noi legge a voce alta.» spiegò osservando di sottecchi l’altro.
            Corrado fece un gesto con le mani, intrecciò le dita e mormorò:
«Sembra interessante.»
«Già. Speravo di interpretare con voi la storia.»
«Ah, grazie del pensiero. Ma, in tutta onestà, non mi sento bene, la recitazione ne risentirebbe. Comunque, c’è John che può prendere il posto mio.»
            Si accorse dello strano luccichio negli occhi di Michael un istante prima che questi commentasse:
«John non è voi.»
            Sorpreso da quel tono di voce che portava a galla sentimenti profondi, Corrado rimase in silenzio, osservando l’alito condensarsi davanti al volto dell’amico e dopo un po’ scosse la testa. Raddrizzò la schiena, sistemò la toga e si allontanò dal ponte.
Tornò verso l’edificio, domandandosi se avesse solo immaginato quello che Michael aveva lasciato trasparire. Non era la prima volta che si divertivano a interpretare i classici, anche perché in quel modo avevano scoperto che la storia rimaneva impressa nella mente; comunque sia, non si era mai accorto che Michael preferisse fare coppia con lui.
            Si conoscevano da due anni, frequentavano le stesse lezioni e ogni tanto la sera uscivano per andare a bere una birra in qualche pub. Poi lui rientrava a Londra, mentre Michael rimaneva a Cambridge dove alloggiava.
Era stato Michael che lo aveva introdotto nel circolo ed era sempre lui che citava spesso il genio di Wilde, commentando aspramente i giudici che lo avevano rinchiuso in carcere.
            Si fermò e si girò, come in cerca di una risposta. Ma Michael non era più sul ponte.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Corrado terminò di scrivere la lettera, la rilesse e, soddisfatto, la piegò e imbustò. Suonò il campanello e un domestico apparve sulla soglia della stanza.
«Per favore, speditela per l’Italia, Firenze.» disse consegnando la missiva.
            Il ragazzo la prese e se ne andò in silenzio.
            Corrado si alzò dalla scrivania e si stiracchiò. Il giorno prima aveva ricevuto la notizia che sua sorella era in attesa di un bambino e lui le aveva risposto subito, felice di diventare zio.
A dire il vero aveva temuto che il matrimonio rimanesse sterile, poiché da quattro anni Natalina era sposata e non era mai rimasta gravida. Adesso l’idea di diventare zio e di poter coccolare il nipote lo entusiasmava. Avrebbe avuto la possibilità di seguire la sua crescita e controllarlo a livello medico: sarebbe stata una bella palestra.
«È vero?»
            Si girò di scatto e vide Rosemary sulla soglia della porta. La ragazza entrò nella stanza senza essere invitata e Corrado domandò:
«Vero cosa?»
«Che vostra sorella è in stato interessante.»
            Lui sorrise e passò una mano tra i capelli, mormorando:
«Le novelle corrono, a quanto pare. Sì, mi ha scritto di essere incinta e che in primavera diventerò zio.»
            Rosemary gli prese le mani in uno slancio di euforia ed esclamò:
«È meraviglioso!»
            Corrado annuì e strinse le mani della ragazza nelle proprie, intrappolato dal suo fascino e dal suo genuino entusiasmo.
«Questo è l’anno buono per tornare a casa e festeggiare il Natale.» annunciò.
            Lei annuì appena e fece un ulteriore passo avanti, mordendosi il labbro inferiore.
«Allora per me sarà un Natale triste.» commentò con tono contrito.
            Lui tentennò dinanzi al suo volto dall’espressione malinconica e deglutì prima di ricordare:
«Non dite così. L’altra sera, al ballo, vostra nonna vi ha presentato un bel giovane che, stando a come vi guardava, avrebbe chiesto seduta stante la vostra mano.»
            Rosemary rise e scosse la testa.
«In effetti era interessante, sebbene...»
            Non terminò la frase, giacché l’espressione dei suoi occhi non avrebbe potuto essere più eloquente.
Corrado registrò quella bramosa ammirazione, lasciò scorrere le proprie mani lungo le braccia della ragazza in una morbida carezza e quando le prese le spalle, l’avvicinò a sé. La tenne stretta, chiudendo gli occhi per assaporare il suo profumo e lei gli circondò la vita con le braccia, posando la guancia sul suo torace.
            In silenzio ascoltarono il crepitio delle fiamme nel camino, le carrozze che passavano sull’acciottolato sotto casa, gli strilloni che annunciavano le ultime notizie sventolando i giornali e Corrado pensò che non si stava comportando come un gentiluomo. Rosemary era una ragazza eccezionale, vivace ed estroversa e avrebbe fatto la felicità della persona che l’avrebbe sposata.
E lui sapeva di non essere quell’uomo.
            Con gentilezza si sciolse dall’abbraccio e la tenne a distanza, guardandola nei grandi occhi azzurri. Rosemary alzò il mento, contrariata da quel comportamento.
«Perdonatemi, ma devo andare.»
«La biblioteca?» s’informò lei.
            Stava per rispondere di no, quando invece si ritrovò ad annuire. Lei sospirò e anziché perdere il buonumore sorrise e disse:
«Vi aspetto per cena: tornate presto.»
 
***
 
            Morikawa lo attendeva nell’ingresso dell’ambasciata, un ampio salone vittoriano con colonne d’alabastro, una parete dove era appoggiata una chaise longue sormontata da un dipinto dell’imperatore Meiji.
Attese che gli inservienti gli prendessero la redingote, la tuba e i guanti, controllassero che non portasse armi e s’inchinò.
Corrado fece alcuni passi verso di lui e si ritrovò a fare altrettanto, salutando con tono cordiale:
«Buongiorno. Lasciate che mi presenti, poiché quando ci siamo scontrati non ho avuto modo di farlo: sono Corrado Bardi.»
            Il samurai, che si era già avviato verso le scale di marmo, si irrigidì, si rivoltò e per un attimo non seppe cosa fare. Rifletté che gli occidentali erano veramente gente irritante. Non solo si stava presentando, gli stava altresì ricordando l’episodio increscioso che gli aveva fatto perdere la faccia.
«Buongiorno. Io sono... sono Morikawa Hiroyasu.»
«Ah, Morikawa-sama.» disse, osservando l’impeccabile divisa indossata dall’uomo.
            Allarmato, il giapponese scosse la testa e corresse con tono duro:
«San. Morikawa-san
            Corrado aggrottò le sopracciglia, non capendo. Era convinto che quell’uomo fosse importante come Hideyori, ma dinanzi alla sua veemente negazione non osò approfondire né controbattere.
Il suo comportamento rigido e altezzoso lo metteva in soggezione e le spade al suo fianco erano un forte deterrente; per questo provò ad abbozzare un sorriso.
            Il samurai gli fece cenno di seguirlo e Corrado si inoltrò nei meandri dell’ambasciata, incrociando persone che, al loro passaggio, s’inchinavano con deferenza e rimanevano piegate fino a quando loro non sparivano dalla visuale. Quel comportamento confuse ancor più Corrado, convinto che Morikawa fosse un personaggio importante come aveva supposto. Ma allora per quale motivo lo aveva corretto?
            Quando il samurai aprì una porta e gli fece cenno di entrare, Corrado avanzò nella stanza e rimase ammutolito.
A parte la grandezza, era quasi spoglia, tranne che per una parete, dove c’era un tabernacolo dove bruciava incenso. Accanto c’era un vaso con una composizione di fiori mai vista prima. Su un cuscino c’era Hideyori inginocchiato, in evidente raccoglimento.
            Stava pregando.
            Corrado si girò verso il samurai, che con gesto perentorio gli fece cenno di togliersi gli stivali. Il ragazzo ubbidì, accorgendosi che anche Morikawa e Hideyori erano scalzi e con la coda dell’occhio seguì il samurai che era andato a inginocchiarsi su un cuscino in un angolo della stanza. Per un attimo lo assalì l’ansia e represse l’istinto di fuggire.
            Attese in silenzio, consapevole di essere entrato in un mondo del tutto sconosciuto. Quel poco che sapeva del Giappone lo aveva appreso dalle sporadiche notizie sui giornali, per la maggior parte incentrate sulla politica di apertura all’occidente e sulla possibilità di un mercato fiorente. Per il resto non sapeva nulla.
            All’improvviso Hideyori girò la testa, sufficiente per guardarlo con la coda dell’occhio e tornò a concentrarsi verso il ciborio.
Corrado attese ancora. L’unica nota occidentale in quella stanza era il camino acceso, dove la legna ardeva e rendeva tiepido l’ambiente. Al centro della stanza c’era un enorme tappeto alto e, all’apparenza, rigido.
            Alla fine, Hideyori si alzò e si avvicinò a Corrado.
«Benvenuto. Vi ringrazio ancora per la vostra disponibilità.»
«È un piacere.»
            Hideyori lo guardò, in attesa di qualcosa e quando si accorse che l’italiano non capiva, invitò con un sorriso dolce:
«Vi conviene inchinarvi, altrimenti Morikawa-san vi decapiterà.»
            Corrado sgranò gli occhi e si girò di scatto verso il samurai: era già pronto a sfoderare la spada, con un’espressione cupa dipinta sul volto.
S’inchinò di corsa e rimase piegato. Dove diavolo era finito? Si trovava in pericolo di vita?
«Alzatevi pure, Corrado-san.» mormorò Hideyori. «Non fate caso a Morikawa-san, lui è samurai fin nel midollo.»
            Corrado indugiò e prima di rialzarsi lanciò un’occhiata all’uomo inginocchiato in un angolo del salone. Quando lo vide rilassato e con le mani di nuovo appoggiate sulle cosce, si rialzò e fissò Hideyori con espressione terrorizzata.
Questi sorrise e fece cenno al samurai. Morikawa si alzò, s’inchinò e uscì.
«Meglio?»
            Corrado esitò a parlare, ancora impaurito dalla reazione dell’uomo e si accorse di essere rigido come un baccalà. Aveva i muscoli tesi e le mani gli tremavano appena.
Una vocina nel suo cervello gli sussurrò che avrebbe fatto meglio ad andare in biblioteca anziché presentarsi all’ambasciata per insegnare al rampollo le danze occidentali. Gli era sembrata un’occasione imperdibile: imparare qualcosa di quel popolo che tanta meraviglia suscitava nel vecchio mondo.
Ora, però, quell’idea gli apparve piuttosto balzana. Per non dire pericolosa.
«Non temete.» lo rasserenò Hideyori. «Siete sotto la mia protezione.»
«Protezione? Mio Dio, lui mi avrebbe ucciso solo perché non mi sono inchinato a voi?»
            Corrado si accorse del tono stridulo nella voce solo dopo essersi ascoltato e si impose di rilassarsi.
«Sì.»
            Quella semplice risposta lo lasciò annichilito e fissò l’altro come se fosse stato il demonio.
«E subito dopo avrebbe fatto seppuku.» continuò Hideyori, come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Ma qui siamo a Londra e il bizzarro comportamento degli occidentali è tollerato.»
«Seppuku
«Il suicidio.»
            Corrado espirò, non sapendo più come comportarsi. Che razza di persone erano? Perché il samurai si sarebbe tolto la vita dopo averla tolta a lui? Che senso aveva? Si era cacciato nei guai, questo era certo.
«È follia pura.» commentò.
«Follia? Allora voi non riconoscete il codice dei cavalieri?»
«Cavalieri? Non siamo più nel medioevo.»
            Hideyori rimase in silenzio, pensieroso. Corrado si rese conto che, paradossalmente, stavano entrambi duellando a parole su qualcosa di cui gli sfuggivano le fondamenta.
            Fece alcuni passi per la stanza, meditando di andarsene e di non tornare mai più, quando il giapponese gli ricordò:
«Voi siete qui per insegnarmi la danza.»
            Corrado si fermò e lo guardò. Aveva ragione. Se si fosse limitato a fare da istruttore, non sarebbe accaduto nulla.
«Bene. Però manca la musica.»
«Non importa. Io devo imparare i passi per poter ballare in società.»
«Ma senza la musica...»
«Noi sappiamo danzare anche senza musica.»
            Corrado si zittì, domandandosi se il pazzo fosse lui o il suo anfitrione. Probabilmente entrambi.
«Bene, allora.»
            Gli andò vicino e dopo un attimo di esitazione gli prese la mano e passò l’altra intorno alla sua vita. Quella vicinanza gli portò alle narici il profumo dell’altro, un odore gradevole mai annusato prima.
«Ecco: si parte così. Voi dovrete tenere una donna come ora io sto stringendo voi.»
            Si accorse che Hideyori era impallidito e sembrava più rigido del solito.
«Qualcosa non va?» s’informò.
«Anata... voi mi state... toccando!»
            Corrado fece un balzo indietro e si girò di scatto verso la porta, paventando l’irruzione del samurai a spada tratta. Il suo cuore martellava impazzito, temendo per la propria incolumità.
Quando si rese conto che nessuno entrava nel salone, tornò a guardare il volto paonazzo di Hideyori ed emise un lungo sospiro.
«Mi avete chiesto voi di insegnarvi a danzare.» ricordò.
«Sì, ma non così. Voi non potete toccarmi.»
«Io non posso... E come faccio a insegnarvi?» sbottò allargando le braccia esasperato.
            Si accorse che aveva alzato la voce più che altro per allentare la tensione e passò una mano tra i capelli, inspirando a fondo per recuperare la calma.
«Scusatemi. Non volevo essere scortese. Se devo mostrarvi i passi, sono costretto per forza di cose a toccarvi.»
            Studiò a lungo il giapponese, prendendo nota del suo evidente imbarazzo, in attesa di una risposta che non venne.
«Intendete farmi capire che nessuno mai vi ha toccato?» continuò con un’esclamazione sbigottita.
«No, mai.»
            Il volto di Corrado mantenne un’espressione allibita e in quell’istante ripensò al momento in cui si erano scontrati, quando erano entrambi finiti a terra. Nella mente gli sfrecciò l’immagine di Morikawa che avrebbe voluto ucciderlo e finalmente capì.
«Allora, quel giorno Morikawa-san mi avrebbe ucciso perché vi ho toccato.»
            Hideyori annuì e Corrado chiuse gli occhi e chinò la testa. Almeno ora sapeva il motivo di tanto astio nei suoi confronti.
Stranamente gli venne da ridere e cercò di trattenersi, rendendosi conto che poteva essere sconveniente. Eppure, per quanti sforzi facesse, alla fine scoppiò in una risata liberatoria.
Il giapponese avvampò e sgranò gli occhi allibito, non comprendendo tanta ilarità.
«Perdonatemi, non voglio offendervi.» mormorò Corrado cercando di riprendere il contegno. «È che... è così assurdo!» e scoppiò di nuovo a ridere.
            Hideyori rimase rigido, fin quando la risata contagiosa lo coinvolse e a quel punto si lasciò andare, abbandonandosi a uno strano senso di libertà.
            Quando tornarono seri, si accorsero di avere le lacrime agli occhi e solo dopo un bel po’ il giapponese riuscì a dire:
«Non avevo mai riso tanto in vita mia.»
«No? Peccato, fa bene alla salute.»
«Sì, lo sento.»
            Corrado si schiarì la gola e allargando le braccia domandò:
«Siete pronto per la lezione?»
«Hai. Sì.»
            Con pazienza l’italiano gli mostrò dove posizionare le mani, spiegando che doveva stringere la vita della donna per poterla condurre nei passi.
Hideyori passò timidamente il braccio destro intorno alla vita di Corrado e questi posò la mano sinistra sulla sua spalla, invitandolo a muovere alcuni passi. Gli spiegò altresì come contare, in modo da eludere la mancanza di musica ma non fu facile.
Il giapponese provava e riprovava, mettendoci impegno e zelo, eppure ogni volta pestava i piedi di Corrado e alla fine l’italiano iniziò a stancarsi.
«Forse per oggi è sufficiente.» disse allontanandosi.
            Hideyori annuì e con un sorriso ammise:
«È bello imparare qualcosa di nuovo.»
«Sì. Sono certo che diventerete un perfetto ballerino.» mormorò con poca convinzione.
            L’altro lo guardò a lungo, quindi batté le mani e un attimo dopo Morikawa entrò nel salone.
«Pagate Corrado-san per la lezione.»
«No, non voglio essere pagato.»
            Si accorse di aver detto qualcosa di sbagliato perché Hideyori strinse gli occhi indispettito. Allora chinò la testa e, dopo aver salutato, seguì il samurai fuori dell’ambasciata.
 
