History of F

di Elena 1990
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A chi ha il coraggio ***
Capitolo 2: *** Stirpe reale ***
Capitolo 3: *** Un colpo di frusta ***
Capitolo 4: *** Una sfida ***
Capitolo 5: *** Due fratelli, una promessa. ***
Capitolo 6: *** La vera forma ***
Capitolo 7: *** L'ombra del re ***
Capitolo 8: *** Strani sogni. Strane realtà. ***
Capitolo 9: *** Potenza senza controllo ***
Capitolo 10: *** Lei ***
Capitolo 11: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 12: *** Ricompensa ***
Capitolo 13: *** Il tesoro più prezioso ***
Capitolo 14: *** Nuove esperienze? ***
Capitolo 15: *** La guerra su Plant ***
Capitolo 16: *** Strategie di battaglia ***
Capitolo 17: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 18: *** Il quadro e lo specchio ***
Capitolo 19: *** Uno, per sempre ***
Capitolo 20: *** L'Arena dei Re (Freezer vs Cooler) parte 1 ***
Capitolo 21: *** L'Arena dei Re (Freezer vs Cooler) parte 2 ***
Capitolo 22: *** L'Arena dei Re (Freezer vs Cooler) parte 3 ***
Capitolo 23: *** Voci di Rivolta ***
Capitolo 24: *** L'incoronazione ***
Capitolo 25: *** Re e Regina ***
Capitolo 26: *** La Radice della Follia ***
Capitolo 27: *** Il Dolore e il Potere ***
Capitolo 28: *** Forti ma deboli. Deboli ma forti. ***
Capitolo 29: *** Una cena interessante ***
Capitolo 30: *** Il Re e il Guerriero ***
Capitolo 31: *** La fine di Vegeta ***
Capitolo 32: *** La Leggenda di Vega e Polaris ***
Capitolo 33: *** Yama ***
Capitolo 34: *** Cristalli e Scorie ***
Capitolo 35: *** Big Bang ***
Capitolo 36: *** Malelingue ***
Capitolo 37: *** Il Ballo ***
Capitolo 38: *** Fuga ***
Capitolo 39: *** Son Goku ***
Capitolo 40: *** Il prezzo del potere ***



Capitolo 1
*** A chi ha il coraggio ***


Tutti hanno una storia ma poche finiscono sui libri. La mia ad esempio, è finita sui libri a metà.
Io sono un sacco di cose. Ogni creatura che calca il suolo mi conosce ed al tempo stesso, ignora chi io sia.
Io sono il sovrano di ogni pianeta conosciuto, sono l' essere più potente che abbia mai viaggiato fra le galassie.
Sono il terrore, la paura, la morte.
Potrei fermarmi qui e sareste soddisfatti.
Fermatevi qui, sul velo delle acque, se lo siete. Passate oltre ed ignorate l'abisso che stà sotto, se così vi piace.
Fermatevi al mio nome, che in pochi osano pronunciare.
A voi che rimanete, racconterò ciò che mai è stato narrato. Ciò che ha fatto di me l' essere che sono oggi.

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Capitolo 2
*** Stirpe reale ***


Nacqui in un giorno di nebbia, alle porte dell'inverno, o almeno così raccontò mio padre.
Non conobbi mai mia madre né seppi la fine che fece. Forse morì.
Il mio pianeta non è un luogo ospitale. Non per i terrestri. É una crosta ghiacciata che galleggia sull' abisso, fatta di cristalli, di pianure innevate e montagne di ghiaccio.
Ciò che nelle gelide primavere riesce a spuntare, viene subito strappato dalle creature che vivono nelle lande e i mostri del grande abisso divorano qualsiasi cosa fluttui sulle acque. Dei soli lontani provano a riscaldare l' eterno inverno per brevi periodi, poi i colori del crepuscolo tornano a decorare il cielo, le stelle restano fisse e la luna segna il tempo. L' aurora boreale sfregia il cielo come una frusta giorno dopo giorno. Mi piaceva ammirarla. Sognavo la sua velocità. E la sua bellezza.
Mio padre non si è mai occupato molto di me, né di mio fratello. Alla mia nascita mi ha preso in braccio, mi ha guardato, e poi mi ha rifilato alla tata dicendo solo -- Il suo nome sarà Freezer.
Freezer.
Congelatore.
O se preferite, “Colui che porta il gelo” suona meglio. Azzeccato, per uno che nasce all' inizio dell'inverno.
Il gelo però non raggiunge solo la terra. Questo l'ho capito molto tempo dopo, quando mi sono accorto di non aver mai visto una donna al fianco di mio padre.

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Capitolo 3
*** Un colpo di frusta ***


Tutti i bambini della nostra razza vengono sottoposti a duri allenamenti per sviluppare al massimo il loro potenziale. Più uno si allena da bambino, più è elevato il suo potenziale di crescita da adulto.
In altre parole, più tecniche e più forza acquisisci da cucciolo, tanto più sarà alto il livello che raggiungerai da adulto. Per questo riteniamo che l' allenamento sia una cosa da cuccioli. Un adulto che si allena paga la propria negligenza e pigrizia con l' umiliazione.
Io non ero fra i pigri, questo no.
Io ero fra i negligenti.
Mi piaceva andarmene in giro, esplorare, studiare. Non che lottare non mi piacesse, semplicemente facevo quel che mi andava.
-- Tu prendi le cose troppo alla leggera. -- mi diceva mio fratello. Io a quel punto facevo spallucce e lo portavo a vedere qualche nuova caverna di ghiaccio che avevo scoperto.
Poi un giorno, smisi di perdere tempo.
Fu una decisione lampo, la conseguenza di una ferita. Io e mio fratello Cooler stavamo “perdendo tempo” (così mio padre chiamava i giochi e le conversazioni) insieme.
Cooler aveva già raggiunto la sua seconda forma depotenziata, io invece ero ancora alla prima. Il mio caro padre non smetteva un attimo di ricordarmelo.
-- Quando sarò re -- diceva Cooler -- Amplierò i confini dell' impero. Lo spingerò ai limiti dell' universo e nulla mi fermerà.
-- Certo fratello.-- dissi, seduto con lui sulla neve del cortile. -- Ma non stai dimenticando qualcuno?
-- Cioè?
--Me ovviamente!-- replicai. -- Anche io sarò re.
--Può esserci un solo re, fratellino.-- fece un sorrisetto.
Io intesi, e mi alzai. -- Ah sì? Allora perché non decidiamo adesso?
Feci schioccare la coda e mi lanciai contro di lui. Ci rotolammo nella neve azzuffandoci come i mocciosi che eravamo. Cooler mi superava in potenza, ma io avevo la tenacia dalla mia parte.
Finimmo palmi contro palmi, a spingere l'uno contro l'altro nel tentativo di sopraffarci. Spinsi con tutta la forza che avevo e Cooler indietreggiò di un passo. -- Che c'è fratello? Perdi colpi?
In risposta lui sorrise. Si mosse lateralmente e mi lasciò le mani. Tutta la forza che mettevo mi portò in avanti e con gran divertimento di mio fratello, finii a faccia in giù nella neve.
Mi stavo rialzando, quando mio fratello smise bruscamente di ridere. Mi voltai e vidi la figura alta e scura di nostro padre, con la luna alle spalle, le braccia conserte e un'espressione che non prometteva nulla di buono. Cooler era già dritto sull'attenti. Io avevo ancora la neve sulla faccia.
-- Buonasera padre. -- salutò ma Re Cold spostò lo sguardo su di me.
-- Freezer. Hai raggiunto la seconda forma?
Mi rialzai scrollando la neve. Conosceva la risposta. Glielo leggevo in faccia.
Ero morto.
-- Non ancora, padre.
-- Ti sei allenato oggi?
Ero doppiamente morto.
Stavo per rispondere, quando Cooler lo fece al posto mio.
-- L' ho visto alla pianura con gli altri. Ha parato colpi tutto il giorno. -- si volse verso di me con sguardo complice. -- Vero Freezer?
Annuii in tutta fretta.
Nostro padre guardò Cooler e fece un cenno di approvazione con il capo. -- Non dovresti lottare con tuo fratello. Sai che è molto più debole di te.-- disse e mi guardò.
Quello sguardo mi colpì più di qualunque tecnica. Mi ferì nel cuore e nell'orgoglio più di una spada.
Era uno sguardo di sufficienza, di delusione.
Poi se ne andò.
Allora decisi che non potevo più prendere la lotta con leggerezza. Sarei stato pari a Cooler, a mio padre e li avrei superati.
Li avrei resi orgogliosi di me.

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Capitolo 4
*** Una sfida ***


La mia ferita ancora fresca mi portò come spesso accade, a fare qualcosa di estremamente stupido.
Nei giorni che seguirono, il mio buon fratello mi offrì una mano. Mi allenai come un pazzo, come una bestia, come un sayan, e alla fine ottenni la mia seconda forma. Il caso volle che Cooler ottenne la terza aiutandomi in quell'allenamento extra.
Quando giunse il mio turno, mio padre aveva già esaurito le lodi con mio fratello e tutto quel che rimediai fu una pacca sulla spalla e un “impegnati e raggiungerai tuo fratello”.
In quei momenti provavo odio verso Cooler ma non durava mai a lungo. É stato un bravo fratello ma il tempo cambia le cose, cambia le persone e io mi chiedo cosa saremmo diventati se avessimo potuto scegliere un destino diverso, lontano dall'ombra nera di nostro padre.
Re Cold incontrava spesso stranieri provenienti da altri sistemi o da pianeti conquistati. Uno di questi era Lord Beerus. O come lo chiamavo io, il gatto viola.
Mio padre nutriva per lui un enorme rispetto, la figura che più temevo si inchinava dinnanzi a Beerus come una volgare concubina.
Così pensai che se avessi sfidato Beerus e lo avessi sconfitto, avrei guadagnato il rispetto di mio padre. Era in assoluto l'idea più stupida che potessi concepire ma in quel momento mi parve un lampo di genio.
Attesi la sera in cui mio padre ricevette Lord Beerus e misi in atto il mio piano
Non mi feci vedere nella sala del trono per riceverlo, pur sapendo che avrebbe fatto infuriare mio padre.
Entrai spalancando le porte e dall'estremo della sala, all' inizio del lungo tappeto rosso gridai.
-- Lord Beerus io vi sfido!
Nella sala calò il silenzio. Per un po' si sentì solo la tosse di mio padre. Doveva essergli andato di traverso qualcosa.
Poi, l'uomo che accompagnava sempre Beerus, rise con quella sua voce strana, portando la mano davanti alla bocca.
-- Ohohoh che giovanotto intraprendente.
Beerus non si era neanche girato a guardarmi.
-- Freezer vattene!-- ordinò mio padre ma lo ignorai.
-- Sei sordo Beerus? Non mi hai sentito?
L'orecchio di Lord Beerus ebbe un guizzo. -- Ti sento benissimo.-- replicò e alzò la zampa a guardarsi le unghie. -- Ma dimmi, perché dovrei sprecare il mio tempo con un ragazzino?
-- Perché se non colpirai per primo-- mi misi in guardia e liberai la mia aura circondandomi di bagliori viola -- Lo farò io.
Sfruttando quell'energia mi scagliai avanti in uno slancio, col pugno proteso ed il braccio piegato a caricare il colpo, solo per vedere Beerus scansarsi, girandosi semplicemente di lato e lasciandomi passare.
Volavo dritto verso il trono di mio padre ed ero troppo veloce per virare o fermarmi. Mi inarcai verso il basso per guardare verso Beerus e a testa in giù, concentrando l'energia nelle mani, scagliai due sfere prima di completare la capriola ed atterrare con le gambe sul muro riempiendolo di crepe.
Mio padre e mio fratello dovevano essersi spostati ma erano il mio ultimo pensiero.
Con le gambe diedi un nuovo slancio e girando su me stesso per raddrizzarmi mi scagliai di nuovo contro Beerus che pareva illeso.
Sapevo di essere più debole, quindi giocavo sulla velocità. Non gli davo tregua.
Beerus mi lasciò passare ancora una volta ma non senza agire. Con un movimento fulmineo mi intercettò avvolgendomi la sua coda di gatto attorno al collo e stringendo forte.
-- Hai sentito Whis?
-- Sarà stato il vento, Lord Beerus.
-- Già. Il vento.-- rispose il gatto, mentre io mi dibattevo nella sua stretta.
Mi sollevò in alto con la sua coda e mi guardò con un espressione indecifrabile, come se si stesse chiedendo cosa fare di me.
All'improvviso aumentò la stretta. Il respiro mancò. Portai le mani al collo in un vano tentativo di liberarmi da quel cappio che mi stringeva.
Oltre Lord Beerus, vidi mio padre e Cooler che non osavano intromettersi. Pensai che non ne sarei uscito. Avvolsi la coda intorno a quella di Lord Bills, issandomi nel vano tentativo di resistere.
Poi, udii una voce.
Era di mio fratello, inginocchiato faccia a terra.
-- Lo perdoni Lord Beerus. É un idiota. Gli manca qualche rotella. Lo lasci andare la prego!
Beerus si girò verso di lui e puntò lo sguardo verso mio padre.
-- Dovresti insegnare l'educazione ai tuoi figli, Re Cold.
Al chè si scrollò di dosso la mia coda e mi lanciò contro le porte della sala. La botta fu tale da danneggiare il legno e qualche scheggia mi cadde sulla schiena mentre cercavo di rialzarmi tossendo.
--Grazie Lord Beerus.-- disse mio fratello.
In risposta il gatto mosse la zampa in un gesto di non curanza. -- Di nulla ragazzino. Di nulla. Ma ora veniamo alle cose più serie: dov'è il mio rinfresco?
Strisciai via attraverso la porta, prima che mio padre potesse vedermi.

-- Com' è la situazione?--chiesi.
-- Il rinfresco con Lord Beerus lo ha fatto sbollire. E ha speso gran parte della rabbia sbraitando mentre ti cercava.-- disse Cooler, porgendomi un frutto.
-- Credo mi convenga ricomparire domani mattina. O dopodomani.-- mormorai.
-- Come hai potuto sfidare apertamente Lord Beerus? Sei andato fuori di testa?
-- Pensavo che sconfiggendolo avrei guadagnato il rispetto di nostro padre.
-- É l'idea più stupida che abbia mai sentito.
-- Già. Ora ci credo anch'io.-- mi voltai. -- Mi levi le schegge dalla schiena?
Cooler sospirò.
La cloaca del palazzo non era il più accogliente dei luoghi. Ma era l'unico posto abbastanza fetido e difficile da raggiungere, da spingere mio padre a rinunciare a metterci piede. Il bunker perfetto per sfuggire alla sua ira.
-- Non avresti dovuto inchinarti a Lord Beerus. -- Se non l'avessi fatto, ti avrebbe ammazzato.-- disse. -- E tu sei il mio stupido fratello. Solo io posso sconfiggerti.
Feci un sorrisetto. -- Questo lo vedremo, fratello.

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Capitolo 5
*** Due fratelli, una promessa. ***


La nostra gente usa organizzare tornei abbastanza spesso e io avevo appena raggiunto l' età giusta per partecipare. Era il mio debutto. Il figlio più piccolo del grande Re Cold che partecipa al suo primo torneo.
Mio padre insieme a mezzo pianeta dava per scontato che sarei arrivato in finale. Ciò mi spinse ad allenarmi ogni giorno, tutto il giorno.
Avevo in testa solo il torneo, gli allenamenti e lo studio delle tattiche. Dovevo arrivare in finale. A qualsiasi costo.
Provai molte volte a superare il mio limite e ad acquisire la terza forma ma senza successo. Sapevo che partecipavano dei ragazzini che avevano già raggiunto la loro vera forma. Se volevo arrivare alla finale contro Cooler, dovevo sconfiggerli.
Tutti.
Quando dopo molti sforzi ottenni la terza trasformazione, al torneo mancavano solo due ore, ed ero sfinito.
Il mio allenamento estremo portò i suoi frutti: ero superiore a tutti gli altri, forse non in potenza o velocità, ma la mia tecnica era perfetta. Lì dove la mia potenza non arrivava, usavo la furbizia.
E l' aggressività.
La stanchezza che sentivo mi spingeva a concludere ogni incontro nel minor tempo. I miei attacchi erano calcolati, concentrati nei punti deboli, finalizzati a distruggere e perfino a uccidere, se ciò fosse rientrato nelle regole.
Ero una furia. Andavo avanti per inerzia e in qualche modo incutevo timore in quelli che avevo di fronte.
Per quanto fosse stato stupido sfidare Lord Beerus, mi aveva insegnato una lezione importante: tutti hanno un limite. É inutile ostentare una forza che non si possiede, utilizzare una trasformazione che non si può controllare. Conoscere le proprie capacità e la propria energia è l'unico modo per portarla ad un livello superiore.
Molti dei ragazzini che affrontavo erano arrivati alla loro vera forma ma erano così impegnati a rincorrere la potenza, da averne una conoscenza quantomeno ridicola. Avevano maggior potenza rispetto a me, ma non sapevano come sfruttarla.
Fu questo a rendermi superiore a loro malgrado la mia debolezza. Rimasi alla forma base, contro i più ostinati sfruttai la seconda. Avrei usato la terza solo in finale, per fare una bella sorpresa al mio fratellone. Quando giungemmo in finale, faccia a faccia, ero felice. Avevo raggiunto il mio obiettivo. La ciliegina sarebbe stato battere mio fratello ma non ero sicuro di potercela fare.
La scalata verso la finale mi aveva fatto arrivare fin lì con ogni muscolo che gridava pietà. Ma anche Cooler sembrava stanco.
-- Beh fratellino.-- disse con un lieve sorriso. -- Ce l'hai fatta.
Mi feci ben dritto ostentando sicurezza. -- Ne dubitavi forse?
-- Mi dispiace davvero interrompere la tua scalata sai?
Ridacchiai. -- Ora sei tu che prendi le cose alla leggera.
L'aura di Cooler si accese circondandolo di bagliori blu. Lo vidi crescere in altezza assumendo la seconda forma.
Feci un passo indietro.
-- Che c'è fratellino? Non ti trasformi?
Sorrisi e mi misi in guardia.
Sapevo che, nei posti d'onore, separato dal popolo, nostro padre ci osservava. -- Pensa alle tue carte fratello. Io penserò alle mie.
Appena finii la frase, mi attaccò direttamente, scagliandosi in corsa contro di me. Lo attesi e nella mia piccola forma base gli passai sotto le gambe. Lui voltò il capo, sollevò la coda e provò a schiacciarmi ma io la schivai, girai su me stesso e lanciai un raggio letale.
Il colpo spinse all'indietro la sua testa, provocandogli solo una leggera scottatura.
Ma l'avevo colpito.
Cooler si massaggiò la guancia. -- Sei stanco fratello? Dovrai fare meglio di così.
-- Parli troppo.-- ansimai e raccolsi le energie per raggiungere la seconda forma come lui.
Iniziammo un furioso scontro corpo a corpo. Mi colpì in faccia con un pugno, io risposi colpendolo a mia volta, mi presi una ginocchiata, gli ficcai un montante sul mento. Lui indietreggiò, caricò il braccio e mi colpì allo stomaco facendomi piegare in due. Mi afferrò uno dei corni nella parte superiore e tentò di sbilanciarmi per farmi cadere a terra. Allora abbassai il mio livello, tornai alla forma base, il corno si modificò e Cooler resto con in mano solo l'aria. Atterrai sul pavimento e sfruttai la spinta dell'aura per darmi lo slancio, scagliandomi verso di lui con tutto il corpo e colpendolo con una testata al petto.
Indietreggiò, volli inseguirlo ma le forze mi mancarono, il mio corpo non obbedì e rimasi in ginocchio. In volto, Cooler era frustrato. Si asciugò il sangue che gli colava dal labbro spaccato e si rimise in guardia.
Mentre mi rialzavo a fatica, lo vidi assumere la terza forma. -- Allora fratellino? Ti arrendi.
In risposta sorrisi e concentrai di nuovo le energie. Era il momento della mia sorpresa, tuttavia sapevo che non avrei potuto reggere il combattimento ancora per molto. Era giunto il momento di giocare le carte migliori.
Cooler rimase di sasso vedendo la mia terza forma.
-- Sorpreso eh?-- dissi e mi scagliai contro di lui a tutta velocità colpendolo in pieno.
Ripresosi dallo stupore Cooler salì verso l'alto. Lo inseguii e quando l'ebbi a tiro unii le due dita di ambo le mani e gli sparai contro una raffica di colpi a grande velocità. Lui rispose con la stessa tecnica per neutralizzare il mio attacco. Mi vide emergere dal fumo di quegli stessi colpi, quando mi scagliai contro di lui. Urlai, lo afferrai per le braccia e lo tenni stretto, poi mi lanciai in una picchiata a tutta velocità verso il basso.
L'urto che ne derivò sbriciolò il nostro ring sollevando un muro di polvere.
Quando il fumo si diradò, ci trovarono entrambi al centro del quadrato: un Cooler nella sua vera forma molto ammaccato ed io stretto tra le sue braccia nella mia forma base, privo di sensi.

Dormii per due giorni di fila e non ci fu verso di svegliarmi.
Quando cominciai a riprendermi, sentii la coda di Cooler solleticarmi il naso.
La scacciai.
-- Buongiorno fratellino!-- era seduto sul letto al mio fianco e sfoggiava la sua vera forma.
-- E quella?-- mormorai.
-- Merito della finale.
Sgranai gli occhi. Me ne ero quasi dimenticato. -- Chi ha vinto?
-- Io ovvio.
Lasciai ricadere la testa sul cuscino e chiusi gli occhi.
-- Nostro padre mi ammazza.
-- No al contrario. É contento. Dice che ti sei battuto da vero membro della famiglia e che nostro zio e i nostri cugini stanno crepando di invidia. Freezer, siamo i due giovani della famiglia reale più forti in assoluto!
Quell'affermazione mi riempì di orgoglio. Cooler cercò la mia coda e vi attorcigliò la sua. -- Facciamo un patto. Noi due saremo sempre i più forti. E saremo sempre uniti. Se incontreremo qualcuno più forte di noi, uniremo le forze e lo sconfiggeremo insieme. Se uno di noi verrà sconfitto, l'altro lo vendicherà.
Suggellammo quel patto tra fratelli in una mattina in cui il tiepido sole era più vicino al pianeta. La luce dorata filtrava da un cielo che sfumava nell'azzurro, nel rosa e nel viola. Ricordo quel patto come se fosse ieri e ricordo anche, con immenso dolore, il giorno in cui lo tradimmo entrambi.

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Capitolo 6
*** La vera forma ***


La vera forma fu un problema per me. Per quanto mi allenassi, nonostante tutti i miei sforzi, non riuscivo a raggiungerla.
Questo stallo stava innervosendo mio padre.
Diversi anni dopo il torneo ero un guerriero ventenne molto abile ma non era abbastanza. Non ancora. Tutti i giovani ormai avevano la loro vera forma, chi l'aveva appresa da bambino come Cooler o chi più di recente, nei panni di un giovane uomo.
Mancavo solo io.
Mio padre tornò a fissarmi con quello sguardo di delusione e sufficienza che tanto mi aveva ferito da cucciolo. Questa volta però, non riuscivo a porre un freno alla sua delusione.
-- Sei teso Freezer. Vedo i tuoi nervi da qui!-- diceva Cooler che, lontano dall'occhio di nostro padre, era sempre pronto a darmi una mano.
Il nostro patto era ancora saldo come quando lo facemmo anni prima. Lui mi dava una mano con la quarta forma e io lo aiutavo nello studio delle leggi e della diplomazia. Avevo una buona memoria, ma Cooler non aveva un briciolo di pazienza con lo studio.
-- Eddai Cooler.-- sbadigliai seduto sulla poltrona della sua stanza, con il pesante tomo in grembo. -- Non è difficile.
Lui passeggiava nervosamente avanti e indietro. Ringhiò. -- Non lo so!-- sbraitò -- Non mi entra in testa!
-- Me ne sono accorto.
-- Cosa?
-- Niente.
Mio fratello sbuffò. -- Basta sono stufo. Andiamo alla pianura e vediamo se riesco a tirarti fuori la quarta forma.

Finii per l'ennesima volta inginocchiato nella neve.
-- Non ci riesco.
-- Devi riuscirci!-- ribatté Cooler.
-- E se fosse questo il mio limite?
-- Nostro padre ti chiuderà nelle segrete a vita. Avanti fratellino, riprova.
Mi rialzai, piantai bene i piedi mi concentrai e liberai la potenza. L'aura risplendeva intorno a me, mentre alzavo il mio livello di forza.
-- Ancora un po'
Mi sforzai e l'aura intorno a me crebbe.
-- Ancora un po'
Cercai di mantenere la concentrazione e col viso contratto aumentai la potenza.
-- Ancora Freezer, ancora!
Urlai e l'aura esplose intorno a me. Onde viola mi circondarono il corpo. Sentivo qualcosa. Sentivo che era la volta buona.
-- Dai fratellino! Ancora!
Non ne potevo più. Mi ero trasformato? O lo stavo facendo? Avevo gli occhi chiusi, ero tentato di guardare.
-- No, no! Mantieni la concentrazione! Stabilizza tutto!
Andava male. Lo sentivo. Sentivo la potenza scemare.
-- Mantieni la potenza! Non cedere! Aumenta di nuovo!
Lanciai un urlo con tutto il fiato che avevo, spingendomi al limite. Oltre c'era un fiume di energia privo di ogni controllo, di cui non conoscevo le acque. Di sicuro dal palazzo si vedeva la mia aura come una fiamma ergersi verso il cielo. Forse mio padre la vedeva. E forse la osservava con espressione schifata.
-- Ci sei fratellino, ci sei! Adesso, aumenta ancora!
Con un grande sforzo varcai quella soglia. Fu come gettarsi in un fiume gorgogliante e vorticoso. Non potevo dirigerlo, non ne avevo il controllo.
-- No no no!
Caddi sulla neve a pancia in giù e mi voltai ansimando. La faccia di Cooler coprì il lontano sole.
-- Mi-- ansimai -- Mi sono trasformato?
-- C'eri quasi fratellino. C'eri quasi.

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Capitolo 7
*** L'ombra del re ***


Dopo quel pomeriggio cenai di malavoglia, continuando a far rotolare il cibo e a piluccarlo con la forchetta, senza appetito e sopra pensiero.
Perché ogni volta mi bloccavo? Arrivavo così vicino a trasformarmi e poi non ci riuscivo. Dovevo venirne a capo in qualche modo. Sentivo che Re Cold stava esaurendo la pazienza.
Di fronte a me, Cooler mangiava tranquillo e in mezzo, a capotavola, torreggiava nostro padre.
Sorseggiava vino e di tanto in tanto, ci osservava, come se valutasse e giudicasse ogni nostro agire dall'alto della sua autorità, pronto a punire ogni nostro sbaglio.
-- Cooler.
-- Sì padre?
-- Come vanno i tuoi studi?
-- Faccio progressi. Presto avrò imparato tutte le leggi dell'impero.
-- Molto bene.-- Re Cold sorseggiò il vino dal bicchiere. -- Allora perché non mi reciti il terzo comma del settantaduesimo articolo del Codex Imperium?
Sgranai gli occhi. Perché non mi faceva mai domande del genere? Conoscevo il libro a memoria. Potevo citarne interi paragrafi. Cooler al contrario lo detestava, come detestava tutti i libri da imparare a memoria.
Probabilmente non ricordava neanche l'esistenza di quell'articolo.
Sembrava che Re Cold godesse nel cogliere in fallo i suoi figli, facendogli domande di cui conosceva già le risposte, creando situazioni di cui prevedeva già l'esito.
Gli piaceva metterci in difficoltà.
Cooler si schiarì la voce. -- Duunque. L'articolo settantadue al comma tre del Codex Imperium, che sarebbe il nostro libro delle leggi, leggi che governano tutto l'impero..
-- So cos'è il Codex Imperium. Citami il comma.
Cooler deglutì e mi guardò con la coda dell'occhio. Io intesi e tastai il piatto con la forchetta.
-- Il comma tre riguarda la.. verdura..
Sgranai gli occhi come se avesse imprecato.
-- No, l'agricoltura, che sbadato.
Abbassai il capo e mi portai la mano sugli occhi.
Nostro padre attendeva in silenzio che Cooler continuasse. Impassibile, a braccia conserte, non dava alcun indizio. Avrebbe udito mio fratello dare la risposta sbagliata, magari anche con un certo grado di saccenza come fa la gente che è sicura di esser nel giusto senza immaginare una scempiaggine dopo l'altra uscire dalla propria bocca.
Dovevo agire.
La mia forchetta tintinnò sul pavimento e ruppe quella terribile atmosfera.
-- Scusate.-- dissi e mi infilai sotto il tavolo a cercare la forchetta sperando che mio fratello intendesse.
-- Ti aiuto a cercare, fratellino.-- disse con mio grande sollievo.
Entrambi sotto il tavolo, ci guardammo negli occhi.
-- Il comma tre del settantadue riguarda l'argento, idiota!-- sibilai.
-- Ti ho visto indicare la verdura.
-- Intendevo il piatto. Adesso ascolta.
Tornammo entrambi in superficie e Cooler recitò il comma a memoria, con un sospiro di sollievo da parte mia e prendendosi una pacca sulla testa da nostro padre. Mi sembrava strano che non si fosse accorto della nostra conversazione sotto il tavolo. Per la verità dubitavo molto della riuscita del mio piano. Eppure nostro padre non era intervenuto. Forse era questo il suo divertimento: ficcarci in situazioni spiacevoli per vedere come ne uscivamo.
Il suo sguardo si posò su di me, severo e freddo come sempre.
-- Freezer.
Sentirlo pronunciare il mio nome mi fece rabbrividire. -- Sì, padre?
-- Hai raggiunto la vera forma?
Abbassai lo sguardo. -- No, padre.
Re Cold batté un pugno sul tavolo facendoci trasalire entrambi.
-- Cooler, torna a sudiare il Codex.
Guardai mio fratello, che se ne andò subito senza protestare. In un certo senso, lo capivo. Anche io al posto suo me la sarei svignata.
Fummo soli, io ed il re.
Si alzò lentamente e prese a camminare in silenzio con le braccia dietro da schiena, riflettendo.
Detestavo quei suoi silenzi, pareva quasi godere nel prendere tempo, nel lasciarmi immaginare come mi avrebbe punito. É stato un padre duro, terribile. Un padre che non augurerei a nessuno. Tra il suo sguardo gelido e quello delle alte statue che lo raffiguravano non vedevo alcuna differenza, come se fosse un blocco di freddo cristallo avvolto nella carne.
Lo vidi affacciarsi alla finestra. -- Non so più cosa fare con te, Freezer.
Rimasi in silenzio.
-- Sei un giovane intelligente, brillante, un guerriero di buona tecnica ed invidiabile astuzia.-- si voltò verso di me. -- Ma sei debole. Debole come il ghiaccio a primavera. Qualsiasi ragazzino che sappia controllare la quarta forma potrebbe darti filo da torcere. A te, il figlio minore del re, il principe del mio impero! Hai idea di quanto questo sia vergognoso per la nostra famiglia?
Abbassai lo sguardo.
-- Rispondi.
-- Sì. Me ne rendo conto. Ogni giorno provo a cancellare questa vergogna ma
-- Ma non ci riesci, vero?
Annuii. -- E non so perché. Forse è questo il mio limite, padre.
-- Impensabile.-- ribatté lui. Rimase in silenzio. Parve prendere tempo prima di continuare, forse aspettando una mia replica.
Non replicai.
-- Ho visto i tuoi sforzi oggi.-- continuò. -- E ho capito.
Lo guardai. -- Che cosa?
-- Che hai paura, Freezer. La tua vera forma dà accesso a quella che è la tua vera potenza. Quando provi a trasformarti ti senti sopraffatto da essa e fai un passo indietro.-- disse. -- Non sei un novellino Freezer. Sai che la terza forma non è il tuo limite, che c'è un enorme potenziale in te. Ma hai paura di utilizzarlo. E questo rende la tua vergogna ancora più grande.
Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro e stringendo i pugni.
-- Trasformati, Freezer.
Lo guardai senza capire. -- Non posso.-- replicai e subito sentii la sua rabbia crescere, insieme alla potenza. Potevo percepirla nell'aria come una nebbia fitta e pesante.
Ai lati della sala due finestre esplosero scaraventando i loro cristalli nella sala e una folata di vento spense le candele facendoci piombare nel buio.
Potevo scorgere la danza dell'aurora dietro il nero profilo di mio padre. -- Ora ti trasformerai.-- disse. -- O morirai.
Si scagliò contro di me ed in un paio di falcate mi raggiunse. Ebbi appena il tempo di realizzare la cosa prima che la forza di quel pugno mi scaraventasse contro la parete di cristallo.
Faticavo a credere a ciò che stava accadendo. Forse ero più stupito che terrorizzato.
Non potevo crederci.
La sua ombra nera mi trovò, e mi attaccò ancora.
La sua coda si abbattè sul pavimento frantumandone le spesse lastre di cristallo nel punto in cui un attimo prima c'ero io. Mi allontanai a gattoni e cercai di rifugiarmi nel buio.
-- Trasformati Freezer!-- urlò ancora. Vedevo i frammenti di vetro e cristallo fluttuare immersi nella sua energia, luccicando dei bagliori notturni. Sentivo le pareti scricchiolare, il pavimento tremare sotto ai piedi. L'ombra era superiore a me, sovrastava la mia potenza, mi nascondeva all'aurora con la sua figura. Ero inerme, indifeso, contro di lei.
Ebbi paura.
-- Freezer!
L'aura esplose ancora e io non seppi far altro se non farmi scudo con le braccia. Era fredda e tagliente come il vetro ghiacciato, come il vento di bufera.
Quel vento terribile mi spinse con le spalle al muro, nell'angolo fra una parete e le porte socchiuse dell'entrata. Da lì, riuscii a vedere Cooler che spiava il nero profilo dell'ombra con il mio stesso terrore dipinto sulla faccia.
Lo guardai. Lo supplicai con lo sguardo. Sperai che tendesse la mano per portarmi via da lì.
Ma non lo fece. Percorse a ritroso un paio di passi, poi trovò il coraggio di voltarsi e corse via lasciandomi solo col mio stupore.
Una mano mi prese il collo e mi sbatté contro il muro crepandolo. Strinse la presa.
-- Trasformati Freezer.
-- Non..posso-- balbettai e la stretta aumentò.
-- Trasformati!
Non feci nulla. Riuscivo solo a tremare.
Vidi l'ombra sollevare la mano libera con unghie affilate come rasoi.
Ho un ricordo vago degli attimi che seguirono. Rammento solo di aver urlato.
Di colpo mi parve di fluttuare nel mare sconosciuto che tanto avevo temuto fino a quella sera.
In qualche modo, scagliai l'ombra verso la parete opposta. Quella trovò il tavolo a metà strada e lo rovesciò fracassandolo, facendo volare posate, piatti e cibo dappertutto.
Fluttuavo verso di lei come dentro una bolla luminosa e violetta. Tutto era vago, lontano, come nei sogni. Mi sentivo potente come non lo ero mai stato.
Mi sentivo invincibile.
-- Non ho più paura di te.-- dissi all'ombra. -- Non puoi più ferirmi. Io sono il più forte dell'universo! Io sono LORD FREEZER!-- urlai e la bolla che mi proteggeva esplose in un'impeto di energia tale da generare un grande vento. Il palazzo tremò fino alle fondamenta, le mura si riempirono di crepe, le finestre esplosero una dopo l'altra.
Vedendomi al centro di quel caotico ciclone mio padre sorrise. -- Questo è mio figlio.
Si teletrasportò alle mie spalle e mi colpì con un calcio alla schiena.
Il vento calò e fu come svegliarsi da un sogno.
Poi mi afferrò la coda, mi fece roteare e mi lanciò verso l'unica finestra ancora intatta.
La sfondai fracassandola in mille pezzi. Finii contro uno dei pinnacoli del palazzo con una forza tale da attraversarlo. Quello si inclinò, si staccò e precipitò insieme a me verso la distesa d'acqua su cui si affacciava il palazzo.
Mi vidi riflesso in quello specchio d'acqua, un attimo prima di finirci dentro.

Mi lasciavo cullare dalla corrente, privo di forze, nelle acque buie e fredde. Il sangue usciva dalle mie ferite fondendosi con gli abissi. Probabilmente i predatori l'avevano già fiutato. Mentre scendevo in profondità, pensai che fosse la fine.
Allora lo vidi. Ne percepii la presenza. Udii il suo canto.
Circolano tante leggende sul Levyathan, il più grande fra gli abitanti dell'immenso oceano che circonda il nucleo del pianeta, la bestia più feroce di tutte che quando urta il ghiaccio della superficie con l'immenso dorso scatena maremoti e spacca la crosta dividendo intere città.
Quando incontrai il suo muso scuro e udii il suo verso tanto simile agli echi delle balenottere, pensai che aveva trovato la sua cena.
Ma il bestione non mi mangiò. Forse nemmeno mi vide. Finii sul suo dorso mentre risaliva in superficie e mi tenni stretto alle sue squame.
Quello sfiatò una enorme colonna d'acqua e muovendosi mi disarcionò, lasciandomi arenare su un blocco di ghiaccio come spazzatura.
Non si era evidentemente accorto di me. Tutte le leggende concordano infatti: il Levyathan non risparmia alcuno, all'infuori di coloro che sono abbastanza forti da guadagnarsi il suo rispetto.

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Capitolo 8
*** Strani sogni. Strane realtà. ***


Spalancai gli occhi e subito tossii sputando acqua e girandomi a fatica su un fianco.
Avevo freddo. Lo sentivo come tanti spilli sulla pelle, al punto da non riuscire a muovermi ma solo a tremare e battere i denti.
Lo sentii di nuovo cantare e mi sollevai a fatica, volgendo lo sguardo allo sconfinato oceano che luccicava alle luci dell'aurora e delle stelle lontane, riflettendo le due lune nel cielo notturno. Lontano vidi lo sfiato dell'enorme creatura che si allontanava. Allora non era un sogno, l'avevo visto davvero, e ne ero uscito vivo.
Guardai in basso e l'acqua rifletté il mio volto. Ero io, e non ero io. La pelle bianca, le macchie viola, niente corna. Ero così piccolo, così inoffensivo. Vedere quella forma su sé stessi era tutta un'altra cosa. Era davvero l'apice? Era davvero in grado di liberare tutta la potenza della nostra gente?
Il freddo mi distolse da quei pensieri.
La lunga notte era infine calata. Il sole non avrebbe sfiorato il pianeta per molto tempo. Per mesi soltanto l'aurora ci avrebbe scaldato.
Mi piaceva, la lunga notte.
Dava al mondo un fascino speciale. Tutto pareva addormentato, eppure sveglio, fremente e pronto a colpire. Era terrificante, ma anche bellissima.
Almeno lo era, quando la guardavo dalla finestra, immerso nel tepore delle mura del palazzo.
Ora, lontano da quelle mura, il vento si stava alzando, sollevando folate di neve fresca.
Dovevo trovare un riparo o sarei congelato là fuori.
Mi rimisi sulle gambe tremanti e mi misi in volo a fatica. Mi sentivo stanco e la tosse non mi abbandonava. Il vento e la neve mi davano contro intorpidendomi gli arti e sfiancandomi mentalmente. Non vedevo il palazzo, non vedevo miei simili. Ero solo in mezzo a quella tormenta.
Mi fermai cingendomi con le braccia per tenermi un po' di caldo.
Volevo mio fratello. Sarei stato contento perfino se avessi incontrato mio padre.
Probabilmente stavano rintanati al calduccio mentre io ero là fuori ad assiderarmi. Forse mio padre sorseggiava vino dal suo calice, in attesa del mio ritorno o di qualcos altro.
Forse Cooler non chiudeva occhio nella sua stanza, dopo avermi lasciato in balia di nostro padre. O forse dormiva bene, dopo averlo dimenticato. No non era da lui. Cooler mi voleva bene. Quanto a nostro padre, non avrei mai dimenticato quella sera. Che l'avesse fatto per aiutarmi o meno, un giorno gli avrei reso il conto con gli interessi.
Guardai in basso ed all'improvviso quella zona mi parve famigliare. Ero già stato lì tempo prima, quando da bambino me ne andavo in giro ad esplorare. Ed avevo trovato una grotta.
Cominciai a guardarmi in giro, a cercare. Ritrovarla mi avrebbe salvato la vita.
Sorvolai bene la zona, aguzzando la vista e la trovai. Scesi subito a rintanarmi tra quelle strette pareti di ghiaccio, il più lontano possibile dalle folate gelide. Lì mi raggomitolai stringendo la coda contro il corpo fino a toccarmi il naso.
L'avrei scampata, dovevo solo restare sveglio.
Fuori la tempesta infuriava.[br] Potevo vederla e sentire il sibilo del vento fra le pareti della grotta, un suono ritmato che pareva quasi volermi cullare.
Mi misi ad ascoltarlo, smettendo pian piano di tremare.
Non avevo più freddo. Ero sul punto di addormentarmi ma qualcosa mi ridestò.
C'era un suono diverso, una luce proveniva da un angolo della grotta. Mi alzai incuriosito ed andai a vedere. Percorsi un paio di metri e ne trovai la fonte. Una parete di cristallo, così liscia da sembrare uno specchio rifletteva un'immagine diafana che pareva avvicinarsi.
Mentre mi avvicinavo la vedevo imitare la mia camminata e quando le fui di fronte, i miei movimenti. Quasi mi avesse stregato sollevai la mano e toccai lo specchio.
Quella parete mi risucchiò trasportandomi in un oceano dove riuscivo a respirare.
Vidi creature emergere dal fondale e nuotarmi attorno in un cerchio, tra il mio stupore.
-- Freezer
Una voce femminile. Volsi lo sguardo ed eccola lì, fluttuare nelle acque, bianca come il latte, incorporea come uno spettro. Indossava una veste dalle maniche larghe, simile ad un kimono.
-- Resta con me.
-- Chi sei?
-- Resta con me. Non andartene adesso.
Superai il cerchio delle balenottere e seguii di nuovo quell'immagine. Mi volgeva le spalle, non riuscivo a vederla in volto.
All'improvviso tutto divenne bianco e da quella luce emersero i contorni di una stanza.
Sentivo il pianto di un bambino.
La figura riapparve e mi abbracciò. Non riuscii a scorgere il viso dietro al suo velo diafano.
Sgranai gli occhi mentre cominciavo a comprendere.
-- Sono qui con te. Non avere paura. Non ti lascerò andare.
In quell'abbraccio chiusi gli occhi e qualcosa mi colò lungo le guance.
Non avevo mai pianto, prima di allora.
-- Svegliati, Freezer.--disse, dopo un tempo che non riuscii a calcolare, e sciolse l'abbraccio, allontanandosi verso una luce.
-- No! Dove vai? Torna qui!-- cominciai a correre ma non riuscivo a raggiungerla.
-- Svegliati Freezer.
Mi sollevai in volo utilizzando l'aura per un lungo slancio. -- Torna qui!-- urlai. -- MADREEEE!
Di colpo spalancai gli occhi e presi un gran respiro, mi alzai di scatto e tutto ruotò.
-- Cosa fai? Torna giù.
Quel tocco delicato ma deciso mi fece stendere di nuovo. Al freddo si era sostituito un gran caldo.
Un forte odore di erbe.
Fresco e carezze sul petto.
-- Dove.. dove
-- Al sicuro.-- rispose la voce. -- Riposati adesso. Ci sono io qui con te.
Sentii un panno fresco accarezzarmi la fronte.
Sollevai la mano alla ricerca di quella voce. Una mano più piccola e delicata trovò la mia.
-- Non lasciarmi.-- mormorai.
-- Non lo farò.

