Viaggia il sonoro.
La tua immagine
sul finestrino,
là
dove si imprime
la mia.
Sobbalza, tintinna.
Si protrae, si ritrae.
È il paesaggio che ti chiama,
che mi chiama.
Tenta, ammalia, attrae
le iridi
su cui scintille e ombre,
fanno della velocità e del colore
Il moto dell’anima.

Note:
Durante un viaggio in treno, con gli occhi rivolti verso il finestrino, ascoltavo la musica. E, di colpo, mi sono immaginata il volto di una persona.
Da questo episodio è nata "Viagga il sonoro".

Sicura movenza,
sinuosa fermezza,
Regina di Cuori
muovi le pedine.
Nei tuoi occhi
dolorosa pazzia
che toglie il fiato.
In quale pozzo
hai perso la luce
focolare rosso,
della tua ragione?
Taglia, taglia, taglia.
Rotola, rantola,
esangue al suolo
la tua vittima.
Le spalle girate,
non un solo sguardo
posa sullo scempio
macchiato di sangue.

Scappare da luoghi vicini,
tornare da luoghi lontani:
questo eterno bilico
di oppressione, di malinconia
è il mio equilibrio precario
sul ponte della vita.

Urgenza di andare.
Non un motivo.
Non una meta.
I pesanti affanni
del cuore e dei polmoni
non spiegano,
se non le ali ansiose.

Note:
Spiegare in questa poesia ha un doppio significato:

Cosa hai fatto di me?
Dei miei pensieri?
Del mio cuore?
Della mia testa?
Delle mie mani?
Ti cercano nel sonno,
nel mio inconscio,
nel mio letto.
Un essere alienato dalla ragione,
evirato del senno,
ubriaco del tuo profumo,
saturo della tua risata,
insaziabile della tua presenza.
Ecco la bambola
che danza
nel palmo della tua mano.

Arida tristezza
su quel muro irto
che mi separa dal mondo,
che mi strappa al calore umano.

Non lo vedi?

I miei polsi
conoscono la sua fermezza.
La sua polvere penetra
i miei polmoni.

Senti la mia voce?

Disperata angoscia,
muta di parole,
che mi pungnala la gola,
che mi trafigge l'anima.

Mi capisci?

Spostati, sparisci.

Vorrei poter sentire
il calore sulla mia pelle
l'amore sulla mia anima.

Sotto la sua immensità
non resta altro che sabbia.