***
 
            Si mise seduto per la cena e Rosemary diede ordine ai domestici di portare le pietanze.
«Vostra nonna non ci fa compagnia?»
«No, si è già ritirata.»
            Corrado mise il tovagliolo sopra le gambe e attese che il maggiordomo versasse il brodo nel piatto.
            Seduta all’altro capo del tavolo, Rosemary iniziò a mangiare, mentre un domestico accendeva altre candele sui candelabri al centro del tavolo. Il salone sembrava illuminato a giorno e il camino acceso riscaldava l’ambiente altrimenti umido.
«Ho chiesto alla nonna il permesso di potervi accompagnare in Italia.»
            Il ragazzo rimase con il cucchiaio a mezz’aria, il respiro che si arrestò e posò lo sguardo perso su Rosemary. Questa si accorse della reazione dell’altro e prese il calice per bere il vino e darsi coraggio.
«Non temete!» esclamò con forzata allegria. «Il mio sarebbe un viaggio di studio in compagnia di un caro amico, null’altro.»
            Corrado posò il cucchiaio e si pulì le labbra con il tovagliolo.
«Mi lusinga sapere che mi considerate un caro amico.» commentò. «Cosa ha risposto Lady Cecil al riguardo?»
            Rosemary fece una smorfia e disse:
«Che ci penserà.»
            Corrado sentì il sangue fluirgli di nuovo nelle vene e provò un moto di simpatia per la padrona di casa. In cuor suo auspicò che Lady Cecil non desse il consenso; non voleva alimentare false speranze nella ragazza.
«Bene. Allora attenderemo con ansia la risposta.» concluse con sollievo, riprendendo a mangiare.
            Solo dopo si rese conto che la risposta poteva essere interpretata in due modi e auspicò che la ragazza non capisse che lui puntava sul rifiuto.
            Rosemary bevve l’ultimo dito di vino e il maggiordomo si apprestò a versarne dell’altro per non lasciare il calice vuoto.
«Avete letto il giornale di oggi?» domandò lei cambiando discorso.
«No.» rispose Corrado. «Non ho avuto tempo. Ci sono novità?»
            Rosemary annuì e si sporse un po’ sul tavolo, come se avesse voluto annullare la distanza.
«Si parla del nipote dell’ultimo Shōgun. Dicono sia arrivato a Londra per studiare e che abbia partecipato al ballo di Lord Maurice Spencer. Io non l’ho veduto e voi?»
            Corrado spalancò gli occhi, tossì, cercò di mandare giù il boccone andato di traverso e quando riprese fiato si schiarì la gola.
«Vi sentite bene?» domandò Rosemary preoccupata.
«Sì, certo.» mentì con tono flebile.
            La ragazza gli suggerì di bere qualcosa e Corrado mandò giù un bicchiere d’acqua.
Il nipote dello Shōgun? pensò tremando. Ho atterrato e dato lezioni di ballo al nipote dello Shōgun? Si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi. Mio Dio, ora capiva il samurai. Ora capiva la rigidità del protocollo. Ora capiva per quale motivo era stato a un passo dal perdere la vita. Ora capiva tante cose.
Ma perché non glielo aveva detto?
«Siete certo di sentirvi bene?» insistette Rosemary.
            Corrado rialzò la testa e fece un gesto vago con la mano. Riprese a mangiare, ma con disgusto si accorse che il suo stomaco si era chiuso.
«Io... Io credo di averlo visto al ballo, l’altra sera.» mormorò.
«Sul serio? Dicono che sia rimasto pochissimo, pressoché in incognito. C’era così tanta gente che deve essermi sfuggito.» commentò la ragazza.
            Ci credo, pensò Corrado. Era con me al gazebo.
«E com’è?»
«Come un cinese. Né più, né meno.»
«Si dice che frequenti Cambridge, che sia qui per imparare i modi occidentali. Suo padre è un membro del governo e suo nonno era secondo solo all’imperatore.»
            Corrado scosse la testa e si rimproverò:
«Devo leggere più spesso i giornali.»
«In effetti state sempre a studiare, non vi concedete mai una tregua.» borbottò lei. «Domenica potremmo andare al parco a passeggiare e dare da mangiare ai cigni.»
«Sì, va bene.» accettò senza entusiasmo.
            Rosemary sorrise e fece cenno al maggiordomo di portare le altre pietanze. Corrado non toccò più cibo, la mente fissa sull’immagine di Hideyori.
 
***
 
            Si rese conto di non riuscire a seguire la lezione nel momento esatto in cui mise a fuoco il volto corrucciato di Michael che si era messo sulla traiettoria del professore.
Sbatté le palpebre, come se si fosse svegliato dal letargo e l’amico sogghignò:
«State guardando la lavagna o sognate a occhi aperti?»
            Corrado abbozzò un sorriso e l’altro continuò beffardo:
«Avete bevuto tanto anche ieri sera?»
            L’italiano recepì il sarcasmo e con la mano lo scansò per poter seguire la lezione.
«Probabile.» rispose.
            Michael si addossò allo schienale della panca e incrociò le braccia sul petto.
«Ho letto sui giornali del vostro amico giapponese.»
«Non è mio amico.» precisò Corrado con tono secco.
            Non aveva voglia di parlare di Hideyori, soprattutto dopo aver scoperto chi fosse in realtà.
            Michael alzò le spalle e commentò:
«L’avete atterrato voi. Comunque,» continuò quando Corrado gli lanciò un’occhiataccia, «John non sa recitare come voi. Ha proposto un Patroclo inverosimile. Addirittura inguardabile.»
«Non è vero!» esclamò indignato il ragazzo chiamato in causa. «Siete voi a essere un pessimo attore e vi diverte lasciar cadere la colpa sugli altri.»
            Corrado si girò verso John e in quel momento l’assistente del professore picchiò alcuni pugni sulla scrivania, urlando per mettere a tacere il parlottio. Nell’aula enorme, forgiata a misura dei teatri greci, il brusio terminò di colpo e gli studenti si lanciarono occhiate timorose.
            Indignato e oltraggiato, il professore rimase in silenzio, posando il cipiglio su ogni ragazzo presente, incutendo un reverenziale terrore, per poi scandire:
«Si alzino in piedi i disturbatori.»
            Corrado impallidì e scambiò un’occhiata con gli amici che gli sedevano ai lati. Se non si fossero alzati di loro spontanea volontà, gli altri studenti li avrebbero indicati e il professore li avrebbe puniti severamente. Meglio sperare nella clemenza.
            Prese coraggio, si alzò adagio e subito dopo sia Michael sia John seguirono il suo esempio. Gli occhi di tutti si posarono su di loro e l’assistente annotò i loro nomi su un taccuino.
«Signor Michael Gordon, signor Corrado Bardi e signor John Hamilton, poiché queste lezioni sembrano non riscontrare il vostro interesse, a partire da questo momento sarete sospesi per una settimana.» sentenziò il professore indignato.
            Corrado serrò le labbra e chiuse un attimo gli occhi. Quella nota sarebbe rimasta come un marchio indelebile sul corso dei suoi studi e capì che non si sarebbe mai più laureato con il massimo dei voti.
Avrebbe voluto urlare, spiegare che lui non c’entrava nulla, che era stato Michael a disturbare; alla fine decise di mostrare la poca dignità rimasta per non peggiorare la situazione, accettando la sentenza.
            Raccolse i libri, passò davanti a un tremante John e scivolò fuori del bancone a semicerchio, ignorando le occhiate e i mormorii di sottofondo.
 
***
 
            Picchiettò le dita sul tavolo del pub, mortificato. La pinta di birra ingurgitata insieme agli amici non l’aveva aiutato.
            Il locale era affollato e pieno di fumo nonostante fosse solo mezzogiorno e alcuni avventori erano già ubriachi e riversi sui tavoli. Di tanto in tanto qualche donna si avvicinava per offrire il proprio corpo, ma loro tre erano troppo demoralizzati per prestare l’attenzione che in genere riservavano. Ogni volta che capitavano al pub si divertivano a palpeggiarle, a ridere con loro sulle battute spinte, per poi regalare un po’ di spicci oppure offrire da bere.
Quel giorno non le degnarono di uno sguardo.
            Corrado terminò l’ultimo sorso di birra e posò gli occhi su Michael. Si accorse che lo stava guardando con perversa bramosia, come quel giorno sul ponte e d’istinto raddrizzò la schiena. Il giovane sorrise e posò la mano sulla sua, osservando:
«Be’, prendiamo il positivo: possiamo vederci più spesso.»
«Ma cosa dite?» bofonchiò Corrado infastidito dal tocco. «Voi non date il giusto peso a quanto accaduto. Per colpa vostra, oltretutto.»
            Michael fece una faccia sorpresa e osservò John annuire al commento dell’italiano.
«Colpa mia?» sbraitò inviperito. «Ma se siete stato voi a raccontarci dello scontro con il giapponese!»
«Cosa c’entra?»
            L’altro fece una smorfia e serrò maggiormente la presa sulla mano di Corrado.
«Avete ragione: dimentichiamo il giapponese. Proporrei di fare una passeggiata in barca sul fiume. Rimanere qui ad autocommiserarsi non aiuta lo spirito. Oggi il sole ci arride, cosa quanto mai insolita.»
            L’italiano ritirò la mano con gesto brusco e fissò l’altro come se avesse voluto incenerirlo. Si alzò, lasciò un po’ di soldi sul tavolo per pagare la birra e salutò:
«John, Michael.»
«Ehi!» esclamò Michael alzandosi a sua volta. «Non ci lascerete così!»
            Corrado lo guardò un attimo, posò lo sguardo su John e scuotendo la testa se ne andò.
 
 
Santa Monica, California, 2013
            Daisuke si svegliò al trillo del cellulare e, assonnato, allungò la mano per spegnerlo. Aprì gli occhi con riluttanza, mugugnò qualcosa e si rigirò nel letto.
Il contatto con un altro corpo gli diede l’adrenalina giusta per svegliarsi del tutto e fissò la chioma bionda sparsa sul cuscino accanto a sé. Si osservò intorno, senza riconoscere la stanza, e passò una mano sul volto, rammentando la serata precedente.
            Il sole che penetrava dalle finestre illuminava la camera con toni ambrati e il ragazzo capì di doversi alzare, altrimenti avrebbe fatto tardi al lavoro. Gettò via le coperte e lo sguardo gli cadde sul corpo nudo della giovane che ancora dormiva sonni beati.
Sorrise appena, cercando nella mente il suo nome; per quanti sforzi facesse, non ci riuscì. Ricordava solo che si erano conosciuti tre giorni prima a una festa e che in quel frangente si trovava a casa di lei e non nella propria.
            Il cellulare squillò e Daisuke si precipitò a rispondere.
«Si può sapere che fine hai fatto?»
            La voce isterica che proveniva dall’altra parte gli fece drizzare i capelli, come se avesse appena udito qualcuno graffiare la superficie di una lavagna e, infastidito, mormorò:
«Scusa?»
«Stai ancora dormendo? Con chi?»
            Il giapponese riconobbe la voce dell’ultima ragazza che aveva lasciato due giorni prima e si grattò la nuca, imponendosi di cambiare numero di telefono il prima possibile.
«Non sono affari tuoi. Cosa vuoi?» rispose con tono più sveglio.
«Volevo vederti; ho bisogno di parlare con te.» e continuò a vomitare una parola dietro l’altra, come se Daisuke la stesse ascoltando.
            Il ragazzo sospirò, allontanò il cellulare dall’orecchio e guardò l’ora: doveva sbrigarsi.
«Ascolta...» la interruppe facendo una smorfia, non riuscendo a ricordare il nome. «È finita, non insistere.»
            Possibile che avesse una memoria così corta? Sentì nelle orecchie la voce di Nik che lo beffeggiava quando gli faceva notare che era normale, giacché ne cambiava una a settimana e un sorriso gli allargò le labbra. In effetti, non aveva tutti i torti: se voleva ricordare tutti i nomi avrebbe dovuto assumere un contabile.
            Lo sguardo gli cadde su una rivista posata sul comodino e vide in copertina la foto della ragazza che gli stava urlando nelle orecchie: una modella di nome Andrea. Ora rammentava.
«Perché?» gemette la ragazza dall’altra parte del telefono. «Mi hai scaricata senza neppure degnarti di darmi un motivo valido. Cosa dovrei pensare?»
«Pensa solo che è finita e che tu non hai colpe.» rispose insofferente. «Mi spiace, Andrea. Perdonami, ma faccio tardi al lavoro.»
«Dammi una possibilità per...»
«Mi spiace. Dimenticami.» e chiuse la comunicazione.
            Sospirò e si alzò dal letto, recuperando gli abiti sparsi per la camera. Guardò la ragazza che ancora dormiva e pensò che l’avrebbe chiamata in seguito, magari durante una pausa al lavoro, per rivederla quella sera.
 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Inghilterra, autunno 1902
Per non raccontare a casa della sospensione, Corrado si recò i giorni seguenti alla biblioteca, immergendosi nello studio.
            La domenica accompagnò Rosemary a Hyde Park, ma il tempo volse al brutto nel giro di poche ore e furono costretti a rientrare a casa un attimo prima che iniziasse a piovere a dirotto.
            Erano arrivati da poco, si stavano godendo una tazza di tè bollente in salotto, quando un visitatore si presentò alla porta. Il maggiordomo consegnò a Rosemary un biglietto da visita sopra un vassoio e la ragazza lo prese. Lesse il nome e guardò Corrado, in piedi accanto al camino, una mano poggiata sulla trave, nell’altra la tazza.
«Incredibile!» esclamò mostrando il biglietto.
            Il ragazzo gli gettò un’occhiata, senza riconoscere il nome inciso sopra. Alzò uno sguardo interrogativo su Rosemary e lei spiegò:
«L’uomo che mi ha presentato mia nonna al ballo.»
«Ah!» rise lui. «Allora avevo visto giusto.»
            Rosemary si scurì in volto, indecisa se accettare o meno la visita che implicava un possibile fidanzamento.
«Io non nutro interesse per costui.» annunciò.
«Potete sempre accettarlo come amico.» suggerì Corrado scostandosi dal focolare e bevendo un sorso dalla tazza in ceramica.
            Lei arricciò il naso e il ragazzo rimase a contemplarla. Le fiamme che guizzavano nel camino le accendevano il volto e le ciglia lunghe lasciavano un’ombra sulle guance paffute. I ricci raccolti sulla nuca facevano risaltare il collo lungo e aggraziato, nonché il profilo perfetto.
Immaginò benissimo cosa avesse spinto il pretendente a bussare alla porta di casa, sfidando la pioggia.
«Coraggio.» invitò affabile. «Potreste scoprire cose interessanti.»
            Rosemary si alzò dalla poltrona, lisciò la gonna e gli si avvicinò.
«Desiderate sul serio che lo veda?»
«Perché no? Non firmerete un contratto nuziale, credetemi.»
            Confortata da quelle semplici parole, la ragazza portò una mano all’acconciatura in un vezzo tipicamente femminile e si morse le labbra.
«I giochetti di mia nonna non mi piacciono.» ammise. «So bene dove vuole arrivare, ma io intendo sposarmi per amore, non per dovere.»
«Questo lo comprendo benissimo. Tuttavia, se non vi concedete la possibilità di conoscere le persone, non potrete mai scegliere.»
            Rosemary rifletté, aprì la bocca per dire qualcosa, quando ci rinunciò. Corrado era un osso duro, non c’era che dire. Possibile che non si rendesse conto dei sentimenti che nutriva per lui?
Se all’inizio lo aveva considerato solo uno studente che abitava nel suo palazzo in stile vittoriano, con il tempo aveva imparato ad apprezzarlo, ad amare la sua discrezione e i suoi modi pacati. Non le aveva mai mancato di rispetto, nonostante lei avesse sempre ricercato momenti in cui potessero rimanere soli. Era un gentiluomo e come tale lo amava. Era certa che fosse lui l’uomo della sua vita.
            Possibile che non si rendesse conto?
«Va bene.» cedette senza entusiasmo. «Se può farvi piacere lo riceverò.»
«Io non ho detto questo.» rispose allarmato. «Non dovete vederlo per far cosa gradita a me, bensì per prendere in considerazione le sue intenzioni. Sembra una brava persona.»
«Tanto bravo da sembrare finto.» borbottò lei girandosi impettita.
            Corrado sospirò e la vide uscire dalla sala. Si avvicinò al tavolo e posò la tazza vuota, rimanendo a contemplare i ricami della tovaglia in seta.
Era un idiota. Nessuno al mondo si sarebbe fatto sfuggire una ragazza simile. Ora sapeva con certezza di essere un perfetto idiota.
 