Mi ridestai circondato da un piacevole tepore, disteso supino su qualcosa di morbido. Voci ovattate, un lontano spadellare. Odore di zuppa.
-- Quello lì non mi piace.-- disse una voce rauca.
-- Ma dai nonna. É solo un povero viandante sorpreso dalla bufera. Che dovevo fare? Lasciarlo lì a congelare?-- disse un'altra voce, più acuta e limpida, femminile. La riconobbi subito. Sollevai la mano in sua ricerca, cercai di chiamarla ma dalla gola riarsa non uscì alcun suono. Avevo una sete tremenda.
-- Ha l'aria di un pessimo soggetto.
-- Se avessi la febbre anche io avrei un pessimo aspetto.
Cercai di aprire gli occhi. Volevo vederla, perché la mia mano non riusciva a trovarla.
-- Sarà un ladro, un mercenario, o peggio ancora uno di quei rampolli di buona famiglia. Dai retta a me cara, buttalo fuori casa e lascia che se lo mangino i..
-- Shh nonna! Si sta svegliando!
Sentii il suo passo leggero e le sue mani delicate stringere la mia.
Fu allora che mi capitò davanti. Mi osservava, mentre lentamente mettevo a fuoco il suo sorriso.
-- Ben svegliato. Come ti senti?
Mi presi un attimo prima di rispondere, riordinando i pensieri. -- Io..non-- tossii. -- Sete..
Mi avvicinò alle labbra un bicchiere. -- Ecco tieni. Bevi piano.
Quei pochi sorsi mi ristorarono. Fu come se infondessero nuova vita al mio corpo.
-- Va meglio?
Annuii.
-- Bene. Vedrai che dopo un piatto di zuppa calda ti sentirai ancora meglio.[BR] Si mosse allontanandosi dal mio campo visivo. Così tentai di tirarmi su per seguirla con lo sguardo. Fu un'impresa, mi sembrava di avere ogni muscolo indolenzito e ogni osso congelato. Mi spostai il cuscino dietro la schiena e mi misi seduto tirando un sospiro di sollievo.
In fondo alla stanza la ritrovai.
Era della mia stessa razza.
Aveva la pelle bianca come la mia ma le sue macchie avevano una sfumatura argentea. Si muoveva con grazia ed eleganza, benchè fosse una popolana.
Stava mescolando qualcosa in un grosso pentolone, appeso all'unico focolare di quella casa minuscola e piena di spifferi tappati alla meglio, eppure pervasa da un calore singolare, che rendeva il mio palazzo un luogo freddo e tetro.
Mentre lei era ai fornelli, l'anziana mi osservava con un'espressione che non sapevo definire. Come se mi conoscesse.
Distolsi lo sguardo da lei ed appoggiai la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi e rilassandomi mentre aspettavo la cena.
--É pronto!
Riaprii gli occhi e la vidi china sul paiolo con un piatto. Vi versò due mestoli belli pieni e un cucchiaio, poi si avvicinò a me porgendomi la cena.
La girai col cucchiaio, muovendo ritmicamente la punta della coda, senza capire bene cosa contenesse.
Dall'odore pareva pesce.
Pescai qualche squama, pezzetti di lisca e un paio di teste.
L'aspetto non era dei migliori e io non avevo molto appetito, tuttavia mangiai. Dovevo essere in forze se volevo tornare a casa.
Mangiai lentamente, senza fare alcun rumore come mi avevano insegnato e scoprii che nonostante tutto, aveva un buon sapore. Inoltre quel brodo bollente riscaldava bene le mie ossa congelate, scacciando il freddo.
-- Aah questa volta hai superato te stessa tesoro.-- gracchiò la vecchia, succhiando la minestra.
-- Nonna abbiamo ospiti.
-- A casa mia mangio come mi pare.-- mi guardò, succhiando il brodo dal cucchiaio. Doveva aver capito che mi dava sui nervi. -- Raccontaci di te giovanotto. Da dove vieni?
-- Ho perso l'orientamento nella bufera.-- spiegai mentre mangiavo. Dopo un paio di cucchiai avevo scoperto di avere una gran fame. -- Non so da che parte è casa mia.
-- E cosa facevi laggiù?
-- La lunga notte mi ha sorpreso. Poi è arrivata la bufera e non vedevo ad un palmo dal naso. Ho vagato alla cieca finché non ho trovato rifugio in una grotta. Dopo non ho ben chiaro cosa sia successo. È tutto confuso.-- spiegai.
-- Beh dopo la tempesta è passata.-- replicò l'anziana.
-- Io e Neve siamo uscite a pescare insieme a Zarbon, come facciamo sempre. Quel giovane ha buon naso per la pesca. Trova sempre i posti migliori e ci porta l'attrezzatura e le esche in cambio di qualche moneta. Io continuo a dire a mia nipote di non lasciarselo scappare ma lei non pare interessata.
-- Nonna!
-- Comunque, volevamo andare nel nostro solito posto, ma quando ho visto quegli spruzzi all'orizzonte, ho capito che era lui. Non volevo lasciarmi scappare un'occasione così succulenta. Ma per pescare quel bestione mi serviva un'esca adatta. Siamo entrati in una grotta in cerca di qualche animale e lì ti abbiamo trovato semi congelato. Eri della grandezza giusta e con abbastanza carne addosso per stuzzicare l'appetito del Levyathan ma mia nipote ha insistito per soccorrerti.-- la vecchia succhiò ancora la minestra ed io assottigliai lo sguardo. -- Eri proprio un bel ghiacciolo. Zarbon ci ha dato una mano a portarti fin qui, ti abbiamo piazzato vicino al fuoco e avvolto in tutte le coperte che avevamo ma non smettevi di tremare. Una sera pensavamo non ce l'avresti fatta.
Ascoltavo in silenzio quelle parole, rimuginando sullo strano sogno che avevo fatto e sulla voce che avevo sentito.
-- Una sera?-- mormorai. -- Da quanto sono qui?
La vecchia contò sulle dita. -- Circa una settimana.
Sgranai gli occhi. -- Una settimana?-- Strinsi i pugni. Cooler di sicuro mi stava cercando e forse anche nostro padre cominciava a preoccuparsi. Posai il piatto vuoto sul letto. -- Devo andare.-- dissi. Scostai le coperte e mi alzai barcollando, scoprendo che le gambe mi reggevano a stento.
Neve si alzò e si mise davanti a me. -- No non puoi uscire in questo stato.
-- Sto bene.-- minimizzai.
-- Fino a pochi giorni fa scottavi e avevi una tosse spaventosa. Non mi sorbirò i tuoi deliri per altri sette giorni, Freezer!
Le sue ultime parole mi lasciarono di stucco tanto che persi l'equilibrio e finii a sedere di nuovo sul letto. -- Come.. come lo sai?
Neve incrociò le braccia. -- I tuoi deliri. Continuavi a ripetere quel nome.
-- Te l'avevo detto io!
-- Oh nonna sarà un omonimo. Non può essere Lord Freezer. Lo sanno tutti che non va al di là della terza forma. Inoltre non sarebbe così stupido da lasciare il palazzo durante una tempesta, nella lunga notte.
-- Già.-- mormorai, tornando a stendermi sotto le coperte, improvvisamente stanco.
-- Anche se dicono sia accaduto qualcosa.-- continuò Neve. -- Sembra sia crollata una torre.
-- Ben gli sta!
-- Nonna non dire così. Sono solo nati più fortunati di noi.
-- La fortuna gira-- gracchiò la vecchia. -- Finalmente quei ricchi snob hanno ciò che si meritano!
Assottigliai lo sguardo, appuntandomi mentalmente di far fare una brutta fine alla vecchiaccia una volta guarito.
Dopo la cena mi raggomitolai sotto le coperte, godendomi quel tepore e osservando Neve intenta a lavare le stoviglie, mentre la vecchia russava sulla poltrona.
Pian piano mi tornò in mente, nei giorni in cui tutto era offuscato dalla febbre.
Rammentai il suo tocco delicato, le sue parole di conforto. Non ricordavo un solo momento in cui lei non fosse presente, accanto a me.

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Capitolo 9
*** Potenza senza controllo ***


Il giorno dopo mi svegliai presto. Mi sentivo molto meglio e mi sedetti nel silenzio della casa, dove Neve e l'anziana dormivano ancora.
Mossi la coda, indeciso. Non avevo voglia di restare ancora a letto e provai ad alzarmi, reggendomi alla testiera con una mano.
Le gambe mi tremarono ma questa volta non mi tradirono. Sorrisi e lasciai la testiera senza accorgermi di aver lasciato solchi con le dita.
Mi avvicinai all'uscio e presi la porta.
In senso letterale.
Nell'aprirla per uscire la scardinai, non ho idea di come, e mi rimase in mano. La fissai reggendola per la maniglia, senza trovare parole adatte a descrivere il mio stupore.
Guardai all'interno e le vidi ancora addormentate, soffermando lo sguardo su colei che mi era stata sempre accanto.
Non avevo mai incontrato un'anima così leggiadra. Era di una dolcezza e di una gentilezza disarmanti eppure non mi provocava disgusto.
Era bella come il sole d'inverno, fresca come l'acqua che scende dai ghiacci, quando viene la primavera. Era incantevole in ogni sua movenza, di un'eleganza innata.
Rimisi a posto la porta come potevo, stando attento a non fare troppo rumore. Poi uscii.
Fuori regnava ancora la lunga notte e ovunque fuochi e fiaccole illuminavano le vie strette e le case sgangherate di una baraccopoli. Ovunque c'erano rifiuti, e bestie selvatiche che vi rovistavano. La neve era sporca, grigia e nera, nulla a che vedere con la bianca coltre dei nostri giardini. E l'odore. L'odore era terribile.
Pensai che mio padre avrebbe volentieri raso al suolo quel posto, se il vento fosse cambiato ed il tanfo avesse anche solo lambito il palazzo.
Quel pensiero mi fece tornare in mente il mio obiettivo.
Non riuscivo a vedere il palazzo da terra ma forse, librandomi sopra i tetti avrei avuto una visuale migliore.
Provai a sollevarmi lentamente.
Almeno, l'idea era quella.
In un colpo mi ritrovai sopra alle nuvole da dove la baraccopoli sembrava un fremente formicaio.
-- Ma che diamine..?!
Decisi di tornare giù.
Con molta calma.
Un pezzettino per volta.
Piano..piano
Alla fine scesi fino a sfiorare i tetti e volsi lo sguardo in cerca di casa mia, fino a trovarne il profilo lontano, segnato dai fuochi.
-- Ah eccolo lì!
Scesi a terra veloce e senza troppi pensieri. Ero contento e non vedevo l'ora di mettermi in viaggio verso casa.
Come toccai il suolo quello si deformò sotto il peso dell'energia scavando un cratere da cui si diramarono lunghe crepe mentre l'onda d'urto sollevava la neve e aggrediva le case come una sferzata di vento.
I bidoni dell'immondizia rotolarono sulla strada facendo un gran fracasso, unendosi all'allarme di un veicolo scassato, capovolto e finito per metà in un canale di scolo. Sentii urla e voci concitate ed in breve tempo, la gente si affacciò dalle baracche.
-- Ehi idiota! Va a provare le nuove mosse da un'altra parte!-- sbraitò uno.
Mi girai verso di lui e gli puntai contro l'indice. -- Ehi tu come mi hai..
Volevo solo indicarlo.
Non distruggergli la casa.
Il raggio di colore viola che mi uscì dal dito la spazzò via per metà. Nel mio stupore mi limitai a guardare le fiamme nascere ed invadere la casa, con gli occhi sgranati.
L'alieno uscì balzando fuori dalla finestra e atterrando sulla strada, con tutta l'intenzione di suonarmele di santa ragione.
Indietreggiai. Ormai avevo capito di non aver alcun controllo sulla mia nuova potenza. Avevo quasi distrutto mezzo quartiere e incendiato una casa per sbaglio, non volevo avere anche quel tizio sulla coscienza.
Richiamata dal caos, Neve uscì di casa. -- Ma che sta succedendo?
-- Questo imbecille mi ha distrutto la casa!-- sbraitò l'alieno. Non era della mia razza. Era basso, tarchiato e con la pelle viola, piena di punte.
-- Calmati Dodoria, sono sicura che non l'ha fatto apposta.
-- Certo, gli è uscito “per sbaglio” un raggio letale dall'indice che “per caso” era puntato su casa mia!
Neve mi guardò malissimo poi si rivolse all'alieno. -- Ti troverò un posto al dormitorio e intanto sistemeremo la casa. Non sembra nulla di irrimediabile.
Qualcosa fra quelle mura esplose facendo crollare l'intero edificio. Dodoria mi fissò paonazzo di rabbia. -- Mi devi una casa hai capito?! Ringrazia che c'è Neve qui, altrimenti ti avrei ammazzato a sangue freddo.
-- Oh questa poi.-- incrociai le braccia -- Credi di essere così forte?
-- Basta! Tutti e due!-- Neve ci divise senza troppi complimenti e quel Dodoria se ne andò imprecando lungo la strada, diretto chissà dove.
Evitai di farmi vedere in giro per il resto della giornata. Ero però deciso a prendere in mano la faccenda: non potevo presentarmi a mio padre in quello stato, dovevo essere in grado di controllare il mio potere.
Scelsi la zona dietro la casa di Neve, un cortile deserto dove speravo di non fare troppi danni.
La natura è stata generosa con la nostra specie donandoci una forza di gran lunga superiore a quella delle altre creature.
Tuttavia sembrava che con me in particolare fosse stata molto buona. La mia quarta forma, il mio vero potere, era qualcosa di eccezionale. Non avevo mai sentito di qualcuno, anche cucciolo, che avesse avuto problemi nel controllo di una forma. A piena potenza sarebbe stato normale, ma che quel potere mi sfuggisse dalle mani per la minima cosa, come un destriero selvaggio e irascibile, mi sembrava anomalo. Dovevo imparare a controllarlo, capire con che cosa avevo a che fare.
Mi misi al centro del cortile, chiusi gli occhi e presi un lungo respiro.
Muovevo la coda, tradendo il mio nervosismo. Provai a concentrarmi e lentamente la mia coda si quietò. Ascoltavo il mio respiro, i miei battiti, cercando l'equilibrio della mente.
Feci un passo avanti. Mossi le mani tese davanti a me formando un arco ed al tempo stesso mi girai lateralmente.
Mi abbandonai a quella danza sinuosa cercando l'equilibrio interiore, sentendo l'energia scorrere mentre il mio corpo si circondava di una luce violetta.
Ero concentrato, mi sentivo pronto.
Mi fermai, ma non bruscamente. Mi librai in aria quasi volessi continuare a danzare vicino all'aurora.
Provai a richiamare sulle mani una piccola parte dell'energia che sentivo e subito quel mare calmo dentro di me cominciò ad agitarsi.
Cercai di mantenere la concentrazione e formai due sfere sui palmi, che brillavano di luce propria. Erano piccole e volli ingrandirle. Rilasciai l'energia troppo velocemente sulla sinistra e la mano si ustionò. Mi morsi il labbro, stringendo i denti per non perdere la concentrazione.
A terra sotto di me, grani di polvere si sollevavano da terra.
Piano..devo fare piano.
Presto le due sfere divennero grandi quanto la mia mano aperta. Ero riuscito a renderle stabili. Con un po' di fortuna non sarebbero esplose.
Provai ad applicarci la telecinesi. Prima ad una sola. La sentii sollevarsi dalla mia mano e ruotare intorno a me. Riuscivo a controllarla bene, quindi lasciai anche la seconda.
Sorrisi. Stavo cominciando a prenderci la mano.
Decisi di farne altre due, alla stessa maniera e questa volta fu più facile. Avevo trovato la giusta dose di energia da impiegare per renderle stabili. La terza si unì alle altre intorno a me e poi anche la quarta. Riuscivo a controllarle bene. Essendo ad occhi chiusi, mi basavo sul fatto che non mi erano ancora esplose in mano.
Poi, provai a fare una cosa.
Era diventato una specie di gioco. Giocavo con il mio potere, mi divertivo a scoprirlo.
Sollevai il braccio e tesi l'indice verso il cielo. Concentrai l'energia sulla punta ed essa brillò. La trattenni.
Non ancora. Devi uscire quando voglio io.
Sentivo l'energia sulla punta del dito, pronta a liberarsi ma dovevo essere io a decidere quando. Era fondamentale.
Abbassai il braccio.
Annullare l'attacco fu più facile di quanto credessi. Dovevo solo rimanere concentrato.
Questa volta alzai di nuovo il braccio, raccolsi l'energia e la rilasciai, lanciando il raggio letale verso l'alto, senza far danni.
C'ero riuscito. Ed all'improvviso mi chiesi se potevo creare una sfera e trattenerla con un solo dito, come con il raggio. Ma questa, volevo farla più grande.
Raccolsi l'energia e creai la sfera, poi aggiunsi altro potere per ingrandirla. Non ne sentivo minimamente il peso, pareva una piuma. Era incredibile la facilità con cui riuscivo a crearla. La ingrandii lentamente e non vedendola, la giudicai grande quanto un cocomero.
A quel punto sotto di me, udii grida lontane, ordini agitati.
Stando attento a non deconcentrarmi aprii gli occhi e guardai in basso. Al sicuro in aria, non mi ero accorto della terra che tremava sotto di me, della gente che cercava rifugio dal terremoto.
-- Neve-- mormorai.
C'era solo una cosa in grado di far tremare la crosta ghiacciata del pianeta e quasi mi avesse letto nel pensiero, udii il suo canto.
Volsi lo sguardo verso il mare e ne colsi l'ombra lontana, il luccichio rosso degli occhi. Emergeva come un continente dagli abissi più profondi del mare. Che diamine faceva lì?
Guardava me. Fissava qualcosa sopra di me. Seguii il suo sguardo e vidi la mia sfera, grande e luccicante come una stella in miniatura. Non ne vedevo la cima, non ne vedevo i confini. Era come essere sotto un grosso asteroide rotondo.
All'improvviso mi resi conto che se c'era una cosa in grado di scacciare quel mostro, era proprio quell'enorme palla luminescente che tenevo sul dito.
Unii ad essa le altre quattro sfere, facendola diventare ancora più grande.
-- Pappati questa.-- mormorai e lanciai la sfera verso l'enorme creatura.
Quella ne osservò il lento tragitto, si inarcò, spalancò le enormi fauci e la mangiò tutta intera.
Per un attimo un bagliore viola screziò le sue squame disegnando i contorni di una creatura sconfinata che solo il mare poteva contenere.
Poi tornò a fondersi con l'ombra, come se nulla fosse successo.
Mi fissò, e ruggì.
Fu un boato talmente forte da agitare il mare e far tremare la terra. Generò un'onda d'urto tale da sbalzarmi via come un fuscello. Finii la mia corsa contro un alto palazzo, sfondandone le pareti e finendovi all'interno.
Pensai che si sarebbe arrampicato sulla crosta o che l'avrebbe spaccata per raggiungermi e farmela pagare.
Invece, quando mi rialzai, era sparito.

-- Freezer sei vivo! Dov'eri finito?!
Si erano radunati tutti nella piazza vicino alla casa di Neve e l'aria era densa del mormorio della folla.
Dal poco che compresi, nessuno mi aveva visto lanciare la sfera contro il Levyathan e nessuno aveva visto la sfera stessa.
Dovevano averla scambiata per una delle due lune, dato che ero molto in alto e forse nel fuggi fuggi generale non avevano notato la sua discesa.
-- Sto bene.-- dissi a Neve. -- Ma perché quel mostro viene qui?
-- La vecchia l'avrà stuzzicato di nuovo-- sbraitò uno.
-- Zitto tu, succhialatte! Che io non ho fatto proprio nulla.
-- È vero. C'ero io con lei.-- disse Zarbon.
-- L'unico che non si trovava era quello nuovo.-- disse Dodoria.
-- Chi?-- chiesi.
-- Tu idiota!-- ribatté. -- Prima il quartiere, adesso il Levyathan. Porti sventura
Assottigliai lo sguardo. -- Attento a come parli.
-- Dov'eri? Perché Neve non ti trovava?
-- Sono l'unico che non hai visto, dell'intera città?-- bagliori violetti circondarono il mio corpo.
Sentivo l'energia affiorare.
-- No ma
-- Allora sta zitto! O giuro che
-- Basta!
Sentii la mano di Neve sul braccio e provai a calmarmi. La vecchia allora fece un paio di passi in avanti. -- Siamo tutti spaventati. Io dico di discuterne domani. La notte porta consiglio e raffredda gli spiriti. Domani saremo tutti a mente lucida.
La folla mormorò ed in molti tornarono alle loro case. Mentre Neve rientrava, l'anziana mi fissò. Fu come la volta prima, come se mi conoscesse, se mi leggesse il pensiero e i sentimenti.
Dopo un tempo che mi parve interminabile, ticchettò col bastone. -- Andiamo a casa, giovanotto.
Quella notte presi sonno tardi. Stavo seduto a riflettere, guardandomi la mano scottata.
La aprii, la chiusi, la riaprii, pensando a ciò che avevo fatto.
Non riuscivo a credere di avere quell'energia. Ero forte, ma quanto?
Sapevo di essere migliore di molti, Cooler ed io eravamo rimasti i più forti membri della nobiltà e della famiglia reale. Ma sapevo qual era il mio posto: Cooler era più forte di me, nostro padre di entrambi.
Ora però, non ne ero più tanto sicuro. Avevo il presentimento che, se fossi riuscito a controllare quell'energia sarei risultato più forte di mio fratello.
Forse addirittura di nostro padre.

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Capitolo 10
*** Lei ***


--Devo solo scoprire cosa lo attira qui.
-- Cioè?-- fece Neve.
-- Ma è ovvio tesoro. Il Levyathan non sale mai in superficie, tranne quando è attirato da qualcosa. E se riesco a capire di che si tratta, avrò l'esca perfetta!
-- A forza di provocare quella creatura ti caccerai nei guai nonna. La gente già pensa che il fatto di ieri sia colpa tua.-- rispose Neve, mentre riordinava. Ogni volta che era impegnata in qualche lavoro casalingo indossava sempre un grembiule color crema, che la rendeva ancora più graziosa.
-- Farai meglio a dirigere quello sguardo languido altrove ragazzo.-- mi sibilò la vecchia e mi ridestai dai pensieri come da un sogno.
Ancora di spalle si slacciò il nastro del grembiule dalla schiena ed io dovetti ricacciare indietro un paio di pensieri inopportuni.
Oh avrei potuto accontentare ogni suo capriccio con le mie ricchezze. Avrei distrutto interi pianeti se solo me l'avesse chiesto. L'avrei circondata di servi e servette per non farle toccare più una stoviglia con un dito. L'avrei resa felice.
Appese il grembiule e si rivolse alla vecchia prendendo la porta. -- Io vado.
-- Eh? Dove?-- chiesi.
Lei sorrise. -- Puoi accompagnarmi se vuoi.
Ricambiai il sorriso e mi alzai. Prima di uscire la vecchia mi richiamò schiarendosi la voce. Puntò indice e medio sui suoi occhi, poi verso di me, poi di nuovo verso gli occhi e verso di me.
Recepii il messaggio.
Seguii Neve per le vie della baraccopoli, senza trovare il coraggio di rivolgerle la parola. Non potevo dirle chi ero, di sicuro l'avrei fatta vergognare di sé e della sua casa. Non volevo che accadesse, preferivo conoscerla per chi era veramente.
Arrivammo ad una baracca più grande delle altre e con un gruppo di gente dinnanzi.
Neve corse loro incontro e tutti la salutarono calorosamente. C'era anche Dodoria fra loro e quando mi vide non mi riservò uno sguardo altrettanto cordiale, come tutti gli altri. Alcuni sospettavano di me per i fatti del giorno prima.
Incrociai le braccia e rimasi in disparte a guardarla prendere e ricambiare tutti i saluti della plebaglia di quel posto, poi mi guardò e mi si avvicinò accompagnata da un umanoide con la pelle ed i capelli verdi.
-- Lui è Zarbon. Nonna ti parlava di lui. Ci tenevo a presentartelo.
Zarbon a quel punto mi tese la mano, io la avvicinai con riluttanza ma alla fine la strinsi.
-- Immagino di doverti un favore.-- dissi.
L'altro fece spallucce. -- Nessun favore.
Tanto meglio per me, pensai. Neve mi fece cenno di seguirla, invitandomi ad entrare con lei nel grosso edificio.
Era un ampio locale con un paio di lunghi tavoli e molte file di brande disposte a poca distanza l'una dall'altra. Somigliava tanto ad uno di quei vecchi luoghi di raccolta dei malati, quando ancora non c'erano le vasche di rianimazione.
Vi dimorava gente di ogni età e razza. Tutti straccioni che a quanto pare, come Dodoria, non avevano dove andare o di che sfamarsi. Oltre ovviamente a quelli che avevano perso la casa il giorno prima. Molti erano infermi, alcuni anziani e diversi bambini giravano fra le brande senza che riuscissi a scorgere i loro genitori. Vidi Neve avvicinarsi ad un gruppo di femmine della nostra razza. Di nuovo rimasi in disparte, a braccia conserte, osservandole.
Si salutarono. Una al suo fianco le parlò e mi guardò sottecchi. Le altre seguirono il suo sguardo e una con le macchie azzurre le diede un paio di lievi gomitate. Neve per contro replicò ridacchiando e dandole una spintarella, improvvisamente arrossita.
La guardai muoversi fra tavoli e brande con un mucchio di piatti fumanti e servire uno dopo l'altro quei tizi, insieme alle altre.
C'erano anche dei maschi e sembravano gradire quel lavoro quasi quanto le donne.
Riguardo a me rimasi spettatore, muovendo ritmicamente la coda e cercando di dare un senso a quello che vedevo.
Per quel che sapevo sulla gente comune, ero sicuro che svolgessero compiti giornalieri allo scopo di ottenere monete che versavano alla famiglia reale, oppure svolgevano attività con cui ottenevano merci che scambiavano con monete per poi versarle alla famiglia reale. Chiamavano questo insieme di attività “lavoro”.
In cambio di quelle monete, la famiglia reale amministrava le risorse del pianeta assicurandosi che tutti vivessero bene.
Eppure, la differenza fra il mio sontuoso palazzo e quel mucchio di baracche fatiscenti era notevole.
Dopo diverso tempo, Neve tornò da me.
-- Allora è questo il tuo lavoro?-- le chiesi.
Lei ridacchiò. -- No io pesco e vendo il pesce. Qui non vengo pagata.
Smisi di muovere la coda.
Pensavo di aver capito, invece era più complicato del previsto. -- E allora perché lo fai?
Lei parve un po' delusa. -- Beh, tutti dovrebbero aiutarsi a vicenda, specialmente se si ha poco o nulla.
Ero sempre più confuso. -- Come poco o nulla?
Lei mi fissò perplessa. -- La gente che vive qui non ha niente. Non può permettersi una casa, alcuni non possono nemmeno procurarsi del cibo. Altri erano mercenari ma a causa di ferite serie non possono più svolgere il loro compito. E non sanno fare altro.
-- E come fanno a dare la propria parte alla famiglia reale?
-- Non lo fanno.
Assottigliai lo sguardo. -- Quindi violano la legge?
-- Non hanno niente Freezer.-- replicò lei. -- Non hanno una sola moneta. E non possono guadagnarsela. Come potrebbero dare la loro parte?
Mi misi a riflettere su quelle parole. -- E il re non fa nulla per loro?
Neve parve rattristarsi. -- Ma da dove arrivi? Al re non importa di loro. Fosse per il re sarebbero già morti di fame.
-- Allora perché te ne occupi?
Lei mi guardò a bocca aperta, poi sospirò. -- Perché a differenza del re, non posso sopportare la vista di gente innocente che muore di fame in mezzo alla strada. Non mi importa se non possono dare nulla in cambio. Vederli sorridere e tornare alla vita è abbastanza per me.
Quando tornò a portare piatti avanti e indietro, rimasi contro la parete muovendo la coda nervoso.
Proprio non ne venivo a capo.
Mi avevano insegnato cose molto diverse a palazzo.
Mio padre non era esattamente un'anima caritatevole. Trattava i servi come pezze, li puniva per un nonnulla. Erano figure senza nome, messe lì per soddisfare ogni nostro desiderio. Io e mio fratello avevamo assaggiatori, camerieri, domestici, massaggiatori ed anche un nutrito gruppo di splendide ancelle. Eravamo nutriti e coccolati come i re che dovevamo diventare e non mi era mai passato per la testa di alzare un dito se erano stanchi, o di versarmi da solo la zuppa nel piatto. In quel luogo sembrava che il mondo si fosse capovolto.
L'unica cosa che avevo capito, era che per lei era importante, per quanto mi sembrasse assurdo. La creatura più bella che avessi mai incrociato sul mio cammino, riteneva importante quella massa di plebei infermi e li serviva come una domestica qualunque senza ricevere nulla in cambio.
Lei mi aveva curato, tenuto per mano, mi era rimasta vicino quando tremavo e deliravo, mi aveva dato il suo cibo, accolto nella sua casa. E io non avevo niente, da darle in cambio.
Decisi dunque che se aiutare quella massa di infermi la rendeva felice, avrei aiutato quella massa di infermi.
Mi staccai dalla parete e a pugni stretti cercai qualcuno. Incrociai un maschio della mia razza che trasportava una pila di lenzuola.
-- Voglio dare una mano.-- dissi. -- Cosa devo fare?
Quello mi guardò sorpreso. Sbatté un paio di volte le palpebre come preso alla sprovvista. -- Ehm-- disse -- fuori ci sono dei barili di combustibile da scaricare. Perché non te ne occupi tu?
Sgranai gli occhi. Fra tutti i lavori, il più infimo: scaricare barili pieni di quella melma viscida e fetida fatta di scarti che sul nostro pianeta usiamo al pari delle braci e del fuoco. Ero tentato di rifiutare ma mi feci coraggio. -- Lo farò io.
Lui posò le lenzuola e mi fece cenno di seguirlo. -- Non usare la telecinesi.-- disse mentre camminava. -- Sono molto pesanti e potrebbero rompersi. Non possiamo rischiare di perderne quattro come l'anno scorso. Questo posto è diventato una ghiacciaia.
Avrei usato la telecinesi lo stesso, poteva scommetterci. Preferivo rischiare piuttosto che sfiorare quella schifezza. E sarebbe stato un ottimo esercizio per me.
Mi diressi fuori con lui, dove un grosso veicolo scrostato era fermo a qualche metro dal suolo, pieno zeppo di barili pieni, forse una ventina in tutto.
Mi sollevai all'altezza del veicolo e mi concentrai: con movimenti delle mani e delle braccia sollevai il primo barile. Era pesante, il mio pari non aveva mentito. Tenerlo in aria dritto era difficile. Lo feci andar giù dolcemente e lo poggiai a terra piano.
Continuai così, un barile dopo l'altro, cercando di mantenere la concentrazione e portandoli giù con estrema delicatezza.
Pian piano si radunò una piccola folla lì vicino. -- Ehi guardate!-- disse una voce. -- Li tira giù con la telepatia e non ne ha scassato neanche uno!
A quanto pare stavo riuscendo in un'impresa. Più tardi avrei saputo da Neve che si trattava di una specie di sfida per i maschi che lavoravano lì, finché non si era deciso per maggioranza di scaricarli manualmente ed evitare di perdere il prezioso combustibile.
Mi accorsi che non era così differente dal controllare le sfere a parte ovviamente il peso. Tenere in aria un singolo barile richiedeva molta più energia.
Passata la metà me ne sfuggirono un paio ma fui abile nel riprendere la concentrazione prima di farli cadere.
Vidi anche Neve, nel gruppetto, vicina al mio parirazza dalle macchie blu.
Sperai che il mio gesto la facesse contenta, che dimostrasse la mia buona volontà.
Arrivato all'ultimo tirai un sospiro di sollievo. Ero stanco ma gonfio d' orgoglio. Ancora uno e sarebbero stati tutti interi, neanche un barile sprecato. Purtroppo la mia telepatia era altalenante a causa della stanchezza ed ero davvero convinto che il barile potesse sfuggirmi, al punto che mi spostai sotto di esso, per prenderlo con le mani nel caso fosse caduto.
Allora mi accorsi che aveva il fondo deteriorato, ricurvo verso il basso.
Ebbi appena il tempo per aprire la bocca e guardare in su. Il fondo cedette e quella melma fetida mi finì tutta addosso.
Il viscidume.
Quel caldo, schifoso viscidume.
E la puzza.
Per le due lune, che puzza.
Non trovavo parole adatte a descrivere il mio sdegno.
Anzi, forse ne avevo in mente un paio. Ma c'erano dei bambini lì vicino, e vecchiette dall'aria gentile e ingenua.
Per un attimo ci fu silenzio, poi un alieno scoppiò a ridere e gli altri si unirono.
Le risate.
Ridevano di me. Di me! Dopo che li avevo aiutati a scaricare quel lerciume, dopo che mi era caduto addosso un barile di quella melma, perché li stavo aiutando.
Sentii la rabbia crescere e con essa la potenza. L'aria si fece pesante, intorno a me, elettrica. I sassolini iniziarono a fluttuare nell'aria.
Io, il grande Freezer, avevo impregnato la mia bellissima pelle di quella schifezza e questo era il ringraziamento che mi spettava?
Con la telecinesi lanciai il barile vuoto contro un palazzo, frantumandolo.
A quel chiasso si zittirono tutti. Io tenevo lo sguardo basso e stringevo i pugni, profondamente offeso.
Poi avvertii sulla spalla il tocco delicato che avevo imparato a conoscere.
Neve mi pulì la guancia con un panno, e poi mi diede un bacio.
Di colpo, ogni pietra tornò a terra. L'elettricità svanì e l'aria tornò fresca e leggera.
Mi tornarono in mente parole di molto tempo prima.
Devi fare solo due cose Freezer: essere spietato e non innamorarti mai.
Troppo tardi padre. Troppo tardi.

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Capitolo 11
*** Ritorno a casa ***


-- Questa puzza non se ne andrà mai.
Neve ridacchiò. -- Sì, vedrai che con il tempo passerà.-- poi -- Padroneggi davvero bene la telecinesi, non ho mai visto tanto potenziale in qualcuno, a parte la famiglia reale.
Mi misi sull'attenti e ridacchiai. -- Ma va, in fondo è solo telecinesi.
-- Vero. Ma il controllo che hai tu non ce l'hanno in molti. Chissà, forse potresti eguagliare Lord Cooler.
Sorrisi. -- Non esagerare. Magari Lord Freezer.
Scosse il capo. -- No, tu lo superi Lord Freezer. É fermo alla terza forma.
-- Già.
-- Mi pare insolito per uno della famiglia reale. Forse è stato adottato e nessuno lo sa. Oppure è l'illegittimo frutto di una storia tra il re ed una popolana.
Assottigliai lo sguardo. -- O forse non riesce a liberare il suo potenziale.-- replicai stizzito. -- Forse è talmente grande che ne ha paura.
Neve inclinò il capo. -- é la nostra natura. Non c'è ragione di temerla.-- replicò, poggiandomi una mano sulla spalla.
Poggiai la punta della coda sulla sua mano e volsi lo sguardo alle stelle. -- Guarda, il cielo sta cambiando.
-- La lunga notte.-- disse lei. -- Sai adoro vedere quando albeggia dopo tanto tempo. Mi piacciono tutti quei colori.
Si alzò in piedi e si librò sul tetto della sua casa.
La seguii ed insieme ci stendemmo ad ammirare le stelle. Rimasi in silenzio, con le mani dietro la nuca a far da cuscino.
-- Neve?
-- Sì?
-- Se tu potessi esprimere un desiderio alle stelle, senza dover dare nulla in cambio, cosa chiederesti?
Lei parve pensarci su.
-- Fiori.
-- Fiori?
-- Sì. Un bel mazzo di fiori. Non li ho mai visti, non ne ho mai sentito il profumo. Dicono che siano davvero belli e colorati. Purtroppo non potrei mai permettermeli.
In effetti, i fiori sul nostro pianeta ghiacciato si vendevano a cifre esorbitanti. Erano merce rarissima, che veniva da lontano per stare nei palazzi reali.
-- E tu Freezer? Cosa chiederesti?
Volsi lo sguardo al cielo, riflettendo. -- L'immortalità.
-- L'immortalità?
Annuii. -- C'è così tanto da vedere, troppi pianeti ancora da scoprire. Se vivessi per sempre potrei vedere tutto ciò.
-- Ma saresti da solo. Tutti i tuoi cari col tempo se ne andrebbero.
-- In quel caso, la chiederei anche per loro. Tanto non sono in molti.
-- Davvero?
-- Non siamo mai stati una famiglia unita. Forse solo mio fratello ed io. É sempre tutta una competizione, sempre un rincorrere i più forti per superarli.
-- Mi dispiace.-- disse. -- Ma forse, un giorno troverai persone migliori, che ti vorranno bene davvero, per quello che sei e non per quanto sei forte.
Sorrisi. -- Già. Sarebbe bello.
Ci addormentammo insieme, su quel tetto. Improvvisamente pensai che potevo rimanere lì per sempre. Gettare tutto alle spalle e vivere con lei.
Poi mi ricordai la baraccopoli, la puzza. No forse era meglio il contrario. Neve avrebbe vissuto a palazzo come una regina ed io sarei stato felice insieme a lei.
Mi svegliò quel canto che avevo imparato ad associare ad una sola creatura. Sentii le sue sfiatate in lontananza.
Scostai Neve con delicatezza e mi alzai, librandomi in aria, diretto verso il mare.
Quella notte non tirava un filo di vento e l'oceano pareva uno specchio che rifletteva l'aurora. Il cielo era così limpido, che fra le stelle si intravedevano perfino i colori di una nebulosa.
Dove il mare toccava il cielo vedevo muoversi la gobba del Levyathan che se ne andava lento sfiatando la spuma bianca dell'oceano.
-- Che cosa ti attira qui?-- mormorai.
-- Non dirmi che non ci sei arrivato.
Mi voltai e vidi la vecchietta, ferma sul ghiaccio, reggendosi al suo bastone in osso di balena, ingobbita e raggrinzita nella sua prima forma, come al solito.
Avanzò verso di me. -- Credi che non abbia capito a che gioco stai giocando, Lord Freezer? Credi davvero che una vecchia come me non distingua un giovanotto di provincia da un principe della famiglia reale?
Rimasi in silenzio, facendo guizzare la coda per il nervosismo.
Con mia sorpresa la vecchia si mise a guardare il mare. -- Sai perché viene qui? Sai cosa lo attira?
-- Ho intenzione di scoprirlo.
La vecchia sospirò. -- Dimmi, per caso, compare sempre quando utilizzi la tua potenza?
Assottigliai lo sguardo ma non risposi.
Lei lo prese come un assenso e si voltò verso di me. -- Sai come vengono scelti i re su questo pianeta?
Feci un sorrisetto ed incrociai le braccia. -- Certo, che domande. L'arena dei re. Lì è dove i due principi si sfidano per ereditare il trono. Il vincitore viene proclamato imperatore. Ma se l'imperatore ha un erede soltanto, un guerriero del popolo può sfidarlo e diventare imperatore al suo posto.-- sorrisi. -- Per questo i reali non fanno mai un solo figlio.
La vecchia annuì. -- Vero. Questa è la procedura comunemente concordata. Ma non sai come stavano le cose, prima che entrasse in vigore?
Divenni serio e sciolsi l'incrocio delle braccia.
-- Quando fra i tanti, nasceva uno con un enorme potenziale, il Levyathan veniva attirato da questa energia. Chi udiva il canto del Levyathan sapeva che presto o tardi sarebbe sorto un nuovo re, il più forte fra tutti, poveri e ricchi.
Ascoltai con attenzione. Non credevo alle mie orecchie.
-- Tutti sapevano che un giorno, il Levyathan sarebbe riemerso per sfidare il futuro re, una volta giudicatolo pronto.
Sgranai gli occhi. -- Mi stai dicendo che verrà a sfidarmi?
-- Un giorno. Quando sarai pronto.
-- Troverà pane per i suoi denti.
La vecchia ridacchiò. -- Nessuno può sconfiggere il Levyathan.
Sbattei la coda a terra, incollerito. -- Credi davvero che perderò?
-- Oh sicuramente. Il Levyathan non può essere sconfitto. Il tuo compito sarà quello di uscirne vivo.-- ridacchiò.
Strinsi i pugni. -- Non è possibile. Se fosse vero, perché c'è stato bisogno dell'arena? Perché non ha continuato a scegliere i re?
-- Oh questo è semplice. Mancava l'esca.
-- L'esca?
-- Esatto. Durante tutti questi anni, non c'è mai stato nessuno dal potere tale da attirare il Levyathan.
-- E dovrei farlo io? Cooler e mio padre sono molto più forti di me!
La vecchia rise. -- Non ci credi neanche tu. Un tempo forse. Ma ora, nella tua forma finale, il tuo potere supera quello di entrambi.
Non replicai. Mi sedetti a gambe incrociate a riflettere e l'anziana mi si avvicinò. -- Sei tu la mia esca, Lord Freezer.
Sollevai lo sguardo. -- E tu sei la sibilla del Levyathan, vero?
-- Ah, allora conosci le vecchie leggende.
-- E adesso?-- chiesi, improvvisamente spaesato.
-- Il Levyathan continuerà a venire qui, se tu rimani. E tutti saranno in pericolo. Torna al tuo palazzo Lord Freezer. É questo che devi fare.
-- E Neve?
L'anziana sorrise, indagando il mio sguardo. -- Aah, l'amore. Non vedevo questo sentimento in qualcuno da tanto, tanto tempo.
-- Sei una sibilla, dimmi se la sposerò!
Lei rise, facendo ticchettare il bastone. -- Non sono quel genere di sibilla giovanotto. Questo dipenderà dalla scelta di Neve, quando glielo chiederai. Nessuno può vedere al di là di una scelta.
-- Capisco.
-- Tuttavia, ho visto qualcosa su di te. Ti ho visto in ginocchio di fronte a re Cold. La sua ombra era grande e copriva la tua. La tua gamba sinistra era ferita. Ma poi, ti sei rimesso in piedi. Allora la tua ombra si è allungata inghiottendo la sua.
-- E cosa significa? Che sarò re al posto di mio padre? E mio fratello?
-- Solo il tempo potrà svelare il significato di ciò che ho visto, ragazzo. Per ora vivi il presente. Torna a casa.
Mi alzai e feci per andarmene, poi mi voltai. -- Tornerò a trovare Neve. Ma per favore, non ditele nulla su di me.
-- Manterrò il tuo segreto, giovanotto.
La ringraziai con un cenno e tornai al tetto. Neve era ancora lì, addormentata.
La coprii bene con la coperta che avevamo preso dalla casa e le accarezzai il volto delicatamente per non svegliarla. -- Tornerò presto. Promesso.

-- Altezza, da mesi i saiyan chiedono di occupare il pianeta Plant.-- disse il ciambellano.
-- Quel pianetucolo?-- chiese Re Cold, agitando il vino nel bicchiere.
-- Sì altezza. É un piccolo pianeta di periferia, di scarso valore strategico.
Re Cold bevve un sorso. -- Mm. Che se lo prendano pure.
Improvvisamente un valletto entrò spalancando le porte della sala del trono, tutto trafelato. -- Sire. Sire! Una notizia splendida!-- si gettò ai piedi del trono. -- Lord Freezer è vivo! Il principino è tornato!
Re Cold si alzò. -- Lo vedo da me.-- disse, vedendomi sulla soglia.
Pian piano mossi il passo verso di lui, a testa alta, nella mia vera forma. Mi fermai a qualche metro da lui. -- Padre.
Re Cold mi fissò impassibile.
-- Sento il tuo fetore da qui. Vai subito alle terme e non tornare finché non avrai un'odore decente.

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Capitolo 12
*** Ricompensa ***


Amavo le terme. Oltre il fondale, fra le rocce, il nostro pianeta nascondeva un nucleo infuocato.
C'erano luoghi in cui l'acqua ribolliva e posti in cui era così tiepida ed accogliente che non potevi più smettere di galleggiarci. Ignoro come facesse il magma ad arrivare fin lassù ma una volta in acqua era l'ultima cosa a cui pensavi.
E come ogni sovrano che si rispetti, i nostri predecessori avevano pensato bene di inglobare una di quelle sorgenti all'interno del complesso reale. E non una a caso: la più grossa, la più bella e la più pulita.
Ero immerso fino al naso, con un panno sulla testa, a fare bolle con la bocca, quando mi sentii osservato.
Aprii gli occhi e vidi le gambe di Cooler. Sollevai lo sguardo e lo guardai in volto.
Strinse i pugni. -- Pensavo fossi morto.
Mi sollevai facendo riemergere la bocca. -- Se sono vivo non è certo grazie a te.
-- Mi dispiace. Sono stato un codardo.
Feci un gesto di non curanza con la mano. -- Lascia stare. Non so se al tuo posto avrei agito diversamente. Quella sera avevo paura anche io.
Cooler si sedette sul bordo della piscina naturale e mise i piedi a mollo. -- Che fine hai fatto?
-- Ho avuto da fare. Passare la lunga notte fuori, fra tempeste di neve e bestie feroci non è una passeggiata. -- appoggiai la schiena al bordo della piscina. -- Ho sperato molte volte di vedere qualcuno, venuto a cercarmi. Tu ad esempio. Pensavo che mio fratello almeno, avrebbe lasciato il palazzo per vedere se ero vivo.
-- Avrei voluto. Ma nostro padre..
-- Non te l'ha permesso.
-- Non c'era nemmeno da chiederlo. Era così infuriato che avrebbe buttato fuori anche me.
-- Capisco. -- mossi la coda nell'acqua. -- Mi passeresti l' asciugamano?
Cooler lo prese e me lo porse. -- Sto cercando di dirti che mi dispiace.
-- L'avevo capito.-- risposi mentre mi alzavo avvolgendomi nell'asciugamano ed uscendo dall'acqua. Cooler si mise si fronte a me, dando le spalle alla vasca.
-- Vorrei poter sistemare le cose, in qualche modo.
Riflettei e gli sfiorai il petto con la mano. Poi gli ficcai uno spintone facendolo cadere nella piscina.
-- Adesso siamo pari.-- ridacchiai, mentre me ne andavo nelle mie stanze.
Sistematomi, tornai alla sala del trono rilassato e profumato.
-- Adesso sì che sei presentabile. -- disse re Cold. -- Tuo fratello?
-- Ha voluto fare un bagno dopo di me. -- dissi con un sorrisetto.
Mio padre scosse la testa e mi indicò il trono alla sua destra con un cenno. -- Vieni a sederti, figliolo.
Mi avvicinai e mi sedetti sul trono, mettendomi comodo, piazzando le mani sui braccioli ed accavallando le gambe. -- Non sarebbe male, avere un trono mobile.
-- Una poltrona fluttuante? Non è una cattiva idea.
In quel momento rientrò Cooler. -- Sei seduto sul mio trono, fratellino.
Feci per alzarmi ma mio padre mi fermò con un cenno. -- Sono uguali Cooler, prendi posto sull'altro.
La giornata trascorreva noiosa, fra un'udienza e l'altra. Quasi sempre era nostro padre a gestire le varie richieste, a parte un paio di eccezioni in cui si rivolgeva a Cooler. Io non avevo dormito molto la notte prima ed il buon bagno alle terme non aiutava. Nel pomeriggio, complice il pranzo, mi assopii.
Mio fratello mi vide addormentato ma mio padre non sembrava essersene accorto, impegnato com'era a guardare verso l'entrata. -- Freezer-- sussurrò Cooler tra i denti, cercando di svegliarmi. -- Freezer.
Alla fine usò la sua coda per sfiorare la mia e mi svegliò. Tenni duro ancora un paio d'ore ma finii con l'assopirmi di nuovo, questa volta contro il braccio di mio padre.
Cooler sgranò gli occhi. -- Freezer!-- sibilò di nuovo. Re Cold allora si alzò dal suo trono. -- Cooler occupati tu dei prossimi. Io porto Freezer nelle sue stanze.
Cooler annuì mentre nostro padre mi prendeva in braccio. -- Certo. -- poi si fece coraggio. -- Lo punirete, per essersi addormentato?
Re Cold si fermò e scosse il capo. -- Questa volta no. Ha avuto giornate pesanti, l'ho capito dall'odore di fogna che aveva addosso quando è tornato. -- mi guardò, mentre dormivo tranquillo fra le sue braccia. -- Sono orgoglioso dei suoi progressi. Si merita di dormire tranquillo.

Il giorno dopo, la neve fresca nella piana si sollevava in folate sospinte dal vento.
Io e Cooler ci scontrammo a grande velocità e finemmo col giungere le mani.
Cooler ghignò. -- Ma guarda. Il mio fratellino è cresciuto.
Sorrisi. -- Non hai ancora visto niente!
Lo lasciai slanciandomi indietro e verso l'alto, lanciando subito molti raggi letali di seguito creando uno sbarramento di colpi. Ma Cooler si teletrasportò dietro di me, già in procinto di attaccare, sferrandomi una gomitata dall'alto. -- Banale.
Ruotai su me stesso e parai il colpo con la mano. -- Scontato.
Iniziamo a sferrare una lunga serie di colpi a grande velocità finendo poi per sbalzarci via a vicenda.
Feci una capriola in aria e mi diedi di nuovo lo slancio con l'aura attaccandolo frontalmente.
-- Sei prevedibile fratellino!-- urlò Cooler caricando un raggio di energia e scagliandolo contro di me.
Sorrisi ed all'ultimo momento, mi teletrasportai alle spalle di Cooler, giunsi le mani e lo rinchiusi in una sfera di energia. -- E tu sei troppo sicuro di te.-- dissi mentre lo portai in alto, per poi scagliare la sfera in cui era rinchiuso.
Ma mio fratello liberò la sua aura rompendo quella barriera prima di schiantarsi, si diede lo slancio e urlando mi attaccò diretttamente.
Feci la stessa cosa e finimmo col colpirci a vicenda, entrambi con un pugno, e precipitando al suolo insieme.

Mi massaggiai la guancia gonfia, seduto sulla neve. -- Sei migliorato molto.-- disse Cooler sedendo a gambe incrociate su una roccia. -- Non so cosa ti sia successo là fuori ma sembri..diverso.
-- Sono sempre io.
-- No. Sei molto più sicuro di te, prendi l'iniziativa, non hai paura di ferirmi.
-- Beh so che comunque non riuscirei. Tu mi superi in potenza fratello, ed io questo lo so bene.
-- Eppure quando lotti, ti comporti come se non fosse così scontato.-- mio fratello scese dalla roccia. -- Per la prima volta in uno scontro fra noi, tu desideri vincere.
Sorrisi. -- E questo non ti piace?
-- Al contrario. Rende tutto molto più interessante.
volse lo sguardo verso il palazzo. -- Torniamo fratellino. Nostro padre vuole parlarti.
Mi alzai. -- Parlarmi? Di cosa?
-- Niente di assurdo. É una cosa bella. Seguimi.
Seguii in volo mio fratello fino a casa. Una volta lì mi sistemai e lo raggiunsi alla sala del trono. Era vicino a nostro padre ed entrambi sedevano attendendomi.
Mi avvicinai.
-- Eccoti qui.-- esordì Re Cold.
-- Volevate parlarmi?
Lui annuì. -- Sono molto soddisfatto dei tuoi progressi Freezer e, dato che hai raggiunto la quarta forma come tuo fratello, sono disposto a realizzare un tuo desiderio. Chiedimi qualunque cosa e la otterrai.
Mossi la coda. -- E se vi chiedessi di regnare al posto vostro?
Re Cold rise divertito, poi mi fissò cambiando completamente espressione. -- Non approfittare della mia magnanimità, figliolo.-- disse e suonò quasi come una minaccia.
Sorrisi. -- Stavo scherzando padre. Non mi sognerei mai di chiedervi una tale cosa.
-- Allora, cosa desideri?
Mi misi a riflettere. -- Vorrei che restauraste le periferie dell'ovest.
-- Quella vecchia baraccopoli?-- il re si rivolse a mio fratello. -- Che ne pensi, Cooler?
-- Penso sia assurdo padre.-- replicò. -- Fratello perché tanta premura per quella fogna?
-- Ci sono stato.-- replicai. -- Il popolo è scontento. Non giova alla nostra reputazione, tantomeno alla nostra immagine.
-- Allora distruggiamolo.-- replicò Cooler. -- Radiamo al suolo quella fetida provincia e tutto sarà risolto senza spendere un centesimo.
Assottigliai lo sguardo. -- Bravo fratello. Così ci inimicheremo tutta la popolazione del pianeta.
-- E allora?-- Cooler accavallò le gambe e si accomodò appoggiandosi allo schienale. -- Noi siamo i più forti. Non possono competere con noi. Se vogliono sfidarci che vengano.
-- E se non venissero soli? Se qualcuno li sostenesse? Magari i saiyan biondi di cui parlava il grande Chilled, quando mise in guardia i nostri antenati?
Cooler rise. -- Ne hai di fantasia, fratellino. Riguardo a cosa abbia visto Chilled, beh non si hanno altre notizie sui saiyan biondi. Forse nemmeno esistono.
-- Il grande Chilled era degno di rispetto.-- si intromise re Cold. -- Se non avesse intravisto una minaccia reale, non avrebbe mai avvisato i nostri antenati.-- si alzò. -- Quello che mi chiedi è una manovra dispendiosa, Freezer. Quali vantaggi ci porterebbe?
Sorrisi. -- La famiglia reale guadagnerà il pieno appoggio della popolazione, padre. Se il popolo è con voi, nulla potrà schiodarvi da quel trono. La nostra è una delle razze più potenti e temute dell'universo. Se scongiuriamo lotte interne, il nucleo del nostro regno sarà stabile e potremmo ampliare i nostri confini.
Nostro padre muoveva la coda lentamente e mi ascoltava con le braccia incrociate. Vedevo interesse nel suo sguardo.
-- La gente più povera ha seri problemi a dare la propria parte alla famiglia reale.-- continuai. -- Ma se si arricchisse quel tanto che basta, riuscirebbe a versarla. Più il popolo si arricchirà più potremo pretendere da loro e così diventeremmo più ricchi di quanto siamo adesso.
Cooler guardò nostro padre. Lui teneva lo sguardo fisso su di me.
Mi sforzai di sostenere il suo sguardo. Ci stava pensando, lo sentivo.
Alla fine mi fece cenno di avvicinarmi.
Obbedii e con la coda mi sollevò il mento perché lo guardassi in volto.
-- Ottimo lavoro, figlio mio.-- disse. -- Non sentivo proposte così buone da tempo.-- guardò Cooler, poi di nuovo me. -- Ho deciso di concederti una seconda richiesta per premiarti. Avanti figlio mio, chiedi.
Sorrisi. -- Fiori.
Re Cold inclinò il capo. -- Fiori?
-- Sì. Gigli bianchi.

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Capitolo 13
*** Il tesoro più prezioso ***


Neve sgranò gli occhi quando mi presentai con il vaso. -- Oh cielo Freezer! Ti sarà costato una fortuna!
-- In realtà nulla. Vedi, ho trovato lavoro come mercenario. Siamo andati su un pianeta che ne era pieno e quando li ho visti, mi sei venuta in mente tu.
Lei ne sentì il profumo e mi guardò con gli occhi lucidi.
-- È un regalo bellissimo-- disse e mise il vaso sopra al tavolo. Poi tornò da me con un sorriso tale che mi sentii in colpa per averle mentito.
-- Sai-- provai a dire. -- dicono che l'aurora risplenda particolarmente in questo periodo e beh, dicono sia visibile dal picco dei cristalli. Io pensavo, ecco.
Lei ridacchiò. -- Facciamo sulla piana, al tramonto della seconda luna?
Annuii. E lei mi accompagnò alla porta. -- Allora a domani?
Lei sorrise. -- A domani.
Fuori, rimasto solo sulla soglia, non riuscii più a trattenermi. Mi librai verso il cielo con una forza tale da riempire di crepe il terreno.
Attesi quel giorno con entusiasmo e quando finalmente giunse, non avevo ancora deciso quale essenza usare né le pietanze che potevo portare. Mi sembrava tutto così mediocre.
-- È una ragazza.-- disse Cooler, appoggiato alla parete sulla soglia della mia stanza.
-- No ma che. Non ho il tempo per le ragazze.
-- È una ragazza.
-- Ti ho detto di no!
Lui notò le mie guance colorite e fece un sorrisetto. -- Come si chiama?
-- Non sono affari tuoi! Smettila di distrarmi, non riesco a trovare gli stivali.
-- Freezer
-- Che c'è?!
-- Noi non portiamo calzature.
Rimasi immobile, in silenzio, dando le spalle a mio fratello. Lui mi si avvicinò, e iniziò a massaggiarmi le spalle. -- Un bel respiro.
Feci un bel respiro.
-- Molto bene. Ora ripeti: “Conterò fino a cinque prima di parlare”.
-- Conterò fino a cinque prima di parlare.
-- “Così non dirò qualcosa di stupido”
-- Così non dirò qualcosa di stupido.-- riflettei un momento e mi voltai verso di lui. -- Ehi!
Cooler sorrise. -- Perfetto. Va' dalla tua bella fratellino, che sei già in ritardo.
Guardai le due lune e lanciai un urlo, uscendo direttamente in volo dalla finestra della mia stanza.
Mi fermai.
-- Non dire niente a nostro padre!
-- Ho la bocca cucita fratello!
Giunsi alla piana in orario e vidi Neve atterrare leggiadra di fronte a me. Alle luci delle due lune sembrava ancora più bella. Aveva in mano un cesto con dentro alcune pietanze.
Di colpo mi accorsi di essere lì a mani vuote e mi sentii a disagio. Nella fretta mi ero scordato tutto.
-- Ciao Freezer.-- mi salutò.
-- Ciao.
-- Andiamo? O ci perdiamo l'aurora.-- ridacchiò ed insieme ci avviammo in volo al picco.
A quanto pare in molti avevano avuto la nostra idea.
Diversi della nostra specie erano lì per assistere allo spettacolo, quasi tutti in coppia.
Non era un'aurora boreale qualunque. C'è una credenza sul nostro pianeta, riguardo all'aurora rossa. Segna la metà della Lunga Notte, il giorno in cui la luce comincia a tornare. Si dice che se guardi l'aurora rossa in compagnia di qualcuno, sarete inseparabili per il resto dell'anno. Per questo, ogni anno, molti di noi si riuniscono per vederla.
-- Non c'è uno spazio libero.-- mormorai.
-- Ne ho visto uno, vieni.
Feci per seguirla ma rallentai. Provai a scorrere la folla con lo sguardo. Temevo che fra tutta quella gente qualcuno potesse riconoscermi. Però nessuno pareva far caso a me. A quanto pare la voce che Lord Freezer non andasse oltre la terza forma era ancora una credenza comune fra il popolo.
Raggiunsi Neve ed atterrai nel posto che aveva scelto. Si stava un po' stretti e ciò mi innervosiva. Avrei voluto osservare il cielo da solo con lei. O almeno, sfiorare la sua coda con la mia senza confonderla con quella del tizio davanti a me.
Neve aveva cucinato del pesce in svariati modi ed avevano tutti l'aria appetitosa.
Quanto mi spiaceva aver scordato di portare la mia parte ma forse le pietanze di corte avrebbero fatto sfigurare quella cena semplice.
Mangiammo e poi volgemmo lo sguardo al cielo osservando i guizzi dell'aurora rosata.
Neve sorrise. -- È meravigliosa. E guarda quante stelle. Splendono come cristalli di ghiaccio.
-- Già-- replicai -- Sai in realtà, la luce di una stella impiega anni per raggiungere il pianeta. Quelle stelle potrebbero essere esplose secoli fa eppure la loro luce ci raggiunge solo adesso.
-- Interessante. Anche se è esplosa in qualche modo continua ad esistere e illuminare il cielo. Non lo trovi
-- Ironico?
-- Stavo per dire romantico.
Inclinai il capo e tornai a guardare il cielo, un po' imbarazzato. -- Quando una stella esplode, le sue polveri si spargono nello spazio. Le sostanze che le compongono sono praticamente le stesse contenute in ogni forma vivente dell'universo. A voler esser semplici ogni creatura in questo mondo è fatta di polvere di stelle.-- dissi.
Lei sorrise. -- Sai, è un peccato ammirare un cielo così limpido dal basso. Che ne dici di un volo notturno?
Pensavo la stessa cosa.
Lasciammo il picco affollato salendo in alto fra le stelle, lentamente, l'uno a fianco all'atra. Ci trovammo soli, nel cielo dove danzava l'aurora.
Lei si mosse per prima ed io la seguii. Volammo fianco a fianco, senza fretta, librandoci nelle correnti ed intrecciando le nostre traiettorie come in una spirale. La superai, ruotai su me stesso girandomi ad attenderla e poi ripartii, come un nuotatore in un mare d'aria. Neve si sollevò, descrisse un cerchio e mi superò con una grazia nel volo che non avevo mai visto.
La seguii e dopo un po' scendemmo sul mare piatto. Ne sfiorai le acque con la punta delle dita creando tanti cerchi, come fanno le libellule, utilizzando il teletrasporto. Poi la attesi.
Lei mi sorrise e fece lo stesso. La inseguii e insieme ci librammo sull'acqua sempre più vicini finché non giungemmo le mani e ci guardammo. Affondai nei suoi occhi color dell'oceano e lei portò la mano ad accarezzarmi la guancia. Poi lasciò la mia mano e si librò di nuovo verso il cielo. Salimmo di nuovo, intrecciando il nostro volo, così vicini da sfiorarci le mani. Di nuovo in cielo danzammo all'ombra delle due lune un ballo ignoto, un lento che solo noi due udivamo, che nasceva da qualche parte, nelle profondità del nostro animo.
Mi sentivo felice, completo.
Di nuovo pensai di barattare tutto il mio regno per averla accanto. Per ritrovare ad ogni alba il suo sorriso, per sentirla ridere, per poter danzare con lei ogni giorno della mia vita. Avrei dato l'oro, le perle più preziose, i vini più pregiati, il cristallo più lucente, il mio trono, il mio regno, il mio impero per poterla ritrovare, stringere di nuovo fra le mie braccia e coprirla di baci e carezze.
La amavo, ne ero sicuro, più di qualunque altra cosa al mondo. La amavo di un amore vero e puro che non avevo mai provato e non avrei provato mai più, nei confronti di una creatura vivente.
All'ombra delle due lune, la baciai.
Custodii quel ricordo a lungo, per molto tempo. Lo custodii nella pace e nella guerra, nell'alleanza e nel tradimento, nella vita e nella morte.
Volammo ancora, senza una meta, entrambi persi in quell'idillio, fino a raggiungere un luogo silenzioso, dove la neve era morbida come cotone ed arrotondava il profilo di sculture di ghiaccio.
Lì trovammo un riparo, stanchi per il volo, passando lì il resto di quella sera, con le code intrecciate e stretti in un abbraccio.

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Capitolo 14
*** Nuove esperienze? ***


Re Cold sollevò un sopracciglio. -- Dove sei stato?
Feci spallucce. -- Sono andato a fare un giro. Avevo voglia di un volo notturno.-- dissi e sorrisi.
Mio padre mi fissò scettico. -- Da solo?
-- Certo! Ogni tanto un voletto da soli ci sta.-- ridacchiai.
Il re assottigliò lo sguardo. Al suo fianco Cooler cercava di trattenere una risata.
-- Hai una vaga idea di che ore sono?
Riflettei. -- Mattina?
-- È quasi ora di pranzo!
-- Cos, veramente?
Cooler teneva la mano davanti alla bocca, e aveva il colore di una melanzana.
-- Sono dispiaciuto padre. Vi faccio le mie scuse.-- dissi inginocchiandomi.
-- Che non capiti più. E adesso fila a darti una sistemata. Sembri uscito da uno di quei.. hai preso del ghiaccio nero?!
-- Cosa? No! Io non tocco quella roba!
-- Sarà meglio. E adesso via, fila!
Mi congedai con un inchino e mi allontanai canticchiando leggermente.
Guardandomi allo specchio capii perché mio padre mi aveva domandato del ghiaccio nero. Era una miscela potente a base di acqua ghiacciata, alghe tossiche e altre porcherie che non ricordo. Girava nei quartieri più malfamati. Ti lasciava un senso di euforia, felicità, rendendoti diabeticamente sdolcinato e raggiante. Sotto l'effetto di quella roba potevi trovare carino e coccoloso anche un ratto appestato che si rotolava nell'immondizia. Chi la prendeva, di solito girava fischiettando e canticchiando come un idiota, rilassato ed incurante di tutto e con un eterno sorriso ebete stampato in faccia.
Non avevo toccato una goccia di quella roba, eppure corrispondevo in pieno alla descrizione. Mi sentivo preda di un insolito ottimismo verso la giornata a venire, non pensavo a far buona impressione a mio padre, non ero in vena di scontri con mio fratello.
-- Che cosa mi succede? mormorai.
Corsi dal medico di corte e gli spiegai i sintomi nel dettaglio ma non gli dissi di Neve.
-- Il ghiaccio nero non provoca amnesia. Dovreste ricordare perfettamente cosa avete fatto la sera scorsa sire.-- disse il medico.
A quel pensiero sgranai gli occhi ed arrossii. -- Assolutamente niente.
Il medico fece un sorrisetto ed incrociò le braccia. -- E questo “assolutamente niente” con chi l'avreste fatto?
Avvampai.
-- Voi non avete preso del ghiaccio nero e siete sano come un pesce. L'origine del vostro comportamento è molto semplice sire. Voi siete cotto come un tacchino, innamorato perso di una persona ignota.
-- Shh abbassate la voce!-- sibilai. -- E va bene lo confesso. Ma nessuno dovrà saperlo.
-- Neanche il re?
-- Soprattutto il re! E se vi scappa una sillaba verrete cotto alla mia maniera.
Quello deglutì. -- Sì signore. Manterrò il silenzio sul vostro amore clandestino.
-- Shh!

-- Allora fratellino, a quando le nozze?
-- Chiudi il becco!
Cooler ridacchiò schivando i miei colpi. -- Lento.-- replicò parando e contrattaccando con un pugno.
Parai il colpo. -- Cos'è questo? Anche mia nonna potrebbe pararlo!-- contrattaccai con un montante ma Cooler lo schivò, ruotò su sé stesso e mi colpì con la coda.
Indietreggiai e contrattaccai con un colpo dell'aura ma mio fratello lo scacciò mandandolo contro un cumulo di neve.
-- Dai a me puoi dirlo, fratellino. Chi è la popolana con cui ti diletti?-- chiese lanciando una sfera di energia blu.
Io ne lanciai una viola ed entrambe esplosero. -- Come sai che non è nobile?
-- Se fosse stata nobile non l'avresti nascosta.-- replicò lui comparendomi di fronte all'improvviso e ficcandomi un pugno nello stomaco.
-- Sei distratto.-- replicò. -- Ti manca l'iniziativa. Non hai voglia di sfidarmi. Lei ti ha reso docile come un agnellino.
Tossii e lo guardai. -- Questo lo credi tu.
-- Alziamo la posta allora. Se perdi, mi presti la tua sgualdrina. Che ne dic- --
Cooler dovette evitare il fascio di energia viola che gli scagliai contro. Mi ritrovò davanti a sé in un battito di ciglia ed incassò una lunga serie di calci e pugni alla mia massima velocità.
-- Lei non è una sgualdrina!-- urlai e lo colpii con una codata lanciandolo verso i cumuli di ghiaccio. Li prese in pieno distruggendoli e sollevando frammenti di ghiaccio e fiocchi di neve. Lo raggiunsi con uno slancio dell'aura e prima che si rialzasse gli ficcai il piede sul collo.
-- Rimangiatelo.-- ordinai.
Lui ridacchiò e io aumentai la pressione.
-- RIMANGIATELO!
-- Va bene, va bene!-- disse col fiato che gli restava. -- Ritiro quel che ho detto!
Tolsi il piede e lui si girò su un fianco tossendo.
Solo allora mi accorsi di avergli fatto male. -- Scusa fratello. Non so cosa mi è preso.
Lui riprese fiato e fece un gesto di non curanza, sorridendo. -- Tutto bene.-- ridacchiò. -- Sei proprio cotto.
Mi sedetti vicino a lui. -- Già. É graziosa ed elegante molto più di certe nobili. Come se fosse un qualcosa d'innato. E poi è bella. Fratello, vedessi quanto è bella. La scambieresti per una principessa. Ti chiederesti che ci fa in quel tugurio, come un diamante in un mucchio di melma.
-- Caspita.-- disse e poi si fece serio. -- Fa un favore a te stesso fratellino, scordati di lei. Nostro padre non permetterebbe mai ad uno della famiglia reale di unirsi ad una popolana.
-- Quando sarò imperatore, potrò sposare chi voglio.
-- Sarai imperatore solo se mi sconfiggerai fratellino. Ed anche allora, non credere che nostro padre te lo permetta.
-- Allora rinuncerò alla corona.
Cooler sgranò gli occhi. -- Sei impazzito? Nostro padre ti ucciderebbe.
Mi morsi il labbro e Cooler mi mise una mano sulla spalla.
-- Forse ti serve stare un po' lontano da lei, a prescindere. Si avvicina il giorno del nostro scontro. Nostro padre esige sempre di più da noi. Devi essere concentrato.
-- Come potrei allontanarmi restando qui?
Mio fratello fece un lieve sorriso. -- Mi è venuta un'idea: ti ricordi di Plant?
-- Plant? Quel pianetucolo di provincia?-- feci spallucce. -- Vagamente.
-- C'è una guerra lì. I saiyan cercano di conquistarlo.
-- E allora?
-- Tu non hai mai partecipato ad una vera battaglia, vero fratellino?
Scossi il capo. -- Nostro padre dice che non è roba da principi.
-- Vero. Io però l'ho fatto una volta.
-- Davvero?
-- Sì e credimi, quello che apprendi sul campo non te lo insegnano in anni di addestramento. Pensa, sarebbe una buona occasione per farti le ossa.
Feci una smorfia. -- Nah, avrei un trattamento di favore.
-- Non se ti spacci per un comune mercenario. Inventeremo una scusa per nostro padre, diremo che vai via per qualche giorno in una delle province, a studiare. Invece, tu ti imbarchi per Plant e vai a suonarle a tutti!
Ridacchiai. -- Come se potessi fare qualche differenza.
-- Vuoi scherzare? Parliamo di saiyan e tsufuru. Basterebbe il più debole della nostra razza per sconfiggerli entrambi.
-- Dici?-- ero un po' scettico ma sapevo che mio fratello aveva ragione. Forse non sarebbe stata una passeggiata ma facile di sicuro. E poi mi solleticava l'idea di combattere in una vera guerra. Già mi vedevo trionfare glorioso sugli avversari e in un paio di giorni tornare a casa e rientrare a palazzo tra i complimenti di mio padre.
-- Lo faccio!-- esclamai.
Alcuni giorni dopo, il tempo di salutare Neve e inventare una buona scusa per mio padre, partii per la mia nuova e gloriosa avventura su Plant.
Non l'avessi mai fatto.

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Capitolo 15
*** La guerra su Plant ***


La realtà della guerra mi colpì come un pugno in piena faccia.
Gli tsufuru abbatterono la nave con i rinforzi prima che raggiungesse l'atmosfera. Per fortuna, quei congegni non avevano abbastanza energia per abbattere un sayan e nemmeno uno della mia razza.
La vera strage la fece lo spazio. Ero l'unico della mia razza a bordo e l'unico sopravvissuto dell'intero battaglione. E non ero ancora atterrato sul pianeta.
Raggiunsi in volo l'atmosfera ed atterrai sul terreno.
Ero circondato dalla devastazione più totale. Il cielo rosso sembrava ribollire e faceva da sfondo allo scheletro della città, ai palazzi in rovina e ai giganteschi scimmioni che vi infierivano. Ovunque caos, urla, tsufuru che fuggivano e altri che contrattaccavano.
Mio padre aveva permesso ai saiyan di conquistare il pianeta quindi era a loro che dovevo fornire aiuto. Ma il nostro comandante era finito nello spazio insieme agli altri.
Aveva detto che ci saremo uniti al grosso delle truppe con a capo il re dei saiyan.
Non avevo idea di dove fosse.
Il mio scouter segnava livelli infimi ma io ricevevo segnali di pericolo da tutte le direzioni. Avevo i nervi a fior di pelle, i muscoli tesi e l'adrenalina in circolo.
Ed ero lì da cinque minuti.
Un'esplosione dietro di me, un'altra dinnanzi, spari a destra, urla sulla sinistra, qualcosa che crollava, polvere, fumo, fuoco.
-- Bastaaa!-- urlai iniziando a colpire alla cieca in tutte le direzioni con il raggio letale.
Mi spostai fuggendo in volo da quel caos, come se fosse possibile sfuggire al caos su quel pianeta devastato.
Gli tsufuru schieravano mostri di metallo contro le grandi scimmie saiyan, che ne spezzavano gli arti lucenti come stecche di legno. Per contro, i costrutti sputavano getti di combustibile in fiamme che incendiavano la pelliccia degli scimmioni.
Mi imbattei in una di quelle bestie in fiamme che distruggeva ogni cosa ruggendo impazzita e brandendo il braccio di un costrutto come una gigantesca mazza.
La vidi lanciarsi verso di me con un ruggito che pareva un grido. Sgranai gli occhi e fuggii verso l'alto ma il braccio del costrutto mi prese in pieno scaraventandomi verso i palazzi. Ne attraversai tre, uno dopo l'altro, per la potenza del colpo.
Ma non bastò a fermarmi.
Riemersi dalle macerie sanguinante e immerso nell'aura viola, circondato da frammenti di mura grossi quanto le placche metalliche che coprivano i costrutti.
Con la telecinesi le lanciai addosso allo scimmione e lo presi in pieno senza causargli danni. Ma bastò a distrarlo.
Mi teletrasportai al suo fianco e provai a colpirgli la coda con un colpo dell'aura ma quello si fuse con le fiamme.
Lo scimmione se ne accorse, si girò e mi ficcò una manata colpendomi in pieno, come se stesse scacciando una mosca. Il fuoco mi si attaccò alla pelle mentre finii a terra.
Urlai, rotolai, mi schiaffeggiai le spalle.
Alzai lo sguardo e vidi lo scimmione con un piede alzato sopra di me.
-- Va viaaaaa!-- urlai terrorizzato e lanciai un raggio di energia verso quel piede con entrambe le mani, alla massima potenza.
La grande scimmia cadde all'indietro con nulla da quel ginocchio in giù distruggendo case e palazzi nella sua caduta. Il fuoco divorò la sua coda ed il saiyan tornò lentamente alla sua forma normale. Ne vidi altri, umani, accorrere in suo aiuto. L'effetto delle lune stava svanendo e molti avevano recuperato le loro forme umane.
Mi alzai e camminai verso di loro con il passo incerto, con il corpo pieno di lividi e scottature.
Ma udii dietro di me lo stridore del metallo.
I saiyan guardarono oltre la mia persona e spente le fiamme del compagno fuggirono a piedi.
Avevo paura di voltarmi.
Sapevo che l'enorme costrutto tsufuru era dietro di me.
Dovevo levarmi da lì, dovevo scappare. Ma non riuscivo a muovermi, la paura mi bloccava.
-- Ehi bestione! Qui! Sono qui!
Mi voltai verso l'origine della voce e scoprii un saiyan. Stava distraendo il costrutto e mi faceva cenno di andar via. Vedendo che non mi muovevo mi lanciò un colpo dell'aura che mi prese in pieno.
L'impatto mi risvegliò e subito mi scansai alzandomi in volo. Il costrutto mi vide, mi puntò e sparò un getto di combustibile in fiamme. Mi scansai ma mi prese di striscio, sulla spalla. Lanciai un urlo cercando di levarmi dalla pelle quella roba in fiamme.
Il saiyan cercava di abbattere il costrutto con i suoi colpi ma quello era ben corazzato. La spalla mi mandava dolorose fitte, la pelle bianca aveva lasciato spazio allo strato rosato sottostante, da cui si levavano fili di fumo.
Lacrimavo per il dolore ma non me ne rendevo conto. Osservavo il costrutto ed all'improvviso ebbi un'idea.
Formai una sfera sulla mano e poi provai ad appiattirla per farne un disco. Lo appiattii fino a renderlo affilato come un rasoio. Lo lanciai verso il costrutto ma lo mancai ed in un lampo di genio usai la telecinesi sul disco e lo feci tornare indietro. Lo guidai verso una delle gambe metalliche e quello la tranciò come burro. A quel punto il saiyan lanciò un'onda contro la testa del costrutto e quella esplose mentre il mostro di metallo cadeva.
Quando mi era passato per la testa di infilarmi in quell'inferno? Avrei voluto tornare indietro nel tempo per ficcarmi un ceffone.
Eppure mio fratello l'aveva fatta così facile, un gioco da ragazzi. Mi chiesi se avesse detto la verità. Se avesse veramente combattuto una guerra.
Il saiyan volò verso di me e d'istinto lo puntai con l'indice pronto a lanciare un raggio letale.
-- Stammi lontano!-- gridai. -- Vattene via!
Quello si fermò e mise le mani in avanti. -- Calma. Siamo alleati.
-- Non ti credo.-- sibilai.
-- Ti dico che-
-- Zitto!-- ribattei. -- Se ho ammazzato uno scimmione in fiamme e tagliato a metà un costrutto, ci vorrà un attimo per liberarsi di te!
-- Non voglio combattere. Siamo alleati.
-- Provamelo!-- dissi con la mano tremante. -- Hai tre secondi, poi avrai un buco nel cranio. Uno!
-- Non fare stupidaggini
-- Due!
-- Il battaglione!-- disse lui. -- La nave dei rinforzi saiyan. Abbiamo saputo che è stata abbattuta.
Lo ascoltai.
-- Sapevamo che a bordo c'era uno della vostra razza. Voi potete vivere nello spazio aperto, così mi hanno mandato a cercarti.
Mossi la coda, nervoso.
-- Non sono tuo nemico. Ti porterò dal resto delle truppe e cureranno le tue ferite.
Ero disposto a credergli. Ma non abbassai l'indice. -- Ho ucciso uno dei vostri. Gli ho distrutto una gamba.
-- Hanno portato via anche lui ed era ancora vivo.-- sorrise ed incrociò le braccia. -- I saiyan hanno la pelle dura. Riguardo a te nessuno avrà da ridire. Chiunque si sarebbe difeso.
Abbassai lentamente l'indice ma solo di poco. Mi voltai di scatto sussultando al suono di un corno da guerra.
-- Sono gli tsufuru.-- disse il saiyan, voltandosi. -- Guadagnano terreno. Dobbiamo andare via da qui.
Seguii il saiyan ma ci spostammo di poco. Come aveva detto, gli tsufuru avanzavano senza sosta e nel giro di quella giornata ci eravamo ritrovati in pieno territorio nemico.
Ci rifugiammo nei sotterranei di un palazzo in rovina, dopo aver preso quel che rimaneva in provviste dai piani superiori.
Seduto contro il muro mi stringevo la spalla scottata con il volto contratto dal dolore. Per uno come me, abituato a vivere su un pianeta gelido dove il fuoco si vedeva solo nelle baracche dei poveri o nelle cucine e nelle fornaci che scaldavano le pietre per il vapore, una scottatura era qualcosa di nuovo e molto doloroso.
Cercavo di nascondere buona parte di quel tormento, ben sapendo che a causa sua non avrei chiuso occhio.
-- Leva la mano.-- mi disse il saiyan. Teneva in mano un panno abbastanza pulito.
Tolsi la mano e me lo appoggiò sulla spalla.
Era imbevuto di acqua fredda.
Di colpo la mia espressione si rasserenò e tirai un sospiro di sollievo.
Si sedette a fianco a me, mangiando una barretta di chissà cosa.
-- Prima volta?-- chiese.
-- Ah, é così evidente?
-- Non più di tanto. Sei forte, ma riuscivo a sentire la tua paura. Col tempo ti abituerai.
-- E tu?-- chiesi. -- Non è la tua prima battaglia vero?
-- La seconda a dire la verità.-- rispose. -- Nella prima ho avuto paura anch'io. Ed il bello è che pensavo di andare lì e prendere tutti a calci. Di tornare vittorioso con la testa del nemico, e mio padre gonfio di orgoglio nel vedere che suo figlio era diventato un vero saiyan.-- ridacchiò.
-- A chi lo dici.
-- Come?
-- Niente.-- sospirai, chiudendo gli occhi.
Lui diede un altro morso alla barretta. -- La verità, è che tutte quelle storie sulla gloria e l'onore sono vere quanto un ologramma. Ti riempiono la testa di stupidaggini e tralasciano la cosa più importante: che alla fine è tutto urla, morti e feriti. Non c'è nulla di onorevole nella guerra.
-- È strano sentire queste cose da un saiyan.
-- C'è onore solo nello sfidare qualcuno alla propria altezza e gloria nello sconfiggere un nemico a te superiore. Solo misurandosi con un degno avversario si diventa più forti.
Feci un lieve sorriso. -- Siete strani, voi saiyan. Noi non cerchiamo onore o gloria invece. Noi bramiamo la forza, il potere, l'energia. A qualunque costo.
-- Lo so. Ti ringrazio di avermi aiutato con quel costrutto. Qual è il tuo nome?
-- Freezer.-- risposi. -- E il tuo saiyan? Dimmi il tuo nome.
-- Bardack.

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Capitolo 16
*** Strategie di battaglia ***


Bardack mi svegliò dopo un tempo che non seppi calcolare.
-- È notte. Dobbiamo muoverci se vogliamo raggiungere gli altri.
Annuii. Insieme ci librammo in volo per avere una visuale migliore.
Il silenzio era udibile.
Potevi sentirlo, afferrarne il significato più profondo.
La città, la grande capitale di Plant, era un cimitero da cui si levava fumo. Le braccia dei costrutti e le rovine si levavano verso il cielo come ad invocare i loro dèi.
Osservavo quella devastazione in una miriade di sentimenti, senza sapere quali fossero giusti o sbagliati.
Avrei ricordato per sempre quel silenzio. L'avrei ritrovato un giorno, e l'avrei riconosciuto.
Bardack mi fece cenno di seguirlo. Il vento era fresco sulla mia pelle, l'accarezzava come le rovine, quasi fosse un velo funebre, quasi che il pianeta stesso volesse dar sepoltura ai propri morti, perché nessuno aveva il tempo di pensarci.
Non riuscimmo a fare molta strada. Nella città dormiente formicolavano ancora delle vite. Soldati Tsufuru con i loro costrutti metallici, oltretutto la mia spalla non andava bene. Non riuscivo a volare a lungo.
Persi il conto dei giorni laggiù, ma secondo Bardack ne impiegammo quattro a raggiungere il contingente saiyan.
Laggiù lo accolsero calorosamente a forza di pacche sulla spalla, radunandosi intorno a lui.
Mossi la coda, incrociando le braccia e restando in disparte. I saiyan si voltarono a guardarmi.
-- E quello?-- chiese una donna.
-- L'unico sopravvissuto.-- replicò Bardack.
-- Spero che valga un esercito.-- disse lei, snobbandomi con lo sguardo e rivolgendosi di nuovo al saiyan. -- Il re vuole parlare a tutti. Adesso.
Entrammo in quel che sembrava il quartier generale, un edificio fatiscente in cui si erano radunati tutti. Il re Vegeta era su un palco in pietra con un tavolo pieno di carte e uomini che gli sussurravano all'orecchio.
Tutti i saiyan si inginocchiarono. Io non ero un saiyan.
Il re mi vide in piedi. -- E tu?
-- Io mi inchino dinnanzi a un solo re.
Re Vegeta assottigliò lo sguardo. Al suo fianco c'era il figlio suo omonimo, il piccolo Vegeta che a quanto dicevano, era una vera promessa nel combattimento. Mi osservava con aria altezzosa.
-- Tu sei solo un mercenario. Devi a mio padre il rispetto che merita.-- disse il piccolo Vegeta ma il re lo zittì.
Sorrisi. Dopotutto se potevano occupare quel pianeta era perché mio padre, il re della nostra specie, lo aveva permesso. Fece cenno ai saiyan di sollevarsi ed io mi sentii addosso i loro sguardi torvi.
-- Gli Tsufuru sono forti, ma noi lo siamo di più.-- esordì il re. -- E combattiamo per una nobile causa. Per una nuova casa. Manca poco fratelli miei, ancora poco tempo e prenderemo questo pianeta, non importa tutti i costrutti che ci butteranno addosso.
I saiyan esultarono.
-- Nessuno può opporsi alla nobile stirpe saiyan. Nessuno!
Esultarono ancora ed io feci un sorrisetto mentre ascoltavo a braccia conserte.
Il re si ritirò insieme al figlio e non ci volle molto prima che Bardack ed io fossimo chiamati al suo cospetto.
-- Bardack, il rapporto.-- disse il re.
-- Gli Tsufuru resistono sul fronte ovest. Concentrano lì le loro ultime forze, intorno al palazzo reale.
Il re batté il pugno sul tavolo. -- Sono più testardi di quanto pensassi. Dovremo agire d'astuzia.
-- Sire?
-- Assassinare il re.-- replicò il sovrano. -- Senza il re, tutto l'esercito perderà motivazione. Quanti generali sono rimasti?
-- Due, mio signore.-- rispose Bardack. -- A capo del grosso delle armate.
-- Quanti costrutti?
-- Dieci, forse quindici.
Il re imprecò. -- Troppi.
-- Come funzionano?-- chiesi ed entrambi mi guardarono.
-- Che importa?-- chiese il piccolo Vegeta. -- Vanno abbattuti.
-- Se scopriamo come funzionano, potremmo trovare il modo di disattivarli.-- spiegai. -- Maestà.-- aggiunsi.
Re Vegeta sgranò gli occhi. -- Il nucleo centrale.-- mi guardò. -- Ho una missione per te, emissario di Cold.-- srotolò una mappa. -- Vedi questo punto, al centro della città? Nel palazzo reale, in cima a questa torre si trova il nucleo energetico che controlla i costrutti. Distruggilo e si disattiveranno.
-- Perché non l'avete fatto prima?
-- È protetto da una barriera molto potente.-- disse Bardack. -- I nostri colpi non la scalfiscono.-- sorrise. -- Forse, con un po' di potenza in più
Annuii.
-- Schiereremo le truppe qui e qui.-- disse il re. -- Ma prima dobbiamo aprirci un varco verso il palazzo. Potrebbero volerci giorni, settimane, mesi. Ma quando saremo lì, attaccheremo di notte. Tu distruggerai il nucleo di controllo e subito dopo invierai un segnale. Allora le truppe attaccheranno. Intanto tu Bardack, ti infiltrerai nel castello per assassinare il re.

Dopo quel giorno, ne passarono altri. Pian piano, tutto divenne routine. La mia macabra routine. Combatti, distruggi. Mangia. Distruggi, mangia. Combatti, incendia, dormi. Svegliati di soprassalto, distruggi. Dormi con un occhio aperto, con lo scouter attivo. Svegliati al minimo frammento di intonaco che cade. Salta il pasto, distruggi. Distruggi ancora.
E col tempo divenne così facile. Le cose terribili ripetute all'infinito diventano quasi accettabili ed alla fine ti abitui ad agire, combattere, pensare come una macchina, ignorando ogni sentimento di pietà.
E così alla fine, la guerra ti rende un mostro, e non te ne rendi neanche conto.
Scordatevi tutti quei versi sull'onore, la gloria e il coraggio. Tutto si riduce ad un solo, elementare concetto: o loro, o te.
Ma per quanto tutto ciò contribuì a cambiarmi, non riuscì a cancellare la mia identità. Provavo qualcosa ogni giorno, ogni ora, ad ogni singolo colpo sferrato. Ma lo ricacciavo indietro, e non stavo mai fermo, per timore che quelle emozioni mi crollassero addosso tutte insieme.
La sera prima di coricarmi, pensavo a Neve. Il suo ricordo mi regalava attimi di sollievo, era il mio balsamo speciale per le ferite dell'anima.
Pensavo anche, a come strozzare mio fratello una volta tornato. Avevo da dirgli due parole sulla nostra ultima conversazione, forse avrei aggiunto un pugno dritto sul suo naso. O un calcio ben piazzato all'inguine.
Una notte, chiesi a Bardack cosa non lo faceva impazzire, come facesse a non perdersi nel vortice di quei giorni tutti uguali. Dopo tutto quel tempo, si era creato tra noi una specie di legame, rispetto reciproco.
Combattevamo fianco a fianco, agivamo all'unisono. Potevo intuire le sue intenzioni con un solo sguardo.
Non avrei mai pensato di arrivare a rispettare un saiyan.
Ma questo, ahimè, era prima.
Prima che accadesse.
-- Sguardo fisso sull'obiettivo.-- rispose lui. -- Alla fine, è l'obiettivo che fa la differenza. Quanto sei disposto a fare per raggiungerlo. Gli Tsufuru sono molto più deboli di noi, ma lottano per il loro pianeta, per la loro sopravvivenza. Anche noi saiyan vogliamo il pianeta per lo stesso motivo. Il nostro è distrutto. Alla fine, vincerà chi è disposto a rischiare ogni cosa.
-- Quindi si riduce tutto a questo? Alla motivazione?
-- Esatto. Io ero un saiyan di infimo livello e ora vengo considerato un elite. Sono diventato tale perché lo volevo. Ho lottato per raggiungere il mio obiettivo e adesso combatto perché la mia gente abbia una casa. Per loro e anche per me.-- spiegò. -- E tu Freezer? Per cosa combatti?
--Perché questa guerra finisca. Così potrò tornare a casa.
-- Finirà. In un modo o nell'altro.

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Capitolo 17
*** Fuochi d'artificio ***


Quando giunse la fatidica notte, faticavo a crederci.
Era una notte come tante, esattamente uguale a quella prima e quella prima ancora, con le stelle che decoravano la volta rossa di Plant mentre virava al viola ed il sole scendeva oltre l'orizzonte. L'avreste detta una notte qualsiasi eppure, c'era qualcosa nell'aria.
Tensione, elettricità.
Era LA notte. La notte in cui la guerra poteva finire. La notte in cui avrei scritto della mia libertà, fosse anche col sangue sulle mani.
Sarei tornato a casa. Nessuno me l'avrebbe impedito. Ne gli Tsufuru, né i costrutti, né l'incompetenza dei saiyan.
Nessuno.
Strinsi i pugni e guardai Bardack. Annuimmo entrambi e ci librammo in volo verso il palazzo, passando sopra la città addormentata. Ci fermammo poi, a contemplare il profilo dell'edificio.
Potevo vedere il nucleo in cima alla torre, una sfera di un azzurro brillante.
-- Oggi la guerra finirà.-- dissi.
Bardack sorrise. -- Ti vedo motivato.
Lo guardai -- Tu non vuoi la stessa cosa?
-- Oh sì.
-- E allora andiamo.
Mi separai da Bardack e volai verso il nucleo. Pulsava di un'energia azzurra e nonostante la devastazione tutto intorno, non aveva un graffio. Era forse l'unica cosa sana in quel luogo devastato. Sovrastava tutto, nel silenzio più totale, in cima all'unico edificio rimasto in piedi, a scrutare tutto come un grande occhio blu. Lunghe lamiere d'acciaio lo racchiudevano allungandosi su di esso come artigli di un mostro.
C'era qualcosa di strano lì.
Tutto era tranquillo, immerso nel silenzio. Non c'era anima viva.
Mi guardai in giro muovendo la coda nervoso. Alla fine, decisi di concentrarmi sul nucleo.
Capii che dovevo sfruttare tutta la mia potenza se volevo abbatterlo. Non l'avevo mai fatto e ne temevo le conseguenze, ma se avessi raggiunto gradualmente il cento per cento, l'avrei sopportato.
Almeno in teoria.
Mi concentrai iniziando ad alzare il mio livello. Lo feci in silenzio, per timore di ritrovarmi tutti addosso.
Sentii il mio corpo cambiare, i muscoli ingrossarsi e sperai che riuscisse a contenere tutto quel potere.
Il mio cento per cento. Il massimo che il mio corpo poteva sopportare senza distruggersi. Avevo capito da tempo ormai, che il mio limite risiedeva nel corpo e non nella potenza. Era semplicemente troppa, al punto da risultare inutilizzabile.
Quel potere latente sarebbe rimasto lì ancora per molto e il giorno in cui avrei trovato il coraggio di attingervi, avrei raggiunto livelli che mai avrei immaginato.
Tutto grazie a lui.
Lui mi spinse, lui mi diede il coraggio e la determinazione per superare i miei limiti.
Lui fu la mia motivazione. La mia ossessione.
La mia massa si stabilizzò.
Ero pronto a scaricare i miei colpi migliori su quel nucleo.
Ma qualcosa stridette. Le ombre di cinque costrutti mi circondarono. Vidi chiaramente uno dei generali tsufuru al comando del costrutto più grosso.
Spararono verso di me un getto, tutti insieme. Li evitai alzandomi in volo. Il nucleo inondato di combustibile in fiamme rimase intatto ma la base su cui poggiava si incrinò.
Ero solo, contro cinque di quei bestioni. Mi aspettavano. In qualche modo sapevano che avrei tentato un attacco al nucleo. Il re Tsufuru poteva essere debole ma era tuttaltro che stupido.
Mio padre lo conosceva bene. Parlava spesso di lui, della sua mente brillante e della sua abilità di stratega. Re Vegeta, noto per la sua intelligenza, era un'idiota in confronto a lui.
La debole razza Tsufuru teneva testa ai temibili saiyan con la sola astuzia e la strategia.
Ma mio padre, aveva deciso di avere come vicino un re forte e sciocco, piuttosto che uno debole e astuto.
Il re Tsufuru era scaltro, imprevedibile, un vicino davvero scomodo. Per questo mio padre non alzò un dito, quando Plant venne attaccato.
Pensai rapidamente a cosa fare. Ritirarsi significava aspettare un'altra occasione che forse non ci sarebbe stata. Altro tempo, altri scontri, lontano da casa, ancora e ancora.
Strinsi i pugni. -- La guerra finirà sta notte.
Caricai un raggio di energia e lo lanciai dritto contro la testa di uno di quelli. Quel lampo di un viola acceso attraversò le lamiere come burro, fondendole con il calore. Il costrutto cadde, sbilanciandosi indietro, con l'acciaio fuso che gli scivolava addosso come gocce di sudore.
-- Fuori uno.
A quel punto me li ritrovai tutti addosso, con le loro armi laser e i loro getti infuocati. Mi allontanai spostandomi in modo da averli tutti dinnanzi, deciso a non farmi circondare ancora.
Sentii l'energia scorrermi lungo le braccia, liberando bagliori rossi e scariche di elettricità. Lanciai quelle fiammate contro ai costrutti danneggiandoli ma non abbastanza.
Mi scansai sulla destra evitando i loro colpi ed usai la lama rotante per tagliare le giunture di un costrutto.
Quello si sbilanciò cadendo addosso al costrutto vicino. Il pilota di quello però, riuscì a non cadere e sostenne il compagno danneggiato reggendolo davanti a sé.
Ne approfittai.
Mi circondai di una sfera viola e splendente, lanciandomi come una cometa contro il costrutto danneggiato, alla mia massima velocità.
Con un urlo, sfondai la corazza metallica, attraversai quella massa di ingranaggi uscendo dalla schiena e incontrando il ventre dell'altro. Urlai e diedi più potenza. Il metallo si deformò, si incrinò e cedette. Perforai anche quel costrutto in un'esplosione di ferraglia, ingranaggi e cavi tranciati.
Il quarto ed il quinto si fecero avanti, calpestando i rottami dei due a terra.
-- Ne volete ancora-- urlai. Ero sicuro di me, in preda all'euforia. Almeno lo ero, prima di notare il cannone al plasma.
Sgranai gli occhi mentre sulla schiena del costrutto, caricava il colpo. Ne uscì un raggio che era spesso quanto la sua testa e che disintegrò tutto quello che si trovava sul suo cammino.
A parte il nucleo, che rimase intatto con ormai a sostenerlo solo la base traballante. Le lamiere erano sparite, disintegrate dal cannone.
-- Porca miseria-- mormorai girandomi ad osservare la sfera intatta.
Quando tornai a guardare avanti, costrutti erano diventati sette e i cannoni al plasma quattro.
Mi serviva un'idea. Un'arma, uno scudo.
Sgranai gli occhi e guardai alle mie spalle con la coda dell'occhio.
Sparii alla vista dei costrutti teletrasportandomi dietro il nucleo e frantumai il basamento con un colpo dell'aura ben piazzato.
L'enorme sfera rotolò giù. Sentii i costrutti fremere ma agii per primo.
Usai la telecinesi sul nucleo e lo sollevai. Lo sentii pesante, molto pesante. Avrei dovuto ricorrere a tutta la mia energia per controllarlo.
Con un gesto della mano lo scagliai contro i costrutti. Quelli si spostarono ma uno fu più lento. Il nucleo gli andò addosso, riducendolo in pezzi con un enorme boato, senza rimediare un graffio. Sorrisi, contemplando la mia fantastica, perfetta, palla da demolizione.
Lo lanciai ancora e ancora, manovrandolo a mio piacimento, usando contro i costrutti la loro stessa, indistruttibile fonte di energia. La stessa che mi proteggeva dai loro colpi al plasma, quando la ponevo fra loro e me.
Lo scagliai ancora.
E ancora.
E ancora.
Ed ogni volta, un boato riempiva l'aria seguito da una pioggia di detriti verso il suolo.
-- Sì!-- esclamai ridendo -- Nessuno mi fermerà!
Dall'alto scorsi le truppe saiyan attaccare. A quanto pare il nucleo che si muove da solo distruggendo i costrutti era un segnale più che accettabile per il Re Vegeta.
Alcuni lanciarono in aria le lune e si trasformarono.
Riguardo a me, cominciai a prenderci gusto. Un immenso gusto.
Alla fine, rimase solo uno dei generali Tsufuru.
Uno scimmione si mise fra me ed il costrutto. Il nucleo gli frantumò le ossa, gli lacerò la carne, gli deformò il fisico. Lo scimmione cadde addosso al costrutto mentre quello sparava il combustibile in fiamme.
Quando fu a terra le fiamme raggiunsero gli ingranaggi e il gigantesco robot esplose insieme al suo cannone al plasma generando un'onda d'urto tale da scuotere l'intera città. Le fiamme alte illuminarono il cielo tingendo il nucleo di un rosso scarlatto mentre il vento disperdeva i lapilli e l'eco delle mie risate.
-- Che spettacolo!-- gridai in preda all'euforia. -- Che magnifico gioco di luci!
Presto si sparse la notizia della morte del re e gli tsufuru vacillarono. Il loro numero diminuì, alcuni cominciarono a fuggire.
Il sole sorse sul pianeta Vegeta. Su una distesa di rovine e lamiere. I saiyan esultarono per la vittoria ed io lasciai che il nucleo cadesse a terra con un rombo.
Il mio corpo tornò normale e la stanchezza mi piombò tutta addosso. Avevo rivoli di sangue che mi colavano dal naso, mi sentivo dolorante, sudato e sporco.
Ma sorridevo. Sorridevo al pensiero che la guerra era finita, che io stesso ero stato capace di concluderla.
Scesi lentamente a terra e le gambe non mi ressero. Mi sedetti appoggiato ad un edificio e chiusi gli occhi addormentandomi di botto, con un sorriso sul volto.
Presto, sarei tornato a casa.