***
 
Morikawa lo scortò fino al salone e Corrado trovò una sorpresa all’interno. Al centro, sopra il grande tatami, due uomini in kimono si stavano fronteggiano con una spada di legno, mentre altri uomini in kimono erano inginocchiati intorno al tatami.
            Corrado cercò Hideyori con lo sguardo e vide che era uno dei due samurai che si stava battendo. Sulla fronte portava una fascia bianca con un disco rosso al centro, che gli ricordava la bandiera Giapponese, e ai lati c’erano dei kanji.
Il silenzio era squarciato di tanto in tanto dalle urla dei combattenti quando portavano un affondo e Corrado si sentì drizzare i peli: quelle urla erano terrificanti.
            Morikawa gli fece cenno di togliersi gli stivali e di inginocchiarsi e lui ubbidì. Con la coda dell’occhio osservò gli uomini ai lati del tappeto imbottito e le loro espressioni serie gli misero addosso un po’ di agitazione.
Si concentrò sui combattenti e rimase con il fiato sospeso quando iniziarono il duello vero e proprio. Usavano una tecnica incredibile che lui non conosceva e la loro abilità rasentava la perfezione. Si domandò a che pro usare le lame quando le pistole erano più efficaci.
Tuttavia si guardò bene dall’alzare simili questioni.
            Così, per spezzare l’attesa, pensò a Rosemary che aveva lasciato in compagnia dello spasimante. La faccia di Lady Cecil era raggiante mentre faceva da chaperon ai due ragazzi e lui aveva approfittato di un momento in cui la pioggia era scemata per presentarsi alla lezione di danza. Distrarsi gli avrebbe fatto solo bene.
            Quando, dopo un bel po’, il duello finì, i samurai si alzarono e si misero a parlare nella loro lingua, tagliando fuori Corrado. Hideyori rispondeva agitando il bokken come a voler perfezionare la tecnica, seguendo i consigli dei più anziani.
E quando alla fine il rampollo sciolse la hachimaki dalla fronte e la porse a Morikawa, si avvicinò a Corrado con un sorriso di benvenuto.
            Questi si alzò e s’inchinò, sotto lo sguardo attento dei samurai.
«Non vi dispiace se oggi indosso il kimono al posto degli abiti occidentali? È un problema per la danza?» s’informò Hideyori.
«No, nessun problema, credo.»
«Perfetto. Allora iniziamo subito.»
            Corrado rimase un attimo meditabondo, notando il volto accaldato dell’altro e propose:
«Se siete stanco possiamo rimandare...»
            Si zittì di colpo all’occhiata fulminante di Morikawa e si morse le labbra, abbassando la testa. Lo sguardo gli cadde sulle spade che i samurai portavano dentro l’obi e ritenne più saggio non aggiungere altre parole.
A un cenno di Hideyori gli uomini lasciarono in silenzio il salone dopo essersi inchinati più volte e Corrado tornò a respirare liberamente.
«Ho chiesto a Morikawa-san di trovare un’orchestra per le prossime lezioni.»
«Un’orchestra?» esclamò sorpreso.
«Non siete stato voi a dire che per danzare occorre la musica?» ribatté l’altro con un pizzico di impertinenza.
            Corrado sospirò e mise piede sul tatami. Era un tappeto rigido ma morbido al tempo stesso e camminarci sopra a piedi scalzi era piacevole.
«Bene.» iniziò Hideyori. «Mi sono esercitato nei passi, ora provo a mostrarvi.»
«Per quale motivo non mi avete detto chi siete?»
            La domanda, posta a bruciapelo con tono aspro e accusatorio, indispettì il giapponese, che fissò Corrado come se avesse voluto incenerirlo.
«Non è importante.» tagliò corto.
«Sì che lo è! Siete il nipote dell’uomo più potente del Giappone!»
«Non lo è più.»
«Non cambia lo stato delle cose!»
«E saperlo ora cosa cambia?»
            Corrado rimase a bocca aperta e fissò Hideyori senza sapere cosa dire.
Il giapponese si portò al centro del tatami e iniziò a contare eseguendo i passi del valzer. Corrado lo seguì con lo sguardo, domandandosi per quale motivo si trovasse di nuovo lì. Se avesse avuto un minimo di buon senso se la sarebbe data a gambe; invece non aveva trovato niente di meglio che accusarlo di avergli tenuto segreta l’identità.
Probabilmente, se ci fosse stato Morikawa, a quest’ora la sua testa sarebbe stata già sul tatami a rotolare come una palla.
            Scacciò l’immagine terribile dalla mente e si concentrò sui passi che faceva Hideyori.
«Sì, va meglio. Vi siete allenato sul serio.»
            Quella semplice constatazione bloccò il giapponese, che lo guardò torvo.
«Non parlo mai al vento. Se dico che mi sono allenato, vuol dire che l’ho fatto.»
«Oh, sì, certo. Scusatemi.»
            Oddio, non ne azzecco una? pensò disperato.
«Proviamo?» invitò Hideyori allargando le braccia.
            Corrado si avvicinò e iniziarono a danzare. Stavolta il profumo di Hideyori era mischiato al sudore per l’allenamento appena concluso e Corrado avvertì un improvviso capogiro, seguito da nausea. Perse il ritmo e barcollò, riuscendo a rimanere in piedi solo per miracolo. Cosa gli stava accadendo? Si stava ammalando?
«State bene?» domandò Hideyori.
«Sì... sì, certo.»
            No, invece! avrebbe voluto rispondere. Mi sento male e non riconosco i sintomi! Che razza di medico sarò se non riesco a diagnosticare una malattia?
            Si allontanò per inspirare a pieni polmoni, sentendo lo stomaco in subbuglio. No, non di nuovo, pensò. Che figura ci faccio?
            Hideyori si avvicinò preoccupato e Corrado gli fece cenno che andava tutto bene. Lo vide avviarsi alla porta e uscire dal salone, lasciandolo solo. Meglio così.
            Si lasciò cadere sul tatami e si massaggiò lo stomaco, riflettendo che non aveva bevuto neppure un goccio di vino. Forse aveva mangiato troppo? Ma no, impossibile; a dire il vero, negli ultimi giorni non aveva molto appetito.
Si sdraiò e lentamente il malessere se ne andò. Forse era troppo teso per la sospensione all’università e quello che ne sarebbe derivato. Il respiro tornò regolare e si concesse il lusso di chiudere gli occhi. Che figura! Penseranno che sono malato, quando invece scoppio di salute.
            Sospirò e avvertì di nuovo il profumo di Hideyori nelle narici. È un incubo?
            Aprì gli occhi e lo vide inginocchiato accanto a sé. Si alzò di scatto, il cuore che gli martellava nel petto e temette di sentirsi di nuovo male. Come aveva fatto a non sentirlo? Era la seconda volta che gli si avvicinava con la silenziosità di un felino, facendolo spaventare.
«Prego, bevete.»
            Corrado vide la tazzina che l’altro gli porgeva e la prese. All’interno c’era un liquido trasparente che fumava. Hideyori lo incoraggiò con un cenno della mano e Corrado bevve un sorso. Un forte bruciore gli infiammò l’esofago e si sentì avvampare.
«Tutto.» esortò Hideyori con risolutezza, mitigata dalla dolcezza del volto.
            Ubbidì e si accorse che il liquido era così forte che aveva gli occhi lucidi.
«Cos’è?» domandò con voce strozzata.
«Sake. Vino di riso.»
            Stupito, Corrado riconsegnò la tazzina e chiese:
«Si produce il vino con il riso?»
«Sì. Noi beviamo sake o cha
«Cha
«Il nostro tè.» spiegò. «Come vi sentite?»
«Meglio.»
            Hideyori lo studiò per accertarsi che stesse bene sul serio e sbatté le palpebre, notando:
«I vostri occhi sono verdi come questo tatami
            Corrado aprì la bocca per dire qualcosa e la richiuse, alzandosi in piedi. L’altro fece altrettanto e sorrise nell’osservare le gote rosse dell’italiano. Allargò le braccia per riprendere la danza e Corrado lasciò che Hideyori gli mostrasse i progressi fatti.
            Provò a concentrarsi sui passi, spiegando al giapponese dove sbagliava, continuando a sentire il malessere in tutto il corpo. Alla fine si fermò, si sciolse dall’abbraccio e si passò una mano tra i capelli.
«Perdonatemi, ma a quanto pare oggi non sono dell’umore adatto alla danza.»
            Hideyori sistemò il kimono e domandò:
«Cosa vi affligge?»
            Corrado scosse la testa, fece un gesto vago con la mano e ammise:
«Sono stato sospeso dall’università.»
«È grave, suppongo.»
«Sì.»
«Per quanto tempo?»
«Una settimana. Potrò rientrare fra tre giorni.»
            Hideyori rimase pensieroso e in quell’istante un tuono squarciò il silenzio, annunciando la ripresa della pioggia. Corrado sospirò, chinò la testa e scese dal tatami, deciso a rientrare a casa.
«Venite con me.» ordinò Hideyori.
            Corrado lo vide dirigersi alla porta del salone con aria impettita e provò a obiettare che era tardi e che avrebbe fatto meglio a tornare a casa prima che piovesse forte.
Il giapponese non lo ascoltò.
            In silenzio superarono un corridoio, scortati da Morikawa e da altri due samurai e Corrado si rese conto che al passaggio del giovane i funzionari si inchinavano quasi fino a terra, appiattendosi contro il muro.
Con aria perplessa, accorgendosi di aver lasciato gli stivali nel salone, Corrado seguì il giapponese fino a una porta che uno dei samurai provvide ad aprire. Hideyori entrò e inspirò a pieni polmoni.
            Corrado rimase pietrificato dinanzi a quello che i suoi occhi videro: la stanza era una immensa piscina d’acqua fumante, dove un paio di donne erano immerse fino al collo e chiacchieravano rilassate. Quando videro entrare Hideyori, si sbrigarono a raggiungere le scale per uscire dalla piscina completamente nude e avvolgersi in grandi asciugamani poggiati su una panca di legno.
La sorpresa di Corrado non fu tanto quella di vedere donne nude, quanto notare la loro tranquillità e la totale indifferenza dipinta sui volti dei samurai.
Mio Dio, pensò inorridendo. Mi ha portato in un postribolo? All’ambasciata permettono questo genere di oscenità?
 
***
 
            Il secondo pensiero fu che si trovava in un mondo di pazzi.
Mentre le donne si asciugavano e si rivestivano per andarsene, Hideyori sciolse l’obi e iniziò a togliersi i vari strati di kimono, compresi gli hakama, rimanendo con un semplice perizoma bianco.
            Sconvolto, Corrado deglutì, accorgendosi di non riuscire a distogliere lo sguardo dalla pelle bianca e glabra di Hideyori. Il malessere peggiorò e si impose di guardare Morikawa che raccoglieva i vestiti del suo signore per posarli sulla panca. Il profumo che pervadeva la stanza era lo stesso che aveva sentito addosso a Hideyori e all’improvviso iniziò a sudare.
Mise due dita all’interno del colletto della camicia e provò ad allentarlo.
«Spogliatevi.»
            A bocca aperta, Corrado tornò a guardare Hideyori, ancora sconvolto da quanto stava accadendo. Il giovane gli faceva cenno di entrare in acqua, ma l’italiano non riusciva a muovere un solo muscolo.
«Qui ci rilassiamo.» spiegò il giapponese scendendo gli scalini e lambendo l’acqua.
            Con un sospiro di sollievo si immerse fino al collo e lentamente si portò a ridosso del muro per godersi il bagno.
Corrado non riusciva a distogliere lo sguardo e solo a un cenno di Morikawa capì di dover fare qualcosa.
Il primo istinto fu di girarsi e andarsene, non avendo la minima intenzione di spogliarsi di fronte a sconosciuti. Il secondo istinto fu di chiedere spiegazioni e delucidazioni. Il terzo fu di dire che loro non facevano simili cose, che la loro religione lo considerava un peccato.
            Sbatté le lunghe ciglia bionde, osservando il volto beato di Hideyori che si rilassava e si lasciava cullare dal calore e senza accorgersene iniziò a spogliarsi.
Quando rimase con le mutande, nonostante l’imbarazzo, azzardò la discesa degli scalini e per poco non lanciò un urlo: l’acqua era bollente. Un brivido gli corse per la schiena e pensò di rinunciare; non aveva voglia di finire lessato.
«Coraggio, Corrado-san.» invitò Hideyori quando lo vide esitare. «Vi sentirete meglio. Lasciate che vi mostri qualcosa della nostra cultura, in modo da ricambiare i vostri insegnamenti.»
            A rilento avanzò, trattenendo il fiato a ogni centimetro di pelle che andava a fuoco e quando pensò che non ce l’avrebbe fatta, riuscì a calarsi nell’acqua fino al collo.
            Gesù! pensò incredulo. Non sembra più così bollente.
«Vedete, Corrado-san, noi usiamo i bagni per parlare di qualsiasi cosa, dal tempo alla politica, dalle guerre alle feste. Non è piacevole stare qui quando fuori si odono i tuoni?»
            L’italiano era rimasto talmente scioccato da non aver più udito lo scrosciare della pioggia e solo a quelle parole si accorse che Hideyori aveva ragione: fuori imperversava un forte temporale freddo e la sensazione di trovarsi in un limbo di benessere lo rasserenava.
«Sì, non lo credevo possibile, eppure è piacevole.» concesse in un sussurro.
            Aveva ancora la gola secca e per quanto si sforzasse di deglutire, le mucose non accennavano a umidificarsi.
«Bene. Godetevi il bagno e non pensate ad altro.» concluse Hideyori.
            Corrado si guardò intorno, notando che i samurai erano usciti e solo Morikawa era rimasto nella stanza, seduto immobile sulla panchina.
Provò a fare qualche passo nella piscina ovale, quindi si appoggiò con le spalle al muro e sospirando chiuse gli occhi, lasciandosi pervadere da quella sensazione di beatitudine.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Corrado prese l’orologio dal taschino e controllò l’ora; quindi tornò a concentrarsi sul libro.
            La sera prima, quando era rientrato a casa, aveva trovato Rosemary ancora in compagnia dello spasimante e Lady Cecil che teneva banco come una ventenne. L’aria era gioviale e quando gli avevano chiesto dove fosse stato, aveva risposto che aveva studiato in biblioteca.
Per il resto della serata, cena compresa, Corrado aveva avuto riprova che il giovane nutriva forte simpatia per Rosemary e che questa aveva conversato con leggerezza, felice di sentirsi corteggiata.
Eppure, di tanto in tanto, gli aveva lanciato occhiate come se invocasse aiuto.
            Quella notte Corrado non aveva dormito. Il suo pensiero era rimasto fisso sulla giornata trascorsa all’ambasciata, su quel mondo così diverso dal suo da lasciarlo affascinato suo malgrado. E quando aveva salutato Hideyori, aveva promesso che si sarebbe recato da lui anche l’indomani, dopo aver studiato in biblioteca.
            Ora non faceva che controllare l’orologio, nicchiando sul libro di anatomia, sperando che il tempo volasse.
            La sospensione era solo un brutto ricordo.
 
***
 
            Hideyori intinse il pennello nell’inchiostro e lo lasciò scorrere sulla carta, alternando kanji a hiragana. Stava scrivendo a casa, raccontando di come si viveva a Londra, del tipo di feste, del comportamento barbaro degli europei e terminò aggiungendo che stava prendendo lezioni di danza occidentale.
            Morikawa entrò nella stanza portando un vassoio con tè e biscotti di riso e posò il tutto sulla scrivania. Osservò il volto del ragazzo e mormorò:
«Oggi siete sereno.»
«Sì, Hiro-san. Londra inizia a piacermi, anche se il tempo è brutto.» rispose lui continuando a vergare kanji come stesse dipingendo.
            Il samurai sistemò meglio la cravatta intorno al collo, maledicendo gli abiti stretti e si schiarì la gola.
«Londra?» ripeté insinuante, rasentando l’impertinenza.
            Hideyori alzò lo sguardo dal foglio e lo posò su Morikawa. Posò il pennello e prese la tazza di tè, sorseggiandone un po’.
«Omoshiroi hito desu. È una persona interessante.» ammise. «La sua compagnia è piacevole. Gli inglesi con i quali ho avuto a che fare finora non hanno il suo fascino.»
«Forse dovreste frequentare altre persone.» suggerì Morikawa.
            Hideyori addentò un biscotto, assaporandone il gusto agrodolce e annuì.
«Avete ragione. Per questo prendo lezioni di ballo: per poter seguire la stagione mondana. Non è sufficiente indossare abiti europei per apparire tale.» aggiunse divertito, indicando il samurai insofferente ai pantaloni e alla giacca. «Se devo apprendere i modi occidentali, ho bisogno di qualcuno che me li insegni.»
            Morikawa borbottò qualcosa e alzò la fiamma della lampada a olio sulla scrivania, affinché ci fosse più luce per scrivere.
«Non avete bisogno di imparare a danzare per frequentare altre persone.» insinuò.
            Hideyori sorrise e dopo aver terminato il tè si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, portò i gomiti sopra i braccioli e incrociò le dita sotto il mento. Osservò l’aria disapprovante di Morikawa e rispose:
«Lo so.»
 