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Capitolo 18
*** Il quadro e lo specchio ***


Il tempo passato su Plant fu per me simile a quello dei sogni: confondi le ore con i giorni, i giorni con le ore, come se il tempo avanzasse in maniere diverse a seconda del luogo.
Quando tornai, mi sembrava passato pochissimo tempo ed al tempo stesso un'eternità. Portavo con me il peso dei giorni passati, eppure mi sembrava di essere partito ieri.
Non potevo crederci, quando mi dissero di essere stato via un anno e quattro mesi.
Avevo provato a catalogare quell'eternità su Plant e credevo fossero due settimane, tre al massimo.
Che caspita era successo nel frattempo? Neve? Cooler? Mio padre?
Oh, mio padre mi avrebbe ammazzato.
Allo spazioporto la rividi e fui felice che almeno riguardo lei era tutto come prima.
Mi abbracciò, la strinsi, la baciai, la accarezzai. Mi sentivo le lacrime agli occhi, non credevo a ciò che stava accadendo.
Lei mi guardò preoccupata. Mi disse di sedermi e si allontanò per prendere dell'acqua e del cibo di cui, secondo lei, avevo bisogno.
Mentre la attendevo da solo, vidi giungere due guardie reali. Mi prelevarono. Praticamente fu un arresto senza l'uso delle manette. Mi rattristai per Neve ma non potei far altro che seguirli.
Quando arrivammo a palazzo, albeggiava. La lunga notte era appena finita. Non era la stessa in cui ero partito ovviamente. La nostra Lunga Notte è lunga, ma non così lunga.
Mi condussero nella sala del trono e si congedarono lasciandomi solo con mio padre.
E Cooler.
Non so di preciso cosa mi passò per la mente, ma quando vidi mio fratello seduto comodo al suo solito posto, scattai come una molla.
-- Io ti ammazzo!-- urlai scagliandomi contro di lui.
Preso alla sprovvista lui sgranò gli occhi, si alzò e schizzò via.
-- Dove vai? Vieni qui!-- urlai e lo rincorsi per tutta la sala lanciando colpi dell'aura ed imprecando come un pazzo.
-- Guardiee! Guardiee!-- strillò Cooler.
-- Non fate un passo o farete la sua fine!-- ordinai ai piantoni. -- E piantala di scappare! Se ti muovi non riesco a colpirti!-- sbraitai.
Le guardie si osservarono indecise.
-- Guardie!-- urlò Cold. -- Prendete mio figlio! No non lui, idioti! Il minore!
Le guardie mi trattennero mentre lanciavo a Cooler tutti gli improperi che avevo imparato dai saiyan.
-- Una passeggiata diceva lui!-- ridacchiai. -- Una passeggiata! Aspetta che venga lì, e sai dove ti ficco la tua--
-- BASTA!-- tuonò nostro padre. Si avvicinò a me con passo veloce e mentre le guardie mi tenevano, mi mollò un ceffone tale che lo schiocco risuonò nella sala.
-- Da chi ho dovuto sapere che ti eri mischiato alla feccia saiyan?-- mormorò con lo sguardo colmo di rabbia, stringendo a pugno la mano con cui mi aveva appena schiaffeggiato. -- Dal loro re! Che ha lodato le tue capacità!-- sbraitò sarcastico. -- Mio figlio! Che si fa trattare come un mercenario qualunque! Che divide camere e pasti con quei maiali!
Arrivò un altro ceffone e d'istinto sputai a terra del sangue che mi colava dal labbro spaccato.
Quel gesto fece infuriare mio padre. E questa volta fu un pugno nello stomaco.
Le gambe mi cedettero ma le guardie mi tennero in piedi.
-- Hai perfino la puzza di quei saiyan addosso.-- sibilò mio padre mentre tossivo. Si rivolse alle guardie. -- Toglietemelo dalla vista. Forse un po' di tempo nelle segrete servirà a farlo riflettere.

Dormivo contro la parete di pietra, seduto a terra e ai ceppi, con le catene ai polsi e alle caviglie.
La cella era fredda ma non era comunque peggiore di quel che avevo passato.
Mi svegliò il rumore del chiavistello.
Guardai verso l'entrata e sfoderai la mia espressione più sdegnata, distogliendo lo sguardo.
-- Freezer
-- Vattene.
Cooler avanzò. -- Lascia almeno che--
-- Vattene via non voglio parlare con te.
-- Allora ascolta.
-- Non voglio ascoltare. Solo la tua presenza mi manda in bestia.
-- Forse ti serve altro tempo.
-- Quel che mi serve, è che tu chiuda quella fogna e che mi lasci dormire in pace.
Rimasi di nuovo solo. Di nuovo mi assopii, avvolgendomi con la coda.
Passai lì il giorno seguente e quello dopo. Poi quello dopo e quello dopo ancora.
La sera del quinto giorno, udii di nuovo il chiavistello.
Questa volta era mio padre.
Mi fissò.
Sostenni il suo sguardo.
-- Perché mi hai mentito? Se volevi scendere in battaglia bastava chiedermelo.
-- Non volevo un trattamento di favore.
-- Perché no? Tu sei un principe.
-- I principi non imparano!-- sibilai. -- Sono andato lì perché volevo migliorare, non per pavoneggiarmi come un nobile.
-- Potevi morire. Potevo perdere un figlio. Sai cosa significa?
Abbassai lo sguardo.
-- Uno del popolo che sfida Cooler. Un frammento della comune plebaglia che avrebbe potuto diventare re. Tutto questo a causa tua.
Non risposi.
-- Questa volta mi sono trattenuto. Ma se scopro che mi hai di nuovo mentito non sarò più così clemente.-- fece un cenno alle guardie. -- Sciogliete i ceppi e portatelo nelle sue stanze.
Le guardie obbedirono e mi sollevarono. -- Lo scontro nell'arena con tuo fratello è fra due settimane. Mi aspetto che tu sia in piena forma.-- disse.
Quando toccai il letto mi sembrò di sprofondare. Era così morbido. Troppo morbido. Non aveva niente del freddo metallo, della nuda pietra, non mi grattava e pizzicava la schiena come le grezze brande che avevo occupato fino a quel momento.
Mi girai, mi rigirai e intanto le ore passavano.
Alla fine gettai via le coperte, mi alzai e mi misi a camminare per la stanza, riflettendo in silenzio, beandomi della quiete notturna.
Quanto silenzio. Troppo silenzio.
Mossi la coda e continuai a gironzolare cercando di farmi venire sonno. Mi fermai a guardare un quadro alla parete, un mio ritratto, dove apparivo fiero e regale come un principe. Lo osservai con attenzione, poi abbassai lo sguardo sul grande specchio sottostante.
La vicinanza non era un caso.
Lo specchio era lì perché io potessi ogni volta ammirarmi e ritrovarmi nell'immagine del quadro.
Ma questa volta, l'immagine non era la stessa. Ero dimagrito in maniera spaventosa, potevo vedere le costole occhieggiare sotto la pelle e sentirmi con le mani le ossa delle anche. I muscoli erano più evidenti, le braccia e le gambe più forti, la coda un fascio di nervi pronti a frustare.
Ero sporco. Con un sacco di vecchi lividi e ferite che si andavano rimarginando. E lo sguardo. Forse era la differenza più evidente.
Quello nel quadro e quello nello specchio sembravano due individui diversi.
Smisi di rimirarmi e uscii dalla stanza.
Era molto tardi e nei corridoi non si vedeva nessuno. Di sicuro mio padre e Cooler dormivano e tutta la servitù sbrigava le ultime cose prima di coricarsi.
Scesi nelle cucine dove sapevo ne avrei trovati ancora svegli. Preparavano già gli assortimenti e l'argenteria per la colazione.
Appena entrai si fermarono e si inchinarono.
-- Sire cosa desiderate?
-- Voglio fare un bagno. Fate scaldare l'acqua e portate la tinozza nella mia stanza.
-- Sì signore. Desiderate altro?
-- Sistemate la tinozza sul balcone. Voglio fare un bagno al chiaro di luna.-- feci per andare ma mi fermai. -- Ah e fate sparire quel grosso ritratto dalla mia stanza. Da oggi terrò solo lo specchio.
-- Sarà fatto signore.
In breve tempo ero nella tinozza, nell'acqua bollente, in mezzo al balcone della mia camera con le due lune a farmi da sfondo e il vento gelido a sferzarmi le guance.
Fu meraviglioso, al punto che mi addormentai lì dentro.
Quando mi svegliai, l'acqua era fredda ma non gelata.
Vidi il lontano sole spuntare dall'orizzonte e tingere il ghiaccio di rosa e oro.
Sorrisi.
Era bello essere a casa.

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Capitolo 19
*** Uno, per sempre ***


-- Padre se mi date il permesso, vorrei sfruttare questi giorni per prepararmi per lo scontro.-- chiesi a mio padre, quel mattino.
Lui annuì. -- Fai pure figliolo. Anche tuo fratello ha avuto la stessa idea.
Annuii e mi congedai con un cenno del capo, poi mi alzai in volo ed uscii direttamente dalla finestra. Mi sentivo sazio e di ottimo umore, per niente appesantito dalla colazione. Nella frescura del mattino cercai di pensare a qualche strategia in vista dello scontro e decisi di far rotta proprio verso l'Arena dei Re. Avevo imparato su Plant che spesso conoscere l'ambiente porta un vantaggio considerevole negli scontri, perché puoi usare il terreno a tuo vantaggio.
L'Arena dei Re era nient'altro che uno scoglio in mezzo all'oceano. Un piatto isolotto circondato da picchi e grosse formazioni di ghiaccio che si ergevano incurvandosi verso l'alto, come quei larghi calici che si usano per degustare il vino.
Secondo alcuni studiosi ( sì, la mia specie non comprende solo guerrieri), l'Arena dei Re era un vulcano attivo, molto, molto tempo fa. Un vulcano il cui magma si è solidificato all'interno del vulcano stesso. Quel che emerge dall'acqua, ovvero l'isola, è ciò che rimane del suo cratere. I picchi di roccia e ghiaccio ne sono il perimetro mentre la pianura è roccia lavica sotto strati di ghiaccio e neve.
L' intera isola era l' arena.
Di solito funzionava così: si usava la pianura come ring e gli spettatori si radunavano in cima ai picchi.
Gli scontri avevano una sola regola: il pareggio non è contemplato. Si va avanti finché uno dei due si arrende oppure resta ucciso.
Gli scontri duravano ore, alcuni, come il memorabile duello fra il principe Blizzard e sua sorella Crystal che avvenne in quello stesso luogo ben milleduecentocinquantanni prima, addirittura giorni.
Lo scontro tra l'eroe Polaris e la Dama dei Ghiacci, che risale agli albori del pianeta, durò ben due settimane ed è tuttora il più lungo scontro sostenuto da uno della nostra razza. Si dice sia avvenuto proprio lì, quando nessuno aveva ancora dato a quello scoglio il suo nome ma non si sa con certezza. É quel punto in cui la storia sbiadisce sfumando nella leggenda.
Speravo di trovarla deserta e invece scoprii che si era radunata già molta gente. Un evento del genere non capita tutti i giorni e quando accade è molto sentito dalla nostra gente. I popolani più furbi già si accaparravano i posti migliori e altri urlavano invitando a scommettere.
La fila per scommettere su Cooler vincitore era lunghissima, la mia inutile dirlo, era quasi vuota. Ce n'era una terza però e mi avvicinai incuriosito.
-- Qui signori! Qui per puntare sull'assenza di Lord Freezer e la sfida con il guerriero del popolo!-- strillò quello al banchetto ed io cambiai strada.
Non solo davano per vincitore mio fratello ma qualcuno scommetteva addirittura che non mi sarei presentato! Ma per chi mi avevano preso?
-- Freezer!
Mi voltai e vidi Neve. Sorrisi e la salutai.
-- Che fine avevi fatto? Allo spazioporto sei sparito.
-- Due guardie mi hanno condotto dal re. Voleva ricompensarmi del lavoro su Plant. Ho dato lustro alla razza, secondo lui.-- mentii.
In effetti mio padre mi aveva ricompensato, e nel modo che mi immaginavo.
-- È magnifico!
No, non lo era.
-- Già.-- dissi poco convinto, ricordando quella sera.
-- Cosa fai qui? Prendi i posti o scommetti?
-- Beh, prendevo i posti.
-- Anche io. E poi nonna voleva che scommettessi per lei. Su Lord Freezer. Non chiedermi perché. Danno cento a uno Cooler vincitore ed è una scommessa sicura.
-- Credi che vincerà lui?
-- Ovvio. É il maggiore, ha più esperienza, e se Lord Freezer è ancora alla terza forma il fratello lo farà a pezzi.
-- Magari ha guadagnato la quarta nel frattempo. Questo cambierebbe le cose.
Lei ridacchiò. -- Non credo. Tutti ormai sanno che Cooler è nettamente superiore.
Grazie Neve. Certe volte ero davvero contento di non essere Lord Freezer ai suoi occhi. Sapevo però che presto avrebbe scoperto la verità.
-- Ah davvero? E cos'è che li convince tanto?
-- È risaputo. Lord Freezer è sempre stato inferiore al fratello. É come se non fosse abbastanza motivato, come se avesse paura di fargli del male. Molti credono che si tratterrà anche qui o addirittura che lascerà il posto al fratello senza sfidarlo.
-- Capisco.
-- In quel caso, potresti farti avanti tu. Secondo me potresti batterlo.
-- Battere Cooler? Non credo.
-- Credo tu sia al suo livello o di poco inferiore. Se giochi d'astuzia puoi batterlo e noi avremo un re che proviene dal popolo.-- disse. -- Fai una cosa prendi i posti. Io vado a scommettere per nonna.
Annuii. Volai fra le rocce per cercare un buon posto, uno solo, per Neve. Lo vidi e provai a sedermi. Era perfetto, si vedeva l'intera arena. Lo occupai segnandolo incidendo il ghiaccio con le unghie, poi tornai da lei.
Decidemmo di passare il pomeriggio fra i ghiacci, insieme. Neve mi costrinse ad attingere dal suo pranzo al sacco.
-- Devi mangiare. Sei tornato da Plant pelle e ossa.-- mi disse e l'accontentai.
Le parlai a lungo dei mesi trascorsi su Plant, di ciò che avevo fatto, di come mi sentivo cambiato. Lei mi accarezzava la testa e mi sussurrava parole di conforto mentre me ne stavo sdraiato a terra con la testa sulle sue gambe.
-- Sei ancora il dolce Freezer che conosco.
-- Io dolce?
Lei ridacchiò. -- Sei gentile, coraggioso, leale e sì, anche dolce.
Come riusciva a vedere quelle cose in un mostro come me? La amavo, anche per quello. Non smetteva di ripetermi che potevo essere migliore, che malgrado tutto, potevo fare del bene. Trovava sempre il lato migliore di me e riusciva a farlo emergere, anche quando ero furioso, anche quando avrei disintegrato un intero pianeta.
Fra la mia gente, quando si parla di unione, si parla di cose serie. Uno può essere libero per una vita intera ma nel momento in cui sceglie di unirsi ad una compagna, ne sceglie una soltanto e si lega a lei per la vita.
Non accade a tutti. É, se così vogliamo chiamarlo, la più alta espressione dell'amore. Essere uno con lei e nessun altra, per sempre.
Non vedevo l'ora di essere uno con lei, per sempre.
Mi feci coraggio.
-- Potrei stare tutta la vita insieme a te.
Lei sorrise. -- Anche io.
Sgranai gli occhi. La punta della coda mi vibrava per la gioia. Mi alzai e mi sedetti accanto a lei, prendendo le sue mani nelle mie. -- Neve.. vorresti essere uno con me.. per sempre?
Lei sgranò gli occhi ed arrossì, poi mi rivolse il più dolce dei suoi sorrisi.
-- Sì, lo voglio.

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Capitolo 20
*** L'Arena dei Re (Freezer vs Cooler) parte 1 ***


Ed infine venne il giorno.
Il giorno in cui avrei affrontato mio fratello.
Il giorno in cui Neve avrebbe inevitabilmente scoperto la mia identità.
Il giorno in cui avrei ereditato l'impero di mio padre o l'avrei perso.
Quel giorno, il cielo era limpido. Il mare era piatto.
Non c' era un filo di vento. Tutto era immobile ed il ghiaccio luccicava alla timida luce del lontano sole.
Presto sarebbe arrivata la primavera. Gli animali selvatici si sarebbero destati dal lungo sonno per andare a caccia e i grandi branchi di balenottere avrebbero raggiunto le acque basse per dare alla luce i loro piccoli.
Mi ero preparato, avevo recuperato peso, ero alla mia massima forma.
Ero rimasto daccordo con Neve di incontrarci all'arena per assistere allo scontro insieme. Lei però, avrebbe trovato qualcun altro al suo fianco e avrebbe visto me di fronte a Cooler.
Il sole sorgeva sull'arena e mio fratello occupava gia il suo posto, in alto sopra la piana. Re Cold ticchettava con il dito, a braccia conserte.
Il tizio che raccoglieva le scommesse sulla mia assenza, di sicuro sorrideva.
Purtroppo per lui, non avevo alcuna intenzione di darla vinta a mio fratello.
Cooler si guardò in giro a braccia conserte. -- Mmh che abbia davvero deciso di arrendersi?
-- Sono qui.-- dissi scendendo lentamente, di fronte a lui.
Si voltò verso di me, e sorrise. -- Alla fine ti sei presentato.
-- Ne dubitavi fratello?-- sorrisi. -- O forse speravi di non vedermi?
In risposta lui rise di gusto. -- Speravo di non vederti, per non doverti fare a pezzi.
Lo fissai, impassibile. -- Così è arrivato.-- dissi -- Il giorno per cui ci prepariamo da tutta la vita.
Cooler ghignò e si mise in guardia. -- Già. É giunta la resa dei conti. Niente giochi, niente allenamenti. Oggi si fa sul serio. Oggi ci sarà un solo vincitore.-- sorrise, muovendo la coda. -- E sarò io.
Si scagliò contro di me senza preavviso, attaccamdomi direttamente.
Lo attesi e mi teletrasportai alle sue spalle. Gli avvolsi il collo con la coda e strinsi.
Cooler mi affondò le unghie nella carne ma non mi procurò troppo dolore.
Strinsi ancora. -- Arrenditi.
In tutta risposta, lui rise. Afferrò la punta della mia coda e forzò la mia stretta liberandosi. Era fisicamente più forte di me, ora ne ero sicuro.
Presa la coda, mi fece roteare e mi lanciò contro uno dei blocchi di ghiaccio ma fui rapido nel fermarmi facendo un paio di capriole in aria. Poggiai i piedi sul blocco che si riempì di crepe e mi lanciai contro Cooler, che rispose allo stesso modo.
In un attimo fummo uno di fronte all'altro in un serrato corpo a corpo, dove uno parava i colpi dell'altro. L'aria vibrava, carica della nostra energia mentre i colpi si facevano via via sempre più veloci e violenti.
Urlammo all'unisono caricando un pugno l'uno contro il viso dell'altro, colpendoci a vicenda con una forza tale da generare una lieve onda d'urto.
La folla esultava, facendo il tifo chi per me e chi per Cooler.
Mi ripresi dal colpo ed indietreggiai per schivare un destro di Cooler.
Gli afferrai la mano. Lui attaccò con l'altra mirando al mio fianco. Usai la coda per parare il colpo ma lui ruotò il polso e la afferrò stretta. Attaccai con la mano libera e lui usò la coda per bloccarla avvolgendomi la mano.
Mi tirò a sé.
Le nostre teste si scontrarono. Nessuno dei due voleva mollare. Eravamo bloccati ed entrambi cercavamo di liberarci.
Urlai e la mia aura crebbe.
Cooler urlò e crebbe anche la sua.
L'attrito tra le due forze generò energia e quando fu troppa inevitabilmente esplose, sbalzandoci via entrambi.
Non persi tempo.
Mi teletrasportai di nuovo alle sue spalle e questa volta presi una gomitata sulla schiena.
-- L'hai già fatto, fratellino!-- Cooler si voltò e a mani giunte mi colpì alla schiena scaraventandomi verso il basso.
Questa volta impattai al suolo deformandolo e sollevando neve fresca come un polverone.
In quella nebbia fitta mi rialzai e decisi di sfruttare l'occasione.
Lanciai un raggio letale verso la sagoma di mio fratello.
Lo schivò, ma io ero già alle sue spalle.
Ghignando giunsi le mani e lo racchiusi in una sfera di energia, poi lo scagliai al suolo prima che potesse reagire.
Questa volta la sfera resse. Cooler non riuscì a romperla e quella esplose toccando il suolo.
Con uno slancio lo raggiunsi, deciso a non dargli tregua. Lui era più forte, ma io ero più veloce. Atterrai di fronte a lui e agitai il braccio come per scacciare qualcosa, usando l'energia per generare un'onda d'urto e scagliarlo contro il ghiaccio ma lui si teletrasportò alle mie spalle e mi cinse il collo con un braccio.
Ero in trappola.
-- Arrenditi fratellino. Sappiamo entrambi chi vincerà.
Provai a liberarmi e lui strinse la presa. Sferrai una gomitata ma lui la parò con la mano libera.
Vuoi il gioco duro? Bene.
Sollevai la coda e gliela avvolsi intorno al collo, stringendolo.
Ora era tutta una questione di resistenza. Mi imposi di resistere, di non arrendermi.
Entrambi senza fiato, mollammo la presa nello stesso momento cadendo io carponi e Cooler in ginocchio, tossendo entrambi.
Ancora a terra provai a colpire per primo. Mi voltai carponi com'ero e scagliai un raggio letale. Lui rispose con la stessa mossa e i colpi si annullarono a vicenda impattando l'uno contro l'altro in una piccola esplosione.
Cominciammo a scagliarli a raffica, sollevando cristalli di neve finché la visuale non divenne zero.
Allora scattai in avanti e usai di nuovo l'onda d'urto per scagliarlo di nuovo contro il ghiaccio.
Funzionò. Mi librai sopra al polverone ed attaccai con i raggi di sbarramento fino a fermarmi, ansimando.
Cooler si scrollò di dosso le macerie e mi raggiunse in aria, illeso. -- Tutto qui?-- chiese.
Ridacchiai. -- Tu parli troppo.
Lo attaccai frontalmente sferrando un pugno ma lui mi afferrò la mano, mi tirò a sé e mi colpì con una ginocchiata nello stomaco, poi con un colpo di coda mi scaraventò a terra.
Rimasi al suolo con il volto contratto per il dolore, tenendomi il ventre con una mano.
Mio fratello non si stava trattenendo. Non ricordavo di aver ricevuto colpi così forti da lui.
Tossii e cercai di rialzarmi mentre lui scendeva lentamente al suolo alle mie spalle, a braccia conserte. -- Non ti stai impegnando fratellino. Cos'è che ti trattiene, mh?
Mentre ero carponi mi mise un piede sulla schiena e mi spinse giù. Poi me lo poggiò sulla testa e premette.
Strinsi i denti. E mossi le dita.
-- Se non ti impegni fratellino-- disse strofinandomi il piede sulla testa -- questo scontro finirà presto, ed in maniera alquanto disonorevole per te
Mi concentrai sulle punte di ghiaccio che delimitavano l'arena. Qualcuna si staccò facendo rumore.
Gemetti per nascondere quel suono e Cooler si concentrò su di me, premendo ancora il piede, senza sospettare di nulla.
Mi sforzai di mantenere la concentrazione.
-- Sai speravo in qualcosa in più da parte tua. Sono deluso.-- premette ancora. -- Molto deluso.
Chiusi il pugno e Cooler voltò lo sguardo verso nostro padre. -- Mi sembra ormai evidente che sono io il nuovo re.-- mi canzonò.
Mio padre non rispose. Forse perché da dove era seduto, riusciva a vedere la sorpresina che avevo preparato a Cooler.
Sorrisi, e distesi le dita.
Cooler udì il sibilo ma non fu abbastanza veloce. Si voltò, sgranò gli occhi, si scostò di lato.
Una delle punte di ghiaccio gli prese il fianco, seppur di striscio. Il sangue sgorgò immediatamente e macchiò la piana innevata. Cooler urlò e balzò agli estremi della piana premendosi il fianco con la mano. -- Bastardo!-- sibilò stringendo il pugno.
Ridacchiai mentre mi alzavo, feci scrocchiare il collo e richiamai le punte di ghiaccio con un gesto della mano. -- Tu. Parli. Troppo.-- scandii. Lanciai di nuovo le punte ma Cooler le schivò saltando in alto e rispose con una sfera di energia.
Ruotai su me stesso e la deviai verso il cielo con una codata, poi raggiunsi mio fratello sollevandomi.
Cooler aveva il fiato corto. Eppure pareva sicuro di sé.
Ridacchiò.
-- Ma guardati. Il mio debole e insicuro fratellino.
Mossi la coda, in silenzio.
-- Sai-- continuò Cooler -- Andava tutto bene, finché tenevi giù la testa. Finché stavi al tuo posto. Oh, non avresti mai raggiunto il mio livello, naturalmente. Mi avresti ceduto volentieri il trono, io sarei stato il grande re Cooler e tu lo sposo di qualche ricca ereditiera.-- strinse i pugni -- Te la saresti spassata, Freezer, avresti vissuto da re senza esserlo, per il resto della vita.-- assottigliò lo sguardo. -- Ma no. Tu hai voluto alzare la testa. Hai osato uscire dalla mia ombra, sfidarmi per il regno.-- la coda viola guizzò di rabbia. -- Sai, ho provato molte volte a tenerti sulla buona strada. Sono stato un buon fratello, un fratello protettivo, ti ho aiutato a crescere, a diventare forte. Ho tentato in tutti i modi di rendere la mia ombra confortevole, perché potessi capire fin dall'inizio qual era il tuo posto.-- strinse i pugni. -- Ma tu ora sei qui, a rivendicare il trono!-- ringhiò -- Sei qui, nonostante tutto! Nonostante tu sia una nullità in confronto a me!
Sentii la sua potenza aumentare e rimasi immobile, celando il mio stupore.
-- Ho provato in tutti i modi a dissuaderti fratellino, a tenerti lontano da tutto questo. Ho persino stuzzicato la tua ambizione spingendoti su Plant, sperando che la guerra ti trattenesse più a lungo. Ma ora, tu non mi lasci altra scelta. Oggi riprenderai il tuo posto. Oggi vedrai di cosa è davvero capace il Principe Cooler.
Vidi il suo corpo deformarsi, cambiare radicalmente in uno molto più robusto, grande e minaccioso.
Ed eccolo alla fine, il suo asso nella manica. La quinta forma. Quelli che nella storia l'avevano guadagnata si contavano sulle dita di una mano, ed erano tutti eroi dell'antichità, protagonisti di innumerevoli leggende. La folla acclamò Cooler, come se fosse uno di quelli.
-- Arrenditi fratellino.-- disse. -- Non farmi usare questa contro di te.
Strinsi i pugni, per nascondere il tremito delle mani. Non mi sarei arreso. Mi tornarono alla mente le parole di Bardack.
Per cosa combatti?
-- Per lei.-- mormorai.
Dovevo diventare imperatore. Solo così la mia parola sarebbe stata legge e avrei potuto sposarla.
Non mi sarei arreso.
Mi misi in guardia e Cooler fece lo stesso.
-- Scelta sbagliata, fratellino.

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Capitolo 21
*** L'Arena dei Re (Freezer vs Cooler) parte 2 ***


Finii contro una parete di neve e ghiaccio sfondandola. Immaginavo fosse diventato forte ma non fino a quel punto. Dovevo pensare a qualcosa.
Cooler era superiore a me in tutto. Forza, velocità. Tutta la mia tecnica era inutile, perché il divario fra noi era troppo.
Non c'era molto da dire, mi avrebbe distrutto.
Aprii un occhio e vidi Cooler torreggiare sopra di me, con le mani sui fianchi e le gambe divaricate, la coda alta e lo sguardo strafottente, come se mi leggesse nel pensiero, come se sapesse che in fondo, non c'era semplicemente storia.
Ma io non ho mai accettato le sconfitte. Ho sempre avuto la testa dura. É grazie ad essa che sono Lord Freezer.
Cooler mi conosceva da quando ero nato, ci eravamo sempre scontrati, poteva prevedere ogni mia mossa. L'unico modo per venirne fuori era lottare come non avevo mai lottato. Utilizzare una strategia tutta nuova.
Era vero, Cooler conosceva tutto di me.
Tutto tranne ciò che avevo imparato su Plant.
E su Plant, i saiyan mi avevano insegnato una cosa: a volte una scimmia deve battersi da scimmia.
-- Allora, ti arrendi fratellino?
Sollevai la gamba, che stava stesa proprio fra le sue e gli ficcai quel calcio ben piazzato che da tempo volevo ficcargli.
Mio fratello strabuzzò gli occhi e si portò le mani all'inguine. Sgattaiolai via e presi il volo, poi mi voltai caricai una Supernova e la lanciai contro di lui.
Cooler si voltò pronto a pararla. Sapevo che ci sarebbe riuscito, dunque mi teletrasportai alle sue spalle e gli avvolsi la coda attorno al collo tirando verso il basso. Lui tossì e cercò di liberarsi. In questo modo non riuscì a parare la grossa sfera che ci travolse entrambi. Io rimasi alle sue spalle, riparato dietro la sua considerevole mole. Ne uscì danneggiato ma resistette, ovviamente. Se avessi previsto il contrario, non l'avrei usato come scudo.
Mi afferrò la coda, mi fece roteare e mi lanciò via. In quel momento lanciai un raggio letale e lui lo schivò saltando in alto.
Usai la telecinesi per staccare altre punte di ghiaccio e gliele lanciai contro.
-- Ancora fratellino?-- disse schivandole una dopo l'altra. -- Sei prevedi--
Non lo vide. Eheh non lo vide. Concentrato davanti a sé, su di me e sulle punte che gli lanciavo frontalmente, non vide quel che gli scagliavo da destra.
Il carretto dei gelati lo prese in pieno, dritto in testa, frantumandosi in un'esplosione di ferri e placche di metallo, oltre naturalmente a schizzi di non so più quali gusti. Mio fratello si ritrovò il gelataio terrorizzato avvinghiato alle corna e mentre era impegnato a scollarselo da lì, io ero in aria a caricare un'altra supernova.
Mio fratello lanciò il gelataio tra la folla e si scagliò verso di me.
Lanciai.
Lui la intercettò. Per un po' la sfera lo spinse indietro ma Cooler la fece rallentare, ne fermò l'avanzata. Volle lanciarla in aria, ma glielo impedii. Mi teletrasportai lateralmente e gli lanciai un veloce colpo dell'aura, dritto in faccia.
Lui imprecò facendo vacillare la sfera nelle sue mani.
Era l'unica cosa fra quel gigantesco ammasso di energia e la folla nell'arena.
Vacillò, mi teletrasportai alle sue spalle e gli diedi uno spintone in avanti.
Cooler urlò finendo contro la sfera ed anche io questa volta non rimasi illeso, pur restando dietro di lui.
Appena riuscii a distinguere le sue forme in mezzo al fumo balzai sopra di lui e scesi ficcandogli un pugno sulla testa con tutte le mie forze. Il rumore riecheggiò come un tuono e Cooler precipitò in acqua.
Nostro padre guardava lo scontro asciugandosi più volte il sudore dalle tempie. Non so dire cosa pensasse in quel momento, se si vergognasse del figlio maggiore o se fosse orgoglioso del minore. Forse era semplicemente sorpreso da quel che avevo imparato e in cuor suo sapeva che non sarebbe servito un granchè. Dovevo escogitare qualcosa, se volevo uscirne vincitore.
Qualcosa di definitivo.
Non volevo usare il cento per cento. Sarei stato comunque più debole di mio fratello e in più era una forma che non controllavo ancora bene.
Ansimavo guardando l'acqua incresparsi. Cominciavo ad essere stanco dopo ore di combattimento.
La trasformazione aveva guarito la ferita al fianco, eppure mio fratello sembrava più goffo rispetto a poco prima. Sembrava stesse gradualmente perdendo velocità.
Improvvisamente capii. Dovevo resistere ancora un po'. Guadagnare tempo. E forse, ne sarei uscito vincitore.
Cooler riemerse e io rimasi ad attenderlo. Mi scaricò addosso tutta la sua furia sotto forma di calci e pugni.
Cercai di schivare ed ebbi conferma di quel che sospettavo: era leggermente più lento.
Leggermente.
Schivare i suoi colpi era un'impresa ma adesso era almeno fattibile. Ed aspettando ancora, la situazione sarebbe migliorata.
Sorrisi. Come pensavo, aveva raggiunto di recente la quinta forma, e per mia fortuna, non era ancora in grado di padroneggiarla.
Stava lottando al massimo da un pezzo e cominciava a stancarsi. Fui felice di non aver utilizzato anche io il cento per cento. Se l'avessi fatto, l'incontro si sarebbe concluso ben prima e non a mio favore.
Continuai a restargli vicino e a schivare i suoi colpi accennando qualche debole contrattacco giusto per non fargli comprendere la mia strategia.
Cominciai ad incassarne sempre meno. Schivare diventava più facile, tuttavia anche io ero molto stanco.
Mi prese in pieno con una codata scagliandomi nel terreno pianeggiante dell'isola. Poi fece qualcosa di inaspettato: giunse le mani caricando un potente colpo energetico.
Si trovava in cima ai picchi di ghiaccio, dove sedeva la gente. Quelli vicino ed anche quelli di fronte, dal lato opposto della piana, cominciarono a lasciare i loro posti per levarsi dalla traiettoria.
-- Fermo!-- gridai ma non ascoltò. Lanciò l'enorme raggio viola che mi ricordò tanto i colpi dei cannoni al plasma su Plant. I ghiacci intorno e sotto di lui si sciolsero, lasciando un solco a forma di U da cui si intravedeva il cielo pomeridiano. Il sole aveva iniziato da un pezzo il suo cammino verso l'orizzonte e la sua debole luce andava scemando nel rosso, nel viola e nell'azzurro.
Saltai in alto, schivando per un pelo quel colpo micidiale. Il raggio scavò un solco nella piana, la attraversò e sfondò i picchi dall'altro lato, creando un'altra finestra a U.
Cooler cercò di raggiungermi. Scappai.
-- Vieni qui!-- urlò, sentii l'isteria nella sua voce. Dovevo restare lucido, mantenere i nervi saldi. Era la mia unica possibilità contro di lui.
Questa volta riuscii a distanziarlo. Mi fermai, lanciai un urlo e contrattaccai con una raffica di colpi dell'aura. Lui urlò a sua volta e fece lo stesso.
Ci teletrasportammo più volte, continuando a bombardarci a vicenda. Molti colpi finirono sull'isola e la gente, mio padre compreso, lasciò i posti sui picchi librandosi in aria e radunandosi in cerchio a debita distanza dall'isola.
Re Cold continuava a guardarci impassibile, con le braccia incrociate, impaziente di vedere quale dei suoi due figli avrebbe ereditato l'impero. Poco gli importava che quello scontro stesse danneggiando non solo un'arena ma anche un luogo di notevole rilevanza storica per la nostra razza.
In tutti gli scontri passati nessuno aveva mai osato danneggiare l'arena. La nostra gente nutriva un profondo rispetto per quel luogo, cosa che Cooler a quanto pare non condivideva.
Scendemmo a terra uno di fronte all'altro, pieni di lividi e ferite, entrambi col fiatone e le gambe a reggerci a stento.
Intorno a noi, l'assoluto silenzio. Soltanto lo sferzare del vento ed il suo sibilo che attraversava le pareti sfondate dell'arena.
Sapevamo entrambi che non poteva esserci un pareggio.
Provavo una grande tristezza nel battermi così accanitamente con mio fratello. Lui era sempre stato il mio buon fratello maggiore, che mi dava consigli e mi difendeva quando ero piccolo. Eravamo inseparabili, sempre uniti contro i nostri avversari ed anche se lui aveva sempre avuto secondi fini, io gli volevo bene e mi dispiaceva dover lottare fino a sconfiggerlo, umiliandolo di fronte a nostro padre e a tutto il regno.
Improvvisamente capii l'importanza di ciò che stavo facendo. Dovevo diventare imperatore, non solo per Neve. C'erano cose, troppe cose che andavano cambiate. Cooler non aveva il coraggio di opporsi a nostro padre, forse lo temeva più di me. Con il tempo me ne ero reso conto. Lo conoscevo da una vita, nel senso più vero del termine, non aveva segreti per me, e io non ne avevo per lui.
Almeno fino alla mia partenza per Plant.
Senza volerlo, lui stesso mi aveva fornito i mezzi per vincere.
Ci sollevammo in aria e io caricai un'altra supernova.
Era ora di concludere. Avevo il mio piano questa volta. Un piano che nella teoria forse avrebbe funzionato, e nella pratica speravo funzionasse. Non proprio affidabile, ma era la mia ultima risorsa.
Cooler ridacchiò. -- Ancora? Lo sai che è inutile contro di me. Sei troppo debole Freezer.
Cominciò a volare veloce venendomi incontro.
Sorrisi. Ruotai su me stesso e lanciai la supernova lontano, nell'oceano.
Cooler si fermò a metà strada, guardando la sfera incredulo. Poi tornò a guardarmi e scoppiò a ridere.
-- Ahahahah, sei uscito di senno forse? O hai deciso di arrenderti?
Non risposi. Mi teletrasportai davanti a lui e lo attaccai con una raffica di pugni e calci.
Dovevo solo resistere ancora un po'.
Lui respinse i miei colpi, li bloccò e contrattaccò colpendomi allo stomaco. Poi mi prese e mi scagliò verso il terreno.
A terra rimasi immobile e lo sentii atterrare dietro di me.
Cercai di rialzarmi mettendomi lentamente carponi e sentii distintamente scrocchiare le sue nocche mentre stringeva i pugni furioso.
Mi diede un calcio scaraventandomi più in là.
Mi rimisi carponi tenendomi la pancia, sputando sangue sulla neve. -- Ancora un po'.-- sussurrai fra i colpi di tosse. -- Ancora un po'.
Lo sentii camminare verso di me. Mi mise un piede sopra la schiena tenendomi a terra.
-- Basta Freezer.-- mormorò con il fiato corto. -- Conosci le regole. Può esserci un solo vincitore. Se non ti arrenderai..
Tossii. Sapevo dove voleva arrivare.
Sentivo la terra tremare leggermente, un rombo in lontananza.
Risi a stento, steso a terra, gli occhi chiusi.
-- Che hai da ridere, idiota?
Ridacchiai ancora. -- Arriva.
Il cielo si adombrò, il vento soffiò forte.
Cooler si voltò ed imprecò nel vedere l'enorme onda torreggiare sull'isola intera, sfiorandone i picchi più alti. Tolse il piede dalla schiena e fece per fuggire ma io mi girai, sollevai la mano e lo trattenni per la coda, sollevandomi e piantando bene i piedi a terra. Lui si rigirò per sferrarmi un pugno e si prese un colpo dell'aura in piena faccia.
Lo tramortii con un colpo di coda sulla testa, teletrasportandomi sopra la grande onda un attimo prima che travolgesse l'isola.
Mi ritrovai in mezzo al cerchio di folla, di fronte a mio padre. In basso il mare si quietava e l'isola riemergeva. Nessuna traccia di mio fratello.
Sollevai lo sguardo e cercai quello di mio padre, tremando per la stanchezza. Lo vidi avanzare verso di me, per poi bloccarsi all'improvviso, al suono di un verso simile agli echi delle balenottere. E forse, alla vista del terrore comparso sul mio volto.
Mi girai, mentre la grande creatura emergeva dall'acqua.
-- No-- mormorai -- No, non adesso.

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Capitolo 22
*** L'Arena dei Re (Freezer vs Cooler) parte 3 ***


Lo vidi ergersi dalle acque come un'onda nera di petrolio. Un muso affusolato e irto di denti, nero dai riflessi opalescenti. Un enorme, terribile ghigno dallo sguardo di un liquido violetto.
Soffiò dallo sfiato sul dorso una colonna d'acqua calda alta fino al cielo che ricadde come pioggia formando un arcobaleno contro il sole.
Vidi la fila di placche nere con le loro venature viola scorrere come fotogrammi di un film mentre il suo dorso spariva nell'acqua.
Riemerse questa volta saltando, ruotando su sé stesso e ricadendo sulla schiena, sollevando un'onda pazzesca, molto più alta della mia.
-- Figlio, vieni via da lì!-- urlò mio padre e in un attimo mi prese tra le braccia per poi allontanarsi salendo al di sopra dell'onda con tutti gli altri.
-- Lasciatemi padre.-- dissi cercando di divincolarmi. -- Lasciatemi andare.
-- Cosa? Sei impazzito?
-- Lasciatemi ho detto!-- sbraitai e mi divincolai dalla presa, dirigendomi in uno slancio verso il bestione.
Era me che voleva. E se mio padre mi avesse riportato in città..
-- Lasciali stare!-- gridai al bestione -- Lascia stare il mio popolo!
Quello mi puntò. Se non potevo sconfiggerlo nel pieno delle forze figuriamoci stremato com'ero.
Mi guardò. E mi ignorò. Per qualche motivo, andava dietro alla folla in fuga, immergendosi e riemergendo, cercando di ghermire con i denti e con gli artigli delle enormi zampe palmate.
Levyathan significa coccodrillo. Ed in effetti a questo somigliava. Aveva gli arti forti e gli artigli di un coccodrillo ma il corpo ed il muso affusolato delle balenottere. Potevo vedere la lunga coda che emergeva dall'acqua, e la fila di placche nere che la cospargevano.
Gli lanciai una sfera di energia, un colpo veloce, dritto sul muso.
-- Sono io il tuo avversario! É con me che devi batterti, hai capito?-- urlai.
Quello mi guardò, spalancò la bocca e ruggì. Quasi mi spaccò i timpani ma cercai di resistere.
Urlai in risposta, con tutto il fiato che avevo in corpo.
Quello soffiò dalle narici un getto d'aria mista a gocce d'acqua calda, sbalzandomi via.
Fermai la corsa con una capriola. Strinsi i pugni e guardai con la coda dell'occhio la folla che si ritirava verso la costa, prima di riportare lo sguardo sul bestione.
Non potevo sconfiggerlo, ma forse potevo tenerlo occupato e far guadagnare del tempo prezioso ai fuggitivi perché si mettessero in salvo. Per farlo però, dovevo prima attirare la sua attenzione. Dovevo essere un bersaglio sufficentemente valido da poterlo trattenere in modo che si concentrasse solo su di me.
Disgraziatamente non lo ero.
Ero solo un minuscolo abitante dei ghiacci ferito e stanco. E per un gigante le formiche sono tutte uguali.
Tutte tranne la regina.
Il Levyathan distolse lo sguardo da me e ricominciò ad inseguire la folla.
Nello stato in cui ero, il mio corpo non avrebbe sopportato il cento per cento.
Con uno slancio dell'aura mi precipitai da lui. Lo affiancai, lo superai. Poi mi voltai, gli corsi incontro e gli piazzai le mani sul muso, usando tutte le mie forze per provare a fermare la sua corsa, o almeno a rallentarla. La mia aura era come una sfera intorna a me, e si lasciava dietro una coda come le comete.
Nonostante tutto il mio impegno quello avanzò indisturbato inseguendo la folla, fino a raggiungerla sulla costa. Lì inarcò il collo e mi sbalzò in avanti, facendomi cadere sul ghiaccio e sulla neve.
Mi sollevai puntellandomi sui gomiti e poi sui palmi. Potevo tentare la supernova ma sapevo non sarebbe servito. Ricordavo ancora il giorno in cui l'aveva inghiottita come uno spuntino saporito.
Mi sollevai sulle gambe tremanti e guardai il mostro.
Quello avvicinò il suo muso al terreno. Sentivo il suo fiato caldo e guardavo dritto nei suoi occhi viola di pura energia.
Intorno a noi regnava il silenzio ma tutti erano radunati sulla costa ad osservarci.
Vidi il Levyathan uscire per metà dall'acqua e aggrapparsi alla costa ghiacciata con gli artigli neri.
Lo vidi e tremai.
Quello scontro poteva concludersi in un modo solo ma io non ero disposto a cedere. Avrei combattuto fino alla fine, senza tirarmi indietro, costi quel che costi.
É sempre stato un mio difetto, il non saper riconoscere il momento giusto per ritirarsi e sopravvivere.
Ma è questo che mi hanno insegnato. Quando si combatte seriamente, si combatte fino alla fine.
E così decisi di tentare il cento per cento, anche se ero stremato. Se dovevo crepare l'avrei fatto a piena potenza.
Il Levyathan ruggì facendo tremare la terra. Udii le grida mischiarsi a quel ruggito. Unii la mia voce, urlai con tutto il fiato in modo che emergesse dalle altre e la mia aura si alzò come una fiamma viola, le pietre si sollevarono e la terra tremò di più.
Il Levyathan ruggì di nuovo, più forte, io aumentai l'aura e la voce.
Poi, il ruggito scemò ed il mostro chiuse le fauci, fissandomi. A quel punto anche io smisi e l'aura si dissolse lasciandomi ansimante sulle gambe tremanti.
Quello rimase per qualche, interminabile attimo a fissarmi, poi sbuffò vapore dalle narici e indietreggiò lentamente, scivolando nelle acque. Vidi il mare agitarsi, e lentamente tornare piatto come una lastra di vetro, mentre si allontanava.
Ci fu silenzio per qualche attimo, poi la folla esplose in un grido di giubilo.
Qualcuno mi si avvicinò e mi sostenne per le spalle mentre sentivo gridare “ Evviva il re, evviva il re.”.
Sorrisi, vidi mio padre che si avvicinava e poi fu un attimo. Un bagliore violaceo, una fitta alla spalla.
Mi ritrovai per terra. Udii solo una voce che conoscevo.
Sentii il suo piede sulla testa, le gocce d'acqua bagnarmi il corpo.
-- É FINITA! ORA SONO IO IL VOSTRO RE!-- urlò -- INCHINATEVI AL GRANDE RE COOLER!

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Capitolo 23
*** Voci di Rivolta ***


Mi risvegliai su una branda, con una spessa fasciatura alla spalla. Ero reduce da un sonno agitato e la prima cosa che vidi fu la faccia di Dodoria. Forse fu per questo che urlai, scattando a sedere. Che mi perdoni, ma allora come oggi era davvero inguardabile.
--Che c'è?-- urlò qualcuno.
Mi guardai attorno e riconobbi quasi subito il posto. Ero nella baraccopoli, nel capannone dove ero stato con Neve.
Vidi la vecchia venire verso di me. -- Ben svegliato, maestà.
La fissai serio. -- Non dovresti chiamarmi così. Non ho ben capito cosa è successo, ma non sono ancora diventato sordo. É Cooler il nuovo re.
-- Io chiamo re chi mi pare. Sei tu il legittimo imperatore.
-- Lo scontro non era concluso. Cooler ha vinto regolarmente.
-- Sai che mi importa giovanotto. Durante il tempo che hai passato qui, quel narcisista bastardo ha emanato una serie di decreti divertenti, come uno che triplica la tassa da versare, estende l'obbligo anche ai nullatenenti e agli invalidi e uno che impone di utilizzare il termine maestà oppure re ogni qualvolta si parla o si scrive di lui. É ancora non c'è stata la cerimonia.
-- Ha fatto di tutto per farsi detestare insomma.
-- Di tutto e anche di più giovanotto. E la gente sta davvero perdendo la pazienza.
Abbassai lo sguardo. -- Ribellarsi alla famiglia reale equivale a morire. Il divario di potenza è troppo grande.
-- Su questo hai ragione. Ma il numero è di gran lunga superiore.
-- Che vuoi dire?
La vecchietta ridacchiò. -- Puoi schiacciare senza problemi una formica carnivora ma se caschi nel loro nido, stai pur certo che ti staccheranno la carne pezzo per pezzo.-- ticchettò col bastone. -- Questa volta non saranno pochi ribelli. Questa volta l'intero popolo si ergerà contro la famiglia reale.
Scossi il capo. -- Impossibile. Non troveresti mai qualcosa in grado di unirli tutti.
-- Sono già uniti, ragazzo.
-- Cosa?
-- Tutto il popolo ti ha visto affrontare il Levyathan. Tutto il popolo ti considera il legittimo re di questo pianeta.
-- E cosa gli fa credere che sarei migliore di Cooler?
-- Un re che si batte fino allo stremo per difendere il suo popolo non può essere peggiore di quello lì. Tutti hanno visto te di fronte al Levyathan, e per tutti sei tu quello degno di essere considerato re.
-- Vieni al punto. Cosa vuoi che faccia?
-- Se ti metti a capo della ribellione, tutto il popolo ti sosterrà. La tua gente vuole aiutarti a riprendere il posto che ti spetta.
Mossi la coda, indeciso.
Andando mentalmente indietro, ripercorrendo la storia, non era mai accaduto qualcosa del genere. Mai l'intero popolo si era messo contro il proprio re.
-- Sono gente comune. Non sono soldati.-- obiettai.
-- Sono molto più forti e in gamba di quanto credi. Ma non sono organizzati. A loro serve un leader in grado di guidarli.
Mi stuzzicava l'idea di riprendermi il trono. Conoscevo a menadito il palazzo e l'area circostante, avevo studiato strategie militari durante la mia istruzione ed ero stato su Plant. Forse potevo davvero farcela ad organizzare un esercito.
-- Spargi la voce. Dì alla gente di stare buona per il momento. Così Cooler non sospetterà nulla.
-- Avete un piano?
-- Qualcosa mi verrà in mente.

-- Dov'è Neve? Devo parlare con lei.
-- Sta in cortile.-- mi rispose la vecchia. L'avevo raggiunta nelle cucine e stava ai fornelli a mescolare la roba dentro un paiolo bello grosso.
Feci per incamminarmi ma arrestai il passo e guardai la vecchia. -- Se dovrò essere un leader, mi serviranno delle guardie del corpo. Zarbon e Dodoria sono i più forti qui giusto?
Lei annuì.
-- Allora dì loro che sono assunti. Saranno i miei generali.-- dissi e poi lasciai le cucine.
Trovai Neve nel cortile, come la vecchia aveva detto. Era sola e mi dava le spalle, a braccia incrociate, come in riflessione.
-- Neve?
-- Mi hai mentito.-- disse lei in tono neutro.
-- No!-- mi morsi il labbro.
-- Beh non su tutto. Non mentivo quando ti ho detto che volevo essere uno con te. E quel giorno con l'aurora rossa ero felice davvero.
-- Perché non mi hai detto del tuo sangue reale?
-- Io-- abbassai lo sguardo. -- Avevo paura. Paura che ciò potesse condizionarti. Non volevo che mi vedessi come un nobile.
Lei si voltò. La sua espressione contrariata mi fece rabbrividire. Pensai che non mi avrebbe mai perdonato. Tanto valeva confessare.
-- Il lavoro da mercenario?
Abbassai lo sguardo. -- Inesistente.
--I fiori?
Sospirai. -- Li ho chiesti a mio padre come regalo per aver raggiunto la quarta forma.
-- Mi ami?
-- Diamine sì!-- esclamai, prendendola per le spalle e guardandola negli occhi. -- Neve, rinuncerò al mio regno, se me lo chiederai.
Lei assottigliò lo sguardo. -- Non hai più un regno.
--Rinuncerò a conquistarlo!-- replicai lasciandola andare con un sospiro. -- Ascolta, io non sono imperatore, la mia parola non è legge, quindi non devi temere nulla. Capisco che non sapevi chi ero quando te l'ho chiesto, dunque te lo chiedo di nuovo.-- mi misi in ginocchio e le presi la mano. -- Vuoi essere uno con me per sempre? Se dirai di no, giuro sull'amore che ci unisce che se e quando salirò al trono, ti lascerò libera di vivere la tua vita.
Lei mi guardò, silente per un attimo. -- Alzati.
Mi alzai. Lei si avvicinò e mi sorrise dolce.
-- Vieni. Conosco qualcuno che può aiutarci.
Aiutarci. Plurale. Era un sì? Un no? Un ci devo pensare? Avevo la sensazione che al momento opportuno l'avrei scoperto. Ma non riuscivo ad attendere oltre.
-- Neve.-- la chiamai e per una volta sentii un tono implorante nella mia voce.
Lei si voltò, avanzò verso di me e mi strinse forte baciandomi sulle labbra.
Lo presi per un sì.
Mi trascinò nella zona est della baraccopoli e io la seguii come in un sogno, finche le sue parole mi destarono.
-- Vedrai è gente forte.
-- Quanto forte?
-- Abbastanza. Sono i migliori mercenari che conosco.
Non mi sembrava il tipo di persona che se l'intendeva con i mercenari ma mi fidavo di lei.
Mi condusse in un cortile circondato da alte baracche.
Lì vidi quattro individui che si allenavano in un balletto strano e uno viola e cornuto che li osservava e vi sbraitava contro.
-- Guldo! Per la quinta volta! È destra, sinistra, passo indietro, braccia in alto. Non sinistra, destra, passo avanti, braccia in alto.
-- Scusi capitano!-- esclamò un coso piccolo e verde, sull'attenti. -- Ma se faccio passo indietro vado addosso a Jeeth.
-- No!-- replicò il cornuto indicando il tizio rosso con i capelli bianchi. -- Perché Jeeth fa: passo indietro, mezzo giro a destra, passo e braccia avanti, passo indietro.
-- Ma così non vado addosso a Burter?
-- No! Perché Burter va a destra!
-- Io credevo di dover andare a sinistra.-- replicò l'alieno blu.
-- No, è Rekoom che va a sinistra!
-- Qual è la sinistra?
Quello viola si massaggiò le tempie. -- Facciamo una pausa.
-- Sono loro?-- chiesi inarcando un sopracciglio.
Lei annuì e corse da quello viola. -- Zio Ginew!
Quello si voltò, sorrise e spalancò le braccia. -- Ehi!-- rise e la sollevò facendola volteggiare in una giravolta.
-- Come sta la mia bimba preferita?-- la mise a terra. -- Vieni qui fatti vedere. Ah come sei cresciuta! L'ultima volta che ti ho vista eri alta così.
Gli altri sembrarono accoglierla con altrettanto entusiasmo.
-- Zio Jeeth!-- lei abbracciò il tizio rosso e poi prese in braccio il coso verde. -- Zietto Guldo!
Quello arrossì. -- Ah avanti mettimi giù.-- disse un po' imbarazzato.
-- Ehi, come sta la vecchia megera?-- chiese Ginew.
-- Nonna sta bene.-- disse lei e sollevò un cestino. -- Vi ho portato dei biscotti per il thè.
-- Ah vedo che non hai portato solo i biscotti-- Ginew mi indicò con un cenno del capo. -- Chi è? Il tuo ragazzo?
-- Lui è Lord Freezer.
Calò il silenzio. Io rimasi dov'ero, mentre quelli mi fissavano.
-- Gli serve il vostro aiuto.-- disse Neve. -- Praticamente a tutti serve il vostro aiuto.
Dopo lo sgomento iniziale, Ginew annuì. Mentre quelli prendevano il thè, spiegai tutto per filo e per segno.
Non avrei mandato dei semplici cittadini allo sbaraglio. Avevo un piano ben preciso in mente.
Quella fu la prima volta che assoldai la Squadra Ginew, e malgrado tutte le loro stranezze non me ne sono mai pentito.

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Capitolo 24
*** L'incoronazione ***


Sapevo di non poter evitare lo spargimento di sangue ma neanche volevo mandare allo sbaraglio un sacco di popolani con vanghe e forconi.
Avevo un piano. E se fosse andato tutto liscio, forse avrebbe funzionato.
L'esperienza mi ha insegnato che un grande risultato non si identifica con l'annientamento dell'avversario. Un grande risultato è annientare l'avversario, senza spargere una goccia di sangue.
Avevo scelto un momento adatto quanto significativo: la cerimonia di incoronazione ufficiale di mio fratello.
Si sarebbe svolta sulla balconata principale del palazzo, di fronte agli occhi di tutto il popolo.
Avevo chiesto alla vecchia di spargere la voce fra tutti. Se avessero agito secondo le mie istruzioni, con un po' di fortuna nessuno sarebbe stato ferito.
Quanto a me, mi portai dietro i miei fidati, Zarbon e Dodoria, e la Squadra Ginew.
Dopo lo scontro all'arena dei re, l'ingresso al palazzo mi era stato precluso, ma io sapevo bene da dove entrare. Dallo stesso posto in cui mi rifugiavo da piccolo: la cloaca.
Raggiungerla dall'esterno era facile, il nostro palazzo era pieno di cascate che si gettavano nel lago sottostante. L'acqua fuoriusciva da condutture collegate tutte alla cloaca.
Ci avvicinammo in volo, attenti a non farci vedere dalle guardie sul ponte. In quel caso, ci avrebbe pensato Guldo, bloccando il tempo ed occupandosi degli occhi indiscreti. Era debole come un bambino e mi ero ripromesso di levarmelo dai piedi una volta concluso tutto. Ma loro erano uniti e il potere di Guldo si dimostrò molto utile.
Giunti al condotto, lo trovammo chiuso da una grata metallica.
-- E adesso?-- fece Jeeth.
Usai il raggio letale sulle sbarre fissate al condotto. -- Zarbon reggi la grata. Non dobbiamo fare casino.-- dissi. Continuai fino a staccarla e Zarbon la prese.
Entrammo tutti e poi incastrammo la grata di nuovo al suo posto.
Mi inoltrai nel condotto con il mio seguito, camminando nell'acqua gelida che scorreva fino al lago.
Giocavo spesso in quel luogo da cucciolo e di solito tornavo su puzzando come una capra, facendo infuriare mio padre.
Dietro di me, gli altri procedevano in silenzio.
Jeeth coprendosi il volto con il fazzoletto rosa guardò Butter. -- Secondo te conosce la strada?
L'alieno blu fece spallucce.
-- Certo che la conosco.-- dissi e quello rabbrividì. -- Non sono così stupido da infilarmi qui senza sapere la strada. Specialmente oggi.
-- Le chiedo perdono Lord Freezer.
Feci un gesto di non curanza. -- Ah smettila di leccarmi i piedi. Siamo arrivati.
Era molto più piccola di come la ricordavo, la verità è che ero io ad essere cresciuto.
Era una sala circolare dove da vari cunicoli diversi scarichi convogliavano tutti in una cisterna comune che ripuliva l'acqua e la immetteva nei condotti che scaricavano nel lago. Sopra ciascun cunicolo c'erano dei disegni che avevo fatto da bambino, incidendo il ghiaccio e la pietra, per orientarmi.
Scelsi subito uno di quelli e senza esitare presi quella direzione ma sulla soglia del cunicolo mi fermai. -- Da qui in poi potremmo incontrare delle guardie. State attenti.-- dissi. Proseguii ancora per qualche metro, poi incontrai una scala a pioli ed iniziai a salire.
La spessa lastra in pietra in mezzo al corridoio si mosse.
Sbirciai, reggendola con la coda. -- Via libera.-- la smossi e mi issai sbucando nel corridoio. Tirai fuori l'omino verde per primo. -- Se arriva qualcuno ferma il tempo e occupatene.-- dissi.
Usciti tutti ci inoltrammo nel corridoio. -- La sala da ballo non è lontana. La balconata è lì.-- sussurrai mentre fluttuavo in aria.
Di fronte alla porta, mi fermai. Udivo mio padre pronunciare quel discorso solenne che aveva pronunciato suo padre prima di lui, e prima ancora tutti gli altri padri incoronando i loro figli. Strinsi i pugni e mi concentrai sul da farsi.
-- Guldo, tieni d'occhio i corridoi. Rekoom, Butter e Jeeth respingete le guardie. Dodoria sulla soglia. Zarbon, Ginew, con me.-- sussurrai ed aprii la porta, lentamente. -- Liberatevi delle guardie. Ma fatelo in silenzio.-- Ginew e Zarbon presero le guardie alla porta tramortendole. Altre quattro erano agli angoli e due affiancavano mio padre e mio fratello.
Feci un passo avanti, mi voltai e sparai un raggio letale per mano alle due guardie. Zarbon e Ginew si mossero veloci verso le altre mentre io mi voltavo e avanzavo tranquillamente.
-- Padre. Fratello.
Loro si voltarono. Cooler sgranò gli occhi, nostro padre mi trafisse con lo sguardo. -- Cosa fai qui? Guardie!
Sorrisi e sollevai le mani.
-- Suvvia non posso presenziare all'incoronazione del mio caro fratello?-- avanzai. -- Voglio essere al suo fianco in questo importante momento.
Cooler assottigliò lo sguardo e fece cenno alle due guardie. -- Arrestatelo!
Ma Cold le fermò con un gesto della mano. -- Vieni figlio. Il tuo è un desiderio più che lecito.
Sorrisi. Mio padre nonostante gli anni, non aveva perso la voglia di giocare con noi, di metterci in situazioni spiacevoli e vedere come ne uscivamo, o cosa combinavamo.
Ma quel giorno, avrei giocato io con lui.
Mi affacciai alla balconata e non appena il popolo mi vide, esplose in un grido di giubilo.
-- Evviva Lord Freezer! Evviva l'Imperatore!
-- Evviva il vero re!
-- Viva il grande re Freezer!
Mio padre aveva in mano la corona. Di fronte a lui, noi due. Cooler attendeva che la posasse sul suo capo, io gli davo le spalle, affacciandomi alla balconata.
-- Lord Freezer è il vero re!
-- Vogliamo Lord Freezer!
Sorrisi. Mi voltai e mi mossi, affiancando mio fratello. -- Beh padre? Mio fratello aspetta. Rendete ufficiale il tutto e diamo inizio ai festeggiamenti.-- esortai, sorridente.
Re Cold osservava il popolo riunito, che aspettava il nuovo re. Ma questa volta, reclamava un re diverso da quello che l'arena aveva decretato. Il re che li aveva protetti dal Levyathan.
Acclamavano il mio nome a gran voce e vedevano Cooler come un usurpatore.
Nostro padre mi guardò, ed io gli rivolsi un sorriso inequivocabile.
Lo tenevo in scacco.
Al contrario di Cooler, mio padre aveva sempre tenuto in considerazione il popolo. Sapeva come la vecchia, che a volte il numero vale più della forza.
Incoronare un usurpatore agli occhi del popolo, significava autoproclamarsi suo nemico.
Significava guerra.
Contro di me e tutta la gente del pianeta.
Iniziare una guerra civile significava rendere instabile tutto l'impero. Altri avrebbero potuto unirsi alla rivolta, interi territori sarebbero andati persi.
Osservavo nostro padre e lui guardava me, tenendo la corona con le mani. Sapevo cosa gli passava per la testa. Aveva la possibilità di evitare il tracollo di un impero con un solo gesto. La sua decisione avrebbe determinato il futuro di tutta la stirpe reale.
Così scelse.
Scelse come avevo previsto, perché in fondo lo conoscevo bene, come conoscevo bene i nobili di ogni rango. I nobili di ogni rango salvaguardano sé stessi e la loro stirpe. Come i molluschi, alla fine si attaccano allo scoglio più resistente, per non farsi trascinare via dalla tempesta.
Sorrisi, mentre posava la corona sul mio capo, sotto lo sguardo stravolto di Cooler.
-- Ma ma-- balbettò -- ma cosa?
Lo guardai con un lieve sorriso. -- Un giorno ti dissi di non sottovalutare il popolo ricordi?-- gli dissi. -- Un giorno o l'altro si sarebbero alleati con qualcuno potente, che avrebbe sostenuto la loro ribellione.-- sorrisi. -- Quel giorno è arrivato. E tu non puoi farci niente.
Cooler strinse i pugni. -- Sei un cane bastardo!
-- Sono l'imperatore. E mi bastano due parole per metterti a morte. Ricordalo la prossima volta che apri bocca.
Mi avvicinai affacciandomi alla balconata e mi sollevai con la telecinesi perché tutti mi vedessero.
Il popolo esultò ed io protesi le braccia per chiedere silenzio.
-- Oggi sorge una nuova alba per questo popolo.-- esordii.
-- Da oggi, in qualità di imperatore, proclamo la nascita di un triumvirato che gestirà l'impero. Divideremo i territori in parti uguali. Io governerò su una, mio fratello sull'altra. Nostro padre il grande Re Cold rimarrà in veste di consigliere e si occuperà di risolvere i diverbi fra noi. Io in quanto imperatore legittimo, mi riservo l'ultima parola su ogni questione. Da oggi in avanti, l'impero verrà diviso in parti uguali quanti sono i membri della famiglia reale, per costruire un regno stabile e un'era di gloria e ricchezza!
La folla gridò all'unisono.
Era un grido di gioia. Ed aveva un bel suono.
Il suono della vittoria.

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Capitolo 25
*** Re e Regina ***


Il giorno dopo mi misi subito in moto. Sentivo la necessità di mettere a posto le cose prima che mi sfuggissero di mano. Avevo scosso la torre del potere e dovevo urgentemente renderla stabile nella sua nuova posizione prima che potesse collassare e tornare al suo vecchio posto.
Sapevo di aver rabbonito mio padre con quel posto da consigliere. Lo conoscevo da abbastanza tempo da sapere che se ne stava tranquillo, finché aveva il potere in mano e le chiappe parate. Mio fratello invece avrebbe potuto rivoltarmisi contro in ogni momento. Dovevo trovare qualche potente pronto a spalleggiarmi.
Non potevo contare su mio padre. Non avrebbe messo così a rischio il suo culo regale.
Avevo però in mente qualcun altro a cui rivolgermi.
-- Zarbon, prendi carta e penna.-- dissi dopo averlo fatto chiamare nella sala del trono. -- Voglio mandare un messaggio a Re Vegeta.
-- Con tutto il rispetto Lord Freezer-- s'intromise Dodoria -- Perché non usare i mezzi di comunicazione standard? Il messaggio arriverebbe molto prima e potreste parlare con il sire in tempo reale.
Scossi il capo. -- No. Voglio usare carta e inchiostro.
La carta era merce rara sul mio pianeta, direi praticamente solo di importazione ed ovviamente, era costosissima. Come i fiori, a volte anche di più se era di fattura pregiata. E la mia lo era. Era la migliore in circolazione. Re Vegeta lo sapeva e ricevendo un messaggio su carta avrebbe di certo colto la mia intenzione di onorarlo. Feci usare l'inchiostro più pregiato in circolazione. Da noi non mancava vista la grande quantità di animali marini. Era una delle tante cose che esportavamo. Si vendeva bene e tutti ne avevano bisogno.
Come diceva mio padre, la presentazione è importante.
Decisi di scrivere il messaggio di mio pugno, in modo di dargli ancor più valore.
Nel messaggio mi congratulavo con lui per le fiorenti attività commerciali di Plant, lodavo la sua maestria nella gestione del governo e delle risorse ed altre smancerie burocratiche per poi andare dritto al punto.
Gli dissi che i nostri due regni avrebbero di sicuro tratto giovamento dalla reciproca collaborazione commerciale e militare essendo i saiyan un popolo fiero e leale. Per concludere, lo invitai ad un banchetto.
I banchetti. Il modo migliore per farsi amici o nemici, se sei un imperatore. Scordate le guerre, il destino di un regno si decide all'angolo fra le tartine di caviale e le olive ripiene.
Non invitai solo lui, ovviamente. Mandai altri messaggi di egual fattura ad altrettante cariche di spicco nel mio impero ma solo su quello di Vegeta posi il sigillo imperiale, a sottolineare il fatto che l'avevo a cuore più degli altri. Di Vegeta volevo l'alleanza, mentre tutti gli altri erano già sotto il mio controllo. Quel banchetto serviva per rabbonirli entrambi e anche ad altro.
Invitai mio padre e Cooler, ed invitai Neve. Lei all'inizio rifiutò ma insistei a tal punto che si convinse.
Dopo la mia incoronazione lei incominciò a passare del tempo al castello, perché potesse abituarsi a quella vita, ma rimaneva ancora molto legata alla vecchia e alla baraccopoli. Speravo di poter rendere le cose più facili per lei e di farle apprezzare quella vita di agi e lussi. Lei però non dimenticò mai le sue umili origini.
Chiamai il sarto reale e gli feci confezionare un abito da capogiro, sia per il prezzo che la qualità. Mobilitai tutta la servitù perché preparassero nei dettagli il più grande banchetto mai visto sul pianeta.
Furono giorni pieni di cose da fare, quelli, ma io ero entusiasta.
-- Tutto questo spreco di cibo e denaro Freezer-- protestò Neve mentre il sarto le prendeva le misure. -- Perché? Con i soldi spesi per il banchetto potresti ristrutturare interi quartieri.
Mi avvicinai e presi la sua mano fra le mie. -- Ci sarà tempo per quello, fiore mio. Questa è una cosa che va fatta. Devo mostrare la mia grandezza affinchè nessuno si ribelli a me.
-- Ci sono tanti modi più economici per mostrare grandezza.
-- Il banchetto è quello che funziona meglio con i potenti. E soprattutto non sparge sangue inutilmente.
Lei mi sorrise. -- Tesoro, non sono solo i potenti quelli che devi conquistare.
Sospirai. Come sempre aveva ragione. -- Zarbon!
Arrivò tutto trafelato, dopo qualche minuto. -- Ai suoi ordini, Lord Freezer.
-- Spargi la voce fra il popolo. Dì che per questo mese il pagamento della quota alla famiglia reale è annullato e che tutti coloro che vorranno lavorare durante la preparazione e lo svolgersi del banchetto riceveranno un degno compenso.
Non credevo che la cosa avrebbe avuto così tanto successo. I popolani vennero a dare una mano felici di guadagnare del denaro in più per le loro famiglie. Mi ritrovai le cucine piene ed il palazzo brillante come uno specchio. Alla fine tenni i miei abituali servitori per gli ospiti durante il banchetto e lasciai il resto del lavoro ai popolani che non conoscevano il bon ton.
Il banchetto fu un successo. Una vera dimostrazione di lusso e sfarzo. Avevo invitato gente da ogni provincia, inclusi mio padre e Cooler.
L'unico che non era sotto il mio governo era Re Vegeta, lì presente con il figlio.
-- Che noia!-- protestò il piccolo Vegeta.
-- Vedi di comportarti bene.-- gli replicò il re.
Scesi le scale con Neve a braccetto e la vidi preoccupata. -- C'è un sacco di gente importante Freezer. Non so se ne sarò all'altezza.
-- Tu resta vicino a me. Vedrai che andrà tutto bene.
Indossava un abito bianco e rosa e una finissima tiara colma di diamanti. Non avevo davvero badato a spese per lei.
-- Quelli sono Re Cold e il principe Cooler.-- disse preoccupata. -- Che devo fare?
-- Salutali. Sii semplicemente te stessa.-- le dissi. -- Vedrai che quel rudere oppurtunista di- Padre! Che piacere avervi qui. Fratello.-- lo salutai con un cenno del capo.
Neve fece loro un inchino. -- Vostra Altezza è un onore conoscervi. E anche voi, Lord Cooler.
I due si guardarono. -- Ehi chi è la dea che ti porti appresso?
-- La mia futura sposa, fratello.
Cooler mi guardò sorpreso, in un modo così finto che avrei voluto rompergli il naso. -- Ah, la tua fiamma dei bassifondi? E io che credevo ti piacesse solo divertirti con le popolane.-- guardò Neve. -- Avete davvero un bel vestito lady. Vostra madre deve aver sudato sette camice per cucirlo.
Feci per dire qualcosa ma Neve mi precedette. -- Mi sorprende che un membro della famiglia reale non riconosca la differenza tra una stoffa pregiata e uno straccio.
Cooler sorrise cordiale quanto falso. -- Voi forse conoscete la differenza?
-- Ovviamente milord. Anche un cieco riconoscerebbe il valore di questa stoffa ma non sono io colei la cui arguzia deve essere d'esempio per i sudditi. Non ancora almeno.-- ridacchiò.
Cooler assottigliò lo sguardo e Re Cold rise. -- Figlio mio, te la sei scelta bella come l'aurora e tagliente come il ghiaccio.
-- Vi ringrazio Altezza.-- disse lei ed io fui orgoglioso di come non si era fatta mettere i piedi in testa. Ero stato parecchio in pensiero per lei, dato che le sue origini sarebbero state di sicuro argomento di chiacchiericcio nell'alta società. I nobili non amano chi scala la piramide, solo chi nasce in cima. Portare Neve al banchetto equivaleva a lanciare una colomba in una gabbia piena di gatti.
La folla di invitati mi assorbì e la persi di vista. La ritrovai poco dopo, intenta a conversare con niente meno che mio padre.
Vedendo che se la cavava bene, mi trattenni a lungo con Re Vegeta per discutere i termini del nostro accordo e quando la serata volgeva al termine, salii con Neve sulla balconata ed annunciammo a tutti il nostro imminente matrimonio. Mio padre si congratulò con me pochi giorni dopo, dicendo che era rimasto molto colpito dalla mia sposa e approvava appieno la nostra unione.
Dopo quel banchetto, io e Re Vegeta diventammo alleati. Certo data la mia indiscutibile superiorità in potenza sia fisica che bellica la sua era praticamente sottomissione mascherata da alleanza. Non osava contraddirmi, anche quando approfittavo delle sue squadre di elite per sedare le ribellioni nelle zone più lontane dell'impero.
Bardack divenne il messaggero prediletto, dato che lo conoscevo e mi fidavo di lui. Re Vegeta acconsentì, dato che era l'unico in grado di rabbonirmi e che sapeva con che pinze prendermi se avevo la luna storta.
Sposai Neve e vissi con lei gli anni migliori della mia vita. Mi diede due figli: Ize ed il piccolo Kuriza.
Ize nacque con una grave malattia che ci portò a prendere la decisione di ibernarlo. Era una malattia che colpiva i cuccioli e che se ne andava con l'età adulta, ma il piccolo Ize era in un tale stato che temevamo per la sua vita. Rimase nel ghiaccio cinquant'anni e ne uscì per fare voi sapete cosa. Riguardo quel che ho detto a Piccolo, beh, ho mentito. Perché avrei dovuto aiutarlo e poi, comprendetemi, ci si annoiava talmente in quell'antro che il nostro unico divertimento era farlo andare in paranoia quando accadeva qualcosa sulla terra.
Il piccolo Kuriza invece venne su sano e forte e per un po' fummo solo noi tre.
Non sono mai stato un padre presente. Cercavo di ritagliarmi del tempo per Kuriza ogni volta che potevo. Gestire un impero richiede molto tempo e molte energie. Ero sempre, perennemente sommerso di cose da fare.
Neve si rivelò un'imperatrice perfetta. Il popolo stravedeva per lei, che era sempre molto attenta alle loro esigenze. Era bella, aggraziata ma anche molto intelligente. Divenne la mia migliore consigliera. Mi consultavo con lei per tutto, beneficiando dei suoi saggi consigli. E quando la giornata finiva, lei era la mia adorabile moglie e la mia più cara amica.
Erano giorni faticosi ma felici. Molto felici.
Solo un'ombra macchiava quel bel sogno.
Un giorno, la vecchia venne da me.
-- Ti ho visto in sogno, Lord Freezer.-- mi disse. -- Qualcuno ti ha ferito. Più la ferita si allarga e sanguina, più la tua ombra si allunga sui pianeti vicini. Il giorno verrà che la tua ombra coprirà l'universo, ma tutto il tuo corpo sarà una ferita aperta.
Quelle parole mi lasciarono scosso, ma tutto andava bene e continuò ad andare bene per molti anni, tanto che alla fine, le dimenticai.

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Capitolo 26
*** La Radice della Follia ***


!!Attenzione: contenuti forti!!

Ci siamo dunque.
Ho cercato di rimandare il momento in cui avrei dovuto narrarvi questi eventi perché, in un certo senso, ancora mi turbano. É come mettere il sale su una ferita aperta, riaprire una porta chiusa tanto tempo fa.
Ricordare quei giorni mi addolora. Ancora mi sembra di poter rivivere i sentimenti che regnarono sul periodo più buio della mia vita.
I libri mi descrivono come il grande Freezer, terrore e imperatore dell'universo. Mi affibiano questa etichetta da sempre, senza conoscerne le radici.
Mi giudicano, eppure non hanno visto il mio dolore. La mia solitudine. La mia rabbia, il mio odio.
I saiyan traggono potere da queste cose. Per noi sono come un veleno. Sono come un fuoco che ad ogni tronco gettato diviene più grande fino a risultare incontrollabile. Alla lunga logora, distrugge. Alla lunga ti rende qualcuno il cui nome rimane nelle storie che spaventano i bambini la notte, o nelle cronache più nere della storia.
É vero. Sono stato crudele, sadico, spietato. Ho distrutto interi mondi e raso al suolo città con un dito. Non lo nego. Ero un mostro. Avrei dovuto dar retta alla vecchia. Avrei dovuto seguire il consiglio di Neve. Avrei dovuto fare tante cose che non ho fatto, e ne ho fatte molte che non avrei dovuto fare. Col senno di poi, se potessi tornare indietro cercherei di cancellare quelle pagine oscure facendo scelte diverse, provando ad essere un sovrano migliore, provando a superare il grande dolore di quei giorni.
Ma non si può cambiare il passato. Si può solo raccontare.
Dunque lasciate che questo tiranno esponga le sue ragioni, mostrandovi la radice della sua follia.
Non pretendo di giustificare le mie azioni. Non c'è giustificazione alla follia. Desidero solo dare la mia versione, far suonare la mia campana. Perché in molti hanno narrato questa storia, ma pochi sanno cosa accadde davvero.
Quel giorno, quel terribile giorno, dovevo partire alla volta di uno dei sistemi a me alleati, per discutere di alcune cose. Roba da regnanti, insomma.
Il regno era in pace, il popolo contento, e io stavo per diventare padre per la terza volta. Tutto era perfetto. Ed io ero felice, sereno, un sovrano rispettato in ogni angolo dell' impero. Forse anche amato.
Quella mattina, prima di partire, mi recai nel giardino a salutare Neve e il suo pancione. Passava sempre la mattina ed il pomeriggio lì, a volte vi si tratteneva a pranzare. Era la sua parte preferita del palazzo. Vi avevo fatto edificare per lei una struttura speciale, come dono di nozze, in modo che potesse coltivare e curare i fiori che amava tanto. Con l'andar del tempo il profumo ed i colori di quelle piantine avevano riempito il palazzo e lei ne era davvero felice.
Non volevo lasciarla sola per quella chiamata giunta all'ultimo momento, visto che mancava poco all'arrivo del cucciolo.
-- Mancano mesi.-- replicò lei.
-- Sì ma, se nascesse in anticipo?
-- Non fare il paranoico, Lord Freezer.-- lei mi accarezzò la guancia. -- Il sistema Delta-3 non è molto distante. Sarai a casa domani, e io non partorirò da un giorno all'altro.
Se fossi rimasto con lei. Se l'avessi portata con me.
Invece le diedi un bacio e mi misi in viaggio.

Non eravamo partiti da molto, quando un soldato giunse di corsa da me. -- Sire! Abbiamo appena ricevuto notizie dal palazzo. Sembra che due individui si siano infiltrati all'interno passando dai giardini.
Sgranai gli occhi. -- Rientriamo immediatamente.
-- E la riunione su Delta-3?
-- Può fottermene qualcosa in questo momento?-- replicai sollevandomi in aria. -- Dì alle guardie che sto arrivando e di prendere vivo almeno uno dei due, con ogni mezzo!
Poi mi lanciai nello spazio sfondando il vetro circolare della navicella. Percorsi a ritroso la strada a tutta velocità, con in testa solo Neve.
Sta bene. Pensai. Sta bene ed è al sicuro. Non può essere diversamente.
Quando raggiunsi il palazzo percorsi i corridoi a tutta velocità, a tratti di corsa, a tratti fluttuando, schivando i servi e i domestici, puntando dritto ai giardini. Lì vidi una gran folla di servitori radunata a formare un cerchio intorno a qualcosa. O a qualcuno.
Scacciai quel pensiero e mi avvicinai, continuando a negare anche quando vidi il sangue sul liscio pavimento in cristallo.
Spintonai la folla facendomi largo, come in un sogno. -- Via! Via!-- sperando che non fosse ciò a cui pensavo.
Adesso mi sveglio. Pensavo. Adesso mi sveglio e scopro che era un sogno. Un brutto sogno.
Invece la vidi. Stesa sul pavimento, con un foro sul petto.
Ma respirava.
Mi gettai in ginocchio e la presi tra le braccia. -- Neve! Amore mio!-- la mia voce vibrava di preoccupazione. Guardai la servitù. -- Cosa fate ancora qui? Chiamate un medico!
-- Sire il dottore sta arrivando.-- mi disse una domestica. Di fianco a lei un' altra piangeva spaventata e lei la abbracciava per consolarla.
-- E allora levatevi di torno!
Si dileguarono in un attimo ed io rimasi solo con mia moglie, la mia adorabile moglie, con la fronte poggiata sul suo petto, aggrappato al battito del suo cuore.
-- Neve, ti prego, parlami.
-- F-Frezeer..
Sollevai lo sguardo. -- Sono qui fiore mio. Non sforzarti.
Lei mi guardò e sorrise a fatica. Era il suo dolce sorriso, il sorriso del “Non preoccuparti, va tutto bene.”
Non andava tutto bene.
-- Li prenderò, amore mio. Li perseguiterò, li-- mi accarezzò una guancia e le sue dita mi si posarono sulle labbra, interrompendo il flusso delle mie parole. -- Ti amo Freezer.
-- Ti prego-- dissi -- non lasciarmi fiore mio. Resisti.
-- Non è colpa loro. Loro eseguono-- tossì -- ordini
-- Non importa. Ucciderò loro e chi li ha mandati.
Lei scosse lievemente il capo. -- Perdonali. Non- non lasciare che l'odio ti consumi.-- poi sorrise in un modo così dolce da spezzarmi il cuore. -- Tu sei il mio dolce Freezer.
La voce mi si incrinò. -- Non lasciarmi!
-- Ti amo Freezer. Il mio amore, non si allontanerà mai, da te.
Singhiozzai e la strinsi forte, come se potessi trattenerla, come se bastasse a non separarmi da lei per sempre, come se potessi in uno slancio di egoismo, oppormi agli dèi, al destino, all'inesorabile susseguirsi degli attimi. Poi, urlai forte come non avevo mai fatto.

-- Sire
-- SPARITE DALLA MIA VISTA!
La domestica fuggì via spaventata, e così accadde a molte altre che volevano la mia attenzione.
Stringevo Neve, circondandola con la coda, frapponendola fra lei e tutto il resto. Non lasciavo avvicinare nessuno. Non volevo che qualcuno la toccasse. In quel momento, ne sono quasi certo, avrei ucciso chiunque avesse osato sfiorarla. La stringevo a me come una cosa sacra, come a volerla proteggere dal mondo intero.
Solo quando giunsero le guardie mi voltai.
-- Lord Frezeer. Abbiamo gli intrusi vivi come volevate.
Mi alzai tenendola fra le braccia, nello stesso modo in cui l'avevo trasportata a palazzo, dopo il nostro matrimonio. Mi sembrava tutto distante, come se stesse accadendo ad un altro.
Non sta succedendo davvero. É solo un incubo.
La poggiai delicatamente su uno dei divanetti. Vidi le mie mani striate di rivoli rossi.
Non era un incubo.
Le guardie trattenevano due saiyan. Uno adulto e grosso, l'altro molto più giovane, appena un ragazzino.
-- Ricorda, non dire nulla.-- disse il più grosso a quello giovane che tremava tutto.
Lo guardai, e gli ficcai un violento pugno allo stomaco. Poi presi quello giovane per il collo e strinsi. -- Chi è stato?-- chiesi semplicemente.
Quello non rispose e mi guardò terrorizzato, portando le mani sul mio braccio. Strinsi ancora. -- Chi è stato?-- sibilai.
Quello aprì la bocca, tossì, annaspò, mi graffiò il braccio. --v-Veg- Vege
Lo lasciai e quello cadde a terra ansimando e tossendo.
-- Vegeta? Il Re Vegeta?-- chiesi. -- Raccontami tutto, saiyan, e ti prometto che la tua dipartita sarà indolore.
Ricordo la calma, la risolutezza, l'assenza di emozioni. Non avevo mai provato una rabbia tale da non riuscire ad esprimerla a voce, a gesti, a parole.
Il ragazzino tossì e l'altro lo guardò muovendo impercettibilmente la testa ma venne ignorato.
-- Il re ha ordinato il vostro assassinio. Ha scelto noi due per infiltrarci nel palazzo ed eliminarvi. Diceva che l'universo è troppo piccolo per entrambi.
Gli mollai un calcio sulla faccia. -- Il tuo re ha ragione.-- mi rivolsi alle guardie. -- Rinchiudeteli nelle segrete e preparate la nave. Facciamo rotta sul pianeta Vegeta.

Lasciai Neve nelle mani del dottore, rifiutando ogni sua spiegazione e partii subito alla volta del pianeta. Ero talmente scuro in volto che nessuno osava rivolgermi la parola se non interpellato. Guardavo dall'oblò con le mani dietro la schiena, aspettando di raggiungere la destinazione.
Il giovane saiyan era stato molto collaborativo, ed alla fine avevo un quadro abbastanza chiaro della situazione.
Vegeta voleva togliermi di mezzo ed essere finalmente libero dalla mia influenza.
Malgrado fosse ritenuto intelligente si era dimostrato alla fine pari agli altri sciocchi saiyan. Malgrado fosse a tutti gli effetti un mio subordinato godeva della protezione e della ricchezza del mio impero e di tutti i vantaggi ad esso collegati. Ma i saiyan sono da sempre allergici alla sottomissione, anche quando gli conviene.
Ha pensato che con me fuori dai piedi avrebbe potuto aggiudicarsi la mia fetta di impero, contando sul fatto che Cooler non avrebbe mosso un dito e che il mio erede Kuriza era troppo giovane. Si sarebbe avvicinato pian piano a corte, si sarebbe infilato come un serpente viscido rimediando un posto da reggente magari.
Ma i suoi avevano fatto un errore.
Nella nostra razza maschi e femmine sono molto simili. Da lontano è facile confondersi.
Avevano colpito Neve, credendo di colpire me. Lei era infatti seduta al mio posto quando è successo.
Vegeta avrebbe pagato molto caro quell'errore.
-- Stiamo entrando nello spazio aereo del pianeta Vegeta signore. Delle navette di pattuglia ci vengono incontro.
-- Distruggile.
-- Signore?
-- Distruggile ho detto. E fa aprire il portello superiore.
Uscii dalla nave e mi diressi verso l'atmosfera del pianeta a gran velocità. Altre navicelle mi vennero incontro e le distrussi senza riguardò con potenti colpi dell'aura. Mi avvicinai al terreno e mi vennero incontro dei guerrieri. Li colpii con uno sbarramento di raggi prima che potessero anche solo rivolgermi la parola.
Colto di sorpresa, l'esercito di Vegeta era disorganizzato.
Una volta sopra la capitale caricai una grande sfera viola e la lanciai, senza pensare a chi stava sotto, sopra o intorno ad essa. Non me ne importava. Volevo solo che bruciasse.
Prima c'era la capitale, con gli edifici bianchi nascosti un po' dalle nuvole immersa nell' atmosfera rossa del pianeta come una fetta di arancia nel succo rosa di un pompelmo.
Poi le nuvole sparirono. Al posto della città c'era un cratere circondato da miglia e miglia di macerie.
Atterrai, camminando fra quelle come se fosse tutto ancora in piedi. Marciai sul ponte che portava alla reggia e lì vidi Re Vegeta con il figlio, scampato appena in tempo al crollo del suo palazzo.
Lui sgranò gli occhi ma non gli diedi il tempo di parlare.
-- Dammi una sola, valida ragione, per non disintegrare questa latrina che chiami pianeta.
-- Perché ci fai questo?
Mossi la coda. -- Oh, lo sai.
Lui strinse i pugni.
-- Hai fatto un errore, Vegeta. Un errore che pagherai caro. Che tutta la razza saiyan pagherà.-- mi avvicinai.
-- Di cosa stai parlando?
-- Non negare l'evidenza!-- urlai sbattendo un piede a terra e il tratto di ponte alle mie spalle crollò. -- Ucciderò fino all'ultimo saiyan sotto i tuoi occhi, Vegeta, a meno che tu non mi dia una valida ragione per non farlo.
Re Vegeta rimase in silenzio, tremante. Sapevo che non mi avrebbe fermato. Sapevo che non poteva, che non c' erano ragioni valide. E che lui era troppo vigliacco per addossarsi la colpa di tutto.
-- Sto aspettando.
-- Frezeer!
Un saiyan atterrò di fronte al re e a suo figlio.
Lo riconobbi subito.
-- Bardack.-- mormorai. -- Togliti di mezzo.
-- Vuoi una ragione per non mandarci all'altro mondo? Te la do io.-- indicò la città sotto di noi. -- Questa storia riguarda solo il re. La natura della missione è rimasta segreta finora. Nessun saiyan all'infuori del re e dei suoi stretti generali sapeva. Vegeta ha preso questa decisione senza consultare il popolo. Sono innocenti Freezer. Non sapevano nulla.
-- E tu lo sapevi?
-- L'ho saputo solo poche ore fa. Il re ha scelto mio figlio per farlo, senza che ne sapessi nulla.
-- Tuo figlio?
Lui annuì. -- Si chiama Radish. É ancora molto giovane. L'ha mandato insieme ad un certo Nappa.
Assottigliai lo sguardo. Era vero. Avevo ordinato alle guardie di far sputare tutta la verità ai saiyan e durante il viaggio ero stato più volte aggiornato.
-- I due saiyan sono vivi.-- dissi. -- La mia sposa desiderava che li perdonassi.
Lui si morse il labbro. -- Mi dispiace.
-- No. Non deve dispiacerti. Fosse dipeso da me, li avrei sventrati come maiali e appesi alle mura del mio castello. Poi sarei venuto qui e avrei fatto lo stesso sotto agli occhi del vostro re, prima di cancellarlo insieme a questo pianeta.-- dissi. -- Ma le tue parole hanno fatto nuova luce sulla vicenda.-- feci un sorriso lieve e guardai Re Vegeta. -- Risparmierò te, la tua gente e questo pianeta ad una condizione.
Lui rimase in silenzio, tremante ma guardandomi dritto negli occhi.
-- Voglio tuo figlio, Vegeta. Tu mi hai portato via un figlio, e tu stesso me lo renderai.