***
 
            Corrado s’inchinò a Morikawa e stava per salutare, quando il samurai lo prevenne, cogliendolo di sorpresa:
«Benvenuto. Hideyori-sama attende salone voi.»
            Corrado lo vide inchinarsi più del solito, senza ombra di astio nei suoi confronti e suppose che fosse merito delle stesse sensazioni che provava lui. Aveva immaginato di sentirsi in imbarazzo dopo che l’uomo l’aveva visto nudo in piscina; invece si ritrovava a comportarsi in modo naturale e pareva che anche Morikawa si sentisse più a proprio agio con lui.
A parte le frasi sgrammaticate, Corrado continuò a pensare che quel samurai era un vero enigma.
«Grazie, Morikawa-san.» rispose e s’inchinò una seconda volta.
            Quando rialzò la testa, si accorse che l’uomo si era inchinato di nuovo e si domandò se fosse una replica al suo reiterato saluto. La cosa assurda che notò, fu che anche i funzionari che passavano s’inchinavano, tanto che si ritrovò a rispondere con altrettanti inchini che provocarono a loro volta altri inchini, come un effetto domino.
Alla fine, esasperato, rimase dritto e solo a quel punto Morikawa gli fece cenno di seguirlo. Mio Dio, pensò confuso. Quanto dovrò imparare ancora su questo popolo?
            Quando entrò nel salone, trovò Hideyori in kimono, in piedi di fronte alla finestra.
Era assorto nella contemplazione del cielo che quel giorno era terso e Corrado imitò Morikawa che s’inchinava nonostante lui non li guardasse. Che senso ha salutare uno quando questi non ti degna di attenzione? pensò.
Rimase in attesa accanto al samurai e nel frattempo osservò il profilo di Hideyori che si stagliava netto contro i deboli raggi solari. Con la mente tornò al giorno prima, quando lo aveva visto nudo e si rese conto che, se con Morikawa non provava imbarazzo, con Hideyori si sentiva avvampare al solo pensiero.
            In quel preciso istante, come un fulmine a ciel sereno, avvertì una fitta all’inguine, si accorse che il cuore aveva perso un battito e subito dopo iniziò a battere impazzito. Per un attimo pensò a un infarto e portò la mano al petto.
Un secondo dopo, appena il nipponico si girò a guardarlo, capì che il suo malessere aveva un’altra diagnosi: Hideyori.
            Il giapponese si staccò dalla finestra e gli andò incontro, salutandolo con un cenno del capo.
            In preda al panico, Corrado s’inchinò e preferì concentrarsi sul pavimento anziché guardare il giovane. Non si accorse dell’occhiata di Morikawa e quando si rialzò, vide il samurai uscire dal salone.
«Perché se ne va?» domandò precipitoso, terrorizzato all’idea di rimanere solo con lui.
            Hideyori sorrise e rispose:
«Abbiamo sempre fatto lezione da soli.»
«Ah...»
«Sono desolato, ma i musicisti non possono venire fino alla prossima settimana.»
            Corrado esitò e subito dopo ricordò che Hideyori aveva assoldato un gruppo di orchestrali per accompagnarli nella danza. In quel momento non gli importò nulla della musica, troppo preso dal fare un passo indietro ogni volta che l’altro ne faceva uno avanti.
Deglutì e abbozzò un sorriso, nel disperato tentativo di prendere tempo. Era questo che lo faceva stare male ogni volta che si trovava davanti a Hideyori? Era la sua vicinanza a renderlo fragile?
Era impazzito, senza ombra di dubbio. Oppure era il fascino discreto dell’atmosfera orientale a renderlo succube di sensazioni sconvolgenti e peccaminose.
«Gradite una tazza di sake prima di iniziare?» domandò Hideyori premuroso.
«No, grazie.» rispose in italiano.
            Si sentiva già sufficientemente ubriaco, senza peggiorare la situazione.
Abbassò lo sguardo e si accorse che l’altro era scalzo; allora si chinò per togliersi gli stivali e approfittò per inspirare a fondo e cercare la lucidità che gli stava venendo meno.
            Quando alzò lo sguardo, si accorse che Hideyori era ancora in attesa di una risposta e rimase un attimo perplesso. In quel momento si rese conto di aver parlato in italiano e che l’altro non poteva averlo capito e con un sospiro scosse la testa.
«No, grazie.» ripeté in inglese.
«Era la vostra lingua?»
«Sì.»
            Il giapponese lo guardò e per un attimo rimasero immobili a studiarsi, fin quando Hideyori allungò una mano per passarla intorno alla vita di Corrado e iniziare a danzare.
            Stordito, Corrado si lasciò guidare seguendo il ritmo dei numeri che ripeteva Hideyori, osservando i capelli lunghi dell’altro danzargli sul volto e alla fine si bloccò.
Il giapponese fece un altro passo e gli finì addosso. Alzò la testa per guardare Corrado negli occhi, pensando di aver sbagliato qualcosa; invece vi scorse un bagliore diverso, un’intensità tale da fargli cedere le gambe. Un istante dopo si sentì serrare per la vita e stringere contro di lui. Il cuore gli martellò nelle orecchie ma non protestò quando l’altro lo baciò.
            Rimasero abbracciati, scoprendo sensazioni nuove e inebrianti, il bacio che diventava sempre più avido, fin quando Corrado avvertì un campanello di allarme e si allontanò, nel volto un’espressione attonita e incredula.
«Io non... Scusate.» balbettò.
            Ora era certo di essere impazzito. Se Morikawa gli avesse staccato la testa in quel preciso istante, non avrebbe potuto biasimarlo. Azzardò un’occhiata alla porta, ancora chiusa.
            Hideyori, le gote rubiconde, lo guardò, non riuscendo a credere a quanto stesse accadendo. Si sentiva ubriaco e capiva solo che quella sensazione veniva da Corrado.
            L’altro alzò la mano per sfiorare la guancia morbida del giapponese e negli occhi sottili dell’altro lesse le stesse emozioni che provava lui.
«Mio Dio...» gemette. «Cosa mi avete fatto? Da quando vi conosco non riconosco più me stesso.»
            Hideyori prese la mano che gli accarezzava il volto e la strinse nella propria, mormorando:
«Era destino che due persone, di due mondi diversi, si incontrassero su una terra straniera. E il destino non si può fermare.»
«È follia, non destino.»
Hideyori stava per rispondere, quando qualcuno bussò alla porta. Entrambi sussultarono, sgranarono gli occhi e si girarono verso l’entrata.
Morikawa entrò richiudendo la porta alle proprie spalle; istintivamente Corrado portò una mano al collo, il fiato sospeso. Il samurai gli lanciò un’occhiata in cagnesco, quindi s’inchinò e in giapponese annunciò:
«Perdonate, ma il primo ministro del governo inglese ha mandato il suo attendente per scortarvi fino a casa sua.»
            Hideyori si allontanò da Corrado, prendendo tempo per recuperare se stesso, aggiustandosi il collo del kimono con gesti misurati e solo dopo si avvicinò al samurai.
«Grazie, Hiro-san.» mormorò.
            Morikawa si incupì, comprendendo che il suo signore si era dimenticato dell’appuntamento con il conte di Balfour, l’attuale primo ministro inglese, che lo aveva invitato a casa sua per un tè.
Ammiccò impercettibilmente verso Corrado e domandò:
«Vi fa questo effetto? Devo preoccuparmi?»
«Sì, Hiro-san e no, Hiro-san
            Il samurai sospirò e borbottò:
«È solo un barbaro.»
«Vi ho già detto di non usare quel termine. E lui...»
            Esitò, girandosi a guardare Corrado, rimasto immobile sul tatami. La sua espressione spaesata gli procurò una stretta al cuore; avrebbe desiderato tornare tra le sue braccia, ma non poteva. Distolse lo sguardo e osservò il suo amico, dicendo:
«Pensate voi a Corrado-san. Ditegli che...»
            Rifletté un attimo, girò appena la testa mordendosi le labbra e socchiuse gli occhi.
«Ditegli che lo aspetto domani.»
            Morikawa osservò Corrado alle spalle di Hideyori e annuì.
            Il ragazzo inspirò a fondo, scambiò un’occhiata con il samurai e senza aggiungere altro se ne andò.
 
***
 
            Corrado attese il tram che lo avrebbe ricondotto a casa, nella mente domande che si affollavano in modo convulso.
            Il primo pensiero razionale fu che era impazzito. Il secondo fu che era impazzito. Su questo non nutriva più alcun dubbio.
            Il terzo pensiero fu quello che lo sconvolse del tutto: si era innamorato. Aveva studiato i sintomi e anche su questo non aveva più dubbi.
            Aveva ascoltato Morikawa che lo esortava a tornare l’indomani, ché Hideyori lo avrebbe atteso, eppure alla domanda di cosa fosse accaduto, il samurai non aveva risposto.
E in quel preciso istante, quando non aveva saputo il motivo per cui Hideyori si era allontanato senza neppure salutarlo, si era accorto di essere perso. Lo sguardo di Morikawa lo aveva messo in soggezione e aveva risposto che sarebbe tornato l’indomani, per poi fuggire dall’ambasciata.
            Vide sopraggiungere il tram e salì a bordo. Faceva freddo, l’inverno avanzava a grandi passi ma era niente in confronto al gelo che provava nell’anima. Per quale motivo Hideyori voleva rivederlo l’indomani se neppure si era degnato di salutarlo?
Per un attimo avevano condiviso qualcosa di speciale e avrebbe giurato che Hideyori provasse i suoi stessi sentimenti. Glielo aveva letto negli occhi. E subito dopo era sparito senza una parola.
            Confuso, passò tutto il tempo del tragitto a pensare al giapponese che lo aveva sconvolto emotivamente, come se tutto il resto fosse diventato all’improvviso privo di importanza.
            Solo quando rientrò a casa e vide i libri aperti sulla scrivania, chiuse gli occhi e mandò tutto al diavolo.
 
***
 
            Rosemary entrò nella sala per fare colazione e vide Corrado seduto davanti a una tazza di tè. Aveva una faccia strana, come se non avesse dormito. I capelli erano arruffati e, cosa assai strana per lui, era ancora in vestaglia da camera.
«Buongiorno.» salutò con circospezione.
«Buongiorno, Rosemary.» rispose lui con tono mesto.
            La ragazza si mise seduta e una cameriera le versò una tazza di tè.
«Cos’è successo stamane? Come mai siete ancora a casa?»
            Corrado fece un gesto con la mano per poi passarla in mezzo ai capelli.
«Niente. Sono solo un po’ in ritardo.» rispose cercando un tono noncurante.
            Rosemary aguzzò lo sguardo e notò che non si era neppure rasato. Non era da lui.
«È accaduto qualcosa ieri in biblioteca?» s’informò imburrando un toast.
            Il ragazzo scosse la testa e sorrise. Si alzò, con la scusa di passare il barattolo di marmellata a Rosemary e rispose:
«Ho solo studiato a lungo. Ma ora mi rimetterò in sesto.»
            Lei prese il barattolo che le veniva porto e guardò Corrado con una muta domanda nello sguardo. Lo vide lasciare la sala e dirigersi al piano superiore e rimase perplessa da quel comportamento singolare.
 
***
 
            Hideyori osservò dalla finestra, domandandosi per quale motivo Corrado tardasse. Era sempre stato puntuale alle loro lezioni.
«Siete certo che sarebbe venuto?»
            Morikawa annuì, avvicinandosi al ragazzo.
«Gli ho detto di presentarsi oggi e lui ha risposto che sarebbe tornato.»
            Hideyori rimase con lo sguardo fisso sulla strada, osservando il via vai di carrozze, cavalli, pedoni e autovetture. Oramai era trascorsa un’ora dall’appuntamento e di lui neppure l’ombra. Avvertiva una asfissiante stretta al cuore che lo stordiva e suppose fosse provocata dalla delusione.
«Sapete dove abita?» domandò all’improvviso.
            Il samurai sgranò gli occhi, incapace di riconoscere il proprio signore nel ragazzo stagliato contro la finestra con espressione sofferente ed esclamò incredulo:
«Non avrete intenzione di recarvi da lui?»
            Hideyori non rispose. Allora Morikawa chinò appena la testa e disse:
«Ha lasciato i suoi dati personali prima di entrare all’ambasciata. Di certo ci sarà il suo indirizzo.»
            Il ragazzo distolse lo sguardo dalla strada e tornò alla scrivania, mettendosi seduto e prendendo in mano una stilografica.
«Allora siate così gentile da fargli recapitare un messaggio.»
«Non mi sembra una buona idea.»
«Lasciate che sia io a giudicare.»
            Morikawa stava per ribattere che avrebbe preferito suicidarsi pur di non fargli perdere la faccia, quando i suoi occhi si posarono su Corrado. Stava attraversando la strada correndo e quel comportamento gli ricordò il giorno in cui, per correre, li aveva travolti, cambiando il corso delle loro vite.
Si sentì sollevato e con un sorriso si girò verso Hideyori.
«È arrivato.» comunicò.
            Il ragazzo smise di scrivere e per una frazione di secondo anche il suo cuore si fermò, per poi prendere una folle rincorsa. Vide Morikawa uscire dallo studio per scendere nell’ingresso ad accogliere Corrado.
Allora prese il foglio e lo accartocciò, gettandolo nel camino acceso.
 
***
 
            Corrado entrò nel salone e lo trovò vuoto. Si girò per avere una risposta da Morikawa, ma questi si limitò a invitarlo a togliere gli stivali.
«Mi spiace per il ritardo, sono...»
«Togliere stivali, prego.» insistette il samurai.
            Corrado ubbidì, rimanendo in silenzio.
Mentre attendeva, lo sguardo gli cadde sul vaso di fiori accanto al tabernacolo. Era diverso dall’ultima volta che lo aveva visto. C’era un’unica gerbera gialla posizionata in modo tale da rimanere al centro di due foglie verdi. Sullo sfondo alcuni rami secchi ripiegati in modo da formare come un’aureola intorno alla gerbera.
Rimase affascinato da quella semplicità e mormorò:
«È bellissimo.»
«Grazie.»
            Si voltò di scatto alla voce di Hideyori e suo malgrado arrossì. S’inchinò e il giapponese si avvicinò al vaso, concentrandosi a lungo, come se stesse valutando un’opera d’arte.
«Vedete questo ramo più alto?» spiegò. «Indica il cielo. Questo più basso indica la terra, mentre quello intermedio è l’uomo. L’armonia deve essere perfetta.»
            Corrado studiò il profilo assorto del ragazzo e domandò incredulo:
«Lo avete fatto voi?»
«Sì.»
            L’italiano rimase a bocca aperta: in genere erano le donne a occuparsi dei fiori, non gli uomini.            Hideyori posò lo sguardo su di lui e abbozzò un sorriso.
«Da noi creare queste composizioni è un’arte. Non è un semplice vaso di fiori.»
            Corrado non fece fatica a crederlo, tuttavia in quel momento davanti agli occhi aveva un’arte ben diversa da ammirare: Hideyori.
«Perdonate il ritardo, ho avuto un contrattempo in biblioteca.» si scusò, senza riuscire a staccare gli occhi da lui.
            Hideyori sorrise e gli fece cenno di iniziare le lezioni. Corrado salì sul tatami, mentre il ragazzo si rivolgeva a Morikawa in giapponese. Questi ascoltò e rispose qualcosa. Allora Hideyori si girò verso Corrado e domandò:
«Mangiate pesce?»
«Pesce? Sì, certo.»
            Il ragazzo mormorò qualcosa a Morikawa e il samurai annuì, s’inchinò e uscì. Corrado osservò Hideyori con aria interrogativa e questi spiegò:
«Stasera siete mio ospite. Ho ordinato sashimi
            Corrado stava per rispondere che era atteso a casa, quando l’altro lo raggiunse sul tappeto, accostandosi fino a sfiorarlo con tutto il corpo, tanto che le parole gli morirono in gola. Alzò una mano e gli lambì la guancia, prima di prenderlo per la nuca e tirarlo a sé.
Hideyori si rifugiò tra le sue braccia e gli offrì le labbra, lasciandosi baciare con trasporto.
            Quando si staccarono, Corrado prese una mano di Hideyori e l’adagiò sul proprio petto.
«Riuscite a sentire cosa mi fate?» sussurrò poggiando la fronte contro quella dell’altro.
            Hideyori ascoltò il cuore di Corrado battere veloce e sorrise, sussurrando:
«Prima di conoscervi non avevo mai provato queste emozioni che mi lacerano il cuore.»
            Corrado passò un dito sulle sue labbra e sussurrò:
«Tacete. Qui da noi queste pulsioni sono punibili con il carcere.»
«Non posso tacere. In questo momento mi sento felice come mai prima.»
            Corrado lo strinse a sé con un gemito e Hideyori gli posò un bacio sul collo.
«Noi giapponesi amiamo vivere intensamente,» continuò con dolcezza, «come se ogni attimo fosse quello giusto per morire. Ed io ora potrei anche morire tra le vostre braccia, ne sarei oltremodo felice e onorato.»
            Corrado gli chiuse la bocca con un bacio e solo dopo borbottò:
«Non voglio neppure sentirle queste cose.»
            Hideyori lo guardò e stava per dirgli che la sua vita non gli apparteneva, che lui era parte integrante del Giappone, non un individuo singolo, e che era nato per donare la vita all’imperatore. Era il suo destino: la via del samurai era la morte.
Invece rimase in silenzio e gli sbottonò la giacca, lasciandola poi cadere a terra.
            A quel punto Corrado chiuse gli occhi e un attimo dopo si ritrovarono in ginocchio, a spogliarsi con frenesia, ansiosi di esplorarsi e di provare il brivido del tocco.
            E solo dopo, abbracciati sul tappeto, si concessero il lusso di perdere tempo in languide carezze.
 
***
 
            Corrado imitò Hideyori che si inginocchiava presso il kotatsu, un tavolo basso ricoperto da un futon. Sotto il tavolo, poggiato sul tatami, ardeva un braciere che scaldava tutto l’insieme.
Il kotatsu era imbandito per la cena e Corrado pensò vagamente che fosse un modo scomodo di mangiare. In quel momento, comunque, avrebbe accettato qualsiasi scomodità con gioia, poiché si sentiva vorticare in un mondo di beatitudine.
            Si trovavano nelle stanze private di Hideyori, dove nessuno li avrebbe disturbati, neppure Morikawa. Quella cena per due, assieme alla luce soffusa, rendeva l’ambiente pericolosamente intimo per la pace mentale di Corrado.
            Una donna portò un vassoio con la cena e lo posò al centro del tavolo, sparendo subito dopo con discrezione, senza neppure alzare lo sguardo.
Hideyori prese un piccolo asciugamano, lo bagnò e lo porse a Corrado. Il ragazzo lo prese, senza sapere cosa farci. Allora attese e vide Hideyori pulirsi le mani con un altro asciugamano.
«Questo piatto sembra un’opera d’arte.» notò.
            I molluschi e le fettine di pesce erano disposti in modo maniacale, contornati da verdure anch’esse collocate con un senso logico. Il tutto adagiato su foglie di lattuga, con accanto ciotole piene di una salsa agrodolce.
Era un abominio il solo pensiero di distruggere una simile bellezza. In quell’istante prese coscienza che anche il vaso di fiori gli era sembrato un’opera d’arte e si domandò se i giapponesi facessero tutto con un’attenzione spropositata per l’estetica. Probabilmente sì.
            Hideyori gli porse gli hashi, e Corrado si ritrovò con due bacchette in mano, mentre l’altro mormorava:
«Itadakimasu. Buon appetito.»
«Ah... buon appetito.»
Quando Corrado vide il nipponico servirsi il pesce con una facilità estrema, provò a imitarlo, con risultati disastrosi. Imbarazzato, tentò più volte, mentre Hideyori gli mostrava come tenere in mano i bastoncini in maniera corretta.
All’ennesimo tentativo fallito, temette di rimanere a digiuno.
            Hideyori sorrise divertito e Corrado stava per lamentarsi, quando ammutolì nel vedere il giapponese prendere un mollusco, inzupparlo nella ciotola e avvicinarlo a lui per imboccarlo. Con le gote arrossate mangiò, accorgendosi di essere a sua volta cibo per gli occhi di Hideyori.
Ingurgitò senza neppure riuscire a sentirne il sapore, troppo sbalordito.
«Credo che dovrò insegnarvi a usare gli hashi.» sussurrò il giapponese.
Corrado annuì e bevve un sorso di tè.
«Ritengo di dover imparare ben più che usare i bastoncini.» ammise con un nodo in gola. «Il vostro mondo è una continua, piacevole e sorprendente scoperta.»
            Hideyori si alzò, girò intorno al tavolo e si inginocchiò accanto a Corrado. Prese i bastoncini e glieli posizionò nella mano, guidandolo con la propria per fargli prendere un boccone di pesce.
            Turbato, il cuore che gli pulsava nelle orecchie, il ragazzo avvertiva solo il bruciore che gli provocava il contatto con Hideyori. Senza neppure accorgersene portò alla bocca il cibo e lo masticò, sotto lo sguardo compiaciuto dell’altro.
«Vedete? Kantan desu. È facile.»
            Corrado deglutì, si girò di scatto e lo serrò nelle braccia, baciandolo come se fosse affamato. Hideyori si lasciò andare contro di lui e il sashimi rimase lì, in attesa di qualcuno che lo finisse.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Michael e John lo videro arrivare dal ponte sul fiume e gli andarono incontro. Finalmente la sospensione era terminata e potevano rientrare a seguire le lezioni.
            La mattinata era fosca, tirava vento e le foglie morte vorticavano in mulinelli per tutto il parco dell’università.
«Buongiorno. Siete in ritardo.» commentò John mostrando gli studenti che si affrettavano a entrare nel complesso.
            Corrado salutò, serrando i libri sotto il braccio e ripensò alle corse fatte quella mattina.
Aveva trascorso la notte all’ambasciata, senza chiudere occhio, perso nel mondo ovattato dell’amore sbocciato senza preavviso e solo all’alba, riluttante, si era risolto a lasciare Hideyori. Era corso a casa, in tempo per prendere i libri e catapultarsi verso il taxi, sotto lo sguardo interrogativo di Lady Cecil che stava facendo colazione.
            Si sentiva orrendo. Non aveva avuto tempo di radersi, né di cambiarsi d’abito e i capelli, sebbene corti, erano spettinati. Per fortuna il vento gli permetteva di avere una scusa plausibile a quella mancanza di decenza.
E anche così, si sentiva a un passo dal cielo. A dispetto della stanchezza, il suo volto era sereno, gli occhi brillavano e quando sorrideva si illuminava. Sentiva addosso ancora l’odore di Hideyori.
            Non aveva perso solo il sonno: aveva perso anche il senno. E gli andava bene.
            Se John non fece caso al suo stato, Michael invece lo studiò a lungo. Mentre si dirigevano verso l’aula, domandò con tono noncurante:
«Come avete trascorso questa settimana?»
«A studiare in biblioteca.»
            Era una mezza verità, poiché la mattina vi si era recato regolarmente.
«Ieri ero venuto a casa vostra e Lady Cecil mi ha detto che, in effetti, eravate in biblioteca.»
            Quella rivelazione, accompagnata da un tono di biasimo, fece scattare un campanello di allarme nella mente di Corrado. Per quale motivo l’aveva cercato? Lo guardò e si accorse che Michael lo fissava con freddezza.
«In biblioteca non c’eravate.» affermò questi.
«Ah, forse siete capitato nel momento in cui mi sono recato al pub a bere qualcosa.» mentì, avvertendo un brivido corrergli per la schiena.
«Ho atteso tutto il pomeriggio, approfittando per studiare.»
            Corrado impallidì e non seppe cosa rispondere. Scosse la testa e guardò John: lui sembrava pensare ad altro.
«Non so cosa dire. Forse non ci siamo incrociati per puro caso.»
«E Lady Cecil non vi ha informato, ieri sera o stamane, che ero passato a cercarvi?» insistette l’inglese.
            Come avrebbe potuto? pensò disperato.
«No. Ma sapete, ha una certa età e può esserselo dimenticato.» rispose edulcorando la menzogna con un sorriso.
            Michael non rispose: si limitò a fissarlo con una tale intensità che Corrado alla fine si indispettì.
«Potevate avvisarmi che sareste venuto a trovarmi.» commentò con una punta di acidità nel tono di voce.
            L’altro parve incassare il colpo e la sua espressione si addolcì un po’.
«Avete ragione, avrei dovuto avvisarvi. Tuttavia, ho trovato strano che Lady Cecil non sapesse nulla della sospensione.»
            Corrado ammutolì e per poco non si bloccò in mezzo al corridoio. Michael sogghignò ed entrò nell’aula insieme a John.
Gli studenti li guardarono, sussurrando commenti riguardo alla sospensione e Corrado avvertì come un pugno nello stomaco: il sogno era finito, era tornato bruscamente con i piedi per terra.
 
***
 
           Terminata la lezione, si diressero verso l’aula delle autopsie, stavolta per veder sezionare uno scimpanzé. Il vento fischiava ancora e sotto i portici i ragazzi camminavano a passo svelto, la testa infossata nelle spalle in cerca di tepore.
            Corrado sapeva che sarebbero dovuti passare davanti all’edificio dove si studiava diritto e sperò di non incrociare Hideyori.
Con la coda dell’occhio riconobbe la fisionoma di Morikawa davanti all’ingresso e capì che il ragazzo era a lezione. Il samurai lo vide passare con i compagni di studi e con grande sollievo di Corrado fece finta di nulla.
            Quando entrò nell’aula si concentrò sull’animale steso su un tavolo, preparando il fazzoletto imbevuto di profumo. Ciò nonostante era difficile incanalare l’attenzione quando la mente lo riportava di continuo a Hideyori. Fu una vera, totale sofferenza, anche se Michael gli offrì un aiuto inaspettato: continuando a tenerlo d’occhio, lo costrinse ad assumere un’aria attenta e seria.
Al termine della lezione raccolse i libri, salutò gli amici e corse a prendere il taxi che lo avrebbe ricondotto a Londra, preparandosi ai rimbrotti di Lady Cecil.
 
***
 
            I giorni seguenti Corrado alternò attimi in cui riusciva a studiare, a momenti in cui era sul punto di correre all’ambasciata. Si impose la pazienza, attendendo il momento in cui aveva appuntamento per la lezione di ballo.
            Rosemary provò in più di una circostanza a capire cosa stesse accadendo e il giorno in cui Corrado si stava preparando per uscire, lei bussò alla sua porta.
«Brutto momento?» esordì ammiccando al completo scuro poggiato sul letto.
            Il ragazzo scosse la testa e si osservò allo specchio per sistemare il nodo alla cravatta.
«Devo uscire.»
            Lei avanzò nella stanza e con eleganza sedette sul letto, sfiorando con le dita il gilet e la giacca.
«Appuntamento galante.» considerò.
            Corrado impallidì e la fissò attraverso l’immagine riflessa nello specchio. Per un attimo le dita si bloccarono, quindi riprese a sistemare la cravatta con gesti misurati, accorgendosi del lieve tremito.
«Cosa ve lo fa supporre?»
«La cura e il profumo.»
«Noto con piacere che siete molto sicura di voi.»
«Non dovrei?»
            Corrado alzò le spalle con noncuranza e rispose:
«Mi sto solo preparando per uscire.»
            Rosemary si alzò e gli si avvicinò, posando le mani sulla sua schiena. Anche attraverso la stoffa della camicia sentì la muscolatura e il calore che emanava e di slancio gli circondò la vita con le braccia.
Corrado si contrasse e trattenne il respiro. Con gentilezza si girò e Rosemary lo guardò con espressione adorante.
«La odio.» sussurrò.
«Chi?»
«La donna che vi sta facendo questo effetto.»
            Il ragazzo non capì subito; poi abbozzò un sorriso divertito e la prese per le spalle per allontanarla.
«Non c’è nessuna donna.» rivelò.
            Lei inarcò le sopracciglia sorpresa e Corrado comprese che avrebbe fatto meglio a tacere. Rosemary gli accarezzò una guancia e osservò:
«Rasato di fresco. Comprendo che non vogliate ferirmi, eppure so che qualcosa è cambiato. Qualcosa che ha sconvolto la vostra esistenza e che non prevede la mia presenza. Concedetemi di odiarla.»
            Lui rimase in silenzio, preferendo lasciarle credere quello che voleva. Le donne riuscivano a essere perspicaci in maniera sorprendente.
Aveva dovuto faticare non poco per persuadere Lady Cecil che Michael aveva solo voluto scherzare riguardo alla sospensione, augurandosi che venisse a scoprire la verità il più in là possibile; e se anche l’anziana signora alla fine ci aveva creduto, non poteva dirsi altrettanto della nipote.
«Perdonatemi, ma rischio di fare tardi.» le comunicò.
            Stizzita, Rosemary girò su se stessa e fissò con astio il vestito sul letto.
«Tornerete, stanotte?» insinuò acida. «O rimarrete ancora fuori?»
            Corrado stava per replicare che non erano affari suoi, però poi serrò le labbra prima di dire:
«Tornerò.»
 
***
 
            Corrado lo guardò, impossibilitato a distogliere lo sguardo. Hideyori indossava il kimono senza obi e la parte del suo corpo che si intravedeva dai lembi era così sensuale che l’altro rimase paralizzato sulla soglia della stanza. Come faceva a sconvolgerlo così nel profondo? Ammirarlo con il kimono aperto rischiava di fargli perdere il senno. Anzi: lo aveva già perso.
            Hideyori gli andò incontro e con naturalezza gli passò le braccia intorno alla vita, plasmando il corpo a quello di lui in cerca di calore. Corrado lo strinse a sé e passandogli una mano tra i capelli lo baciò.
«Mi siete mancato.» confessò con voce roca.
«Anche voi. Diventa ogni giorno più difficile sopportare la lontananza.»
            Quindi gli sbottonò la giacca e lo invitò a sedere davanti al fuoco che bruciava nel camino. Inginocchiandosi, Hideyori spostò i lembi del kimono, mettendo a nudo l’intero torace glabro dai muscoli guizzanti.
Corrado allungò la mano per toccarlo e lui sorrise.
«Stendetevi.» lo invitò.
            Corrado eseguì e Hideyori gli fece posare la testa sulle proprie gambe.
«Raccontatemi di voi, voglio sapere tutto.»
            L’italiano sospirò, consapevole che quella posizione lo distraeva parecchio, soprattutto la mano sinistra di Hideyori poggiata sul suo petto e l’altra che gli accarezzava i capelli.
Gli raccontò di aver perso la madre quando aveva dodici anni e subito dopo di lei i due fratelli più piccoli. Era stata Natalina a fargli da madre fino a quando si era sposata. Suo padre lo aveva lasciato libero di intraprendere gli studi che preferiva e i primi anni era stato a Roma, per poi decidere di terminarli a Cambridge.
Raccontò anche che la sua famiglia era un ramo cadetto dei Bardi, banchieri che affondavano le radici nel medioevo e che suo nonno era stato amico di Lord Cecil. Per quel motivo, quando aveva deciso di studiare in Inghilterra, Lady Cecil lo aveva ospitato a casa propria. Era dura fare la spola tra Londra e Cambridge, ma approfittava spesso della biblioteca quando non poteva recarsi all’università.
«Siete fidanzato?»
            Quella domanda lo colse di sorpresa e guardandolo rispose:
«No. E voi?»
            Hideyori chinò la testa e i capelli gli incorniciarono il volto.
«Sì.» ammise in un sussurro.
            A Corrado si fermò il cuore e la sua espressione dovette esprimere un così evidente dolore che l’altro si morse le labbra.
«Non l’ho deciso io, bensì mio padre.» spiegò. «Sono fidanzato da dieci anni con una ragazza che ho veduto solo due volte in vita mia.»
«E...»
            Corrado inghiottì la domanda, ritenendola retorica. Era ovvio che si sarebbe sposato e che lo avrebbe perso. Eppure il solo pensiero lo faceva stare male.
«Dubito che mi sposerò presto.» dichiarò il giapponese, come se gli avesse letto nel pensiero.
            Corrado si sorprese e allungò una mano per toccargli i capelli.
«E voi? Cosa mi raccontate di voi?»
            Hideyori rivelò di avere due fratelli e tre sorelle più piccoli e se anche erano nipoti dell’ultimo Shōgun, la loro condizione era ben diversa da quando il Giappone si era occidentalizzato.
Spiegò che sì, non vestivano più con il kimono e non esistevano più i samurai; nondimeno continuavano a coltivare le loro tradizioni e Morikawa ne era un esempio. Gli spiegò cosa rappresentasse per loro il seppuku, cosa l’ikebana e il cha no yu.
Raccontò che aveva scelto di studiare a Cambridge per seguire le orme dell’ammiraglio Tōgō Heihachirō, il vincitore della guerra Boshin e della guerra sino-giapponese. Anche se, a differenza di lui, l’ammiraglio aveva conseguito gli studi navali e non di diritto.
«Quando tornerò in Giappone con la laurea, lavorerò per migliorare il mio paese.»
            Corrado si alzò su un gomito e con l’altro braccio gli circondò il collo, tirandolo a sé.
«Intanto siamo qui.» mormorò prima di baciarlo.
            Hideyori gli sbottonò il gilet e dopo non ci fu più spazio per le parole.
 
***
 
            Corrado sgranò gli occhi e scosse la testa.
«Non posso.» disse.
            Hideyori lo guardò attraverso i fumi dell’acqua bollente che salivano in rivoli al soffitto, calamitato dall’ampiezza del suo petto dove spuntavano alcuni ciuffetti biondi e insistette:
«Perché no? Mi accompagnerete come insegnante di ballo.»
«Io non ho... Ho ritenuto più prudente non dire a nessuno della nostra... amicizia.» concluse, non sapendo bene come collocare la loro relazione.
            Hideyori allungò la mano per posarla sul suo petto lambito dall’acqua e commentò:
«È solo un ballo.»
            Corrado chiuse un attimo gli occhi, non sapendo cosa fare. Gli aveva chiesto di accompagnarlo al ballo che si sarebbe tenuto quattro giorni dopo nella casa di Lord Pembroke, uno dei tanti signorotti che desideravano la presenza del ragazzo. Se da una parte voleva stare con lui, dall’altra temeva la propria reazione nel vederlo danzare abbracciato alle dame presenti.
«Non sono stato invitato.» disse poi.
«Questo non è un problema.»
            Corrado lo studiò, ipnotizzato da quegli occhi a mandorla, e subito dopo riempì le mani di acqua per rovesciarla sulla testa di Hideyori. Questi aprì la bocca per protestare, ma quando vide l’altro ridere, accettò il gioco e si divertì a schizzarlo.
            Si rincorsero lungo tutta la piscina, nuotando e immergendosi, fin quando si abbracciarono e Corrado capitolò.
«Va bene. Vi accompagnerò.»
 