Così presi con me il piccolo Vegeta, più con l'intenzione di privarne il padre che per il vero desiderio di averlo come figlio.
Neve era incinta e io quel giorno non ho perso solo una moglie. E se non potevo privare Vegeta di sua moglie, ritenevo più che accettabile togliere a lui ciò che aveva tolto a me. Il piccolo Vegeta era il mio trofeo di guerra, una piccola vittoria personale per me, mentre ero accecato dal furore che montava dentro di me come un fuoco.
Non restituii a Bardack il suo Radish, era già tanto che lo sapesse vivo, ma ero deciso a farlo lavorare sotto al mio comando. Per piegare Nappa ci volle di più, ma alla fine mi giurò fedeltà.
A dispetto di ciò che avevo detto al re, non avevo ancora finito con i saiyan. Oh, non avevo nemmeno cominciato.
Tornato a casa, emanai una serie di nuove, rigide norme che li relegarono alla fine a ciò che erano realmente: mercenari al mio comando.
Disposi di inviare i loro figli neonati alla conquista di pianeti deboli, ancora un mio personale sfizio. Vegeta non mi bastava, li avrei privati per generazioni dei loro piccoli, li avrei strappati dalle loro mani come il re dei saiyan mi aveva strappato il cucciolo che attendevo con gioia insieme a mia moglie. Con la loro discendenza lontana e l'unico erede al trono nelle mie mani, erano totalmente sotto al mio controllo. Re Vegeta si mostrò agli occhi di tutti per quello che era sempre stato: un re solo di nome e carica. Imposi l'autorità imperiale anteponendola alla sua, ridussi la loro paga alla pari con quella dei più miseri braccianti sul mio pianeta, imposi la legge marziale per quelli che mi disobbedivano, estremizzando tutti i termini dell'alleanza con loro.
Non li odiavo davvero. Volevo che l'unico responsabile assistesse impotente alla lenta ed inesorabile decadenza del suo regno. Che osservasse attentamente le conseguenze del più grande errore della sua vita.

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Capitolo 27
*** Il Dolore e il Potere ***


Attenzione!! Contenuti forti, linguaggio scurrile, tematiche delicate

Passato quel momento, dovetti fare i conti con ciò che sapevo da giorni, ma che nel cuore e nella mente rifiutavo come si respinge uno sciame di api assassine.
I suoi fiori, i suoi bellissimi fiori, soccombevano al gelo mentre io trascorrevo le giornate nella mia stanza, al buio, rifiutando di mangiare e chiudendo occhio a mala pena.
I servitori mi disturbavano raramente, sapendo quanto i miei scatti d'ira fossero terribili. Passavo ore e ore a pensare, ancor più tempo a non pensare affatto. A fissare il buio.
Vedete, noi siamo come certe specie terrestri, monogami per la vita. In alcune di esse, quando un partner muore, l'altro ne soffre al punto da lasciarsi andare.
Noi siamo così.
Non augurerei neanche al mio peggior nemico di perdere la propria compagna. É qualcosa che è riduttivo definire straziante. Un dolore che consuma fino alle ossa.
Ho udito di gente che sfiorò la follia, di gente che morì per il dolore, di altri che non sepppero accettare la realtà vivendo il resto della vita parlando al vento e chiamandolo col nome di lei o di lui. E di gente che semplicemente si lasciava andare.
Lei diceva sempre che la vera grandezza risiedeva nell'umiltà, nella pietà, nel perdono. Per lei avevo lasciato in vita molti dei miei nemici, li avevo lasciati andare che erano ormai sconfitti. Questo mi aveva reso grande agli occhi dei loro popoli. Mi vedevano come un re giusto, un sovrano potente ma che conosce la pietà.
Ma dov'era la mia grandezza? Mi sentivo come il vetro, avevo paura di sgretolarmi come un castello di sabbia asciutta muovendo un solo passo. Mi sentivo debole. Mi sentivo solo.
A cosa mi serviva l'impero, che me ne facevo della grandezza? La sua assenza inghiottiva tutto quanto come i buchi neri, da cui neanche la luce riesce a fuggire.
Smisi semplicemente di interessarmi di tutto il resto. Non mi importava del passare dei giorni, della servitù che dava di matto, dei generali spaesati, del popolo che ignorava tutto quanto.
Sorrisi nel buio, pensando che non me ne fregava un cazzo.
La porta cigolò.
-- Sire?
Una domestica.
-- Che vuoi? Non vedi che sono occupato?-- occupato a non fare un cazzo. É un lavoro che richiede molte energie.
-- I fiori signore.-- disse lei con tono stentoreo. -- Stanno appassendo. Cosa ne dobbiamo fare?
-- Levateli dalla mia vista.-- mormorai.
Lei esitò. -- Ma sire, la regina
I fiori della regina, come se io non lo sapessi, come se non conoscessi il suo amore per i fiori, come se ogni fottuto secondo non rammentassi tutto l'amore con cui li curava. Lo stesso che nutrivamo l'uno per l'altra.
Il calice di vino si infranse in mille pezzi contro il battente della porta e lei gridò.
-- FUORI!
Fuggì sbattendo la porta. Di nuovo con me stesso, caddi in ginocchio e piansi forte, ma in silenzio. Soffocando i singhiozzi, inspirando ed espirando profondamente, sussultando e tremando.
Perché non dovevano sentirmi.
La disperazione di un imperatore, non deve mai essere ascoltata.

Fuggii molte volte da quel giorno ma alla fine dovetti affrontarlo.
La porta cigolò di nuovo. Da quasi un mese ormai stavo seduto dinnanzi alle tende serrate, con l'unica compagnia di un calice di vino. Ero dimagrito e ovviamente non ero pulito. Vi lascio immaginare l'odore stantio di una camera che non viene aperta per un mese.
Sapevo che di tanto in tanto l'arieggiavano mentre dormivo. Che qualcuno mi metteva sotto le coperte quando esageravo col vino e mi addormentavo con la testa sullo scrittoio. Ma nonostante ciò, odorava ugualmente di chiuso.
-- Sire?
Era Zarbon, lo riconobbi dalla voce.
-- Sono occupato.-- la mia voce risuonò stanca ed impastata. Non lo nego, ero reduce da una bella sbornia mattutina.
-- Sire, il popolo chiede del suo imperatore. Chiede della regina. Nessuno sa niente. Esigono spiegazioni.
-- Loro esigono?-- ridacchiai. -- Io esigo. Loro implorano. Loro supplicano!-- calai il pugno sul tavolo rovesciando il calice. -- Sono il loro imperatore, non un cazzo di distributore automatico!
-- Avete ragione Sire.-- replicò lui. << Ma dovete capire
-- Io non devo capire un cazzo!-- sbraitai e poi mi alzai barcollando un poco. -- Ma andrò a parlare. Così la smetteranno di far andare quelle loro lingue come quei pulcini disgustosi che gridano alla madre tutto il giorno.
Come avrete capito, ero leggermente alticcio. Andavo avanti a vino rosso da un mese. Solo vino rosso e acqua. Smaltivo le sbornie con altre sbornie. Cominciavo a pensare che il mio sangue fosse alcol misto ad una bassissima percentuale di qualcos altro. Forse acqua.
-- Non preferireste sistemarvi prima, signore.
-- No. É già tanto che esco a parlare. Ma prima lo faccio prima me li levo.-- dissi e mi diressi barcollando fino alla balconata.
Mi sentivo addosso gli occhi e i nasi di tutta la servitù. Per caso intercettai una di quelle occhiate e mi fermai, voltandomi di scatto e inchiodandola con lo sguardo.
-- Che cazzo hai da guardare?
Lei abbassò lo sguardo e spazzò più veloce.
-- Ti ho fatto una domanda!
-- Nulla sire, nulla.-- balbettò lei.
-- Sarà meglio.-- dissi.
Una volta sulla balconata mi levai in aria con la telecinesi, preparandomi alla mia alcolica arringa.
-- Signori miei e signore mie. Soprattutto signore. Silenzio prego.-- esordii. -- Immagino voi siate qui per vederci chiaro in questa oscura situazione.-- risi. Lo trovavo divertente. Da ubriachi tutto è divertente. -- Vi ringrazio per la vostra premura nel rompermi i coglioni fino a questo punto, sinonimo del grande interesse che provate nei miei confronti. Dunque per sdebitarmi, vi spiegherò tutto, così potrò tornare ai miei affari e voi potrete tornare ai vostri.-- mi schiarii la voce ed improvvisamente, parlare divennne difficile.
Tutti credono sia facile, essere imperatore. Uno pensa ai soldi, al potere, ma raramente mette in conto tutto il resto.
Un imperatore ha un regno sulle spalle. E quel peso può schiacciare. Un imperatore non può mostrarsi debole. Un imperatore deve essere forte, perfetto, fiero, anche quando perde sua moglie, anche quando il mondo intero gli sta crollando addosso e intorno a lui non c' è che il buio, e un bicchiere di vino.
Diamine che avrei dato per un bicchiere di vino.
La folla cominciava a mormorare per il mio silenzio ed io, anche dal velo della mia ubriachezza capii cosa era giusto fare. Strinsi i pugni e recuperai il mio contegno almeno in parte. -- La regina. È.-- non riuscivo a dirlo, non osavo. Ma dovevo. Dovevo perché ero un imperatore. -- Morta.-- ripresi fiato. -- è così. Il mio popolo non ha più la sua regina. Io so quanto la amavate, e l'amavo anche io.-- dissi. -- So che chi l'ha uccisa complottava per il mio assassinio. Io vi dico sulla corona che porto, che ribalterò l'universo per trovare tutti coloro che hanno partecipato a questo deprecabile atto di ribellione.-- esclamai. -- Dite che non dovrebbero saperlo? Io spero che odano queste parole. Che sappiano che Lord Freezer li inseguirà come cani e li sventrerà come maiali, dovesse rincorrerli per quanto è lungo e largo l'universo. Dovessi inseguirli fin dentro un buco nero e stanarli al confine della singolarità li troverò, e gliela farò pagare!
La folla esplose in un grido di giubilo delirante, in molti acclamavano il mio nome, in tanti gridavano di volere giustizia per la regina.
-- Silenzio!-- gridai. -- Ora che sapete tornatevene a casa e lasciatemi piangere mia moglie, banda di lagnosi rompicoglioni che non siete altro!
Per motivi che non comprendo, la folla esultò di nuovo.
Atterrai sulla balconata e tornai dentro al palazzo. La testa girava. -- Zarbon, Dodoria, fate uscire tutti. Guardie, servitori, tutti.-- mormorai.
Loro mi fissarono perplessi.
-- Ma, grande Freezer-- cominciò Dodoria.
-- Uscite tutti!-- ordinai con le gambe che mi tremavano e la fronte sudata. -- FUORI!
Li vidi fuggire tutti dalla sala, finché rimasi solo con Zarbon e Dodoria.
-- Perché quell' ordine? Dovete dirci qualcosa in priva-- Ma io stavo già cadendo in avanti, in ginocchio sulle gambe che non mi reggevano. Regredii di colpo alla mia prima forma e Zarbon fermò appena in tempo la mia caduta.
-- Lord Freezer! Lord Freezer!
Essere imperatori è difficile. Significa piangere la tua sposa senza far rumore, affogando le tue lacrime nel vino. Signfica cacciare fuori tutti da una stanza per poi crollare a terra svenuto con solo i tuoi fidati a sostenerti, perché alla fine, per quanto ti sforzi, sei semplicemente un mortale.

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Capitolo 28
*** Forti ma deboli. Deboli ma forti. ***


Udii delle voci appena ripresi conoscenza. Sentivo le coperte sopra di me, il materasso sotto, il cuscino morbido contro la nuca.
Rimasi con gli occhi chiusi
-- Come sta, dottore?--
Ginew. Lo riconoscerei fra mille.
-- Lord Freezer è forte, ma soffre di una grave carenza alimentare. Mangia regolarmente?
-- Sono settimane che non tocca cibo.-- Zarbon. Sì era lui. -- I servi sono insistenti ma il sire non vuole sentir ragioni. Dice che non ha appetito. Soffre spesso di insonnia ed incubi. Di notte a palazzo lo sentiamo urlare tutti. Ogni notte che passa i servi chiacchierano. É così da quando-- si interruppe.
-- La regina.
-- Esatto.
-- Si sta lasciando andare.
-- In che senso?
-- Lo sapete.-- replicò il medico. -- Io posso alleviare i sintomi ma se il sire non si lascia questo dolore alla spalle io potrò fare ben poco di concreto.
La porta cigolò.
-- È sveglio papà?-- chiese una vocina che riconobbi subito. Era Kuriza. Il mio Kuriza. La perdita della madre doveva essere stato un duro colpo per lui, eppure nel mio dolore lo avevo quasi dimenticato.
-- No principino Kuriza. Non ancora.-- replicò Zarbon.
-- Oh. Posso restare lo stesso?
-- Non è una buona idea. Vostro padre non--
-- Fatelo rimanere-- s' intromise il dottore. -- In fondo tentar non nuoce.-- si rivolse al piccolo. -- Resta vicino a tuo padre piccolo, noi andiamo fuori a discutere.
Li sentii uscire. Sentii Kuriza che saltava sul letto e si avvicinava camminando carponi sulle lenzuola.
-- Papà? Sei sveglio? Svegliati papà!
Aprii gli occhi. -- Sì. Sono sveglio.
-- Perché non mangi? Il dottore dice che stai male perché non mangi.
-- Non mi va di mangiare.
-- Oh, anche a me non andava. Poi però mi brontolava la pancia e ho preso un assaggino. Alla fine mi son mangiato tutto. Magari se provi ti viene fame.
Girai la testa. -- Non voglio. Voglio la mia sposa. Voglio andare da lei.
Sentii la vocina rattristarsi. -- Anche a me manca la mamma.-- replicò sedendosi e avvolgendosi le gambe con la codina bianca.
Aveva raggiunto la quarta forma molto prima di me, ai miei tempi. Ero orgoglioso di lui. -- E se tu te ne vai io cosa faccio?-- chiese.
Spalancai gli occhi, come in una specie di illuminazione. Fermo nel mio dolore, non avevo pensato a Kuriza. Lo avevo lasciato solo dal giorno in cui aveva perso la madre. Era nel giardino con lei, l'aveva vista morire con i suoi occhi. Aveva visto quei saiyan colpire sua madre, aveva visto tutto. E ora era sul punto di perdere anche il padre. Pensai a lui, così piccolo e unico erede legittimo. Si sarebbe trovato aspiranti reggenti da ogni lato, pronti ad assoggettarlo e a manipolarlo come un branco di squali.
Come avevo potuto essere così cieco? Il dolore fa questo. Rende ciechi. Rende egoisti. Kuriza aveva bisogno di me. E l'impero del suo imperatore. Cooler ci avrebbe messo le mani distruggendo tutto ciò che avevo costruito, per riportare le cose al loro vecchio fasto.
Non potevo permetterlo.
-- Kuri.
-- Sì?
-- Chiama i servi. Dì loro che voglio mangiare qualcosa. Qualsiasi cosa andrà bene.
Lo vidi sorridere in un modo che mi scaldò il cuore.
Quando sorrideva così, sembrava tutto sua madre. -- Vado subito!-- disse, ma prima, mi abbracciò forte e mi disse che mi voleva bene e che comunque, la mamma ci guardava da lassù.
Ricambiai l'abbraccio, cercando di trattenere le lacrime. Alla fine fu mio figlio a salvarmi. A darmi una ragione per non cedere. Aveva bisogno che suo padre lo consolasse eppure era lui a consolarmi, a spronarmi, non per l'impero, non per affari.
Solo perché ero suo padre, e lui mi voleva bene.

Cominciando a mangiare ripresi lentamente le forze, ma il mio fisico debilitato e la stagione fredda alle porte non mi risparmiarono un malanno. Non di quelli gravi, ma uno di quelli brutti, fastidiosi. Il genere di febbri che ti costringe a letto, annebbia la mente e indebolisce il fisico.
Ma come avrete capito, l'impero non si ferma se il suo imperatore si ammala. Come una sanguisuga resta attaccato alla sua fonte di nutrimento senza badare alle circostanze.
Il periodo non era dei migliori. Il mio discorso rimbalzava da un pianeta all'altro attraverso la rete, suscitando sia l'approvazione che lo sdegno di molti. Un filmato dal titolo “ Il diVino imperatore” aveva raggiunto milioni di visualizzazioni in poche ore. I reggenti mormoravano. Gli alleati mormoravano. Non era davvero il momento per ammalarsi.
Il regalo di mio fratello mi fu molto utile. Me lo inviò sapendo della mia situazione, come se volesse essermi vicino per via della mia perdita.
Era una poltrona fluttuante. Il biglietto sul sedile mi fece sorridere mio malgrado. Diceva: “ Al mio debole fratellino.”
Gliene feci recapitare una uguale e sul biglietto feci scrivere: “ Al mio pigro fratellone.”
Sistemato Cooler, utilizzai la poltrona per spostarmi, dato che non mi reggevo in piedi. Stavo seduto nella sala del trono a ricevere chi chiedeva udienza, a firmare carte, amministrare risorse, risolvere problemi. Ordinaria amministrazione di un impero, con la differenza che, per motivi ignoti praticamente a tutti, qualche volta posavo la penna e gridavo a tutti di lasciare la sala. A quel punto tutti scappavano.
L'ultimo che si era trattenuto aveva ricevuto un buco nel cranio.
Uscivano tutti, perfino Zarbon e Dodoria. Tutti al di fuori della figura che mi seguiva praticamente ovunque.
In tanti fantasticavano su chi fosse: la mia personale guardia del corpo, un consigliere, una spia che mi riferiva ogni cosa, un assaggiatore di vini, alcuni sospettavano fosse addirittura il mio amante e questi in particolare, li avrei fatti decapitare tutti, se solo avessi avuto i nomi.
In realtà, era semplicemente il mio medico personale.
Quando ero esausto, e in quel periodo accadeva spesso, facevo uscire tutti in modo che solo lui fosse testimone della mia debolezza e vi ponesse rimedio.
I medici sono come le mura dei palazzi: se potessero parlare, chissà le cose che racconterebbero.
Quando, una volta solo con lui, mi accasciavo sullo schienale della poltrona ansimante e sudato, mi ripeteva ogni volta la stessa cosa.
--Sire, accade sempre più spesso. Di questo passo peggiorerete.
--Non dirmi cose che so già.-- risposi tenendo gli occhi chiusi, cercando di riprendere fiato. Era cominciato con una volta al giorno, poi erano diventate due, poi tre.
Quella era la quarta. E non ero neanche a metà giornata.
-- La faccenda è seria questa volta, Lord Freezer. Non si può rimandare ancora, sperando che passi.-- disse mentre mi tastava il polso. Cercavo di mantenere un certo contegno e di mostrarmi più o meno in forze anche con lui, ma sì sa che la stirpe dei medici è quasi impossibile da ingannare, con quell'occhio clinico che si ritrovano.
Sapevo che aveva ragione. Ma la cura per la mia malattia consisteva nel somministrarmi un farmaco potente. Una volta cominciata mi avrebbe costretto a letto per una settimana almeno, ed era un lusso che non potevo permettermi.
Perché ero un imperatore.
Sempre la solita storia. E poi esiste davvero gente che ucciderebbe per diventarlo. Poveri illusi, non sanno cosa li aspetta.
-- Passerà, datemi ancora un paio di giorni.-- dissi, come se fosse una delle mie tante scartoffie da archiviare.
-- Sire, posso essere schietto?
Odiavo quella frase.
Preannunciava una batosta.
Sospirai.
-- Avanti.
-- Tutto questo lavorare vi sfinisce e non fa che peggiorare la vostra condizione. Se andate avanti così la vostra debolezza risulterà comunque evidente. Sua altezza Re Cold sarà ben lieto di reggervi il trono per tutta la durata del trattamento. O fate questo umiliante passo verso di lui oppure riceverete umiliazione più grande svenendo ad uno dei ricevimenti, in mezzo a tutti gli invitati. La scelta è vostra.
Rimasi in silenzio per un po', con gli occhi chiusi e muovendo lentamente la coda.
-- Sai perché ti permetto di essere schietto con me, senza ucciderti per oltraggio nei miei confronti?
-- No, Lord Freezer.
--Perché alla fine hai sempre ragione.
-- Ne sono onorato, sire.

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Capitolo 29
*** Una cena interessante ***


Come previsto, il farmaco mi mise fuori gioco per due settimane. Un'eternità.
Un'eternità in cui mio padre aveva retto il trono al posto mio.
Nonostante le proteste del medico fui irremovibile.
Esigevo di essere informato su ogni manovra di mio padre, anche la più insignificante.
Dovevo vigilare, sapevo che per lui era una buona occasione per giocarmi un brutto tiro. Non mi piaceva la posizione in cui ero, ciò mi rendeva più prudente ed irritabile del solito.
Dopo quelle due settimane ero come nuovo e ripresi con sollievo il mio posto sul trono. Mio padre non mi aveva giocato scherzi, l'impero era ancora sotto il mio controllo. Tutto quanto.
Ma qualcosa non andava.
Vegeta. Il re. Il figlio l'avevo spedito a conquistare pianeti lontani, cosa di cui sembrava felice. Tanto meglio per me. Con lui ignaro e fuori dai piedi potevo occuparmi tranquillamente del padre.
Avevo già stretto il mio cappio al massimo con lui e lo tenevo ben saldo nelle mani ma ero sicuro ci fosse dell'altro.
Vegeta aveva visto il mio palazzo solo una volta, al banchetto. Come erano potuti entrare quei due, Radish e Nappa, ed arrivare fino ai giardini interni, senza che nessuno se ne accorgesse?
Vegeta non disponeva di informazioni così dettagliate. Dunque qualcuno doveva averlo aiutato.
Qualcuno che conosceva bene il mio palazzo.
Ma chi?
Mio padre era ben contento nella sua posizione, lo dimostrava il fatto che non aveva approfittato del mio momento di debolezza.
-- Sire?
Cooler? No. Conoscevo la situazione della sua parte di impero. Era troppo impegnato a sedare una furiosa rivolta civile.
Mossi la coda, seduto comodo sul mio trono. Forse uno dei vecchi consiglieri di mio padre. No, non ne avrebbero tratto alcun vantaggio.
-- Sire?
Ero più propenso a puntare il dito contro i reggenti.
Eravamo soliti, una volta conquistato un pianeta, accordarci con il sovrano sconfitto e lasciarlo sul trono come nostro subordinato, come avevo fatto io con Vegeta.
Pessimo errore. Certo era buono per il popolo lasciare al loro posto i precedenti sovrani. Dava loro l'idea che nulla fosse cambiato, li teneva tranquilli. Ma al tempo stesso era un allevare serpi in seno.
Sebbene il loro popolo fosse tranquillo, i loro sovrani non vedevano di buon occhio l'essere subordinati a mio padre e poi a me, come se dopo averla persa si fossero improvvisamente ricordati di quanto era bella la libertà. E l'indipendenza. Soprattutto l'indipendenza. Conservavano il loro trono ma la loro posizione di potere era solo fittizia. In realtà rispondevano a me, io li controllavo. Come mio padre prima di me, nessuno nell'universo muoveva un dito senza la mia approvazione.
Ero come il burattinaio, in un gigantesco teatrino di marionette, e nell'universo manovravo più fili di chiunque altro. Ora però, sembrava che i miei burattini si fossero stancati dei propri fili e che avessero deciso di comune accordo di rivoltarmisi contro.
E dato che non potevano sconfiggermi, avevano pensato a un assassinio.
-- Sire?
-- Cosa c'è?!
Il piccolo alieno blu sussultò e cercò di riordinare una pila di carte col sudore sulle tempie. -- Le udienze sire. Devo aprire le porte?
Sospirai. -- Sì. Prima sento cosa vogliono e prima potrò farmi un bagno caldo alle terme.-- mi misi comodo. -- Fai entrare il primo.
Era un sayian. In uniforme con tanto di medaglie appuntate e carte alla mano.
-- Lord Freezer! Questi nuovi provvedimenti non sono tollera-
La sua testa esplose in uno schizzo rosso imperlando di goccioline tutto in un raggio di due metri. Il suo corpo rimase per un momento in piedi, poi cadde disteso.
-- Il prossimo.-- dissi abbassando l'indice.
-- Ma Lord Freezer
-- Ho detto, il prossimo.-- mossi la coda e l'alieno blu trasalì. -- E non disturbatevi a pulire, potrebbero essercene altri.
Ce ne furono altri sì, ma non tanti come pensavo. Tanto meglio. Per il resto, emissari da periferie dell'impero, qualche pescatore insoddisfatto, conflitti di proprietà e altra roba noiosa. Mi massaggiai le tempie mentre due donne si aggredivano verbalmente di fronte a me accusandosi l'un l'altra di essere l'amante del marito e chiedendomi a gran voce la testa della colpevole.
Non potevo dir loro che non era un problema mio. Lì era tutto un mio problema.
Le rimandai a casa chiedendo di portarmi i loro mariti per sentire la loro versione.
Parlando in privato fummo d'accordo che erano entrambi ubriachi ed erano entrati nelle case sbagliate. Li assolsi tutti e quattro, mariti e mogli, così finalmente mi liberai dei loro strepiti.
Mi immersi nella piscina termale con un sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi.
Tempo di mettermi comodo e l'alieno piccolo, tondo e blu ( che nella mente avevo ribattezzato Mirtillo, più tardi avrei saputo che il suo nome per intero era Berry Blue), carte alla mano, entrò nella stanza. -- Sire la cena con il sovrano di Freezer 83 è tra mezzora.
Lo guardai dall'acqua, immerso fino al naso, poi mi immersi completamente.
-- Sire la prego.
Riemersi. -- Rimandala. Non ho davvero voglia di discutere con quella vecchia ciabatta.
-- Ma Freezer 83 è a tre giorni di viaggio. Il reggente Molren non sarà contento.
-- Nemmeno io sono contento quando fuma tutto il tempo quel suo intruglio di erbe impestandomi la sala da pranzo. Eppure sono sempre stato gentile.
Berry parve esitare un attimo, poi riprese. -- Corre voce, ma è solo una voce sire, che il reggente Molren si intrattenga spesso con Re Vegeta.
Mi feci attento.
-- Pare che lo inviti a ricevimenti e banchetti, e che i due si scambino spesso corrispondenza. I loro pianeti sono vicini e i loro commerci fioriscono.
Riflettei per un attimo. -- L'accappatoio.-- chiamai. Arrivò subito una bellissima ancella ad avvolgermi mentre uscivo dalla vasca e con un'altra mi accarezzò il corpo asciugandomi. Ma non le degnai di uno sguardo. Mi rivolsi a Berry. -- Và alle cucine e dì alle domestiche di tirar fuori il vino buono. -- sorrisi. -- Credo che io ed il reggente Molren avremo molto di cui parlare.

Accolsi il reggente con tutti gli onori, a bordo della mia poltrona fluttuante, per poterlo guardare negli occhi, dato che era molto più alto di me. Era un vecchio alieno dalla pelle dorata, un umanoide magro sui due metri, con la nuca che si allungava all'indietro un po' come nella mia terza forma, e una lunga barba grigia che gli arrivava al petto.
Quando ero bambino fumava come una ciminiera e da allora non aveva mai smesso, credo nemmeno ne avesse l'intenzione. Quella miscela di erbe puzzolenti gli piaceva troppo.
Vestiva con una lunga tunica dal taglio raffinato, nera e rossa con ricami in oro, dalle maniche lunghe e larghe. Un gran bel vestito.
Io avevo la mia solita armatura. Dal giorno del discorso alla folla, non avevo più ripreso la quarta forma. Consolidato il mio potere, la prima era più che sufficiente.
Quando mi vide, l'anziano mimò un lieve inchino, non troppo pronunciato data la veneranda età. -- I miei omaggi Vostra Maestà.
-- I miei omaggi a voi, Reggente.-- lo salutai. -- Accomodatevi, la cena ci attende.
Sedemmo al tavolo solo io e lui mentre servi veloci e silenziosi ci servivano le pietanze.
Io guardavo Molren. Molren fumava. Nessuno dei due aveva cominciato a mangiare.
Misi mano alle posate. -- Dunque, mi piacerebbe sapere il motivo di questa visita, reggente.-- esordii. -- Deve essere importante, se richiede una cena fra due sovrani.
Per la prima volta in tutta la sera, Molren staccò la pipa dalla bocca. -- In realtà mio sire, si tratta di una questione di vitale importanza.-- disse, mettendo un dito nel piatto per assimilare i nutrienti attraverso la pelle. -- Ma la nostra tradizione vuole che si discuta a stomaco pieno. Si ragiona anche meglio non trovate?
La tua tradizione vuole anche che gli omicidi si organizzino in coppia per caso? Vegeta ha fallito e non te lo aspettavi. Così sei venuto a finire il lavoro eh? Vecchia volpe.
Assottigliai lo sguardo ma sfoderai un sorriso. -- Non sarò io a violare le vostre tradizioni allora. Gradite del vino? Ho tenuto da parte un'ottima annata per voi. Mi è giunta voce che siete un vero intenditore.
I bargigli sul viso del reggente vibrarono leggermente mentre sorrideva.
Mangiammo e bevemmo. Lui fumò anche, riempiendo l'aria di quel fetido intruglio.
Mentre sorseggiava il vino, gettai l'amo. -- Ditemi, ho sentito che ultimamente vi inttrattenete col sovrano del pianeta Vegeta.
Lui ebbe un fremito. -- In effetti Sire, la sua compagnia era apprezzabile. Ma questo era prima che si macchiasse di quell'orribile crimine.
-- Già.-- tutti lo sapevano ormai, la notizia girava da mesi per l'impero. -- Lo facevo una persona più intelligente.
-- Anche io sire.
Eh già. Non lo credevi tanto idiota. E ora stai disperatamente cercando di porre rimedio al casino che ha fatto, vero Molren?
La domestica mi servì altro vino. -- È buffo. Quando sopravvaluti qualcuno, finisce sempre col rivelarsi uno sciocco.-- presi il calice e lo feci ondeggiare -- E quando riponi troppa fiducia in qualcuno, finisce col tradirti. Però sai, ho recentemente scoperto che se riponi la tua fiducia in molti, basta un solo traditore, per renderli tutti tali.
Vidi lo sguardo del vecchio, lucido dal fumo, assottigliarsi.
-- La cena è finita, Molren. Ora puoi dirmi perché sei qui.
Il vecchio si alzò con la sua pipa, spostandosi a fumare sulla balconata.
Lo raggiunsi.
Mi disse tutto nei dettagli.
Mi diede i nomi. Mi parlò di come Vegeta e gli altri reggenti, lui compreso, si erano accordati per uccidermi. Molren che a suo tempo fu uno dei migliori consiglieri di mio padre, aveva fornito a Vegeta le mappe del palazzo. Non mi guardò mai in faccia mentre parlava. Rimase tutto il tempo con lo sguardo fisso sulle due lune, mentre il fumo continuava a sollevarsi dalla sua pipa.
Mi consegnò la lista di nomi, e l'accordo che avevano firmato tutti quanti, compreso lui. Era tutto autentico, con tanto di sigilli e timbri reali.
-- Perché mi dici queste cose?-- chiesi. -- Speri forse che ti risparmi?
-- No.-- lui sbuffò una nuvola di fumo. -- So che non succederà. Vedete, noi avevamo un piano. Il piano è fallito e ora voi farete ciò che avete detto e loro scapperanno come topi da un pianeta all'altro nella vana speranza di sfuggirvi. Sono sciocchi inetti, incapaci di affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Ed anche se trovassero il coraggio, morirebbero comunque, mentre io-- fece un ultimo tiro dalla pipa e mi guardò. -- Io sono troppo vecchio per queste stronzate. Ho fatto la mia mossa e ho perso. Ora voi dovete fare la vostra, Lord Freezer.
Osservai Molren ed in quel momento provai un profondo rispetto per lui. La testa mi diceva di farlo fuori al pari degli altri codardi.
Detestavo i codardi, ma Molren non era uno di quelli. Decisi che dovevo dedicare più tempo a riflettere sulla sua sorte.
Guardai le carte e le arrotolai con cura. -- Guardie.
Quelle ci raggiunsero subito.
-- Accompagnate il reggente nelle stanze degli ospiti. Assicuratevi che resti lì fino a nuovo ordine. Il suo seguito può tornarsene a casa, per quel che mi riguarda.
-- Perché?-- chiese lui.
-- Ho una lista di nomi adesso. Sono davvero troppo impegnato per pensare a voi. Deciderò la vostra sorte quando avrò sistemato gli altri.-- sorrisi. -- Tranquillo, non vi farò mancare il vostro tabacco.

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Capitolo 30
*** Il Re e il Guerriero ***


Quella sera rimasi sveglio a lungo nelle mie stanze, con quelle carte aperte sullo scrittoio, a leggere e rileggere quei nomi mentre facevo avanti e indietro dinnanzi al mobile, accarezzandolo con il palmo.
Erano nomi importanti. Alcuni di re assoggettati all'interno dell'impero, altri di sovrani indipendenti, imperatori minori.
C'erano altri imperi oltre al mio ovviamente. Contando il mio, erano quattro. Quello del sud, governato dalla regina guerriera Zenobia. Una sovrana di tutto rispetto. Si diceva che la sua bellezza fosse seconda soltanto alla sua abilità di stratega. Ci sono stati sempre diversi attriti fra noi, siamo stati varie volte sul punto di dichiararci guerra. Sia io che lei eravamo due teste dure. Io non cedevo a lei, lei non cedeva a me. Io le imponevo un confine, lei lo violava. Lei proponeva leggi, io le aggiravo. Era una specie di guerra fredda continua, che il sovrano dell' est, il re della Via Lattea, cercava sempre di sedare.
Fra i responsabili, il suo nome non compariva. Non me ne stupivo, quel polpo era sempre neutrale. Il suo era un impero che metteva al primo posto pace e collaborazione, che includeva molti siti protetti dell'universo, primo fra tutti il sistema solare, con quel gioiello che era il pianeta Terra. Erano posti che avevamo deciso, di comune accordo, di non disturbare, di conservare così com'erano perché unici in tutto l'universo.
La Terra era uno di questi luoghi, con la sua strabiliante biodiversità e la sua particolare tettonica a placche. In tutto l'universo mai si era visto pianeta così complesso e ricco di vita. Fra quei siti spiccava anche Namek, per le arti e le antichissime tradizioni namecciane, tramandate ancora oralmente da padre a figlio e rimaste invariate per millenni.
Namek si trovava nell'impero dell'est, al confine con quello dell'ovest, dominato dalla razza dei giganti e dal loro re, Genbugan.
Quando dico giganti, intendo giganti.
Sono una delle razze più strane che abbia mai visto.
Il loro pianeta, Yama, è grosso quanto il Sole e ruota attorno ad una stella ancora più grande. Ci sono due razze lì: i giganti ed il Piccolo Popolo.
Il Piccolo Popolo vive sui giganti. Davvero.
I giganti sono enormi come montagne, con il corpo di pura roccia e minerali. Su di essi vivono animali, crescono foreste, scorrono fiumi, cascate, si ergono intere città.
I giganti comunicano fra loro e con le altre razze attraverso poteri mentali. Essendo grossi e lenti al pari delle montagne, impiegherebbero millenni a pronunciare una singola frase.
Fino a quel momento eravamo rimasti in pace, stringendo accordi di alleanza reciproca, riunendoci di quando in quando per discutere di questioni che ci riguardavano ( e anche per spettegolare sull'aristocrazia, come sui nostri reciproci sottoposti, davanti ad un bicchiere di vino).
Quello del nord, il mio, si ricorda fra tutti perché era il più grande ed il più potente. Non mi stupiva il fatto che in mezzo vi fossero anche loro, nella speranza di aggiudicarsi territori in più. Pensavano che togliendo di mezzo uno degli imperatori, magari quello con più territori, sarebbe stato facile spartirsi anche la sua fetta di torta.
Ma ora li avevo in pugno.
Dovevo soltanto decidere da quale iniziare, e la lista era lunga. Molto lunga.
Pensai che avrei potuto concentrarmi sugli imperatori: spariti gli alleati esterni i sovrani assoggettati avrebbero abbassato subito la cresta. Avrei anche potuto delegare qualche nome alla squadra Ginew, o a Zarbon e Dodoria. Sapevo che era il modo più saggio e veloce di risolvere la questione.
Ma non era il modo che piaceva a me.
Io volevo occuparmene di persona. E volevo occuparmi di ogni singolo nome. Come? Oh avevo tutto il tempo per pensarci.
E avevo già un'idea.
-- Freezer.
Mi voltai di scatto e per poco non attaccai l'intruso nella mia stanza. -- Beerus?
-- Tuo padre non ti ha educato a dovere?
-- Lord. Beerus.-- mi corressi. C'era anche Whis con lui. Stava alle spalle del gatto, reggendo il suo inseparabile bastone. -- A cosa devo questa visita?
-- Ho saputo della tua perdita Freezer. Le mie condoglianze.
Strinsi i pugni. -- Non era necessario
-- In realtà non sono venuto per questo.
Assottigliai lo sguardo.
-- Puzzi, Freezer.-- disse strofinandosi il naso. -- Sento l'odore del tuo odio dal mio pianeta.
-- E dunque?-- chiesi.
-- Non è un buon odore. É un odore che non dovresti tenerti addosso.
Sorrisi. -- Me ne libererò presto.-- andai verso lo scrittoio. -- Era una cospirazione, Lord Beerus. Per assassinarmi. É stato per puro caso se-- mi bloccai e la mano sullo scrittoio si chiuse a pugno. -- Ma ho i nomi. Tutti. Il reggente Molren me li ha forniti.
-- E ti fidi di lui?
-- C'è il suo nome sulla lista. Non è fuggito come gli altri.
-- E la cosa non ti insospettisce?
-- Molren non è più un problema ora.
-- L'odio di sta annebbiando la vista, Freezer. Non è da te agire così.
Ridacchiai. -- Ogni tanto si deve pur cambiare.
-- Sai cosa succede quando quelli come te si lasciano dominare dall'odio, Freezer?
Sospirai. -- Cosa dovrei fare? Perdonarli? Lasciarli in vita come se nulla fosse?
-- Non è ciò che voleva lei?
-- Non è ciò che voglio io! -- replicai voltandomi di scatto e sbattendo la coda a terra. -- Loro, me l'hanno portata via.
Bills arricciò il naso mentre sentivo la mia aura crescere e la terra tremare lievemente. -- Sai che Neve non vorrebbe questo.
-- Neve è morta!-- urlai e piantai un pugno nello scrittoio proprio nel mezzo, sollevando schegge di legno mentre le due estremità guizzavano piegandosi verso l' alto. -- Vuoi che passi sopra la morte di mia moglie? Che reagisca come se nulla fosse accaduto?
-- No. Ma potresti risolvere la questione con un processo, seguendo le leggi.
-- Le leggi non sono abbastanza. La condanna non sarebbe abbastanza. Voglio che soffrano, che tremino di paura. Che spariscano gridando di terrore. E farò in modo che la loro fine sia di monito a tutti.
Bills mi guardò standosene a lungo in silenzio, al punto che mi chiesi cosa diamine stesse facendo lì immobile come una statua. Stavo per richiamare la sua attenzione quando fu lui a parlare. -- Se è questa la tua decisione, io non interferirò.
-- Quell'affermazione mi lasciò perplesso. -- Davvero?
-- Non mi piace ripetere le cose. Hai carta bianca. Fa quello che ti pare.-- si voltò -- Whis andiamo! É quasi ora del mio sonnellino.
In un lampo i due scomparvero ed in quell'istante Zarbon e Dodoria entrarono spalancando le porte. -- Lord Freezer state bene? Abbiamo sentito dei rumori.
Sorrisi. -- Sto bene Zarbon. Sto così bene che credo organizzerò un bel banchetto.

Invitai tutti i reggenti segnati sulla lista. Che si insospettissero pure. In ogni caso, non avrebbero potuto rifiutare un invito ufficiale. Disdire un invito ufficiale sarebbe stato un atto di grande offesa nei confronti dell'imperatore, che andava giustificato adeguatamente. Sapevo che quell'invito scritto di mio pugno e col sigillo imperiale sarebbe arrivato loro come una sentenza di morte.
Non avevo invitato Vegeta. No, per lui volevo qualcosa di speciale. Avrei speso un po' più tempo a pensare a come mandarlo all'altro mondo.
-- Zarbon, è arrivata la miscela speciale che ho ordinato?
-- Giusto oggi Lord Freezer.
-- Molto bene.-- dissi, facendo oscillare il calice di vino. -- E il vino?
-- Certamente.
-- Perfetto.-- replicai e rivolsi lo sguardo a Berry. -- Ci sono altre udienze? O altri generali saiyan venuti a far reclamo?
L'alieno blu sfogliò le carte con mani tremanti. -- Una soltanto sire.
-- Oh bene. Fallo entrare e facciamo alla svelta, voglio immergermi un po' nella vasca termale.
Quando le guardie aprirono le porte, la luce disegnò l'ombra di un saiyan.
Sollevai l'indice. -- Oh bene, sarà più veloce del previsto.-- mormorai.
Ma non lo colpii. Lo lasciai avanzare fissandolo senza staccare gli occhi dalla sua figura. La mano tornò a poggiarsi sul bracciolo del trono.
-- Bardack.
-- Freezer.
-- Cosa vuoi?-- chiesi, muovendo la coda. -- Vegeta ha esaurito gli araldi?
-- No. Voglio solo parlare.
Lo guardai, riflettendo sulla sua richiesta.
-- Lasciateci soli.
Zarbon fece un passo avanti. -- Ma
-- Zarbon!
Lui si morse il labbro ed abbassò lo sguardo. -- Come ordinate.
Attesi che tutti uscissero, poi fummo soli. A quel punto, Bardack parlò.
-- Non sono qui per conto di Re Vegeta.
-- L'avevo capito.-- sorrisi. -- Sei qui per unirti a me.
-- Cosa?
Ridacchiai. -- Oh andiamo. Re Vegeta non è neppure l'ombra di quel che è stato. Il suo regno è destinato a crollare e a finire nelle mie mani.-- sollevai la mano e la chiusi a pugno, poi lo guardai. -- Anzi, è già nelle mie mani, solo che lui è troppo stupido per rendersene conto.
-- Non sono venuto per questo.
-- Ah no? E per cosa allora?
-- Per parlare della situazione. E per trovare il modo di risolverla.
Ridacchiai e scossi la testa. -- Ah Bardack, amico mio. La situazione è già risolta. Vegeta sta pagando il prezzo delle sue azioni.
-- No, Freezer. Tutti stanno pagando il prezzo delle sue azioni. Pensaci, i loro figli spediti lontano, loro che si spostano da un pianeta all'altro per ripulirlo a costo della vita.
-- Oh andiamo, come se non gli piacesse fare ciò per cui li pago.
-- Non credo che quella che elargisci possa essere chiamata paga.
Sospirai scocciato. -- Ho da fare Bardack. Cosa vuoi? Denaro? Fama? Una promozione?
-- Voglio che tu ridia una dignità alla mia gente.
-- Il tuo re se l'è giocata quando ha ucciso Neve. E con la sua quella di tutto il popolo.-- mi alzai e scesi gli scalini per andargli incontro. -- Tu non sai cosa significhi portare il peso di una corona. L'errore di un sovrano si ripercuote sempre sul suo popolo. Vegeta questo lo sa. Semplicemente non gli importa.-- misi le mani dietro la schiena e levitai fino alla sua altezza per poterlo guardare dritto negli occhi. -- E adesso permettimi una domanda. Serviresti un re che non si cura del suo popolo?
Per un attimo vidi la sua sicurezza vacillare, ma fu solo un momento. Bardack strinse i pugni. -- Sei tu l'artefice di quegli editti. E Vegeta-- assottigliò lo sguardo -- Vegeta è sempre stato un re fiero che ha guidato i saiyan con sapienza. Non abbandonerò il mio re, ora che ha commesso un errore.
-- Un imperdonabile errore.-- lo corressi, poi tornai a sedermi sul trono. -- I nostri attriti si evolveranno, Bardack. Arriverà il giorno in cui i nostri eserciti si affronteranno. E quel giorno, non saremo dallo stesso lato del campo di battaglia, a meno che tu non decida diversamente. Te lo chiedo ancora una volta: unisciti a me.
-- No Freezer. Il mio posto sarà sempre a fianco al mio re ed al popolo dei saiyan.-- replicò e tutt'oggi ha ancora la mia ammirazione per quelle parole. -- Non ucciderò la mia stessa gente.
Lo guardai a lungo, in silenzio, memorizzando quegli occhi scuri che mi guardavano fisso. Lo sguardo dell'infimo saiyan che mai si sarebbe inginocchiato ad un re diverso dal suo. Esattamente come me.
Eravamo simili, orgogliosi e testardi ma lui, lui aveva una lealtà che mai avevo mostrato a mio padre. Questo era Bardack. Un soldato che fu fedele al suo re e a nessun altro, nel bene e nel male.
Fino alla fine.