***
 
            Rosemary rimase a bocca aperta quando Corrado comunicò che l’indomani sarebbe andato al ballo di Lord Pembroke per accompagnare Hideyori in qualità di insegnante.
Avrebbe preferito tenere nascosta quell’amicizia, ma aveva capito che era impossibile. Intervenendo alla serata danzante i partecipanti l’avrebbero riconosciuto e ne avrebbero parlato con Lady Cecil alla prima occasione.
            Così, per evitare che venissero a saperlo da altri, la sera prima dell’evento, mentre erano a cena, spiegò come avesse conosciuto Hideyori e come fossero entrati in confidenza. Usò poche parole, rendendosi conto di trovarsi in difficoltà quando parlava del ragazzo; come se avesse avuto timore che gli altri scoprissero il loro segreto.
«E per quale motivo non ce lo avete detto prima?» esclamò Rosemary contrariata.
            Corrado staccò un pezzo di tacchino e prima di metterlo in bocca rispose:
«Non lo ritenevo importante.»
«Non lo ritenevate importante?» ripeté attonita.
«Basta così, Rose.» intervenne Lady Cecil. «Corrado è libero di fare amicizia con chi vuole. Anzi: giacché siete in confidenza, ritenetevi libero di invitare il vostro nuovo amico qui da noi, ne saremmo oltremodo onorate.»
            Il ragazzo rimase con la forchetta a mezz’aria, incredulo che l’anziana donna non lo rimproverasse per il suo comportamento non proprio corretto. Tutt’altro: sembrava compiaciuta di poter vantare il nipote dello Shōgun tra i conoscenti.
«Tuttavia,» riprese Lady Cecil con aria vaga, «vi invito a tenerci al corrente di quanto vi accade. Del resto, siamo responsabili verso il signor Bardi.»
            Corrado la guardò mentre continuava a mangiare tranquilla, con portamento altero nell’abito indossato esclusivamente per la cena e si girò verso Rosemary. Questa si pulì la bocca con il tovagliolo e prese il calice di cristallo per bere il vino. Lo portò vicino alle labbra e disse:
«Potevate dirlo che la vostra amicizia era un uomo: mi sarei risparmiata la scenata di gelosia.»
«Gelosia?» intervenne Lady Cecil con tono brusco, fissando la nipote attraverso le candele accese al centro del tavolo. «Che storia è questa?»
«Stavo solo scherzando.» tagliò corto Rosemary.
            Lui abbozzò un sorriso e mise in bocca il boccone, evitando di intervenire. La ragazza bevve il vino e con voce suadente invitò:
«Parlateci di questo giapponese: che tipo è?»
            Il boccone gli andò di traverso e tossì diventando paonazzo. Si affrettò a mandare giù un po’ d’acqua, sotto lo sguardo perplesso delle due donne. Si ricompose pulendosi con il tovagliolo e dopo un po’ si schiarì la gola rispondendo:
«Un ragazzo che studia a Cambridge.»
            Era suo quel tono strozzato? Terrorizzato, bevve ancora un po’ d’acqua e riprese:
«Mi ha visto ballare e mi ha chiesto se potessi insegnargli. A essere onesti, è negato.» aggiunse provando a sorridere, come a minimizzare la cosa.
«Ha mai parlato del nonno?» insistette Rosemary curiosa.
«No. È molto riservato.»
«A differenza di alcune persone.» borbottò Lady Cecil mettendo in bocca un pezzo di carne.
            Rosemary esitò, avendo capito che si riferiva a lei, e comunque la curiosità era così grande che riprese:
«Ed è vero che contravvengono a ogni precetto religioso suicidandosi?»
«Non saprei. Non mi ha mai parlato della sua religione.» rispose Corrado.
«È vero che fanno molti inchini? E che indossano abiti simili alle gonne?» incalzò la giovane sporgendosi sul tavolo, come per ascoltare meglio le risposte.
«Sì, a entrambe le domande.»
«In fotografia sembra molto giovane; ciò nondimeno, poiché frequenta l’università, deve essere solo l’impressione, giusto? Ed è così bello come appare?»
            Sì, pensò sul disperato, è finanche troppo bello per essere un uomo. Abbassò lo sguardo sul piatto davanti a sé e tamburellò con le dita sul tavolo. Incominciava a innervosirsi.
«Non saprei.» mormorò. «Una donna giudicherebbe meglio di me.»
            Rosemary si appoggiò allo schienale della poltrona, soddisfatta, e sorrise.
«Allora spero di conoscerlo presto.»
«Ora basta.» intervenne Lady Cecil alzandosi, mettendo termine alla cena. «È tardi. Ci parlerete del vostro amico domani, con più agio.»
            Corrado la ringraziò con lo sguardo e si alzò a sua volta, prendendo la palla al balzo per scusarsi con Rosemary e ritirarsi nella propria stanza.
 
***
 
            Michael gli si parò davanti lungo il corridoio, prima di entrare a lezione e Corrado si sentì afferrare per un braccio e trascinare verso i bagni.
«Michael, ma cosa...» borbottò provando a sciogliersi da quella presa ferrea.
«Non mi lasciate molta scelta, poiché ultimamente siete parecchio scivoloso.»
«Scivoloso?»
«Sfuggente, untuoso, inafferrabile.» ringhiò.
            Corrado si adombrò e solo una volta giunti all’interno dei bagni, Michael lo lasciò per accertarsi che non ci fosse nessuno. Corrado posò i libri accanto ai lavelli, aggiustò la toga che nella foga gli era scivolata dalle spalle e sistemò il tocco sulla testa.
«Mi spiegate che modi...»
            Michael gli si avventò contro, costringendolo ad arretrare e a sbattere contro la parete. Posò le mani sul muro, all’altezza delle sue spalle, imprigionandolo e Corrado sgranò gli occhi, massaggiandosi la testa che aveva sbattuto contro le maioliche, il cappello che era volato a terra nell’urto.
«Io rifiuto di credere che non abbiate capito!»
«Capito cosa?»
«Cristo, Corrado!» sbottò il ragazzo picchiando con le mani contro il muro.
            L’italiano strinse gli occhi, prendendo nota dell’agitazione dell’altro e stava per ribattere, quando Michael gli afferrò il volto e lo baciò. Dapprima sorpreso per quell’assalto, Corrado reagì puntandogli le mani sul petto e respingendolo.
Lo fissò negli occhi con sguardo omicida e sibilò:
«Certo che ho capito. E se ho fatto finta di niente era solo per non offendere i vostri sentimenti con il mio rifiuto.»
            Michael scosse la testa, il volto teso nello sforzo di rimanere calmo; con le mani afferrò i polsi di Corrado che lo teneva a distanza e ripeté sferzante:
«Rifiuto? Vorreste farmi credere che preferite le donne quando non vi ho mai visto in compagnia di una ragazza? Ho capito male?»
«Sì, avete capito male.»
            Michael piegò le labbra in un ghigno e ribatté sardonico:
«No, non credo.»
«Sono desolato.» commentò cercando di liberarsi. «Mi spiace che le maniere gentili siano state fraintese.»
            Michael serrò ancor più la presa, incerto.
«E in questo momento siete ridicolo.» concluse Corrado, sfruttando la titubanza dell’altro, usando il tono più tranquillo che riuscì a modulare.
            L’altro serrò le labbra, quindi lo lasciò senza staccargli gli occhi di dosso. Stava per replicare, quando la porta del bagno si aprì e John fece capolino, provvidenziale.
«Ma cosa fate? La lezione sta per iniziare. Non vi è bastata la sospensione?»
            Corrado e Michael si fissarono ancora per un lungo attimo, quindi l’italiano si chinò per raccogliere il tocco, recuperò i libri e si avvicinò a John, esortando:
«Andiamo, o faremo tardi.»
 
***
 
            Morikawa aprì lo sportello della carrozza e Hideyori montò sul predellino per salire. Subito dopo Corrado lo seguì e il samurai provvide a ripiegare il predellino e a chiudere la portiera, per montare a cassetta insieme al conducente.
«Pensavo sedesse con noi.» commentò Corrado.
«Gli ho chiesto io di lasciarci soli.» rispose Hideyori sciogliendo le tendine alle finestre. «Sono tre giorni che non vi vedo e mi mancate troppo.»
            Il ragazzo lo fissò sorpreso, temendo di aver frainteso le intenzioni dell’altro. Ma quando il giapponese tolse il mantello e lo posò sul sedile di fronte a loro, non ebbe più dubbi. Era impazzito? Stavano andando a una serata danzante e non potevano permettersi di rovinare gli abiti per...
«Ah! Temo sarà un viaggio lungo, allora.» mormorò con un pizzico di ironia.
            Hideyori sorrise e gli prese il volto tra le mani guantate per baciarlo. Corrado lo strinse a sé, togliendogli la tuba per potergli accarezzare liberamente i capelli.
«Siete certo di quello che volete fare?» s’informò dubbioso.
«Ho imparato alcune cose nella casa da tè a Tōkyō e queste cose non sgualciranno i nostri abiti. Fidatevi di me.»
            Sempre più confuso, scosso dalle ruote che scivolavano sul lastricato, guardò Hideyori attraverso la penombra e questi lo abbracciò felice. Allora, con il cuore che gli scoppiava in petto, mormorò sulle sue labbra:
«Quanto tempo abbiamo?»
«Hiro-san farà in modo da lasciarci il tempo necessario.»
«Bene.»
            Riprese a baciarlo e Hideyori iniziò a slacciargli i pantaloni, quando Corrado si scansò di colpo per guardarlo.
«Hiro...» ripeté.
            Il giapponese lo guardò senza capire e Corrado si accorse della propria stupidità. Aveva palesato la gelosia e questo lo raggelò. Sul serio era geloso?
«Cosa succede?» domandò Hideyori preoccupato.
            Corrado esitò, non sapendo se spiegarsi o meno. Aveva usato il nomignolo per chiamare Morikawa e temeva, ponendo la domanda, di venire a sapere che tra loro ci fosse stato qualcosa.
E questo lo sconvolgeva.
«Lo avete chiamato per nome.» mormorò in un sussurro.
            Hideyori annuì e un attimo dopo sorrise. Corrado invece si rabbuiò, incrociò le braccia sul petto e attese una spiegazione.
«Hiro-san è il mio migliore amico. È la mia guardia del corpo, mi ha visto nascere e mi fido ciecamente di lui. È pronto a immolare la vita per me. È stato lui a portarmi nella casa da tè la prima volta e non lo ringrazierò mai abbastanza per questo. Lui è tutto, fuorché il mio amante.» spiegò con dolcezza, riprendendo a sbottonargli i pantaloni. «Questo mi fa piacere, Corrado-san, perché ora so che tenete a me come io tengo a voi. La serata non poteva iniziare in modo migliore.»
            Si tolse i guanti e gli accarezzò il viso, continuando insinuante:
«Dove eravamo rimasti?»
            Corrado aprì la bocca per dire qualcosa, quando Hideyori abbassò la testa per accarezzarlo con le labbra e Corrado sgranò gli occhi sentendo il cuore fermarsi.
 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Era sconvolto e imbarazzato da quanto accaduto nella carrozza e temeva che la gente intervenuta al ballo potesse leggerglielo in faccia.
Aveva guardato a testa bassa Morikawa quando questi aveva aperto lo sportello per farli scendere, arrossendo appena. Il samurai non aveva battuto ciglio.
«Ora potrò rendermi conto se le lezioni sono andate a buon fine.» disse Hideyori entrando nel salone illuminato a giorno.
            Corrado lo seguì in silenzio, accorgendosi di quante persone si avvicinassero a Hideyori per salutarlo o per presentargli amici e parenti. Era ricercato da tutti, poiché curiosi nei confronti di un essere diverso da loro.
A sua volta Corrado salutò gli ospiti che conosceva e alcuni si informarono sulla salute di Lady Cecil e Lady Rosemary. Risucchiato nel vortice, Corrado si manteneva accanto a Hideyori e Morikawa e tra un incontro e l’altro riconobbe il giovane che si era fatto avanti con Rosemary. Questi lo vide e gli rivolse un tenue sorriso, girandosi poi a conversare con la ragazza che gli stava al fianco.
Corrado lo guardò, accorgendosi della familiarità con la quale si rivolgeva alla giovane. Preferì evitare di porsi domande, anche perché non erano affari suoi.
            Prese un calice da un vassoio portato da un cameriere e Hideyori lo imitò. L’orchestra aveva già iniziato a suonare una polka e i padroni di casa aprirono le danze, vorticando in mezzo al salone.
Corrado si avvicinò all’orecchio dell’amico e suggerì:
«Dovreste invitare qualche dama. Solo così capirete se le lezioni sono servite.»
            Hideyori annuì e gli sorrise.
«Consigliatemene qualcuna.»
            Corrado si guardò intorno, cercando tra la baraonda di gente stipata nel salone e alla fine individuò un paio di ragazze. Le indicò all’amico e questi si rivolse a Morikawa.
Il samurai accennò un inchino e si diresse verso le ragazze per palesare le intenzioni del suo signore.
«Ancora non riesco a credere che abbiate potuto pensare che io e Hiro-san...»
«Hideyori-sama!» esclamò Corrado imbarazzato, osservandosi intorno, temendo orecchie indiscrete.
«Yuki.» lo corresse con insinuante dolcezza, nello sguardo un barlume di desiderio.
            L’italiano lo guardò negli occhi e strinse i pugni per non saltargli addosso. Era oltremodo pericoloso stargli vicino e accorgersi che tubava con lui senza pudori.
L’altro sorrise e si girò verso Morikawa. Le due ragazze sembravano raggianti dell’invito a danzare e annuivano alle parole del samurai, mentre tenevano lo sguardo fisso su Hideyori.
«Signor Bardi, che sorpresa vederla qui.»
            Corrado si girò e vide un amico di Lady Cecil che scortava orgoglioso la figlia.
«Mister Hugo.» salutò inchinandosi. «Miss Hugo.»
            La ragazza si genuflesse e piegò con grazia la testa in risposta.
«Allora c’è anche Lady Cecil con voi?» s’informò l’uomo.
«Temo di no. A dire il vero sono qui in veste di insegnante di ballo di Hideyori-sama.» e fece un gesto con la mano per presentare l’amico.
            Mister Hugo sfoggiò un sorriso a cinquanta denti e osservò il giapponese mentre parlava con Morikawa.
Corrado si rese conto che l’uomo gli si era avvicinato con l’intenzione di poter fare la conoscenza del ragazzo e dentro di sé si domandò quanti, nel salone, commentassero quella sua apparizione al fianco del rampollo.
All’improvviso si accorse di trovarsi suo malgrado al centro dell’attenzione e l’agitazione lo lasciò per un attimo interdetto. Non si era aspettato di dover fare i conti con la curiosità che suscitava Hideyori. Di certo il prestigio che quei nobili ne ricevevano conoscendolo, avrebbe fatto sì che parlassero a lungo di tale evento nelle noiose serate invernali.
            Tornò a concentrarsi su mister Hugo e schiarendosi la gola lo presentò all’amico. Questi s’inchinò appena e in quel momento la musica finì.
«Perdonate, ma ho un ballo che mi attende.» si accomiatò Hideyori posando il calice e andando verso le due ragazze.
«Il vostro allievo è una persona interessante.» commentò l’uomo. «Ritenete possibile che possa far danzare anche mia figlia? Ne sarei onorato.»
            Corrado trattenne una smorfia e sospirò.
«Chiedetelo a lui. Ora perdonatemi: devo controllare i progressi del mio allievo.»
            Si concentrò sulla musica e individuò Hideyori mentre danzava con una delle ragazze in mezzo ad altre coppie. Sembrava cavarsela abbastanza bene e, al momento, pareva non le avesse ancora pestato i piedi. Lei sorrideva e si accorse che parlavano tra un volteggio e l’altro. E quando Hideyori sorrise, Corrado avvertì una fitta allo stomaco. O era il cuore?
Che diamine, un futuro medico che non riconosceva i malesseri? Possibile che quando si trattava di lui perdesse la lucidità? Distolse lo sguardo e si accorse dell’occhiata di Morikawa. Provò ad abbozzare un sorriso, ma il samurai rimase imperturbabile. Allora bevve l’ultimo sorso di vino e posò il calice.
            Quando si rigirò verso la pista da ballo, quello che mise a fuoco fu il volto di Michael. Sussultò e in un secondo iniziò a sudare freddo. Cosa ci faceva lì?
«Corrado, tutto mi sarei aspettato, tranne che incontrarvi qui.» esordì.
            L’italiano sbatté le palpebre e d’istinto allentò il nodo alla cravatta. Avrebbe volentieri tolto la giacca, ma non era dignitoso rimanere in camicia e gilet.
«Che sorpresa, Michael.» mormorò con tono piatto.
            Si accorse che l’altro lanciava occhiate a Morikawa, immobile nel punto esatto dove Hideyori lo aveva lasciato e senza pensarci due volte Corrado si allontanò il più possibile, per evitare che si incontrasse con il giapponese.
            Michael gli andò dietro e lo raggiunse in una sala dove gli uomini si erano riuniti per fumare i sigari. L’italiano prese un calice da un tavolo e bevve, cercando di calmarsi.
«E così,» iniziò Michael, «siete venuto in compagnia dello Shōgun
            Il tono beffardo lo irritò, tuttavia preferì non raccogliere la sfida e trangugiò il vino.
«In veste di insegnante di ballo, sì.» confermò.
«Insegnante di ballo.» ripeté Michael con aria assorta. «E l’allievo è diligente?»
«Che ci crediate o meno, sono il suo insegnante.»
«Non mi dite.» lo dileggiò. «Un bel salto di qualità dallo scontro per strada.»
            Corrado si incupì e si guardò intorno: seduti sui salotti o in piedi, gli uomini presenti discutevano tra loro di politica, di guerre, affumicando la stanza con i loro sigari puzzolenti. Lui odiava il tabacco.
E odiava quel tono irriverente di Michael.
Fece una smorfia e si allontanò, tallonato dall’altro.
«Aspettate!» esclamò l’inglese afferrandolo per un braccio.
            Corrado si girò di scatto per affrontarlo e stava per rispondergli, quando i suoi occhi incrociarono quelli di Morikawa al di là della spalla di Michael. Il nipponico si avvicinò con aria minacciosa e Corrado trattenne il fiato.
«Problema, Corrado-san?» domandò osservando il braccio del ragazzo trattenuto da Michael.
«Ah.... No, grazie, Morikawa-san
            Michael lasciò la presa e rimase perplesso all’espressione seria del giapponese.
«Bene. Allora prego, Corrado-san.» invitò indicando il salone. «Hideyori-sama aspetta.»
            Corrado si accorse che la musica era terminata e dopo aver lanciato un’occhiata a un confuso Michael, seguì il samurai con sollievo.
«Grazie, Morikawa-san.» gli disse. «Il mio compagno di studi alle volte è piuttosto esuberante.»
«Voi parla troppo.» tagliò corto.
            L’italiano si zittì, azzardò un’occhiata alle proprie spalle per accertarsi che Michael non gli andasse dietro e quando non lo vide si sentì rincuorato.
«A quanto pare, il mio primo ballo è andato a buon fine.» commentò Hideyori. «Ho commesso errori evidenti?»
            Corrado scosse la testa e stava per rispondergli che non doveva stringere troppo la donna, quando si rese conto che era solo una scusa per placare la gelosia.
«No, Yuki-sama. Siete stato molto bravo.» ammise. «Forse dovreste essere meno rigido, se proprio vogliamo trovare una pecca.»
«Aa...»
            Hideyori si morse la lingua per non rispondere e si limitò a sorridergli malizioso. Corrado temporeggiò, accorgendosi del doppio senso, quindi portò la mano davanti alla bocca e trattenne il riso.
 