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Capitolo 31
*** La fine di Vegeta ***


Era infine giunto il giorno del banchetto.
L'avrei svolto su un altro pianeta. Freezer 956.
Non ricordo come si chiamava prima ma era su quel pianeta, che si trovavano i fiori più belli. Per qualche motivo, lo sviluppo della vita si era fermato a piante e insetti e l'intero pianeta era un prato in fiore con ruscelli che scorrevano fra l'erba alta. Faceva parte di un sistema planetario di cui andavo molto fiero. Era composto da una quindicina di piccoli pianeti, tutti come Freezer956, che ruotavano intorno ad una stella più piccola del sole. In realtà, non erano che un gruppo di piccoli asteroidi attirati dalla debole gravità di una nana bruna, tiepida e opaca, che trasformava i loro cieli in eterni tramonti. Erano luoghi meravigliosi, che con Neve visitavo spesso e in cui mi piaceva organizzare cerimonie, dato il clima accettabile per tutte le razze.
Feci allestire tutto con cura: vino, pietanze, tavoli e sedie. Poi richiamai tutti i servi nella mia astronave, la feci decollare ed attesi quelle degli invitati.
Ero solito farmi aspettare, arrivare per ultimo, nel mezzo del banchetto.
Ma questa volta non li avrei raggiunti.
Li immaginavo mangiare e bere, mentre guardavo il piccolo asteroide fiorito dal tetto della mia astronave, nascosta dalla luce rossa della nana bruna.
Dalla mia poltrona non potevano scorgermi ed io non potevo vederli ma avevo ben chiari nella testa i loro ultimi attimi di terrore.
Avrebbero visto una stella accendersi nel sole rosso, una scintilla di luce bianca. L'avrebbero vista diventare sempre più luminosa, abbagliante, e sempre più grande. L'avrebbero vista oscurare il sole con la sua luce viola e farsi sempre più grande.
Avrebbero capito che si stava avvicinando, sarebbero corsi alle loro navette pur sapendo che era troppo tardi.
Avrebbero gridato di terrore vedendo la terra staccarsi e fluttuare lasciando voragini sotto i loro piedi, vedendola tremare, sussultare, disgregarsi sotto il cielo viola.
Avrebbero sentito il calore aumentare aggredendo le loro carni fino a scoprirne le ossa e lasciando solo cenere. Non avrebbero visto l'acqua evaporare, l'erba bruciare, la terra dissolversi. Non avrebbero visto Freezer956 sparire nell'oscurità dello spazio, come se non fosse mai esistito.
Non fece un gran botto, non ci furono fuochi d'artificio degni di nota. Semplicemente l'asteroide sparì in un'esplosione di luce viola.
Per quanto possa sembrare il contrario, non vi è nulla di doloroso in una fine del genere. É una morte troppo rapida per essere dolorosa ma mi andava bene. Volevo farli sparire insieme a tutti quei fiori odiosi che mi ricordavano tanto la mia amata Neve.
Una volta mi piacevano, lei era riuscita a farmeli apprezzare seminandomi i loro petali per il palazzo. Li metteva sparsi in ciotole che spandevano ovunque profumo. Era piacevole la sensazione che davano e tutti i loro colori che spiccavano nel palazzo.
Dopo che Neve, beh, dopo. Dopo, vederli mi procurava rabbia. Erano lì a ricordarmi che lei non c'era. Diamine, tutto il palazzo mi ricordava che lei non c'era. Era vuoto. Fra tutte le voci, mancava la sua. Mancava la sua musica, nei giorni in cui era solita suonare il pianoforte nella sala da ballo. Amavo sentirla suonare, glielo avevo insegnato io.
Ora quel piano prendeva polvere e ogni volta che lo guardavo, vedevo noi due seduti a ridercela fra uno spartito e l'altro.
Non c'era luogo del palazzo che non me la ricordasse, fu anche per questo che un giorno decisi di recarmi altrove, di viaggiare con la mia nave. Ma questo ve lo racconterò più tardi. Una cosa per volta.
Rientrai nella navicella, dopo aver goduto del mediocre spettacolo pirotecnico. Zarbon e Dodoria mi fissavano a bocca aperta, così come un paio di sottoposti.
-- Allora?-- chiesi. -- Perché non vedo gente ai comandi? Rotta verso casa, ho un bel po' di scartoffie da sistemare.
I sottoposti corsero via e Dodoria mi affiancò preoccupato. -- Lord Freezer
-- Sì Dodoria?
-- E adesso?
-- Cosa intendi?
-- Avete radunato tutti i reggenti dell'impero su un pianeta che avete fatto saltare in aria. Ora cosa faremo?
Lo capivo, aveva paura, paura che quel gesto attirasse l'attenzione degli altri imperi, che le alleanze si incrinassero. -- Faremo questo Dodoria: tu andrai nella stiva, aprirai la cassa col sigillo e mi porterai calice e bottiglia. Riguardo a me, ciò che farò sarà mettermi comodo sulla poltrona e bere una coppa di buon vino rosato mentre torno a casa mia.
Dodoria non replicò ed eseguì gli ordini. Zarbon rimase al mio fianco.
Sospirai. -- So a cosa pensi. Ecco cosa farai tu: seleziona persone fidate tra i generali del mio esercito, assegna ad ognuno un pianeta e fai in modo di piazzare telecamere spia e ricetrasmittenti. Questa volta voglio tenerli d'occhio. Voglio vedere e sentire tutto, anche i respiri, 24 ore al giorno.
-- E il pianeta?
Dodoria arrivò con il vino e mi versò subito un calice che presi a sorseggiare. -- Voglio che sia di monito per tutti. Assegna i troni vacanti ai generali e dà loro l' ordine tassativo di sedare ogni ribellione col pugno di ferro. Non voglio che questo gesto scuota l' impero. Esigo ordine.-- bevvi un sorso. -- Dì loro che li riterrò responsabili di ogni problema causato dai ribelli. Fa una lista di nomi e pianeti e portamela, voglio vederla ed approvarla io stesso.
Zarbon annuì e rimase al mio fianco reggendo la bottiglia, mentre la nave riprendeva il viaggio diretta verso casa.

Per quanto mi scervellai cercando un modo adeguato per eliminare Re Vegeta, inaspettatamente fu lui a venire da me e fu proprio in occasione del mio viaggio di ritorno dopo essermi liberato dei reggenti.
Per tornare a casa, dovevo passare vicino al pianeta Vegeta. A quanto pare, al re era giunta non so come la notizia del banchetto.
Qualcuno glielo aveva detto, e doveva anche avergli detto che ero partito con un numero esiguo di soldati, giusto l'equipaggio della mia nave.
Forse pensava fosse un piano geniale, affiancare la mia nave con la sua e tentare un abbordaggio con i suoi soldati d'elite. Pensava di prendermi dopo un banchetto, di trovarmi con pochi soldati a proteggermi. Credeva di trovarmi vulnerabile e che quello sarebbe stato il momento perfetto per attaccarmi con tutti i suoi soldati migliori.
Povero idiota.
-- Lord Freezer!-- Zarbon entrò nella stanza tutto trafelato e inginocchiandosi. -- Re Vegeta! Sta cercando di salire sulla nostra nave!
Feci spallucce. -- Lascia che venga.
-- Ma, signore, non è solo.
-- E allora?
-- Ha tutta la sua squadra di elite al seguito, non credo voglia parlare.
Feci dondolare il calice, osservando l'ondeggiare del vino. -- Vuole finire il lavoro.-- replicai. -- Ma con me, non avrà la stessa fortuna.
Re Vegeta riuscì a salire sulla mia nave con i suoi uomini d'elite. Sentivo gli spari dei miei uomini che tentavano di fermarli, i suoni del combattimento tali da far tremare la nave.
Sentivo la voce ovattata di Re Vegeta avvicinarsi chiamando il mio nome.
-- Zarbon, apri la porta.
-- Signore-
-- Fallo!-- ordinai lasciando la poltrona.
Come Zarbon aprì la porta, incrociai lo sguardo del re, nel corridoio. Rimasi fermo sulla soglia della stanza.
-- Vegeta. Hai così tanta fretta di onorarmi con la tua presenza?-- chiesi sarcastico.
Lui mi guardò con odio e con uno scatto irruppe nella stanza.
I suoi uomini però, rimasero sulla soglia. Li guardai e scorsi la paura nei loro occhi.
-- La tua tirannia finisce oggi, Freezer.-- disse Re Vegeta. -- Oggi inizia una nuova era. L'era del dominio saiyan!
Scoppiai a ridere, non riuscii a trattenermi. Strinsi il calice di vino fino a farlo esplodere e guardai il re dritto negli occhi.
-- Vuoi il mio impero Vegeta? Vieni a prenderlo.
Lui si scagliò contrò di me provando a colpirmi con un pugno che schivai semplicemente inclinando il capo da un lato. Frugai nel suo sguardo e lo vidi sorpreso.
Scommetto che ora desideri essere in un altro luogo, Vegeta. Scommetto che ti rendi conto solo ora dell'errore madornale che hai commesso.
Attaccò di nuovo, lo schivai.
Ma questa volta risposi.
Lo uccisi con un solo pugno, sotto lo sguardo dei suoi soldati. Il medaglione reale rotolò ai miei piedi.
-- No! Maestà!-- gridò uno di loro.
Guardai il corpo senza vita di Re Vegeta e poi spostai l'attenzione sui soldati.
L'errore di un re, si ripercuote sempre sul suo popolo.
Neve un tempo mi avrebbe fermato. Mi avrebbe chiesto di risparmiarli e forse per amor suo l'avrei fatto.
Ma Neve non era più al mio fianco.
Schiacciai il medaglione con il piede e mentre lo sentivo frantumarsi sotto al mio peso mi levai lo scouter e spazzai via i soldati con un fascio di energia dagli occhi. Rimasi per un attimo a guardarli poi mi rimisi lo scouter. -- Dodoria, chiama Appule e digli di pulire questo macello. Tu Zarbon, devi fare una cosa per me. Traccia una panoramica di tutte le squadre saiyan che non si trovano sul pianeta Vegeta. Manda squadre dell'esercito sui pianeti che stanno conquistando. Ordina loro di eliminare a vista ogni saiyan. Non ammetto fallimenti.
-- Signore fra questi c'è anche Bardack.
-- Manda Dodoria per lui.
-- Volete ucciderlo? Ma lui è sempre stato leale con noi.
-- Non lo sarà più, ora che ho ucciso il suo re.-- dissi, osservando l'atmosfera rossa di Vegeta. -- Ha fatto la sua scelta.

Rimasi ad attendere il ritorno di Dodoria navigando intorno all'orbita del pianeta Vegeta.
Questa parte della storia di sicuro vi sarà famigliare.
Ciò che vi hanno raccontato è vero: Bardack sfuggì alla morte per mano di Dodoria ma la cosa non mi preoccupò, dato che faceva rotta sul pianeta Vegeta, che io mi accingevo a distruggere. Ma la cosa che mi colpì, fu il suo venirmi incontro, come se conoscesse il mio piano, come se sapesse in anticipo quel che volevo fare.
Rabbrividii al pensiero che avrebbe potuto informare gli altri saiyan e che quelli mi si rivoltassero improvvisamente contro in preda alla collera. A quel punto non avrei potuto usare la scusa del meteorite.
L'etichetta di sterminatore di saiyan poteva nuocere seriamente alla mia immagine.
Ma quando lo vidi, era solo.
Non so per quale motivo gli altri non l'avevano seguito, forse erano terrorizzati, o forse non lo avevano preso sul serio.
Vederlo gettarsi alla carica verso la mia nave smosse qualcosa nel mio animo. Sapevo che non poteva farcela, e credo lo sapesse anche lui. Eppure non si fermò. Per un attimo sperai che tornasse indietro.
Vidi i miei soldati uscire, e vidi Bardack farsi strada tra loro urlando il mio nome.
<ì>Per cosa combatti?
-- Zarbon. Apri il portello superiore.
-- Ma lord Freezer
Mi bastò sciogliere le braccia incrociate per sentirlo correre via.
Quando vidi Bardack, da sopra la mia nave, in due lo trattenevano ma nel vedermi lo lasciarono andare.
Sul suo volto vedevo solo ostilità ormai. Dodoria doveva aver ucciso tutti i suoi compagni.
Mi ricordò quel giorno in cui difesi il mio popolo dal Levyathan, vent'anni prima.
Io credo che al posto di Bardack avrei fatto le stesse cose. Avrei difeso il mio popolo fino alla fine.
Ma questa volta non ero al posto di Bardack. Non ero l'eroe, il giovane futuro imperatore che si erge in difesa della sua gente.
Ero il mostro venuto a distruggere un intero pianeta.
Potevo ancora cambiare le cose? Voltarmi e risparmiare loro la vita?
<ì>Per cosa combatti?
La domanda di Bardack continuava a rimbalzarmi nella testa. Non sapevo rispondere in quel momento.
Sapevo solo che qualunque cosa avessi fatto, avrei vinto. Io ero il grande Freezer e nessuno poteva fermarmi.
Entrambi avevamo deciso.
Con mia sorpresa, Bardack rise e si mise a blaterare qualcosa sul destino, mentre io caricavo la supernova senza capire granchè del suo discorso. Lo ascoltai, attendendo la sua mossa, sperando forse, che in un ultimo lampo di lucidità mentale si arrendesse schierandosi dalla mia parte.
Ma non lo fece.
La mia Supernova assorbii il suo colpo e quando la lanciai, si portò via lui, i soldati rimasti fuori ed il pianeta Vegeta.
Questa volta non fu come l'asteroide. Fu un tripudio di luci, esplosioni e scintille. Lo spettacolo più bello che abbia mai visto. Ne rimasi estasiato, meravigliato e.. compiaciuto.
Poi il pianeta Vegeta, ex pianeta Plant che io stesso avevo aiutato a conquistare, svanì, lasciando solo una nube di detriti.

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Capitolo 32
*** La Leggenda di Vega e Polaris ***


Potreste chiedervi il perché di tutto il resto. Assassini uccisi, pianeta distrutto. Vendetta compiuta. Il monarca può tornare a regnare felice e contento.
La vendetta non risolve niente, solo ora me ne rendo conto. Vi parlerò di “ora” ma non adesso. Potreste anche arrivarci da soli volendo. Sto narrando del passato, non ha senso parlarvi del presente. Non quando mi resta ancora una buona fetta di eventi di cui conversare.
Come avrete compreso, la vendetta non cancellò il mio dolore. Se dovessi paragonarla a qualcosa, sceglierei una di quelle medicine per bambini: all'inizio ne senti il sapore zuccherino o di frutti ma è solo un momento. Serve solo a mascherare il vero sapore. E quando infine lo senti, è amaro, amaro e amaro. La vendetta non cacciò via i ricordi, non mi fece divenire sordo ai silenzi o cieco alle assenze.
Continuai a regnare e a mantenere buoni rapporti con gli altri imperi ma il mio cuore rimase freddo, duro, come il carapace di certe creature. Il mio cuore si era costruito un guscio e vi si era ritirato in cerca di un rifugio sicuro. Tuttavia c'erano attimi in cui si prendeva la libertà di uscire e scaldarsi.
Cominciai a dedicare molto più tempo al mio Kuriza. Aveva il caratterino dolce e spensierato di sua madre ed era altrettanto testardo. Non andava a dormire senza la sua favola.
Così ogni sera mi ritagliavo del tempo per lui, per raccontargli la favola della buonanotte.
Potrebbe sembrarvi strano, visto come mi descrivono i libri, tuttavia ho anche io degli sprazzi di bontà. Mio figlio aveva il potere di intenerirmi, di rendermi una persona migliore, come sua madre. Diamine aveva preso tutto da lei.
L'ora della favola era una cosa nostra, un momento solo per noi. Dove essere noi stessi. Non imperatore, non erede, solo padre e figlio. E io credo fosse un balsamo per il cuore di entrambi.
Che ci crediate o no, fu una favola a darmi l'idea. A decretare ciò che avrei fatto per venticinque anni.
La favola preferita di Kuriza narrava delle origini della nostra razza. Di come i primi due vennero forgiati dalle stelle e scelsero per vivere questo pianeta.
La storia di Vega e Polaris.
Kuriza la amava, gliel'avevo narrata in tutte le salse ma non ne aveva mai abbastanza. Come dargli torto del resto. Era una storia antica, una leggenda dolce e struggente, dove c'erano amore e battaglie.
Quella sera, da sotto le coperte me la chiese per l'ennesima volta.
-- Polaris e Vega! Polaris e Vega!
-- Ancora?-- protestai mentre mettevo a posto un libro nella piccola libreria della sua stanza. -- Te la sto narrando da giorni.
-- Ti prego!
Sospirai. -- E va bene.-- dissi e allungai la mano verso il libro.
-- Non quella del libro. Voglio quella che racconti tu!
-- Ma è uguale!
Lui scosse la testolina. -- No. Tu la racconti meglio.
Lo assecondai e mi misi a sedere sul letto, rimboccandogli le coperte con la coda. -- Va bene. Ma poi dormi eh.
Lui annuì, raggomitolandosi ed attendendo.
Mi schiarii la voce. -- Molto tempo fa, quando le stelle erano ancora giovani, una di queste desiderava lasciare il suo posto per poter volare libera nello spazio. Il suo nome era Polaris.-- cominciai. -- Polaris desiderava a tal punto la libertà, che un giorno gli dèi decisero di darle la forma di una creatura terrena, pur conservando la sua energia. Polaris era felice delle sue nuove sembianze, del fatto di potersi muovere e scivolare veloce fra le nebulose colorate. Si mise così in viaggio, esplorando lo spazio in lungo ed in largo.
Kuriza restava in silenzio, muovendo la codina ed ascoltando.
-- C'era molto da vedere, molto da scoprire, ma nessuno con cui condividerlo. Così un giorno, Polaris decise di implorare il cielo perché gli desse qualcuno con cui condividere la vita, il viaggio e le scoperte. Gli dèi lo accontentarono e in questo modo nacque Vega.-- raccontai. -- Vega e Polaris viaggiarono in lungo ed in largo ed alla fine si innamorarono. Scelsero allora un pianeta dove dimorare, in cui avere tanti cuccioli e vivere felici.
-- E scelsero questo, vero?
-- Esattamente.-- replicai. -- Ma quel che non sapeva, era che su questo pianeta viveva una creatura malvagia, che non vedeva di buon occhio la loro presenza. La Dama dei Ghiacci vide che Polaris era molto bello e pensò di farne il suo compagno. Ma lui la respinse, perché era innamorato di Vega.-- spiegai. -- Così, furiosa di gelosia, la maga la fece morire, mentre Polaris era lontano.
-- Stronza!
-- Kuri!
-- Scusa papà.-- mormorò lui e tornò ad ascoltare.
-- Polaris pianse a lungo la sua compagna. Non riusciva a darsi pace. Così decise di andare dalla Dama dei Ghiacci.-- lui si fece attento. -- “Riportala in vita e io sarò il tuo sposo!” la supplicò ma a quella non bastava. “ Il prezzo non è equo!”.-- dissi, cambiando tono per fare le diverse voci dei personaggi. -- Polaris amava Vega a tal punto che chiese alla maga di prendere la sua vita, in cambio di quella della compagna e della promessa che avrebbe lasciato vivere sul pianeta lei con i loro cuccioli. La maga accettò. Ma gli dèi, furiosi, non rimasero a guardare. Imprigionarono la Dama dei Ghiacci in una prigione di neve e cristalli perché non nuocesse più a nessuno. E salvarono Polaris, facendolo tornare una stella.
-- Perché non l'hanno uccisa?
-- Perché meritava una punizione peggiore della morte. L'hanno condannata a rimanere in quella prigione per l'eternità. E l'eternità va ben oltre la morte.--spiegai. -- Persa la sua forma fisica, Polaris non poteva più avvicinarsi a Vega e ai suoi cuccioli, per questo era molto triste. Ma era anche contento, perché li vedeva crescere sani e forti. Gli dèi allora decisero di concedergli un altro dono, dandogli il permesso di scendere dal cielo una volta ogni mille lune, per riabbracciare la sua amata. Quando anche Vega terminò i suoi giorni mortali, lo raggiunse in cielo e si mise accanto a lui. Sono le due stelle vicine che vedi tutte le notti, nel cielo.
Kuriza sorrise. -- E i cuccioli?
-- Beh diventarono grandi. Ed ebbero altri cuccioli. Anche loro diventarono grandi ed ebbero altri cuccioli, fino ad arrivare a noi.
Lui si strinse nelle coperte. -- Sarebbe bello se anche la mamma potesse scendere dal cielo e tornare da noi.-- disse.
Non replicai. Improvvisamente quella favola mi si presentava sotto una nuova luce.
-- Padre?
Era una leggenda. Esistevano molte leggende simili. E in tutte le leggende c'era un fondo di verità.
-- Padre?
Accarezzai la testa di Kuriza. -- Dormi Kuri. Devo occuparmi di alcune cose.
Mentre Kuriza si sistemava comodo, presi un bel po' di libri dalla sua biblioteca e passai la notte a sfogliarli. Senza scomodare gli dèi o la Dama dei Ghiacci, avrei trovato qualcosa.
Avrei riportato in vita mia moglie. E nulla mi avrebbe fermato.

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Capitolo 33
*** Yama ***


Passai diversi giorni a sfogliare libri, da quelli per bambini di Kuriza a quelli più antichi della biblioteca del palazzo e dopo giorni di ricerche infruttuose, finalmente vidi qualcosa che faceva al caso mio.
Incastonato nel nucleo dell' enorme pianeta Yama, si trovava una gemma che sia Piccoli che Giganti chiamavano “Il Cuore di Zircon”. Si narrava che la gemma, gelosamente custodita dal pianeta stesso, fosse la sorgente dell'impulso magnetico che teneva in vita quel pianeta solido e freddo.
La leggenda tendeva a mistificare tutta la storia ma grazie alle informazioni dei miei scienziati posso spiegarvi tutto per bene.
Yama era un pianeta enorme, ma soprattutto molto, molto antico. Man mano che l'esistenza di un pianeta scorre, i suoi strati più interni si raffreddano fino a solidificarsi. A quel punto il pianeta perde il suo campo magnetico e con esso la protezione dalle radiazioni della sua stella. Yama dovrebbe essere un deserto, invece è rigoglioso e pieno di vita. Quando gli studiosi si recano lì per scoprirne il motivo, i Giganti raccontano loro la leggenda del Cuore di Zircon, la scintilla vitale ancora presente nel nucleo del pianeta. A quanto sembra quella gemma o qualunque cosa sia, è in grado di generare un campo magnetico che permette la vita su tutto il pianeta. Ma non solo. La leggenda sostiene che un solo frammento di quella gemma possa restituire la vita a chiunque la indossi. Ma se indossata da una creatura viva, la riduce in cenere.
Ero perplesso riguardo quest'ultima parte ma la speranza di riportare in vita la mia Neve era sufficiente.
-- Zarbon.
-- Sì Lord Freezer?
-- Prepara la nave. Facciamo rotta verso il pianeta Yama.
-- Signore è un lungo viaggio.
-- Lo so. Lascerò il trono a mio padre. -- replicai. -- Vuole che organizzi un incontro con Lord Genbugar?
Mi misi a riflettere. Volevo quella gemma, a qualsiasi prezzo. -- Avvisalo della mia visita. Informalo che sarà un piacere per me incontrarlo durante la mia permanenza a Yama.
Dodoria fece un passo avanti -- Volete davvero cercare il Cuore di Zircon?
-- Sì ma Genbugan non deve saperlo, altrimenti si opporrà, ne sono sicuro. -- dissi, facendo oscillare il vino nel bicchiere. -- é sempre stato irremovibile sulle sue decisioni. Ha la testa dura quanto la roccia di cui è fatto. -- stavo per continuare quando un rumore ci colse di sorpresa. Ci voltammo verso la soglia della porta tutti e tre.
-- Come osi disturbare Lord Freezer? -- sbraitò Zarbon.
Il giovane Vegeta si inginocchiò. -- Sono qui per portare i miei saluti a Lord Freezer.
-- Avrà sentito la nostra conversazione? -- mi sussurrò Dodoria. Fissai il saiyan senza dir nulla, aspettando che fosse lui a rivelarmi il vero motivo della sua comparsa. Non era lì solo per un saluto. Non si disturba un sovrano mentre discute con i suoi consiglieri, solo per salutare. Se così fosse stato, mi sarei divertito ad insegnargli qual era il suo posto.
-- Parla. -- lo esortai, con un gesto della mano.
-- Il pianeta che mi avete mandato a ripulire ora è vostro, grande Freezer.
Attesi. Non era un motivo sufficiente per disturbarmi. Sperai che avesse altro da dire. Non avevo voglia di imbrattare il pavimento di sangue di prima mattina.
Vegeta mi guardò e chinò il capo, esitante. -- Avete altre missioni da affidarmi?
Sospirai. -- Quanto hai sentito della nostra conversazione?
Lui non rispose ed io presi una decisione. -- Vieni con me, giovane principe.
Zarbon e Dodoria si guardarono. Li sentii avanzare dietro di me -- Andate pure. Voglio parlare da solo con lui.
Mi lasciai dunque alle spalle i due e avanzai con Vegeta lungo il corridoio. Il giovane stava dietro di me, seguendo la mia poltrona fluttuante con quell'aria fiera e spavalda di un giovane rampollo. Ostentava stupidamente un titolo di cui non poteva vantarsi, continuava a credersi l'erede legittimo di un pianeta ridotto in polvere, futuro re di un popolo estinto.
Vegeta, il fiero principe del Nulla, nutriva per me una stima incondizionata. Solo per la mia forza. Leccava la mano che non poteva mordere, in altre parole. Non mi importava, finché il principino non mi dava problemi. Ne avrei fatto il mio braccio destro, il migliore dei miei guerrieri, o lo avrei eliminato, in caso di problemi.
Ero abbastanza sicuro che lo sapesse. Era un ragazzino sveglio, per questo non aveva fatto la fine di suo padre. Meglio un ruolo di spicco sotto di me, che essere ridotto in cenere come il resto dei suoi.
Giungemmo alla Cupola, la zona del portello superiore. Un ampio atrio vuoto con un tetto di vetro circolare, un gigantesco lucernario che lasciava intravedere lo spazio circostante e che si apriva ad un mio ordine. Guardai le stelle lontane splendere al di là del vetro.
-- Vuoi che ti metta alla prova vero?
Vegeta non rispose, sentivo la sua paura. Sorrisi, dandogli le spalle, poi schiacciai alcuni tasti sulla poltrona fluttuante e la stanza si illuminò di ologrammi che rappresentavano stelle e pianeti.
-- Vedi questo? Questo è Yama. -- dissi. -- Ho intenzione di passarci un po' di tempo, di rilassare la mente osservando le splendide albe dai colori pastello far capolino dalle alte vette e di passare del tempo con la mia famiglia nei verdi e alti pascoli, dove l'aria è fresca e pulita. -- sorrisi sarcastico. -- In altre parole, me ne vado in vacanza.
Il principino mi guardò stranito -- Una vacanza?
Annuii -- E' questo che diremo a Lord Genbugan. E questo è ciò che farò io. Ora lascia che ti spieghi cosa farai tu. Tu sarai i miei occhi e le mie orecchie. Dovrai cercare informazioni sul Cuore di Zircon e dovrai portarmele. Qualsiasi informazione, anche la più piccola. Voglio sapere dove si trova di preciso e come si può recuperare. -- incrociai le braccia. -- Ovviamente dovrai farlo in modo da non insospettire nessuno. Non accennare a me in nessun caso. -- sorrisi -- Ora puoi andare. Partiremo a breve.

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Capitolo 34
*** Cristalli e Scorie ***


Ci volle un mese di viaggio per far atterrare la nostra navicella nelle rade e sconfinate pianure di Yama. Genbugan ci aveva riservato un corteo di benvenuto come era solito fare con tutti i visitatori importanti e tuttavia non si presentò di persona. La cosa non mi offese, visto che Genbugan era una montagna. Letteralmente. E come una montagna si muoveva molto, molto lentamente. Se ne stava quindi, al centro esatto del suo dominio, a contemplare immobile le distese d'acqua e le alte pianure che vi si gettavano con scogliere a picco. Su Yama, era difficile distinguere il pianeta dai suoi abitanti. Di punto in bianco credi di vedere un'isola in mezzo al mare, solo per scoprire che è un gigante straiato sulla schiena, a prendere il sole. E la cosa più strana, è che può essere lì da millenni, che per lui non sono che un battito di ciglia.
Al contrario dei Giganti, i rappresentanti del Piccolo Popolo godevano di una vita media più o meno simile a quella umana. Sapete, Yama era per certi versi molto simile alla Terra, solo che lì, la terra ogni tanto si alzava e andava a fare un giro. O cambiava posizione nel sonno. Ma tutto avveniva in modo molto, molto lento. Se avessero avuto la stessa nostra velocità, nessuno della razza dei Piccoli avrebbe potuto sopravvivere. Invece eccoli lì, due razze completamente diverse in simbiosi perfetta.
Yama era una perla. Una rarissima perla di una bellezza che pochi sistemi stellari potevano vantare. E come i suoi più grandi abitanti, sembrava immutabile, eterno.
Ahimè, quante cose meravgliose ho sacrificato per la mia ambizione. Può un tiranno avere rimpianti? No, la sua cecità non gli permette di vedere oltre le sue conquiste.
Il comitato di benvenuto ci accolse, c' era buon cibo e bevande che rifiutai con garbo, preferendo farmi condurre direttamente da Genbugan.
-- Lord Freezer. Quanto tempo. Millenni?-- mi accolse, parlandomi mentalmente, il signore dei Giganti.
-- Anni, Lord Genbugan.
-- Anni? Così pochi attimi dalla tua ultima visita a Yama?
Annuii. Quella vecchia roccia non aveva il senso del tempo. E chi potrebbe averlo, dopo aver vissuto così a lungo?
-- Ti ho già fatto le mie condoglianze, per la tua amata?-- la sua voce parlava lenta nella mia testa, profonda come l'eco di una caverna. -- Yama ti offrirà le sue pianure e i suoi splendidi tramonti, per far riposare il tuo cuore ferito.
-- Grazie Lord Genbugan.-- dissi, facendo un lieve inchino in avanti. -- Ma ci sono ferite che non si rimarginano.
L'enorme montagna rispose con un lungo, interminabile sospiro. -- Certe sono come quelle che l'acqua scava nella roccia. Ma proprio come l'acqua si crea una via attraverso quella ferita, così anche la saggezza può raggiungere un uomo attraverso le sue ferite.
Divenni serio a quelle parole e mossi la coda in un accenno di nervosismo. -- Insieme all'acqua possono entrare scorie. E quelle scorie contamineranno il fiume.
La grande montagna inspirò nella mia mente. -- Il fiume non è forse pieno di creature che vivono in lui? Esse lo mantengono pulito, filtrando ciò che è dannoso. Allo stesso modo, un uomo ha in sé le capacità per comprendere ciò che è buono e da trattenere, e ciò che nuoce ed è da eliminare.-- disse. -- Io sento che le tue acque sono agitate, Lord Freezer. Ritrova la tua pace, riposando nelle mie pianure.
Strinsi i pugni. Quella vecchia roccia non si poteva ingannare. La sua saggezza era nota in tutto l'universo. Mi domandai quanto gli sarebbe occorso per capire il vero motivo della mia visita.
Dovevo agire in fretta e con quanta più discrezione possibile.
Mi congedai da lui e mi sistemai con tutto il mio seguito in una delle isolette del pianeta un luogo appartato, lontano da tutto e tutti.
In quell'isola dalle alte scogliere, mi godevo il tramonto rosso fuoco dell'enorme sole di Yama, una gigante rossa che probabilmente un giorno sarebbe esplosa collassando su sé stessa e risucchiando tutto quanto mutando in un enorme buco nero. Ma si sa, il tempo a Yama scorre lento e del futuro non c'è ragione di preoccuparsi.
Eppure, a me interessava un futuro molto prossimo. Non a caso il giovane Vegeta era rimasto in giro tutto il giorno.
-- Che cosa hai scoperto?-- chiesi, non appena lo sentii alle mie spalle.
-- Purtroppo gli abitanti sono restii a rivelare i dettagli sulla leggenda, grande Freezer.
La mia coda gli schiaffeggiò la guancia così forte da farlo sanguinare. Vegeta rotolò sull'erba a qualche passo da me. -- Come sarebbe sono restii? Costringili allora! Sei o no un saiyan?
Vegeta si sollevò, asciugandosi il sangue con il guanto bianco. -- Sire, mi avete chiesto discrezione.
Sbattei il piede a terra -- Allora costringili, con discrezione!-- replicai furioso, con la coda che guizzava di nervosismo. -- Voglio quelle informazioni Vegeta, o porterò a casa la tua testa come premio di consolazione!

Vegeta mi portò le informazioni due giorni dopo. Ciò che mi rivelò fu più che soddisfacente ed allo stesso tempo fece emergere un grosso, enorme, problema.
-- La gemma che cercate si trova al centro esatto del pianeta, incastonata nel nucleo.
-- Che cosa?-- strinsi i pugni, cominciando a riflettere in silenzio, ticchettando con la coda sul fianco della mia poltrona fluttuante. Guardai Vegeta, chino di fronte a me, con il pugno a terra. -- Ne sei sicuro?
-- E' ciò che mi hanno detto, grande Freezer.
-- Chi te lo ha detto? É una fonte attendibile?
-- Più che attendibile. É uno dei saggi di quei tizi che vivono sopra i giganti.
-- Dov' è adesso?
-- Ho dovuto farlo fuori.
-- Hai ucciso uno degli anziani? Cosa ti è passato per la testa?
Vegeta mi fissò confuso. -- Ho dovuto farlo. Avrebbe parlato.
-- Ora sarà il suo sangue a parlare. Genbugan impiegherà tutti i suoi mezzi per capire chi è stato. E i capi del Piccolo Popolo non ci metteranno molto a risalire a noi.-- sospirai. Vegeta era forte, un prodigio per la sua età, ma era una pessima spia. Mi massaggiai le tempie, mentre provavo a convincermi che valeva la pena lasciarlo in vita.
-- Lasciami solo. Devo pensare.
Il giovane saiyan si affrettò ad obbedire ed io rimasi solo, ad osservare il tramonto dall'alta scogliera, dove avevano allestito un gazebo per me, con un tavolino ed un inserviente che mi riempiva di continuo il bicchiere di buon vino rosso.
Quel giorno non dovette riempirlo per diverse ore ed anche alla sera rinunciai a bere, preferendo ritirarmi presto nella mia stanza sulla nave.
Passai altre ore facendo avanti e indietro, riflettendo. Giunsi infine a quella che mi sembrava l'unica conclusione possibile. Ma dovevo agire in fretta.
Mandai a chiamare Dodoria.
-- Dì al comandante di decollare. Lasciamo il pianeta adesso.
Dodoria mi fissò confuso -- E la gemma?
-- So come recuperarla. Ma dobbiamo lasciare il pianeta immediatamente. Assicurati che tutto l'equipaggio sia presente, specialmente Vegeta. Nessuno deve rimanere a terra.

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Capitolo 35
*** Big Bang ***


E nessuno vi rimase, a parte naturalmente tutti gli abitanti.
Avevo assunto la mia vera forma per l'occasione e sostavo in piedi di fronte a Yama, sulla mia nave.
Osservavo il grande globo azzurro e marrone, screziato dalle nuvole della sua atmosfera.
Volevo il suo più grande tesoro, ciò che conservava nelle sue solide viscere di pietra.
Raccolsi tutta l'energia che avevo e la concentrai in sole due dita della mano. Il bagliore viola della mia aura sprigionava scintille. Ero solo con Yama e la sua stella, lì fuori dove solo la mia razza sopravvive. Ero davvero pronto a sferrare quel colpo? Ero davvero pronto a prendere ciò che quel mondo aveva custodito per milioni di anni così gelosamente?
Non lo so. Per la verità non ci avevo nemmeno pensato.
Urlai mimando un fendente con quelle dita e la mia energia si abbattè come una falce.
In un primo momento non accadde nulla, poi frammenti di roccia iniziarono a ruotare intorno al pianeta le cui due metà si andavano lentamente allontanando.
Mi voltai e scorsi il giovane Vegeta guardare allibito da uno degli oblò il pianeta spaccato in due. Aveva avuto un assaggio della mia potenza, una dimostrazione più che soddisfacente di ciò che ero in grado di fare e sono sicuro, anche un valido motivo per non ribellarsi come suo padre.
Qualcosa però mi spinse a distogliere lo sguardo da lui. Qualcosa che un pianeta non dovrebbe fare.
Emettere onde elettromagnetiche.
Sembrava che qualcuno avesse tagliato un cavo elettrico e che la corrente guizzasse libera da tutte le parti. O meglio, mi sembrava di aver reciso una gigantesca arteria facendo schizzare sangue dappertutto.
Solo che erano fulmini.
Fulmini che uscivano dal nucleo del pianeta.
-- FREEZER!-- Genbugan mi urlò nella testa così forte da spingermi ad afferrare le tempie.
Ma non risposi. Raccolsi l'energia all'interno della mano e lanciai una sfera viola contro la metà più piccola del pianeta. Sapevo che la gemma si trovava al centro del nucleo così non avevo diviso il pianeta in due parti uguali, per non danneggiare la gemma.
La metà più piccola esplose in una miriade di frammenti rivelando ciò che si nascondeva dietro ad essa: una ragnatela di vene azzurre, così luminose da turbare la vista. Pulsavano di energia e si irradiavano per tutto il pianeta da un centro luminoso e blu intenso.
Eccola, la gemma che poteva riportare in vita mia moglie.
Ecco il Cuore di Zircon.
Ma come prenderla? Sentivo l'energia che irradiava e sentivo l'aura di Genbugan crescere.
La metà in frantumi tentava di ricomporsi e riavvicinarsi alla metà intatta. Ciò non poteva che essere opera del signore dei giganti. Lo sentii ruggire furioso nella mia mente, come una bestia enorme e ferita.
Il danno da me inflitto aveva irrimediabilmente modificato l'orbita del pianeta che ora stava finendo dritto nell'abbraccio infuocato della sua enorme stella.
Genbugan tentava di ricomporre il pianeta senza troppo successo, di tenerlo insieme con la sua telecinesi.
Non potevo perdere la gemma così. Dovevo trovare il modo di liberarla dal pianeta prima del suo impatto con la stella.
Bastava anche un frammento.
Così decisi che l'unico modo per recuperarla almeno in parte era di colpire il centro luminoso da cui si irradiavano quei fasci di energia recisi, da cui continuavano a guizzare fulmini.
Ma Genbugan era deciso a non cedere. Vidi uno dei frammenti del pianeta staccarsi e dirigersi veloce verso la nave. Sgranai gli occhi e schiacciai il tasto sullo Scouter -- Zarbon, Dodoria! I cannoni!-- Fasci di luce dorata si abbatterono sugli asteroidi, riducendoli in frammenti più piccoli ma comunque sufficienti a danneggiare la nave.
Non potevo ignorarli e la gemma si avvicinava sempre di più alla stella.
-- Garlik Gun!-- sentii alle mie spalle e vidi un raggio viola ridurre i frammenti in polvere.
Vidi il giovane Vegeta alle mie spalle. Lo fissai intensamente.
-- Più potenza Saiyan! Non posso occuparmi di quelli che restano.
Mi voltai, proprio mentre un altro raggio distruggeva i piccoli asteroidi e così mi concentrai sul nucleo blu della gemma.
Lanciai un'onda a piena potenza contro di esso e vidi frammenti luccicanti fluttuare nel vuoto dello spazio.
-- Sì!-- mi lanciai verso uno di quelli, il più grande, lo bloccai con la telecinesi, cercando di contenerne il potere. Non ero sicuro di cosa fosse, sapevo solo che era carica di energia e che sarei stato un pazzo a toccarla a mani nude.
Genbugan urlò nella mia mente mentre il pianeta finiva tra le fiamme della supernova ma dovetti raggiungere la nave prima di realizzare il pericolo che correvamo.
Una massa carica di energia, forse radioattiva, era appena finita contro una colossale fornace.
Vegeta era tornato all'interno della nave, non essendo resistente al vuoto dello spazio. Seguii il suo esempio, solo per affidare la gemma a Zarbon.
-- Mettila al sicuro. E NON toccarla.-- ordinai poco prima che la nave cominciasse a tremare e ad inclinarsi da un lato. Mi voltai e vidi la supernova pulsare rimpicciolendosi a vista d'occhio.
-- Che diamine sta succedendo?-- gridò Zarbon.
-- La supernova sta collassando.-- mi voltai verso Dodoria che provava a rialzarsi da terra. -- Vai alla sala comandi e dì di spingere i motori al massimo. Non mi importa se li fondono, voglio piena potenza e tutti i propulsori attivi. Tutti quanti!
Dodoria si affrettò ad eseguire gli ordini e vidi il giovane Vegeta osservarmi perplesso.
-- Vieni saiyan. Mi servi.
Mi seguì fino alla sala del portello superiore e dall'enorme vetrata si vedeva il centro nero della stella ornato di fiamme rosse che rilasciavano un vento caldo misto a lapilli.
-- Dobbiamo allontanarci dal vento solare e dalla stella. Sta collassando su sé stessa e risucchierà qualunque cosa gli capiti vicino.
-- Sta mutando in un buco nero?
-- Esattamente. Credo che l'energia della gemma l'abbia resa troppo instabile.
La nave tremava travolta dal vento solare e perdeva potenza. L'enorme forza di attrazione della stella la tirava a sé.
-- I propulsori non sono sufficienti.-- guardai Vegeta. -- Dobbiamo generare più spinta. Ora andremo lassù e tu scaglierai un'onda a piena potenza. Quando penserai di aver messo tutta la tua forza in quel colpo, non crederci. Aggiungine ancora. Colpisci come se dovessi disintegrare l'intera galassia, come se dovessi scatenare il Big Bang in questo istante.
Vegeta annuii ed insieme a lui salii sul ponte superiore.
-- Pronto al mio tre saiyan. Uno! Due!
Al tre lanciammo le onde con un urlo, nello stesso istante.
Quell'assurda moda saiyan di dare un nome ai propri colpi spinse Vegeta a battezzare quel colpo “Big Bang Attack”. Divertente.
La nave lottava per sottrarsi alla forza di attrazione ed anche io davo fondo alle mie energie per impedirle di rallentare, inutilmente. La nave perdeva velocità, perché mi stavo trattenendo. Mi trattenevo per osservare il giovane Vegeta.
Infondo avevo preso qualcosa da mio padre. Mi piaceva metterlo alla prova.
Il ragazzo chiuse gli occhi e strinse i denti, perdendo potenza, mentre lo osservavo con la coda dell'occhio.
--- Avanti! Non dirmi che hai già esaurito le energie!-- lo rimproverai.
Vegeta riaprì gli occhi e tornò a piena potenza.
Mi sfuggì un sorrisetto. Quel ragazzo era orgoglioso. Fiero delle sue nobili origini. Avrebbe preferito scomparire, piuttosto che mostrarsi inferiore alle mie aspettative, a quelle di suo padre e a quelle di lui stesso.
Sciocco ragazzino.
Piantai bene i piedi, consolidando la mia posizione, affondando le unghie fino a piegare il metallo, poi decisi di fare sul serio e liberare la mia nave dalla presa del buco nero.
Prese velocità all'improvviso e il giovane saiyan vacillò cadendo in avanti quando il terreno gli mancò sotto ai piedi.
Potevo lasciarlo cadere e liberarmi per sempre della stirpe saiyan ma non lo feci. Tesi la coda fra lui e lo spazio aperto in modo che potesse frenare la sua corsa. Poi gli indirizzai uno sguardo severo senza dir nulla.
Una volta fuori pericolo, la nave stabilizzò l'andatura passando dai motori a tutta potenza alla comune velocità di crociera. Vegeta si affrettò a staccarsi dalla mia coda e ad andarsene a pugni stretti, tornando all'interno. Lo seguii poco dopo e per noi iniziò il lungo viaggio verso casa.

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Capitolo 36
*** Malelingue ***


Tornando verso casa, mentre la volta stellata scorreva attraverso la cupola, passai molto tempo a riflettere. A volte scrivendo, altre facendo ondeggiare un bicchiere di vino.
Genbugan era morto. Quella parte di universo non aveva più il suo imperatore. Sapevo quale sarebbe stato il futuro: anni e anni di lotte interne fra reggenti per salire al trono. Ancora una volta, la soluzione mi si presentò davanti chiara e limpida. Il grande Genbugan aveva finito i suoi giorni insieme al pianeta Yama, nell'abbraccio della sua stella che dopo millenni di stasi era infine collassata distruggendo ogni cosa. Ora, con l'impero sull'orlo di una crisi, una guerra civile, chi mai avrebbe potuto salvare la situazione, scongiurando un bagno di sangue nutrito solo dall'interesse personale di rampolli che volevano un trono più grande?
Sorrisi, scoprendo i denti.
Chi altri, se non il grande Freezer?
Avevo il cuore di Zircon, una moglie da riabbracciare e un impero ad attendermi.
C'era però una questione più complicata di quella: cosa fare del giovane Vegeta? Per quanto tentassi di negarlo, mi ritrovavo ad avere due figli. Uno era il mio adorato Kuriza, figlio mio e della mia amata moglie. L'altro era il figlio di un re traditore e di una regina defunta, strappato alle sue radici per un mio capriccio, per vendetta.
Vegeta.
Suo padre mi ha privato di un figlio, così io ho preteso il suo. Ma ora che fare di quel ragazzo? Tenerlo in vita o liberarmene? Potevo rischiare di allevarmi una serpe in seno? Certo, lui non sapeva nulla dell'esplosione del pianeta Vegeta né lo avrebbe mai scoperto. Ma era un saiyan. E i saiyan avevano ucciso la mia Neve. Erano essere volubili, pericolosi, nati per combattere. Inoltre circolavano voci sui saiyan biondi da quando il grande Chilled ne aveva visto uno trasformarsi.
Era incredibile che un guerriero di basso livello come un saiyan potesse arrivare a potenziarsi a tal punto da sconfiggere uno dei nostri. Vero, ora siamo molto più potenti ma
-- Se accadesse di nuovo?-- mormorai -- Se fosse anch'egli più potente?
-- A cosa pensate, grande Freezer?
--Non sono affari tuoi. Vattene Zar-- mi voltai e non vidi nessuno. Abbassai lo sguardo e notai Vegeta.
Tornai a guardare le stelle scorrere attraverso l'ampia vetrata, senza finire la frase, facendo ondeggiare il vino nel bicchiere.
-- Cosa ne farà ora di quella pietra?-- chiese -- Perché abbiamo fatto un viaggio così lungo, solo per quella?
-- Tu fai troppe domande ragazzino.-- lo interruppi -- Che cosa fai qui? Non dovresti essere nella tua cabina a dormire?
-- Non sono stanco signore. Posso montare di guardia alla sua porta se lo desidera.
A quel punto mi alzai e feci qualche passo in avanti. -- Sai cos'è una gerarchia, ragazzo?
Lui annuì -- Sì lord Freezer.
-- E sai qual è la prima regola in una gerarchia?
-- Obbedire ai superiori?
-- Stare al proprio posto!-- risposi, voltandomi. -- Credi che non abbia chi fa la guardia alla mia porta? Ci sono Zarbon e Dodoria per questo. Loro sono degni di fiducia e forti abbastanza per farlo. Non tu. Tienilo a mente!-- gli rivolsi di nuovo le spalle. -- E adesso fila. Lasciami solo.
Vegeta si affrettò ad andarsene ma lo fermai.
-- Aspetta. Ripensandoci l'avrei un incarico per te.
Lo misi di guardia alla porta.
Dei bagni.
Tutta la notte ed il giorno seguente. Che imparasse la lezione!
Che lo volessi o no, stavo preparando due miei figli a due futuri differenti. Dopo l'infanzia passata con mio padre, mi ero ostinato ad essere un padre migliore con il mio Kuriza. L'avevo protetto, coccolato e ora temevo non fosse in grado di fronteggiare i nemici più subdoli. Il mio Kuriza era forte, certo, ma probabilmente era anche ingenuo, di buon cuore, come Neve.
Serviva qualcuno di fidato, che lo proteggesse da questi pericoli, un braccio destro.
Questo avevo in mente per Vegeta. L'avrei reso il braccio destro di mio figlio, in futuro e mi sarei preoccupato di non mandarlo mai contro avversari troppo forti.
Conoscevo le particolarità dei saiyan. Più riportavano ferite, più diventavano forti una volta guariti.
Niente ferite serie, niente potenziamenti.
Potevo tranquillamente gestire lui e i saiyan rimasti. Se lo avessi fatto nel modo corretto, non avrebbero mai raggiunto il mio livello o quello di mio figlio e se uno avesse avuto l'ardire di ribellarsi credendosi forte chissà quanto, semplicemente l'avrei eliminato come facevo con i traditori.

Giunto sul mio pianeta lasciai perdere il corteo di benvenuto e mi diressi con Zarbon, Dodoria ed alcuni miei uomini alla foresta di cristalli.
Chiamavamo così il luogo dove riposavano i nostri avi.
Quando i giorni di uno di noi giungevano al termine, lo si portava in quel luogo. Il ghiaccio che si trovava lì era diverso da quello normale. Non c'era luogo simile in tutto il pianeta.
Il ghiaccio cresceva verso l'alto in prismi, come i cristalli che si formano fra le rocce e aveva la strana tendenza ad inglobare qualunque cosa fosse lì vicino.
Bastava lasciare il corpo su uno di quei prismi, e nel giro di poco il ghiaccio lo ricopriva preservandolo intatto per sempre.
Lì c'era Ize. E lì c'era Neve.
Tuttavia, mi fermai al limitare di quella gelida foresta e non avanzai oltre. Zarbon teneva il bauletto da cui filtrava la luce del Cuore di Zircon e non capiva cosa avessi in mente.
Mi girai verso i miei uomini e li scrutai. A quel punto, Dodoria mi si avvicinò. -- Intende davvero-- deglutì -- tentare subito con la regina?
Sollevai il braccio, facendo una smorfia -- Certo che no.-- il raggio viola colpì uno degli uomini, veloce e letale come un colpo di pistola. Gli altri indietreggiarono spaventati.
-- Zarbon.-- chiamai avvicinandomi al corpo esanime dell'alieno. Dal foro si levava un sottile filo di fumo nero. -- Vediamo se la pietra funziona davvero.
Scorsi il tremito nelle sue mani mentre apriva il bauletto. Subito ne uscirono saette energetiche di un colore azzurro intenso. Presi la pietra usando la telecinesi e la avvicinai al corpo.
Le saette lo colpirono quasi subito.
E lo ridussero in cenere.
Poi colpirono un altro dei miei soldati, questa volta vivo, e vaporizzarono anche lui.
Accadde la stessa cosa con un altro.
E un altro.
E un altro.
Si scatenò un fuggi fuggi generale. I soldati rompevano la formazione e scappavano via urlando. Zarbon e Dodoria avevano i riflessi pronti ed erano abbastanza rapidi da schivare quelle saette.
Rimasi a guardarle, come incantato.
-- Lord Freezer!
Dodoria mi risvegliò da quella strana ipnosi. Non potevo dire cosa mi avesse incantato, se quello spettacolo di luci e terrore o il fatto che avevo portato un simile manufatto in casa mia mettendo in pericolo la mia gente e i miei uomini.
Pensai velocemente. Non potevo toccarlo, non potevo colpirlo. Quella pietra assorbiva le energie, era come viva, carica di un proprio potere. Colpendola l'avrei sovraccaricata, l'avrei resa instabile, fatta esplodere, forse insieme al pianeta.
Provai ad usare la telecinesi e la pietra si mosse. Funzionava. Ma più che muoverla che altro potevo fare?
Una delle saette colpì una parete di ghiaccio, vuota per fortuna. Mi sarebbe spiaciuto disintegrare le spoglie dei membri di un qualche antico clan. Però quel fulmine mi diede un'idea.
Spostai la pietra fino a farla aderire al ghiaccio che subito cominciò a ricoprirla. Uno strato si crepava, si spezzava ma subito un altro andava a ricoprirlo finché non rimase altro che una pulsante luce blu sotto ad uno spesso strato di ghiaccio cristallino.


-- Si può sapere che diamine stai facendo?-- sbraitò Re Cold dal suo trono. Dal mio trono, che lui occupava in mia assenza. -- Parti per una vacanza su Yama e l'intero sistema esplode. Stella e pianeta. Torni a casa sano e salvo, salti il corteo di benvenuto e qualche ora dopo fulmini lunghi più di mille braccia si alzano dalla foresta dei cristalli fino al cielo!-- batté le mani sui braccioli, sporgendosi avanti -- Fino al cielo! Hai mai visto un fulmine salire verso il cielo, Freezer?
-- Ho risolto il problema.
-- Il problema è un altro!-- Re Cold si alzò. -- É da troppo tempo che non siedi su questo trono. Troppo tempo che sei lontano dal tuo popolo e non intendo fisicamente. La gente comincia a mormorare, si chiede dove sia il suo sovrano e se abbia effettivamente superato-
-- Che cosa insinuate padre?-- chiesi, stringendo i pugni.
-- Da quando tua moglie è stata uccisa ti comporti come una bandiera al vento. Da un giorno all'altro cambi idea, mi chiedi di reggere il trono, sparisci per mesi, tieni nascoste le tue intenzioni con banali giustificazioni. Nessuno sa cosa fai, nessuno sa dove vai. Ti chiudi nella biblioteca per ore se non giorni a volte e quando ne esci, mandi degli uomini chissà dove, poi te ne vai senza dare spiegazioni. Eviti cortei e banchetti, riunioni e consigli! Il popolo come gli alleati, poveri e ricchi si chiedono che fine hai fatto e se tu sia ancora in grado di reggere il tuo trono.
-- Cercate di venire al punto padre.
Re Cold sospirò. -- Alcune malelingue insinuano che il dolore della perdita ti abbia condotto alla follia.
A quel punto scoppiai a ridere -- Questo è ridicolo!
Ma mio padre mi fissava, serio.
-- Non darete credito a quelle voci vero?-- strinsi i pugni -- Io non sono pazzo!
-- E allora dimmi cosa stai facendo!
Sorrisi e voltai le spalle per andare alla finestra, le mani giunte dietro la schiena. -- É molto semplice. Ho iniziato il mio progetto di espansione. L'esplosione di Yama e la dipartita di Genbugan mi offrono l'occasione perfetta per mettere le mani sul suo impero.
-- Oh, non lo sai allora?
-- Cosa non so?
-- Zenobia è stata la prima a prendere in mano la situazione, dopo la distruzione di Yama. Ora è lei a gestire le province dell'impero di Genbugan.

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Capitolo 37
*** Il Ballo ***


Mio padre mi aveva fatto una testa così con quel banchetto.
-- Non puoi continuare a non farti vedere in pubblico. Devi far sapere agli alleati che sei vivo. E che sei ancora sano di mente!
Non avevo alcuna voglia di organizzare feste, di farmi vedere in pubblico. Avevo da fare. Molto da fare. E il novanta per cento dei miei impegni riguardava come riportare in vita mia moglie.
Per qualche motivo, il mio prendere le distanze dalla corte imperiale faceva impazzire tutti. Come se non potessero stare senza di me.
E poi ero io quello pazzo.
Sapevo delle voci che mormoravano in giro ma me ne tenevo distante. Dicevano che la perdita della mia compagna mi aveva portato alla pazzia.
Facevo in modo di non confermarle, ma non mi impegnavo a provare il contrario. A dire il vero, neanche io sapevo quale fosse la verità. Sapevo solo di voler indietro mia moglie, di voler vendicarmi su chi avesse partecipato al complotto per il suo assassinio, il mio assassinio.
Ed ero disposto a tutto pur di riuscirci.
Ero lucido, nella ma follia.
Non volevo quel banchetto, perchè sapevo avrei dovuto invitare Zenobia. E sapevo che mio padre premeva perchè io la invitassi. Avevo un' idea del perchè, ma non la espressi mai apertamente.
Comunque sia, dovetti organizzare quel banchetto, perchè mio padre mi lasciasse in pace.
-- E non tenere la forma depotenziata. Renditi almeno presentabile.
Quando scesi le scale per fare il mio ingresso nella sala da ballo, tutti si voltarono a guardarmi.
Ero nella mia vera forma e non solo. Indossavo un mantello dal dorso nero e l'interno rosso, retto da una catena d'oro massiccio e rubini grossi quanto un occhio, che poggiava sul mio petto nudo. Polsiere d'oro mi adornavano le braccia e una cintura dorata mi cingeva i fianchi. Da essa scendevano due drappi di stoffa pregiata, bordi neri ed interno rosso, che quasi toccavano terra, terminando a punta di freccia. Uno copriva davanti e uno dietro, senza comunque intralciare i movimenti della coda. Una tiara d'oro con al centro due opali neri ed un rubino più grande mi adornava il capo.
-- Sua Altezza Imperiale, il Grande e Potente Freezer! -- annunciò agli altri il piccolo alieno blu che avevo ribattezzato Mirtillo.
Mi guardavano tutti. Aspettavano che dicessi qualcosa.
Io non pronunciai parola. Mi limitai a scrutarli dall'alto del mio sangue reale e a dirigermi al mio trono.
Non c'erano più tre scranni come era stato con mio padre. Ora erano due, uno più alto, il mio, e uno più basso, subito accanto.
Erano un unico blocco di prezioso legno e i due troni avevano un bracciolo in comune, più largo.
Vi poggiai la mano ma non ne sentii un'altra sopra la mia. Il trono accanto al mio era vuoto.
Fissai l'anello d'oro che suggellava la nostra unione. Lo portavo ancora. Lo avrei portato per sempre. O almeno credevo.
Vi racconterò cosa è accaduto a quell'anello ma non ora. Vi prego di pazientare ancora un po', per quello.
Il trono vuoto mi stringeva il cuore, così concentravo lo sguardo sulla festa che si svolgeva di fronte a me.
C'era il Re della Via Lattea intento a parlare con emissari di altri sistemi, tenendo un piatto pieni di antipasti in equilibrio su un tentacolo. Di fianco a lui, l'unità d'elite della Pattuglia Galattica mi stava fissando. Sapevo che il loro corpo stava indagando sulla scomparsa del pianeta Yama. Temevano che Genbugan non fosse morto per caso. Zenobia era la principale sospettata, anche se far esplodere i pianeti era più nel mio stile. E quel poliziotto lo sapeva. Tuttavia, io e Zenobia eravamo intoccabili.
Eccola lì, vicino a mio padre e Cooler, a cui però non prestava attenzione, accompagnata dalle due guardie Naga, armate di lance dorate. La metà inferiore del loro corpo era una lunga coda di serpente. Zenobia era della stessa specie e tuttavia aveva le sembianze della mia stessa razza.
Zenobia, la signora del pianeta Etheria, era una Mutaforma. Poteva assumere qualsiasi aspetto, diventare qualsiasi persona, a patto che l'avesse vista almeno una volta. Modificava il suo corpo a piacere, in base a ciò che desiderava.
Indossava un vistoso copricapo di piume nere che come capelli le ricadevano sulle spalle. Aveva a pelle bianca come la mia, con le braccia i fianchi ornati di lucenti squame rosse dal colore cangiante, l'unica cosa che rimaneva del suo vero aspetto, a prescindere dalla forma che assumeva.
Indossava un vestito semplice ed elegante, rosso e con uno spacco a metà coscia, che mostrava le sue forme e le lasciava la schiena nuda. A cingerle i fianchi una fine cintura dorata. Bracciali e cavigliere adornavano il suo corpo.
Era meravigliosa, uno splendore. Una donna che ogni uomo avrebbe potuto desiderare.
Tranne me.
Non dico che la sua bellezza non mi toccasse, tuttavia non suscitava in me alcuna emozione. Era bella. Punto.
Non so cosa mi è successo dopo aver perso Neve. Avevo una schiera di pretendenti e corteggiatrici, una più bella dell'altra.
Ma non le volevo.
Zenobia mi guardò. Deglutii. Cosa aveva in mente quell'arpia? Non faceva mai niente per niente.
Fu mio padre a muoversi verso di me, affiancandosi il mio trono.
-- È quasi ora delle danze Freezer.
-- E allora?
-- È l' imperatore a dover dare il via.
Assottigliai lo sguardo -- È proprio necessario?
-- È la tradizione.
-- Che palle.
-- Freezer. -- sibilò lui. -- E con chi dovrei ballare padre? Se non l' hai ancora notato, sono vedovo.
-- A dire il vero c'è qualcuno che vorrebbe ballare con te.
Incrociai lo sguardo di Zenobia e lei sorrise.
Oh cazzo.. I domestici liberarono la sala e l'orchestra accordò gli strumenti. Donne e uomini si disposero alternati in due file uguali ai lati della sala. Zenobia mi guardò. Mio padre mi guardò. E allora capii.
Era stata tutta una manovra di mio padre. Mio padre che desiderava così tanto mantenere l'ordine, far sapere a tutti che suo figlio non aveva perso completamente la testa. E quale modo migliore se non avvicinarlo ad una regina bella e potente, che aveva appena raddoppiato i pianeti del suo dominio. Forse con il tempo avrebbe dimenticato la sua defunta moglie, avrebbe iniziato a nutrire sentimenti per l'altra donna e perchè no, si sarebbe innamorato davvero.
Quale modo migliore del matrimonio per riunire due regni?
Ah padre, vecchia viscida serpe. Anche a distanza di anni, non aveva perso il suo tocco nel manipolare gli eventi.
E io non avevo perso il mio nel farlo imbestialire.
Sapevo che se avessi dato la mano a Zenobia, se avessi ballato con lei aprendo le danze davanti a tutta l'aristocrazia del mio impero, avrei dato il via ad una serie di eventi che non desideravo. Dovevo troncare tutto sul nascere. Ma come?
Mi venne un'idea. Avrebbe causato uno scandalo, fatto infuriare mio padre come mai prima di allora ma non mi importava.
Volsi lo sguardo ai domestici in fila e con uno schiocco di coda attirai la loro attenzione. Indicai una domestica della mia specie -- Tu -- dissi -- Vieni qui.
Lei si avvicinò preoccupata ma io le presi la mano e la feci avanzare al mio fianco fra i nobili.
Aprii le danze.
Con lei.
Somigliava un po' alla mia Neve, ma le sue macchie erano di un colore simile all' oro. Mi fissava con gli occhi rossi sgranati ed il volto arrossato, seguendo i miei passi, lusingata ed al tempo stesso terrorizzata di ballare con il suo re.
Oh la faccia di mio padre. Il calice di vino è esploso nella sua mano.
Ma la faccia di Zenobia era impagabile. Dinnanzi alla folla ammutolita, avevo lasciato intendere che preferivo danzare con una volgare domestica piuttosto che aprire le danze con lei.
Sorrisi alla ragazza che ballava con me e non pensai ad altro se non a godermi la danza.

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Capitolo 38
*** Fuga ***


Il putiferio che ne seguì mi fece sorridere. Dopo il ballo me ne andai, portando con me la domestica, lasciando la stanza per trovare Zarbon e Dodoria nel corridoio.
-- Zarbon, Dodoria, preparate la mia nave madre.
-- La rotta, Grande Freezer?-- chiese Zarbon e io mi fermai, guardandolo con la coda dell'occhio.
-- Una a caso. Ma voglio partire prima dell'alba. Raduna tutte le armate d'elite sotto il mio comando e ordina loro di prepararsi al decollo. Prendi Napa e Vegeta, contatta la squadra Ginew perchè supervisionino i preparativi.
Quella risposta li stupì ma non gli diedi il tempo di far domande.
--Muovetevi!
Scattarono e rimasi solo con la domestica. A quel punto sfilai l'anello nuziale dal dito, veloce e senza esitare. Fu come strapparsi un dente, con tutto il dolore che ne seguì.
Lo porsi a lei -- Custodiscilo con cura. Cerca Onion, il saiyan grasso della mensa. Digli che Freezer ha deciso: è il momento di ripagare il suo debito. Se non ti crede, mostragli l' anello. E quando sarete al sicuro, dallo a mio figlio.
Detto ciò mi congedai da lei in fretta e percorrendo il corridoio gettai la tiara, slacciai il mantello, liberandomi da tutti quei fronzoli. Quello non ero io. Non lo ero mai stato. Forse un tempo, con Neve, ma non lo ero più.
Mi recai nella mia stanza, dove il piccolo Kuriza riposava tranquillo. Avevo un piano per lui, il genere di piani per situazioni come quella. Conoscevo persone fidate che si sarebbe prese cura di lui e l'avrebbero fatto crescere forte, su un pianeta sicuro e semi sconosciuto.
Lasciare mio figlio mi spezzava il cuore ma non potevo portarlo con me.
Stavo per fuggire, forse mi avrebbero inseguito. Sarei diventato scomodo, avrebbero provato ad uccidermi.
Non volevo che Kuriza ci andasse di mezzo.
Noi genitori a volte facciamo stronzate. Il guaio è che spesso le facciamo perchè pensiamo sia la cosa più giusta.
Non è facile prendere la decisione giusta. Il più delle volte nemmeno esiste. Esiste solo il male minore. Così avrei lasciato mio figlio, il mio amato figlio, su un pianeta sconosciuto, con qualcuno che conosceva a mala pena, per evitare il rischio che venisse ucciso a causa mia. Sapevo che mi avrebbe aspettato per un tempo, che in seguito mi avrebbe odiato, chiedendosi perchè fosse stato abbandonato. E sapevo che non sarei stato lì, a fornire una spiegazione adeguata.
Abbracciai il mio bambino e lui si svegliò.
-- Papà? É notte. -- si lamentò.
-- Lo so, lo so. Ma siamo in partenza Kuri.
-- Per dove?
-- Io dovrò allontanarmi per un viaggio molto importante. Ho deciso che anche tu meriti un viaggio. -- lo misi giù, contro ogni fibra del mio corpo che voleva trattenerlo. -- Vai a cercare Onion e digli che è tempo di ripagare il suo debito. Lui capirà.
Kuriza sembrava perplesso -- Ma io voglio venire con te in viaggio.
La mia fermezza vacillò. Le mani tremarono e contro tutta la mia volontà risposi -- Non puoi, è pericoloso.
-- Ma io sono forte.
-- Non lo sei abbastanza! -- scattai e vidi la sua codina rifugiarsi fra le gambe. Sospirai e mi inginocchiai, abbracciandolo di nuovo, trattenendomi dall'urlare. Lo guardai negli occhi -- Ti vorrò sempre bene figlio mio. E tornerò a prenderti. Te lo prometto. -- e lo promisi davvero in quel momento. Semmai sono stato sincero con qualcuno, quello è Kuriza. -- Vai a cercare Onion adesso. E cerca di non incrociare il nonno o lo zio.
Lui annuì e corse verso la soglia, poi si voltò a guardarmi.
-- Ti voglio bene papà. Ti aspetterò. -- disse, prima di allontanarsi.
Respirai profondamente, chiudendo gli occhi -- Anche io ti voglio bene, figlio mio.
Sentii una lacrima rigarmi il volto. La scacciai. Avevo troppe cose da fare e poco tempo.
Uscii dalla stanza e percorsi il corridoio, quando udii una voce alle mie spalle.
-- Hai perso il senno? -- sbraitò Cooler, avvicinandosi.
Mi voltai di scatto -- Hai visto cosa ha osato fare alle mie spalle? -- chiesi.
-- Cercare di fidanzarti con una donna bella, ricca e potente? Non mi sembra una cosa orribile. Il popolo ha bisogno di una regina.
-- Cosa? Quindi tu ne eri al corrente?
-- Più o meno.
-- E non me lo hai detto? -- sbraitai.
-- Non mi sembrava così brutto.
-- Tu sai che sto cercando di riportarla in vita!
Era vero. L'avevo confidato a mio fratello un giorno, senza entrare nei dettagli e per quanto la sua espressione fosse scettica, non aveva detto nulla. Ma ciò che rispose quel giorno, mi lasciò senza parole.
-- Sono passati cinque anni Freezer! Come credi di poterla riportare in vita?
Sgranai gli occhi. Perchè mi sembravano pochi mesi invece che un lustro? Perchè ai miei occhi era passato così poco tempo? Il mio dolore era ancora fresco dopo tutti quegli anni?
In quel momento mi apparve chiaro che non potevo riportarla indietro. Non con un corpo corrotto dal tempo, intrappolato nel ghiaccio.
Cooler doveva aver letto i miei pensieri, dalla mia espressione sgomenta -- Scusa fratellino. Cerca di riflettere, prima di prendere una decisione. Nostro padre vuole solo il bene del regno.
Avanzai verso la porta, fermandomi sulla soglia -- Hai sempre leccato il culo di nostro padre.
-- Che cosa?
-- Ammettilo. Non hai mai avuto le palle di opporti ad una sua decisione. -- strinsi i pugni -- Io non sono come te. Non starò qui ad accettare le decisioni di altri sul mio futuro.
Mi incamminai.
Cooler ringhiò -- Te ne vai allora? Devi essere davvero impazzito come dicono tutti.
Mi voltai e lo fissai negli occhi -- Non sono mai stato così lucido in vita mia.

A dispetto di quanto temevo, mio padre non mi inseguì. Non lo incrociai durante tutti i preparativi e non lo incontrai mentre mi apprestavo a salire sulla nave.
Avevamo idee diverse, io e mio padre. Sul potere, sul governo e sugli obblighi che questo comporta. Lui era un monarca, io credo di non esserlo mai stato.
Io sono un combattente, un conquistatore. Ciò che sono riuscito a piegare finisce col diventare meno interessante, trascurabile.
E sono un mercante. Amo fare affari, mercanteggiare, cosa che quando si è seduti su un trono, difficilmente si fa.
L'impero di mio padre è stato creato secondo i canoni di mio padre, non rispecchiava la mia visione del dominio. Ho provato a cambiarlo, a lasciare la mia impronta ma dopo la morte di Neve mi è apparso sempre più chiaro con il passare dei giorni, che mio padre avrebbe sempre avuto potere su ciò che aveva creato. Avrebbe sempre trovato il modo di influenzare il mio operato, di smussarlo e adattarlo ai suoi canoni di perfezione.
Allora capii che dovevo ripartire da zero. Allontanarmi dall'impero di mio padre e creare qualcosa di mio.
Volevo essere un sovrano, da giovane, e pensavo che il mio destino sarebbe stato governare l'impero di mio padre come suo successore.
L'impero di mio padre.
Riuscite ad afferrare il mio sottile ragionamento?
Io non volevo l'impero di mio padre.
Io volevo il mio.
Per questo lasciai il mio pianeta.
Non c' era più niente che mi stesse a cuore laggiù. E non volevo il futuro che mi offriva.
Così partii, per creare qualcosa di nuovo, per costruire con le mie mani un impero che avrebbe seguito le mie regole ed i miei canoni e di cui io ed io soltanto avrei avuto il comando.

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Capitolo 39
*** Son Goku ***


Ed eccoci qui, alla parte della storia che già conoscete. Imperatore dello spazio, tiranno galattico. Non mi dilungherò su aneddoti che avete già sentito e non starò a tediarvi con cose che già conoscete. Non voglio sprecare il vostro tempo, o il mio.
Mi limiterò a dirvi che misi su un bell'impero. Non come quello di mio padre. Il mio era un impero commerciale. Acquistavo e vendevo pianeti. Interi pianeti. Con tutto quello che c'era sopra. Controllando questo tipo di economia potevo ampliare i confini degli altri imperi e degli altri regni in ogni angolo del cosmo. E dato che ero io a scegliere a chi vendere, potevo letteralmente decidere quale impero indebolire e quale potenziare. In sostanza, pur non essendo più un imperatore del calibro di mio padre, mi ritrovavo ad essere più potente di loro. A governarli, ad influenzarli e manovrarli. Era come essere il burattinaio in un teatrino di proporzioni cosmiche.
Ora, potreste trovare abbastanza plausibile l'acquisto di pianeti da parte di un impero, ma potreste chiedervi perchè, in nome di tutti i quazar dell'universo, un impero dovrebbe auto indebolirsi vendendo a me un pianeta che possiede.
La risposta è molto semplice: il guadagno. Ad esempio, in tempo di guerra un impero mi vendette un pianeta di provincia per ricevere in cambio il denaro necessario a potenziare il proprio esercito. O se in un impero debole scoppiava una rivolta, erano ben contenti di cedermi i pianeti interessati. Non scordatevi che usavo ripulirli, prima di venderli. Il mio esercito andava lì e voilà, niente più ribellione. Poi si vendevano al miglior offerente.
Insomma funzionava così. Gli acquirenti non mancavano, i soldi non mancavano e i pianeti non mancavano. Tutto andava a gonfie vele.
Avevo ormai accantonato l' idea di riportare in vita mia moglie, reagendo a quel lutto nell'unico modo che avevo trovato: allontanandomi da tutto ciò che me la ricordava e concentrandomi sulla mia passione, il commercio. Gli affari mi tenevano occupato, focalizzando la mia attenzione su altro.
Con quel tipo di impero non avevo bisogno di combattere o di allenarmi, quindi tenevo la prima forma. Avevo girato l'universo in lungo e in largo, visto le più svariate razze e creature del cosmo e nessuna era più forte di me. Avevo tutto sotto controllo.

Quando venni a sapere delle sfere del drago, il mio vecchio desiderio dell'immortalità tornò a solleticarmi la coda. Mi sfiorò per un attimo l'idea di riportare in vita la mia amata moglie ma allora mi dissi che avrebbe visto ciò che avevo costruito. Ciò che ero diventato.
Mi avrebbe disprezzato. Ed il suo disprezzo era l'unica cosa che non potevo sopportare.
É giusto anche ricordare come ho scoperto della loro esistenza.
Ascoltando Vegeta attraverso le spie negli scouter.
Vegeta che diceva di volere l'immortalità. Per essere in grado di liberarsi di me.
Ho stretto il bicchiere di vino al punto da farlo scoppiare.
-- La mela non cade lontano dall'albero.
A quel punto decisi di dirigermi su Nameck e prendere le sfere prima di lui.
Non potevo credere che dopo anni di servizio, dopo che lo avevo visto crescere e potenziarsi, dopo avergli fornito potere, avversari, vitto e alloggio, fosse così stupido da fare lo stesso errore di suo padre.
Per la libertà, disse. Perchè lo avevo usato.
Non sono stato uno schiavista con lui. E non credo neanche che gli facesse schifo ripulire i pianeti per me.
Ma si sa, i saiyan sono orgogliosi e sciocchi.
Su quel pianeta la mia rabbia crebbe, così come il mio disappunto e la mia delusione.
Lo credevo diverso.
Credevo veramente che fosse diverso, a causa mia. Pensavo davvero, nonostante tutto, di avergli insegnato qualcosa, di averlo trasformato sotto al mio comando in qualcosa di più di uno stupido e orgoglioso scimmione.
Lo scontro con il saiyan terrestre lo aveva reso uno dei miei più potenti soldati. Avrebbe avuto tutto, soldi, potere, una carriera rosea tra le mie fila, se solo fosse rimasto al suo posto.
Oh, non ha mai imparato a stare al suo posto. Proprio come me.
É buffo che di tutte le cose, abbia finito col trasmettergli proprio la ribellione.
Ma lui non era me. Ed io non ero mio padre.
Quando uccise i miei più fidi alleati, Zarbon, Dodoria e Ginew, decisi che gliel'avrei fatta pagare.
Neve teneva a loro, e come Neve anche loro erano stati uccisi da un saiyan.
Li avrei vendicati, avrei coperto il loro sangue con quello di Vegeta.
I terrestri si sono messi in mezzo, ma è bastata la mia forma finale per tenerli a bada.
Da quel momento, ho avuto Vegeta tutto per me.
Sono stato come volevo essere. Brutale, impietoso, inesorabile. Ho visto le sue sicurezze crollare, quando ha scoperto di non essere un super saiyan. Sono stato io a farle crollare, a dargli speranza per un breve istante, per poi frantumargliela dinnanzi agli occhi.
Proprio come con suo padre. Lui mi ha tolto la speranza di una vita felice con Neve, ed io ho tolto loro la speranza in un futuro roseo di conquiste. Ho tolto a Vegeta la speranza di poter vendicare suo padre e la sua gente e vi dirò, è stato impagabile. Vedere il suo sguardo lacrimante mi ha esaltato più di mille bicchieri di vino, mi ha letteralmente ubriacato di soddisfazione.
Ma mentre estirpavo il sangue dal suo corpo un rantolo alla volta, mi trovai a provare un sentimento diverso.
Amarezza.
Alla fine, mi ero davvero allevato una serpe in seno. Ho realizzato solo diversi anni dopo la distruzione del pianeta Vegeta, di aver fatto senza volere ciò che Neve aveva chiesto: risparmiare la vita ad un saiyan. E mentre distruggevo Vegeta nel fisico, pensavo a come infine lei aveva torto: anche se avessi perdonato i saiyan, anche se avessi risparmiato il loro pianeta, anche se li avessi trattati come prima, dando loro il rispetto che uno come Bardak meritava, si sarebbero comunque ribellati, tentando di nuovo di uccidermi.
Ho fatto un errore con Neve e ho sbagliato di nuovo su Namek, solo che quella volta sono stati Zarbon, Dodoria e Ginew con la sua squadra, a perdere la vita.
Questa volta, non avrei fatto errori. Avrei sterminato quell'ignobile razza per sempre, uccidendo il suo ultimo esponente.

Poi è arrivato lui.
Era un saiyan ma era diverso. Il suo volto trasudava di sicurezza e autorità, un volto che mi ricordava un caro amico perduto molto tempo prima.
Dopo che avevo ucciso Vegeta, lui fece qualcosa che non mi sarei mai aspettato: gli rese onore, seppellendo il suo corpo.
Lo nascosi, ma mi incuriosì non poco, per questo lo lasciai fare.
Si presentò come Son Goku, il saiyan cresciuto sulla Terra, e da quel giorno in poi divenne la mia ossessione.
All'inizio giocai con lui come avevo fatto con Vegeta, cercando di dargli una speranza per poi strappargliela dalle mani.
Ma per quanto tentassi, lui si rialzava sempre e ogni volta tentava il contrattacco. Oh le provava tutte! Era così interessante lottare con lui! Così mi dilungai e dilungai ancora, gli mostrai gran parte del mio potere, perchè lo meritava.
All'inizio non capii come fosse possibile, come riuscisse ad alzarsi sempre, ad adattarsi ai miei cambiamenti di forza, al ritmo via via più frenetico della lotta, sforzandosi di avere la meglio su di me.
Poi compresi.
Goku combatteva per i vivi, Vegeta per i morti. E i morti restano morti, anche dopo che li hai vendicati.
Vegeta lottava unicamente per sé stesso, Goku invece, lottava per qualcosa. Proprio come Bardak. Proprio come me, quando mi trovai contro Cooler ed il Levyathan.
Per questo lo odiai. Perchè era così simile a quello che avevo perso, alla parte di me uccisa insieme a Neve.
Credeva di poter sconfiggere me, di salvare l'universo, come un eroe.
Ma tutti gli eroi muoiono, e anche le anime più nobili possono mutare in mostri senza cuore.
Un lutto ci separava. Soltanto un lutto.
Così, per un attimo, divenni Re Vegeta e creai un mostro.
Mentre li vedevo da lontano, il mio dito si spostò su suo figlio. Ma esitò. No, io non volevo imitare il Re Vegeta in tutto. Conoscevo quel dolore così bene, lo sentivo ancora e per quanto desiderassi con tutto il mio essere di fargli provare la mia stessa identica angoscia, mi disgustava l'idea di assomigliare a Vegeta così tanto.
Così scelsi i suoi amici.
E funzionò. Funzionò troppo bene. Almeno all'inizio.
Il super saiyan, un saiyan dorato come aveva detto il Grande Chilled, si rivelò potente al punto da costringermi ad usare il cento per cento della forza.
Ma anche così, lui non mollava. La sua speranza, la sua sicurezza, stava schiacciando la mia.
Quando alla fine cedetti, lui mi sorprese ancora, dicendo di non voler continuare e umiliandomi più di quanto avrei potuto fare io con Vegeta.
Aveva distrutto le mie convinzioni e mi aveva lasciato una vita da vivere nella miseria della verità.
La verità era che io non ero così forte. Che ero solo, solo con il mio grande impero e senza la cosa che desideravo di più, che volevo davvero e che ora non avrei potuto riavere indietro.
Mi rifiutai, provai a continuare la lotta, tentando di resuscitare la mia speranza come faceva lui.
Per cosa combatti?
Quella rivelazione mi tagliò in due più delle mie lame.
Per cosa combattevo? Non mi era rimasto altro, se non la mia vita e il potere.
E non avevo mai avuto troppo interesse per il secondo.
La mia vita, quella che stavo perdendo. Il preludio di un'eternità lontano da Neve.
Scoprii di non voler morire in quel modo e senza rendermene conto, mi ritrovai ad implorare.
Che schifo. La ciliegina sulla torta di una fine indegna.
Ma lui mi ascoltò.
Mi donò la sua energia.
Questo mi spiazzò, all'inizio. Perchè? Perchè risparmiare qualcuno che reputi una minaccia per l'intero universo? E soprattutto perchè farlo se credi potrebbe andare su tuo pianeta e uccidere tutti quelli che ami?
Come si può barattare le vite di coloro a cui tieni e quelle dell'intero universo mossi da un singolo istante di pietà?
Era come Neve. Ma ormai sapevo dove la compassione l'avrebbe portato.
La mia compassione si era esaurita molto tempo fa, così lo attaccai alle spalle.
E fu la mia rovina.

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Capitolo 40
*** Il prezzo del potere ***


Il resto lo conoscete: mio padre che mi raccoglie, il mio corpo in frantumi, quel tale dal futuro.
E poi tanto, tanto tempo nell' aldilà.
Potevo arrendermi, pentirmi, e iniziare una nuova vita in un nuovo corpo e senza ricordi, ma non volevo. Non volevo lasciare tutto così.
Avevo un figlio disperso, un impero in frantumi e ricordi, tanti ricordi. Di giorni migliori, con Kuriza, con Neve, prima che accadesse.
Non li avrei mai avuti indietro. Non avrei mai avuto indietro tutto quel che avevo di bello.
E questo mi rese furente.
L' odio crebbe, nei confronti dei saiyan, di Vegeta, di Son Goku.
Laggiù capii che non me ne sarei andato, che non avrei iniziato un'altra esistenza, che il mio spirito non avrebbe avuto pace finchè anche l'ultima goccia del sangue saiyan non fosse scomparsa dalla faccia dell'universo.
Sorbet estrasse dall'Inferno uno spirito furioso, instabile e vendicativo. Goku era nei miei pensieri, insieme ai mille modi in cui avrei potuto farlo soffrire.
Sorbet mi raccontò quel che era successo in mia assenza: mio padre era morto, ucciso da quel ragazzo dai capelli viola dopo di me.
Non avevo la minima intenzione di riportarlo in vita.
Sapete, l'anima resta per un po' nei pressi del corpo durante la morte. E non mi è sfuggita la proposta di mio padre di prendere quel tale come figlio adottivo.
L'avrei considerata la mia piccola vendetta.
Rimasi in silenzio per diversi giorni sulla poltrona fluttuante, sorseggiando vino, quando seppi della morte di Cooler.
Il mio caro fratello era morto per mano del saiyan biondo, nel tentativo di vendicarmi.
Ah Cooler. Vorrei che non ci fossimo lasciati in quel modo.
Avrei pensato a mio fratello, dopo aver sistemato il saiyan.
Avevo intenzione di agire subito ma cambiai i miei piani, quando seppi che il saiyan aveva sconfitto l' entità ancestrale nota come Majin Bu.
Mi trattenni dall'affrontarlo per sei mesi, e ne hanno raccontate di cose in merito. La versione più accreditata è che abbia affrontato un allenamento speciale, che in quel breve tempo mi ha reso estremamente potente. E a maggior ragione, dato che l' ho messa in giro io stesso.
Ma a voi ho promesso, mio malgrado: tutta la verità e nient'altro che la verità.
Dunque che verità sia.

-- Sorbet, c'è una cosa che voglio sapere.
-- Ditemi, Grande Freezer.
Feci dondolare il bicchiere di vino, guardando le stelle -- Cosa ne è stato del mio pianeta, dopo la morte di mio padre? Non mentirmi, ho intenzione di controllare di persona.
-- Bene signore, dopo la morte di vostro padre e di vostro fratello, non c'erano eredi a guidare ciò che avevano costruito. Molti affrontarono l'Arena ed il Levyathan nel tentativo di ottenere il titolo di re, ma nessuno si dimostrò all'altezza.
Ci fu silenzio da parte mia, quindi Sorbet continuò, tormentandosi le mani -- Nel frattempo, i reggenti delle varie province hanno visto l'assenza dei regnanti come un'occasione per riconquistare l'indipendenza e hanno formato una coalizione per attaccare il vostro pianeta natale, visto come nucleo centrale dell'impero di vostro padre.
Esitò.
-- Continua.-- lo esortai.
L'alieno sospirò -- In un disperato tentativo di ottenere un leader, hanno provato a scongelare l'ultimo erede in vita, vostro figlio Ize.
Strinsi il calice.
-- Ma Lord Ize era..instabile. Ha chiesto di voi, di sua madre e non appena ha saputo della vostra dipartita ha abbandonato il pianeta in cerca del saiyan biondo.
Si bloccò, forse per aver visto la mia mano tremare. Vuotai il calice tutto d'un colpo.
-- Che ne è stato di lui?
-- Non è più tornato, signore.
Chiusi gli occhi. Ricordavo Ize, un bambino tranquillo, pacato e sensibile, con un grande senso della giustizia e della famiglia. Sarebbe stato un grande re, se la sua malattia non l'avesse fermato.
Avevo perso un figlio, di nuovo, per mano di un saiyan. Ma avrei pensato anche a lui, una volta chiusa la questione.
E intendevo chiuderla.
C'era un solo modo per diventare più forti di Majin Bu e del Saiyan: sbloccare il potere nascosto dentro di me fin dalla mia nascita.
Sapete, la leggenda secondo cui siamo nati dalle stelle ha un fondo di verità. Nella nostra razza brucia un potere immenso, ma gran parte rimane sopito, essendo troppo per il fisico da sopportare.
Quando ero piccolo si narrava di un eroe che riuscì a sbloccare il potere delle stelle sopito nella nostra gente: in una Lunga Notte particolarmente dura, all'alba dei tempi, la nostra razza rischiò l'estinzione.
Quella Lunga Notte si protrasse per almeno il doppio del tempo usuale, ancora oggi non riusciamo a spiegarci il perchè, e alcuni credono sia solo un racconto popolare dei nostri antenati, che chiamavano quell'evento Grande Gelo.
Re Alcor radunò tutta la sua energia per illuminare la notte e scacciare il Grande Gelo, le sue urla riecheggiarono per tutto il pianeta, finchè ecco spiccare la sua figura nel buio, brillante come un astro e calda come il fuoco. Un attimo prima nulla, e un attimo dopo sprigionava un potere immenso.
Nessuno seppe mai come o cosa avesse fatto per sbloccare un simile potere, perchè quando il sole tornò ad illuminare il pianeta e lui riprese la sua vera forma, semplicemente il suo corpo non resse.
Nessuno di noi regnanti istruiti prendeva sul serio la leggenda di Alcor lo Splendente, ma fra i quartieri più poveri molti non avevano dubbi sulla sua autenticità. C'erano perfino vecchi che affermavano di averlo visto, dimenticando che la storia stessa lo vuole come il nipote dello stesso Polaris, e quindi più vecchio di tutti i nostri vecchi messi insieme.
Leggenda o verità che fosse, avevo un solo modo per accedere a quel potere.
-- Signore, stiamo atterrando.-- disse Sorbet.
-- Perfetto.

Il mio pianeta era come lo ricordavo, solo più freddo e più silenzioso.
Mi strinsi nel mantello e alzai il cappuccio.
-- Lord Freezer, la vostra scorta è-
-- Andrò da solo.
Sorbet si accigliò -- Ma
-- Niente discussioni.-- tagliai corto e mi gettai in mezzo alla tormenta di neve.
Sapevo dove andare. Non era lontano da dove li avevo fatti atterrare, ma era distante da qualsiasi segno di civiltà sul mio pianeta.
La mia gente non andava lì. Di solito raccontava ai propri piccoli degli eventi terribili che vi accadevano e della forza antica e maligna che la abitava.
Era lì che stavo andando. L' unico luogo in cui il sole non arriva, il luogo più freddo e inospitale del nostro pianeta.
La Tomba di Ghiaccio Nero.
Non era una tomba vera e propria ma una depressione, una conca naturale sempre, perennemente in ombra.
Lì il ghiaccio era di uno spesso strato blu scuro, che a causa della poca luce prendeva un colore quasi nero. Tutto ciò che finiva in quel luogo era destinato a congelare nel giro di poche ore a causa di un'incredibile sbalzo termico e non a caso era silenzioso come un cimitero, con lo scricchiolio del ghiaccio in movimento come unico rumore di sottofondo. Scricchiolava ad ogni mio passo, mentre camminavo verso il centro della conca.
Lì, in un punto ancora più basso, sorgevano dei pilastri di ghiaccio simili ai denti e agli artigli di un enorme mostro.
Scivolai lungo il pendio ed entrai nel cerchio di monoliti di ghiaccio lisci come specchi.
Ma ben presto scoprii che nessuno di essi rifletteva la mia immagine.
Ero nel posto giusto.
-- Ascolta il tuo re e mostrati-- urlai -- Dama dei Ghiacci!
La mia voce si perse ed il silenzio tornò a dominare quel luogo. In un primo momento mi diedi dello stupido e feci per fare dietro front, quando il pilastro di fronte a me si crepò senza una ragione apparente.
Mi sembrò di vedere un'ombra scura vagare tra i pilastri.
Tu che hai l' ardire di definirti mio re, chi sei? disse, nella mia testa.
-- Sono il Grande Freezer, Imperatore dello Spazio.
La sentii ridere.
Ah, tu. Freezer il Folle. Colui che abbandonò il suo popolo, distruttore di pianeti e mercante di mondi. Grazie a te, questo pianeta è di nuovo mio, libero dalla tua razza usurpatrice.
-- Non sono qui per parlare di questo.
Allora cosa vuoi, Imperatore del Vuoto?
Strinsi i pugni -- Voglio l'energia degli astri.
L'ombra si fermò e la vidi, uno spettro dalle vesti lacere e i capelli fluttuanti, che non sembrava appartenere a nessuna razza conosciuta.
Curioso. Uno di voi mi fece la stessa richiesta, molto tempo fa.
Quella rivelazione mi spiazzò.
Alcor.
Ecco dunque la verità.
-- Allora non è una leggenda. Quel potere esiste davvero?
Lei rise ancora Certo che esiste! E io posso fare in modo che tu lo ottenga, al giusto prezzo.
Ed ecco la parte dolente. Sapevo di stare giocando un gioco pericoloso, ma ero determinato a chiudere i conti con il saiyan.
Dovevo riflettere.
-- Che prezzo aveva per Alcor?
Ho chiesto la sua vita.
Sgranai gli occhi. Alcor aveva sacrificato la propria vita perchè la nostra stirpe continuasse a vivere. Indubbiamente fu uno dei più grandi sovrani mai esistiti.
Io invece? Che tipo di sovrano ero?
Sei ciò che hai scelto di diventare.
-- Mi leggi nella testa ora?
Lei ridacchiò ed abbassai lo sguardo -- No, non l' ho scelto io. Se i saiyan non mi avessero strappato la mia adorata Neve, forse sarei diverso.
Ti piacerebbe saperlo?
Osservai l' immagine sul pilastro, confuso.
Io non prendo cimeli a caso, Grande Freezer. Io colleziono. E amo le cose rare e preziose. Vite, sentimenti, ricordi.
-- Allora cosa vuoi in cambio del potere degli astri?
Voglio il tuo ricordo di lei. Il sentimento che provi per lei. La prova che l' essere più crudele e meschino dell'universo un tempo ha amato ed è stato amato. Voglio il tuo cuore, Imperatore dello Spazio.
La mia convinzione vacillò. Per un momento pensai di andarmene davvero, di tornare alla nave e non rimettere mai più piede in quel luogo.
Ma poi ricordai Son Goku, i saiyan, lui e Vegeta rimasti impuniti, la mia vendetta incompleta. Eppure dubitai.
-- Se cedo i miei ricordi anche l'odio che provo sparirà, e avrò fatto tutta questa strada per nulla.
Oh no, quello resterà dov' è. Non mi serve. Vedi, semplicemente li odierai per un altro motivo, mio caro imperatore, se non per lei, per l' umiliazione che ti hanno inflitto. Su, su, ti sto facendo un favore. La dimenticherai, dimenticherai quel sentimento. Niente più sofferenza, niente più tormenti. Soltanto tu, il potere e la vendetta.
Mi costrinsi a riflettere, non volevo rispondere subito.
Trascinavo quel peso da troppo tempo. Da troppo tempo cercavo di sfuggire al dolore.
Ma non volevo perderla, non volevo lasciarla.
Crollai in ginocchio, poggiando i palmi sul ghiaccio che quasi bruciava.
Non l'avrei comunque rivista, né in questa vita né nell' altra. E anche se avessi avuto quella fortuna, lei mi avrebbe odiato, per ciò che ero diventato, per ciò che avevo fatto.
La visualizzai nella mia mente, cercando di ricordarne ogni dettaglio.
Poi asciugai gli occhi e guardai il fantasma imprigionato nel ghiaccio.
-- Accetto.
Non è facile descrivere quel che provai in quel momento.
Un' ombra mi attraversò la testa in un' istante. Qualcosa dentro di me si spezzò. Qualcosa in me divenne freddo, più del ghiaccio, come il vuoto fra le stelle. Un secondo dopo, il mio corpo ardeva. Sentii il potere ribollire, salire dalle profondità del mio essere verso la superficie. Non potevo trattenerlo. Non potevo fermarlo.
Urlai.
Poi, più nulla.
Sorbet mi disse, al mio risveglio, che avevano visto un enorme bagliore dorato ed una volta raggiunto il punto, la pattuglia aveva trovato me disteso, una forma dorata e fumante, in mezzo ad un cerchio di erba verde smeraldo.

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