***
 
            Per il resto della serata Hideyori fu catturato dagli uomini che volevano conoscere lui e il Giappone e, a dispetto dell’odio per il tabacco, si vide costretto a rimanere nel salone e a rispondere alle domande.
            Tra i presenti c’era anche Michael, che guardava in silenzio e ascoltava, il volto cupo che non prometteva nulla di buono.
            In quella occasione, Corrado prese coscienza dell’infinita pazienza mostrata da Hideyori, che sopportava stoicamente ogni conversazione. Così come era paziente Morikawa. Lui sarebbe fuggito via dopo pochi minuti, cercando una scusa; invece loro apparivano sereni, quando sapeva benissimo che odiavano simili circostanze.
Come ci riescono? si domandò sorpreso. Aveva sì visto persone palesare diplomazia in alcune occasioni, ma i due giapponesi erano una maschera impenetrabile di emozioni.
            All’improvviso una domanda gli attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno: cosa pensava realmente Morikawa di lui? E, ancor più terrificante, cosa pensava in realtà Hideyori?
In quel preciso istante, mentre li osservava mostrare un volto che era certo fosse l’opposto di quello che sentivano, le sue certezze iniziarono a vacillare.
            Le mie certezze? si ripeté sconcertato. Non ho certezze: ho solo le mie speranze, i miei sogni e non so se rientro negli stessi sogni di Yukihito. Oddio, cosa diavolo sto farneticando? Cosa mi sto aspettando?
            Portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi.
 
***
 
            Solo a notte inoltrata, quando gli ospiti iniziarono a lasciare la casa, Corrado e Hideyori colsero la palla al balzo per andarsene. Erano stanchi e puzzavano di tabacco in maniera vergognosa.
«Mi dispiace che abbiate dovuto ascoltare le chiacchiere nel salotto.» mormorò Hideyori mentre la carrozza partiva.
            Corrado si accorse che l’altro era imbarazzato e non ne comprese il motivo.
«Non dovete scusarvi, non è stata colpa vostra.»
«Sì, invece. Sono stato io a insistere affinché mi accompagnaste al ballo. Per questo vi porgo le mie scuse.»
«Non vedo il motivo. Sul serio.»
            Hideyori sospirò e si lasciò andare contro lo schienale del sedile, rilassandosi.
«Questo sarà il mio ultimo ballo. Ordinerò a Hiro-san di disdire ogni altro appuntamento.»
            Corrado rimase in silenzio, stringendosi nel mantello per sfuggire al freddo intenso della notte. Eppure, a dispetto degli sforzi, il gelo nel cuore non si attenuò. Hideyori gli stava dicendo che le lezioni erano terminate.
E con le lezioni terminavano i loro incontri.
«Va bene.» sussurrò flebile.
            Michaelmas Term, il primo periodo accademico, si sarebbe concluso nel giro di un paio di settimane e lui avrebbe approfittato per tornare a casa per Natale, dove avrebbe dimenticato Hideyori e quello che rappresentava. Forse, tutto sommato, era meglio finirla subito, prima che la storia diventasse seria.
Almeno per quanto lo riguardava.
            Il giapponese provò a guardarlo attraverso la tenue luce che proveniva dalla luna e che si infrangeva contro il vetro delle finestre e si domandò il motivo del tono sommesso. Si staccò dallo schienale e si chinò in avanti per posargli una mano sulla gamba.
«Rimanete con me stanotte.»
            Corrado trattenne il fiato prima di accettare. Se era un modo per dirsi addio non si sarebbe tirato indietro.
 
***
 
            Il bagno fu una liberazione dalla puzza di tabacco. L’acqua era così invitante e bollente che i due ragazzi vi si immersero con piacere e, senza accorgersene, si appisolarono ai bordi della piscina, seduti sullo scalino che percorreva l’intero perimetro.
            Corrado riaprì gli occhi quando un fascio di luce rifletté attraverso la finestra, finendo sul suo volto. Ancora assonnato, sbadigliò e si accorse di essere ancora in acqua.
Girò lo sguardo in cerca di Hideyori e lo vide addormentato dove lo aveva lasciato.
            Si stiracchiò, strofinò gli occhi e si immerse, pensando di aver trascorso la notte più strana della sua vita. Quindi uscì e si diresse nel bagno per svuotare la vescica, per poi sbadigliare e tornare nel caldo della piscina.
«Ohayō gozaimasu.» salutò Hideyori reprimendo uno sbadiglio.
«Buongiorno.» rispose.
            Il giapponese uscì dall’acqua per dirigersi in bagno e Corrado lo seguì con lo sguardo, sentendosi avvampare.
Gettò indietro la testa, riflettendo che avrebbe dovuto rivestirsi e tornare a casa, senza indugiare oltre. E tuttavia era così bello stare immersi, coccolati dal calore e sentirsi leggeri come una piuma, che il pensiero di dire addio a tutto, di dire addio a Hideyori, gli stringeva lo stomaco e gli frantumava il cuore.
            Prese coraggio e uscì, avvolgendosi nell’asciugamano. Osservò gli abiti lasciati sulla panca e fece una smorfia: puzzavano ancora di tabacco.
«Cosa fate?» domandò Hideyori uscendo dal bagno.
            Corrado sbatté le palpebre, pensando che fosse ovvio.
«Mi rivesto.»
            Hideyori gli si avvicinò, gli prese il volto a due mani e lo baciò.
«Avete così tanta fretta di lasciarmi?»
«Ehm... No, ma...»
«È da ieri che siete strano: cosa succede?» s’informò con aria preoccupata. «Capisco che vi siate annoiato e vi ho chiesto scusa.»
«No, no!» si affrettò a negare. «La serata non c’entra nulla. E poi non mi sono annoiato.» aggiunse sorridendo appena.
            Hideyori lo studiò con espressione assorta, in attesa di una risposta soddisfacente e Corrado inspirò a fondo per racimolare il coraggio.
«Avete detto che non parteciperete più a nessun ballo.» spiegò. «Ho capito che le nostre lezioni sono finite e che non ho più motivo per venire qui.»
            Oddio, ma cosa stava dicendo? Gli aveva appena detto che era andato solo per le lezioni e non per lui! Gemette e si nascose il viso con le mani.
            Gli occhi di Hideyori si strinsero e sul suo volto transitò per primo lo stupore, quindi l’irritazione e infine l’offesa.
«Io non sono un valido motivo?» soffiò.
            Corrado scosse violentemente la testa e un secondo dopo soffocò Hideyori in un abbraccio disperato.
«Perdonatemi.» supplicò. «Non intendevo quello che ho detto. Ho solo pensato che voi, sospendendo le lezioni, non volevate più vedermi.»
            Hideyori si sciolse dall’abbraccio e con occhi furiosi corresse:
«Io ho sospeso le serate danzanti, non le lezioni.»
            Corrado aprì la bocca, senza riuscire a replicare. Chinò appena di lato la testa, domandandosi se non fosse giunto a conclusioni affrettate.
«Perdonatemi.» ripeté confuso. «Ho pensato che non volevate più vedermi. Non volevo imporvi la mia presenza se... Sono mortificato.»
            L’altro strinse ancor più gli occhi, impossibilitato a capire quel ragionamento e Corrado si lasciò cadere sulla panca di legno, prendendosi la testa tra le mani.
«Oh, Dio!» gemette.
            Provò a spiegargli le sensazioni provate la sera prima e il conseguente dialogo in carrozza e solo allora Hideyori capì. Sedette accanto a lui e gli prese il mento per costringerlo a guardarlo.
«Inazuma o/ te ni toru yami no/ shisoku kana.» recitò.
            Corrado rimase a guardarlo, perdendosi nei suoi profondi occhi neri.
«È un haiku del maestro Matsuo Bashō.» tradusse Hideyori sfiorandogli le labbra con un bacio. «“Quando hai acceso la candela/ è stato come un lampo/ nel buio”.»
            Corrado avvertì un tuffo al cuore e un secondo dopo abbracciò Hideyori, sussurrando:
«Che Dio mi perdoni, ma ti amo. Ti amo, Yukihito-sama
            Hideyori sgranò gli occhi, impreparato a quella dichiarazione e al tu, che mai nessuno gli aveva rivolto.
Chi era costui che si arrogava il diritto di penetrare nella sua vita stravolgendola con i suoi modi bizzarri? Come osava dirgli così apertamente quelle cose? Come osava fargli battere così forte il cuore, tanto che pensava sarebbe esploso?
«Corrado-san, io...» balbettò, soffocato dal suo abbraccio. «Io non voglio perderti.» ammise sorvolando sulle formalità. «Mi dispiace per quello che hai potuto pensare, ma per me sei la candela che ha illuminato la mia vita. Io... Ah... perdonami, ma è il mio modo di dirti che ti amo.»
            Corrado si allontanò per guardarlo, beandosi del rossore sulle gote dell’altro, scosse la testa e non ci fu più bisogno di altre parole.
 
 
Santa Monica, California, 2013
            Tiziano saltellò appena sui piedi prima di prendere posizione, fissò l’avversario e sferrò un hasami zuki, un doppio pugno a forbice che disorientò l’altro. Approfittò di quell’esitazione e terminò il combattimento con un hiza geri, un calcio con il ginocchio.
«Ippon!» urlò il maestro mettendo fine alla dimostrazione.
            Tiziano sistemò il kimono e s’inchinò all’avversario, rientrando tra i karateka inginocchiati ai lati del tatami. Il maestro gli rivolse un sorriso e lui rispose di rimando.
«È tanto difficile raggiungere la cintura nera?» domandò un allievo ammiccando all’obi nero intorno alla vita di Tiziano.
            Questi scosse la testa e si concentrò sul viso del ragazzino che lo fissava con palese ammirazione.
«No, è sufficiente l’impegno.»
            L’altro abbassò lo sguardo sulla cintura bianca che avvolgeva il suo kimono e sospirò. Trattenendo il divertimento, Tiziano si chinò verso di lui e gli parlò all’orecchio:
«Quella non ha importanza. Anche io potrei portarne una bianca, ma il sensei non vuole. Ciò che conta,» concluse picchiando l’indice sulla testa del ragazzino, «è quello che sta qui dentro.»
            Il bambino sorrise, corroborato dalle parole che gli erano state rivolte e in quell’istante Tiziano udì squillare il cellulare. Si alzò, fece il saluto al tatami e corse a rispondere.
Era l’unico a cui il maestro concedeva di avere il telefono a portata di mano, poiché spesso lo chiamavano per lavoro. Ma quella chiamata non era lavoro.
«Sì, Marisol?»
«Sei ancora in palestra?»
            Il ragazzo si allontanò per non farsi udire e per non disturbare la lezione, confermando:
«Già.»
            Dall’altra parte si udì un borbottio in spagnolo e un attimo dopo Marisol urlò inviperita:
«Ti sto aspettando da mezz’ora! Che cazzo ti dice il cervello?»
            Tiziano allontanò il cellulare dall’orecchio per guardare l’ora e fece una smorfia: si era dimenticato l’appuntamento con Marisol. Merda! Chi l’avrebbe sentita ora?
«Ah... Dammi un quarto d’ora e arrivo.»
«Non un minuto di più!»
            Il ragazzo accettò e chiuse la comunicazione. Tornò accanto al tatami, sorrise all’allievo per incoraggiarlo e fece un cenno al maestro. Questi annuì e con un sospiro Tiziano andò a farsi la doccia.
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


Firenze, dicembre 1902
«Corrado! Corrado!»
            Il ragazzo si guardò intorno e quando vide Natalina sorrise, chiamandola a gran voce. La ragazza gli corse incontro, seguita dal marito e Corrado l’abbracciò felice.
«Che bello riaverti qui!» esclamò lei trattenendo le lacrime. «È da tanto che aspettavamo questo momento! Papà non vede l’ora di rivederti.»
«Come stai?» s’informò lui occhieggiando il ventre della sorella.
            Lei arrossì e sorrise raggiante.
«Sto benissimo. Spero tu abbia portato lo stetoscopio, voglio sentire il suo battito.»
«Sì, certo. Lo ascolteremo insieme.»
«Fatto buon viaggio?»
«Sì. Morino.» salutò.
«Bentornato, Corrado.» rispose il cognato stringendogli la mano. «La lettera che ci avvisava del tuo arrivo è stata come un balsamo per le nostre anime.»
«Gesù.» mormorò inspirando a fondo. «Sembra che qui faccia caldo.»
«Ma cosa dici?» ribatté Natalina. «Fa freddo.»
            Corrado rise e subito dopo si girò per osservare Morikawa scendere dal treno con i bagagli. Lo raggiunse sollecito per dargli una mano e quando Hideyori mise piede nella stazione, Corrado lo scortò, conducendolo dalla sorella.
«Natalina, Morino, lasciate che vi presenti Hideyori Yukihito e Morikawa Hiroyasu, studenti di Cambridge, nonché miei amici.»
            La ragazza sorrise e allungò la mano.
«È un piacere fare la conoscenza degli amici di mio fratello. Siete i benvenuti.»
            Hideyori e Morikawa deglutirono e strinsero la mano guantata.
Nonostante Corrado li avesse avvisati del comportamento espansivo degli italiani, erano rimasti spaesati dal dover toccare la mano di una persona, tralasciando che non avevano compreso una sola parola di quanto detto da Natalina. Tuttavia il suo sorriso e la sua cordialità li avevano in qualche modo portati a capire che si stava presentando e di riflesso ripeterono le sue mosse.
Lo stesso fecero con Morino, sotto lo sguardo compiaciuto di Corrado.
            Hideyori osservò la stazione, la gente che scendeva dal treno e che si salutava abbracciandosi e ridendo, l’aria piacevole, frizzantina quanto bastava e scambiò un’occhiata con Morikawa. C’era meno confusione rispetto a Londra, sebbene l’impossibilità di capire la lingua parlata rendesse le situazioni più cacofoniche.
«È molto bella la sorella di Corrado-san.» commentò Morikawa.
            Subito dopo si rese conto di quello che aveva detto e chinò la testa, mortificato. Hideyori lo guardò stupito e imputò la sfrontatezza dell’amico all’aria solare dell’Italia.
Tutto era così diverso dalla grigia Londra! Per un attimo gli era sembrato di tornare a casa; ma era stata solo l’impressione.
            Si accorse che gli altri guardavano Morikawa, chiedendosi cosa avesse detto e Hideyori si girò verso Corrado, rivolgendogli un impercettibile cenno con la testa.
«Bene. Giacché siamo giunti a destinazione, possiamo avviarci verso casa.» disse il ragazzo togliendo dall’imbarazzo i due giapponesi.
«Sì.» rispose Morino. «La macchina ci attende.»
            Fecero segno al facchino e si avviarono all’uscita della stazione, caricando i bagagli in macchina. Hideyori, Morikawa e Corrado presero posto sul sedile posteriore e quando partirono, il ragazzo indicò agli ospiti la cattedrale che si intravedeva sulla destra.
I due giapponesi rimasero abbagliati dalla bellezza della chiesa e del campanile e Corrado annunciò in inglese:
«Vi porterò a piedi nei vicoli della mia città per mostrarvi la nostra storia.»
            Hideyori distolse lo sguardo da S. Maria del Fiore e lo posò sull’altro. A dispetto della sua aria distaccata, Corrado capì che era emozionato e lo stesso vide in Morikawa.
            Felice e soddisfatto, chiuse un attimo gli occhi e annusò l’aria di casa.
 
***
 
            Natalina e Morino li lasciarono a casa Bardi, nei pressi di piazza della Signoria e li salutarono in attesa di rivedersi l’indomani.
La servitù provvide a trasportare i bagagli all’interno del palazzo medievale e i giapponesi rimasero sbalorditi nel constatare che c’era gente che potesse ancora abitare in simili dimore.
«Ho studiato qualcosa sui vostri castelli e sui palazzi rinascimentali, ma questo... questo è stupendo.» mormorò Hideyori guardandosi intorno con evidente meraviglia.
«Questa è casa mia.» rispose Corrado orgoglioso.
            Un valletto gli comunicò che il maggiordomo era andato ad avvisare il signor Bardi dell’arrivo del figlio e nel frattempo i domestici assegnarono le camere agli ospiti. Corrado notò le occhiate che tutti lanciavano verso i giapponesi e immaginò benissimo cosa stessero pensando.
            Diede ordine di preparare qualcosa da mangiare e nel frattempo mostrò la casa agli ospiti. Mentre giravano per i corridoi abbelliti da ritratti di antenati, da arazzi e panoplie, Corrado ripensò alla decisione di far venire Hideyori a Firenze.
Le vacanze di Natale non erano un periodo lungo e il ragazzo non sarebbe potuto tornare in Giappone a rivedere la famiglia: avrebbe trascorso le festività all’ambasciata, in attesa del Full Lent Term. Così, senza rifletterci troppo sopra, lo aveva invitato a trascorrere il Natale a casa sua.
Aveva già in mente tutto quello che gli avrebbe fatto vedere e mordeva il freno nell’attesa. Andava fiero della sua città e desiderava che Hideyori condividesse le sue stesse sensazioni.         
Non era stato facile convincerlo, soprattutto Morikawa che temeva per l’incolumità di Hideyori. Alla fine avevano accettato, convenendo di tenere nascosta l’identità del ragazzo per maggior sicurezza. Si sarebbero rivisti sul treno, durante il viaggio, per evitare che i giornalisti si accorgessero della partenza e la sventolassero ai quattro venti.
            Prima di lasciare Londra, Corrado aveva quasi litigato con Rosemary, convinta che lo avrebbe accompagnato in Italia. Gli era occorsa tutta la pazienza che aveva per dissuaderla, assicurandole che sarebbe andato da solo e che non la stava rimpiazzando con nessuno. E solo quando lei lo aveva accompagnato alla stazione e lo aveva visto partire in solitudine si era rasserenata.
            Quando il signor Bardi rientrò a casa, Corrado gli presentò i giapponesi e l’uomo, fiero di ospitare due persone così originali, decise di invitare una cospicua parte della famiglia per il pranzo di Natale.
            Nel frattempo, accompagnati come un’ombra da Morikawa, iniziarono a fare i turisti nella città del giglio.
 
***
 
«Questo luogo è meraviglioso.» sussurrò Hideyori guardando l’interno della cattedrale.
            Corrado gli spiegò la storia di Brunelleschi e della cupola e si accorse che anche Morikawa sembrava impressionato. Raccontò che, durante una funzione nel 1478, alcuni sicari uccisero Giuliano de’ Medici, fratello del più celebre Lorenzo detto il Magnifico.
«Sì, ho studiato il Magnifico.» ricordò Hideyori meditabondo.
            Quando uscirono fuori, Morikawa rimase incantato a osservare il campanile e Corrado li invitò a salire per vedere la città dall’alto. E quando raggiunsero l’ultimo piano, dopo una serie infinita di scale, i due giapponesi furono intrappolati dal fascino della visuale. Rimasero senza fiato né parole e Corrado sorrise compiaciuto, tronfio come un pavone.
«La tua città è molto bella.» commentò Hideyori commosso. «È imponente. Noi non abbiamo niente di simile in Giappone.»
«Sì, ma sono certo che avrete altri tipi di bellezze che noi non abbiamo.»
            In quell’istante Morikawa si girò verso Corrado, impettito e altero, e all’improvviso si inchinò, rimanendo prostrato. Il ragazzo lo guardò, sorpreso, poi capì e s’inchinò a sua volta.
            Il samurai esitò, quindi raddrizzò la schiena e disse:
«Grazie per concedere noi questo.»
«È un onore per me.» rispose lui, impossibilitato a contenere l’orgoglio.
            Quando scesero dal campanile, fecero un giro per il mercato vecchio e si diressero in piazza della Signoria, fermandosi ad ammirare il David. Hideyori e Morikawa arrossirono dinanzi alla scultura priva di abiti e Corrado rimase perplesso. Com’era possibile che loro, abituati alle piscine e alla nudità, mostrassero imbarazzo di fronte a un’opera d’arte? Cosa c’era che non andava?
Non capendo, li fece proseguire oltre, fino agli Uffizi e da lì a Ponte Vecchio.
Il sole li accompagnava, accarezzandoli con i suoi raggi tiepidi, mentre i bambini li guardavano incuriositi, seguendoli e sghignazzando tra loro. Dalle botteghe si udivano i richiami delle madri, accomunati alle grida degli ambulanti che trainavano a mano il carretto di merce.
            Mentre erano intenti a osservare l’Arno scorrere placido, Corrado si sentì chiamare. Vide due giovani avanzare sul ponte, coperte da pesanti mantelli con il collo in pelliccia, i cappelli larghi a coprire parte dell’elaborata acconciatura e le riconobbe.
            Sorrise e si chinò per baciar loro le mani guantate, mentre le presentava come sue cugine.
«Hajimemashite. Dōzo yoroshiku.» risposero Hideyori e Morikawa inchinandosi.
            Corrado notò lo stupore sul volto delle ragazze e spiegò che era il loro saluto di presentazione. A forza di sentirlo lo aveva imparato a memoria. Come stava imparando altri vocaboli.
«Lo zio ci ha detto che eravate in giro.» esordì Anna, la più grande, senza staccare lo sguardo dai giapponesi.
«Non riesco ancora a crederci che a Natale pranzeremo con loro!» esclamò Elena ridendo.
            Corrado tradusse in inglese e Hideyori e Morikawa s’inchinarono. Le due ragazze li guardarono sorprese, non sapendo se inchinarsi a loro volta.
«Ah, tranquille. Lo fanno spesso.» le rassicurò.
«Oh, ma Corrado,» cinguettò Anna, «dovete raccontarci come avete fatto a diventare amico di queste piacevoli persone.»
«È presto detto: studiano come me a Cambridge.»
            Mentre traduceva, si accorse che la cugina più grande non staccava gli occhi da Morikawa, rapita dal portamento dell’uomo.
            Il samurai si rivolse a Hideyori e questi osservò le due ragazze.
«Hiro-san domanda come mai le tue cugine hanno capelli e occhi scuri mentre tu e tua sorella siete chiari.»
«Mia nonna era finlandese. Ci ha trasmesso i suoi geni.» spiegò.
«Li avete condotti a visitare Santa Croce?» s’intromise Anna.
            Corrado scosse la testa e la cugina propose:
«Potremmo andarci insieme.»
            Il ragazzo si accorse che sorrideva a Morikawa in maniera piuttosto plateale e con tono calmo le disse:
«Fossi in voi non insisterei troppo. Sono piuttosto suscettibili.»
            La ragazza piegò di lato la testa e Corrado continuò:
«Anna, vi assicuro che si è accorto del vostro interesse.»
            A quel punto lei arrossì e abbassò lo sguardo.
            Corrado guardò Morikawa, temendo si fosse offeso; il giapponese, invece, sembrava tranquillo. Malgrado ciò, aveva imparato che la realtà non era mai quello che mostravano e sperò che non se la prendessero per l’atteggiamento sfrontato della cugina.
«Poiché è da un bel po’ che stiamo girando,» propose Corrado, «io suggerirei di fermarci a un caffè.»
            Hideyori annuì e il ragazzo tradusse per le cugine.
«Ce n’è uno che fa un caffè buonissimo ed è un locale alla moda.» disse Elena ammiccando verso l’altra sponda del fiume.
«Sì, è un bistrot che ha aperto quando siete partito per Londra ed è diventato famoso.» convenne Anna.
            Così, nel giro di pochi minuti, si ritrovarono nel locale, seduti a un tavolo con una tazza di caffè bollente da sorseggiare.
Inevitabilmente gli sguardi degli avventori si posarono sul quintetto pittoresco e Corrado si accorse che molti sussurravano tra loro, curiosi. Del resto, sembrava diventata una situazione ricorrente: i fiorentini rimanevano incantati e stupiti davanti agli orientali, non avvezzi a una società multietnica come Londra. Per loro un orientale era un personaggio visto solo sui libri.
«Spero che il sapore del nostro caffè sia di vostro gradimento.» disse prendendo la tazza in mano.
            Hideyori e Morikawa annuirono, eppure Corrado percepì che per loro fosse un sapore forte. Forse avrebbe fatto meglio a ordinare del tè.
            Un cameriere portò un vassoio con alcuni dolci e le ragazze ne presero un po’, gustandoli con espressione rapita. Hideyori lanciò un’occhiata a Morikawa e questi allungò una mano per assaggiarne uno. Esitò, avendo imparato a proprie spese che non tutto quello che veniva offerto era di loro gradimento e quei biscotti erano orrendi a vedersi.
Trattenne il respiro e diede il primo piccolo morso.
Corrado sorrise tra sé e sé, in attesa della sua reazione. Anche Hideyori lo fissava, sperando in un responso positivo. All’improvviso Morikawa raddrizzò la schiena e masticò più velocemente, per poter addentare il resto del biscotto.
Allora Corrado mise un brutto-ma-buono su un tovagliolo e lo porse a Hideyori con un sorriso. Il giapponese lo ringraziò e assaggiò il biscotto, sorpreso da quel sapore dolce.
            Quando infine decisero di rientrare a casa, il giorno volgeva al termine e, sebbene provati, erano felici ed eccitati come adolescenti.
 
***
 
            Indossò la vestaglia da camera, abbassò la fiamma della lampada a olio e bussò alla porta che immetteva nella camera di Hideyori. Il ragazzo andò ad aprirgli e gli gettò le braccia al collo.
«È un’agonia starti vicino e non poterti toccare.» mormorò baciandolo.
            Corrado lo strinse a sé e passò le dita tra i suoi capelli.
«Ssst! Qui non siamo all’ambasciata, siamo in territorio nemico.» scherzò.
            Hideyori lo condusse accanto al letto e iniziò a sciogliere la cintura della vestaglia. Ma prima di lasciarsi sedurre, Corrado tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e lo posò sul comodino. L’altro vide che era rigonfio, come se all’interno vi ci fosse stato racchiuso qualcosa e guardò Corrado con una muta domanda nello sguardo.
            Per tutta risposta lui sghignazzò e iniziò a spogliarlo, e Hideyori dimenticò il fazzoletto, fin quando, tra un bacio e l’altro, Corrado gli disse:
«Chiudi gli occhi.»
            Ubbidì, sentendo il corpo bruciare abbracciato a quello dell’italiano e attese.
«Apri la bocca. No! Non aprire gli occhi.» intimò Corrado ridendo.
            All’improvviso Hideyori sentì qualcosa di rigido tra le labbra e un attimo dopo sorrise addentando il biscotto.
«Sugoi! Oishii desu.» esclamò riaprendo gli occhi. «È delizioso.»
            Corrado gli accarezzò il volto, il cuore che si sarebbe sciolto nella dolcezza dell’altro e mormorò:
«Te ne comprerò un vagone intero prima di ripartire.»
            Hideyori rise e lo tirò a sé.
 
***
 
            Morikawa bussò alla porta comunicante con la propria stanza e non ricevendo risposta provò di nuovo. Preoccupato, aprì e vide la stanza di Hideyori avvolta nella penombra. Doveva essere molto stanco se ancora dormiva.
Aveva ricevuto l’ordine di svegliarlo per le otto, poiché si dovevano preparare per il pranzo di Natale. Non aveva idea di cosa significasse il Natale a livello emotivo: sapeva solo che era una festa cristiana e come tale andava rispettata.
            La sera prima si era accorto che quasi tutti erano usciti per recarsi a quella che chiamavano messa, tranne Corrado che aveva promesso si sarebbe recato alla funzione il giorno dopo.
Si era addormentato riflettendo che quel giorno avrebbe rivisto la bella cugina di Corrado e quel pensiero gli aveva fatto ricordare che da un po’ non si concedeva la compagnia di una donna. Chissà se lì esisteva qualcosa simile alla casa da tè?
            Mentre ragionava, si accostò agli scuri e li aprì, lasciando entrare un bellissimo sole. Quando si volse per svegliare Hideyori, si accorse che non era solo.
Per un attimo rimase a osservarli dormire rannicchiati sotto le coperte e si domandò cosa ci trovasse il suo signore in quell’essere privo di attrattive. A suo modesto giudizio era meglio la cugina, con quella pelle bianca che contrastava con i capelli scuri; ma lui non era nessuno per giudicare.
Sapeva solo che da quando era apparso Corrado, il suo signore era felice come mai lo aveva visto e questo era il solo motivo che lo aveva trattenuto dal decapitarlo.
«Yuki-sama.» chiamò.
            L’interpellato mugugnò qualcosa, senza svegliarsi. Morikawa fu sul punto di lasciarli dormire ancora, quando vide che l’orologio era andato ben oltre le otto; allora chiamò di nuovo con tono più alto.
            Fu Corrado a svegliarsi per primo, la mente insonnolita che registrò la voce estranea. Sussultò e spalancò la bocca dinanzi al samurai. Deglutì e farfugliò qualcosa arrossendo come un peperone.
«Ohayō gozaimasu, Corrado-san.» salutò il giapponese.
«Bu... buongiorno Morikawa-san.» balbettò.
            Hideyori aprì gli occhi, ancora intontito dal sonno e salutò con voce strascicata. Sapeva che quel giorno sarebbe stato impegnativo, ma lui e Corrado non erano riusciti a dormire fino alle cinque e la stanchezza era evidente.
Gemendo si alzò dal letto e mormorò:
«Hiro-san, vado a fare un bagno. Preparatemi gli abiti per favore.»
            Il samurai annuì e fissò torvo Corrado, ancora sotto le coperte. Questi sorrise, sperando di rabbonirlo e quando si accorse che Morikawa stava per perdere la pazienza, ruppe gli indugi e si alzò, correndo verso la propria camera.
 
***
 
            Mentre Corrado assisteva alla messa, Hideyori approfittò per fare due passi sotto il sole con Morikawa.
Passeggiarono tra i vicoli, tra le botteghe che confezionavano bellissimi cappelli di paglia e si soffermarono a osservare le dita delle donne lavorare veloci per formare lunghe trecce.
«Trovo questa temperatura piacevole, molto più di Londra.» mormorò Hideyori camminando lungo l’Arno.
            Il samurai annuì, ammirando i gabbiani volare e stridere e rispose:
«Sì, molto più simile a casa.»
            Nonostante gli abiti occidentali, molti dei passanti si giravano a guardarli e Morikawa iniziava a non sopportare più quelle occhiate che li etichettavano come fenomeni da baraccone.
«Yuki-sama...»
            Hideyori inspirò a fondo chiudendo gli occhi per godersi quell’aria magica e rispose:
«Sì?»
            Il samurai si fermò, s’inchinò appena e disse:
«Avete mai pensato a Kayoko-sama
            Hideyori si bloccò e sgranò gli occhi, espirando come se gli avessero conficcato un pugnale nei polmoni. Guardò Morikawa con sguardo omicida e domandò con tono freddo:
«Cosa c’entra?»
            L’altro s’inchinò ancora e rimase piegato, catturando lo sguardo di alcuni passanti.
«Perdonatemi, mi preoccupo per voi.»
«Lo so. Ma cosa c’entra Kayoko-sama?» ribatté Hideyori irritato.
«Sì, avete ragione, perdonatemi.»
            Il ragazzo strinse gli occhi, comprendendo cosa intendesse Morikawa.
Kayoko era la ragazza che avrebbe sposato appena terminati gli studi e il suo amico si stava chiedendo fino a che punto fosse coinvolto con Corrado. Era lecito che si preoccupasse. Ma non voleva pensare al momento in cui inevitabilmente avrebbe dovuto dire addio alla persona che amava.
            A essere sinceri, non aveva alcun desiderio di sposarsi.
            Guardò Morikawa, ignorando i passanti curiosi, e fece una smorfia.
«Sono un pazzo, Hiro-san.» ammise. «Per quale motivo deve essere sbagliato amare una persona? Qui, in questa città magnifica, dove il tempo sembra essersi fermato, sento come se potessi vivere con lui per sempre. Sento che non è sbagliato, che è possibile.»
«Cosa dite?» esclamò preoccupato.
            Hideyori portò una mano sul volto, chiuse gli occhi e sospirò appena.
«Mi è concesso vivere,» continuò malinconico, «ma la realtà è che una parte di me è già sepolta.»
            Morikawa trattenne il fiato e per la prima volta non seppe cosa rispondere.
 
***
 
            Per il pranzo di Natale il signor Bardi aveva riservato una sorpresa per tutti: un fotografo che avrebbe perpetuato le loro immagini a ricordo della giornata.
            Così, dopo aver dato fondo alle innumerevoli portate, il fotografo li immortalò in una foto di gruppo nel salone di rappresentanza. Corrado approfittò per chiederne una che lo ritraesse da solo con Hideyori ed entrambi si misero in posa, uno di fianco all’altro, il limite concesso.
            Nei giorni seguenti Corrado accompagnò Hideyori e Morikawa nei dintorni di Firenze, usando l’autovettura del padre. Nei pressi di piazzale Michelangelo, seduti sotto un pino ad ammirare la vista della città, Morikawa accusò un malessere e, con quella scusa, li lasciò soli.
Con il tramonto che infuocava la cupola del Brunelleschi e i loro cuori, Corrado abbracciò Hideyori e lì rimasero, incantati dalla palla di fuoco incandescente che scendeva lenta ad accarezzare i tetti della città del giglio.

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